Liturgia delle Ore - Letture
Lunedi della 5° settimana del Tempo di Pasqua
Vangelo secondo Giovanni 13
1Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.2Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo,3Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava,4si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita.5Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto.6Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: "Signore, tu lavi i piedi a me?".7Rispose Gesù: "Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo".8Gli disse Simon Pietro: "Non mi laverai mai i piedi!". Gli rispose Gesù: "Se non ti laverò, non avrai parte con me".9Gli disse Simon Pietro: "Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!".10Soggiunse Gesù: "Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti".11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: "Non tutti siete mondi".
12Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: "Sapete ciò che vi ho fatto?13Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono.14Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri.15Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi.16In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato.17Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica.18Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma si deve adempiere la Scrittura: 'Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno'.19Ve lo dico fin d'ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono.20In verità, in verità vi dico: Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato".
21Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: "In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà".22I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse.23Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù.24Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: "Di', chi è colui a cui si riferisce?".25Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: "Signore, chi è?".26Rispose allora Gesù: "È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò". E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone.27E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: "Quello che devi fare fallo al più presto".28Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo;29alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: "Compra quello che ci occorre per la festa", oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri.30Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte.
31Quand'egli fu uscito, Gesù disse: "Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui.32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire.34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri".
36Simon Pietro gli dice: "Signore, dove vai?". Gli rispose Gesù: "Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi".37Pietro disse: "Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!".38Rispose Gesù: "Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m'abbia rinnegato tre volte".
Giuditta 5
1Fu riferito intanto ad Oloferne, comandante supremo dell'esercito di Assur, che gli Israeliti si preparavano alla guerra e avevano bloccato i passi montani, avevano fortificato tutte le sommità dei monti e avevano disposto ostacoli nelle pianure.2Egli montò in gran furore e convocò tutti i capi di Moab e gli strateghi di Ammon e tutti i satrapi delle regioni marittime,3e disse loro: "Spiegatemi un po', voi figli di Canaan, che popolo è questo che dimora sui monti e come sono le città che egli abita, quanti sono gli effettivi del suo esercito, dove risiede la loro forza e il loro vigore, chi si è messo alla loro testa come re e condottiero del loro esercito4e perché hanno rifiutato di venire incontro a me a differenza di tutte le popolazioni dell'occidente".
5Gli rispose Achior, condottiero di tutti gli Ammoniti: "Ascolti bene il mio signore la risposta dalle labbra del suo servo: io riferirò la verità sul conto di questo popolo, che sta su queste montagne vicino al luogo ove risiedi, né uscirà menzogna dalla bocca del suo servo.6Questo popolo si compone di discendenti dei Caldei.7Essi si trasferirono dapprima nella Mesopotamia, perché non vollero seguire gli dèi dei loro padri che si trovavano nel paese dei Caldei.8Essi avevano abbandonato la tradizione dei loro padri e avevano adorato il Dio del cielo, quel Dio che essi avevano conosciuto; perciò li avevano scacciati dalla presenza dei loro dèi ed essi si erano rifugiati in Mesopotamia e furono là per molto tempo.9Ma il loro Dio comandò loro di uscire dal paese che li ospitava e venire nel paese di Canaan. Qui infatti si stabilirono e si arricchirono di oro e di argento e di bestiame in gran numero.10Poi scesero in Egitto, perché la fame aveva invaso tutto il paese di Canaan, e vi rimasero come stranieri finché trovarono da vivere. Là divennero anche una moltitudine imponente, tanto che non si poteva contare la loro discendenza.11Ma si alzò contro di loro il re dell'Egitto che li sfruttò nella preparazione dei mattoni e perciò furono umiliati e trattati come schiavi.12Essi alzarono suppliche al loro Dio e questi percosse tutto il paese d'Egitto con castighi ai quali non c'era rimedio. Perciò gli Egiziani li mandarono via dal loro paese.13Dio asciugò il Mare Rosso davanti a loro14e li guidò per la via del Sinai e di Cadesbarne; essi eliminarono quanti risiedevano nel deserto.15Poi dimorarono nel paese degli Amorrei e sterminarono con la loro forza gli abitanti di Esebon; quindi passarono il Giordano e si insediarono in tutte quelle montagne.16Scacciarono davanti a loro il Cananeo, il Perizzita, il Gebuseo, Sichem e tutti i Gergesei e abitarono nel loro territorio per molti anni.17In realtà fin quando non peccavano contro il loro Dio erano nella prosperità, perché il Dio che è con loro odia il male.18Quando invece si allontanarono dagli ordinamenti che egli aveva loro imposti, furono terribilmente sconfitti in molte guerre e condotti prigionieri in paese straniero, il tempio del loro Dio fu raso al suolo e le loro città caddero in potere dei loro nemici.19Ora appunto, riconciliati con il loro Dio, hanno fatto ritorno dai luoghi dove erano stati dispersi, hanno ripreso possesso di Gerusalemme, dove è il loro santuario, e si sono stabiliti sulle montagne, che prima erano deserte.20Ora, mio sovrano e signore, se vi è qualche aberrazione in questo popolo perché ha peccato contro il suo Dio, se cioè ci accorgiamo che c'è in mezzo a loro questo inciampo, avanziamo e diamo loro battaglia.21Se invece non c'è alcuna trasgressione nella loro gente, il mio signore passi oltre, perché il Signore, che è il loro Dio, non si faccia loro scudo e noi diveniamo oggetto di scherno davanti a tutta la terra".22Ecco, appena Achior cessò di pronunziare queste parole, tutta la turba che circondava la tenda e stazionava intorno, alzò un mormorio, mentre gli ufficiali di Oloferne e tutti gli abitanti della costa e i Moabiti proponevano di ucciderlo.23"Non avremo certo paura degli Israeliti, dicevano; vedete che è un popolo nel quale non ci sono esercito né forze armate per un valido schieramento.24Dunque avanziamo presto e saranno pascolo di tutto il tuo esercito, o sovrano Oloferne".
Giobbe 34
1Eliu continuò a dire:
2Ascoltate, saggi, le mie parole
e voi, sapienti, porgetemi l'orecchio,
3Perché l'orecchio distingue le parole,
come il palato assapora i cibi.
4Esploriamo noi ciò che è giusto,
indaghiamo fra di noi quale sia il bene:
5poiché Giobbe ha detto: "Io son giusto,
ma Dio mi ha tolto il mio diritto;
6contro il mio diritto passo per menzognero,
inguaribile è la mia piaga benché senza colpa".
7Chi è come Giobbe
che beve, come l'acqua, l'insulto,
8che fa la strada in compagnia dei malfattori,
andando con uomini iniqui?
9Poiché egli ha detto: "Non giova all'uomo
essere in buona grazia con Dio".
10Perciò ascoltatemi, uomini di senno:
lungi da Dio l'iniquità
e dall'Onnipotente l'ingiustizia!
11Poiché egli ripaga l'uomo secondo il suo operato
e fa trovare ad ognuno secondo la sua condotta.
12In verità, Dio non agisce da ingiusto
e l'Onnipotente non sovverte il diritto!
13Chi mai gli ha affidato la terra
e chi ha disposto il mondo intero?
14Se egli richiamasse il suo spirito a sé
e a sé ritraesse il suo soffio,
15ogni carne morirebbe all'istante
e l'uomo ritornerebbe in polvere.
16Se hai intelletto, ascolta bene questo,
porgi l'orecchio al suono delle mie parole.
17Può mai governare chi odia il diritto?
E tu osi condannare il Gran Giusto?
18lui che dice ad un re: "Iniquo!"
e ai principi: "Malvagi!",
19lui che non usa parzialità con i potenti
e non preferisce al povero il ricco,
perché tutti costoro sono opera delle sue mani?
20In un istante muoiono e nel cuore della notte
sono colpiti i potenti e periscono;
e senza sforzo rimuove i tiranni,
21poiché egli tiene gli occhi sulla condotta
dell'uomo
e vede tutti i suoi passi.
22Non vi è tenebra, non densa oscurità,
dove possano nascondersi i malfattori.
23Poiché non si pone all'uomo un termine
per comparire davanti a Dio in giudizio:
24egli fiacca i potenti, senza fare inchieste,
e colloca altri al loro posto.
25Poiché conosce le loro opere,
li travolge nella notte e sono schiacciati;
26come malvagi li percuote,
li colpisce alla vista di tutti;
27perché si sono allontanati da lui
e di tutte le sue vie non si sono curati,
28sì da far giungere fino a lui il grido
dell'oppresso e fargli udire il lamento dei poveri.
29Se egli tace, chi lo può condannare?
Se vela la faccia, chi lo può vedere?
Ma sulle nazioni e sugli individui egli veglia,
30perché non regni un uomo perverso,
perché il popolo non abbia inciampi.
31Si può dunque dire a Dio:
"Porto la pena, senza aver fatto il male;
32se ho peccato, mostramelo;
se ho commesso l'iniquità, non lo farò più"?
33Forse, secondo le tue idee dovrebbe ricompensare,
perché tu rifiuti il suo giudizio?
Poiché tu devi scegliere, non io,
di', dunque, quello che sai.
34Gli uomini di senno mi diranno
con l'uomo saggio che mi ascolta:
35"Giobbe non parla con sapienza
e le sue parole sono prive di senno".
36Bene, Giobbe sia esaminato fino in fondo,
per le sue risposte da uomo empio,
37perché aggiunge al suo peccato la rivolta,
in mezzo a noi batte le mani
e moltiplica le parole contro Dio.
Salmi 148
1Alleluia.
Lodate il Signore dai cieli,
lodatelo nell'alto dei cieli.
2Lodatelo, voi tutti, suoi angeli,
lodatelo, voi tutte, sue schiere.
3Lodatelo, sole e luna,
lodatelo, voi tutte, fulgide stelle.
4Lodatelo, cieli dei cieli,
voi acque al di sopra dei cieli.
5Lodino tutti il nome del Signore,
perché egli disse e furono creati.
6Li ha stabiliti per sempre,
ha posto una legge che non passa.
7Lodate il Signore dalla terra,
mostri marini e voi tutti abissi,
8fuoco e grandine, neve e nebbia,
vento di bufera che obbedisce alla sua parola,
9monti e voi tutte, colline,
alberi da frutto e tutti voi, cedri,
10voi fiere e tutte le bestie,
rettili e uccelli alati.
11I re della terra e i popoli tutti,
i governanti e i giudici della terra,
12i giovani e le fanciulle,
i vecchi insieme ai bambini
13lodino il nome del Signore:
perché solo il suo nome è sublime,
la sua gloria risplende sulla terra e nei cieli.
14Egli ha sollevato la potenza del suo popolo.
È canto di lode per tutti i suoi fedeli,
per i figli di Israele, popolo che egli ama.
Alleluia.
Isaia 13
1Oracolo su Babilonia, ricevuto in visione da Isaia figlio di Amoz.
2Su un monte brullo issate un segnale,
alzate per essi un grido;
fate cenni con la mano perché varchino
le porte dei principi.
3Io ho dato un ordine ai miei consacrati;
ho chiamato i miei prodi a strumento del mio sdegno,
entusiasti della mia grandezza.
4Rumore di folla sui monti,
simile a quello di un popolo immenso.
Rumore fragoroso di regni,
di nazioni radunate.
Il Signore degli eserciti passa in rassegna
un esercito di guerra.
5Vengono da un paese lontano,
dall'estremo orizzonte,
il Signore e gli strumenti della sua collera,
per devastare tutto il paese.
6Urlate, perché è vicino il giorno del Signore;
esso viene come una devastazione
da parte dell'Onnipotente.
7Perciò tutte le braccia sono fiacche,
ogni cuore d'uomo viene meno;
8sono costernati, spasimi e dolori li prendono,
si contorcono come una partoriente;
ognuno osserva sgomento il suo vicino;
i loro volti sono volti di fiamma.
9Ecco, il giorno del Signore arriva implacabile,
con sdegno, ira e furore,
per fare della terra un deserto,
per sterminare i peccatori.
10Poiché le stelle del cielo e la costellazione di Orione
non daranno più la loro luce;
il sole si oscurerà al suo sorgere
e la luna non diffonderà la sua luce.
11Io punirò il mondo per il male,
gli empi per la loro iniquità;
farò cessare la superbia dei protervi
e umilierò l'orgoglio dei tiranni.
12Renderò l'uomo più raro dell'oro
e i mortali più rari dell'oro di Ofir.
13Allora farò tremare i cieli
e la terra si scuoterà dalle fondamenta
per lo sdegno del Signore degli eserciti,
nel giorno della sua ira ardente.
14Allora, come una gazzella impaurita
e come un gregge che nessuno raduna,
ognuno si dirigerà verso il suo popolo,
ognuno correrà verso la sua terra.
15Quanti saranno trovati, saranno trafitti,
quanti saranno presi, periranno di spada.
16I loro piccoli saranno sfracellati davanti ai loro occhi;
saranno saccheggiate le loro case,
disonorate le loro mogli.
17Ecco, io eccito contro di loro i Medi
che non pensano all'argento,
né si curano dell'oro.
18Con i loro archi abbatteranno i giovani,
non avranno pietà dei piccoli appena nati,
i loro occhi non avranno pietà dei bambini.
19Babilonia, perla dei regni,
splendore orgoglioso dei Caldei,
sarà come Sòdoma e Gomorra sconvolte da Dio.
20Non sarà abitata mai più né popolata
di generazione in generazione.
L'Arabo non vi pianterà la sua tenda
né i pastori vi faranno sostare i greggi.
21Ma vi si stabiliranno gli animali del deserto,
i gufi riempiranno le loro case,
vi faranno dimora gli struzzi,
vi danzeranno i sàtiri.
22Ululeranno le iene nei loro palazzi,
gli sciacalli nei loro edifici lussuosi.
La sua ora si avvicina,
i suoi giorni non saranno prolungati.
Seconda lettera a Timoteo 4
1Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno:2annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina.3Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie,4rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole.5Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero.
6Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele.7Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede.8Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione.
9Cerca di venire presto da me,10perché Dema mi ha abbandonato avendo preferito il secolo presente ed è partito per Tessalonica; Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia.11Solo Luca è con me. Prendi Marco e portalo con te, perché mi sarà utile per il ministero.12Ho inviato Tìchico a Èfeso.13Venendo, portami il mantello che ho lasciato a Tròade in casa di Carpo e anche i libri, soprattutto le pergamene.14Alessandro, il ramaio, mi ha procurato molti mali. 'Il Signore' gli 'renderà secondo le sue opere';15guàrdatene anche tu, perché è stato un accanito avversario della nostra predicazione.
16Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Non se ne tenga conto contro di loro.17Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili: e così fui liberato dalla bocca del leone.18Il Signore mi libererà da ogni male e mi salverà per il suo regno eterno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
19Saluta Prisca e Aquila e la famiglia di Onesìforo.20Eràsto è rimasto a Corinto; Tròfimo l'ho lasciato ammalato a Milèto.21Affrettati a venire prima dell'inverno.
Ti salutano Eubùlo, Pudènte, Lino, Claudia e tutti i fratelli.
22Il Signore Gesù sia con il tuo spirito. La grazia sia con voi!
Capitolo IV: La ponderatezza nell'agire
Leggilo nella BibliotecaNon dobbiamo credere a tutto ciò che sentiamo dire; non dobbiamo affidarci a ogni nostro impulso. Al contrario, ogni cosa deve essere valutata alla stregua del volere di Dio, con attenzione e con grandezza d'animo. Purtroppo, degli altri spesso pensiamo e parliamo più facilmente male che bene: tale è la nostra miseria. Quelli che vogliono essere perfetti non credono scioccamente all'ultimo che parla, giacché conoscono la debolezza umana, portata alla malevolenza e troppo facile a blaterare. Grande saggezza, non essere precipitosi nell'agire e, d'altra parte, non restare ostinatamente alle nostre prime impressioni. Grande saggezza, perciò, non andare dietro a ogni discorso della gente e non spargere subito all'orecchio di altri quanto abbiamo udito e creduto. Devi preferire di farti guidare da uno migliore di te, piuttosto che andare dietro alle tue fantasticherie; prima di agire, devi consigliarti con persona saggia e di retta coscienza. Giacché è la vita virtuosa che rende l'uomo l'uomo saggio della saggezza di Dio, e buon giudice in molti problemi. Quanto più uno sarà inutilmente umile e soggetto a Dio, tanto più sarà saggio, e pacato in ogni cosa.
LIBRO PRIMO: LA RAZIONALITÀ CHE NON DIPENDE DALL'UOMO
L'ordine - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaIntroduzione: Problematica cruciale della razionalità del mondo (1, 1-2, 5)
La razionalità del mondo e la sua problematica.
1. 1. È assai difficile per gli uomini e piuttosto raro, o Zenobio, cogliere a fondo la legge propria di ciascun essere e a più forte ragione chiarirsi e manifestare l'ordinamento dell'universo con cui il mondo è condizionato ai nessi causali e diretto al fine. Vi si aggiunge anche che se qualcuno potesse riuscirvi, non troverebbe tuttavia un uditore che, per dignità morale e per disposizione al pensiero filosofico, sia capace di verità tanto alte e misteriose. Tuttavia non v'è problema che gli ingegni migliori trattano con maggiore impegno e che quanti guardano gli scogli e le tempeste della vita con la testa eretta, quanto è consentito, desiderano sentirsi esporre e comprendere quanto quello della possibile composizione fra la cura che Dio si prende degli uomini e il fatto assai comune della deviazione delle azioni umane dal fine. Sembrerebbe appunto che l'ordine sia da attribuirsi non tanto al governo di Dio quanto a quello di uno schiavo se gli si desse tale potere. Pertanto coloro che s'interessano del problema potrebbero ritenere come logica conseguenza o che la divina provvidenza non può giungere alle ultime ed infime manifestazioni dell'essere o che tutti i mali dipendono dal volere di Dio. Blasfema l'una e l'altra ipotesi, ma soprattutto la seconda. Infatti è indice d'ignoranza e causa di danno spirituale il pensiero che un qualche essere sia da Dio abbandonato. Tuttavia nessuno fra gli uomini ha imputato a qualcuno come colpa l'impossibilità. Il rimprovero di trascuranza è infatti molto più mite che quello di malvagità e crudeltà. Quindi l'umano pensiero, non privo di religiosità, è costretto ad ammettere o che le cose del mondo non possono essere da Dio dirette al fine o che sono da lui trascurate e disdegnate piuttosto che governate in maniera che diventi comprensibile e incolpevole ogni possibile lamentela contro Dio.
Razionalità e limiti del pensiero.
1. 2. Ma chi è tanto cieco di mente da dubitare d'attribuire alla potenza e provvidenza divina la legge razionale che si verifica nel succedersi dei fenomeni indipendentemente dall'intenzione e dall'esecuzione umana? A meno delle seguenti ipotesi: o le membra di animali anche piccolissimi sono strutturate dal caso in dimensioni tanto proporzionate ed esatte; ovvero si ammette che deriva da un principio razionale ciò che non può esser prodotto dal caso; o infine noi oseremmo, per pregiudizi di vana filosofia, non attribuire all'occulta legge del divino potere l'ordine che ammiriamo in ogni essere nella successione di tutti i fenomeni naturali e indipendentemente dalla razionale produttività dell'uomo. Ma l'aporia sta appunto nel fatto che le membra della pulce sono disposte con mirabile distribuzione e frattanto la vita umana è travagliata e sconvolta dal succedersi d'innumerevoli crisi. Ma a questo proposito supponiamo che un tale abbia la vista tanto limitata che in un pavimento a mosaico il suo sguardo possa percepire soltanto le dimensioni di un quadratino per volta. Egli rimprovererebbe all'artista l'imperizia nell'opera d'ordinamento e composizione nella convinzione che le diverse pietruzze sono state maldisposte. Invece è proprio lui che non può cogliere e rappresentarsi in una visione d'insieme i pezzettini armonizzati in una riproduzione d'unitaria bellezza. La medesima condizione si verifica per le persone incolte. Incapaci di comprendere e riflettere sull'universale e armonico ordinamento delle cose, se qualche aspetto, che per la loro immaginazione è grande, li urta, pensano che nell'universo esiste una grande irrazionalità.
Razionalità e meditazione filosofica.
1. 3. Il motivo principale dell'errore è che l'uomo non si conosce. E perché possa conoscersi ha bisogno del costante esercizio di distogliersi dalla sensibilità, di raccogliersi spiritualmente e meditare. Attuano tale esercizio soltanto coloro che o cauterizzano con la solitudine o medicano con le discipline liberali le piaghe dei vari pregiudizi causate dall'esistenza banale.
2. 3. Così lo spirito restituito a se stesso comprende l'essenza dell'armonia dell'universo che è stato denominato dall'uno. E pertanto non è consentito contemplarla all'anima che si pone nella variabilità e s'illude di colmare con il flusso dei desideri la privazione poiché ignora che essa non si può superare se non con il distacco dalla molteplicità. Per molteplicità non intendo una moltitudine di uomini ma tutto il mondo sensibile. E non devi meravigliarti che tanto maggiormente essa sente la privazione quanto più desidera di raggiungere il molteplice. In un cerchio, per quanto ampio, unico è il punto mediano, chiamato dai matematici centro. Ad esso tutte le rette convergono e sebbene la circonferenza si possa dividere in infiniti punti, tuttavia nessuno è fuori dell'unico centro. Da esso infatti deriva l'esatta misura di tutte le parti e si pone in rilievo fra tutte per la garanzia della giusta scompartizione. Se al contrario metti in rilievo l'uno o l'altro punto della circonferenza, li perdi tutti per averli voluti tutti rilevare. Analogamente lo spirito postosi fuori di sé si frantuma in infinite parti e si degrada ad una genuina mendicità perché la sua natura lo stimola a cercare l'unità, ma la molteplicità glielo impedisce.
Protreptico a Zenobio.
2. 4. Tu comprenderai certamente, o Zenobio, la dottrina sull'argomento di cui sto parlando, i motivi della prevaricazione spirituale e il modo per cui tutte le cose si armonizzano nell'unità e raggiungono il fine, e ciò nonostante, la ragione per cui il peccato si deve evitare. Infatti mi son noti il tuo ingegno e il tuo spirito innamorato della bellezza ideale, sgombro da smoderata libidine e da macchie. E tale segno in te della futura saggezza ti segrega, per la tua appartenenza a valori trascendenti, dalle dannose passioni in modo da non farti abbandonare il tuo destino per le attrattive dei falsi piaceri. Niente si può concepire di più turpe e pericoloso di simile prevaricazione. Comprenderai questi problemi, devi credermi, quando ti applicherai alla formazione mentale con cui si sarchia e si coltiva lo spirito, prima completamente indisposto a ricevere il seme divino. Sulla natura di questo problema, sul procedimento che richiede, sui risultati che la ragione garantisce agli individui che vi si dedicano e vivono bene, sul tenore di vita che noi tuoi amici meniamo e quale profitto ricaviamo dalle occupazioni liberali ti informeranno sufficientemente questi libri, come penso. Ed essi ci saranno più graditi per la dedica al tuo nome che per la nostra elaborazione, specialmente se, scegliendo la parte migliore, ti vorrai inserire e armonizzare a quell'ordine sul quale ti sto scrivendo.
La particolare situazione di Agostino.
2. 5. Il dolor di petto mi ha fatto abbandonare l'insegnamento, sebbene già, anche senza tale evenienza, stessi tentando di rifugiarmi nella filosofia. Mi condussi subito nella villa del nostro buon amico Verecondo. Dovrei dire col suo consenso? Conosci bene la sua schietta generosità verso di tutti, ma particolarmente verso di noi. Ivi discutevamo assieme gli argomenti che ritenevamo giovevoli. Eravamo ricorsi all'impiego dello stilo per raccogliere tutti gli interventi perché il sistema conferiva alla mia salute. Infatti io avevo un freno durante la discussione nella preoccupazione di dir bene e così veniva evitata un'animata contesa di parole. Nello stesso tempo se ci fosse sembrato opportuno di trascrivere qualche parte dei nostri discorsi, si eliminava la necessità di dire un'altra volta e si evitava lo sforzo di ricordare. Trattavano con me gli argomenti Alipio e Navigio mio fratello e Licenzio che all'improvviso, tanto da destar meraviglia, s'era dato a far versi. Il servizio militare ci aveva restituito anche Trigezio che come veterano amava la storia. E qualche cosa avevamo già nei rotoli.
Primo episodio: Lo scorrere delle acque e l'ordine nella natura (3, 6-5, 14)
Il fenomeno del vario scorrimento delle acque.
3. 6. Una notte mi svegliai al solito e in silenzio riflettevo su pensieri che non saprei da dove mi venissero in mente. Il fatto s'era tramutato in consuetudine per il mio amore di raggiungere il vero. Se tali problemi mi assillavano, vi riflettevo sopra o durante la prima parte della notte o durante la seconda, comunque per circa una metà della notte. E non tolleravo di esserne distolto dalle discussioni degli studenti. Anche essi per tutto il giorno si applicavano tanto da sembrarmi eccessivo se avessero impiegato nella fatica degli studi anche una parte della notte. Avevano inoltre ricevuto da me l'ordine che, oltre la lettura, imparassero a riflettere e abituassero lo spirito a riconcentrarsi in se stesso. Dunque, come ho detto, ero sveglio. Ed ecco che il mormorio dell'acqua che scorreva accanto alle terme colpì il mio udito e fu avvertito da me più attentamente del solito. Mi pareva assai strano il fatto che la medesima acqua scorrendo sulle pietre del greto desse un suono ora più distinto ora più soffocato. Presi a ricercarne la causa. Confesso che non mi venne in mente nulla. Ed ecco che Licenzio dal suo letto tentò di porre in fuga alcuni topi importuni battendo un mobile di legno che gli stava accanto. In tal maniera mi avvertì che era desto. Gli dissi: "Giacché vedo che la tua Musa per farti fantasticare ti ha acceso il suo lume, noti, o Licenzio, come varia il mormorio del ruscello?". "Il fatto non m'è nuovo, rispose. Una volta mi svegliai di notte col desiderio che fosse sereno. Prestai allora l'orecchio per avvertire se cadeva la pioggia e l'acqua del ruscello produceva lo stesso fenomeno di adesso". Trigezio confermò poiché anche egli, che era coricato nella stessa camera, era desto senza che noi lo sapessimo. Stavamo infatti al buio ed è questa un'economia che in Italia è quasi indispensabile anche ai più facoltosi.
La spiegazione di Licenzio.
3. 7. Mi accorsi così che la nostra scuola, quella presente perché Alipio e Navigio erano andati in città, era desta anche a quell'ora. La stranezza del fenomeno dello scorrere delle acque mi stimolava ad esaminarlo. Mi rivolsi quindi a loro: "Quale ritenete che sia la causa del variare del mormorio? Non possiamo certamente pensare che qualcuno a quest'ora o passandovi sopra o lavandovi qualche cosa ne interrompa lo scorrimento". "E perché non pensare, disse Licenzio, ad un fenomeno prodotto da foglie di varie piante? Esse in autunno cadono continuamente e abbondantemente qua e là. Stipate nelle parti più strette del greto, sono di tanto in tanto trascinate via e quando la massa d'acqua che le spingeva è passata, di nuovo si raccolgono e ostruiscono. Può anche avvenire un altro qualsiasi fenomeno a causa della diversa fortuita posizione di foglie trasportate che è sufficiente ora a rallentare ora ad accelerare lo scorrimento". A me che altra non ne avevo sembrò probabile tale spiegazione e ammisi, lodando la sua perspicacia, che io non avevo trovato nulla sebbene a lungo ne avessi cercata la causa.
I progressi di Licenzio e la gioia di Agostino.
3. 8. Dopo un breve silenzio gli dissi: "A buona ragione non te ne meravigliavi e te ne stavi raccolto vicino a Calliope". "Sì, mi rispose, ma ora tu mi hai offerto un motivo di grande meraviglia". "E quale?" chiesi. "Che te ne sei meravigliato", mi rispose. "Ma da dove, tornai a chiedere, di solito nascono la meraviglia e l'ignoranza, che è madre di tale imperfezione, se non da un avvenimento che si verifica fuori dell'apparente ordine causale?". Ed egli: "Ammetto apparente poiché ritengo che nulla avviene fuori dell'ordine". Mi sentii rinfrancato da una speranza più viva che nelle altre occasioni, in cui uso con loro il metodo maieutico. L'intelligenza del giovane, dedicatasi da poco a tali studi, aveva concepito con tanta prontezza una verità molto importante senza che fra di noi fosse stata mai agitata una discussione su problemi di tal genere. "Bene, dissi, bene, proprio bene hai formulato un pensiero assai profondo e ti sei lanciato molto in alto. Esso, credimi, di un bel tratto va al di sopra dell'Elicona; eppure ti sforzi di arrivare alla sua vetta come se fosse il cielo. Ma vorrei che tu difenda la tua tesi perché tenterò di demolirla". "Ti prego, mi rispose, in questo momento lasciami in pace perché ho lo spirito fortemente teso in altra direzione". Temetti che travolto dalla passione di far versi si allontanasse dall'applicazione alla filosofia. "Mi dispiace, gli dissi, che vai in cerca di codesti tuoi versi cantando e urlando con forme metriche di ogni genere. Stanno levando fra te e la verità un muro più insormontabile di quello levato fra gli innamorati della tua favola. Essi almeno comunicavano attraverso una fessura". Aveva infatti cominciato a cantar la favola di Piramo.
La prima conversione di Licenzio dalla poesia alla filosofia.
3. 9. Lo dissi con maggior severità di quanto credesse, ed egli se ne stette in silenzio per un po'. Io avevo già abbandonato la discussione intrapresa e vi stavo riflettendo da solo perché non volevo preoccupare inutilmente un individuo distratto da altri pensieri. Ma egli disse: "Io sciocco per aver lasciato indizi come un topo da fogna (Terenzio, Eun. 1024). Il verso è stato posto in Terenzio con minor proprietà di quella con cui oggi lo posso applicare a me. Ma la sua ultima frase forse si volgerà nel senso contrario. Egli infatti ha detto: Oggi mi son perduto, io invece forse oggi mi ritroverò. Suppongo che non disprezziate il presagio che i superstiziosi sogliono trarre perfino dai topi. Ora io facendo rumore ho cercato di far capire, se pur capisce qualche cosa, a quel topo comune o da fogna, a causa del quale hai scoperto che ero desto, di tornarsene nel suo covo e di starsene quieto. Dunque perché anche io dalle tue brusche parole non dovrei comprendere di dover filosofare anziché far versi? Infatti la filosofia, come ormai ho cominciato a credere a causa delle tue quotidiane dimostrazioni, è la nostra vera e indemolibile casa. Pertanto se non ti dispiace e se credi che così si deve fare, chiedi ciò che vuoi: difenderò, per quanto posso, l'universalità dell'ordine e dimostrerò che nulla può avvenire fuori della legge razionale. Ne ho talmente imbevuto e impregnato lo spirito che se in questa discussione qualcuno mi vincesse, non lo addebiterei a qualche principio irrazionale, ma alla razionalità delle cose. Infatti non la verità, ma Licenzio sarebbe sconfitto".
Impostazione del dialogo sull'ordine
4. 10. Ed io di nuovo con gioia mi restituii a loro. Mi rivolsi a Trigezio: "E tu che ritieni?". Mi rispose: "Sono certamente favorevole al principio teleologico, ma ho dei dubbi e vorrei esaminare con molta attenzione un argomento tanto importante". "Quindi, gli ingiunsi, sostieni la tesi favorevole al principio teleologico. In quanto ai tuoi dubbi penso che li hai in comune con Licenzio e con me stesso". "Ma io, interruppe Licenzio, ho la piena certezza della mia tesi. Perché dovrei esitare a demolire la parete, di cui hai parlato, prima che sia stata completamente innalzata? Non tanto infatti l'applicazione alla poesia mi può allontanare dalla filosofia quanto piuttosto la sfiducia di raggiungere il vero". Allora, con espressione di gioia, intervenne Trigezio: "Abbiamo finalmente, ed è questo che conta, un Licenzio non più accademico. Prima li difendevi con tanto ardore". "Ora, ti prego, gli rispose, lascia andare certi argomenti affinché astuzie e adescamenti non mi distolgano e strappino da non saprei quale verità metafisica che mi si sta mostrando e alla quale mi aggancio con ardente desiderio". A questo punto io, osservando di aver motivi di godimento molto più grandi di quanto avessi mai osato sperare, profferii con accento di gioia il verso: "Lo rendano tale il padre degli dèi e il grande Apollo (Virgilio Aen. 10, 875). Egli, che ora ci concede un favorevole auspicio e scende nel nostro spirito, ci condurrà, se vogliamo seguirlo, alla meta che ci indica e nella dimora che ci fissa. E il grande Apollo non è quegli che negli antri, nei monti, nei boschi, evocato dall'aroma degli incensi e dalle viscere degli animali, invade i manti, ma è un Altro, quel grande che ha detto parole veraci, anzi, a scanso di espressioni ambigue, la stessa Verità. E i suoi vati sono tutti coloro che possono esser saggi. Cominceremo dunque, o Licenzio, come dissodatori che prendono fiducia dalla pietà. Con i nostri passi smorziamo il fuoco incendiario delle fumose passioni".
Nella natura tutto è causalmente razionale.
4. 11. "Allora, mi rispose, inizia il dialogo. Forse potrò, anche con le mie risposte, chiarire un problema tanto importante e per me incomprensibile". "Prima di tutto, gli dissi, rispondi a questa domanda: Perché ritieni che l'acqua di questo ruscello non scorre a caso, ma secondo una legge? Soltanto il fatto che viene convogliata in canali di legno e condotta per i nostri usi può rientrare nei termini di un ordine. Infatti l'opera è dovuta agli uomini che hanno usato la ragione per ottenere dal suo scorrere il vantaggio di bere e lavare e l'effetto è necessariamente congiunto con la configurazione dei luoghi. Ma come possiamo pensare che sia dovuto all'ordine anziché al caso il fatto che le foglie siano cadute in maniera da causare, come tu spieghi, il fenomeno che ha destato la nostra meraviglia?". "Come se, mi rispose, chi afferma senza pregiudizi l'impossibilità dell'effetto senza la causa propria possa ritenere che le foglie sarebbero dovute o potute cadere diversamente da come son cadute. E dovrei forse ricercare la posizione degli alberi e dei rami e perfino la quantità del peso che la natura ha stabilito alle foglie? Ed è forse mia competenza indagare il movimento dell'aria che le fa volare, la lentezza con cui discendono e i vari modi di cadere secondo le condizioni atmosferiche, secondo il loro peso e forma ed altri innumerevoli ed occulti agenti naturali? Simili circostanze sono nascoste, del tutto nascoste ai nostri sensi. Ma non è nascosto al pensiero, e non saprei come, il principio dell'impossibilità di un effetto senza la causa. Ed esso è criterio sufficiente per trattare il problema propostoci. Un problemizzatore importuno può continuare a chiedere: c'era forse una ragione perché gli alberi siano stati posti proprio lì? Risponderò che gli uomini si sono insediati in terreni fertili. E se le piante non sono utili e sono sorte per puro caso? Ed io risponderò che noi siamo di vista corta e che la natura, la quale le ha fatte germinare, non opera a caso. Ma perché continuare? O mi si convincerà che qualche fenomeno si produce senza giustificazione o convenite con me che tutto avviene in un determinato ordine di cause".
L'ordine naturale non sempre appare.
5. 12. Gli risposi: "Mi definisci un importuno problemizzatore e in verità potrei appena non esserlo perché ho posto fine ai tuoi colloqui con Piramo e Tisbe. Tuttavia continuerò il dialogo. Tu ti ostini a far apparire la natura retta da un ordine. A quale fine allora, per tacere di altri innumerevoli casi, ha fatto generare queste piante che non producono frutto?". Mentre egli rifletteva sulla risposta da dare, intervenne Trigezio: "Ma che all'uomo deriva utilità dalle piante soltanto a causa dei frutti? Quanti altri vantaggi provengono, alcuni dall'ombra, altri dal legname ed altri
infine dalle fronde e foglie". "Ti prego, interruppe Licenzio, di non rispondere in questi termini alle sue domande. Si possono addurre innumerevoli esempi di cose, dalle quali non proviene alcun vantaggio per l'uomo oppure esso è così nascosto o trascurabile che non si dà, soprattutto a noi, possibilità di difesa o scampo. Egli piuttosto ci esponga la tesi della possibilità di un effetto non dipendente dalla propria causa". "Questo argomento, dissi, lo tratteremo in seguito. Comunque non è opportuno che io assuma il compito dell'insegnante quando tu, che ti sei dichiarato certo di un argomento tanto importante, non mi hai ancora insegnato niente. Eppure ho gran desiderio di apprendere e per tal motivo medito giorno e notte".
Il rapporto maestro-scolaro può divenire mutuo insegnamento.
5. 13. "Ma dove vuoi condurmi?, rispose. E ne sarebbe forse motivo il fatto che ti seguo più docilmente di quanto facciano le foglie con il vento che le butta in acqua e le costringe quindi non solo a cadere, ma anche a esser trascinate via? Difatti sarebbe forse un caso diverso quello di Licenzio che insegna ad Agostino e nientemeno che problemi di fondo della filosofia?". "Ti prego, gli risposi, non deprimere tanto te stesso e non innalzare me. Anche io in filosofia sono ancor fanciullo e quando rivolgo domande non m'importa chi sia lo strumento attraverso il quale mi risponde colui che ogni giorno accoglie il mio gemito. E penso che tu un giorno diverrai suo cantore e quel giorno forse non è lontano. Tuttavia anche coloro che son profani a simili studi possono insegnare qualche cosa quando si sentono legati, per così dire, dalle catene del dialogo ad una accolta di uomini che discutono. E quel qualche cosa e niente non è la medesima cosa. Userò allo scopo il tuo esempio. Non vedi che le foglie portate dal vento e trascinate sulle acque fanno una certa resistenza nel ruscello che scorre e fanno così riflettere gli uomini sulla legge razionale? Lo dico nell'ipotesi che la tua tesi sia vera".
Empiricità dei fenomeni e metempiricità dei nessi.
5. 14. A questo punto egli saltò per la gioia sul letto ed esclamò: "Chi, o gran Dio, potrà negare che dirigi razionalmente tutte le cose al fine? In qual maniera tutte le cose si raccordano! Con quali inderogabili successioni sono costrette ai propri nessi causali! Quanto grandi e numerosi fatti sono accaduti per indurci a questo colloquio! Quanto ammirabili cose avvengono perché ti possiamo ritrovare! E dall'ordinamento al fine non dipende e deriva anche il fatto che ci siamo svegliati, che hai avvertito quel suono, che non hai trovato la spiegazione d'un fatto tanto trascurabile? Inoltre un sorcio si fa notare perché io mi faccia notare sveglio. Infine il tuo discorso è condotto in maniera da farmi comprendere che cosa devo risponderti. Forse non era il tuo intento poiché non è in potere dell'uomo ogni pensiero che viene in mente. Ed ora, scusa, supponiamo che questi nostri discorsi, una volta pubblicati, ottengano una notevole celebrità nella considerazione degli uomini. Sarebbe un avvenimento molto importante e un grande indovino ovvero un caldeo interpellato avrebbe dovuto prevederlo molto tempo prima dell'avverarsi. E se l'avesse preveduto sarebbe stato considerato un grande divinatore ed esaltato da tutti. E forse che qualcuno avrebbe osato chiedergli perché una foglia cadrà dall'albero o se un sorcio vagabondo molesterà un uomo disteso per dormire? Forseché qualcuno di coloro predisse spontaneamente avvenimenti di tanto poco rilievo o vi fu costretto? Ora mettiamo che abbia predetto la pubblicazione d'un libro piuttosto notevole e il certo avverarsi dell'evento poiché altrimenti non sarebbe stata divinazione. In tal caso il rivoltolarsi di foglie sui campi, le scorribande d'una spregevole bestiola per la casa rientrano negli inderogabili nessi dell'ordine come il fatto letterario. Esso infatti si compone di parole che tuttavia, senza quei trascurabili avvenimenti che l'hanno preceduto, non sarebbero potute venire in mente né esser profferite né consegnate ai posteri. E per questo, scusami, non mi si chieda il motivo per cui un fenomeno avviene. Mi basta che non avviene fenomeno che non sia stato prodotto e attuato da una qualche causa.
Secondo episodio: La mania religiosa di Licenzio ossia Dio e l'ordine (6, 15-8, 24)
Nella razionalità rientra ogni contraddizione. Anche l'errore rientra nella razionalità.
6. 15. "Si vede bene, gli risposi, o ragazzo, che non sai quante cose e da quali uomini sono state dette contro la divinazione. E adesso rispondimi non sul problema della possibilità d'un effetto senza la causa, poiché osservo che non intendi darvi risposta, ma se l'ordine da te sostenuto è un bene ovvero un male". Ed egli sommessamente: "Non hai posto la domanda in maniera che io possa affermare o l'uno o l'altro. Osservo che si dà qualche cosa di mezzo. Infatti opino che l'ordine non sia né bene né male". "Per lo meno, soggiunsi, cosa pensi che sia contrario all'ordine?". "Nulla, mi rispose. Com'è possibile che si dia qualche cosa di contrario al principio che tutto comprende, tutto subordina? Infatti ciò che è contrario alla legge razionale ne è necessariamente fuori. Ora io non concepisco che si dia cosa fuori razionalità. Quindi è ovvio il pensiero che non si dia cosa contraria alla legge razionale". "Allora, intervenne Trigezio, neanche l'errore è contrario a razionalità?". "Certamente, egli rispose. Infatti senza ragione non si dà neanche l'errore. Ora la serie delle ragioni rientra nella legge razionale. E l'errore non solo è prodotto da una sua ragione, ma produce anche un qualche cosa di cui diviene ragion d'essere. Quindi, per il fatto che non è fuori razionalità, non può esser contrario a razionalità".
Gioia di Agostino per le intuizioni di Licenzio.
6. 16. Trigezio non soggiunse. Ed io non riuscivo a contenere la gioia nel vedere che un giovanetto, figlio di un amico carissimo, stava diventando anche mio figlio e non solo, ma si stava formando e crescendo come mio amico. E pensare che non avevo fiducia neanche del suo interesse per gli inferiori studi liberali. Ma egli, dopo aver preso, per così dire, visione d'un suo diritto, aggrediva d'impeto problemi di fondo della filosofia. E mentre in silenzio me ne faccio le meraviglie e ardo di gioia, egli all'improvviso, come preso da un'ispirazione, esclama: "Oh potessi dire quel che sento. Vi prego, dove siete, o parole? venitemi incontro. Nella legge razionale v'è il bene e il male. Credetelo se volete. Io non so come spiegarlo".
Anche il male rientra nella razionalità.
7. 17. Io ero meravigliato e tacevo. Ma Trigezio, quando s'accorse che l'altro, come smaltita una ubriachezza, s'era reso disposto a farsi rivolgere la parola e pronto al dialogo, disse: "Ritengo assurdo, o Licenzio, e molto lontano dalla verità quanto stai dicendo. E, ti prego, lasciami dire per un po' e non m'interrompere con le tue enfasi". "Dì pure, quegli rispose; non temo che mi sottrai la verità che scorgo e quasi posseggo". "Magari, rispose Trigezio, non ti fossi allontanato dalla razionalità che difendi. Non mancheresti di riguardo verso Dio. E parlo con moderazione. Cosa infatti si è potuto dire di più irreligioso che anche il male rientra nell'ordine? Ora Dio ama l'ordine". "Certo che l'ama, rispose l'altro; da lui deriva e in lui si fonda. Ma, per favore, medita nel tuo intimo se si possono esprimere concetti più convenienti su un problema tanto difficile. Io non sono ancora preparato ad insegnarteli". "Che dovrei meditare?, rispose Trigezio. Comprendo bene la tua tesi e mi basta ciò che capisco. Ora tu hai detto che il male rientra nella legge razionale e che essa deriva dal sommo Dio e che è da lui voluta. Ne consegue che il male procede dal sommo Dio e che egli lo vuole".
Dio non vuole il male ma l'ordine in cui rientra il male.
7. 18. Una dimostrazione simile mi fece temere per Licenzio. Ma egli era contrariato dalla difficoltà ad esprimersi e non cercava affatto una risposta ma la formulazione conveniente della risposta. Disse: "Dio non vuole il male se non altro perché non appartiene a razionalità che anche Dio voglia il male. E per questo vuole la legge razionale poiché mediante essa non vuole il male. Ma se Dio non vuole il male, com'è possibile che il male non rientri nell'ordine? Infatti giustificazione del male è che esso non è voluto da Dio. E tu non puoi ritenere che si ha un'insufficiente legge razionale del mondo nel principio che Dio vuole il bene e non vuole il male. Quindi il male che Dio non vuole non è fuori della legge razionale che Dio vuole. Infatti egli vuole che si voglia il bene e non si voglia il male; il che è l'essenza della razionalità del tutto e dell'ordinamento divino. E poiché questa razionalità e questo ordinamento garantiscono, per il dissidio stesso, l'armonia dell'universo, ne consegue la necessità dell'esistenza del male. Così in certo senso l'armonia dell'universo si manifesta nei termini di un'antitesi, nei contrari. Ed essa è figura di armonia anche nel nostro discorso".
La giustizia di Dio come misura di distribuzione.
7. 19. Dopo queste parole tacque un momento. E all'improvviso ergendosi e volgendosi nella direzione del letto di Trigezio, proruppe: "Ti chiedo, scusami, se Dio è giusto". Ma l'altro mantenne il silenzio, profondamente meravigliato e soggiogato, come confessò in seguito, dal discorso di nuovo improvvisamente ispirato dal condiscepolo e amico. E poiché egli taceva l'altro continuò: "Se risponderai che Dio non è giusto, ci penserai tu, che poco fa mi hai accusato di irreligiosità, come cavartela. Se poi Dio è giusto, come ci è trasmesso dalla fede e come la nostra stessa ragione afferma per la validità del principio teleologico, egli è giusto perché distribuisce ad ogni essere il suo. Ma si dà distribuzione senza distinzione? E si dà distinzione se tutto è bene? E che cosa trasgredisce la razionalità se dalla giustizia di Dio si dà a ciascuno il suo secondo i meriti dei buoni e dei cattivi? Ora tutti ammettono che Dio è giusto. Tutto dunque rientra nell'ordine". Dopo tali parole si sollevò sul letto e poiché nessuno gli rispondeva, con voce più tranquilla soggiunse: "Neanche tu, che mi hai spinto alla discussione, mi dici una parola?".
Le precedenti dispute di Agostino e Zenobio sull'ordine.
7. 20. Gli dissi: "Me ne sto zitto perché in te è sopraggiunto codesto nuovo fervore religioso. Ma esporrò la mia tesi durante il giorno che mi pare stia sorgendo, se non è della luna il chiarore che ammanta le finestre. Nello stesso tempo bisogna raccogliersi nel silenzio perché l'oblio, o Licenzio, non inghiottisca le tue bellissime parole. Le nostre tavolette reclameranno senz'altro che esse siano loro consegnate. Ti esporrò, sta' tranquillo, la mia tesi. Disputerò contro di te secondo le mie possibilità e se riporterai vittoria su di me, sarà per me il più bel trionfo. Io tenterò di sostenere le parti della scaltrezza sofistica e d'un certo sottile errore umano. E se la tua insufficiente preparazione, assai poco nutrita di conoscenza scientifica, non potrà difendere le ragioni di un Dio tanto grande, il fatto stesso ti renderà cosciente che devi acquisire altre energie per tornare più sicuro a lui. C'è anche il mio desiderio che questa nostra discussione abbia un procedimento rifinito perché non la destino a orecchie incolte. Infatti il nostro Zenobio spesso ha discusso con me sulla razionalità delle cose. Non ho potuto mai rispondere esaurientemente alle sue profonde domande sia per l'oscurità del soggetto sia per la scarsezza di tempo. Egli non ha tollerato il mio continuo rimandare fino a che, per costringermi a rispondere più diligentemente e diffusamente, mi ha perfino sollecitato con una poesia. Ed è anche una bella poesia che dovrebbe indurti ad essergli maggiormente amico. Non fu possibile leggertela perché a quel tempo eri assai lontano dall'attenzione a simili problemi ed è tuttora impossibile. Infatti la sua partenza fu così improvvisa ed avvenne in tanto scompiglio che non potemmo affatto richiamarci alla mente simili particolari. Aveva promesso di farmela avere qualora io avessi risposto. Ed ora concorrono parecchie circostanze a che gli sia mandato questo nostro discorso. Prima di tutto perché glielo abbiamo promesso; inoltre perché è conveniente all'affetto che gli portiamo indicargli per tale mezzo il tenore di vita che meniamo; infine perché non è secondo a nessuno nel gioire delle speranze che prometti. Infatti durante la sua presenza, a causa dell'amicizia verso tuo padre o meglio verso tutti noi, considerava attentamente un certo scintillare del tuo ingegno e si preoccupava vivamente che non fosse troppo avvivato dalla mia premura o soffocato dalla tua noncuranza. E quando saprà che anche tu sei amante della poesia, ne avrà tanto piacere. Mi par già di vederlo esprimere la sua gioia.
Licenzio rinuncia alla poesia.
8. 21. Rispose: "Non mi potrai fare cosa più gradita. Ma voi forse deridete la mia incostanza e puerile leggerezza o meglio c'è qualche cosa che avviene in noi per disposizione e ordinamento divino. Comunque non ho perplessità nel confessarvi che all'improvviso son diventato apatico verso la poesia. Un non so che mi si è manifestato con ben altra luce. È più bella, lo confesso, la filosofia che Tisbe e Piramo, che Venere e Cupido ed altri soggetti amorosi del genere". E con un sospiro ringraziò il Cristo. Ed io ascoltai queste parole, mi limito a dire, con piacere. Ma perché non dovrei dirlo? La prenda ciascuno come vorrà, non m'importa. Ero sopraffatto dalla gioia.
La salmodia di Licenzio.
8. 22. Poco dopo apparve il giorno. Essi si levarono ed io pregai a lungo nel pianto. All'improvviso odo Licenzio cantare a voce lieta e spiegata il versetto del salmista: O Dio della fortezza, volgici a te, mostraci il tuo volto e saremo salvi (Ps 79, 8). Il giorno prima, dopo cena, essendo uscito fuori per un bisogno naturale, l'aveva cantato a voce molto alta. Mia madre non tollerava che in quel luogo si cantassero, e ripetute volte, tali parole. Egli ripeteva sempre le stesse poiché aveva appreso da poco la modulazione e si dilettava, com'è costume, di una melodia nuova. La donna molto pia, come sai, lo rimproverò perché il luogo era sconveniente a quel canto. Ed egli aveva risposto scherzosamente: "Quasi che se un nemico mi avesse chiuso qui dentro, Dio non avrebbe udito la mia voce".
I vari eventi della vita e la loro razionalità
8. 23. Quella mattina entrambi erano usciti per lo stesso motivo. Ed egli rientrato solo si accostò al mio letto e mi disse: "Dimmi la verità sulla stima che hai di me e sia di me come tu la intendi". Afferrai la destra del giovanetto: "Tu, gli dissi, hai esperienza, ti sei fatta un'opinione e una certezza sulla mia stima. Penso che non invano ieri hai cantato più volte che il Dio della fortezza, dopo averti volto a sé, ti si manifesti". Egli se ne ricordò con meraviglia. "Dici una grande verità, mi rispose; e mi convince assai il fatto che poco fa mi si distoglieva a stento dalla bagatella della mia composizione poetica. Ed ora ne ho rincrescimento e vergogna poiché mi sento trasportato verso valori grandi e mirabili. Non è questo esser volto verso Dio? Godo anche se senza risultato si è tentato di farmi avere scrupolo perché canticchiavo il versetto in quel luogo". "A me, gli risposi, il fatto non dispiace e penso che rientra nell'ordine, ché anche da esso s'è presa occasione per esprimere dei concetti. Scorgo appunto che il luogo, da cui mia madre ha avuto motivi di scandalo, e la notte si adeguano al versetto. Infatti da quali cose noi dobbiamo pregare di esser volti verso Dio e vedere il suo volto se non dal fango e dalle sozzure della sensibilità ed insieme dalle tenebre con cui l'errore ci avviluppa? E che cos'è esser volto se non voltar le spalle all'immoderatezza dei vizi e rimaner saldi nella fortezza e nella temperanza? E che cos'è il volto di Dio se non la verità a cui sospiriamo e per la quale, nell'atto che l'amiamo, ci rendiamo puri e belli?". "Non si poteva dir meglio", rispose quasi in un grido. Poi a voce sommessa come se parlasse all'orecchio: "Vedi, scusa, quante circostanze sono concorse per farmi credere che per noi si stanno verificando degli eventi secondo un ordine provvidenziale".
Molti i chiamati, pochi gli eletti.
8. 24. "Se vuoi rientrare nell'ordine, gli risposi, devi tornare ai tuoi versi. Infatti l'apprendimento delle discipline liberali, per quanto modesto e rudimentale, rende gli amatori della verità più solleciti nel desiderarla vivamente, più costanti nel ricercarla assiduamente, più disposti ad aderirvi con serenità. Questa appunto, o Licenzio, si chiama felicità. Al suo nome tutti si levano in piedi e, per così dire, ti guardano sulle mani come se avessi qualche cosa da dare a persone bisognose e affette da vari malanni. E se la saggezza comincia ad ammonirli che lascino venire il medico e si facciano curare con un po' di sopportazione, si riafflosciano nei propri cenci. Impiagati dalla loro putrida fermentazione preferiscono grattare la rogna dei tristi piaceri anziché essere restituiti alla salute e alla luce sopportando e accettando le prescrizioni del medico anche se un po' dure e gravose per il loro male. E così vivono nell'infelicità, contenti del solo nome del sommo Dio e d'averne sentito parlare a titolo d'elemosina. Comunque vivono. Ma lo sposo infinitamente buono e bello sceglie altri uomini, o per meglio dire, altre anime, ancor poste nella vita terrena, degne del suo talamo. Per esse non basta vivere, ma occorre vivere nella felicità. Frattanto torna alle tue Muse. Sai tuttavia ciò che voglio da te?". "Comanda ciò che vuoi", mi rispose. "Nel punto del tuo carme, soggiunsi, in cui Piramo e la sua innamorata si uccidono, stretti l'uno all'altra, è regola che il tuo carme si ravvivi fortemente di sentimento drammatico. Proprio qui hai l'occasione propizia. Canta il motivo dell'esecrazione per il basso sentimento amoroso e per la fiamma delle passioni. Per essi si verificano simili fatti detestabili. Quindi lèvati alla celebrazione dell'amor puro e sincero. Per esso le anime fornite di sapere e belle nella virtù si uniscono al pensiero mediante la filosofia e non solo evitano la morte, ma vivono d'una vita sommamente felice". A queste parole Licenzio rifletté a lungo in silenzio. Poi fatto un cenno d'assenso, se ne andò.
Terzo episodio: La zuffa di galli ossia l'ordine nella vita animale (8, 25-26)
Una zuffa di galli.
8. 25. Mi alzai anche io. Fatte le preghiere del mattino, ci avviammo verso le terme. Il luogo, quando non potevamo scendere al prato a causa del tempo inclemente, ci parve adatto alle sedute e accogliente. Ed ecco che davanti alla porta scorgemmo due galli che avevano cominciato ad azzuffarsi ferocemente. Ci piacque osservarli. Che cosa non scorgono, dove non si volgono gli occhi degli amatori di saggezza per cogliere da ogni parte i cenni dell'armonia della ragione che impone ordine e misura a tutti gli esseri coscienti e incoscienti? Essa conduce i propri seguaci che a lei anelano per qualsiasi via e in qualsiasi luogo voglia esser cercata. Dunque da ogni fatto e dovunque si può scorgerla. Ad esempio, in quei galli era possibile scorgere le teste intente al colpo, le penne arruffate, il rapido assaltare, l'accorto schivare. Niente v'era di disarmonico in animali privi della ragione appunto a causa d'una ragione che da un ordine superiore tutto armonizza. Infine era possibile scorgere le intimazioni del vincitore nel canto superbo e nelle membra raccolte, per così dire, a cerchio, come in esaltazione del dominio, e gli indizi del vinto nelle penne sollevate sulla testa e nella difformità completa della voce e del passo che per ciò stesso era conformata e proporzionata, non so come, alle leggi naturali.
Riflessioni sull'episodio.
8. 26. Ci ponevamo molte domande: perché tutti i galli fanno così, perché lo fanno per dominare le galline loro soggette, perché la sequenza della zuffa ci ha fatto provare alquanto, al di là della considerazione di carattere superiore, il piacere dello spettacolo, qual è il principio che nel nostro spirito si pone molti problemi che trascendono i sensi e a sua volta che cosa si apprende per la testimonianza dei sensi? Ci dicevamo: C'è qualche cosa in cui manca la legge, in cui il dominio non sia dato al migliore, in cui non sia l'apparire della permanenza, in cui non si dia la somiglianza con l'armonia ideale, in cui non ci sia la misura? E ammoniti appunto che era indispensabile la misura nel godere lo spettacolo, ci dirigemmo verso la meta. Quivi, per quanto ci fu possibile, ma certamente con diligenza, trascrivemmo i risultati della nostra disputa notturna in questa parte del libro. Erano fatti recenti e non potevano argomenti tanto importanti sfuggire alla memoria di tre studiosi. In quel giorno, per risparmiare la salute, non feci altro. Ero solito tuttavia ogni giorno leggere, prima di pranzo assieme a loro, metà di un libro di Virgilio. Ma per il resto non facevamo che meditare ogni occasione sulla misura della realtà. Averne la nozione è possibile a tutti, ma scoprirla, quando ci si applica intensamente, è assai difficile e raro.
Quarto episodio: La illiberale rivalità dei due giovani e la saggezza di Monica ossia la razionalità della vita (9, 27-11, 33)
Agostino fa il resoconto sul problema.
9. 27. Il giorno dopo, di buon mattino, ci adunammo nel luogo solito e ci sedemmo. Quando entrambi ebbero gli occhi fissi su di me, cominciai: "Sta' attento per quanto t'è possibile, o Licenzio, e anche tu, o Trigezio. Non si tratta di un problema di poco conto. Stiamo indagando sull'ordine. Non devo certo addurvi motivi in favore dell'ordine in un discorso lungo e metodico come se mi trovassi ancora nella scuola da cui godo d'essere uscito. Ascoltate, se volete, anzi impegnatevi ad ascoltare un motivo che è il più breve e, a mio avviso, il più vero per la valutazione dell'ordine. La legge razionale è valore che attuato da noi in vita ci conduce a Dio; non attuato, non ci lascia raggiungere Dio. Noi abbiamo fede e speriamo di poterlo raggiungere a meno che il mio affetto non m'induca in inganno sul vostro conto. Quindi il problema si deve da noi trattare e risolvere con la massima diligenza possibile. Vorrei che fossero presenti anche gli altri che di solito attendono con noi a queste dispute. Vorrei, se fosse possibile, avere ora con me a prendervi parte, con interesse come voi, non solo costoro, ma per lo meno tutti i nostri amici di cui ammiro sempre l'intelligenza. Ma almeno fosse presente Zenobio che si affatica tanto sul problema. Ma dacché non esercito più la professione, non l'ho più incontrato a causa del suo posto altolocato. E siccome ben altri sono i fatti, leggeranno i nostri scritti. Abbiamo stabilito di non perdere una parola delle nostre dispute e di stringere con i ceppi della trascrizione, per ricondurli indietro, i concetti che fuggono dalla memoria. E forse così richiedeva la legge razionale che ha determinato la loro assenza. Infatti voi vi accingete a trattare un argomento tanto importante con maggiore impegno per il fatto che dovete svolgerlo da soli. E questa nostra disputa ne susciterà altre se coloro che ci stanno tanto a cuore, dopo aver letto, troveranno motivo di contraddirci. Così la serie dei discorsi s'inserirà nel sistema ordinato del sapere. Ma ora, come ho promesso, mi porrò come avversario di Licenzio, per quanto l'argomento lo permette. Egli avrà causa vinta se potrà trincerarla stabilmente e validamente con un muro di difesa".
Licenzio definisce l'ordine.
10. 28. A queste parole mi accorsi, dal silenzio, dall'espressione del viso e degli occhi, dalla tensione e immobilità del corpo, che erano interessati dall'importanza dell'argomento e desiderosi d'udire. "Allora, o Licenzio, dissi, se sei disposto raccogli tutte le energie che puoi, aguzza l'ingegno e definisci che cos'è l'ordine". Appena udì che lo si invitava a definire l'ordine, rabbrividì come se fosse stato inzuppato d'acqua gelata, quindi guardandomi con viso più turbato e sorridendo per l'emozione, come di solito avviene, proruppe: "Ma che scherzo è questo? Cosa credi che possa svelarti? Ovvero mi credi ispirato da qualche demone benigno?". E all'improvviso prendendo coraggio soggiunse: "Ma forse davvero qualche cosa c'è in me". Si raccolse un momento in silenzio per richiamare alla definizione tutto quello che sapeva sull'ordine. Quindi senza incertezze disse: "L'ordine è il principio per cui sono mosse al fine tutte le cose che Dio ha creato".
Incompetente controversia trinitaria e inizio della rivalità.
10. 29. "E, secondo il tuo parere, domandai, anche Dio è mosso al fine?". "Certamente", mi rispose. "Dunque Dio è mosso", obiettò Trigezio. "E vorresti negare, ribatté l'altro che Cristo è Dio? Eppure egli venne a noi per un fine e afferma che fu mandato da Dio Padre. Se dunque Dio ha mandato a noi il Cristo per un fine e se non neghiamo che il Cristo è Dio, non solo Dio muove l'universo, ma egli stesso è mosso al fine". Trigezio un po' sconcertato rispose: "Non saprei giudicare codesta affermazione. Nel nominare Dio, non ci viene in mente, per così dire, il Cristo, ma il Padre. Ci viene in mente lui quando nominiamo il Figlio di Dio". "Stai combinando un bel pasticcio, obiettò Licenzio. Dovremmo dunque affermare che il Figlio di Dio non è Dio?". Rispondere sembrò azzardato a Trigezio, tuttavia non seppe contenersi e affermò: "Anche egli è Dio; comunque noi in senso proprio diciamo Dio soltanto il Padre". "Sappi contenerti piuttosto, lo rimproverai; il Figlio non è detto Dio in senso improprio". Ed egli, preso da religioso timore, voleva che le sue parole non fossero trascritte. Al contrario Licenzio insisteva perché fossero conservate. Si stavano comportando come fanciulli o meglio, ed è vergognoso, come quasi tutti gli uomini. Sembrava che si discutesse per vanagloria. Rimproverai Licenzio con aspre parole per la sua disposizione d'animo e egli arrossì, ma mi accorsi che Trigezio sogghignava soddisfatto del suo disagio. Mi rivolsi ad entrambi: "Così vi comportate? Non vi preoccupate del peso delle passioni da cui siamo gravati e delle tenebre dell'ignoranza da cui siamo avvolti? Poco fa volevate innalzarvi a Dio e alla verità. Ne è questo il modo? Ed io, sciocco che sono, ne ho gioito. Oh! se poteste vedere, magari con gli occhi miopi come me, a quali condizioni di pericolo siamo soggetti e di quale male il vostro riso indica l'incoscienza. Oh! se lo poteste vedere. Quanto presto, anzi subito, e quanto a lungo lo cambiereste in pianto! Infelici, non avete coscienza del luogo in cui ci troviamo? È sorte comune che lo spirito degli stolti e ignoranti sia carcerato nelle tenebre, ma la sapienza non porge aiuto e non stende la mano, in ugual modo, a tutti i carcerati. Credetemi, vi sono alcuni che sono chiamati alla luce ed altri che sono abbandonati nella fonda oscurità. Non raddoppiatemi la pena, vi prego. Mi bastano le mie piaghe. Perché siano rimarginate io prego Dio quasi tutti i giorni nelle lacrime. Tuttavia spesso mi convinco dentro di me che son meno degno di essere guarito così presto come desidero. Non comportatevi così, vi prego, se mi dovete un po' d'amore. e di benevolenza, se comprendete l'affetto e la stima che ho per voi, la preoccupazione che mi prende per la vostra formazione morale, se son degno della vostra attenzione, se infine non mentisco, e Dio m'è testimonio, nell'affermare che io non desidero nulla di più per me che per voi. Datemi la vostra, gratitudine e se di buon grado mi riconoscete vostro maestro, datemi in compenso la vostra bontà".
Licenzio non è idoneo al filosofare.
10. 30. A questo punto le lacrime m'impedirono di continuare il discorso. Licenzio, assai corrucciato che ogni parola veniva trascritta, proruppe: "Ma, scusa, che abbiamo fatto?". "Ancora non riconosci la tua mancanza?, ribattei. Sai che nella scuola io di solito ero mosso alla nausea dal fatto che i giovanetti erano spinti non dall'interesse e dalla nobiltà dell'apprendere, ma dall'amore di una vuota lode. Alcuni non si vergognavano neppure di declamare discorsi altrui per accaparrarsi lodi dagli autori stessi dei discorsi declamati. Era, un obbrobrio da far piangere. Voi, per quanto ne so, non avete commesso mai simile colpa, ma state tentando d'introdurre e far crescere nello studio stesso della saggezza e nel sistema di vita, che ho alfine scelto, un costume corrotto. È appunto l'insana rivalità e sciocca ostentazione che è il vizio ultimo a sopraggiungere ma il più nocivo fra tutti. E forse perché tento di allontanarvi da questa passione sciocca e morbosa diverrete indolenti allo studio della filosofia e, respinti dall'amore per una rinomanza priva di significato, vi irrigiderete nel torpore dell'inerzia. Povero me se dovrò sopportarvi ancora in condizioni che da voi le passioni non scompaiano se non col sopraggiungere di altre". "Vedrai, rispose Licenzio, che ne saremo più liberi. Ma ora ti scongiuriamo, per tutto ciò che ami, di perdonarci e di far cancellare tutto l'episodio anche per risparmiare le tavole di cui non disponiamo a sufficienza. Infatti dei molti argomenti che abbiamo trattato nulla ancora è stato trascritto nei libri". "Ma rimanga pure il nostro castigo, disse Trigezio, affinché la rinomanza, che ci ha solleticato, col colpirci ci distolga dall'amarla. D'altronde dovremo darci parecchio da fare perché questi nostri scritti siano noti per lo meno ai nostri amici e famigliari". L'altro acconsentì.
La cultura al tempo di Agostino.
11. 31. Frattanto entrò mia madre e ci chiese sui risultati conseguiti. Le era infatti noto l'argomento. Io ordinai che al solito fossero annotati il suo ingresso e la sua domanda. "Ma che fate?, disse. Ho forse mai sentito dire che nei libri da voi letti anche le donne sono invitate a simili discussioni?". "Non tengo in considerazione, risposi, i pareri degli orgogliosi e degli ignoranti che si gettano a legger libri con lo stesso spirito con cui adulano le persone. Non considerano infatti le doti, ma le vesti che coloro indossano e lo sfarzo delle ricchezze e possedimenti che sfoggiano. Costoro nel leggere non pongono attenzione all'origine del problema, alla soluzione che i disputanti intendono dare e ai risultati delle loro analisi e sintesi. Fra essi tuttavia vi sono alcuni le cui disposizioni non sono da disprezzarsi. Hanno infatti qualche spruzzo di cultura e facilmente possono essere introdotti nel santuario della filosofia attraverso le porte dorate e decorate. Li hanno tenuti in considerazione anche i nostri predecessori e veggo che i loro libri ti son noti attraverso la nostra lettura. Anche oggi, per tacere di altri, v'è Teodoro, uomo insigne per il carattere, l'eloquenza e per doni di fortuna e, sopra ogni altra cosa, eccellente per doti d'intelligenza. Tu stessa ben lo conosci. Egli fa sì che oggi e presso i posteri nessuna epoca possa a buon diritto screditare la cultura del nostro tempo. Ma supponiamo che i miei libri per puro caso capitino in mano a qualcuno. Appena legge il mio nome, si chiede: E chi è costui? e butta via il volume. Ma individui pedanti o veramente colti, non facendo caso alla modesta apparenza della porta, potrebbero entrare e non proveranno sdegno che io parlo con te di filosofia e forse non disprezzeranno alcuno di costoro i cui discorsi sono riportati dai miei scritti. Intanto essi sono liberi, ed è quanto basta per ogni disciplina liberale e a più forte ragione per la filosofia, e sono anche d'illustre discendenza nel loro paese natale. Gli scritti di uomini assai colti tramandano che anche i ciabattini ed uomini d'ancor più bassa condizione sociale hanno atteso alla filosofia. Furono tuttavia tanto illustri per ingegno e dignità morale che, pur potendolo, non vollero affatto e a nessuna condizione mutare i propri beni con qualsiasi altra grandezza. E, credimi, non mancheranno lettori i quali apprezzeranno di più il fatto che tu parli di filosofia con me che se trovassero in questi scritti un contenuto dilettevole ed eloquente. Inoltre anche le donne, secondo la tradizione classica, hanno atteso alla filosofia. Infine la tua filosofia assai mi piace.
Monica è idonea al filosofare come saggezza.
11. 32. E poiché tu, o madre, nulla abbia ad ignorare, la parola greca "filosofia" in latino si traduce amore di saggezza. Anche le divine Scritture, che tu ami tanto, non insegnano ad evitare e schernire gli amatori di saggezza in senso assoluto, ma gli amatori della saggezza di questo mondo. Ma v'è un altro mondo sovrasensibile, oggetto di visione per il pensiero di pochi sani. Lo afferma il Cristo stesso che non dice: Il mio regno non appartiene al mondo; ma: Il mio regno non appartiene a questo mondo (Io 18, 36). Chiunque dunque ritiene che la filosofia si deve evitare in senso assoluto, pretende semplicemente che noi non amiamo la saggezza. In questi miei scritti dunque ti esporrei al disprezzo se tu non amassi la saggezza; non ti disprezzerei se l'amassi soltanto un po' e molto meno se tu l'amassi quanto l'amo io. Ma tu l'ami più di quanto ami me, e so quanto mi ami, e in essa hai tanto progredito che non ti lasci atterrire dalla paura di una eventuale sventura e perfino della morte. Tale disposizione fu difficile anche in filosofi eminenti ed è, per unanime consenso, la vetta dell'amore di saggezza. Ed io non dovrei consegnarmi a te come discepolo?".
Si chiude il primo libro per l'esigenza di trascrivere.
11. 33. A questo punto, con espressione gentile e caritatevole, mi rispose che io non avevo mai detto tante bugie. Mi accorsi d'altronde che avevamo profferito molte parole le quali dovevano essere trascritte, che il libro aveva raggiunto la giusta misura e che non c'erano più tavolette. Deliberai allora di rimandare la discussione anche per risparmiare il mio petto. L'avevano affaticato più di quanto volevo le parole di rimprovero che avevo ritenuto di dover inderogabilmente rivolgere ai due giovanetti. Mentre ce ne andavamo, Licenzio mi disse: "Ricordati quanti e quanto indispensabili favori ci vengono somministrati dall'occulta provvidenza di Dio attraverso la tua opera, anche se tu non ne sei cosciente". "Me ne accorgo, dissi, e gliene sono grato. E prevedo che voi stessi diverrete migliori per il fatto che ve ne accorgete". Per quel giorno non mi occupai di altro.
Capitolo XLIX: Il desiderio della vita eterna. I grandi beni promessi a quelli che lottano
Libro III: Dell'interna consolazione - Tommaso da Kempis
Leggilo nella Biblioteca1. Figlio, quando senti, infuso dall'alto, un desiderio di eterna beatitudine; quando aspiri ad uscire dalla povera dimora del tuo corpo, per poter contemplare il mio splendore, senza ombra di mutamento, allarga il tuo cuore e accogli con grande sollecitudine questa santa ispirazione. Rendi grazie senza fine alla superna bontà, che si mostra tanto benigna con te, venendo indulgente presso di te; ti risolleva con ardore e ti innalza con forza, cosicché, con la tua pesantezza, tu non abbia a inclinare verso le tue cose terrene. Tutto ciò, infatti, non lo devi ad una tua iniziativa o ad un tuo sforzo, ma soltanto al favore della grazia di Dio, che dall'alto guarda a te. Ti sarà dato così di progredire nelle virtù, in una sempre più grande umiltà, preparandoti alle lotte future attaccato a me con tutto lo slancio del tuo cuore e intento a servirmi con volonteroso fervore.
2. Figlio, il fuoco arde facilmente, ma senza fumo la fiamma non ascende. Così certuni ardono dal desiderio delle cose celesti, ma non sono liberi dalla tentazione di restare attaccati alle cose terrene; e perciò, quello che pur avevano chiesto a Dio con tanto desiderio, non lo compiono esclusivamente per la gloria di Dio. Tale è sovente il tuo desiderio, giacché vi hai immesso un fermento così poco confacente: non è puro e perfetto, infatti, quello che è inquinato dal comodo proprio. Non chiedere ciò che ti piace e ti è utile, ma piuttosto ciò che è gradito a me e mi rende gloria. A ben vedere, al tuo desiderio e ad ogni cosa desiderata devi preferire il mio comando, e seguirlo. Conosco la tua brama, ho ascoltato i frequenti tuoi gemiti: già vorresti essere nella libertà gloriosa dei figlio di Dio; già ti alletta la dimora eterna, la patria del cielo, pienamente felice. Ma un tale momento non è ancora venuto; questo è tuttora un momento diverso: il momento della lotta, della fatica e della prova. Tu brami di essere ricolmo del sommo bene, ma questo non lo puoi ottenere adesso. Sono io "aspettami, dice il Signore" (Sof 3,8), finché venga il regno di Dio. Devi essere ancora provato qui in terra, e travagliato in vario modo. Qualche consolazione ti sarà data talvolta; ma non ti sarà concessa una piena sazietà. "Confortati, pertanto e sii gagliardo" (Gs 1,7), nell'agire e nel sopportare ciò che va contro la natura. Occorre che tu ti rivesta dell'uomo nuovo; che tu ti trasformi in un altro uomo. Occorre, ben spesso, che tu faccia quello che non vorresti e che tu tralasci quello che vorresti. Avrà successo quanto è voluto da altri, e quanto vuoi tu non andrà innanzi. Sarà ascoltato quanto dicono gli altri, e quanto dici tu sarà preso per un nulla. Altri chiederanno, e riceveranno; tu chiederai, e non otterrai. Altri saranno grandi al cospetto degli uomini; sul tuo conto, silenzio. Ad altri sarà affidata questa o quella faccenda; tu, invece, non sarai ritenuto utile a nulla. Da ciò la natura uscirà talvolta contristata; e già sarà molto se sopporterai in silenzio.
3. In questi, e in consimili vari modi, il servo fedele del Signore viene si solito sottoposto a prova, come sappia rinnegare e vincere del tutto se stesso. Altro, forse, non c'è, in cui tu debba essere così morto a te stesso, fuor che constatare ciò che contrasta con la tua volontà, e doverlo sopportare; specialmente allorché ti viene imposto di fare cosa che non ti sembra opportuna o utile. Non osando opporre resistenza a un potere superiore, tu, che sei sottoposto, trovi duro camminare al comando di altri, e lasciar cadere ogni tua volontà. Ma se consideri, o figlio, quale sia il frutto di queste sofferenze, cioè il rapido venire della fine e il premio, allora non troverai più alcun peso in tali sofferenze, ma un validissimo conforto al tuo soffrire. Giacché, invece di quella scarsa volontà che ora, da te, non sai coltivare, godrai per sempre nei cieli la pienezza della tua volontà. Nei cieli, invero, troverai tutto ciò che vorrai, tutto ciò che potrai desiderare; nei cieli godrai integralmente di ciò che è bene e non temerai che esso ti venga a mancare. Nei cieli il tuo volere, a me sempre unito, a nulla aspirerà che venga di fuori, a nulla che sia tuo proprio. Nei cieli nessuno ti farà resistenza, nessuno si lamenterà di te, nessuno ti sarà di ostacolo e nulla si porrà contro di te; ma tutti i desideri saranno insieme realizzati e ristoreranno pienamente il tuo animo, appagandolo del tutto. Nei cieli, per ogni oltraggio patito, io darò gloria; per la tristezza, un premio di lode; per l'ultimo posto, una dimora nel regno, nei secoli. Nei cieli si vedrà il frutto dell'obbedienza; avrà gioia il travaglio della penitenza; sarà coronata di gloria l'umile soggezione. Ora, dunque, devi chinarti umilmente sotto il potere di ognuno, senza preoccuparti di sapere chi sia colui che ti ha detto o comandato alcunché; bada sommamente - sia un superiore, o uno più giovane di te o uno pari a te, a chiederti o ad importi qualcosa - di accettare tutto come giusto, facendo in modo di eseguirlo con buona volontà. Altri vada cercando questo, altri quello; che uno si glori in una cosa, e un altro sia lodato mille volte per un'altra: quanto a te, invece, non in questa o in quest'altra cosa devi trovare la tua gioia, ma nel disprezzare te stesso, nel piacere soltanto a me e nel darmi gloria. E' questo che devi desiderare, che in te sia glorificato sempre Iddio, "per la vita e per la morte" (Fil 1,20).
QUAL È LA VERA TIEPIDEZZA? PC-64 4 novembre 1996 Il Signore
Catalina Rivas
Io non ti dirò ciò che devi fare, perché rispetterò sempre la tua volontà. Ciò che non voglio, è che tu trascuri il tuo tempo di preghiera e che, a causa di questo, tu cada nella tiepidezza. Tu chiedi che cos’è la vera tiepidezza. Te lo spiegherò, poiché molto spesso gli uomini fanno confusione sul senso di questa parola. Tiepida non è l’anima che vive senza la grazia, e nemmeno quella che ha commesso un peccato veniale per fragilità e senza il desiderio di farlo, poiché nessun essere umano è esente da questo tipo di colpa, visto che è stato macchiato dal peccato originale.. Voi non godete della grazia speciale, concessa unicamente a Mia Madre, per evitare del tutto ogni peccato leggero. Anche ai Santi non è stata permessa, perché potessero rimanere umili e perché comprendessero che, senza la grazia di Dio, avrebbero potuto, oltre che nei peccati leggeri, cadere anche in peccati molto gravi.
Voglio che comprendiate bene questo. L’anima tiepida è quella che cade spesso, coscientemente e deliberatamente, nei peccati veniali: bugie, atti d’impazienza, imprecazioni volontarie. Diranno alcuni che questo non si può evitare. Falso! Queste colpe possono essere evitate, con il Mio aiuto, da quelle anime risolute a soffrire anche la morte piuttosto che commettere volontariamente anche un solo peccato, per quanto piccolo possa essere.
Meditate, rileggete i Miei messaggi, fate lavorare i vostri cuori. Sappiate che ogni cattiva abitudine riesce a far perdere anche la vergogna, acceca i peccatori al punto che non vedono più il male che fanno, né la rovina che causano a se stessi.
Figli Miei, ogni peccato genera l’accecamento dello spirito, e quando voi ne fate una cattiva abitudine, l’accecamento aumenta... Si può paragonare questo a un vetro sporco e coperto di macchie. La luce del sole può forse passare attraverso un tale vetro? Nello stesso modo, in un cuore pieno di piccole macchie, la Mia luce non può penetrare per far comprendere a quella persona verso quale abisso si sta dirigendo. Non è una esagerazione. L’uomo che persiste nella sua cattiva abitudine, privato della Mia luce, va avanti di colpa in colpa, e si perde, perché non si preoccupa nemmeno di correggersi. Si trasforma in una bestia priva di ragione, che cerca solo ciò che piace ai suoi sensi... È come un avvoltoio che si nutre del fetido cadavere che stringe fra le sue grinfie; preferisce essere catturato piuttosto che mollare la presa.
Il cuore del tiepido si indurisce e non lascia penetrare la pioggia celeste della grazia; non può quindi produrre frutti. Questa pioggia di grazie sono le ispirazioni, i rimorsi di coscienza e il timor di Dio; ma anziché trarre frutto da questa pioggia di grazie, pentendosi dei suoi peccati ed emendandosi, il peccatore indurito continua a peccare. Ecco che allora, questa anima indurisce ancora di più il suo cuore. E voi sapete molto bene che il cuore duro incontrerà molte difficoltà alla fine della vita.
Le anime tiepide confessano sempre: critiche, bugie, impazienze, in breve, piccoli peccati, ma continuando a peccare, si infossano nell’abisso del peccato, alla maniera di certi animali che con tanto piacere si avvoltolano nelle fanghiglie più putride e nauseabonde. Ma sai qual è la cosa peggiore? Che l’anima abituata a un vizio commette quasi sempre lo stesso peccato, anche nell’ora della morte.
Figli Miei, Io espando a fiumi la Mia Misericordia, ma fino a un certo punto. Non castigo, ma rifiuto il soccorso della grazia, sopratutto davanti all’ingratitudine che voi dimostrate riguardo ai benefici divini, e in questo modo il cuore dell’uomo rimane duro. Sappiate che Io non indurisco il cuore dell’uomo inspirandogli la malizia, ma così come il sole indurisce l’acqua trasformandola in ghiaccio quando i suoi raggi, coperti dalle nubi, non possono espandersi sulla terra; nello stesso modo Io rifiuto all’anima la Mia Misericordia, e con questo la grazia per convertirsi.
Per quanto piccolo sia il peccato, sempre ferisce l’anima. Così, se una persona viene assalita da un malfattore, alla prima ferita che riceve, è generalmente in grado di difendersi; ma se riceve ancora due o tre colpi, perderà le forze e finalmente morirà. Ciò che succede all’anima non è molto diverso: dopo la prima o la seconda volta che pecca, le rimane ancora forza per resistere. Ma se persiste nel peccato, il nemico si scatena contro di lei e le toglie ogni forza per resistere. La cattiva abitudine si trasforma allora in un bisogno di peccare, perché l’uomo si rende schiavo di questa passione. Detto in un altro modo, fà una alleanza di pace con il peccato.