Liturgia delle Ore - Letture
Domenica della 6° settimana del Tempo di Pasqua
Vangelo secondo Giovanni 13
1Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.2Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo,3Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava,4si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita.5Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto.6Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: "Signore, tu lavi i piedi a me?".7Rispose Gesù: "Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo".8Gli disse Simon Pietro: "Non mi laverai mai i piedi!". Gli rispose Gesù: "Se non ti laverò, non avrai parte con me".9Gli disse Simon Pietro: "Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!".10Soggiunse Gesù: "Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti".11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: "Non tutti siete mondi".
12Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: "Sapete ciò che vi ho fatto?13Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono.14Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri.15Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi.16In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato.17Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica.18Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma si deve adempiere la Scrittura: 'Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno'.19Ve lo dico fin d'ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono.20In verità, in verità vi dico: Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato".
21Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: "In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà".22I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse.23Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù.24Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: "Di', chi è colui a cui si riferisce?".25Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: "Signore, chi è?".26Rispose allora Gesù: "È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò". E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone.27E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: "Quello che devi fare fallo al più presto".28Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo;29alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: "Compra quello che ci occorre per la festa", oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri.30Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte.
31Quand'egli fu uscito, Gesù disse: "Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui.32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire.34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri".
36Simon Pietro gli dice: "Signore, dove vai?". Gli rispose Gesù: "Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi".37Pietro disse: "Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!".38Rispose Gesù: "Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m'abbia rinnegato tre volte".
Secondo libro delle Cronache 34
1Quando Giosia divenne re, aveva otto anni; regnò trentun anni in Gerusalemme.2Egli fece ciò che è retto agli occhi del Signore e seguì le strade di Davide suo antenato, senza fuorviare in nulla.
3Nell'anno ottavo del suo regno, era ancora un ragazzo, cominciò a ricercare il Dio di Davide suo padre. Nell'anno decimosecondo cominciò a purificare Giuda e Gerusalemme, eliminando le alture, i pali sacri e gli idoli scolpiti o fusi.4Sotto i suoi occhi furono demoliti gli altari di Baal; infranse gli altari per l'incenso, che vi erano sopra; distrusse i pali sacri e gli idoli scolpiti o fusi, riducendoli in polvere che sparse sui sepolcri di coloro che avevano sacrificato a tali cose.5Le ossa dei sacerdoti le bruciò sui loro altari; così purificò Giuda e Gerusalemme.6Lo stesso fece nella città di Manàsse, di Efraim e di Simeone fino a Nèftali, nei loro villaggi devastati.7Demolì gli altari; fece a pezzi i pali sacri e gli idoli in modo da ridurli in polvere; demolì tutti gli altari per l'incenso in tutto il paese di Israele; poi fece ritorno a Gerusalemme.
8Nell'anno decimottavo del suo regno, dopo aver purificato il paese e il tempio, affidò a Safàn figlio di Asalia, a Maaseia governatore della città, e a Ioach figlio di Ioacaz, archivista, il restauro del tempio del Signore suo Dio.9Costoro si presentarono al sommo sacerdote Chelkia e gli consegnarono il denaro depositato nel tempio; l'avevano raccolto i leviti custodi della soglia da Manàsse, da Èfraim e da tutto il resto di Israele, da tutto Giuda, da Beniamino e dagli abitanti di Gerusalemme.10Lo misero in mano ai direttori dei lavori che sovraintendevano al tempio ed essi l'utilizzarono per gli operai che lavoravano nel tempio per restaurarlo e rafforzarlo.11Lo diedero ai falegnami e ai muratori per l'acquisto di pietre da taglio e di legname per l'armatura e la travatura dei locali lasciati rovinare dai re di Giuda.
12Quegli uomini lavoravano con fedeltà; erano stati loro preposti per la direzione Iacat e Abdia, leviti dei figli di Merari, Zaccaria e Mesullàm, Keatiti. Leviti esperti di strumenti musicali13sorvegliavano i portatori e dirigevano quanti compivano lavori di qualsiasi genere; altri leviti erano scribi, ispettori e portieri.
14Mentre si prelevava il denaro depositato nel tempio, il sacerdote Chelkia trovò il libro della legge del Signore, data per mezzo di Mosè.15Chelkia prese la parola e disse allo scriba Safàn: "Ho trovato nel tempio il libro della legge". Chelkia diede il libro a Safàn.16Safàn portò il libro dal re; egli inoltre riferì al re: "Quanto è stato ordinato, i tuoi servitori lo eseguiscono.17Hanno versato il denaro trovato nel tempio e l'hanno consegnato ai sorveglianti e ai direttori dei lavori".18Poi lo scriba Safàn annunziò al re: "Il sacerdote Chelkia mi ha dato un libro". Safàn ne lesse una parte alla presenza del re.19Udite le parole della legge, il re si strappò le vesti20e comandò a Chelkia, ad Achikam figlio di Safàn, ad Abdon figlio di Mica, allo scriba Safàn e ad Asaia ministro del re:21"Andate, consultate il Signore per me e per quanti sono rimasti in Israele e in Giuda riguardo alle parole di questo libro ora trovato; grande infatti è la collera del Signore, che si è accesa contro di noi, poiché i nostri padri non hanno ascoltato le parole del Signore facendo quanto sta scritto in questo libro".
22Chelkia insieme con coloro che il re aveva designati si recò dalla profetessa Culda moglie di Sallùm, figlio di Tokat, figlio di Casra, il guardarobiere; essa abitava nel secondo quartiere di Gerusalemme. Le parlarono in tal senso23ed essa rispose loro: "Dice il Signore Dio di Israele: Riferite all'uomo che vi ha inviati da me:24Dice il Signore: Ecco, io farò piombare una sciagura su questo luogo e sui suoi abitanti, tutte le maledizioni scritte nel libro letto davanti al re di Giuda,25perché hanno abbandonato me e hanno bruciato incenso ad altri dèi provocandomi a sdegno con tutte le opere delle loro mani. La mia collera si accenderà contro questo luogo e non si potrà spegnere.26Al re di Giuda, che vi ha inviati a consultare il Signore, riferirete: Dice il Signore, Dio di Israele: A proposito delle parole che hai udito,27poiché il tuo cuore si è intenerito e ti sei umiliato davanti a Dio, udendo le mie parole contro questo luogo e contro i suoi abitanti; poiché ti sei umiliato davanti a me, ti sei strappate le vesti e hai pianto davanti a me, anch'io ho ascoltato. Oracolo del Signore!28Ecco, io ti riunirò con i tuoi padri e sarai deposto nel tuo sepolcro in pace. I tuoi occhi non vedranno tutta la sciagura che io farò piombare su questo luogo e sui suoi abitanti". Quelli riferirono il messaggio al re.
29Allora il re inviò dei messi e radunò tutti gli anziani di Giuda e di Gerusalemme.30Il re, insieme con tutti gli uomini di Giuda, con gli abitanti di Gerusalemme, i sacerdoti, i leviti e tutto il popolo, dal più grande al più piccolo, salì al tempio. Egli fece leggere ai loro orecchi tutte le parole del libro dell'alleanza, trovato nel tempio.31Il re, stando in piedi presso la colonna, concluse un'alleanza davanti al Signore, impegnandosi a seguire il Signore, a osservarne i comandi, le leggi e i decreti con tutto il cuore e con tutta l'anima, eseguendo le parole dell'alleanza scritte in quel libro.32Fece impegnare quanti si trovavano in Gerusalemme e in Beniamino. Gli abitanti di Gerusalemme agirono secondo l'alleanza di Dio, del Dio dei loro padri.33Giosia rimosse tutti gli abomini da tutti i territori appartenenti agli Israeliti; costrinse quanti si trovavano in Israele a servire il Signore loro Dio. Finché egli visse non desistettero dal seguire il Signore, Dio dei loro padri.
Giobbe 18
1Bildad il Suchita prese a dire:
2Quando porrai fine alle tue chiacchiere?
Rifletti bene e poi parleremo.
3Perché considerarci come bestie,
ci fai passare per bruti ai tuoi occhi?
4Tu che ti rodi l'anima nel tuo furore,
forse per causa tua sarà abbandonata la terra
e le rupi si staccheranno dal loro posto?
5Certamente la luce del malvagio si spegnerà
e più non brillerà la fiamma del suo focolare.
6La luce si offuscherà nella sua tenda
e la lucerna si estinguerà sopra di lui.
7Il suo energico passo s'accorcerà
e i suoi progetti lo faran precipitare,
8poiché incapperà in una rete con i suoi piedi
e sopra un tranello camminerà.
9Un laccio l'afferrerà per il calcagno,
un nodo scorsoio lo stringerà.
10Gli è nascosta per terra una fune
e gli è tesa una trappola sul sentiero.
11Lo spaventano da tutte le parti terrori
e lo inseguono alle calcagna.
12Diventerà carestia la sua opulenza
e la rovina è lì in piedi al suo fianco.
13Un malanno divorerà la sua pelle,
roderà le sue membra il primogenito della morte.
14Sarà tolto dalla tenda in cui fidava,
per essere trascinato al re dei terrori!
15Potresti abitare nella tenda che non è più sua;
sulla sua dimora si spargerà zolfo.
16Al di sotto, le sue radici si seccheranno,
sopra, saranno tagliati i suoi rami.
17Il suo ricordo sparirà dalla terra
e il suo nome più non si udrà per la contrada.
18Lo getteranno dalla luce nel buio
e dal mondo lo stermineranno.
19Non famiglia, non discendenza avrà nel suo
popolo,
non superstiti nei luoghi della sua dimora.
20Della sua fine stupirà l'occidente
e l'oriente ne prenderà orrore.
21Ecco qual è la sorte dell'iniquo:
questa è la dimora di chi misconosce Dio.
Salmi 109
1'Al maestro del coro. Di Davide. Salmo.'
Dio della mia lode, non tacere,
2poiché contro di me si sono aperte
la bocca dell'empio e dell'uomo di frode;
parlano di me con lingua di menzogna.
3Mi investono con parole di odio,
mi combattono senza motivo.
4In cambio del mio amore mi muovono accuse,
mentre io sono in preghiera.
5Mi rendono male per bene
e odio in cambio di amore.
6Suscita un empio contro di lui
e un accusatore stia alla sua destra.
7Citato in giudizio, risulti colpevole
e il suo appello si risolva in condanna.
8Pochi siano i suoi giorni
e il suo posto l'occupi un altro.
9I suoi figli rimangano orfani
e vedova sua moglie.
10Vadano raminghi i suoi figli, mendicando,
siano espulsi dalle loro case in rovina.
11L'usuraio divori tutti i suoi averi
e gli estranei faccian preda del suo lavoro.
12Nessuno gli usi misericordia,
nessuno abbia pietà dei suoi orfani.
13La sua discendenza sia votata allo sterminio,
nella generazione che segue sia cancellato il suo nome.
14L'iniquità dei suoi padri sia ricordata al Signore,
il peccato di sua madre non sia mai cancellato.
15Siano davanti al Signore sempre
ed egli disperda dalla terra il loro ricordo.
16Perché ha rifiutato di usare misericordia
e ha perseguitato il misero e l'indigente,
per far morire chi è affranto di cuore.
17Ha amato la maledizione: ricada su di lui!
Non ha voluto la benedizione: da lui si allontani!
18Si è avvolto di maledizione come di un mantello:
è penetrata come acqua nel suo intimo
e come olio nelle sue ossa.
19Sia per lui come vestito che lo avvolge,
come cintura che sempre lo cinge.
20Sia questa da parte del Signore
la ricompensa per chi mi accusa,
per chi dice male contro la mia vita.
21Ma tu, Signore Dio,
agisci con me secondo il tuo nome:
salvami, perché buona è la tua grazia.
22Io sono povero e infelice
e il mio cuore è ferito nell'intimo.
23Scompaio come l'ombra che declina,
sono sbattuto come una locusta.
24Le mie ginocchia vacillano per il digiuno,
il mio corpo è scarno e deperisce.
25Sono diventato loro oggetto di scherno,
quando mi vedono scuotono il capo.
26Aiutami, Signore mio Dio,
salvami per il tuo amore.
27Sappiano che qui c'è la tua mano:
tu, Signore, tu hai fatto questo.
28Maledicano essi, ma tu benedicimi;
insorgano quelli e arrossiscano,
ma il tuo servo sia nella gioia.
29Sia coperto di infamia chi mi accusa
e sia avvolto di vergogna come d'un mantello.
30Alta risuoni sulle mie labbra la lode del Signore,
lo esalterò in una grande assemblea;
31poiché si è messo alla destra del povero
per salvare dai giudici la sua vita.
Isaia 5
1Canterò per il mio diletto
il mio cantico d'amore per la sua vigna.
Il mio diletto possedeva una vigna
sopra un fertile colle.
2Egli l'aveva vangata e sgombrata dai sassi
e vi aveva piantato scelte viti;
vi aveva costruito in mezzo una torre
e scavato anche un tino.
Egli aspettò che producesse uva,
ma essa fece uva selvatica.
3Or dunque, abitanti di Gerusalemme
e uomini di Giuda,
siate voi giudici fra me e la mia vigna.
4Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna
che io non abbia fatto?
Perché, mentre attendevo che producesse uva,
essa ha fatto uva selvatica?
5Ora voglio farvi conoscere
ciò che sto per fare alla mia vigna:
toglierò la sua siepe
e si trasformerà in pascolo;
demolirò il suo muro di cinta
e verrà calpestata.
6La renderò un deserto,
non sarà potata né vangata
e vi cresceranno rovi e pruni;
alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia.
7Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti
è la casa di Israele;
gli abitanti di Giuda
la sua piantagione preferita.
Egli si aspettava giustizia
ed ecco spargimento di sangue,
attendeva rettitudine
ed ecco grida di oppressi.
8Guai a voi, che aggiungete casa a casa
e unite campo a campo,
finché non vi sia più spazio,
e così restate soli ad abitare
nel paese.
9Ho udito con gli orecchi il Signore degli eserciti:
"Certo, molti palazzi
diventeranno una desolazione,
grandi e belli
saranno senza abitanti".
10Poiché dieci iugeri di vigna
produrranno solo un 'bat'
e un 'comer' di seme
produrrà un''efa'.
11Guai a coloro che si alzano presto al mattino
e vanno in cerca di bevande inebrianti
e si attardano alla sera
accesi in volto dal vino.
12Ci sono cetre e arpe,
timpani e flauti
e vino per i loro banchetti;
ma non badano all'azione del Signore,
non vedono l'opera delle sue mani.
13Perciò il mio popolo sarà deportato
senza che neppure lo sospetti.
I suoi grandi periranno di fame,
il suo popolo sarà arso dalla sete.
14Pertanto gli inferi dilatano le fauci,
spalancano senza misura la bocca.
Vi precipitano dentro la nobiltà e il popolo,
il frastuono e la gioia della città.
15L'uomo sarà umiliato, il mortale sarà abbassato,
gli occhi dei superbi si abbasseranno.
16Sarà esaltato il Signore degli eserciti nel giudizio
e il Dio santo si mostrerà santo nella giustizia.
17Allora vi pascoleranno gli agnelli come nei loro prati,
sulle rovine brucheranno i capretti.
18Guai a coloro che si tirano addosso il castigo
con corde da buoi
e il peccato con funi da carro,
19che dicono: "Faccia presto,
acceleri pure l'opera sua,
perché la vediamo;
si facciano più vicini e si compiano
i progetti del Santo di Israele,
perché li conosciamo".
20Guai a coloro che chiamano
bene il male e male il bene,
che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre,
che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro.
21Guai a coloro che si credono sapienti
e si reputano intelligenti.
22Guai a coloro che sono gagliardi nel bere vino,
valorosi nel mescere bevande inebrianti,
23a coloro che assolvono per regali un colpevole
e privano del suo diritto l'innocente.
24Perciò, come una lingua di fuoco divora la stoppia
e una fiamma consuma la paglia,
così le loro radici diventeranno un marciume
e la loro fioritura volerà via come polvere,
perché hanno rigettato la legge del Signore degli eserciti,
hanno disprezzato la parola del Santo di Israele.
25Per questo è divampato
lo sdegno del Signore contro il suo popolo,
su di esso ha steso la sua mano per colpire;
hanno tremato i monti,
i loro cadaveri erano come lordura
in mezzo alle strade.
Con tutto ciò non si calma la sua ira
e la sua mano resta ancora tesa.
26Egli alzerà un segnale a un popolo lontano
e gli farà un fischio all'estremità della terra;
ed ecco verrà veloce e leggero.
27Nessuno fra essi è stanco o inciampa,
nessuno sonnecchia o dorme,
non si scioglie la cintura dei suoi fianchi
e non si slaccia il legaccio dei suoi sandali.
28Le sue frecce sono acuminate,
e ben tesi tutti i suoi archi;
gli zoccoli dei suoi cavalli sono come pietre
e le ruote dei suoi carri come un turbine.
29Il suo ruggito è come quello di una leonessa,
ruggisce come un leoncello;
freme e afferra la preda,
la pone al sicuro, nessuno gliela strappa.
30Fremerà su di lui in quel giorno
come freme il mare;
si guarderà la terra: ecco, saranno tenebre, angoscia
e la luce sarà oscurata dalla caligine.
Lettera ai Romani 16
1Vi raccomando Febe, nostra sorella, diaconessa della Chiesa di Cencre:2ricevetela nel Signore, come si conviene ai credenti, e assistetela in qualunque cosa abbia bisogno; anch'essa infatti ha protetto molti, e anche me stesso.
3Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù; per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa,4e ad essi non io soltanto sono grato, ma tutte le Chiese dei Gentili;5salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa.
Salutate il mio caro Epèneto, primizia dell'Asia per Cristo.6Salutate Maria, che ha faticato molto per voi.7Salutate Andronìco e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia; sono degli apostoli insigni che erano in Cristo già prima di me.8Salutate Ampliato, mio diletto nel Signore.9Salutate Urbano, nostro collaboratore in Cristo, e il mio caro Stachi.10Salutate Apelle che ha dato buona prova in Cristo. Salutate i familiari di Aristòbulo.11Salutate Erodione, mio parente. Salutate quelli della casa di Narcìso che sono nel Signore.12Salutate Trifèna e Trifòsa che hanno lavorato per il Signore. Salutate la carissima Pèrside che ha lavorato per il Signore.13Salutate Rufo, questo eletto nel Signore, e la madre sua che è anche mia.14Salutate Asìncrito, Flegónte, Erme, Pàtroba, Erma e i fratelli che sono con loro.15Salutate Filòlogo e Giulia, Nèreo e sua sorella e Olimpas e tutti i credenti che sono con loro.16Salutatevi gli uni gli altri con il bacio santo. Vi salutano tutte le chiese di Cristo.
17Mi raccomando poi, fratelli, di ben guardarvi da coloro che provocano divisioni e ostacoli contro la dottrina che avete appreso: tenetevi lontani da loro.18Costoro, infatti, non servono Cristo nostro Signore, ma il proprio ventre e con un parlare solenne e lusinghiero ingannano il cuore dei semplici.
19La fama della vostra obbedienza è giunta dovunque; mentre quindi mi rallegro di voi, voglio che siate saggi nel bene e immuni dal male.20Il Dio della pace stritolerà ben presto satana sotto i vostri piedi. La grazia del Signor nostro Gesù Cristo sia con voi.
21Vi saluta Timòteo mio collaboratore, e con lui Lucio, Giàsone, Sosìpatro, miei parenti.22Vi saluto nel Signore anch'io, Terzo, che ho scritto la lettera.23Vi saluta Gaio, che ospita me e tutta la comunità. Vi salutano Erasto, tesoriere della città, e il fratello Quarto.
24.25A colui che ha il potere di confermarvi
secondo il vangelo che io annunzio
e il messaggio di Gesù Cristo,
secondo la rivelazione del mistero
taciuto per secoli eterni,
26ma rivelato ora
e annunziato mediante le scritture profetiche,
per ordine dell'eterno Dio, a tutte le genti
perché obbediscano alla fede,
27a Dio che solo è sapiente,
per mezzo di Gesù Cristo,
la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Capitolo XLV: Non fare affidamento su alcuno: le parole facilmente ingannano
Leggilo nella Biblioteca1. "Aiutami, o Signore, nella tribolazione, perché è vana la salvezza che viene dagli uomini" (Sal 59,13). Quante volte non trovai affatto fedeltà, proprio là dove avevo creduto di poterla avere; e quante volte, invece, la trovai là dove meno avevo creduto. Vana è, dunque, la speranza negli uomini, mentre in te, o Dio, sta la salvezza dei giusti. Sii benedetto, o Signore mio Dio, in tutto quanto ci accade. Deboli siamo, e malfermi; facilmente ci inganniamo e siamo mutevoli. Quale uomo è tanto prudente e tanto attento da saper sempre custodire se stesso, così da non cadere mai in qualche delusione e incertezza? Ma non cadrà così facilmente colui che confida in te, o Signore, e ti cerca con semplicità di cuore. Che se incontrerà una tribolazione, in qualunque modo sia oppresso, subitamente ne sarà strappato da te, o sarà da te consolato, poiché tu non abbandoni chi spera in te, fino all'ultimo. Cosa rara è un amico sicuro, che resti tale in tutte le angustie dell'amico. Ma tu, o Signore, tu solo sei sempre pienamente fedele: non c'è amico siffatto, fuori di te.
2. Quale profonda saggezza ci fu in quell'anima santa che poté dire: il mio spirito è saldo, e fondato su Cristo! Se così fosse anche per me, non sarei tanto facilmente agitato da timori umani, né mi sentirei ferito dalle parole. Chi può mai prevedere ogni cosa e cautelarsi dai mali futuri? Se, spesso, anche ciò che era previsto riesce dannoso, con quanta durezza ci colpirà ciò che è imprevisto? Perché non ho meglio provveduto a me misero?; e perché mi sono affidato tanto leggermente ad altri? Siamo uomini, nient'altro che fragili uomini, anche se molti ci ritengono e ci dicono angeli. Oh, Signore, a chi crederò; a chi, se non a te? Tu sei la verità che non inganna e non può essere ingannata; mentre "l'uomo è sempre bugiardo" (Sal 115,11), debole, insicuro e mutevole, specie nelle parole, tanto che a stento ci si può fidare subito di quello che, in apparenza, pur ci sembra buono. Con quanta sapienza tu già ci avevi ammonito che ci dobbiamo guardare dagli uomini; che "nemici dell'uomo sono i suoi più vicini" (Mt 10,36); che non si deve credere se uno dice: "ecco qua, ecco là!" (Mt 24,23; Mc 13,21)! Ho imparato a mie spese, e voglia il cielo che ciò mi serva per acquistare maggiore prudenza e non ricadere nella stoltezza. Bada, mi dice taluno, bada bene, e serba per te quel che ti dico. Ma, mentre io sto zitto zitto, credendo che la cosa resti segreta, neppure lui riesce a tacere ciò per cui mi aveva chiesto il silenzio: improvvisamente mi tradisce, tradendo anche se stesso; e se ne va. Oh, Signore, difendimi da siffatte fandonie e dalla gente stolta, cosicché io non cada nelle loro mani, e mai non commetta simili cose. Da' alla mia bocca una parola vera e sicura, e lontana da me il linguaggio dell'inganno. Che io mi guardi in ogni modo da ciò che non vorrei dover sopportare da altri.
3. Quanta bellezza e quanta pace, fare silenzio intorno agli altri; non credere pari pari ad ogni cosa, né andare ripetendola; rivelare sé stesso soltanto a pochi; cercare sempre te, che scruti i cuori, senza lasciarsi portare di qua e di là da ogni vuoto discorso; volere che ogni cosa interiore ed esterna, si compia secondo la tua volontà! Quale tranquillità, fuggire le apparenze umane, per conservare la grazia celeste; non ambire a ciò che sembri assicurare ammirazione all'esterno, e inseguire invece, con ogni sollecitudine, ciò che assicura emendazione di vita e fervore! Di quanto danno fu, per molti, una virtù a tutti nota e troppo presto lodata. Di quanto vantaggio fu, invece, una grazia conservata nel silenzio, durante questa nostra fragile vita, della quale si dice a ragione che è tutta una tentazione e una lotta!
DISCORSO 330 NEL NATALE DEI MARTIRI
Discorsi - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaIn apertura del discorso.
1. La solennità dei beati martiri e l'attesa della Santità vostra reclamano da noi un discorso. Comprendiamo infatti come si convenga a questo giorno il dovere di svolgere una trattazione. Lo volete voi, lo vogliamo noi. Lo conceda colui nelle cui mani siamo e noi e le nostre parole, chi ce ne ha dato il volere, egli ce lo renda possibile. E nei martiri, infatti, era vivissimo questo sentire: pertanto, accesi dall'amore per le realtà invisibili, disprezzarono le cose visibili. Che cosa amò in se stesso chi giunse persino a disprezzarsi per non andare in perdizione? Erano realmente templi di Dio ed avevano l'esperienza dell'inabitazione del Dio vero in loro; ecco perché non veneravano i falsi dèi. Avevano ascoltato, avevano avidamente attinto lasciando che se ne imbevessero le più intime fibre del cuore e, in certo qual modo, avevano fatto radicare profondamente ciò che disse il Signore: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso. Rinneghi se stesso, disse, prenda la sua croce e mi segua 1. Voglio dire qualcosa al riguardo, ma la vostra attenzione mi spaventa, la preghiera lo esige.
Il rinnegamento di sé del discepolo di Cristo.
2. In che consiste, di grazia, il: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, e prenda la sua croce, e mi segua? Comprendiamo il senso del prenda la sua croce: sopporti la sua tribolazione; prenda equivale a porti, sopporti. Riceva con pazienza, disse, tutto ciò che soffre a causa mia. E mi segua. Dove? Dove sappiamo che si è recato lui dopo la risurrezione. Infatti ascese al cielo e siede alla destra del Padre. Ivi darà una sede anche a noi. Per il momento, vada avanti la speranza perché segua la realtà. Come debba precedere la speranza lo sanno coloro che ascoltano: In alto il cuore. Ma, per quanto aiuta il Signore, rimane di indagare - e di tirar fuori il senso, e di penetrarlo, quando egli apre, e di scoprirlo, quando egli lo concede, e di presentare a voi ciò che saremo riusciti a trovare - cosa voglia significare quel che disse: Rinneghi se stesso. Come si rinnega chi si ama? Questa è una domanda ragionevole, ma propria della ragione umana; l'uomo mi chiede: Come si rinnega chi si ama? Ma Dio spiega all'uomo: Si può rinnegare se si ama. Appunto con l'amore di sé, manda in perdizione se stesso; rinnegandosi, si trova. Chi ama la propria vita - dice - la perderà 2. È stato il comando di chi sa bene che cosa imporre, perché sa considerare chi sa istruire, e sa ripristinare chi si degnò di creare. Chi ama, perda. È doloroso il distacco da ciò che ami. Ma anche l'agricoltore perde temporaneamente ciò che semina. Tira fuori, sparge, getta a terra, ricopre. Di che ti meravigli? Costui che disprezza e fa cadere a terra è un avido mietitore. L'inverno e l'estate hanno provato che cosa si sia fatto; la gioia del mietitore ti dimostra l'intenzione del seminatore. Di conseguenza, chi ama la propria vita, la perderà. Chi intende ricavarne frutto, la semini. In questo, quindi, consiste il rinnegamento di sé, in modo da non andare in perdizione a causa di un amore deviante.
L'amore di sé è perverso, è assai più vero il disprezzo di sé. Amore al denaro fino al disprezzo della vita.
3. Non esiste alcuno che non si ami; ma bisogna possedere l'amore retto ed evitare quello deviante. Chiunque, abbandonato Dio, non avrà amato che sé e, per l'amore di sé, si sarà separato da Dio, neppure in sé dimora, ma esce addirittura fuori di sé. Va esule fuori dalla sua coscienza disprezzando la vita interiore, preso dall'amore per quanto è a lui estraneo. Che ho detto? Non disprezzano la propria coscienza tutti quelli che operano il male? Chiunque riconosce dignità alla propria coscienza, mette un freno alla propria ingiustizia. Avendo disprezzato Dio per l'amore di sé, ne segue che finisce per disprezzare persino se stesso, amando al di fuori ciò che egli non è. Fate attenzione, ascoltate l'Apostolo che rende testimonianza in questo senso. Dice: Per gli ultimi tempi incombono circostanze difficili 3. Che comportano le circostanze per essere difficili? Gli uomini saranno egoisti 4. Ecco l'origine del male. Stiamo dunque a vedere se, amandosi, restino magari in sé; facciamo attenzione, ascoltiamo quel che segue: Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro 5. Dove ti trovi tu che amavi te stesso? Sei fuori di te, naturalmente. Di grazia, sei tu forse il denaro? In realtà, tu che senza tener conto di Dio non ami che te, per l'attaccamento al denaro hai trascurato anche te. Prima hai trascurato, poi hai perduto. L'amore al denaro ti ha infatti portato a perdere te stesso. Per il denaro giungi a mentire: Una bocca che mentisce, uccide l'anima 6. Ecco, mentre vuoi avere il denaro, hai perduto l'anima tua. Tira fuori la bilancia della verità, non dell'avidità; tira fuori la stadera, ma della verità, non della cupidigia; tirala fuori, ti prego, e deponi denaro su un piattello e l'anima sull'altro. Ora tu pesi e, spinto dalla smania di avere, usi le dita a falsare il peso; tu vuoi che si abbassi il piattello che contiene denaro. Metti via, non pesare, vuoi ingannarti da te; vedo quel che fai. Vuoi anteporre il denaro all'anima tua, mentire per quello, perdere questa. Metti via, sia Dio a pesare; egli che non sa che sia essere ingannato e che non inganna, egli sia a pesare. Ecco, sta pesando personalmente; ecco, vedilo che pesa, ascoltalo darne esatto conto: Che giova all'uomo se guadagnerà il mondo intero? 7 È la voce divina, è la voce di colui che controlla il peso, non di chi inganna; di colui che dà esatto conto, che ammonisce. Quanto a te, ponevi su un piattello il denaro e sull'altro l'anima; osserva dove hai posto il denaro. Che risponde colui che pesa? Tu hai posto denaro: Che giova all'uomo se guadagnerà il mondo intero, mentre lascia che vada perduta la propria anima? 8 Tu volevi porre, invece, sulla medesima bilancia, l'anima e il guadagno: il confronto devi farlo con il mondo. Da parte tua eri deciso ad acquistare la terra al prezzo della perdita dell'anima: questa ha maggior peso del cielo e della terra. Ma tu lo fai perché, abbandonando Dio e preoccupandoti di te stesso, ti sei allontanato anche da te, e già apprezzi più di te ciò che ti è esterno. Torna a te: e, una volta rientrato in te, volgiti ancora verso l'alto, non restare in te. Prima torna in te dal mondo esterno, e poi rendi te stesso a colui che ti ha creato, e che ha cercato te, perduto; ha trovato te, fuggitivo; a se stesso ha convertito te che gli avevi voltato le spalle. Torna a te, dunque, e muovi verso di lui che ti ha creato. Imita quel figlio minore, perché forse sei tu. Mi rivolgo al popolo non ad un singolo e se tutti potessero udirmi, non ad un solo uomo, ma al genere umano. Torna, dunque, sii quel figlio minore che, vivendo spensieratamente del suo avere, una volta sperperato e perduto, si trovò nel bisogno, condusse alla pastura i porci, sfinito dalla fame sospirò, e tornò a pensare a suo padre. E che dice di lui il Vangelo? E rientrò in se stesso 9. Vediamo se sia rimasto in se stesso quello che, uscito fuori di sé, tornò a se stesso. Rientrato in se stesso disse: mi alzerò. Dunque era caduto. Mi alzerò - disse - e andrò da mio Padre 10. Ecco che già rinunzia a sé chi ha ritrovato se stesso. In che modo rinunzia? Ascoltate: E gli dirò: ho peccato -disse - contro il cielo e contro di te. Rinunzia a sé. Non sono più degno di esser chiamato tuo figlio 11. Ecco quel che fecero i santi martiri. Disprezzarono le cose esterne; tutte le attrattive di questo mondo, gli errori e i terrori tutti, tutto ciò che era gradevole e tutto ciò che atterriva, tutto interamente disprezzarono, tutto interamente calpestarono. Entrarono quindi in se stessi e si scrutarono; si conobbero dentro di sé e furono scontenti di sé; si affrettarono a rivolgersi a colui che li aveva plasmati per rivivere di vita nuova in cui perseverare, in cui far scomparire quello che, per loro personale iniziativa, stava diventando il loro essere, e in modo che si conservasse quello che Dio aveva creato in essi. Ecco il rinnegamento di sé.
Il timore di Pietro per la futura passione di Cristo. Cosa sia il rinnegamento di sé.
4. L'apostolo Pietro non poteva ancora capirlo quando al Signore nostro Gesù Cristo, che preannunziava la sua futura passione, disse: Dio te ne scampi, Signore, questo non avverrà 12. Temeva la morte della Vita. Durante la lettura del santo Vangelo avete adesso ascoltato che cosa il beato Pietro abbia risposto al Salvatore che preannunciava la sua passione per nostro amore, e che in certo modo prometteva. Lo schiavo faceva opposizione al Redentore. Che fai, Apostolo? com'è che ti opponi? Come puoi dire: Questo non avverrà? Non subirà allora la passione il Signore? La parola della croce ti è di scandalo: è stoltezza per coloro che si perdono. Ti si vuole riscattare e tu fai opposizione a colui che ti acquista? Lascia che vada alla passione: egli sa cosa fare, sa perché è venuto, sa come cercarti, sa come trovarti. Non stare a far scuola al tuo Maestro; procurati dal suo costato il tuo prezzo. Piuttosto, sii tu ad ascoltare chi ti corregge, non esser tu a voler correggere; è perversità invertire l'ordine di precedenza. Ascolta quello che dice: Lungi da me 13. Lo dico perché è stato lui a dirlo; senza offendere l'Apostolo, non tacerò la parola del Signore. Cristo Signore disse: Lungi da me, satana 14. Perché satana? Perché mi vuoi passare avanti. Non vuoi essere satana? Cammina dietro di me. Se vai dietro di me, mi seguirai infatti; se mi segui, prenderai la tua croce, non mi sarai consigliere ma discepolo. Perché dunque ti sei spaventato quando il Signore ha dato l'annunzio della sua morte? Il tuo spavento non ebbe altra causa che il timore di morire anche tu. Per il timore della morte non hai rinnegato te stesso; per un perverso amore di te, hai rinnegato lui stesso. Ma più tardi il beato apostolo Pietro, dopo aver rinnegato tre volte il Signore, con il pianto lavò quella colpa: alla risurrezione del Signore, confermato e maturato nella fede, morì per colui che aveva rinnegato per timore della morte; confessandolo, trovò la morte, ma, appunto attraverso la morte, riuscì a far sua la vita. Ed ecco: Pietro non muore più; è scomparso ogni timore, non si è ripetuto, in seguito, il pianto, tutto è passato, è sempre beato con Cristo. Tenne sotto i piedi ogni attrattiva del mondo esterno, le minacce, come pure i terrori: rinunziò a se stesso, prese la sua croce e seguì il Signore. Ascolta anche l'apostolo Paolo rinnegare se stesso: Quanto a me, non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo per mezzo della quale il mondo è stato per me crocifisso come io per il mondo 15. Ascoltalo insistere nel rinnegamento di sé. Dice: Non sono più io che vivo. È chiara la sua rinunzia all'io; ma ecco seguire una trionfale testimonianza di Cristo: ma Cristo vive in me 16. Che vuol dire allora "rinnega te"? Non essere tu la tua stessa vita. E che si vuol dire col "non essere tu la tua stessa vita"? Non fare la tua volontà, ma la volontà di colui che abita in te.
1 - Mt 16, 24.
2 - Gv 12, 25.
3 - 2 Tm 3, 1.
4 - 2 Tm 3, 2.
5 - 2 Tm 3, 2.
6 - Sap 1, 11.
7 - Mt 16, 26.
8 - Mt 16, 26.
9 - Lc 15, 17.
10 - Lc 15, 18.
11 - Lc 15, 19.
12 - Mt 16, 22.
13 - Mt 16, 23.
14 - Mt 16, 23.
15 - Gal 6, 14.
16 - Gal 2, 20.
Nono Venerdì - IL DOLORE
I nove primi venerdì del mese - Santa Maria Alacoque
Leggilo nella Biblioteca—1—
Se Dio è Amore e Misericordia, come si spiega il dolore che
attanaglia l’umanità? Questa è la difficoltà
più frequente che si sente fare anche dal credente, dal
cristiano che frequenta la Chiesa e i Sacramenti, perché si
dimentica che il mondo com’è adesso non è quello
voluto da Dio, ma quello rovinato dal peccato.
Dio, dopo aver
creato il mondo con tutte le meraviglie che ci circondano: il sole,
la luna, le stelle, i mari, i monti, le piante, i fiori, i frutti di
ogni genere; dopo aver creato l’indefinita varietà di
pesci, di uccelli, di animali; dopo aver preparato la culla del
genere umano con tutte le delizie del paradiso terrestre, volle
creare l’uomo a sua immagine e somiglianza per renderlo
partecipe un giorno della sua stessa felicità eterna.
Creando
l’uomo avrebbe potuto lasciarlo nel semplice stato naturale e,
dopo una vita naturalmente onesta, dargli una felicità
naturale, infinitamente inferiore a quella soprannaturale del
Paradiso. Dio, invece, elevò l’uomo allo stato
soprannaturale facendolo suo figlio adottivo. Siccome il figlio deve
avere la stessa natura del padre, Dio lo fece partecipe della sua
natura divina mediante la grazia santificante, per cui Gesù ci
fa pregare: «Padre nostro, che sei nei cieli... » (Matt.
6,9), e San Giovanni (I Gv. 3,1-2) ci dice: «Quale grande amore
ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo
realmente!... Carissimi noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma
ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo
però che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo
simili a Lui perché lo vedremo così come Egli è».
Oltre
il dono soprannaturale della grazia santificante, che ci fa partecipi
della vita divina, Dio aveva dato all’uomo altri doni, fra i
quali quelli preternaturali dell’impassibilità e
dell’immortalità, per cui l’uomo non doveva mai
soffrire e mai morire. Tali doni erano però legati alla
riuscita della prova alla quale Dio sottopose l’uomo.
Che
cosa poteva mancare all’uomo in quella dimora incantevole?
Nulla: godeva un paradiso in terra in attesa di entrare un giorno
nella gloria e nel possesso di Dio per tutta l’eternità.
Un
solo comando gli aveva dato Dio: non mangiare i frutti dell’albero
che si trovava nel mezzo del giardino del paradiso terrestre.
Conosciamo la storia della sua dolorosa caduta:
Adamo, spinto da
Eva già sedotta da Satana, si ribellò a Dio mangiando
il frutto dell’albero vietato. Commise il primo peccato grave
di superbia e di ribellione, chiamato «peccato originale»,
perché Adamo è il capostipite dell’umanità.
L’uomo,
staccandosi da Dio con una scelta libera ed errata, ha innescato
tutto un processo di realtà negative, delle quali la peggiore
è la morte. Infatti la parola di Dio (Sap. 2:23) dice «Dio
ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a
immagine della sua natura. La morte è entrata nel mondo per
invidia del Diavolo» che convinse Adamo a ribellarsi all’ordine
di Dio.
Come conseguenza del peccato non dobbiamo intendere solo
la morte, ma anche la sofferenza di ogni tipo che ne è il
sottoprodotto.
Il Padre, sin dal primo istante dopo il peccato,
incalza col suo amore questi figli ribelli che si nascondono e cerca
di provocare il loro pentimento, rivolgendosi prima ad Adamo: «Dove
sei?», e poi ad Eva:
«Che cosa hai fatto?» (Gen.
3,8-12).
Sarebbe bastato che almeno uno di loro gli avesse detto:
«Ho sbagliato! E colpa mia! » per permettere al Padre di
reintegrarli nel primitivo stato di grazia, cioè della vita
divina che li aveva resi figli di Dio e re del creato.
Dal momento
che Adamo ed Eva non aff errarono il suo richiamo d’amore, il
Padre prova con le maniere forti, presentando il drammatico quadro
delle conseguenze del loro peccato, nella speranza che (se non per
amore almeno per timore) riconoscano il loro errore, il loro peccato.
Il Padre è sempre pronto al perdono, per convincercene basta
citare un parallelo biblico con quello che Dio, mediante il profeta
Natan, dice a Davide, dopo i suoi grandi peccati (2 Sam. 12,9-13):
«Tu hai colpito di spada Uria 1’Hittita, hai preso in
moglie sua moglie e lo hai ucciso con la spada degli Ammoniti.
Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché
ti mi hai disprezzato... Ecco io sto per suscitare contro di te la
sventura dalla tua stessa casa.
Allora Davide disse a Natan: Ho
peccato contro il Signore! Natan rispose a David: Il Signore ha
perdonato il tuo peccato; tu non morirai». Dio per mezzo del
profeta Natan che parla a suo nome, usa con Davide lo stesso tono e
lo stesso stile che usò con Adamo.
Davide riconosce il suo
peccato ed è salvo; tutte le sciagure prospettate su di lui e
sulla sua famiglia vengono sciolte dal Padre che «perdona il
peccato» e libera dalle sue conseguenze. Adamo invece non
riconosce la sua colpa e il Padre non può intervenire con la
sua misericordia. La famiglia umana, perché discendente da
Adamo ed Eva, dovrà subire tutte le conseguenze del peccato:
la sofferenza, la morte e tutte le angherie del Demonio, il padrone
di cui il capostipite, Adamo, si è reso schiavo. Perciò
il dolore e la morte sono le conseguenze del peccato originale
aggravate dei peccati personali di ogni uomo.
Questo ci spiega
perché la sofferenza e la morte ci ripugnano, proprio perché
Dio ci ha creati per la felicità e l’immortalità.
Gesù Cristo, la seconda Persona della SS.ma Trinità,
s’incarnò nel seno purissimo dell’Immacolata e
sempre Vergine Maria, e s’immolò sulla croce per rifare
l’uomo decaduto di nuovo figlio di Dio ed erede del Paradiso.
Per realizzare questo Gesù scelse la via della sofferenza,
insegnandoci così che la sofferenza è condizione
necessaria per salvarsi.
—2—
Dio è Amore (Gv. 4:8). La fede in questa fondamentale
verità è necessaria per poter scorgere nell’amore
di Dio la causa prima ed efficiente di tutte le sue opere.
È
la sovrabbondanza del suo amore che ha reso Dio Creatore: «Tutto
è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è
stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv. 1:3).
È
il suo amore che ha ispirato l’Incarnazione: «Dio ha
tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito» (Gv.
3:16).
È l’ineffabile suo amore che ha voluto la
redenzione: «Vivo nella fede che ho sul Figlio di Dio che mi ha
amato e ha sacrificato sé stesso per me» (Gal.2:20).
È
il suo tenero amore che ci ha dato i Sacramenti e particolarmente
l’Eucaristia: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo,
li amò fino alla fine» (Gv. 13:1).
È il suo
amore che ha disposto il Purgatorio per le anime che le prove e le
sofferenze della vita non hanno abbastanza purificato.
È il
suo amore infinito che ha preparato il Paradiso per le anime di buona
volontà.
È il suo amore oltraggiato, respinto e
giusto che ha creato l’inferno per gli Angeli ribelli e per gli
uomini che, fino all’ultimo istante della loro vita terrena,
disprezzano e rifiutano la grazia dell’Amore misericordioso che
li chiama al pentimento e alla salvezza. Un paragone chiarisce
l’affermazione. Immaginiamo un padre molto buono, che sacrifica
tempo, energie, salute, sostanze, tutto sé stesso per il bene
di un figlio. Costui, anziché ricambiare con amore
riconoscente, pensa solo a sfruttare i benefici del padre e a
beffarlo e ingiuriarlo. Il padre potrà sopportare, perdonare,
correggere, richiamare per moltissime volte, ma quando tutto ciò
è diventato inutile, si sdegnerà e punirà il
figlio malvagio. Così fa Dio col peccatore ostinato. Egli ha
amato l’uomo smisuratamente fino a sacrificare sé
stesso. Ma se l’uomo sdegna quest’amore, allora Dio deve
dare corso alla sua giustizia per riparare il suo amore.
L’inferno
stesso è diventato nei mirabili disegni di Dio un
efficacissimo mezzo di salvezza. Infatti se non ci fosse l’inferno
pochissimi andrebbero in Paradiso: solo i Santi che amano Dio con
tutto l’ardore del loro cuore, mentre la stragrande maggioranza
degli uomini, incantata, stordita e ingannata dai piaceri terreni,
dimenticherebbe Dio e disprezzerebbe il suo Paradiso. Invece la paura
dell’inferno eterno spinge moltissimi a pentirsi dei loro
peccati, a confessarsi per rimettersi in grazia di Dio e quindi a
salvarsi. Per que— sto si può benissimo dire che salva
più anime l’inferno che il Paradiso.
—3—
Inoltre dobbiamo credere nell’amore di Dio nei singoli
avvenimenti di cui s’intreccia la vita del mondo e dei singoli
individui. Dio non può fare che opera di amore anche quando
castiga su questa terra, perché il castigo di Dio è uno
solo, 1inferno eterno, mentre i castighi temporali sono atti di
misericordia per la salvezza delle anime.
Ecco al riguardo quanto
diceva Gesù ad un’anima privilegiata, Suor Consolata
Betrone. Durante il conflitto italo-etiopico (1935-36), pregando Suor
Consolata per i Cappellani militari perché si mantenessero
all’altezza della loro missione, Gesù le rispondeva:
«Vedi questi giovani (i soldati), la maggior parte nelle loro
case marcirebbero nei vizi. Invece in guerra, lontani dell’occasione,
con l’assistenza del Cappellano, mori ranno e saranno
eternamente salvi». La stessa cosa le ripeteva circa la crisi
economica che già travagliava il mondo primi dell’ultimo
conflitto mondiale:
«Anche la miseria attuale che regna nel
mondo non è opera della mia giustizia, ma della mia
misericordia. Quante colpe di meno per mancanza di denaro. Quante
preghiere di più s’innalzeranno verso il cielo nelle
strettezze finanziarie. Oh, non credere che i dolori della terra non
mi commuovono, ma Io amo le anime, le voglio salve, e per raggiungere
il mio scopo sono costretto ad usare rigori. Ma credilo, è per
fare misericordia. Nell’abbondanza le anime si dimenticano di
me e sì perdono, nella miseria tornano a Me e si
salvano».
Durante la tremenda seconda guerra mondiale, l’8
dicembre 1940 fra Gesù e Suor Consolata supplicante per la
pace, si svolgeva il seguente dialogo:
— Vedi, Consolata, se
oggi Io concedessi la pace, il mondo ritornerebbe nel fango... la
prova non sarebbe sufficiente...
— Ma, Gesù, tutta
questa gioventù inviata al macello!
— Oh, non è
meglio due, tre anni di acerbe, intense, inaudite sofferenze e poi
un’eternità di gaudii, anziché un’intera
vita di dissolutezze e poi un’eterna dannazione?...
—
Ma, Gesù, non sono tutti cattivi!
— Ebbene, i buoni
aumenteranno i loro meriti. No, non dare la colpa ai capi delle
nazioni, essi sono semplici strumenti nelle mie mani. Per potere
salvare il mondo oggi è necessario così. Oh, quanta
gioventù ringrazierà in eterno Dio per essere perita in
questa guerra che l’ha salvata eternamente! Hai capito?... Se
Io permetto tanto, tanto dolore nel mondo è per questo unico
scopo: salvare le anime per l’eternità». Non passi
inosservata la luminosa profondità delle parole «Non
dare la colpa ai capi delle nazioni, essi sono semplici strumenti
nelle mie mani», che ricordano il divino insegnamento al
profeta Isaia (Is. 10:5-6):
«Oh! Assiria, verga del mio
furore, bastone del mio sdegno. Contro una nazione empia (Giuda) io
la mando e la comando contro un popolo con cui sono in collera perché
lo saccheggi, Io depredi e lo calpesti come fango di strada».
Anche
per bocca del profeta Geremia (Ger. 51:20) Dio dice di Babilonia:
«Un
martello sei stata per me, uno strumento di guerra; con te martellavo
i popoli, con te annientavo i regni». Questa mistica visione
delle tragedie storiche prodotte dai «capi delle nazioni>’
che sono «semplici strumenti» nelle mani del Signore: 1)
Non toglie la loro responsabilità del male che fanno e di cui
hanno da rendere conto; 2) non impedisce che l’onnipotenza di
Dio faccia servire anche la malvagità umana all’attuazione
del suo disegno provvidenziale di eterna salvezza; 3) i flagelli
della vita presente, accettati a purificazione nostra, servendocene
pazientemente, diventano mezzi di soddisfazione e di espiazione, di
santificazione e di apostolato.
—4—
Come nelle sventure pubbliche, così in quelle familiari e
individuali bisogna credere nell’amore di Dio. Sempre, anche
nei casi più intensamente dolorosi, davanti ai quali l’umana
ragione si domanda smarrita: ma perché? La risposta che viene
dal cielo è ancora: amore, bontà, misericordia di
Dio.
Un giorno alle lacrime di Suor Consolata per l’improvvisa
morte di una sua compagna d’infanzia, certa Celeste Canda, che
lasciava orfani quattro bimbi, dei quali la maggiore di appena nove
anni, Gesù rispondeva: «Celeste Candia ora gode la mia
dolce eterna visione e dal Paradiso veglia con maggiore tenerezza
sulle anime dei suoi quattro bimbi, più che se fosse rimasta
sulla terra». Quale soave conforto, quanta luce di Cielo
gettano queste semplici parole su tutti i lutti familiari! La fede è
l’unica forza nel dolore!
—5—
Insomma credere all’amore misericordioso di Gesù vuol
dire che Egli ci ama, ci vuole salvi e che tutto ciò che Egli
opera, vuole o permette, sia nel mondo universo come nel piccolo
mondo dell’anima, è sempre per il nostro bene. Sono
poche però le anime, anche se dedite alla pietà, che
abbiano questa fede viva e pratica nell’amore di Dio. Ce
l’hanno forse, ma debole e facilmente essa vacilla sotto i
colpi di scalpello del divino Artefice intesi a perfezionare l’opera
delle sue mani.
Lo scultore ha dinnanzi a sé un blocco di
marmo informe e ne vuole ricavare una bella statua. Prende lo
scalpello e batte e ribatte sul marmo fino a quando la figura umana
marmorea corrisponde a quella che ha ideato. Se il marmo potesse
sentire e parlare direbbe all’artista: ma perché mi
batti?... perché mi tormenti?... lasciami in pace! Lo scultore
potrebbe rispondere: Faccio tutto questo per il tuo bene. Tu saresti
un blocco di marmo insignificante, mentre col mio lavoro ti rendo
celebre. Verranno a visitarti uomini illustri. Tu passerai alla
storia e verrai custodito come un tesoro! — Così fa Gesù
con noi. Sotto lo scalpello del dolore quante virtù
esercitiamo: la fede, la speranza, la carità, l’umiltà,
la pazienza e tante altre virtù. Quale cumulo di meriti
guadagniamo per il Paradiso. Quante anime potremo salvare.
Le
nostre sofferenze, in sé stesse di pochissimo valore, unite
però alle sofferenze di Gesù Cristo, acquistano un
valore inestimabile per la salvezza di tanti nostri fratelli
peccatori. Ecco al riguardo il luminoso esempio del Papa Giovanni
Paolo Il. Il giorno 24 maggio 1981, a undici giorni del sacrilego
attentato, il Papa alla folla, accorsa in Piazza S. Pietro a
mezzogiorno, rivolge un significativo messaggio registrato in cui
dice fra l’altro: «Desidero oggi rivolgermi in modo
particolare a tutti gli ammalati, esprimendo ad essi io, infermo come
loro, una parola di conforto e di speranza. Quando, all'indomani
della mia elezione alla Cattedra di Pietro, venni per una visita al
Policlinico Gemelli, dissi di volere appoggiare il mio ministero
papale soprattutto su quelli che soffrono. La Provvidenza ha disposto
che al Policlinico Gemelli ritornassi da malato. Riaffermo ora la
medesima convinzione di allora: la sofferenza accettata in unione con
Cristo sofferente ha una sua efficacia impareggiabile per
l’attuazione del disegno divino della salvezza. Ripeterò
quindi con San Paolo: Sono lieto delle sofferenze che sopporto per
voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di
Cristo a favore del suo Corpo che è la Chiesa. Invito tutti
gli ammalati ad unirsi a me nell’offerta a Cristo dei loro
patimenti per il bene della Chiesa e dell’umanità. Maria
Santissima ci sia di sostegno e di conforto».
Quante
anime sono portate a vedere in Dio più che il Padre buono il
Padrone severo! E per esse questo dolce lamento di Gesù a Suor
Consolata: «Non fatemi Dio di rigore, mentre Io non sono che
Dio di amore!».
— E per esse la risposta di Gesù
a Suor Consolata, che gli aveva domandato come preferisse essere
chiamato: «Amore immenso, Bontà infinita». —
per esse ancora il consiglio di Gesù a lei, indecisa se
mettere in una lettera — che veniva inviata ad una persona
benefattrice del monastero — «Il Cuore Sacratissimo di
Gesù» oppure «Il Cuore buono di Gesù»:
“Metti «il Cuore buono di Gesù» perché
che Io sia santo lo sanno tutti, ma che sia buono non tutti lo
sanno”.
L’anima pertanto che vuole vivere di amore,
deve ben fondarsi in questa verità: Dio è Amore e tutto
quello che vuole o permette nei riguardi di ciascuno di noi è
per il nostro maggior bene, per la nostra santificazione e salvezza
eterna — ed applicarla ai mille casi della vita quotidiana. Non
fermarsi alle creature o agli eventi, ma in tutto vedere Dio e il suo
amore misericordioso; e sempre, tanto nelle cose prospere quanto
nelle avverse, nella quiete o tra i flutti in tempesta, raccogliere
le proprie energie per far giungere al Cielo il grido della sua fede
incrollabile: Sacro Cuore di Gesù, credo al tuo amore per
me!
Ma se quando siamo provati dalla sofferenza ci lamentiamo
contro il Signore, dimostriamo di avere pochissima fede. Chi non ha
assistito qualche volta ad una vaccinazione di bambini? La mamma
stessa porta dal dottore il suo bambino tanto amato. Il piccolo
strilla, sferra calci con i suoi piedini per sfuggire dalle braccia
materne, graffia e piange: Mamma cattiva, mamma cattiva! Ma la mamma,
nonostante la sofferenza interna del suo cuore, non si lascia
commuovere, denuda le rosee braccine e le sottopone alla lancetta
pungente del dottore perché le scalfisca fino al sangue. La
mamma perché fa vaccinare il suo bambino? Per farlo soffrire?
No certamente, ma per preservarlo dalle malattie e fargli godere
ottima salute. Così Dio, Padre nostro, fa con noi: ci
sottopone alla vaccinazione del dolore per farci scampare dalle
malattie gravi del peccato, che possono mandarci all’inferno, e
per farci godere eternamente il Cielo. — Sotto la stretta del
dolore noi, come un bambino che ancora non capisce, ci rivoltiamo
contro Dio con i nostri insulti, bestemmie, insofferenze quasi a
volerlo graffiare come i bambini della vaccinazione, ma il Signore
che ci ama di un amore infinito non si lascia commuovere perché
vuole il vero bene: la nostra salvezza e felicità eterna. —
Quei bambini vaccinati, quando saranno cresciuti diranno: benedetta
la severità della mia mamma che mi ha fatto soffrire perché
così ora godo ottima salute! — Così noi provati
ora dalla sofferenza, quando saremo in Paradiso, esclameremo:
benedetta la severità di Dio che ci ha fatto soffrire sulla
terra perché così abbiamo evitato l’inferno ed
ora possiamo godere dell’eterna felicità dei beati!
La sofferenza è anche castigo ma sempre
permeato di misericordia.
Quando Gesù incontrò nel
tempio il paralitico, guarito miracolosamente, gli disse: «Non
peccare più affinché non ti accada di peggio!»
(Gv. 5). Queste parole di Gesù ci dicono chiaramente che tanti
mali, tante sofferenze piombano sugli uomini come punizioni dei
peccati. Il Signore manda i suoi castighi sulla terra ora qua, ora là
secondo i suoi provvidi disegni. Gli uomini non sempre si accorgono
della giustizia di Dio ed attribuiscono, specialmente i grandi
cataclismi, alle leggi naturali. Un terremoto distrugge una città;
una alluvione devasta un paese; un’eruzione vulcanica
seppellisce una contrada; una violenta grandinata rovina un raccolto;
una prolungata siccità rende inutile il lavoro dei contadini
ecc. Questi fenomeni si possono spiegare mediante le leggi naturali,
però chi opera è sempre Dio che, servendosi delle cause
seconde, dà libero corso alla sua giustizia per punire qui la
bestemmia, là la profanazione del giorno festivo, in un luogo
l’impurità, in un altro luogo l’omicidio ecc. —
Una conferma di questo ci viene dalla Madonna nella sua terza
apparizione a Fatima, 13 luglio 1917: « La guerra (1914-18) sta
per finire, ma se gli uomini non cessano di offendere il Signore...
ne incomincerà un’altra peggiore. Quando vedrete una
notte illuminata da una luce sconosciuta — (la così
detta straordinaria aurora boreale che illuminò il cielo la
notte dal 25 al 26 gennaio 1938) — sappiate che quello è
il grande segno che vi dà Dio che prossima è la
punizione del mondo per i suoi tanti delitti mediante la guerra, la
fama e le persecuzioni contro la Chiesa e il Santo Padre)».
—
E i giusti, i bambini, gli innocenti?
Tanti dicono: Ma fra i
peccatori non ci sono pure i bambini innocenti, i buoni? Perché
devono soffrire anche loro se non hanno peccato? Questa difficoltà
sorge perché noi in ogni tribolazione, in ogni sofferenza
vediamo soltanto un castigo. Ma non è così, perché
mentre il dolore è castigo per i peccatori, è fonte di
meriti per i giusti, per gl’innocenti. — Non dobbiamo
dimenticare che la felicità del Paradiso è
proporzionata ai meriti e quindi i giusti, gl’innocenti avranno
una gloria immensa in Cielo per le sofferenze subite sulla terra.
Inoltre le sofferenze degl’innocenti, dei giusti riparano i
peccati dei cattivi e attirano su di essi la misericordia di Dio. Con
la moneta falsa non si può comprare nulla perché essa
non ha alcun valore, invece con la moneta buona si può
comprare quel che si vuole. Così la sofferenza del peccatore è
moneta falsa davanti a Dio e non ha nessun valore. Invece la
sofferenza del giusto, deIl’innocente è moneta buona ed
ha un gran valore soddisfatorio, impetratorio e meritorio. E sono
proprio le sofferenze dei buoni, degli innocenti che riparano
l’offesa fatta a Dio dai peccatori, ottengono ad essi la
conversione e la salvezza.
Cosa dice e ripete in proposito la
Vergine di Fatima ai piccoli Lucia, Giacinta e Francesco? «Pregate,
pregate molto e fate sacrifici per i peccatori, perché molte
anime vanno all’inferno perché non c’è
nessuno che preghi e si sacrifichi per esse...».
Questo
appello materno al dolore dei buoni, degli innocenti per la salvezza
dei peccatori è una conferma che viene dal Cielo
sull’efficacia della preghiera e della sofferenza dei giusti
per la salvezza dei peccatori.
Leggiamo una pagina, molto
istruttiva al riguardo, della biografia di Aldo Marcozzi, nato nel
1920 e morto nel 1940, scritta dal P. Petazzi 5.3.
Questo giovane
dall’età di dieci anni era stato colpito da artrite
deformante che poco a poco lo ridusse ad una completa immobilità.
Una signora, che lo conosceva da parecchio tempo, venuta a fargli una
visita un giorno che la sofferenza gli toglieva quasi la forza di
parlare, gli disse: «Senti, Aldo; tu che parli sempre del tuo
Gesù e dici che egli è tanto buono e misericordioso,
dovresti sapermi dire in che consiste la sua misericordia dal momento
che ti dà tante sofferenze senza un po’ di compassione.
Che cosa hai fatto di male in questo mondo per essere così
castigato? Se egli è un Dio giusto, come tu sei convinto, non
dovrebbe martoriarti così. Queste tue sofferenze le doveva
dare a un delinquente, non ti sembra?». Aldo, assumendo un
aspetto grave e raccogliendo le sue povere forze, disse: «Povera
signora! Quanto mi fa pena! Lei vorrebbe che un Dio così
onnipotente e d’infinità bontà facesse soffrire
un delinquente e quale bene ne potrebbe ottenere? Non conoscendo
questi l’amore di Gesù, non saprebbe offrire i suoi
dolori per la gloria del Signore; la sua vita diverrebbe una continua
bestemmia e offesa di Dio, e dopo tutto si dannerebbe per sempre.
Questo il Signore non lo vuole. Sceglie invece un’anima pura
che sappia offrire la sua vita per la salvezza dei suoi fratelli
peccatori. Quindi io sono il più felice di questo mondo,
felice di fare la volontà di Dio ora e sempre per la sua
maggior gloria!». Quindi, ripetendo quanto è stato
detto, le sofferenze mandateci su questa terra in castigo dei peccati
sono sempre atti della misericordia di Dio perché esse ci
vengono inflitte per distaccarci dal peccato, per convertirci, per
evitare l’inferno e raggiungere il Cielo. Perciò quando
Dio castiga il peccatore, agisce sempre per amore perché con i
castighi Egli vuole convertino e salvarlo.
Inoltre le sofferenze,
se noi siamo in grazia di Dio, se le accettiamo e le offriamo con
pazienza al Signore, ci fanno espiare su questa terra tutta o parte
della
pena temporane dovuta ai nostri peccati e quindi ci fa
evitare, o almeno abbreviare le pene del Purgatorio, che, secondo la
maggior parte dei teologi con S. Tommaso, non sono paragonabili alle
sofferenze terrene, perché la sofferenza più leggera
del Purgatorio supera immensamente le più gravi di questa vita
terrena.
— Tre difficoltà —
1) — Molti dicono: Perché Dio fa prosperare i cattivi
e soffrire i buoni?
Anzitutto chi sono i cattivi e i buoni? I
cattivi sono coloro che, mettendo da parte ogni legge morale, vivono
sfrenatamente dandosi in braccio a ogni sorta di piacere e
assecondando l’orgoglio e la sensualità. Vivono senza
timore di Dio curando solo di conservare la vernice dell’onestà
per non sfigurare nella società.
I buoni sono coloro che si
sforzano di osservare la legge di Dio e fanno sforzi per resistere
alle attrattive del male. Lo sforzo per rimanere in grazia di Dio
richiede molti sacrifici e quindi la vita dei buoni è cosparsa
di spine.
Dopo questa chiarificazione diamo una breve risposta
alla difficoltà:
Dio è infinitamente giusto per cui
premia ogni opera buona e castiga ogni opera cattiva. Ora anche
l’uomo più malvagio di questa terra, durante la vita,
certamente fa qualche opera buona. Dio, prevedendo che costui, per la
sua cattiva volontà e per la sua ostinazione nel male, si
dannerà, non potendogli ricompensare in Paradiso quell’opera
buona che ha fatto, gliela ricompensa su questa terra con la
prosperità temporale, con abbondanza di beni materiali. Per
questo i cattivi godono e prosperano su questa terra.
Al contrario
Dio, prevedendo che i buoni per la loro buona volontà
nell’amarlo e servirlo su questa terra si salveranno, li fa
soffrire in questa vita per ricompensarli poi smisuratamente in
Paradiso. — Dice Gesù (Gv. 15:1): «Io sono la vera
vite ed il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me
non porta frutto lo toglie, e ogni tralcio che porta frutto lo pota
perché porti più frutto». Perciò i buoni
su questa terra vengono potati con le forbici delle tribolazioni,
delle sofferenze affinché, portando con pazienza la croce ed
esercitando le virtù, possano godere una incommensurabile
felicità in Cielo proporzionata ai loro meriti.
2) —
Nel mondo quanti peccati ci sono: bestemmie, scandali, impurità,
omicidi, furti, ecc. Ora se è vero il detto «Non si
muove foglia che Dio non voglia» si potrebbe dire che Dio
voglia tanto male. Se Egli non volesse tutto questo male, questo non
capiterebbe!
A quest’altra difficoltà diamo una
piccola risposta. — Dio non vuole il male, anzi lo proibisce
assolutamente a tutti con la minaccia dei castighi temporanei ed
eterni. Infatti la legge di Dio dice: Non profanare il nome di Dio;
non commettere atti impuri; non rubare; non ammazzare; ama il
prossimo come te stesso, ecc. — Il Signore, quantunque non
vuole il male, tuttavia su questa terra lo permette per rispettare la
nostra libertà, domandandocene però conto nel giudizio
particolare che avverrà subito dopo la nostra morte. Quindi i
cattivi sono liberi — (certamente sempre fino ad un certo
limite stabilito da Dio) — di fare il male. Ma Dio, nella sua
infinita sapienza e potenza, dal male ricava sempre il bene facendo
convergere tutto alla sua gloria e alla santificazione e salvezza
eterna delle anime. Così per es. nella passione e morte di
Gesù, il Padre Celeste permise il tradimento di Giuda;
l’invidia e l’odio dei Farisei, dei sommi Sacerdoti e dei
Capi del popolo che fecero condannare Gesù a morte; la
vigliaccheria del governatore romano Pilato che, per timore di
perdere il posto, condannò Gesù a morte, nonostante
l’avesse riconosciuto innocente, ecc. Però Dio da tutto
questo immenso male trasse il sommo bene della Redenzione
dell’umanità.
3) — Alcuni dicono: Una volta
che ci si è pentiti e confessati perché soffrire
ancora?
Per espirare il male fatto. Un esempio illustra la
risposta. — Un assassino viene condannato alla pena di morte o
dell’ergastolo per i suoi delitti. Dopo 20-30 anni di buona
condotta in carcere, egli inoltra domanda di grazia. Se il Capo dello
Stato l’accetta, gli toglie la pena di morte o dell’ergastolo
e lo fa rimettere in libertà. Però quell’uomo ha
già espiati i suoi delitti con 30 anni di carcere. Così
avviene per i peccatori pentiti e confessati. Con l’assoluzione
del confessore il Signore toglie loro la pena dell’inferno
eterno, però dovranno espiare i loro peccati o con le
sofferenze di questa vita bene accettate e sopportate, oppure con le
terribili sofferenze del Purgatorio. Conviene espiare la pena
temporale dei peccati su questa terra le cui sofferenze sono
immensamente inferiori a quelle del Purgatorio, ed anche perché,
accettando e sopportando le sofferenze terrene con pazienza si
acquistano meriti, mentre questo in Purgatorio non è più
possibile. Perciò i buoni non dovrebbero mai lagnarsi delle
sofferenze terrene, ma dovrebbero sottomettersi con gioia alla
volontà del buon Dio che li vuole purificare in quella vita
facendo loro guadagnare meriti e risparmiare del tutto o in parte le
pene del Purgatorio.
TESORO SOTTO LA CROCE
Quando S. Gregorio Magno era segretario alla corte di
Costantinopoli, regnava sul trono di Oriente il giovane imperatore
Tiberio Il. Costui, passando un giorno in un corridoio stretto ed
oscuro del suo palazzo, vide scolpita una croce su una lastra di
marmo del pavimento. «Signore, esclamò l’imperatore,
noi ci segniamo con la tua croce la fronte, il petto e le spalle e
poi la calpestiamo a terra? Non è possibile! E dà
ordine di togliere subito quella lastra di marmo dal pavimento. Però
sotto quella se ne trovò una seconda con lo stesso segno di
croce. Tolta la seconda, la terza fino alla settima, le lastre
portavano lo stesso segno di croce. Quando fece togliere anche quella
ci fu una grande sorpresa: si trovò una cassetta piena di
anelli d’oro, di verdi smeraldi, collane di perle, pallidi
ametisti e tanti altri preziosissimi brillanti che l’imperatore
guardava trasognato.
Come l’imperatore Tiberio ciascuno di
noi attraversa il corridoio stretto ed oscuro della propria vita
terrena. Ci si fanno incontro anni dolorosi segnati con la croce
della sofferenza. Non disperiamoci, non lamentiamoci, ma ripetiamo
anche noi: «Signore, noi ci segniamo con il segno della croce
la fronte, il petto e le spalle e poi bestemmiamo, imprechiamo, ci
lamentiamo quando ce la fai portare? No, ma vogliamo portare le
nostre sofferenze con pazienza e dolce rassegnazione alla tua santa
volontà perché alla fine della vita terrena, superata
l’ultima croce, troveremo in Paradiso un tesoro incalcolabile
di felicità eterna. Diceva Padre Pio al comico Campanini
«Tutti quelli che ricorrono a me lo fanno per essere liberati
dalle loro sofferenze, ma se costoro sapessero il grande Conclusione
Per portare con pazienza e con gioia la nostra croce giornaliera, le
nostre sofferenze, i nostri dolori di ogni giorno, dobbiamo scolpire
nella nostra mente due verità:
1) - Nulla accade sia nel
mondo materiale che in quello morale che Dio non abbia previsto,
voluto o permesso fin dall’eternità.
2) - Tutto
quello che accade nel mondo e a ciascuno di noi è voluto o
permesso da Dio per il nostro maggior bene e cioè per la
nostra santificazione, per la nostra salvezza e per la nostra
felicità eterna del Paradiso.
Se vivremo in pratica queste
due verità allora anche noi ripeteremo con S. Francesco di
Assisi: « E tanto il bene che io mi aspetto che ogni pena mi è
diletto».
Ecco come il P. Giovanni Bigazzi S.J.,
morto il 13 luglio 1938, esprime il valore del dolore nell’ultima
sua malattia: Il mio penare è una chiavina d’oro...
piccola sì, ma che apre un gran tesoro.
È la croce,
ma è la croce di Gesù:
quando l’abbraccio non
la sento più.
Non ho contato i giorni del dolore; so che
Gesù li ha scritti nel suo Cuore.
valore della croce,
correrebbero incontro ad essa come i mondani corrono incontro ai
piaceri.
Vivo momento per momento, e allora il giorno passa come
fosse un’ora.
Mi han detto che, guardata dal di là,
la vita tutta un attimo parrà.
Passa la vita, vigilia di
festa; muore la morte.., il Paradiso resta.
Due stille ancora
dell’amaro pianto, e di vittoria poi l’eterno
canto.
Carissimo fratello, che oggi, con la grazia di Dio e
l’assistenza della Madre Celeste, compi i Nove Primi Venerdì
del mese secondo le intenzioni del Cuore di Gesù per ottenere
la sua Grande Promessa, rifletti spesso sulla conclusione delle
riflessioni di questo nono venerdì e sforzati di viverla nella
vita pratica di ogni giorno ed allora vedrai la tua vita illuminata e
riscaldata dall’amore sconfinato del Cuore di Gesù che
con la sua Grande Promessa ti assicura il Paradiso: il Regno
dell’Amore e della Felicità vera, piena ed eterna.
Preghiera per ottenere la forza di portare bene la nostra
croce. Signore Gesù, abbi pietà di noi che abbiamo
paura della Croce. Nonostante questa paura ti adoriamo, ti
benediciamo, ti ringraziamo d’averla istituita: La Croce,
salvezza del mondo!
La Croce, glorificazione di Dio!
La Croce,
santificazione dei Santi!
Piega il nostro cuore ad amarla. Per
virtù della Croce dà a noi:
la forza nel dolore, per
non soffrire male la pace nel dolore, per soffrire bene iniziaci
anche alla gioia nel dolore per soffrire molto bene come soffrono i
Santi.
(P. Plus S.J.)
l Esempio
Il fatto avvenne nella città di Lovanio (Belgio) ed è
narrato da un Sacerdote testimone di questa grazia singolare concessa
dal Sacro Cuore di Gesù ad una pia signora di quella città,
che era solita, conclusa una serie delle Comunioni dei nove primi
venerdì, di cominciarne un’altra.
Era costei
leggermente indisposta ed essendo vicino il primo venerdì del
mese mandò ad avvertire il suo Confessore perché
desiderava confessarsi e ricevere subito i Sacramenti. Il Sacerdote
venne, la confessò per aderire al suo desiderio, ma quanto ad
amministrarle il S. Viatico e l’estrema Unzione disse che non
c’era una ragione sufficiente per farlo.
Si manda intanto a
chiamare il dottor Levebre, insigne professore dell’università
cattolica di Lovanio.
Al suo apparire la signora gli dice:
—
Dottore siamo alla fine, desidero ricevere gli ultimi Sacramenti.
—
Signora —, dice il dottore che era della stessa opinione del
Sacerdote — per ricevere gli ultimi Sacramenti si richiede che
vi sia almeno qualche pericolo di morte, mentre in lei non ve n’è
alcuno, perciò non potrei in alcun modo dare il mio
consenso.
La signora però tanto insistette e scongiurò
di essere accontentata, che il Sacerdote, impensierito della
sicurezza con cui ripeteva che tra poco sarebbe morta, finì
col portarle la Comunione.
Appena comunicata in pochi istanti si
ridusse agli estremi e si fece appena in tempo a somministrarle
l’Estrema Unzione, ricevuta la quale, 4isse: «Ora bisogna
lasciare tutto».
Ed in verità lasciava molto: un
marito che era un angelo di bontà, quattro cari figliuoli e un
ricchissimo patrimonio dalla cui rendita poteva sottrarre ogni anno
una forte somma per opere pie.
— Bisogna lasciare tutto, —
ripeteva — tale è la volontà di Dio; il mio cuore
è in pace.
Pochi istanti dopo spirò con la dolce
speranza di raggiungere il Paradiso promesso dal Sacro Cuore di Gesù
ai suoi devoti.
(Milani: La Grande Promessa. Ediz. Luigi Favero -
Vicenza).
2° Esempio
Una mattina di giugno — racconta il Sacerdote Ildebrando
Antonio Santangelo (vedi opera citata) — fui chiamato al
capezzale di Rosa M. Ella era ormai in corna per un colpo
apoplettico. Dispiaciutissimo per non poterla confessare per
riconciliarla con Dio, raccomandai ai parenti di chiamarmi sé
essa avesse acquistato i sensi.
Dopo due giorni mi chiamarono.
Rosa M. ragionava perfettamente. Si confessò, si comunicò
e ricevette l’estrema Unzione con devozione. Meravigliato di
tale lucidità improvvisa e completa, le chiesi: Hai fatto
forse i Nove Primi Venerdì? — Sì, mi rispose
l’ammalata, molti anni addietro —.
Poco dopo perdette
i sensi e morì.
4-69 Giugno 13, 1901 La croce e le tribolazioni sono il pane de l’eterna beatitudine.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Dopo lungo silenzio da parte del mio adorabile Gesù, al più qualche cosa sopra i flagelli che vuole versare, questa mattina trovandomi oppressa, stanca per la mia dura posizione, specie per le continue privazioni a cui vado spesso soggetta. Onde, avendolo visto per brevi istanti, mi ha detto:
(2) “Figlia mia, le croci e le tribolazioni sono il pane dell’eterna beatitudine”.
(3) Quindi comprendevo che maggiormente soffrendo, più abbondantemente e più gustoso sarà il pane che ci nutrirà nel celeste soggiorno, ossia, quanto più si soffre più caparra riceviamo della futura gloria.