Sotto il Tuo Manto

Martedi, 9 settembre 2025 - San Pietro Claver Sacerdote (Letture di oggi)

Quando suonerà  l'ora del trionfo della misericordia di Dio nella sua Chiesa, noi (Sopocko e Kowalska) saremo già  nell'altra vita. Prima che questo avvenga, però, l'anima tua (si rivolge a don Sopocko, che vivrà  parecchi anni dopo di lei) verrà  saturata d'amarezze e vedrai la rovina dei tuoi sforzi. È vero che tale rovina sarà  solo apparente perché Dio non muta ciò che una volta ha stabilito, tuttavia la sofferenza non sarà  meno reale. Quando ciò avverrà  lo ignoro, quanto tempo durerà  non mi fu detto. So che Dio promise una grande grazia particolarmente a me e a tutti quelli che faranno conoscere la sua infinita misericordia. (Santa Faustina Kowalska)

Liturgia delle Ore - Letture

Lunedi della 7° settimana del Tempo di Pasqua

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Marco 9

1E diceva loro: "In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza".

2Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche.4E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù.5Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!".6Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento.7Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: "Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!".8E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro.

9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti.10Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti.11E lo interrogarono: "Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?".12Egli rispose loro: "Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni cosa; ma come sta scritto del Figlio dell'uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato.13Orbene, io vi dico che Elia è già venuto, ma hanno fatto di lui quello che hanno voluto, come sta scritto di lui".

14E giunti presso i discepoli, li videro circondati da molta folla e da scribi che discutevano con loro.15Tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo.16Ed egli li interrogò: "Di che cosa discutete con loro?".17Gli rispose uno della folla: "Maestro, ho portato da te mio figlio, posseduto da uno spirito muto.18Quando lo afferra, lo getta al suolo ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti".19Egli allora in risposta, disse loro: "O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me".20E glielo portarono. Alla vista di Gesù lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava spumando.21Gesù interrogò il padre: "Da quanto tempo gli accade questo?". Ed egli rispose: "Dall'infanzia;22anzi, spesso lo ha buttato persino nel fuoco e nell'acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci".23Gesù gli disse: "Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede".24Il padre del fanciullo rispose ad alta voce: "Credo, aiutami nella mia incredulità".25Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito immondo dicendo: "Spirito muto e sordo, io te l'ordino, esci da lui e non vi rientrare più".26E gridando e scuotendolo fortemente, se ne uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: "È morto".27Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi.
28Entrò poi in una casa e i discepoli gli chiesero in privato: "Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?".29Ed egli disse loro: "Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera".

30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse.31Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: "Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà".32Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni.

33Giunsero intanto a Cafàrnao. E quando fu in casa, chiese loro: "Di che cosa stavate discutendo lungo la via?".34Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande.35Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: "Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti".36E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro:
37"Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato".

38Giovanni gli disse: "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri".39Ma Gesù disse: "Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me.40Chi non è contro di noi è per noi.

41Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa.

42Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare.43Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile.44.45Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna.46.47Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna,48dove 'il loro verme non muore e il fuoco non si estingue'.49Perché ciascuno sarà salato con il fuoco.50Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salerete? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri".


Genesi 9

1Dio benedisse Noè e i suoi figli e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra.2Il timore e il terrore di voi sia in tutte le bestie selvatiche e in tutto il bestiame e in tutti gli uccelli del cielo. Quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del mare sono messi in vostro potere.3Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo: vi dò tutto questo, come già le verdi erbe.4Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè il suo sangue.5Del sangue vostro anzi, ossia della vostra vita, io domanderò conto; ne domanderò conto ad ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell'uomo all'uomo, a ognuno di suo fratello.

6 Chi sparge il sangue dell'uomo
dall'uomo il suo sangue sarà sparso,
perché ad immagine di Dio
Egli ha fatto l'uomo.
7 E voi, siate fecondi e moltiplicatevi,
siate numerosi sulla terra e dominatela".

8Dio disse a Noè e ai sui figli con lui:9"Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza coni vostri discendenti dopo di voi;10con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e bestie selvatiche, con tutti gli animali che sono usciti dall'arca.11Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né più il diluvio devasterà la terra".

12Dio disse:

"Questo è il segno dell'alleanza,
che io pongo tra me e voi
e tra ogni essere vivente che è con voi
per le generazioni eterne.
13 Il mio arco pongo sulle nubi
ed esso sarà il segno dell'alleanza
tra me e la terra.
14 Quando radunerò le nubi sulla terra
e apparirà l'arco sulle nubi
15 ricorderò la mia alleanza
che è tra me e voi
e tra ogni essere che vive in ogni carne
e non ci saranno più le acque
per il diluvio, per distruggere ogni carne.
16 L'arco sarà sulle nubi
e io lo guarderò per ricordare l'alleanza eterna
tra Dio e ogni essere che vive in ogni carne
che è sulla terra".

17Disse Dio a Noè: "Questo è il segno dell'alleanza che io ho stabilito tra me e ogni carne che è sulla terra".

18I figli di Noè che uscirono dall'arca furono Sem, Cam e Iafet; Cam è il padre di Canaan.19Questi tre sono i figli di Noè e da questi fu popolata tutta la terra.
20Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna.21Avendo bevuto il vino, si ubriacò e giacque scoperto all'interno della sua tenda.22Cam, padre di Canaan, vide il padre scoperto e raccontò la cosa ai due fratelli che stavano fuori.23Allora Sem e Iafet presero il mantello, se lo misero tutti e due sulle spalle e, camminando a ritroso, coprirono il padre scoperto; avendo rivolto la faccia indietro, non videro il padre scoperto.
24Quando Noè si fu risvegliato dall'ebbrezza, seppe quanto gli aveva fatto il figlio minore;25allora disse:

"Sia maledetto Canaan!
Schiavo degli schiavi
sarà per i suoi fratelli!".

26Disse poi:

"Benedetto il Signore, Dio di Sem,
Canaan sia suo schiavo!
27 Dio dilati Iafet
e questi dimori nelle tende di Sem,
Canaan sia suo schiavo!".

28Noè visse, dopo il diluvio, trecentocinquanta anni. L'intera vita di Noè fu di novecentocinquanta anni, poi morì.


Salmi 145

1'Lodi. Di Davide.'

Alef. O Dio, mio re, voglio esaltarti
e benedire il tuo nome
in eterno e per sempre.
2Bet. Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome
in eterno e per sempre.

3Ghimel. Grande è il Signore e degno di ogni lode,
la sua grandezza non si può misurare.
4Dalet. Una generazione narra all'altra le tue opere,
annunzia le tue meraviglie.
5He. Proclamano lo splendore della tua gloria
e raccontano i tuoi prodigi.
6Vau. Dicono la stupenda tua potenza
e parlano della tua grandezza.
7Zain. Diffondono il ricordo della tua bontà immensa,
acclamano la tua giustizia.
8Het. Paziente e misericordioso è il Signore,
lento all'ira e ricco di grazia.
9Tet. Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.

10Iod. Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
11Caf. Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza,
12Lamed. per manifestare agli uomini i tuoi prodigi
e la splendida gloria del tuo regno.
13Mem. Il tuo regno è regno di tutti i secoli,
il tuo dominio si estende ad ogni generazione.

14Samech. Il Signore sostiene quelli che vacillano
e rialza chiunque è caduto.
15Ain. Gli occhi di tutti sono rivolti a te in attesa
e tu provvedi loro il cibo a suo tempo.
16Pe. Tu apri la tua mano
e sazi la fame di ogni vivente.

17Sade. Giusto è il Signore in tutte le sue vie,
santo in tutte le sue opere.
18Kof. Il Signore è vicino a quanti lo invocano,
a quanti lo cercano con cuore sincero.
19Res. Appaga il desiderio di quelli che lo temono,
ascolta il loro grido e li salva.
20Sin. Il Signore protegge quanti lo amano,
ma disperde tutti gli empi.

21Tau. Canti la mia bocca la lode del Signore
e ogni vivente benedica il suo nome santo,
in eterno e sempre.


Salmi 75

1'Al maestro del coro. Su "Non dimenticare". Salmo. Di Asaf. Canto.'
2Noi ti rendiamo grazie, o Dio, ti rendiamo grazie:
invocando il tuo nome, raccontiamo le tue meraviglie.

3Nel tempo che avrò stabilito
io giudicherò con rettitudine.
4Si scuota la terra con i suoi abitanti,
io tengo salde le sue colonne.

5Dico a chi si vanta: "Non vantatevi".
E agli empi: "Non alzate la testa!".
6Non alzate la testa contro il cielo,
non dite insulti a Dio.

7Non dall'oriente, non dall'occidente,
non dal deserto, non dalle montagne
8ma da Dio viene il giudizio:
è lui che abbatte l'uno e innalza l'altro.

9Poiché nella mano del Signore è un calice
ricolmo di vino drogato.
Egli ne versa:
fino alla feccia ne dovranno sorbire,
ne berranno tutti gli empi della terra.

10Io invece esulterò per sempre,
canterò inni al Dio di Giacobbe.
11Annienterò tutta l'arroganza degli empi,
allora si alzerà la potenza dei giusti.


Ezechiele 17

1Mi fu rivolta ancora questa parola del Signore:2"Figlio dell'uomo, proponi un enigma e racconta una parabola agli Israeliti.3Tu dirai: Dice il Signore Dio:

Un'aquila grande
dalle grandi ali
e dalle lunghe penne,
folta di piume
dal colore variopinto,
venne sul Libano
e portò via la cima del cedro;
4stroncò il ramo più alto
e lo portò in un paese di mercanti,
lo depose in una città di negozianti.
5Scelse un germoglio del paese
e lo depose in un campo da seme;
lungo il corso di grandi acque,
lo piantò come un salice,
6perché germogliasse
e diventasse una vite estesa,
poco elevata,
che verso l'aquila volgesse i rami
e le radici crescessero sotto di essa.
Divenne una vite,
che fece crescere i tralci
e distese i rami.
7Ma c'era un'altra aquila grande,
larga di ali,
folta di penne.
Ed ecco quella vite
rivolse verso di lei le radici
e tese verso di lei i suoi tralci,
perché la irrigasse
dall'aiuola dove era piantata.
8In un campo fertile,
lungo il corso di grandi acque,
essa era piantata,
per metter rami e dar frutto
e diventare una vite magnifica.
9Riferisci loro: Dice il Signore Dio:
Riuscirà a prosperare?
O non svellerà forse l'aquila le sue radici
e vendemmierà il suo frutto
e seccheranno tutti i tralci che ha messo?
Non ci vorrà un grande sforzo
o molta gente
per svellerla dalle radici.
10Ecco, essa è piantata:
riuscirà a prosperare?
O non seccherà del tutto
non appena l'avrà sfiorata il vento d'oriente?
Proprio nell'aiuola dove è germogliata, seccherà!".

11Mi fu rivolta ancora questa parola del Signore:12"Parla dunque a quella genìa di ribelli: Non sapete che cosa significa questo? Di' ancora: Ecco, il re di Babilonia è giunto a Gerusalemme, ha preso il re e i prìncipi e li ha trasportati con sé in Babilonia.13Si è scelto uno di stirpe reale e ha fatto un patto con lui, obbligandolo con giuramento. Ha deportato i potenti del paese,14perché il regno fosse debole e non potesse innalzarsi ed egli osservasse e mantenesse l'alleanza con lui.15Ma questi gli si è ribellato e ha mandato messaggeri in Egitto, perché gli fossero dati cavalli e molti soldati. Potrà prosperare, potrà scampare chi ha agito così? Chi ha infranto un patto potrà uscirne senza danno?16Per la mia vita, dice il Signore Dio, proprio nel paese del re che gli aveva dato il trono, di cui ha disprezzato il giuramento e infranto l'alleanza, presso di lui, morirà, in Babilonia.17Il faraone con le sue grandi forze e il suo ingente esercito non gli sarà di valido aiuto in guerra, quando si eleveranno terrapieni e si costruiranno baluardi per distruggere tante vite umane.18Ha disprezzato un giuramento, ha infranto un'alleanza: ecco, aveva dato la mano e poi ha agito in tal modo. Non potrà trovare scampo.
19Perciò così dice il Signore Dio: Com'è vero ch'io vivo, il mio giuramento che egli ha disprezzato, la mia alleanza che ha infranta li farò ricadere sopra il suo capo.20Stenderò su di lui la mia rete e rimarrà preso nel mio laccio. Lo porterò in Babilonia e là lo giudicherò per l'infedeltà commessa contro di me.21Tutti i migliori delle sue schiere cadranno di spada e i superstiti saranno dispersi a tutti i venti: così saprete che io, il Signore, ho parlato.

22Dice il Signore Dio:
Anch'io prenderò dalla cima del cedro,
dalle punte dei suoi rami coglierò un ramoscello
e lo pianterò sopra un monte alto, massiccio;
23lo pianterò sul monte alto d'Israele.
Metterà rami e farà frutti
e diventerà un cedro magnifico.
Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno,
ogni volatile all'ombra dei suoi rami riposerà.
24Sapranno tutti gli alberi della foresta
che io sono il Signore,
che umilio l'albero alto e innalzo l'albero basso;
faccio seccare l'albero verde e germogliare l'albero secco.
Io, il Signore, ho parlato e lo farò".


Lettera agli Ebrei 4

1Dobbiamo dunque temere che, mentre ancora rimane in vigore la promessa di entrare nel suo riposo, qualcuno di voi ne sia giudicato escluso.2Poiché anche a noi, al pari di quelli, è stata annunziata una buona novella: purtroppo però ad essi la parola udita non giovò in nulla, non essendo rimasti uniti nella fede a quelli che avevano ascoltato.3Infatti noi che abbiamo creduto possiamo entrare in quel riposo, secondo ciò che egli ha detto:

'Sicché ho giurato nella mia ira:
Non entreranno nel mio riposo!'

Questo, benché le sue opere fossero compiute fin dalla fondazione del mondo.4Si dice infatti in qualche luogo a proposito del settimo giorno: 'E Dio si riposò nel settimo giorno da tutte le opere sue'.5E ancora in questo passo: 'Non entreranno nel mio riposo!'6Poiché dunque risulta che alcuni debbono ancora entrare in quel riposo e quelli che per primi ricevettero la buona novella non entrarono a causa della loro disobbedienza,7egli fissa di nuovo un giorno, 'oggi', dicendo in Davide dopo tanto tempo:

'Oggi, se udite la sua voce,
non indurite i vostri cuori!'

8Se Giosuè infatti li avesse introdotti in quel riposo, Dio non avrebbe parlato, in seguito, di un altro giorno.9È dunque riservato ancora un riposo sabatico per il popolo di Dio.10Chi è entrato infatti nel suo riposo, riposa anch'egli dalle sue opere, come Dio dalle proprie.
11Affrettiamoci dunque ad entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza.
12Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore.13Non v'è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto.

14Poiché dunque abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede.15Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato.16Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno.


Capitolo XVI: Manifestare a Cristo le nostre manchevolezze e chiedere la sua grazia

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Parola del discepolo

O dolcissimo e amorosissimo Signore, che ora desidero devotamente ricevere, tu conosci la mia debolezza e la miseria che mi affligge; sai quanto siano grandi il male e i vizi in cui giaccio e come io sia frequentemente oppresso, provato, sconvolto e pieno di corruzione. Io vengo a te per essere aiutato, consolato e sollevato. Parlo a colui che tutto sa e conosce ogni mio pensiero; a colui che solo mi può pienamente confortare e soccorrere. Tu ben sai di quali beni io ho massimamente bisogno e quanto io sono povero di virtù. Ecco che io mi metto dinanzi a te, povero e nudo, chiedendo grazia e implorando misericordia. Ristora questo tuo misero affamato; riscalda la mia freddezza con il fuoco del tuo amore; rischiara la mia cecità con la luce della tua presenza. Muta per me in amarezza tutto ciò che è terreno; trasforma in occasione di pazienza tutto ciò che mi pesa e mi ostacola; muta in oggetto di disprezzo e di oblio ciò che è bassa creatura. Innalza il mio cuore verso il cielo, a te, e non lasciare che mi perda, vagando su questa terra. Sii tu solo, da questo momento e per sempre, la mia dolce attrazione, ché tu solo sei mio cibo e mia bevanda, mio amore e mia gioia, mia dolcezza e sommo mio bene. Potessi io infiammarmi tutto, dinanzi a te, consumarmi e trasmutare in te, così da diventare un solo spirito con te, per grazia di intima unione, in struggimento di ardente amore. Non permettere che io mi allontani da te digiuno e languente, ma usa misericordia verso di me, come tante volte l'hai usata mirabilmente con i tuoi santi. Qual meraviglia se da te io prendessi fuoco interamente, venendo meno in me stesso, poiché tu sei fiamma sempre viva, che mai si spegne, amore che purifica i cuori e illumina le menti?


Le ritrattazioni - libro secondo

Le ritrattazioni - Sant'Agostino d'Ippona

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Agostino Aurelio Questo libro incomincia così: Grosso è il problema della menzogna

LIBRO SECONDO



I. (XXVIII) – A Simpliciano, due libri
1.1 I primi due libri da me composti da vescovo sono rivolti a Simpliciano, il vescovo della Chiesa milanese succeduto al beatissimo Ambrogio e trattano di diverse questioni: due di esse, ricavate dalla Lettera dell’apostolo Paolo ai Romani, formano il primo libro. La prima riguarda il brano che incomincia con le parole: Che diremo dunque, che la legge è peccato? Certamente no! fino alle parole: Chi mi libererà dal corpo di questa morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. Nel mio commento ho inteso le parole dell’Apostolo: La legge è spirituale, ma io sono carnale, e quanto nel brano tratta della lotta della carne contro lo spirito come descrizione dell’uomo che si trova tuttora sotto la legge, e non è ancora sotto la grazia. Molto tempo dopo ho compreso – e questa interpretazione è più probabile – che quelle possono anche essere le parole di un uomo spirituale·. La successiva questione discussa in questo libro riguarda il brano che va dalle parole: Non solo lei, ma anche Rebecca, che ebbe una prole da un’unica unione con Isacco, nostro padre, alle parole: Se il Signore degli Eserciti non ci avesse lasciato un seme saremmo divenuti come Sodoma e simili a Gomorra.

Nella soluzione di questa questione mi sono dato molto da fare per sostenere il libero arbitrio della volontà umana, ma ha vinto la grazia di Dio, e non si è potuto che addivenire alla piena comprensione di quanto l’Apostolo afferma con somma chiarezza e verità: Chi può fare per te una distinzione? Che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto? E se lo hai ricevuto perché te ne glori come se non lo avessi ricevuto? Volendo illustrare questo concetto il martire Cipriano l’ha integralmente condensato in un titolo: In nulla ci dobbiamo gloriare dal momento che nulla ci appartiene

1.2 Tutte le altre questioni, che riguardano esclusivamente quella parte della Scrittura recante come titolo I Regni, vengono affrontate nel secondo libro ed anche tutte risolte, compatibilmente con i miei limiti.

La prima questione riguarda il passo in cui si legge: E lo Spirito del Signore si portò su Saul, messa a confronto con l’altro: E lo spirito malvagio del Signore fu in Saul·. Nella spiegazione ho detto: Mentre è in potere di ciascuno il volere qualcosa, non lo è altrettanto il poterlo realizzare. S’è detto questo nel senso che non è in nostro potere se non ciò che, quando lo vogliamo, si realizza. La volontà ha dunque la precedenza in assoluto ed è un fatto che questa stessa volontà si presenta immediatamente appena lo vogliamo. Ma è dall’alto che riceviamo la facoltà di condurre rettamente la nostra vita, ove la volontà sia preparata dal Signore.

La seconda questione riguarda il senso delle parole: "·Mi pento di aver fatto re Saul·";

la terza discute se lo spirito immondo che era nella pitonessa abbia potuto agire in modo che Samuele fosse visto da Saul e parlasse con lui·;

la quarta delle parole: "·Entrò il re David e sedette davanti al Signore·";

la quinta delle parole di Elia: "·O Signore, testimone di questa vedova con la quale abito nella sua casa, hai fatto male a uccidere suo figlio·"·.

Quest’opera incomincia così: Senz’altro graditissima e dolcissima.

II (XXIX) – Contro la Lettera di Manicheo detta del fondamento, un libro
2 Il libro Contro la lettera di Manicheo detta del fondamento· ne contesta solo gli inizi. In ogni altra sua parte, però, quando mi è parso opportuno, ho inserito delle annotazioni dalle quali risulta totalmente vanificata, e che avrebbero dovuto costituire un punto d’avvio, qualora avessi avuto il tempo di estendere la mia polemica all’intera lettera.

Questo libro incomincia così: L’unico vero Dio onnipotente.

III (XXX) – Il combattimento cristiano, un libro
3 Il libro su Il combattimento cristiano è stato scritto in un linguaggio semplice per i fratelli non esperti nella lingua latina. Contiene la regola della fede e le norme del vivere·. In esso ho detto: Non ascoltiamo coloro che negano che vi sarà la risurrezione della carne e ricordano, a sostegno, le parole dell’apostolo Paolo: "·La carne e il sangue non possederanno il regno di Dio·". Non si rendono conto che lo stesso Apostolo dice: "·Occorre che questo corpo corruttibile si rivesta di incorruttibilità e che questo corpo mortale si rivesta di immortalità·": quando questo sarà avvenuto non ci saranno più carne e sangue, ma un corpo celeste. Queste parole non vanno intese nel senso che non vi sarà più la sostanza della carne: occorre rendersi conto che l’Apostolo con i termini carne e sangue ha inteso designare la corruzione della carne e del sangue che non vi sarà più in quel regno nel quale la carne sarà incorruttibile·. È possibile anche un’altra interpretazione: potremmo intendere che l’Apostolo abbia chiamato carne e sangue le opere della carne e del sangue e che non possederanno il Regno di Dio coloro che ameranno con ostinazione tali opere. Questo libro inizia così: Corona di vittoria.

IV (XXXI) – La dottrina cristiana, quattro libri
4.1 Avevo trovato incompleti i libri su La dottrina cristiana e preferii completare l’opera anziché lasciarla così come si trovava per passare alla revisione di altri scritti. Ho così completato il terzo libro la cui stesura giungeva fino al punto nel quale è ricordata la testimonianza della donna che, come si legge nel Vangelo, ha nascosto il lievito in tre misure di farina in attesa che fermenti il tuttoHo anche aggiunto un ultimo libro, portando l’opera a quattro. I primi tre servono ad intendere le Scritture, il quarto ad esporre quanto s’è inteso·.

4.2 A proposito di quanto avevo affermato nel secondo libro, che cioè a scrivere il libro comunemente noto come Sapienza di Salomone sarebbe stato quel medesimo Gesù, figlio di Sirach, che compose l’Ecclesiastico, appresi successivamente che le cose non stavano così e potei appurare che molto più probabilmente costui non ne era l’autore·. Dove ho detto: A questi quarantaquattro libri si limita l’autorità dell’Antico Testamento, sono ricorso all’espressione Antico Testamento seguendo l’uso della Chiesa, anche se è vero che l’Apostolo sembra ricorrere a questa espressione esclusivamente in rapporto con la legge data sul monte Sinai·. Quanto all’affermazione che S. Ambrogio avrebbe risolto una questione cronologica facendo di Geremia e di Platone dei contemporanei, trattasi in realtà di una mia caduta di memoria. Ciò che quel vescovo ha scritto su questa questione lo si legge nel libro ch’egli compose su I Sacramenti o su La filosofia·.

L’opera incomincia con le parole: Vi sono alcune norme.

V (XXXII) – Contro il partito di Donato, due libri
5 Vi sono due miei libri che hanno questo titolo: Contro il partito di Donato. Nel primo avevo detto di non approvare che degli scismatici fossero costretti alla comunione dalla forza di un potere secolare.

Questo era allora il mio pensiero·, poiché non avevo ancora sperimentato quali nefandezze avrebbero osato se impuniti e quanto potesse loro giovare, per cambiare in meglio, un rigido controllo.

Quest’opera incomincia così: Poiché i Donatisti a noi.

VI (XXXIII) – Le Confessioni, tredici libri
6.1 I tredici libri delle mie Confessioni lodano Dio giusto e buono per le azioni buone e cattive che ho compiuto, e volgono a Dio la mente e il cuore dell’uomo. Per quanto mi riguarda hanno esercitato questa azione su di me mentre li scrivevo e continuano ad esercitarla quando li leggo·. Che cosa ne pensino gli altri è affar loro: so però che sono molto piaciuti e tuttora piacciono a molti fratelli. I libri che vanno dal primo al decimo hanno me come oggetto, i rimanenti tre trattano delle Sacre Scritture a partire dalle parole: In principio Dio fece il cielo e la terra, fino al riposo del sabato.

6.2 Nel quarto libro, confessando la sofferenza del mio animo per la morte di un amico, avevo detto che le nostre due anime formavano un’anima sola. Ed avevo aggiunto: Temevo forse di morire, pensando che così sarebbe del tutto morto colui che avevo molto amato. Questa però mi sembra più una declamazione inconsistente che una confessione profonda, anche se in qualche modo questa banalità è attenuata dall’aggiunta di un forse·. Nel tredicesimo libro non ho adeguatamente meditato le parole: Il firmamento è stato creato fra le acque spirituali superiori e le acque materiali inferiori. Trattasi comunque di un argomento assai oscuro·.

Quest’opera incomincia così: Grande sei, Signore.

VII (XXXIV) – Contro il manicheo Fausto, trentatré libri
7.1 Contro il manicheo Fausto·, che attaccava con tono blasfemo la Legge, i Profeti, il loro Dio e l’incarnazione di Cristo e che diceva falsificate le Scritture del Nuovo Testamento che lo incriminano·, ho scritto un grosso lavoro nel quale riporto le sue parole opponendo loro le mie risposte. Consta di trentatré discussioni che non vedo perché non dovrei considerare libri. Alcuni sono, è vero, molto brevi, ma sono comunque libri. Uno di essi anzi, quello nel quale vien difesa la vita dei Patriarchi contro le sue accuse non è raggiunto per ampiezza da quasi nessuno degli altri miei libri.

7.2 Nel terzo libro, nello spiegare come Giuseppe potesse aver avuto due padri ho detto: Perché dall’uno era nato, mentre dall’altro era stato adottato. Avrei però anche dovuto indicare il tipo di adozione. Da quanto ho detto infatti sembra risultare che lo avesse adottato un altro padre ancora vivo. La legge dava in adozione i figli anche ai morti ordinando che il fratello sposasse la moglie del fratello morto senza figli e procurasse così al fratello defunto un discendente dalla stessa donna. Si spiega così abbastanza come si possa parlare di due padri per uno stesso uomo. Erano fratelli uterini quelli nei quali si verificò tale situazione: l’uno dei due, cioè Giacobbe, sposò la moglie dell’altro fratello defunto, che si chiamava Eli, e da lui Matteo narra che sarebbe nato Giuseppe. Ma lo generò per il suo fratello uterino il cui figlio, come dice Luca, fu Giuseppe, non però come figlio naturale, ma come figlio adottivo secondo la legge. Questo chiarimento s’è trovato in una lettera scritta da persone che ne trattarono, sfruttandone il ricordo recente, dopo l’ascensione del Signore. Africano· non ha omesso neppure il nome della donna che generò Giacobbe, padre di Giuseppe, dal precedente marito Mathan – il quale Mathan risulta appunto, secondo Matteo, padre di Giacobbe e nonno di Giuseppe – e che generò da un successivo marito di nome Melchi quell’Eli di cui Giuseppe fu il figlio adottivo. Quando rispondevo a Fausto non avevo ancor letto di tale vicenda, anche se non avevo alcun dubbio che grazie all’adozione potesse capitare che un uomo avesse due padri.

7.3 Nel dodicesimo e nel tredicesimo libro s’è discusso del secondo figlio di Noè, chiamato Cam, facendo intendere ch’egli fu maledetto dal padre in se stesso, e non in Canaan suo figlio, come risulta dalla Scrittura·. Nel quattordicesimo s’è parlato del sole e della luna come se avessero una sensibilità e per questo accettassero di avere degli sciocchi adoratori. È possibile però intendere quelle espressioni come trasferite da ciò che è animato a ciò che è inanimato, attraverso il ricorso a quella figura che in greco prende il nome di metafora. Così, per esempio, nella Scrittura si parla del mare che freme nel ventre di sua madre volendone uscire· mentre in realtà il mare non possiede volontà alcuna. Nel ventinovesimo ho scritto: Guardiamoci bene dal dire che nelle membra dei santi, anche in quelle preposte alla generazione, vi sia qualcosa di osceno. Quelle parti vengono definite indecenti in quanto non hanno l’aspetto decoroso proprio di quelle esposte alla vista. In altri nostri scritti composti successivamente s’è data una spiegazione più accettabile del motivo per cui anche l’Apostolo ha definito indecenti quelle parti: esse lo sono a causa della legge che nelle nostre membra si oppone alla legge della mente, pur essendo questa una conseguenza del peccato e non dell’originaria istituzione della natura umana.

Quest’opera incomincia così: Ci fu un certo Fausto.

VIII (XXXV) – Contro il manicheo Felice, due libri
8 Avevo discusso per due giorni, in chiesa, alla presenza del popolo, contro un manicheo di nome Felice·. Era venuto ad Ippona per diffondere quel medesimo errore e faceva parte dei maestri di quella setta. Benché per nulla esperto nelle arti liberali, era però più abile di Fortunato.

Quanto all’opera trattasi di Atti ecclesiastici che vengono però ugualmente annoverati fra i miei scritti. Consta di due libri nel secondo dei quali si discute del libero arbitrio della volontà sia per compiere il bene sia per commettere il male. In considerazione dell’avversario col quale dovevamo discutere non abbiamo invece sentito la necessità di trattare della grazia che rende veramente liberi coloro dei quali è scritto: Se il Figlio vi libererà, allora sarete veramente liberi.

Quest’opera incomincia così: Sotto il sesto consolato dell’imperatore Onorio, addì 7 dicembre·.

IX (XXXVI) – La natura del bene, un libro
9 Il libro Sulla natura del bene è uno scritto antimanicheo. In esso si dimostra che Dio è una natura immutabile e si identifica col sommo bene. Da lui derivano tutte le nature sia spirituali sia materiali e tutte, in quanto nature, sono buone; vi si tratta anche della natura e dell’origine del male, mostrando quanti mali i Manichei pongano nella natura del bene e quanti beni in quella del male, nelle due nature, cioè, postulate dalla loro erronea dottrina·.

Quest’opera incomincia così: Il sommo Bene, del quale non ve n’è uno maggiore, è Dio.

X (XXXVII) – Contro il manicheo Secondino, un libro
10 Un certo Secondino·, appartenente a quel gruppo di adepti che i Manichei non chiamano eletti, "·ma uditori·"·, e che non conoscevo neppure di vista, mi aveva scritto una lettera proclamandosi mio amico. In essa mi rimproverava rispettosamente di attaccare con i miei scritti quell’eresia e mi esortava a non farlo e ad aderire piuttosto ad essa, prendendone le difese e criticando la fede cattolica. Gli ho risposto con una lettera. Poiché tuttavia all’inizio dell’opuscolo non è riportato né il nome del mittente né quello del destinatario, esso fa parte dei miei libri e non delle mie lettere. All’inizio dello scritto ho riportato anche il testo della sua lettera. Considero questo volume, intitolato Contro il manicheo Secondino, il migliore che io abbia scritto contro quell’autentica peste che è il Manicheismo·.

Questo libro incomincia così: La benevolenza nei miei riguardi che emerge dalla tua lettera.

XI (XXXVIII) – Contro Ilaro, un libro
11 Nel frattempo un certo Ilaro, un cattolico laico che aveva rivestito la carica di tribuno, non so perché, ma seguendo un costume alquanto diffuso, fu preso da grande irritazione contro i ministri di Dio. Ovunque poteva attaccava con critiche malevole l’uso, che incominciava allora ad affermarsi in Cartagine, di intonare dinanzi all’altare degli inni tratti dai Salmi, sia prima dell’offerta sia nel momento in cui ciò che era stato offerto veniva distribuito al popolo, sostenendo che questo non si doveva fare·. Gli ho risposto sollecitato dai fratelli e ho intitolato il libro che ne è risultato: Contro Ilaro.

Questo libro incomincia così: Coloro che dicono che la menzione dell’Antico Testamento.

XII (XXXIX) – Questioni evangeliche, due libri
12 Trattasi di alcune note esplicative a passi del Vangelo secondo Matteo e ad altri di quello secondo Luca: le une sono raccolte nel primo libro, le altre nel secondo. Titolo di quest’opera è: Questioni evangeliche. Il prologo da me premesso all’opera spiega sufficientemente perché trovano posto in questi miei libri solo le questioni tratte da quei Vangeli e quali esse sono·. Ho anche aggiunto un elenco numerato delle questioni per permettere a chiunque di trovare subito, con l’ausilio dei numeri, ciò che desidera. Nel primo libro, là dove ho detto che il Signore rivelò separatamente a due discepoli la sua passione, sono stato tratto in inganno da un errore del mio testo·: la lezione esatta è dodici, non due. Nel secondo libro volevo chiarire in che senso Giuseppe, la cui sposa è detta la Vergine Maria, avesse avuto due padri ed ho pertanto scritto: Non è esatto quanto si dice, che cioè il fratello avesse sposato la moglie del fratello defunto per assicurargli una discendenza secondo la legge: questa infatti ordinava che il nascituro prendesse il nome del defunto. Ma quanto da me affermato non è vero: la legge stabiliva che la menzione del nome del defunto servisse ad assicurare che il nascituro fosse dichiarato suo figlio, non che ne prendesse il nome·.

Questo libro incomincia così: Quest’opera non è stata scritta così.

XIII (XL) – Annotazioni al libro di Giobbe, un libro
13 Non mi sarebbe facile dire se questo libro intitolato Annotazioni al libro di Giobbe sia opera mia o di coloro che, come hanno potuto o voluto, hanno raccolto quelle annotazioni in un unico testo, trascrivendole dai margini del manoscritto·. Sono di gradevolissima lettura per i pochissimi che sono in grado di comprenderle. È però inevitabile ch’essi si trovino in difficoltà per l’incomprensibilità di molti tratti: capita infatti spesso che gli stessi passi commentati non siano riportati in modo che risulti evidente l’oggetto del commento. Inoltre alla concisione dei pensieri s’accompagna una tale oscurità che il lettore riesce con difficoltà a sopportarla ed è costretto a sorvolare sopra molte parti senza averle comprese. Ho infine trovato il testo di quest’opera in un tale stato di corruzione nei codici da me posseduti che non sono riuscito a correggerlo. Non vorrei che si dicesse che l’ho pubblicato, ma so che dei fratelli lo posseggono e non ho potuto sottrarmi a un loro desiderio.

Questo libro incomincia così: E aveva molti beni sulla terra.

XIV (XLI) – La catechesi degli incolti, un libro
14 C’è un nostro libro su La catechesi degli incolti che reca questo stesso titolo·. In esso ho detto: E l’angelo che assieme agli altri spiriti, suoi schiavi, abbandonò per superbia l’obbedienza a Dio e divenne il diavolo, non nocque a Dio, ma a se stesso. Dio sa infatti ricollocare nell’ordine le anime che lo abbandonano.

Sarebbe più corretto dire: Gli spiriti che lo avevano abbandonato, dal momento che si trattava di angeli.

Questo libro incomincia così: Mi hai chiesto, o fratello Deogratias.

XV (XLII) – La Trinità, quindici libri
15.1 Ho impiegato alcuni anni per comporre i libri su La Trinità, che è Dio. Già però nel tempo in cui non ero ancora giunto alla fine del dodicesimo e avevo trattenuto presso di me quelli già composti troppo a lungo rispetto all’aspettativa di coloro che avrebbero voluto averli, quei libri mi vennero sottratti, pur non essendo ancora corretti come avrebbero potuto e dovuto esserlo al momento in cui avessi deciso di pubblicarli. Quando me ne accorsi, visto che me n’erano rimasti altri esemplari, decisi di non pubblicarli di persona, ma di conservarli, ripromettendomi di chiarire l’accaduto in qualche altro mio scritto. In seguito però alle pressioni dei fratelli, alle quali non seppi resistere, provvidi a correggerli nei limiti che ritenni opportuno, completai l’opera e la pubblicai. Premisi al testo una lettera, indirizzata al venerabile Aurelio, vescovo della Chiesa di Cartagine, e in questa sorta di prologo esposi ciò che m’era accaduto, ciò che avevo avuto in mente di fare e ciò che in realtà avevo fatto per l’affettuosa pressione dei fratelli·.

15.2 Nell’undicesimo libro, trattando del corpo visibile ho detto: Perciò amarlo equivale a una pazzia. L’affermazione vale per quel tipo d’amore secondo il quale si pensa che, godendo dell’oggetto del proprio amore, si possa esser felici. Non è invece follia amare una bellezza sensibile in lode del Creatore e giungere così alla felicità vera godendo dello stesso Creatore·. Ho ugualmente detto nel medesimo libro: Non mi ricordo di un volatile quadrupede, perché non l’ho visto, ma riesco facilmente a costruirne l’immagine aggiungendo a un tipo di volatile che ho visto oltre due altre zampe che pure ho visto. Dicendo questo non ero riuscito a ricordarmi dei volatili quadrupedi dei quali parla la Legge. Essa non annovera fra i piedi le due zampe posteriori che servono alle cavallette per saltare. Definisce inoltre queste ultime monde, distinguendole così da quei consimili volatili immondi che non riescono a saltare con quelle zampe come gli scarabei. Tutti gli animali di questo tipo son definiti nella Legge volatili quadrupedi·.

15.3 Non mi soddisfa la spiegazione da me data nel dodicesimo libro delle parole dell’Apostolo: Ogni peccato compiuto dall’uomo è fuori del suo corpo. Quanto alle parole: Chi commette fornicazione pecca contro il proprio corpo non penso vadano intese nel senso che si macchia di fornicazione colui che compie un’azione per ottenere i piaceri che si presentano attraverso il corpo e pone in questo il fine del suo bene. Tale comportamento comprende un numero ben maggiore di peccati di quello di fornicazione, che vien perpetrato in una unione illecita e del quale soltanto sembra parlare l’Apostolo nel passo citato·.

Quest’opera, ove si escluda la lettera, che solo in un secondo tempo ho collocato all’inizio, incomincia così: Il lettore di queste mie discussioni sulla Trinità.

XVI (XLIII) – L’accordo fra gli Evangelisti, quattro libri
16 Nei medesimi anni nei quali a poco a poco venivo dettando i miei libri su La Trinità ne ho scritti anche altri, sfruttando, con una perenne attività, il tempo lasciato libero dai primi. Di questi fan parte i quattro libri sull’accordo fra gli Evangelisti, rivolti contro coloro che li calunniano come fossero in contrasto fra loro·. Il primo è scritto contro coloro che onorano o fingono di onorare Cristo come un uomo di grande sapienza, ma non credono al Vangelo in quanto scritto non da lui, ma dai suoi discepoli che a torto gli attribuirebbero la divinità per cui è creduto Dio·. In questo libro ho detto che gli Ebrei traggono origine da Abramo ed è perciò anche credibile che il nome Ebrei derivi da un originario Abraei. È però più esatto intendere ch’essi traggano il loro nome da colui che era chiamato Eber· e ch’essi fossero detti originariamente Eberei. Di questo argomento ho trattato piuttosto ampiamente nel libro sedicesimo de La Città di Dio. Nel secondo, trattando dei due padri di Giuseppe, ho detto che dall’uno era stato generato e dall’altro adottato. Avrei dovuto dire: adottato per l’altroDi fatto – ed è più credibile – era stato adottato, secondo la legge per il defunto, in quanto colui che lo aveva generato aveva sposato sua madre, in quanto moglie del fratello defunto. Ho anche detto: Luca risale allo stesso David attraverso Nathan e per mezzo di questo profeta Dio fece espiare a David il suo peccato. Avrei dovuto dire: Per mezzo di un profeta di quel nome, e ciò perché non si ritenesse trattarsi della stessa persona: in effetti si trattava di un altro, nonostante il nome uguale.

Quest’opera incomincia così: Fra tutte le divine autorità.

XVII (XLIV) – Contro la lettera di Parmeniano, tre libri
17 Nei tre libri Contro la lettera di Parmeniano, vescovo dei Donatisti di Cartagine e successore di Donato·, vien dibattuta e condotta a soluzione una grossa questione. Vi si discute se nell’unità e nella comunione degli stessi sacramenti i cattivi possano contaminare i buoni e come accada che non li contaminino. Trattasi di una questione che coinvolge la Chiesa diffusa in tutto il mondo dalla quale essi, ricorrendo a calunnie, hanno defezionato con lo scisma.

Nel terzo libro, discutendo il senso delle parole dell’Apostolo: Togliete il male da voi stessi, avevo inteso che significassero: Ciascuno tolga il male da se stesso. Ch’esse non vadano intese così, ma indichino piuttosto l’esigenza che l’uomo malvagio sia allontanato dalla società dei buoni, come avviene grazie alla disciplina della Chiesa, risulta abbondantemente dal testo greco. In esso non c’è ambiguità in quanto da ciò ch’è scritto si può intendere solo il malvagio e non il male·. Ciò non toglie che io abbia risposto a Parmeniano anche in base a questa seconda interpretazione.

Quest’opera incomincia così: In altra occasione molte obiezioni contro i Donatisti.

XVIII (XLV) – Il battesimo, sette libri
18 Contro i Donatisti, che cercavano di difendersi rifacendosi all’autorità del beatissimo vescovo e martire Cipriano, ho scritto sette libri su Il battesimo. In essi ho dimostrato che, per confutare i Donatisti e chiudere loro definitivamente la bocca, perché la smettano di difendere il loro scisma, nulla è più efficace degli scritti e del comportamento di Cipriano·. Dovunque in quei libri ho parlato di una Chiesa senza macchia e senza ruga non si deve intendere che già lo sia, ma che si prepara ad esserlo al momento in cui si rivelerà anche gloriosa. Per ora, a causa di certa ignoranza e fragilità dei suoi membri, ha ogni giorno motivo di dire a nome della totalità dei fedeli: Rimetti a noi i nostri debiti·. Nel quarto libro, a sostegno dell’affermazione che la sofferenza può sostituire il battesimo, ho addotto il noto episodio del ladrone. Trattasi però di esempio poco adatto in quanto non si sa se il ladrone non avesse effettivamente ricevuto il battesimo·. Nel settimo libro, a proposito dei vasi d’oro e d’argento posti in una grande casa, ho seguito l’interpretazione di Cipriano, il quale considerava questi come beni, e quelli di legno e d’argilla come mali, riferendo ai primi le parole: Alcuni per usi onorevoli e ai secondi le parole: Altri per usi riprovevoli. Mi convince di più però l’interpretazione che in seguito ho trovato o rilevato in Ticonio. Secondo tale interpretazione in entrambe le categorie di vasi ve ne sono di posti in onore, che non sono solo quelli d’oro e d’argento, e allo stesso modo in entrambe le categorie ve ne sono di abietti, che non sono solo quelli di legno e d’argilla.

Quest’opera incomincia così: In quei libri che contro la lettera di Parmeniano.

XIX (XLVI) – Contro le osservazioni presentate da Centurio, del partito dei Donatisti, un libro·
19 Mentre ci davamo molto da fare con continue discussioni Contro il partito dei Donatisti, un laico, che allora faceva parte del loro gruppo, presentò in chiesa delle osservazioni contro di noi, in forma orale o scritta, condensando il tutto in poche proposizioni che suffragherebbero la loro causa. A queste ho risposto molto brevemente·. Il titolo di questo libretto è: Contro le osservazioni presentate da Centurio, del partito dei Donatisti.

E incomincia così: Dici per quanto è scritto in Salomone: "·Astieniti dall’acqua altrui·".

XX (XLVII) – Risposte ai quesiti di Gennaro, due libri
20 I due libri intitolati Risposte ai quesiti di Gennaro contengono molte discussioni sulla pratica dei sacramenti·, considerandone sia gli aspetti che la Chiesa osserva universalmente, sia su quelli che osserva con modalità particolari, vale a dire non allo stesso modo in tutti i luoghi·. Non si è potuto tuttavia parlare di tutti, ma si è data un’adeguata risposta a tutte le domande. Il primo di questi libri è una lettera, recando in testa il nome del mittente e del destinatario. L’opera è tuttavia ugualmente annoverata fra i miei libri, poiché il successivo, che non reca il mio nome e quello del destinatario, è molto più lungo e tratta un numero maggiore di argomenti·. Nel primo libro, a proposito della manna, ho detto che provocava al palato il gusto che ciascuno desiderava, ma non so su quale base scritturistica il fatto possa trovare conferma, ove si escluda il Libro della Sapienza, cui gli Ebrei non attribuiscono autorità canonica·. Ciò poté comunque verificarsi per coloro che erano rimasti fedeli a Dio, ma non per quelli che mormoravano contro di lui: non avrebbero infatti desiderato altri cibi se la manna avesse assunto il sapore che desideravano·.

Quest’opera incomincia così: Ai tuoi quesiti.

XXI (XLVIII) – Il lavoro dei monaci, un libro
21 Fu la forza delle circostanze che mi costrinse a scrivere un libro su Il lavoro dei monaci. In Cartagine incominciavano a costituirsi dei monasteri·, ma mentre alcuni monaci si mantenevano con le proprie mani in obbedienza all’Apostolo·, altri volevano vivere con le offerte delle persone religiose: non facendo nulla per avere o supplire al necessario, ritenevano e si vantavano di adempiere meglio il precetto evangelico, espresso dalle parole del Signore: Guardate i volatili del cielo e i gigli del campo. In tale situazione anche fra i laici non totalmente impegnati sulla via della perfezione, ma dal temperamento focoso, sorsero violenti contrasti che turbavano la Chiesa, sostenendo gli uni una tesi e gli altri quella contraria. A ciò s’aggiungeva che alcuni di coloro che sostenevano l’astensione dal lavoro avevano la chioma lunga·. S’accrescevano perciò i contrasti fra accusatori da una parte e difensori dall’altra, in proporzione con la passionalità delle parti in lotta. In seguito a questi fatti il vecchio Aurelio, vescovo della chiesa cittadina, mi ordinò di scrivere qualcosa in proposito, ed io l’ho fatto.

Questo libro incomincia così: Al tuo ordine, santo fratello Aurelio.

XXII (XLIX) – La dignità del matrimonio, un libro
22.1 L’eresia di Gioviniano, che equiparava il merito acquisito dalle sante vergini alla castità matrimoniale, si affermò a tal punto nella città di Roma che si diceva avesse indotto alle nozze anche alcune religiose, sulla cui pudicizia non era stato avanzato in precedenza alcun dubbio. Esercitava su di loro tale pressione argomentando soprattutto in questo modo: "·Sei dunque migliore di Sara, migliore di Susanna o di Anna?·". E ricordava tutte le altre donne maggiormente portate ad esempio dalla Scrittura alle quali esse non avrebbero potuto pretendere di essere superiori od anche eguali. In questo modo, ricordando e paragonando i padri coniugati, distruggeva anche la sacralità del celibato di uomini autenticamente santi. La Santa Chiesa del luogo fece opposizione a questa mostruosità con grande forza e fedeltà·. Queste sue argomentazioni, che nessuno osava proporre pubblicamente, sopravvissero tuttavia in certe discussioni appena sussurrate. Ho dovuto allora, con l’aiuto che il Signore mi concedeva, porre rimedio a tali veleni e alla loro occulta diffusione. E a maggior ragione ho dovuto farlo in quanto si pretendeva che a Gioviniano fosse possibile opporsi non lodando, ma solo condannando il matrimonio·. Per tali ragioni ho scritto un libro intitolato: La dignità del matrimonio. In esso però, visto che il tema dell’opera sembra riguardare l’unione di corpi mortali, non ho affrontato, rimandandolo ad altra occasione, il problema relativo alla propagazione della prole prima che gli uomini meritassero la morte col peccato. Trattasi di una questione importante, ma penso di averne sufficientemente trattato in libri successivi·.

22.2 In un passo ho detto: Ciò che è il cibo per la conservazione del corpo, lo è l’unione sessuale per la conservazione del genere umano. In entrambi i casi interviene un piacere carnale, ma esso, ridotto entro i suoi limiti e indirizzato, grazie al freno della temperanza, verso il suo uso naturale, non può essere passione. S’è detto questo perché non è passione il buono e corretto uso della passione. Come è male un cattivo uso dei beni, così è bene un buon uso dei mali. Di questo argomento ho trattato più approfonditamente altrove, soprattutto in polemica con i nuovi eretici seguaci di Pelagio. Non approvo pienamente quanto ho detto di Abramo, che cioè il padre Abramo, che pure aveva una moglie, era pronto per obbedienza a restare senza il suo unico figlio dopo averlo ucciso di persona. C’è piuttosto da ritenere ch’egli credesse che suo figlio, se ucciso, gli sarebbe stato subito restituito tramite la risurrezione, come si legge nella Lettera agli Ebrei. Questo libro incomincia così: Poiché ogni uomo è parte del genere umano.

XXIII (L) – La santa verginità, un libro
23 Dopo che avevo scritto su La dignità del matrimonio ci si aspettava che scrivessi su La santa verginità. Non ho frapposto indugi e, per quanto ho potuto nei limiti di un unico libro, ho mostrato quanto sia grande questo dono di Dio e con quanta umiltà vada custodito·.

Questo libro incomincia così: Abbiamo appena pubblicato un libro sulla dignità del matrimonio.

XXIV (LI) – L’interpretazione letterale della Genesi, dodici libri
24.1 Nel medesimo tempo ho scritto dodici libri Sulla Genesi, dall’inizio alla cacciata di Adamo dal Paradiso, quando fu collocata la spada di fuoco a difesa del passaggio verso l’albero della vita. Quando, a questo punto, avevo già condotto a termine undici libri, ne ho aggiunto un dodicesimo, nel quale si discute assai approfonditamente del paradiso. Titolo di questi libri è: L’interpretazione letterale della Genesi, dove per letterale s’intende un’interpretazione non allegorica, ma fondata sui fatti visti nella loro realtà storica. In quest’opera i problemi affrontati sono in numero maggiore delle soluzioni proposte e queste ultime solo in numero piuttosto limitato possono dirsi definitive, mentre tutte le altre questioni sono presentate in modo tale da aver bisogno di ulteriori approfondimenti. Questi libri li ho iniziati dopo e terminati prima del mio scritto su La Trinità. Ne parlo perciò ora seguendo l’ordine in cui li ho iniziati·.

24.2 Nel quinto libro e dovunque in quest’opera ho parlato della stirpe cui era stata fatta la promessa e che fu deposta per tramite degli angeli nelle mani di un Mediatore il testo citato non corrisponde a quello dell’Apostolo, come ho potuto constatare in seguito consultando i codici migliori, soprattutto greci. In essi è detto della Legge ciò che molti codici latini, per un errore del traduttore, presentano come detto della stirpe·. Quanto ho detto nel sesto libro, che cioè Adamo aveva perso col peccato l’immagine di Dio in base alla quale era stato creato, non va inteso nel senso che di quell’immagine non fosse rimasto nulla, bensì che s’era talmente deformata da richiedere una restaurazione·. Nel dodicesimo penso che avrei dovuto insegnare che gli inferi sono sotterra, piuttosto che chiarire perché si crede o si dice che si trovino colà·, dando così da pensare che le cose non stiano propriamente così

Quest’opera incomincia così: La divina Scrittura, considerata nel suo insieme, è divisa in due parti.

XXV (LII) – Contro la lettera di Petiliano, tre libri
25 Prima di terminare i libri su La Trinitàe quelli su L’interpretazione letterale della Genesi mi si impose l’urgenza di rispondere alla lettera che il donatista Petiliano aveva scritto contro la Cattolica, né a tale incombenza potei frapporre indugio alcuno. Ho scritto allora tre volumi contro questo bersaglio. Col primo ho risposto, con quanta maggiore rapidità e verità ho potuto, alla prima parte della lettera ch’egli aveva indirizzato ai suoi: era infatti caduta fra le mie mani solo questa esigua prima parte e non la lettera nella sua integrità. Anche la mia lettera è indirizzata ai nostri, ma è annoverata fra i miei libri in quanto seguono altri due libri sul medesimo tema. In seguito ho potuto mettere le mani sull’intera lettera e ho fornito la mia risposta con lo stesso impegno da me prodigato nei riguardi del manicheo Fausto. Dapprima ho riportato particolareggiatamente sotto il suo nome le sue testuali parole e ho quindi aggiunto, sotto il mio, le mie risposte ad ogni sua affermazione. Ciò che avevo scritto prima del reperimento dell’intera lettera giunse però nelle mani di Petiliano ed egli, adirato, tentò di rispondermi, dicendo contro di me tutto quello che gli passava per la testa, ma mostrandosi del tutto sprovveduto per quanto atteneva al merito della questione. E benché questo potesse essere facilmente avvertito confrontando i nostri scritti, mi sono sforzato di dimostrarlo con le mie risposte, pensando ai meno provveduti. Così alla mia opera s’è aggiunto un terzo libro·.

Quest’opera nel primo libro incomincia così: Sai che noi abbiamo spesso voluto; nel secondo così: Alla prima parte della lettera di Petiliano; nel terzo così: Ho letto, Petiliano, la tua lettera.

XXVI (LIII) – Contro il grammatico Cresconio del partito di Donato, quattro libri
26 Anche un grammatico donatista di nome Cresconio aveva trovato la lettera con la quale avevo attaccato la prima parte della lettera di Petiliano, la sola che m’era capitata allora fra le mani. Ritenne di dovermi rispondere e lo fece con uno scritto. A questa sua opera risposi con quattro libri, concentrando dapprima in tre soltanto tutto quanto la risposta richiedeva. Mi accorsi però che si poteva rispondere a tutto ciò che aveva scritto, prendendo unicamente lo spunto dalla questione dei Massimianisti, che i Donatisti avevano condannato come scismatici, ma ne avevano poi reinseriti alcuni nella loro dignità senza ripetere il battesimo ricevuto fuori della comunione con loro·. Aggiunsi allora un quarto libro nel quale confermavo tutto questo col maggiore impegno e con la maggiore chiarezza possibile. Al tempo della stesura di questi quattro libri l’imperatore Onorio aveva già promulgato le sue leggi contro i Donatisti·. Quest’opera incomincia così: Non sapendo, Cresconio, quando i miei libri sarebbero giunti a te.

XXVII (LIV) – Un libro di prove e di testimonianze contro i Donatisti
27 In seguito mi premurai di far giungere ai Donatisti la necessaria documentazione contro il loro errore ed a favore della verità Cattolica traendola dagli Atti ecclesiastici, da quelli pubblici e dalle Scritture canoniche. Dapprima mi limitai a farne loro per iscritto esplicita promessa, in modo che fossero loro stessi a farne possibilmente richiesta. Poiché lo scritto contenente la promessa giunse nelle mani di alcuni di loro, ci fu un tale che, rimanendo anonimo, polemizzò contro quello scritto confessando di essere Donatista, quasi che fosse quello il suo nome. Per rispondergli scrissi un altro libro. Unii quindi la documentazione che avevo promesso al breve scritto, nel quale quella promessa era stata formulata, e ne feci un solo opuscolo che resi di pubblico dominio, facendolo esporre nelle pareti della basilica che era stata dei Donatisti. Il titolo è: Prove e testimonianze contro i Donatisti·. In questo libro, parlando dell’assoluzione di Felice di Apthungi, che aveva consacrato Ceciliano, sono caduto in un errore di cronologia, come ho potuto successivamente constatare attraverso il rigoroso controllo dei consoli: avevo posto l’assoluzione di Felice dopo quella di Ceciliano, mentre in realtà avvenne prima·. Ho anche ricordato le parole dell’apostolo Giuda là dove dice: Costoro son coloro che si separano, da animali quali sono, non possedendo lo spirito. Ho poi aggiunto: Di essi parla anche l’apostolo Paolo dicendo: "·Ma l’uomo animale non percepisce le cose che appartengono allo spirito di Dio·". Orbene, costoro non sono paragonabili a quelli che lo scisma separa del tutto dalla Chiesa.

Dei primi l’Apostolo dice che sono i piccoli in Cristo ch’egli nutre col latte in quanto non sono ancora in grado di assumere il cibo; gli altri non sono da annoverare fra i figli piccoli·, ma fra i morti e i perduti, e se qualcuno di loro si corregge dei suoi errori e vien recuperato alla Chiesa, di lui si potrà dire a ragione: Era morto ed è tornato a vivere, era perduto ed è stato ritrovato·. Questo libro incomincia così: Voi che temete di dare il vostro consenso alla Chiesa cattolica.

XXVIII (LV) – Contro un Donatista sconosciuto, un libro
28 Volli che il titolo del secondo libro di cui ho parlato fosse: Contro un Donatista sconosciuto·. Anche in questo libro non è esatta la datazione dell’assoluzione di colui che aveva ordinato Ceciliano·. Inoltre nella frase: Alla massa delle erbacce, immagine sotto la quale dobbiamo intendere tutte le eresie, manca una indispensabile congiunzione. Avrei dovuto dire: Dobbiamo intendere anche tutte le eresie oppure: Dobbiamo altresì intendere tutte le eresie. Mi ero espresso in quel modo volendo intendere che al di fuori della Chiesa ci sono solo erbacce: escludevo invece che ci fossero erbacce anche nella Chiesa, senza considerare che la Chiesa è il regno di Cristo dal quale gli angeli elimineranno tutti gli scandali al tempo della mietitura·. In questo senso si esprime anche il martire Cipriano là dove dice: Anche se sembra che nella Chiesa ci siano erbacce, non devono restarne menomate la nostra fede o la nostra carità, e vedendo che ci sono erbacce nella Chiesa non dobbiamo essere indotti ad allontanarcene. Abbiamo sostenuto questa interpretazione anche in altra sede e soprattutto nella conferenza tenuta in presenza degli stessi Donatisti.

Questo libro incomincia così: Avevo promesso di compendiare in un breve scritto le prove di quanto era necessario porre in luce.

XXIX (LVI) – Avvertimento ai Donatisti a proposito dei Massimianisti, un libro
29 Avevo constatato che per molti la fatica della lettura costituiva un impedimento a rendersi conto dell’irragionevolezza e della mancanza di aderenza alla verità del partito di Donato. Ho composto allora un brevissimo scritto e ho ritenuto di dovere in esso limitare il mio ragguaglio ai soli Massimianisti, nella convinzione che la facilità di trarne più copie ne assicurasse una maggiore diffusione e che la brevità ne rendesse più agevole la memorizzazione·. L’ho intitolato: Avvertimento ai Donatisti a proposito dei Massimianisti.

Quest’opera incomincia così: Chiunque siate che vi lasciate influenzare dalle calunnie e dalle accuse degli uomini.

XXX (LVII) – La divinazione dei demoni, un libro
10 Nel medesimo tempo, in seguito a una discussione, mi son visto costretto a scrivere un opuscolo Sulla divinazione dei demoni, che reca questo stesso titolo·. In esso, da qualche parte, ho detto: I demoni talora vengono a conoscenza con grande facilità delle decisioni degli uomini, e non solo di quelle manifestate verbalmente, ma anche di quelle concepite solo col pensiero, quando trovano espressione, da parte dell’anima, in segni fisici esterni. Sono stato però troppo avventato per dare per certo un fatto così misterioso. S’è accertato talora sperimentalmente che i pensieri possono venire a conoscenza dei demoni. Se esistano però dei segni fisici esterni del pensiero, che i demoni riescono ad avvertire e a noi restano sconosciuti, o se essi conoscano il contenuto dei pensieri grazie ad un’altra facoltà attinente al mondo dello spirito è qualcosa che gli uomini possono appurare solo con grande difficoltà, e sempre che non siano destinati ad ignorarlo del tutto·.

Questo libro incomincia così: Un giorno compreso nei giorni santi delle ottave.

XXXI (LVIII) – Soluzione di sei questioni contro i pagani
31 In questo frattempo mi vennero inviate da Cartagine sei questioni da parte di un amico che desideravo divenisse cristiano·. Suo intendimento era che la loro soluzione fosse in chiave antipagana, e chiedeva questo in considerazione soprattutto del fatto che, alcune di esse, a suo dire, sarebbero state avanzate dal filosofo Porfirio·. Per me non si tratta però di quel Porfirio, di origine siciliana, la cui fama è diffusa dovunque·. Ho raccolto la discussione di queste questioni in un solo libro di modesta estensione e che si intitola: Soluzione di sei questioni contro i pagani.

La prima questione riguarda la risurrezione·;

la seconda il tempo in cui è sorta la religione cristiana;

la terza la distinzione dei sacrifici;

la quarta le parole della Scrittura: "·Sarete valutati con la stessa misura con la quale avrete valutato·";

la quinta il figlio di Dio secondo Salomone;

la sesta il profeta Giona.

Nella trattazione della seconda ho detto: La salvezza offerta da questa religione, che per essere l’unica vera promette veracemente la vera salvezza, non è stata mai negata ad alcuno che ne fosse degno e se a qualcuno è stata negata è perché non ne era degno. Non ho però inteso dire che ognuno· ne sia stato degno per i suoi meriti. Il senso che si deve dare a degno è quello che si evince dalle parole dell’Apostolo dove dice: Non alla luce delle opere, ma della chiamata è stato detto: Il maggiore servirà il minore. E questa chiamata – asserisce l’Apostolo – dipende da una decisione di Dio. Dice perciò: Non secondo le nostre opere, ma secondo la sua decisione e la sua grazia. E ancora: Sappiamo che per coloro che amano Dio tutto coopera al bene, per coloro che sono stati chiamati in seguito a una sua decisione. E di questa chiamata dice: Che vi ritenga degni della sua santa chiamata·.

Questo libro, dopo la lettera che è stata solo successivamente aggiunta all’inizio, incomincia così: Alcuni trovano difficoltà e cercano.

XXXII (LIX) – Commento alla Lettera di Giacomo alle dodici tribù·
32 Tra i miei opuscoli ho trovato anche un Commento alla Lettera di Giacomo. Nel revisionarla mi sono accorto che si trattava piuttosto di note di commento ad alcuni passi raccolte in un libro dall’opera diligente dei fratelli, che non avevano voluto lasciarle nei margini del codice. Le note sono di qualche utilità: solo che della lettera che leggevamo quando avevamo dettato queste note non avevamo una buona traduzione dal greco·.

Questo libro incomincia così: Alle dodici tribù che sono nella dispersione, salute.

XXXIII (LX) – Il castigo e il perdono dei peccati e il battesimo dei bambini, a Marcellino, tre libri
33 Mi accadde anche di essere costretto per necessità a scrivere in polemica con la nuova eresia di Pelagio contro la quale, in precedenza, ci eravamo all’occorrenza mossi non con opere scritte, ma con sermoni e conferenze secondo la possibilità e il dovere di ognuno di noi. Mi avevano inviato da Cartagine le questioni ch’essi ponevano perché le confutassi con le mie risposte. Dapprima scrissi tre libri intitolati: Il castigo e il perdono dovuto ai peccati e la loro remissione·. In essi si discute soprattutto del battesimo da impartire ai bambini a causa del peccato originale e della grazia di Dio: è in virtù di questa grazia che siamo giustificati, vale a dire che diventiamo giusti, anche se in questa vita nessuno osserva i comandamenti della giustizia senza che gli si presenti la necessità di dire, pregando per i suoi peccati: Rimmettici i nostri debiti·. In opposizione a tutto questo essi avevano fondato una nuova eresia. In questi libri avevo ancora ritenuto di dover passare sotto silenzio i loro nomi, nella speranza che potessero correggersi. Anche nel terzo libro, poi, – che in realtà è una lettera, ma va computata fra i libri avendo io deciso di unirla agli altri due per farne un’unica opera – ho fatto il nome dello stesso Pelagio, e l’ho fatto non senza qualche positivo apprezzamento, visto che molti mostravano di apprezzarne la condotta di vita. Mi ero inoltre limitato a criticare nei suoi scritti le idee esposte non a titolo personale, ma come espressione del pensiero di altri, anche se in seguito, divenuto eretico, avrebbe sostenuto quelle stesse idee con caparbia animosità. Eppure il suo discepolo Celestio, per asserzioni dello stesso tipo, s’era meritato la scomunica· in un processo intentatogli in Cartagine da un tribunale episcopale di cui personalmente non facevo parte. In un passo del secondo libro, pur riservandomi di approfondire meglio l’argomento in altra occasione, ho detto: Alla fine del mondo ad alcuni sarà concesso il privilegio di non fare l’esperienza della morte grazie al repentino mutamento della loro condizione. O infatti non morranno oppure, passando con una rapidissima trasformazione, come in un batter di ciglio, da questa vita alla morte e dalla morte alla vita eterna, non sperimenteranno la morte.

Quest’opera incomincia così: Benché mi trovi immerso nel tumulto di grandi preoccupazioni.

XXXIV (LXI) – L’unicità del battesimo contro Petiliano. A Costantino, un libro
34 In quel medesimo periodo un mio amico ricevette da un non meglio identificato prete donatista un libro su L’unicità del battesimo il cui autore, a suo dire, sarebbe stato Petiliano, vescovo di Costantinopoli per conto della loro setta. Lo portò a me e mi espresse un pressante invito a confutarlo, il che io feci. Volli altresì che il libro contenente la mia confutazione recasse lo stesso titolo: L’unicità del battesimo. Nel libro ho detto: L’imperatore Costantino non aveva rifiutato la facoltà d’accusa ai Donatisti, che avevano incriminato Felice di Aphthugni, colui che aveva ordinato Ceciliano, pur avendo accertato ch’essi erano ricorsi alle false calunnie contro Ceciliano. Mi sono però successivamente accorto, dopo aver esaminato la cosa, che non era stato questo l’ordine dei fatti. In realtà il menzionato imperatore aveva dapprima fatto ascoltare la causa di Felice dal proconsole, che lo aveva mandato assolto; in seguito aveva di persona ascoltato Ceciliano con i suoi accusatori e lo aveva trovato innocente, e fu in questa occasione che s’accorse ch’essi ricorrevano alle calunnie nell’accusarlo·. Quest’ordine cronologico, ricavato dall’indicazione dei consoli, mette ancor più in evidenza in quella causa le calunnie dei Donatisti e li distrugge inesorabilmente, come ho dimostrato altrove.

Questo libro incomincia così: Rispondere a gente che la pensa in modo diverso.

XXXV (LXII) – I Massimianisti contro i Donatisti, un libro·
35 Ho composto, fra l’altro, anche un libro contro i Donatisti non brevissimo, come avevo fatto in precedenza, ma ampio e scritto con cura molto maggiore. In esso risulta con molta evidenza come la causa dei Massimianisti, che si sono distaccati dal partito stesso di Donato, sia sufficiente da sola a travolgere i loro empio e tracotante errore contro la Chiesa cattolica·.

Questo libro incomincia così: Molto abbiamo già detto e molto abbiamo già scritto.

XXXVI (LXIII) – La grazia del Nuovo Testamento ad Onorato, un libro
16 Nel medesimo periodo nel quale eravamo fortemente impegnati contro i Donatisti ed avevamo incominciato ad esserlo contro i Pelagiani un amico mi inviò da Cartagine cinque questioni e mi chiese di fornirne per iscritto la soluzione·. Le cinque questioni sono le seguenti:

Che senso ha l’esclamazione del Signore: "·Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?·";

Che significano le parole dell’Apostolo: "·Che voi, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i Santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità·";

chi sono le cinque vergini stolte e le cinque vergini sagge;

che sono le tenebre esterne;

come va intesa l’espressione: "·Il Verbo si è fatto carne·.

Per parte mia, vedendo che l’eresia di cui s’è detto costituiva un nuovo movimento contrario alla grazia di Dio, mi posi una sesta questione circa la grazia del Nuovo Testamento. Nella trattazione di quest’ultima intercalai l’illustrazione del Salmo ventunesimo, all’inizio del quale compare l’invocazione del Signore sulla croce, che il mio amico mi aveva chiesto di spiegargli per prima. Risolsi comunque tutte e cinque le questioni, ma non nell’ordine nel quale mi erano state proposte, bensì in quello nel quale potevano di volta in volta presentarsi, in coerenza con lo sviluppo del mio discorso sulla grazia del Nuovo Testamento. Questo libro incomincia così: Mi hai proposto di trattare cinque questioni.

XXXVII ( LXIV) – Lo spirito e la lettera a Marcellino, un libro
37 Mi capitò di ricevere una missiva da parte di colui al quale avevo rivolto i tre libri intitolati: Il castigo dovuto ai peccati e la loro remissione, nei quali si discute approfonditamente anche del battesimo dei bambini. In essa mi diceva di essere rimasto impressionato dalla mia affermazione secondo la quale un uomo può essere senza peccato ove, con l’aiuto di Dio, non venga meno la sua volontà, anche se si deve ammettere che in questa vita un uomo che abbia raggiunto un grado di così perfetta giustizia né è esistito in passato, né esiste al presente né esisterà in futuro. Mi chiedeva come potessi affermare la possibilità di un evento del quale non si dà esempio alcuno! Per rispondere a questa sua istanza ho scritto un libro intitolato: Lo Spirito e la lettera, che disserta sulle parole dell’Apostolo: La lettera uccide, lo Spirito dà vita. In questo libro con l’aiuto di Dio ho discusso con forza contro i nemici della grazia di Dio, che giustifica l’empio.

Trattando delle osservanze dei Giudei, che si astengono da determinati cibi secondo l’antica legge, ho detto: le cerimonie di certi cibi, ricorrendo a un termine che non è nell’uso delle Sacre Scritture. Avevo però ritenuto congruente questo vocabolo poiché ricordavo che cerimonia sta per carimonia e deriva da carere, in quanto coloro che l’osservano mancano dei cibi dai quali si astengono·. Se poi esiste un’altra derivazione di questo termine in contrasto con la vera religione non è ad essa che intendevo riferirmi, ma a quella di cui s’è detto.

Questo libro incomincia così: In seguito alla lettura degli opuscoli che avevo elaborato per te, carissimo figlio Marcellino.

XXXVIII (LXV) – La fede e le opere, un libro
38 Nel frattempo alcuni fratelli laici, ma impegnati nello studio delle Sacre Scritture, mi avevano inviato degli scritti. In essi si distingueva fra fede cristiana e opere buone e si sosteneva che senza la fede non è possibile giungere alla vita eterna, mentre non sono ugualmente indispensabili le opere buone. Risposi loro con un libro intitolato: La fede e le opere·. In esso ho discusso non solo il comportamento che debbono tenere coloro che sono rigenerati dalla grazia di Cristo, ma anche le condizioni per essere ammessi al bagno della rigenerazione·.

Quest’opera incomincia così: Alcuni pensano.

XXXIX (LXVI) – Sommario della conferenza coi Donatisti, tre libri
39 Dopo la nostra conferenza coi Donatisti· feci una breve ricognizione di quanto s’era fatto e raccolsi il tutto in uno scritto, distribuendo la materia in tre parti corrispondenti ai tre giorni di confronto. A mio parere l’opera non manca di utilità in quanto permette a chiunque o di informarsi senza fatica sullo svolgimento del confronto o di leggere negli Atti completi al punto esatto ciò che lo interessa, ricorrendo ai numeri relativi ai singoli momenti di cuiho corredato l’opera: opere come quelle, infatti, affaticano il lettore per l’eccessiva lunghezza·. Titolo dell’opera è: Sommario della conferenza.

Quest’opera incomincia così: Poiché vescovi cattolici e del partito di Donato.

XL (LXVII) – Dopo la conferenza contro i Donatisti, un libro
40 Contro i Donatisti·, e precisamente dopo il confronto avuto con i loro vescovi, ho scritto anche un libro di ampio respiro e, per quanto mi sembra, piuttosto approfondito, col preciso scopo di evitare che la loro opera di adescamento continuasse ancora. In esso, in aggiunta a quanto vi si dice per una breve informazione sui lavori della conferenza coi Donatisti, c’è la mia risposta ad alcune loro vane recriminazioni, che avevano finito per giungere alle mie orecchie e ch’essi, benché sconfitti, andavano esternando con sicumera come e dove potevano. Ho trattato molto più brevemente di questo medesimo tema in una lettera di nuovo rivolta a loro, ma poiché il suo invio fu deciso da tutti i presenti al concilio di Numidia, essa non è compresa nel mio epistolario·. L’inizio della lettera è il seguente: L’anziano Silvano, Valentino, Innocenzo, Massimino, Ottato, Agostino, Donato e tutti gli altri vescovi dal concilio di Zerta ai Donatisti.

Questo libro incomincia così: Perché voi Donatisti siete ancora adescati?

XLI (LXVIII) – La visione di Dio, un libro
41 Ho scritto un libro su La visione di Dio. In esso rimando ad altra occasione di compiere un’indagine più approfondita sul corpo spirituale, che si formerà al momento della risurrezione dei Santi, di chiedermi cioè se e in che modo Dio, che è spirito, possa essere visto anche da un corpo siffatto·. Di questa questione, per altro assai complessa, penso di aver fornito una sufficiente soluzione nell’ultimo, vale a dire nel ventiduesimo libro de La città di Dio. Ho anche ritrovato in un codice, che contiene questo libro, un promemoria· su questo argomento da me espressamente composto per Fortunaziano, vescovo di Sicca. Nell’indice delle mie opere, però, esso non è registrato né fra i libri né fra le lettere.

Questo libro incomincia così: Memore del debito.

Quanto al promemoria il suo inizio è il seguente: Come ti ho chiesto di presenza anche ora ti esorto.

XLII (LXIX) – La natura e la grazia, un libro
42 Era giunto anche allora fra le mie mani un libro di Pelagio , nel quale con ogni possibile argomento difende la natura umana contro la grazia divina che giustifica l’empio e ci fa Cristiani. Questo libro·, nel quale gli ho risposto, difendendo la grazia non contro la natura ma in quanto è la grazia a liberare e a guidare la natura stessa, l’ho intitolato: La natura e la grazia. In esso mi è occorso di difendere alcune espressioni che Pelagio attribuisce a Sisto, vescovo di Roma e martire, come se appartenessero veramente a lui. Così allora io credevo. In seguito ho letto che ne era autore il filosofo Sestio, non il cristiano Sisto·.

Questo libro incomincia così: Il libro che avete inviato.

XLIII (LXX) – La Città di Dio, ventidue libri
43.1 Nel frattempo Roma era stata distrutta dalla violenta e disastrosa irruzione dei Goti, guidati dal re Alarico. I cultori di molti e falsi dèi che siam soliti chiamare pagani, nel tentativo di imputare alla religione cristiana la distruzione della città, incominciarono con maggiore asprezza ed animosità del solito a bestemmiare il vero Dio. Ardendo di zelo per la casa di Dio decisi di scrivere dei libri su la città di Dio, per controbattere i loro errori blasfemi. L’opera mi ha tenuto occupato per alcuni anni in quanto continuavano a frapporsi molte altre indilazionabili incombenze al cui disbrigo ero tenuto a dare la precedenza·. Questa estesa opera su la Città di Dio finì col comprendere, una volta terminata, ben ventidue libri. I primi cinque libri confutano coloro secondo i quali l’umana prosperità esigerebbe come condizione necessaria il culto dei molti dèi venerati dai pagani, mentre sarebbe la proibizione di tale culto a provocare l’insorgere e il moltiplicarsi di tanti mali. I successivi cinque libri sono rivolti contro coloro secondo i quali nella vita dei mortali questi mali non sono mai mancati in passato e non mancheranno mai in futuro e, ora grandi ora piccoli, variano a seconda del tempo, del luogo e delle persone. Ritengono però che il culto di molti dèi, con i sacrifici che comporta, sia utile ai fini della vita che verrà dopo la morte. I primi dieci libri, dunque, contengono la confutazione di queste due inconsistenti dottrine contrarie alla religione cristiana.

43.2 Per evitare però l’accusa di criticare le teorie altrui senza esporre le nostre, abbiamo deputato a questo la seconda parte di quest’opera, che comprende dodici libri, benché anche nei precedenti ci sia capitato di esporre le nostre idee e di confutare nei dodici successivi quelle degli avversari. Di questi dodici libri i primi quattro trattano la nascita delle due città, quella di Dio e quella di questo mondo, i quattro successivi della loro evoluzione e del loro sviluppo, gli altri quattro, che sono anche gli ultimi, dei dovuti fini di ciascuna di esse. Tutti i ventidue libri, pertanto, pur trattando di entrambe le città, hanno mutuato il titolo dalla migliore, la Città di Dio. Nel decimo libro non avrebbe dovuto essere considerato come un fatto miracoloso che nel sacrificio di Abramo una fiamma venuta dal cielo fosse circolata fra le vittime divise: si trattava in realtà di una visione dello stesso Abramo·. Nel libro diciassettesimo si dice che Samuele non era uno dei figli di Aronne, ma si sarebbe piuttosto dovuto dire che non era figlio di un sacerdote. In realtà era più conforme alla consuetudine giuridica che i figli di sacerdoti subentrassero ai sacerdoti defunti. E fra i figli di Aronne si trova il padre di Samuele; non era però un sacerdote né era annoverato fra i figli di Aronne nel senso che fosse stato Aronne stesso a generarlo, bensì nello stesso senso in cui tutti i membri di quel popolo son detti figli di Israele·. Quest’opera incomincia così: La gloriosissima città di Dio.

XLIV (LXXI) – Al prete Orosio contro i Priscillianisti, un libro
44 Nel frattempo· risposi nel modo più breve e chiaro possibile alle richieste di chiarimento rivoltemi da un prete spagnolo di nome Orosio· a proposito dei Priscillianisti e di alcune opinioni di Origene non approvate dalla fede Cattolica·. Titolo dell’opuscolo è il seguente: Ad Orosio contro i Priscillianisti e gli Origenisti. In esso alla mia risposta è premessa la richiesta di Orosio.

Questo libro incomincia così: Rispondere alla tua richiesta, amatissimo figlio Orosio.

XLV (LXXII) – Al prete Girolamo due libri: il primo sull’origine dell’anima e il secondo su un’opinione di Giacomo
45 Ho scritto anche due libri· per il prete Girolamo residente a Betlemme·, il primo Sull’origine dell’anima umana ed il secondo Sulle parole dell’apostolo Giacomo là dove dice: Chiunque osserva tutta la legge, ma la viola in un punto, diviene reo di tutto. Contestualmente ho chiesto su entrambi i punti il suo parere. Nel primo però non ho dato una mia soluzione del problema che m’ero posto; nel secondo non ho omesso di dire come, a mio parere, la questione andasse risolta, ma ho chiesto a Girolamo se l’approvasse. Nel rispondermi ha espresso apprezzamento per la richiesta che gli avevo fatto di un parere, ma dichiarando nel contempo di non aver tempo disponibile per rispondermi. Non ho comunque voluto pubblicare questi libri finché era in vita, sperando sempre che una volta o l’altra mi fornisse la sua risposta che avrebbe potuto divenire parte integrante della pubblicazione. Dopo la sua morte ho pubblicato il primo libro e l’ho fatto per un ben preciso motivo, quello di invitare il lettore o ad evitare del tutto di chiedersi come l’anima sia data a coloro che nascono o ad accettare, in una questione così oscura, una soluzione non contraria alla fede: intendo dire non contraria a quanto la fede cattolica ha appurato con certezza sul peccato originale la cui conseguenza è che i bambini, ove non vengano rigenerati in Cristo, sono sicuramente destinati alla dannazione·. Ho pubblicato anche il secondo per un preciso motivo, perché anche della questione che in esso è posta si conosca la mia proposta di soluzione·.

Quest’opera incomincia così: Il nostro Dio che ci ha chiamati.

XLVI (LXXIII) – A Emerito, vescovo dei Donatisti, dopo la conferenza, un libro
46 Emerito, vescovo dei Donatisti, nel confronto che avevamo avuto con loro, aveva mostrato di sostenere con forza la loro causa. A lui, molto tempo dopo il confronto, ho dedicato un libro di indubbia utilità, che compendia con opportuna brevità gli argomenti dai quali essi sono stati vinti o si dimostra che lo sono·.

Quest’opera incomincia così: Se persino ora, fratello Emerito.

XLVII (LXXIV) – Gli atti di Pelagio, un libro
47 In quel medesimo periodo in Oriente, e più precisamente nella Siria Palestina, Pelagio fu condotto da alcuni fratelli cattolici davanti a un’assemblea episcopale. In assenza di coloro che l’avevano denunciato e che non avevano potuto presentarsi per il giorno del sinodo fu giudicato da quattordici vescovi i quali, sentendolo condannare le proposizioni contrarie alla grazia di Dio contenute nell’atto d’accusa, lo dichiararono cattolico. Quando riuscii a mettere le mani sugli atti dell’udienza scrissi un libro· su tutta la vicenda: con esso intendevo evitare che in seguito a quell’assoluzione si pensasse che i giudici avessero approvato quelle proposizioni non condannando le quali Pelagio non avrebbe potuto evitare la condanna·.

Questo libro incomincia così: Dopo che nelle nostre mani.

XLVIII (LXXV) – La correzione dei Donatisti, un libro
48 In quel medesimo periodo scrissi un libro su La correzione dei Donatisti, in risposta a coloro che s’opponevano a che essi subissero una sanzione in base alle leggi imperiali·.

Questo libro incomincia così: Esprimo il mio elogio, il mio compiacimento e la mia ammirazione.

XLIX (LXXVI) – La presenza di Dio, a Dardano, un libro
49 Ho scritto un libro Sulla presenza di Dio nel quale il mio vigile intendimento è soprattutto quello di attaccare l’eresia pelagiana, pur senza espressamente nominarla·. Ma in esso si discute con una laboriosa e sottile argomentazione anche della presenza di quella natura, che noi chiamiamo supremo e vero Iddio, nonché del suo tempio.

Questo libro incomincia così: Ammetto, amatissimo fratello Dardano.

L (LXXVII) – La grazia di Cristo e il Peccato originale contro Pelagio e Celestio: due libri dedicati ad Albino, Piniano e Melania
50 L’eresia pelagiana, unitamente ai suoi propagatori, era stata dimostrata falsa e condannata dai vescovi della Chiesa Romana, dapprima da Innocenzo e quindi da Zosimo, con l’appoggio delle lettere dei concili d’Africa. Ho scritto allora due libri contro di loro: il primo sulla grazia di Cristo, il secondo sul peccato originale·.

Quest’opera incomincia così: Quanto ci rallegriamo per la vostra salvezza corporale e soprattutto spirituale.

LI (LXXVIII) – Atti del confronto col Vescovo donatista Emerito, un libro
51 A notevole distanza del confronto da noi avuto con gli eretici donatisti ci si presentò l’esigenza di recarci nella Mauritania Cesarea. Fu appunto in Cesarea che ci occorse di vedere Emerito, vescovo dei Donatisti, uno di quei sette che gli adepti di quella setta avevano delegato a difendere la loro causa e che in tale difesa aveva posto il massimo impegno·. Gli Atti ecclesiastici relativi, annoverati fra i miei opuscoli, fanno fede delle dispute avute fra noi due alla presenza dei vescovi della medesima provincia e della popolazione della chiesa di Cesarea, la città della quale Emerito era stato cittadino e vescovo per conto degli eretici di cui s’è detto. Non trovando Emerito come rispondermi, ascoltò ammutolito tutto quanto io riuscii a chiarire a lui e a tutti i presenti sulla sola questione dei Massimianisti.

Questo libro, o meglio questi atti, incomincia così: Il 20 settembre, sotto il dodicesimo consolato dell’Imperatore Onorio e l’ottavo dell’imperatore Teodosio, nella chiesa maggiore di Cesarea·.

LII (LXXIX) – Contro un discorso di parte ariana, un libro
52 Frattanto m’era capitato fra le mani un discorso anonimo di parte ariana, e in seguito alle pressanti e insistenti richieste di colui che me lo aveva fatto pervenire· preparai la mia risposta quanto più brevemente e rapidamente potei. Nel libro che ne è risultato alla mia risposta s’è premessa la lettera di cui s’è detto e s’è data altresì una numerazione progressiva ai vari punti in modo che si possano subito individuare le risposte a ciascuno di essi.

Questo libro, dopo la loro lettera aggiunta all’inizio, incomincia così: Con questa discussione rispondo alla loro che precede.

LIII (LXXX) – Le nozze e la concupiscenza, due libri a Valerio
53 Avevo sentito dire che i Pelagiani avevano scritto qualcosa a mio riguardo all’illustrissimo conte Valerio, sostenendo che nel rivendicare l’esistenza del peccato originale avevo implicitamente condannato le nozze. Mi rivolsi pertanto a lui con due libri intitolati Le nozze e la concupiscenza. In essi difendevo la bontà delle nozze nell’intento di evitare che fosse ritenuto un loro difetto la concupiscenza della carne e la legge che nelle nostre membra s’oppone alla legge della mente, mentre proprio col buon uso di quel male che è la concupiscenza i coniugi pudichi provvedono alla procreazione dei figli. A due libri si è giunti in questo modo. Il primo libro era capitato fra le mani del pelagiano Giuliano·, che lo aveva attaccato con quattro libri. Di essi qualcuno fece degli estratti che inviò al conte Valerio, il quale, a sua volta, li fece pervenire a noi. Ricevuti che li ebbi risposi con un altro libro· alle medesime accuse.

Il primo libro di quest’opera incomincia così: I nuovi eretici, o dilettissimo figlio Valerio.

Il secondo così: Fra le incombenze della tua milizia.

LIV (LXXXI) – Sette libri di locuzioni
54 Ho scritto sette libri su altrettanti libri della Sacra Scrittura e precisamente sui cinque libri di Mosè, sul libro di Giosuè, figlio di Nun, e sul libro dei Giudici·. In essi ho annotato, per ciascun libro, le espressioni meno usuali nella nostra lingua. Trattasi di quelle espressioni non riconoscendo le quali nel loro vero significato i lettori cercano il senso delle parole divine mentre si tratta solo di un tipo di linguaggio, e talora immaginano qualcosa che, se non è in contrasto con la verità, non risulta tuttavia corrispondere a ciò che aveva inteso dire l’autore, che appare invece più credibile si sia espresso in quel modo seguendo un determinato tipo di espressione. Molte oscurità nelle Sacre Scritture si chiariscono ove si conosca il tipo di espressione. Occorre perciò imparare a conoscere tali tipi quando il pensiero è chiaro: in tal modo nei casi in cui tale chiarezza non c’è, quella stessa conoscenza può aiutarci a rivelare al lettore, teso nella ricerca, la sostanza del pensiero·. Il titolo di quest’opera è: Locuzioni tratte dalla Genesi, nonché da altri singoli libri. Nel primo libro ho dapprima riportato le seguenti parole della Scrittura: E Noè diede attuazione a tutte le parole con le quali il Signore gli aveva dato i suoi ordini, così fece. Quindi ho detto che questo tipo di espressione è quello che ritroviamo nel racconto della creazione laddove, subito dopo le parole: E così fu fatto, si legge: E Dio fece. Ora non mi sembra che ci sia somiglianza fra le due sequenze: nel primo caso anche il senso rimane oscuro·, nel secondo è solo un fatto di espressione.

Quest’opera incomincia così: Le locuzioni delle Scritture.

LV (LXXXII) – Sette libri di questioni
55.1 Nel medesimo periodo ho scritto anche Sette libri di questioni sugli stessi sette Libri sacri·, e li ho voluti intitolare in questo modo per un preciso motivo: le questioni che vi si discutono sono più presentate come oggetto di ulteriore indagine che date per discusse e risolte, anche se in numero notevolmente più elevato mi sembrano quelle trattate in modo tale da poter essere presentate non a torto come risolte e chiarite. Avevo già incominciato a considerare allo stesso modo anche i Libri dei Re, ma ero di poco progredito in questo lavoro quando dovetti volgermi ad altri, più urgenti impegni. Nel primo libro ho trattato delle verghe striate che Giacobbe poneva nell’acqua, perché le vedessero le pecore che vi si trovavano a bere al momento del concepimento e partorissero in tal modo agnelli striati.

Non ho però ben spiegato il motivo per il quale non poneva più le verghe dinanzi a quelle che concepivano per la seconda volta, quando cioè concepivano nuovi agnelli, ma lo faceva solo al momento del primo concepimento. Ed in effetti l’esauriente analisi di un’altra questione, che verte sul significato delle parole rivolte da Giacobbe al suocero: Hai frodato il mio compenso di dieci agnelle·, dimostra che la prima non è stata risolta a dovere.

55.2 Lo stesso vale per il passo del terzo libro dove si tratta del Sommo Sacerdote. Ci si chiede come potesse avere dei figli dal momento che era tenuto ad entrare due volte al giorno nel Santo dei Santi, là dove c’era l’altare dell’incenso, per offrire appunto l’incenso mattina e sera·. In base alla legge non avrebbe potuto entrare in stato di impurità e la stessa legge considera l’uomo impuro anche dopo il rapporto coniugale. Prescrive, è vero, che chi ha avuto il rapporto si lavi con acqua, ma anche se lavato lo considera impuro fino alla sera.

Avevo pertanto ritenuto logico concludere o che conservasse la continenza o che per alcuni giorni fosse sospesa l’offerta dell’incenso. Non mi ero però accorto che tale soluzione era tutt’altro che logica. Di fatto le parole della Scrittura: Sarà impuro fino a serapossono essere interpretate anche diversamente: possiamo infatti intendere che il Sommo Sacerdote non fosse impuro durante la sera, ma solo fino alla sera e che potesse pertanto nelle ore della sera offrire l’incenso in condizione di purità essendosi unito alla moglie per generare figli dopo l’offerta del mattino. Mi ero anche chiesto come potesse essere proibito al Sommo Sacerdote di accostarsi al cadavere del padre dal momento che il figlio, uno solo essendo il sacerdote, non conveniva divenisse lui stesso sacerdote se non dopo la morte del sacerdote suo padre. Ne avevo concluso che subito dopo la morte del padre e prima della sua sepoltura si dovesse provvedere a che il figlio succedesse al padre per consentire la continuazione dell’offerta dell’incenso che doveva avvenire due volte al giorno: è a questo sacerdote che era vietato di avvicinarsi al cadavere del padre non ancora sepolto· Non avevo però sufficientemente osservato che questa prescrizione avrebbe potuto valere soprattutto per i futuri Sommi Sacerdoti non succedenti a padri insigniti di quella dignità, ma pur tuttavia scelti tra i figli, cioè tra i discendenti di Aronne. Ciò poteva avvenire nel caso che il Sommo Sacerdote non avesse figli o ne avesse di così malvagi che nessuno potessedegnamente succedere al padre. È quanto accadde a Samuele che successe al Sommo Sacerdote Eli, pur non essendo figlio di un sacerdote, ma facendo però parte dei figli, cioè dei discendenti di Aronne·.

55.3 Ho dato inoltre quasi per certo che il ladrone cui fu detto: Oggi sarai con me in paradiso, non fosse stato visibilmente battezzato. La cosa invece è incerta e c’è piuttosto da ritenere che battezzato lo fosse, come ho discusso altrove.È vero ciò che ho detto nel quinto libro, che cioè laddove nelle genealogie dei Vangeli sono citate le madri il loro nome è sempre fatto congiuntamente a quello dei padri. L’osservazione però non riguarda il tema di cui si stava trattando. Vi si trattava invece di coloro che sposavano le mogli dei fratelli o dei parenti, di quelli almeno che erano morti senza figli, traendo lo spunto dai due padri di Giuseppe, il primo dei quali è ricordato da Matteo e il secondo da Luca. Di questo argomento ho trattato approfonditamente in quest’opera e più precisamente nella parte dedicata alla revisione del mio scritto Contro il manicheo Fausto Quest’opera incomincia così: Poiché le Sacre Scritture denominate canoniche.

LVI (LXXXIII) – L’anima e la sua origine, quattro libri
56 Nel medesimo periodo nella Mauritania Cesarea un certo Vincenzo Vittore· aveva trovato in casa di un prete spagnolo di nome Pietro un mio scritto di qualche ampiezza·. Ivi, trattando in un passo dell’origine dell’anima di ogni singolo uomo, ammettevo di non sapere se le anime si propaghino a partire da quella del primo uomo e, successivamente, da quelle dei genitori o se a ciascuno venga data la sua senza alcun processo di riproduzione come avvenne per la prima ammettevo però di sapere che l’anima non è materiale, ma spirituale. Contro le mie affermazioni Vincenzo Vittore scrisse due libri rivolti allo stesso Pietro, libri che il monaco Renato provvide ad inviarmi da Cesarea. Dopo averli letti impiegai quattro libri per la risposta, rivolgendomi con il primo al monaco Renato, col secondo al prete Pietro e con i due restanti allo stesso Vittore. Quello destinato a Pietro, pur raggiungendo l’ampiezza di un libro, è in realtà una lettera, ma non ho voluto che andasse separato dagli altri tre. In tutti questi libri, che trattano questioni non eludibili, ho difeso, a proposito dell’origine delle anime, la mia esitazione ad ammettere che vengano date singolarmente a ciascun uomo e ho messo in evidenza i molti errori e le molte storture della presunzione del mio avversario. Ho però trattato quel giovane con tutta la possibile delicatezza, non come persona da detestare senza appello, ma piuttosto da istruire e ne ho ricevuta una risposta scritta con la quale corregge i suoi errori.

Di quest’opera il libro destinato a Renato incomincia così: La tua sincerità nei nostri riguardi.

Quella destinata a Pietro così: Al signore Pietro, amatissimo fratello e collega nel sacerdozio. Il primo dei due ultimi libri destinati a Vincenzo Vittore incomincia così: Ciò che ho ritenuto di doverti scrivere.

LVII (LXXXIV) – I connubi adulterini a Pollenzio, due libri
57 Ho scritto due libri su I connubi adulterini attenendomi il più possibile alle Scritture e nell’intento di risolvere una difficilissima questione·. Non so se sia riuscito a farlo in modo veramente perspicuo, avverto anzi di essere ben lontano dall’aver raggiunto la perfezione, pur avendo sciolto molti nodi. Un giudizio al riguardo potrà comunque darlo chi sarà in grado di leggere e di comprendere il mio scritto.

Il primo libro di quest’opera incomincia così: La prima questione, amatissimo fratello Pollenzio, è la seguente.

Il secondo così: A quanto mi avevi scritto.

LVIII (LXXXV) – Contro un avversario della Legge e dei Profeti, due libri
58 Nel frattempo avvenne che in una piazza di Cartagine posta in riva al mare si tenesse una pubblica lettura con larghissima affluenza di un pubblico molto attento e interessato. Ad interessare l’uditorio era il libro di un eretico, o seguace di Marcione o comunque annoverabile fra coloro il cui errore consiste nel ritenere che non sia stato Dio a creare il mondo e secondo i quali il Dio della Legge trasmessa per tramite di Mosè e dei Profeti che si rifanno a quella Legge non sarebbe il vero Dio, bensì un demone fra i più malvagi·. Alcuni fratelli di intensa fede cristiana riuscirono a porvi sopra le mani e me lo inviarono senza indugio perché lo confutassi, rivolgendomi un pressante invito perché non dilazionassi la mia risposta. Ho articolato la mia confutazione in due libri ai quali ho premesso come titolo: Contro un avversario della Legge e dei Profeti. Il codice che mi era stato inviato non recava infatti il nome dell’autore.

Quest’opera incomincia così: Col libro che mi avete inviato, o amatissimi fratelli.

LIX (LXXXVI) – Contro Gaudenzio, vescovo dei Donatisti, due libri
59 Nel medesimo periodo Dulcizio, tribuno e notaio, si trovava qui in Africa in qualità di esecutore delle disposizioni imperiali contro i Donatisti. Questi aveva inviato una lettera a Gaudenzio di Thamugadi, vescovo dei Donatisti, uno dei sette che gli adepti della setta avevano scelto quali difensori della loro causa nel confronto avuto con noi: in essa lo invitava all’unità coi cattolici e lo dissuadeva dall’appiccare l’incendio col quale minacciava di distruggere sé e i suoi con la chiesa nella quale si trovava·; aggiungeva inoltre che, se si ritenevano giusti, si dessero alla fuga secondo il precetto di Cristo Signore, piuttosto che lasciarsi bruciare da fiamme sacrileghe·. Quello rispose con due lettere, una breve, imposta, a suo dire, dalla fretta del latore, l’altra più ampia con la quale sembrava voler fornire una risposta più completa e approfondita. Il tribuno più sopra ricordato ritenne di dovermele inviare perché fossi preferibilmente io a fornirne la confutazione, ed io lo feci per entrambe con un unico libro. Quest’ultimo giunse nelle mani di Gaudenzio il quale mi espose per iscritto quanto a lui parve opportuno senza fornirmi, nel modo più assoluto, una risposta, ma dichiarando piuttosto di non aver potuto né rispondermi né tacere. Benché ciò risulti abbastanza chiaro a chi legga con intelligenza e confronti le sue parole con le mie·, non ho voluto rinunciare a dare una mia risposta scritta, quale che essa sia stata. Ne è derivato che entrambi i miei libri risultano rivolti a lui.

Quest’opera incomincia così: Gaudenzio di Thamugadi, vescovo dei Donatisti.

LX (LXXXVII) – Contro la menzogna, un libro
60 Scrissi allora anche un libro Contro la menzogna. L’occasione mi fu offerta dallo stratagemma escogitato da alcuni cattolici che, per scovare gli eretici Priscillianisti, che ritengono di dover tenere nascosta la loro eresia non solo negando e mentendo, ma anche spergiurando, si erano fatti un dovere di fingersi essi stessi Priscillianisti per penetrare nei loro misteri·. Scrissi questo libro nell’intento di proibire tale comportamento.

Questo libro incomincia così: Mi hai inviato molti scritti da leggere.

LXI (LXXXVIII) – Contro due lettere dei Pelagiani, quattro libri
61 Seguono quattro miei libri che hanno come bersaglio due lettere dei Pelagiani· e come destinatario Bonifacio, Vescovo della Chiesa di Roma. Le due lettere erano giunte nelle sue mani ed egli me le aveva inviate in quanto in esse il mio nome veniva tratto in causa in modo calunnioso.

Quest’opera incomincia così: Ti conoscevo certamente, per una fama largamente diffusa.

LXII (LXXXIX) – Contro Giuliano, sei libri
62 Nel frattempo mi capitarono fra le mani i quattro libri del pelagiano Giuliano dei quali ho già fatto menzione. In essi individuai le parti che aveva stralciato colui che le aveva inviate al conte Valerio, ma dovetti anche constatare che il testo scritto per il conte non corrispondeva in tutto a quanto Giuliano aveva detto e presentava in alcune parti notevoli rimaneggiamenti. Scrissi allora sei libri per confutarli tutti e quattro. I primi due però, partendo dalla testimonianza dei Santi che, dopo gli Apostoli, difesero la fede cattolica, hanno come bersaglio l’impudenza di Giuliano: costui era giunto al punto di imputarci la taccia di manicheismo per aver fatto risalire ad Adamo il peccato originale, che viene cancellato dal bagno della rigenerazione non solo negli adulti, ma anche nei bambini. Quanto per converso proprio Giuliano con alcune sue espressioni assecondi i Manichei l’ho messo in evidenza nella seconda parte del primo libro. I rimanenti quattro libri corrispondono, rispettivamente, a ciascuno dei quattro scritti da Giuliano. Nel quinto libro di quest’opera così ampia e così laboriosa ho dato per certo, per una caduta di memoria, il nome del protagonista di un episodio la cui identificazione è tutt’altro che sicura. Trattasi del caso di quel marito deforme che, per evitare che sua moglie generasse dei figli deformi, soleva mostrarle durante il rapporto coniugale una bella pittura.

Sorano, autore di opere mediche, attribuiva tale consuetudine a un re di Cipro, ma senza farne espressamente il nome.

Quest’opera incomincia così: I tuoi improperi e le tue maligne insinuazioni, Giuliano.

LXIII (XC) – La fede, la speranza e la carità, a Lorenzo, un libro
63 Ho scritto anche un libro sulla fede, la speranza e la carità su richiesta del dedicatario il quale desiderava avere un mio opuscolo di dimensioni tali – i Greci lo chiamano manuale – da non potergli sfuggire di mano. In esso ritengo di esser riuscito a compendiare con sufficiente accuratezza le modalità del culto dovuto a Dio, quel culto che la Sacra Scrittura definisce sempre come vera sapienza dell’uomo. Questo libro incomincia così: È impossibile dire quanto mi compiaccia, amatissimo figlio Lorenzo, della tua cultura.

LXIV (XCI) – La cura dovuta ai morti, al Vescovo Paolino, un libro
64 Ho scritto un libro Sulla cura dovuta ai morti, per rispondere ad una lettera nella quale mi si chiedeva se giovi a ciascuno dopo la morte che il suo corpo sia sepolto laddove si onora la memoria di qualche santo·.

Questo libro incomincia così: A lungo alla tua santità, venerando Paolino, vescovo al pari di me.

LXV (XCII) – Le otto questioni di Dulcizio, un libro
65 Il libro da me intitolato: Le otto questioni di Dulcizio· non dovrebbe essere ricordato in quest’opera fra i miei libri. In effetti risulta costituito dall’unione di materiali che si trovavano in altri miei precedenti scritti·, fatta eccezione per l’inserimento di qualche tratto di discussione e per la risposta ad una delle questioni poste, che non risulta mutuata da qualche mio scritto, ma che ho fornito così come mi si era presentata sul momento·.

Questo libro incomincia così: Per quanto mi sembra, amatissimo figlio Dulcizio.

LXVI (XCIII) – La grazia e il libero arbitrio, a Valentino e ai monaci che si trovano con lui, un libro
66 Per rispondere a coloro che ritengono la difesa della grazia di Dio incompatibile col libero arbitrio e difendono perciò il libero arbitrio al punto di negare la grazia che, a loro parere, ci sarebbe concessa in conseguenza dei nostri meriti ho scritto un libro intitolato: La grazia e il libero arbitrio. L’ho scritto per quei monaci di Adrumeto, nel cui monastero si era incominciato a discutere della questione, tanto che alcuni si erano visti costretti a chiedere il mio parere.

Questo libro incomincia così: Per coloro che il libero arbitrio dell’uomo.

LXVII (XCIV) – Il castigo e la grazia, a quelli di cui sopra, un libro
67 Ai medesimi monaci scrissi un altro libro e lo intitolai: Il castigo e la grazia. Mi era stato riferito che uno di quei monaci sosteneva che non si dovrebbe punire chi non obbedisce ai comandamenti di Dio, ma solo pregare per lui perché lo faccia.

Questo libro incomincia così: Ho letto la vostra lettera, o amatissimo fratello Valentino.

Epilogo
Al momento della presente ritrattazione sono riuscito ad appurare di aver dettato queste novantatré opere per complessivi duecentotrentadue libri, senza sapere se ne avrei scritti ancora degli altri. Ho pubblicato la loro ritrattazione in due libri, per sollecitazione dei fratelli e prima di passare a quella delle lettere e dei discorsi al popolo, dei quali alcuni da me dettati, altri solo pronunciati.


ANNI 1915-1916

Il diario di Santa Teresa di Los Andes - Santa Teresa di Los Andes

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Uno scatto di collera

Uscimmo dall'Ospedale San Vicente e poco tempo dopo ce ne andammo a Chacabuco che papà aveva preso in affitto. Però non potevo montare a cavallo e ciò era per me una rinuncia molto grande, non c è nulla che mi piaccia più del cavallo. Ci trovavamo molto bene. Ci furono le missioni. Spesso c'era la messa e mi sentivo molto felice.

Per mia maggior umiliazione racconterò una arrabbiatura che mi prese, che fu tanto grande da sembrare che fossi impazzita. Il motivo fu che mia sorella e mia cugina che si trovavano con noi non vollero fare il bagno con noi perché eravamo molto piccole. Mi disgustò che mi dicessero piccola e non volevo andare a fare il bagno, ma mi obbligarono. Mentre già ci stavamo vestendo arrivarono le ragazze a farci affrettare, ma risposi che non mi sarei vestita se non se ne fossero andate. Ma esse non vollero andarsene. Mamma mi disse di vestirmi, ma io, imbronciata, non volli. Mamma mi picchiò ma tutto fu inutile. Piangevo ed era tanta la rabbia che provavo che avrei voluto gettarmi nell'acqua. "Mamita'' incominciò a vestirmi, ma continuavo ad essere risentita. Quando fui pronta mi pentii di ciò che avevo fatto e andai a domandare perdono alla mia mamma la quale era molto addolorata nel vedermi così e diceva che se ne tornava a Santiago per non rimanere con una bambina così collerica. Ella non volle perdonarmi e ciò mi faceva piangere inconsolabile. Mi scacciò dalla sua stanza e andai a nascondermi per piangere liberamente. Venne l'ora di fare lo spuntino e non volevo andarci, finché mi obbligarono, ma avevo vergogna e non volevo guardare nessuno, avendo dato un così cattivo esempio. Non so quante volte chiesi perdono, finché la sera mamma mi disse che avrebbe osservato come sarebbe stata in avvenire la mia condotta.

Io credo che di questo peccato ho avuto la contrizione perfetta perché l'ho pianto non so quante volte. E ogni volta che me ne ricordo mi addoloro di essere stata tanto ingrata con Nostro Signore che mi aveva appena ridato la vita.

Oggi compio quindici anni

(13 luglio) Oggi compio quindici anni. Quindici anni! L'età che tutti vorrebbero avere: i bambini per essere considerati più grandi e gli anziani e quelli che hanno oltrepassato questa età, che hanno venticinque anni, vorrebbero ritornare a questa età perché è la più felice.

Ma penso: quindici anni, quindici anni in cui Dio mi ha conservato in vita. Me la diede nel 1900. Mi preferì tra migliaia di esseri per creare proprio me.

Nel 1914, l'anno scorso, fui ammalata da rischiare la morte e mi diede un'altra volta la vita. Che cosa ho fatto da parte mia per un favore così grande perché Dio mi abbia data la vita due volte?

Quindici anni! Di che cosa mi sono occupata in questi quindici anni? Che cosa ho fatto per piacere a questo Re onnipotente, a questo Creatore misericordioso che mi creò? Perché mi ha preferito a tante creature?

L' avvenire non mi si è svelato, ma Gesù ha sollevato il velo ed ho intravisto le belle spiagge del Carmelo.

Quante volte ho chiesto a Dio che mi portasse via da questo mondo ed Egli ha quasi ascoltato le mie suppliche e mi ha mandato malattie dalle quali si credeva che non mi sarei salvata. Ma Gesù mi ha insegnato che non devo domandare questo e mi ha posto come termine del mio viaggio ancora nove anni nel porto benedetto del Carmelo.

Questi quindici anni, per una ragazza è l'età più pericolosa, è l'entrata nel mare tempestoso del mondo. Ho quindici anni, Gesù ha preso il comando della mia barchetta e l'ha tirata in disparte dall'incontro con altre navi. Mi ha mantenuta solitaria con Lui. Per questo il mio cuore, conoscendo questo Capitano è stato preso dall'amo dell'amore e qui mi tiene prigioniera in esso. Quanto amo questa prigione e questo Re potente che mi tiene prigioniera, questo Capitano che fra i flutti dell'oceano non mi ha lasciato naufragare.

Gesù mi nutre quotidianamente con la sua carne adorabile e, insieme a questo cibo, ascolto una voce dolce e soave come gli echi armoniosi degli angeli del cielo. Questa è la voce che mi guida, che scioglie le vele della nave della mia anima perché non soccomba e perché non affondi. Sento sempre quella cara voce che è quella del mio Amato, la voce di Gesù in fondo alla mia anima; e nelle mie angosce, nelle mie tentazioni, Egli è il mio consolatore, egli è il mio Capitano.

Conducimi sempre, Gesù mio, per il cammino della croce. E la mia anima si alzerà in volo dove si trova l'aria che vivifica e la quiete.

All'internato - La mia vocazione

Durante queste vacanze le scrissi, Madre, facendole conoscere la mia vocazione, che lei aveva indovinato.

Tornammo nel mese di marzo ed entrai in collegio, ma lei, Madre mia era già ammalata. Che dispiacere ne ebbi e quanto pregai per il suo miglioramento. Ma il Signore non concesse il miglioramento e le fece bere il calice di amarezza che Egli dà a quelli che ama. La portarono alla Maestranza. Che dolore mi causò questa separazione! Però lo offrii insieme a Lei a nostro Signore e, vedendola così coraggiosa ed eroica, mi riempivo di coraggio e mi chiedevo: forse non è Gesù il suo appoggio e non è Lui che sta per soccorrerla?

Le scrìssi una lettera in cui manifestavo il mio cuore e dopo pochi giorni andai a farle visita, senza immaginare che ben presto anch'io mi sarei trovata là.

Durante il semestre mamma ci comunicò che saremmo entrate come interne. Nonostante la mia pena non potei fare a meno di ringraziare Nostro Signore, che mi preparava il cammino per stare più separata dalle cose del mondo e mi chiamava a vivere vicino a Lui perché mi abituassi a vivere separata dalla mia famiglia prima di entrare al Carmelo. Quello che soffrii lo si può vedere dalle righe che scrivevo tutti i giorni ogni sera e che sono una specie di Diario.

Giovedì 2 settembre 1915. Oggi è un mese e due giorni che ci dissero che saremmo entrate come interne.

Io credo che non mi abituerò mai a vivere lontana dalla mia famiglia: dal papà dalla mamma, da quegli esseri che amo tanto. Se sapessero quanto soffro mi compatirebbero! Eppure mi devo consolare. Vivrò forse tutta la vita senza separarmi da loro? Così vorrei ripagarli con le mie attenzioni di quanto essi hanno fatto per me. Ma la voce di Dio comanda di più, devo seguire Gesù fino ai confini del mondo se Lui lo vuole. In Lui trovo tutto. Egli solo occupa il mio pensiero. Tutto il resto, fuori di Lui, è ombra, afflizione e vanità. Per Lui lascerò tutto ed andrò a nascondermi dietro le grate del Carinelo, se è sua volontà e vivrò solo per Lui. Che gioia, che piacere! il cielo sulla terra.

Ma nel frattempo gli anni sembrano secoli durante i quali bisogna attendere per poter dare a lui il dolce nome di Sposo. Che tristi sono i giorni dell'esilio. Ma Egli è vicino a me e mi dice molto spesso: "Amica molto cara". Ciò mi infonde coraggio e proseguo sforzandomi per diventare un po' meno indegna del nome che porterò. Quale sarà il luogo dove celebreremo le nostre nozze e il luogo dove vivremo uniti? Mi ha detto il Carmelo. Ma ogni volta che voglio vederlo più da vicino sembra che Egli lo copra con un velo perché non veda nulla e senza speranza mi rìtiro triste e desolata. Vedo che il mio corpo non resisterà e tutti quelli che sono al corrente me lo ripetono: quell'Ordine è molto austero e tu sei molto delicata. Però tu, Gesù sei mio Amico e come tale mi. procuri sollievo. Il giorno che tornai a casa trovai che la Madre Superiora del Carmen~, senza conoscermi, mi aveva mandato una immagine di Teresa di Gesù Bambino, tramite la mamma; ciò mi ha procurato molto piacere. Mi raccomanderò a Teresina perché mi guarisca e possa essere Carmelitana. Ma non voglio se non che si compia la volontà di Dio. Lui sa meglio ciò che mi conviene. Gesù, ti amo, ti adoro con tutta l'anima mia!

Mal di denti - Voti religiosi - Visite

Venerdì 3. - Ieri sera venne Madre Izquierdo a trovarmi nel dormitorio. Quando le dissi che avevo un forte mal di denti e che tutto il giorno avevo avuto mal di testa, mi disse queste parole che Gesù in altre circostanze penose mi aveva detto: "Figlia mia, Gesù ti ama molto, ti circonda con la sua croce. Offrigli questo dolore come fiore per la comunione di domani". Voglio molto bene a questa Madre: è una vera santa.

Mercoledì 81. - Oggi due novizie hanno pronunciato i voti, mi ha fatto molta impressione. Avanzarono e davanti all'Ostia Santa promisero di essere Sue spose. Che sublime dignità! Quando potrò dire al mondo il mio ultimo addio! Anche una postulante ha ricevuto l'abito. Si può dire che è la fidanzata di Gesù.

Vennero poi le ragazze dell'esternato e ci fu permesso di stare con loro fino alle undici e mezzo.

Vidi alcune Madri di là, tra esse Madre Popelaire che per quattro anni fu mia maestra. Le voglio bene e non so perché ebbi pena e mi misi a piangere, per cui Rebeca mi imitò. Allora capii che era necessario mi rasserenassi per consolarla e in effetti fu così.

Ci trattenemmo con Madre Julia Rios. Che grande piacere! E siccome faccio il possibile per immaginarmi di essere al Carmelo, mi sedetti per terra ai piedi della Madre, e varie ragazze seguirono l'esempio.

Domenica andrò da Madre Julia Rios da sola. Questo mi spaventa perché penso di raccontarle tutto il cambiamento che si è operato in me dall'operazione, la mia vocazione al Carmelo, tutto insomma. Non so come farò perché mi costa molto esprimere tutto ciò che mi succede.

Sono stata tutto il giorno molto felice, ma, come fa sempre, Gesù mi inviò un regalino: era una croce e ciò mi piacque molto.

Sabato 11 - Sebbene voglio scrivere il mio Diario tutti i giorni, mi è impossibile. Oggi mi sono confessata. Che sollievo ho avuto perché avevo dei peccati ed anche se sono involontari, non mi piace averli perché con essi mi allontanano da Gesù e mi causano molta pena. Siccome Lo amo preferirei piuttosto morire che offenderlo.

Ieri e oggi non ho mangiato caramelle, le ho offerte a Gesù perché Gli piacciono più che a me.

Da mercoledì 8 a venerdì 24 settembre, per esattezza con il calendario, bisogna correggere Juanita che erroneamente scrisse: Mercoledì 6, Sabato 9 ecc.

Colloquio decisivo

Domenica 12. - Ho molto da raccontare e soprattutto da ringraziare molto Gesù che mi ha concesso di incontrare Madre Julfa Rìos e di dirle quasi tutto. Abbiamo parlato molto. Le dissi che non mi abituavo affatto (nell'internato) e mi diede ragione per l'età a cui ero entrata. Passammo rapidamente su questo poiché ella desiderava sapere ciò che avevo accennato nella mia lettera.

Incominciò a parlarmi per prima cosa dell'operazione. Mi fece vedere il grande scopo a cui Dio mi destinava ridonandomi la vita e i numerosi favori che mi aveva concesso. Le confidai la mia risoluzione e mi disse che l'aveva già indovinata, perché Dio si proponeva qualcosa nel darmi due volte la vita.

Le parlai delle mie civetterie, mi domandò come potevo flirtare dopo tante chiamate di Dio, e che, anche se non era peccato, riflettessi sul fatto che Colui che mi sceglieva era il Re dei cieli e della terra, e chi ero io per giocare così? Non ero forse una vile e miserabile creatura? E perché davo il mio amore a un uomo quando lo desiderava Dio? Se fosse un uomo che mi amasse e lo accettassi, non avrei il coraggio di divertirmi, perché dunque lo fàcevo con Dio? Era una cosa molto grave, era più che un matrimonio. Dovevo stare attenta perché non era per un giorno né per tutta la vita ma per Veternità. Che l'amore umano si estingue, ma l'amore divino abbraccia tutto. Che mi dovevo ricordare che erano molte le chiamate ma poche le elette. Che ogni volta che mi comunicavo dovevo parlare a Gesù di questo e procurare di essere per Lui ogni giorno più bella, possedendo più virtù; che avrei dovuto fare la mia orazione con la faccia a terra perché parlavo con l'Onnipotente che si era abbassato a me per scegliermi come sposa.

Le dissi anche che desideravo entrare al Carmelo. Mi chiese: "E la salute? Potrai resistere?". Non penso mai a questo corpo miserabile! Vorrei volare ed esso non può. Come ti detesto vaso di corruzione che ti opponi ai desideri della mia anima! Sei delicato. Ti fanno male le austerità e hai bisogno che ti accarezzino. Ma Gesù farà ciò che vuole. Si compia in tutto la sua volontà. Questa crudele incertezza è una specie di agonia per la mia anima. Meglio. Posso così unirmi meglio a Gesù nell'orto e consolarlo un po'. È il calice che mi avvicina alle labbra, ma credo che non me lo farà bere sino a vuotarlo.

Madre Julia Rios mi disse che avrebbe pregato molto per me e per la mia salute, e che pensava solo che sarei diventata la sposa di Gesù.

Mi raccomandò di leggere la vita di Santa Teresa e di suor Teresa di Gesù Bambino. Le dissi che le avevo lette varie volte traendone molto profitto perché la loro anima ha alcuni punti simili alla mia; e anche perché come loro ho ricevuto molti benefici da Nostro Signore, anche se loro sono arrivate molto presto alla perfezione mentre ripago così male Gesù. Questo mi intenerisce e le prometto di diventare migliore.

Arrivò Rebeca e dovetti andarmene con gran pena.

Vacanze di settembre

Martedì 14. - Oggi è la festa della Madre Izquierdol. È stato giorno di ricreazione. L'abbiamo trascorso molto contente. Abbiamo giocato a nascondino e poi alle bandierine; abbiamo vinto noi.

Ci hanno consegnato i risultati del concorso di ortografia. Sono la prima. Nessun errore, per caso. La Reverenda Madre ci disse di avvicinarci a ricevere una immagine, e quando andai per riceverla, Madre Julia Rios ha riso con me, cosa che mi fece molto piacere.

Oggi siamo uscite. Ne siamo felici. Siamo andate a confessarci e poi a passeggio alla "Alameda". Ma ero tanto indifferente a questo passeggio perché pensavo chi avrebbe pensato a Lui e procuravo di unirmi il più possibile; così gioivo.

Abbiamo visto Miguel che sta facendo il militare ed era da più di un mese che non lo vedevo. Gli voglio tanto bene... E stato promosso caporale. Sono molto contenta.

Mercoledì. - Oggi sono andata a Messa e poi al centro con Lucia. Nel pomeriggio siamo state a visitare Inés e Maria Salas. Poi vennero le Zegeres. Più tardi andammo dalle Salas Edwards perché Sylvia era stata operata di appendicite. Di là andammo a visitare Carmen de Castro, ma non la trovammo. Solo quando tornavamo la vidi un momento in strada. Ci abbracciammo. Eravamo felici, da tanto tempo non ci vedevamo... L'amo tanto!

Giovedì 16. - Mi trovo in campagna. Siamo arrivate alle cinque; siamo andate dappertutto. Che felicità!

Venerdì 17. - Siamo uscite a cavallo. Siamo andate a trovare lo zio Francisco e Maria Càceres (una anziana domestica), abbiamo visto anche Juan Luis Dominguez, è molto ammalato, ha degli attacchi. Ma qui, grazie a Dio, sta meglio.

Sabato 18. - Siamo usciti presto a cavallo con i miei cugini. Ci siamo divertiti molto. Poi alle due abbiamo alzato aquiloni, un gioco che mi piace molto.

Domenica 19. - Abbiamo ascoltato la Messa. Sono stata molto distratta, perché i miei cugini stavano nel presbiterio e ci guardavano. Questo mi faceva ridere. Abbiamo cantato ma non mi sono insuperbita per la mia voce. In questo Gesù mi aiuta a superarmi. Lo ringrazio con tutto il cuore.

Martedì 21. - Oggi ho avuto la gioia di comunicarmi. Mi sentivo così unita a Lui, Lo amavo tanto che mi sembrava di stare in cielo ed ho continuato in questa unione durante tutta la giornata. Gesù mio non separarti da me!

Venerdì 24. - Oggi siamo tornate in collegio. Sento disperazione e una voglia pazza di piangere. A Te, mio Gesù, offro questa pena, perché voglio soffrire per assomigliare a Te, Gesù, amore mio.

 

Soffrire con gioia

Lettere alla Vergine Maria

Sposa di Gesù - Unico Amore

Oggi, da quando mi sono alzata sono molto triste. Sembra che improvvisamente mi si spezzi il cuore. Gesù mi ha detto che voleva che soffrissi con gioia. Ciò costa molto, ma basta che Egli lo chieda perché cerchi di farlo. Mi piace la sofferenza per due ragioni: la prima perché Gesù ha sempre preferito la sofferenza dalla sua nascita fino a morire sulla croce. Quindi deve essere qualcosa di molto grande perché l'Onnipotente cerchi in tutto la sofferenza. Secondo: mi piace perché sull'incudine del dolore si modellano le anime. E perché Gesù alle anime che ama di piu invia questo regalo che tanto piacque a Lui.

Mi dico che Egli era salito al Calvario e si è steso sulla croce con gioia per la salvezza degli uomini. “Non sei forse tu quella che mi cerca e che vuole somigliare a me? Vieni dunque con me e prendi la croce con amore e gioia”.

Trovo anche in un quaderno uno scritto intitolato: "Il mio specchio".

"Il mio specchio deve essere Maria. Poiché sono sua figlia devo somigliare a Lei, così somiglierò a Gesù".

“ Non devo amare se non Gesù. Dunque il mio cuore deve avere il sigillo dell'amore di Dio. I miei occhi devono fissarsi su Gesù Crocifisso”.

"La mia lingua deve esprimergli il mio amore. Il mio piede deve incamminarsi al Calvario. Per questo il mio andare deve essere lento e raccolto. Le mie mani devono stringere il crocifisso, cioè quell'immagine divina che deve imprimersi nel mio cuore

Trovo anche una lettera che scrissi una sera in cui non ne potevo più di soffrire: "Madre cara, Madre quasi idolatrata, ti scrivo per dar sfogo al mio cuore spezzato dal dolore. Non voglio che Tu riunisca i suoi pezzi, Madre dell'anima mia, ma che zampilli, che distilli un po' di sangue. Mi soffoca il dolore, Madre. Soffro, ma sono felice soffrendo. Ho tolto la croce al mio Gesù. Egli riposa. Quale maggiore felicità per me?

Sono sola, Madre. Mamma se ne va a Villa a trovare Ignacito e noi rimarremo qui. Fino a quando? Non lo so. Finché lo vorrà Gesù, non ti pare? Soffro... non ne posso più... Solo ti domando di guarire gli infermi. Tu sai chi sono. Tu, Madre, se vuoi, lo puoi fare. Madre mia, mostra che mi sei Madre. Ascolta il grido di un'anima peccatrice che soffre e beve il calice del dolore fino alla feccia, ma non importa. Soffro ma amo solo Gesù. Voglio che Egli sia il padrone del mio cuore. Digli che lo amo, che lo adoro. Digli che voglio soffrire, che voglio morire di amore e di dolore. Che non mi importa il mondo ma soltanto Lui. Si, Madre, sono sola. Mi unisco alla Tua solitudine. Consolami, incoraggiami, consigliami, accompagnami e benedicimi.

Tu sei mia Madre e ti dico che soffro. Prima avevo una tregua al mio dolore, un raggio di luce nel mio oscuro cuore, ma quel raggio di luce ora non mi illumina né mi sorride. Quel sorriso di mia mamma mi faceva vivere e c'era due volte la settimana, ora non l'avrò. Domani sarà mercoledì e nessuno mi chiamerà in parlatorio. Vieni Tu con Tuo Figlio e la mia felicità sarà completa.

"Fa che sappia le mie lezioni, i miei ripassi, i miei esami. Che ottenga dei premi per vedere felice Te, il mio Gesù, e i miei genitori. Madre mia, Maria, ascoltami. Tua figlia".

Il 7 dicembre scrissi: "Domani è il giorno più grande della mia vita. Diventerò sposa di Gesù. Chi sono io e chi è Lui? Egli Onnipotente, Immenso, la Sapienza, Bontà e Purezza stessa si unirà ad una povera peccatrice. O Gesù, mio amore, mia consolazione, mia vita; mia gioia, mio tutto! Domani sarò tua! Gesù, amore mio!

Madre, domani sarò doppiamente tua figlia. Diventerò sposa di Gesù. Porrà al mio dito Vanello nuziale. Sono felice, perché posso dire in verità che l'unico amore del mio cuore è stato solo Lui.

Il confessore mi ha permesso di fare voto di castità per nove giorni e dopo mi indicherà le date. Sono felice. Ho scritto la mia formula: "Oggi, 8 dicembre 1915, all'età di quindici anni, faccio voto, davanti alla SS Trinità, in presenza della Vergine Maria e di tutti i santi del Cielo, di non ammettere altro Sposo se non il Signore Gesù Cristo che amo con tutto il cuore e che voglio servire fino all'ultimo istante della mia vita. Fatto durante la novena dell’Immacolata e da rinnovare con il permesso del mio confessore

Questo è tutto ciò che ho per quest’anno. Non ho più scritto il mio Diario. Ho però il mio ritiro e una lettera che scrissi a mia sorella Rebeca per comunicarle la mia vocazione Carmelitana e per chiederle che mi aiutasse. Le scrissi il giorno del suo compleanno.

Lettera a mia sorella Rebeca

15 aprile 1916

Cara Rebeca.

Approfitto un istante dello studio per farti mille auguri nel giorno del tuo compleanno, perché un anno in più di vita deve farti più seria e riflessiva e deve essere anche motivo per riflettere sulla vocazione che Dio ti ha affidato.

Credimi, Rebeca, che a quattordici o quindici anni si capisce la propria vocazione. Si sente una voce e una luce che mostra la via della propria vita.

Quel faro si è acceso per me a quattordici anni. Cambiai direzione e mi proposi il cammino che dovevo seguire e oggi vengo a farti confidenze sui progetti ideali che mi sono formato.

Fino ad oggi ci ha illuminato la stessa stella, ma domani forse non saremo unite sotto la sua ombra protettrice. Questa stella è la casa, la famiglia. E necessario separarci e i nostri cuori, che erano uno solo, domani forse si separeranno. Mi sembra che ieri non avresti capito il mio linguaggio, ma oggi hai quattordici anni, un'età in cui puoi capirmi. Credo perciò che sarai favorevole e mi darai ragione.

In poche parole ti confiderò il segreto della mia vita. Presto ci separeremo e quel desiderio che abbiamo sempre custodito dalla nostra fanciullezza, di vivere sempre unite, sarà presto infranto per un altro ideale più alto della nostra gioventù. Dovremo seguire cammini diversi nella vita. A me è toccata la parte migliore come la Maddalena. Il Divino Maestro ha avuto pietà di me, avvicinandosi mi ha detto sottovoce: "Lascia tuo padre, tua madre e tutto quanto possiedi e seguimi".

Chi potrà rifiutare la mano dell'Onnipotente che si abbassa alla più indegna delle sue creature? Come sono felice sorellina cara! Sono stata catturata nelle reti amorose del Divino Pescatore. Vorrei farti comprendere questa felicità. Posso dirti con certezza che sono sua promessa sposa e che presto celebreremo le nostre nozze al Carmelo. Sarò Carmelitana; cosa ti pare? Non vorrei avere nessuna piega nell'anima nascosta a te. Ma tu sai che non posso dirti a voce tutto ciò che sento, per questo ho deciso di farlo per iscritto.

Mi sono consegnata a Lui. L's dicembre, mi sono fidanzata. Quanto lo amo è impossibile dirlo. Il mio pensiero non si occupà che di Lui. È il mio ideale. E un ideale infinito. Sospiro il giorno nel quale entrerò al Carmelo, per non occuparmi che di Lui, per confondermi in Lui e non vivere se non la sua vita: amare e soffrire per salvare le anime. Sì, sono assetata di esse perché so che è ciò che più ama il mio Gesù. Lo amo tanto!

Vorrei infiammarti di questo amore. Che gioia la mia se potessi donarti a Lui! Non ho mai bisogno di nulla perché in Gesù trovo tutto ciò che cerco! Egli non mi abbandona mai. Il suo amore non diminuisce mai. E tanto puro. E tanto bello. È la stessa Bontà. PregaLo per me, piccola Rebeca. Ho bisogno di preghiere. Vedo che la mia vocazione è molto grande: salvare anime, dare operai alla vigna di Cristo. Tutti i sacrifici che possiamo fare sono poca cosa in confronto al valore di un'anima. Dio ha dato la sua vita per esse, e noi, come trascuriamo la sua salvezza!

Come sua promessa sposa, devo avere sete di anime, offrire al mio Fidanzato il sangue che per ognuna di esse ha sparso. E qual è il mezzo per guadagnare anime? L'orazione, la mortificazione e la sofferenza.

È venuto con una croce e su di essa vi era scritto una sola parola che ha commosso il mio cuore fino alle più intime fibre: "Amore". Com'è bello con la sua tunica insanguinata! Quel sangue vale per me più che i gioielli e i diamanti di tutta la terra.

Quelli che si amano sulla terra, mia cara Rebeca, come tu lo vedi in Lucia e Chiro, non cercano se non di avere un'anima sola e un solo ideale. Ma i loro sforzi sono vani perché le creature sono tanto impotenti. Questo non avviene nella nostra unione. Gesù vive già nel mio cuore. Cerco di unirmi, di assomigliarmi, di confondermi con Lui. Io sono la goccia di acqua e devo perdermi nell'Oceano Infinito. Ma c'è un abisso che la goccia non può varcare, allora l'oceano straripa purché la goccia di acqua rimanga nel più completo abbandono di se stessa, purché viva in un sussurro continuo, invocando l'Oceano Divino.

Ma io non sono se non un povero uccellino senza ali. Chi me le darà per andare a fare il nido per sempre vicino a Lui? L'amore: sì, lo amo e vorrei morire per Lui. Lo amo così tanto che vorrei essere martirizzata per dimostrargli che lo amo.

Senza dubbio il tuo cuore di sorella è straziato all'udirmi parlare di separazione, all'udirmi mormorare questa parola: addio per sempre sulla terra per rinchiudermi al Carmelo. Ma non temere, cara sorellina; non esisterà mai separazione tra le nostre anime. Io vivrò in Lui, cerca Gesù e in Lui mi troverai e li tutti e tre proseguiremo gli intimi colloqui che dovremo continuare là nell'eternità. Come sono felice! Ti invito a passare con Gesù nel fondo della tua anima. Ho letto di Elisabetta della Trinità che questa Santina" aveva detto a nostro Signore di fare della sua anima la sua casetta. Facciamo anche noi così. Viviamo con Gesù dentro di noi stesse, mia cara piccola, Egli ci dirà cose sconosciute. E così dolce la sua voce d'amore. E così, come Elisabetta, troveremo il cielo sulla terra, perché il cielo è Dio.

Domanderemo a Gesù nella comunione di costruire nelle nostre anime una casetta, noi forniremo il materiale che saranno i nostri atti di rinuncia e l'oblio di noi stesse, facendo sparire l'io che è il dio che adoriamo interiormente. Questo costa e ci strapperà grida di dolore. Ma Gesù chiede questo trono ed è necessario darglielo. La carità deve essere l'arma per combattere quel dio.

Occupiamoci del prossimo, di servirlo, anche se il farlo ci causa ripugnanza. In questo modo otterremo che il trono del nostro cuore sia occato da suo Padre, da Dio nostro creatore.

Sforziamo di vincerci. Ubbidiamo in tutto. Siamo umli. Siamo così miserabili! iamo pazienti e puri come gli angeli e avremo la felicità di vedere che Gesù, che è un buon architetto, edificherà una seconda casa di Betania, dove tu ti occuperai di servirio nella persona del tuo prossimo, come faceva Maria, ed io, come Maddalena, rimarrò contemplandolo e ascoltando la Sua Parola di vita. È impossibile che, mentre siamo in collegio, Egli esiga da noi quell'unione totale che consiste nell'occuparsi solo di Lui, ma possiamo ad ogni ora offrirgli un mazzolino di amore.

Amiamo il Divino Bambino che soffre tanto senza trovare conforto nelle creature. Egli trovi nelle nostre anime un rifugio, un asilo dove rifugiarsi in mezzo all'odio dei suoi nemici, e un giardino di delizie che gli faccia dimenticare l'oblio dei suoi amici.

Termino, addio. Rispondi a questa mia lettera. Conservami il più completo segreto. Tua sorella che ti ama in Gesù.

Esercizi anno 1916

Per far bene gli esercizi sono necessarie due cose:

1° coraggio e generosità;

2° mettersi nelle mani di Dio.

Prima Meditazione. - Da Dio, di Dio e per Dio. Questo è il fine di ogni creatura. Fummo creati da Dio. Che bontà quella di Dio! Ci teneva nella sua mente dall'eternità e poi ci trasse dal nulla. Sono un po' di fango, ma in me c'è qualcosa di più grande: la mia anima, che Dio fece a sua immagine e somiglianza. Quindi l'unica cosa di valore in me è l'anima, perché è immortale. Perciò è più grande del mondo. Di conseguenza è di Dio, l'unico capace di saziarla perché è infinito. Sono di Dio. Egli mi creò. È’ il mio principio e il mio fine. Per essere interamente sua devo compiere perfettamente la sua divina volontà. Se Lui è mio Padre e conosce il presente, il passato e l'avvenire, perché non abbandonarmi a Lui in piena fiducia?

Conversazione. - Sull'esame particolare. Su un peccato o difetto capitale o per raggiungere una virtù.

Seconda Meditazione. - Perché siamo stati creati? Per servire e amare Dio sopra ogni cosa. Dio dotò l'uomo di ragione perché comprendesse il beneficio della creazione. Come dobbiamo servire Dio? Come un servo il suo padrone, facendo ciò che a lui piace. Dio ci manifesta la sua volontà, se la compio lo glorifico, ma facendo sempre ciò che è più perfetto. Per servire Dio dobbiamo essere indifferenti a tutto quello che non gli dà gloria. Dobbiamo porre Dio come fine del nostro agire, guardare all’amore che ha per noi in ogni avvenimento che ci manda, guardare tutto come dei gradini che ci avvicinano a Lui. Il nostro cuore non deve attaccarsi alle cose del mondo, ma a Dio. Tenerlo puro da ogni amore disordinato, poiché tutto è perituro, e amare ciò che ci porta a Dio.

Terza Meditazione. - Il peccato è un mostro. I primi due peccati. Lucifero in cielo, per un solo peccato di pensiero, è diventato demonio. E quanti peccati ho commesso nella mia vita? E Dio non mi ha castigato, anzi, al contrario mi ha colmato di grazie. Quante volte mi ha perdonato! Rigettò invece per una sola disobbedienza i nostri progenitori. Come potrò ripagarti, mio Dio? Allontanati, peccato, da me. Ti aborrisco con odio terribile. Voglio esser di Dio. Voglio morire piuttosto che commetterti. Perdono, mio Dio, perdono, bontà e misericordia infinita. Preferisco morire piuttosto che offenderti, sia pure con la più leggera mancanza. Ti amo e il peccato mi allontana da te.

Conversazione. - Sulla vanità della vita. Dell'amore ordinato che dobbiamo avere per tutte le cose. Che il nostro cuore deve appartenere sempre alla SS. Trinità. Voglio vivere dentro la mia anima in modo da contemplare sempre Dio in essa.

Vi sono tre stati d'animo: 1) quando si è in peccato mortale, si è attratti dalla sensualità e si vive in essa; 2) quando si è in grazia, si sente pace, consolazioni interiori e desideri di essere buona; 3) quando l'anima non sente nessuna consolazione interiore, ma sente gli impulsi della grazia, li segue e resiste alla natura. È lo stato migliore perché viviamo nell'umiltà.

Quarta Meditazione. - La Maddalena pentita. Signore, come sei grande nella tua misericordia, mi prostro ai tuoi piedi e li lavo con il pianto. Si, Gesù adorato, ho peccato, ma tu mi hai salvato. Vengo ad umiliarmi davanti al tuo ministro che ti rappresenta. Sì, Gesù, tu che hai perdonato la Maddalena, perdona una peccatrice più grande di lei. Io ti ho amato tutta la vita e spero di amarti fino alla fine. Perdonami, Gesù, non sapevo cosa facevo quando ti offendevo. Sì, Gesù, morire piuttosto che offenderti.

Come la Maddalena voglio ritirarmi a servirti per stare sempre vicino a Te. Non amo altri che Te. Voglio unirmi a Te per sempre, perché la felicità consiste solo nell'amarti.

Quinta Meditazione. - Parabola di un re che invita i suoi sudditi a conquistare una terra infedele. Gesù ci invita alla conquista del regno del suo Sacro Cuore. Per questo dobbiamo: 1) Riformare noi stessi. Essere disposti a tutte le sofferenze per godere poi con Lui nel cielo. 2) Sceglie per me tutti questi doni. Non dovrò riceverli con gioia dal momento che Egli mi creò preferendomi a tante anime, che mi conserva in vita, che mi ha liberato dall'inferno e più ancora, che ha sofferto durante trentatré anni ogni sorta di travagli ed infine che morì sulla croce come il più infame degli uomini, fra due ladroni, ritenuto un malfattore, stregone, traditore, pazzo e bestemmiatore? E non desidererò soffrire nulla per suo amore! Io che sono "un nulla criminale", mentre Egli soffre essendo Dio ed avendo diritto ad essere adorato e servito dalle sue creature. O Gesù, eccomi prostrata davanti alla tua divina Maestà, piena di confusione e vergogna nel vedere la mia piccolezza e miseria e i miei molti peccati. Fino a quando, Gesù avrai pietà di questa peccatrice? Fin d'ora mi pongo tra le tue mani divine. Fa di me ciò che vuoi! Si, sono disposta ad essere umiliata per castigare il mio orgoglio. Voglio, sposo adorato, vivere nascosta, sparire in te, non avere altra vita che la tua, nòn occuparmi se non di te. Ed ora che sono purificata voglio che la SS. Trinità venga ad abitare nella mia anima per adorarla e vivere costantemente alla sua presenza. Ed infine ti dico che faccio voto in presenza della SS. Trinità, della Santissima Vergine, di San Giuseppe, dei Santi e angeli del cielo, di non avere altro sposo che Gesù, unico amore della mia anima'.

J.MJ. Risoluzioni A.M.D.G.

Maria, Madre mia, benedicimi

1) Farò l'esame particolare.

2) Praticherò il terzo grado di umiltà che consiste nel cercare disprezzi, disonori, umiliazioni con gioia e per amore di Gesù Cristo, considerandomi indegna di soffrire qualcosa per Lui.

3) Mi rialzerò e mi imporrò una mortificazione, se me lo permettono, ogni volta che cadrò. Gesù mio, ora ho visto che tutto ciò che è del mondo è vanità; che una sola cosa è necessaria: amarti e servirti con fedeltà, assomigliarmi in tutto a Te. In questo consisterà la mia ambizione. Con Te voglio accettare tutti gli affronti con gioia. E se per debolezza cado, Gesù, Ti guarderò mentre sali al calvario e con il Tuo aiuto mi rialzerò. Non permettere che ti offenda neppure lievemente. Preferisco mille morti piuttosto che darti la più leggera pena.

Madre, giglio tra le spine, insegnami la via del calvario. Conducimi per mano per quel sentiero. San Giuseppe, custode delle vergini, custodiscimi.


19-20 Maggio 13, 1926 Imaggine di chi opera per fini umani, e chi opera per compiere la Volontà Divina. Come Nostro Signore è il palpito della Creazione. Nell’adempimento del proprio dovere c’è la santità.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Stavo facendo la mia solita adorazione al mio crocifisso Gesù, e mentre pregavo mi son sentito vicino il mio dolce Gesù, che gettandomi il braccio al collo mi stringeva forte a Sé, e nel medesimo tempo mi faceva vedere il mio ultimo confessore defunto, mi pareva di vederlo pensoso, tutto raccolto, ma senza dirmi nulla, il mio Gesù lo guardava e mi ha detto:

(2) “Figlia mia, il tuo confessore si ha trovato cose grandi innanzi a Me, perché quando intraprendeva un ufficio, un impegno, non tralasciava nulla per compiere esattamente quell’ufficio, era attentissimo, faceva dei grandi sacrifici, e se era necessario si disponeva anche a mettere la propria vita per fare che il suo ufficio fosse compito esattamente; aveva un timore, che le opere a lui affidate, se non operasse come si conveniva al suo ufficio, potesse essere lui d’ostacolo alla stessa opera a lui affidata, questo significa che apprezzava e dava il valore giusto alle mie opere, e la sua attenzione attirava la grazia che ci voleva per il disimpegno del suo ufficio; questo, apparentemente non sembra un gran che, ma invece è tutto, perché quando uno è chiamato per un ufficio, e compie i doveri che ci sono in quell’ufficio, significa che lo fa per Dio, e nell’adempimento del proprio dovere c’è la santità. Onde, lui è venuto innanzi a Me col compimento dei propri doveri a lui affidati, come non dovevo rimunerarlo come lui si meritava?”.

(3) Ora, mentre Gesù ciò diceva, il confessore, come si se accentrasse di più in un raccoglimento più profondo e nel suo volto rifletteva la luce di Gesù, ma non mi ha detto neppure una parola. Quindi Gesù ha ripreso il suo dire:

(4) “Figlia mia, quando un soggetto occupa un ufficio e fa uno sbaglio, non è attento ai doveri che impone il suo ufficio, può far venire dei grandi guai; supponi uno che tiene l’ufficio di giudice, di re, di ministro, di sindaco, fa uno sbaglio, né sta attento ai propri doveri, può far venire la rovina di famiglie, di paesi e anche di regni interi; se quello sbaglio, quelle mancanze d’attenzione li facesse una persona privata che non occupa quel dato ufficio, non potrebbe portare tanto male, perciò le mancanze negli uffici pesano di più e portano più gravi conseguenze, ed Io quando chiamo un confessore per dargli un ufficio, ed in quest’ufficio gli affido un’opera mia, e non veggo l’attenzione né il compimento dei propri doveri che ci sono in quell’ufficio, non gli do né la grazia necessaria né la luce sufficiente per fargli comprendere tutta l’importanza della mia opera, né posso fidarmi di lui, perché veggo che non apprezza l’opera da Me affidatagli. Figlia mia, chi opera esattamente il suo ufficio, significa che lo fa per compiere la mia Volontà, invece chi lo fa diversamente, significa che lo fa per fini umani, e se tu sapessi la differenza che c’è tra l’uno e l’altro”.

(5) In questo mentre vedevo due persone davanti a me, uno che andava raccogliendo pietre, stracci vecchi, ferro arrugginito, pezzi di creta, tutte cose pesanti e di pochissimo valore; poveretto, stentava, sudava sotto il peso di quelle robacce, molto più che non gli davano il valore necessario per sfamarsi la fame. L’altro andava raccogliendo granelli di brillanti, piccole gemme e pietre preziose, tutte cose leggerissime ma di valore incalcolabile, ed il mio dolce Gesù ha soggiunto:

(6) “Quello che va raccogliendo robacce è l’immagine di chi opera per fini umani; l’umano porta sempre il peso della materia. L’altro è l’immagine di chi opera per compiere la Volontà Divina; che differenza tra l’uno e l’altro, i granelli di brillanti sono le mie verità, le conoscenze della mia Volontà, che raccolte dall’anima formano tanti brillanti per sé. Ora, se si perde qualcuna di quelle robacce o non si raccoglie, non farà quasi nessun danno, ma se si perde o non si raccoglie uno di quei granellini di brillanti, farà molto danno, perché sono di valore incalcolabile e pesano quanto può pesare un Dio; e se si perde per causa di chi ha l’ufficio di raccogliere, qual conto non darà egli, avendo fatto perdere un granello di valore infinito che poteva far chi sa quanto bene alle altre creature?”.

(7) Dopo ciò, il mio dolce Gesù metteva il suo cuore in me e mi faceva sentire il suo palpito dicendomi:

(8) “Figlia mia, Io sono il palpito di tutta la Creazione, se mancasse il mio palpito mancherebbe la vita a tutte le cose create. Ora, Io amo tanto chi vive nella mia Volontà, che non so stare senza di essa, e la voglio insieme con Me a fare ciò che faccio Io, dunque, tu palpiterai insieme con Me, e tra tante prerogative che ti darò, ti darò la prerogativa del palpito di tutta la Creazione; nel palpito sta la vita, il moto, il calore, sicché starai insieme con Me a dare la vita, il moto ed il calore a tutto”.

(9) Ma mentre ciò diceva, io mi sentivo che mi muovevo e palpitavo in tutte le cose create, e Gesù ha soggiunto:

(10) “Chi vive nella mia Volontà è inseparabile da Me, ed Io non so stare senza la sua compagnia, non voglio essere isolato, perché la compagnia rende più gradite, più dilettevoli, più belle le opere che si sostengono, perciò la tua compagnia mi è necessaria per spezzare il mio isolamento in cui mi lasciano le altre creature”.