Liturgia delle Ore - Letture
Domenica della 5° settimana del Tempo di Pasqua
Vangelo secondo Matteo 9
1Salito su una barca, Gesù passò all'altra riva e giunse nella sua città.2Ed ecco, gli portarono un paralitico steso su un letto. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: "Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati".3Allora alcuni scribi cominciarono a pensare: "Costui bestemmia".4Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: "Perché mai pensate cose malvagie nel vostro cuore?5Che cosa dunque è più facile, dire: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati e cammina?6Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere in terra di rimettere i peccati: alzati, disse allora il paralitico, prendi il tuo letto e va' a casa tua".7Ed egli si alzò e andò a casa sua.8A quella vista, la folla fu presa da timore e rese gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini.
9Andando via di là, Gesù vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: "Seguimi". Ed egli si alzò e lo seguì.
10Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli.11Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: "Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?".12Gesù li udì e disse: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati.13Andate dunque e imparate che cosa significhi: 'Misericordia io voglio e non sacrificio'. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori".
14Allora gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: "Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?".15E Gesù disse loro: "Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno.
16Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo squarcia il vestito e si fa uno strappo peggiore.17né si mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si rompono gli otri e il vino si versa e gli otri van perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l'uno e gli altri si conservano".
18Mentre diceva loro queste cose, giunse uno dei capi che gli si prostrò innanzi e gli disse: "Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano sopra di lei ed essa vivrà".19Alzatosi, Gesù lo seguiva con i suoi discepoli.
20Ed ecco una donna, che soffriva d'emorragia da dodici anni, gli si accostò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello.21Pensava infatti: "Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita".22Gesù, voltatosi, la vide e disse: "Coraggio, figliola, la tua fede ti ha guarita". E in quell'istante la donna guarì.
23Arrivato poi Gesù nella casa del capo e veduti i flautisti e la gente in agitazione, disse:24"Ritiratevi, perché la fanciulla non è morta, ma dorme". Quelli si misero a deriderlo.25Ma dopo che fu cacciata via la gente egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò.26E se ne sparse la fama in tutta quella regione.
27Mentre Gesù si allontanava di là, due ciechi lo seguivano urlando: "Figlio di Davide, abbi pietà di noi".28Entrato in casa, i ciechi gli si accostarono, e Gesù disse loro: "Credete voi che io possa fare questo?". Gli risposero: "Sì, o Signore!".29Allora toccò loro gli occhi e disse: "Sia fatto a voi secondo la vostra fede".30E si aprirono loro gli occhi. Quindi Gesù li ammonì dicendo: "Badate che nessuno lo sappia!".31Ma essi, appena usciti, ne sparsero la fama in tutta quella regione.
32Usciti costoro, gli presentarono un muto indemoniato.33Scacciato il demonio, quel muto cominciò a parlare e la folla presa da stupore diceva: "Non si è mai vista una cosa simile in Israele!".34Ma i farisei dicevano: "Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni".
35Gesù andava attorno per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità.36Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore.37Allora disse ai suoi discepoli: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi!38Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!".
Secondo libro di Samuele 7
1Il re, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato tregua da tutti i suoi nemici all'intorno,2disse al profeta Natan: "Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l'arca di Dio sta sotto una tenda".3Natan rispose al re: "Va', fa' quanto hai in mente di fare, perché il Signore è con te".4Ma quella stessa notte questa parola del Signore fu rivolta a Natan:5"Va' e riferisci al mio servo Davide: Dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti?6Ma io non ho abitato in una casa da quando ho fatto uscire gli Israeliti dall'Egitto fino ad oggi; sono andato vagando sotto una tenda, in un padiglione.7Finché ho camminato, ora qua, ora là, in mezzo a tutti gli Israeliti, ho forse mai detto ad alcuno dei Giudici, a cui avevo comandato di pascere il mio popolo Israele: Perché non mi edificate una casa di cedro?
8Ora dunque riferirai al mio servo Davide: Così dice il Signore degli eserciti: Io ti presi dai pascoli, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi il capo d'Israele mio popolo;9sono stato con te dovunque sei andato; anche per il futuro distruggerò davanti a te tutti i tuoi nemici e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra.10Fisserò un luogo a Israele mio popolo e ve lo pianterò perché abiti in casa sua e non sia più agitato e gli iniqui non lo opprimano come in passato,11al tempo in cui avevo stabilito i Giudici sul mio popolo Israele e gli darò riposo liberandolo da tutti i suoi nemici. Te poi il Signore farà grande, poiché una casa farà a te il Signore.12Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno.13Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno.14Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Se farà il male, lo castigherò con verga d'uomo e con i colpi che danno i figli d'uomo,15ma non ritirerò da lui il mio favore, come l'ho ritirato da Saul, che ho rimosso dal trono dinanzi a te.16La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre".
17Natan parlò a Davide con tutte queste parole e secondo questa visione.
18Allora il re Davide andò a presentarsi al Signore e disse: "Chi sono io, Signore Dio, e che cos'è mai la mia casa, perché tu mi abbia fatto arrivare fino a questo punto?19E questo è parso ancora poca cosa ai tuoi occhi, mio Signore: tu hai parlato anche della casa del tuo servo per un lontano avvenire: e questa è come legge dell'uomo, Signore Dio!20Che potrebbe dirti di più Davide? Tu conosci il tuo servo, Signore Dio!21Per amore della tua parola e secondo il tuo cuore, hai compiuto tutte queste grandi cose, manifestandole al tuo servo.22Tu sei davvero grande Signore Dio! Nessuno è come te e non vi è altro Dio fuori di te, proprio come abbiamo udito con i nostri orecchi.23E chi è come il tuo popolo, come Israele, unica nazione sulla terra che Dio è venuto a riscattare come popolo per sé e a dargli un nome? In suo favore hai operato cose grandi e tremende, per il tuo paese, per il tuo popolo che ti sei riscattato dall'Egitto, dai popoli e dagli dèi.24Tu hai stabilito il tuo popolo Israele per essere tuo popolo per sempre; tu, Signore, sei divenuto il suo Dio.25Ora, Signore, la parola che hai pronunciata riguardo al tuo servo e alla sua casa, confermala per sempre e fa' come hai detto.26Allora il tuo nome sarà magnificato per sempre così: Il Signore degli eserciti è il Dio d'Israele! La casa del tuo servo Davide sia dunque stabile davanti a te!27Poiché tu, Signore degli eserciti, Dio d'Israele, hai fatto una rivelazione al tuo servo e gli hai detto: Io ti edificherò una casa! perciò il tuo servo ha trovato l'ardire di rivolgerti questa preghiera.28Ora, Signore, tu sei Dio, le tue parole sono verità e hai promesso questo bene al tuo servo.29Dègnati dunque di benedire ora la casa del tuo servo, perché sussista sempre dinanzi a te! Poiché tu, Signore, hai parlato e per la tua benedizione la casa del tuo servo sarà benedetta per sempre!".
Siracide 2
1Figlio, se ti presenti per servire il Signore,
prepàrati alla tentazione.
2Abbi un cuore retto e sii costante,
non ti smarrire nel tempo della seduzione.
3Sta' unito a lui senza separartene,
perché tu sia esaltato nei tuoi ultimi giorni.
4Accetta quanto ti capita,
sii paziente nelle vicende dolorose,
5perché con il fuoco si prova l'oro,
e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore.
6Affidati a lui ed egli ti aiuterà;
segui la via diritta e spera in lui.
7Quanti temete il Signore, aspettate la sua misericordia;
non deviate per non cadere.
8Voi che temete il Signore, confidate in lui;
il vostro salario non verrà meno.
9Voi che temete il Signore, sperate i suoi benefici,
la felicità eterna e la misericordia.
10Considerate le generazioni passate e riflettete:
chi ha confidato nel Signore ed è rimasto deluso?
O chi ha perseverato nel suo timore e fu abbandonato?
O chi lo ha invocato ed è stato da lui trascurato?
11Perché il Signore è clemente e misericordioso,
rimette i peccati e salva al momento della tribolazione.
12Guai ai cuori pavidi e alle mani indolenti
e al peccatore che cammina su due strade!
13Guai al cuore indolente perché non ha fede;
per questo non sarà protetto.
14Guai a voi che avete perduto la pazienza;
che farete quando il Signore verrà a visitarvi?
15Coloro che temono il Signore non disobbediscono alle sue parole;
e coloro che lo amano seguono le sue vie.
16Coloro che temono il Signore cercano di piacergli;
e coloro che lo amano si saziano della legge.
17Coloro che temono il Signore tengono pronti i loro cuori
e umiliano l'anima loro davanti a lui.
18Gettiamoci nelle braccia del Signore
e non nelle braccia degli uomini;
poiché, quale è la sua grandezza,
tale è anche la sua misericordia.
Salmi 10
1'Al maestro del coro. In sordina. Salmo. Di Davide.'
2Loderò il Signore con tutto il cuore
e annunzierò tutte le tue meraviglie.
3Gioisco in te ed esulto,
canto inni al tuo nome, o Altissimo.
4Mentre i miei nemici retrocedono,
davanti a te inciampano e periscono,
5perché hai sostenuto il mio diritto e la mia causa;
siedi in trono giudice giusto.
6Hai minacciato le nazioni, hai sterminato l'empio,
il loro nome hai cancellato in eterno, per sempre.
7Per sempre sono abbattute le fortezze del nemico,
è scomparso il ricordo delle città che hai distrutte.
8Ma il Signore sta assiso in eterno;
erige per il giudizio il suo trono:
9giudicherà il mondo con giustizia,
con rettitudine deciderà le cause dei popoli.
10Il Signore sarà un riparo per l'oppresso,
in tempo di angoscia un rifugio sicuro.
11Confidino in te quanti conoscono il tuo nome,
perché non abbandoni chi ti cerca, Signore.
12Cantate inni al Signore, che abita in Sion,
narrate tra i popoli le sue opere.
13Vindice del sangue, egli ricorda,
non dimentica il grido degli afflitti.
14Abbi pietà di me, Signore,
vedi la mia miseria, opera dei miei nemici,
tu che mi strappi dalle soglie della morte,
15perché possa annunziare le tue lodi,
esultare per la tua salvezza
alle porte della città di Sion.
16Sprofondano i popoli nella fossa che hanno scavata,
nella rete che hanno teso si impiglia il loro piede.
17Il Signore si è manifestato, ha fatto giustizia;
l'empio è caduto nella rete, opera delle sue mani.
18Tornino gli empi negli inferi,
tutti i popoli che dimenticano Dio.
19Perché il povero non sarà dimenticato,
la speranza degli afflitti non resterà delusa.
20Sorgi, Signore, non prevalga l'uomo:
davanti a te siano giudicate le genti.
21Riempile di spavento, Signore,
sappiano le genti che sono mortali.
22Perché, Signore, stai lontano,
nel tempo dell'angoscia ti nascondi?
23Il misero soccombe all'orgoglio dell'empio
e cade nelle insidie tramate.
24L'empio si vanta delle sue brame,
l'avaro maledice, disprezza Dio.
25L'empio insolente disprezza il Signore:
"Dio non se ne cura: Dio non esiste";
questo è il suo pensiero.
26Le sue imprese riescono sempre.
Son troppo in alto per lui i tuoi giudizi:
disprezza tutti i suoi avversari.
27Egli pensa: "Non sarò mai scosso,
vivrò sempre senza sventure".
28Di spergiuri, di frodi e d'inganni ha piena la bocca,
sotto la sua lingua sono iniquità e sopruso.
29Sta in agguato dietro le siepi,
dai nascondigli uccide l'innocente.
30I suoi occhi spiano l'infelice,
sta in agguato nell'ombra come un leone nel covo.
Sta in agguato per ghermire il misero,
ghermisce il misero attirandolo nella rete.
31Infierisce di colpo sull'oppresso,
cadono gl'infelici sotto la sua violenza.
32Egli pensa: "Dio dimentica,
nasconde il volto, non vede più nulla".
33Sorgi, Signore, alza la tua mano,
non dimenticare i miseri.
34Perché l'empio disprezza Dio
e pensa: "Non ne chiederà conto"?
35Eppure tu vedi l'affanno e il dolore,
tutto tu guardi e prendi nelle tue mani.
A te si abbandona il misero,
dell'orfano tu sei il sostegno.
Spezza il braccio dell'empio e del malvagio;
36Punisci il suo peccato e più non lo trovi.
37Il Signore è re in eterno, per sempre:
dalla sua terra sono scomparse le genti.
38Tu accogli, Signore, il desiderio dei miseri,
rafforzi i loro cuori, porgi l'orecchio
39per far giustizia all'orfano e all'oppresso;
e non incuta più terrore l'uomo fatto di terra.
Ezechiele 29
1Il dodici del decimo mese, anno decimo, mi fu rivolta questa parola del Signore:2"Figlio dell'uomo, rivolgiti contro il faraone re d'Egitto e profetizza contro di lui e contro tutto l'Egitto.3Parla dunque dicendo: Così dice il Signore Dio:
Eccomi contro di te, faraone re d'Egitto;
grande coccodrillo, sdraiato in mezzo al fiume,
hai detto: Il fiume è mio, è mia creatura.
4Metterò ganci alle tue mascelle
e farò sì che i pesci dei tuoi fiumi
ti si attacchino alle squame
e ti farò uscire dalle tue acque
insieme con tutti i pesci dei tuoi fiumi
attaccati alle squame;
5getterò nel deserto te
e tutti i pesci dei tuoi fiumi
e andrai a cadere in mezzo alla campagna
e non sarai né raccolto né sepolto:
ti darò in pasto alle bestie selvatiche
e agli uccelli del cielo.
6Tutti gli abitanti dell'Egitto
sapranno che io sono il Signore,
poiché tu sei stato un sostegno di canna
per gli Israeliti.
7Quando questi ti vollero afferrare
ti rompesti lacerando loro tutta la spalla
e quando si appoggiarono a te, ti spezzasti
facendo vacillare loro tutti i fianchi".
8Perciò dice il Signore Dio: "Ecco, io manderò contro di te una spada ed eliminerò da te uomini e bestie.9L'Egitto diventerà un luogo desolato e deserto e sapranno che io sono il Signore. Perché egli ha detto: Il fiume è mio, è mia creatura.10Ebbene eccomi contro di te e contro il tuo fiume. Io farò dell'Egitto, da Migdòl ad Assuan, fino alla frontiera d'Etiopia, una terra deserta e desolata.11Piede d'uomo o d'animale non vi transiterà e rimarrà deserto per quarant'anni.12Ridurrò l'Egitto una terra desolata fra le terre assolate e le sue città saranno distrutte, rimarranno una desolazione per quarant'anni e disperderò gli Egiziani fra le genti e li disseminerò fra altre regioni".
13Perché dice il Signore Dio: "Al termine dei quarant'anni io radunerò gli Egiziani dai popoli in mezzo ai quali li avevo dispersi:14muterò la loro sorte e li ricondurrò nel paese di Patròs, nella loro terra d'origine, e lì formeranno un piccolo regno;15sarà il più modesto fra gli altri regni e non si ergerà più sugli altri popoli: li renderò piccoli e non domineranno più le altre nazioni.16Non costituiranno più una speranza per gli Israeliti, anzi ricorderanno loro l'iniquità di quando si rivolgevano ad essi: sapranno allora che io sono il Signore Dio".
17Ora, il primo giorno del primo mese dell'anno ventisettesimo, mi fu rivolta questa parola del Signore:18"Figlio dell'uomo, Nabucodònosor re di Babilonia ha fatto compiere al suo esercito una grave impresa contro Tiro: ogni testa è diventata calva e ogni spalla è piagata, ma il re e il suo esercito non hanno ricevuto da Tiro il compenso per l'impresa compiuta contro di essa.19Perciò così dice il Signore Dio: Ecco, io consegno a Nabucodònosor re di Babilonia il territorio d'Egitto; porterà via le sue ricchezze, si impadronirà delle sue spoglie, lo saccheggerà; questa sarà la mercede per il suo esercito.20Per l'impresa compiuta contro Tiro io gli consegno l'Egitto, poiché l'ha compiuta per me. Oracolo del Signore Dio.
21In quel giorno io farò spuntare un potente per la casa d'Israele e a te farò aprire la bocca in mezzo a loro: sapranno che io sono il Signore".
Lettera ai Romani 15
1Noi che siamo i forti abbiamo il dovere di sopportare l'infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi.2Ciascuno di noi cerchi di compiacere il prossimo nel bene, per edificarlo.3Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma come sta scritto: 'gli insulti di coloro che ti insultano sono caduti sopra di me'.4Ora, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza.5E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti ad esempio di Cristo Gesù,6perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo.
7Accoglietevi perciò gli uni gli altri come Cristo accolse voi, per la gloria di Dio.8Dico infatti che Cristo si è fatto servitore dei circoncisi in favore della veracità di Dio, per compiere le promesse dei padri;9le nazioni pagane invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto:
'Per questo ti celebrerò tra le nazioni pagane,
e canterò inni al tuo nome'.
10E ancora:
'Rallegratevi, o nazioni, insieme al suo popolo.'
11E di nuovo:
'Lodate, nazioni tutte, il Signore;
i popoli tutti lo esaltino'.
12E a sua volta Isaia dice:
'Spunterà il rampollo di Iesse,
colui che sorgerà a giudicare le nazioni:
in lui le nazioni spereranno'.
13Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo.
14Fratelli miei, sono anch'io convinto, per quel che vi riguarda, che voi pure siete pieni di bontà, colmi di ogni conoscenza e capaci di correggervi l'un l'altro.15Tuttavia vi ho scritto con un po' di audacia, in qualche parte, come per ricordarvi quello che già sapete, a causa della grazia che mi è stata concessa da parte di Dio16di essere un ministro di Gesù Cristo tra i pagani, esercitando l'ufficio sacro del vangelo di Dio perché i pagani divengano una oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo.17Questo è in realtà il mio vanto in Gesù Cristo di fronte a Dio;18non oserei infatti parlare di ciò che Cristo non avesse operato per mezzo mio per condurre i pagani all'obbedienza, con parole e opere,19con la potenza di segni e di prodigi, con la potenza dello Spirito. Così da Gerusalemme e dintorni fino all'Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo.20Ma mi sono fatto un punto di onore di non annunziare il vangelo se non dove ancora non era giunto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui,21ma come sta scritto:
'Lo vedranno coloro ai quali non era stato annunziato
e coloro che non ne avevano udito parlare, comprenderanno'.
22Per questo appunto fui impedito più volte di venire da voi.23Ora però, non trovando più un campo d'azione in queste regioni e avendo già da parecchi anni un vivo desiderio di venire da voi,24quando andrò in Spagna spero, passando, di vedervi, e di esser da voi aiutato per recarmi in quella regione, dopo avere goduto un poco della vostra presenza.
25Per il momento vado a Gerusalemme, a rendere un servizio a quella comunità;26la Macedonia e l'Acaia infatti hanno voluto fare una colletta a favore dei poveri che sono nella comunità di Gerusalemme.27L'hanno voluto perché sono ad essi debitori: infatti, avendo i pagani partecipato ai loro beni spirituali, sono in debito di rendere un servizio sacro nelle loro necessità materiali.28Fatto questo e presentato ufficialmente ad essi questo frutto, andrò in Spagna passando da voi.29E so che, giungendo presso di voi, verrò con la pienezza della benedizione di Cristo.30Vi esorto perciò, fratelli, per il Signore nostro Gesù Cristo e l'amore dello Spirito, a lottare con me nelle preghiere che rivolgete per me a Dio,31perché io sia liberato dagli infedeli della Giudea e il mio servizio a Gerusalemme torni gradito a quella comunità,32sicché io possa venire da voi nella gioia, se così vuole Dio, e riposarmi in mezzo a voi. Il Dio della pace sia con tutti voi. Amen.
Capitolo XL: Nulla di buono ha l’uomo da sé, e di nulla può vantarsi
Leggilo nella Biblioteca1. "O Signore, che cosa è l'uomo, che tu abbia a ricordarti di lui? Che cosa è il figlio dell'uomo, che tu venga a lui?" (Sal 8,5). Quali meriti ha mai l'uomo, perché tu gli dia la tua grazia? O Signore, di che posso lamentarmi se mi abbandoni; che cosa posso, a buon diritto, addurre se tu non mi concedi quello che chiedo? Soltanto questo, in verità, posso dire, con certezza, in cuor mio: Signore, nulla io sono, nulla posso, nulla di buono io ho da me stesso; anzi fallisco in ogni cosa, tendendo sempre al nulla. Se non vengo aiutato da te e plasmato interiormente, mi infiacchisco totalmente e mi abbandono. "Invece tu, o Signore, sei sempre te stesso e tale resti in eterno" (Sal 101, 28.31), immutabilmente buono, giusto, santo, talché fai e disponi ogni cosa con sapienza. Io, invece, essendo più pronto a regredire che ad avanzare, non mi mantengo sempre nella stessa condizione; che anzi "sette tempi diversi passano sopra di me" (Dn 4, 13.20.22); anche se il mio stato può, d'un tratto, mutarsi in meglio, non appena tu lo vuoi, e mi porgi la mano soccorritrice. Da te solo, infatti, non già dall'uomo soccorso, mi può venire l'aiuto e il dono della fermezza, cosicché la mia faccia non muti continuamente, e il mio cuore si volga solo a te, e in te trovi pace. Dunque, se io fossi capace di disprezzare ogni consolazione degli uomini - sia per conseguire maggior fervore, sia per rispondere al bisogno di cercare te, in mancanza di chi mi possa confortare - allora potrei fondatamente sperare nella tua grazia ed esultare del dono di una rinnovellata consolazione.
2. Siano rese grazie a te; a te dal quale tutto discende, se qualcosa di buono mi accade. Ché io non sono altro che vanità, "anzi un nulla, al tuo cospetto" (Sal 38, 6), un uomo incostante e debole. Di che cosa posso io vantarmi; come posso pretendere di essere stimato? Forse per quel nulla che io sono? Sarebbe vanità sempre più grande. O veramente vuota vanteria, peste infame, massima presunzione, che distoglie dalla vera gloria, privandoci della grazia del cielo. Giacché mentre si compiace di se stesso, l'uomo dispiace a te; mentre ambisce ad essere lodato dagli altri, si spoglia della vera virtù. Vera gloria, invece, e gaudio santo, è gloriarci in te, non in noi; trovare compiacimento nel tuo nome, non nella nostra virtù; non cercare diletto in alcuna creatura, se non per te. Sia lodato il tuo nome, non il mio; siano esaltate le tue opere, non le mie; sia benedetto il tuo nome santo, e a me non sia data lode alcuna da parte degli uomini. Tu sei la mia gloria e la gioia del mio cuore; in te esulterò e mi glorierò sempre: "per nulla invece in me, se non nella mia debolezza" ("Cor 12,5). Lasciando ai Farisei il cercare gloria gli uni dagli altri, io cercherò quella gloria che viene solo da Dio. A confronto della tua gloria eterna, è vanità e stoltezza ogni lode che viene dagli uomini, ogni onore di quaggiù, ogni mondana grandezza. O mia verità e mia misericordia, mio Dio, Trinità beata, a te solo sia lode, onore, virtù e gloria, per gli infiniti secoli dei secoli!
LETTERA 20* [290] AGOSTINO SALUTA NEL SIGNORE FABIOLA, SIGNORA ASSAI RELIGIOSA, FIGLIA ASSAI VENERABILE ED ECCELLENTISSIMA
Lettere - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaAg. prega Fabiola d'ascoltarlo con pazienza.
1. Mi sono rallegrato di aver ricevuto per tramite del fratello mio [***] la risposta della Santità tua; potessi io contraccambiarti le parole di saluto senza trovarmi nella tristezza. Adesso invece per la prima volta proprio io, tormentato dal dolore, sono diventato importuno e molesto alla tua santa tranquillità, ma sopportami con pazienza: possa tu perseverare sino alla fine con profitto nella grazia di Cristo 1. So infatti che le mie lettere non ti arrecano mai molestia ma piuttosto gioia. Scusa questa lettera, poiché contiene molti motivi di dolore per te ma per la vicendevole carità in Cristo cerca di condividere con me i miei dolori e alle mie unisci le tue preghiere a Dio, nostro Signore, affinché ci consoli.
Chi è Ag. per Antonino e questi per Ag.
2. Sono venuto a sapere con quanta bontà e spirito di fede hai accolto Antonino, figlio e collega mio nell'episcopato, e con quanta cristiana benevolenza hai alleviato la sua mancanza di risorse dandogli ospitalità. Sta' dunque a sentire chi sono io per Antonino e chi è Antonino per me; che cosa io devo a lui e che cosa io chiedo a te. Egli venne ad Ippona da piccolo con la madre e il patrigno; erano tanto poveri che non avevano il necessario per il sostentamento quotidiano; in fine, avendo essi fatto ricorso all'aiuto della Chiesa e avendo io saputo che il padre di Antonino era ancora vivo e che sua madre s'era separata da lui e si era unita con un altro uomo, convinsi ambedue a vivere in continenza, e così il patrigno con il suo ragazzo [fu accolto] nel monastero, la madre nell'ospizio dei poveri sostentati dalla Chiesa, e perciò grazie alla misericordia di Dio cominciarono a vivere tutti e tre a nostre spese. In seguito, con il passare del tempo - per non farla troppo lunga - quello morì, essa invecchiò, il bambino crebbe; tra i suoi compagni esercitava l'ufficio di lettore e già aveva cominciato a mostrare tali qualità che il nostro fratello Urbano - il quale era allora presso di noi sacerdote e superiore del monastero, ora invece è vescovo della Chiesa di Sicca - volle, durante la mia assenza, farlo ordinare prete in una grande tenuta sita nella nostra diocesi, poiché alla mia partenza gli avevo ingiunto di scegliere qualcuno [dei monaci] che, senza aspettare il mio ritorno, fosse ordinato in quella località dal vescovo vicino. La cosa - è vero - non poté effettuarsi per il rifiuto opposto da quel vescovo, ma tuttavia, essendo in seguito venuto a sapere il fatto, presi a considerare Antonino come indispensabile per quell'incarico, non per il fatto che io lo conoscessi quanto sarebbe stato necessario, ma sulla testimonianza del suo superiore.
Quale difficile frangente spinse Ag. a far ordinare vescovo Antonino...
3. Nel frattempo, non bastavo da solo a governare la diocesi assai vasta, come l'esigeva il bisogno, in quanto s'erano venute ad aggiungere non solo molte persone in città, ma anche molte comunità nelle campagne, provenienti dalla sètta di Donato; perciò, dopo aver discusso a fondo il progetto con i fratelli, mi parve opportuno che in una borgata, chiamata Fussala, dipendente dalla sede episcopale d'Ippona, fosse ordinato un vescovo al quale appartenesse la cura di quella regione. Mandai a prendere il primate; egli si degnò di venire; all'ora fissata il prete che credevo di avere pronto per il mio scopo ci lasciò in asso. Che cosa avrei dovuto fare allora per agire bene, se non rinviare un atto così importante? Ma io temevo che, se il santo primate, il quale a stento era venuto da noi da lontano, fosse partito da noi e fosse tornato a casa sua senza aver compiuta quella funzione, tutti coloro per i quali era stato indispensabile fosse compiuta quella ordinazione, si sarebbero scoraggiati e ci sarebbero stati di quelli che i nemici della Chiesa avrebbero potuto ingannare prendendosi gioco della nostra iniziativa andata a vuoto; per questo motivo ritenni utile presentare quel [nostro monaco], che si trovava lì, per farlo ordinare, dal momento che avevo sentito dire che conosceva anche la lingua punica. In realtà non furono i fedeli a chiederlo di loro spontanea volontà, ma non osarono rifiutarlo sembrando loro ch'egli fosse uno dei miei e di mio gradimento.
...che si gonfiò d'arroganza del potere per la carica inaspettata...
4. Sottoposi dunque a una carica sì importante un giovane che aveva non più di vent'anni senza che fosse stato prima sottoposto alla prova in alcun grado del clericato, e del quale io non conoscevo il carattere che avrei dovuto conoscere in precedenza. Ebbene, tu vedi quale fu il mio enorme peccato: considera che cosa ne seguì. L'animo del giovane, salito d'un tratto alla carica di vescovo senza alcun merito di fatiche precedenti, fu assalito dallo spavento; in seguito però, vedendo che gli erano soggetti chierici e fedeli - come poi lo mostrò la realtà - si gonfiò dell'arroganza del dispotismo e, non insegnando nulla con la parola, ma costringendo a far tutto autoritariamente, si compiaceva di farsi temere quando vedeva che non riusciva a farsi amare.
...e associò alla sua arrogante prepotenza due cattivi monaci...
5. Per sostenere quella parte andò in cerca d'individui simili a lui. C'era nel nostro monastero un tale che aveva fatto lo stenografo della mia segreteria il quale, con mio grande dolore, era diventato un poco di buono; per essere stato trovato a parlare da solo con alcune religiose in un'ora inopportuna era stato sottoposto alla fustigazione dal superiore e aveva quindi perso la reputazione. Costui, abbandonato il monastero, si recò presso il vescovo, di cui parliamo, e da lui fu subito ordinato prete senza chiedermi consiglio e a mia insaputa. Io infatti venni a sapere che ciò era successo prima che avessi potuto crederlo possibile, sebbene un tale, al quale avrei dovuto credere, me ne avesse parlato. Vorrei che tu mi credessi, non riuscendo a spiegartelo, quanta tristezza invase allora, in verità, il mio cuore per la paura di vedere un giorno la rovina di quella Chiesa che sarebbe avvenuta per colpa di lui. Presentatasi tuttavia un'occasione - quando proprio il medesimo vescovo mi espose le sue lamentele assai gravi sul conto di quel prete di tal fatta - procurai che fosse scomunicato e fosse restituito alla sua patria dalla quale m'era stato dato. Così era avvenuto, ma non so come, senza chiedere il mio consiglio, lo restituì alla propria comunione e amicizia. Egli fece anche diacono un altro [monaco] datogli per verità dal nostro monastero con un regolare ordine ma non si dimostrò turbolento se non quando fu diacono.
...per mezzo dei quali, del difensore della Chiesa e di un ex soldato prese a rapire e saccheggiare.
6. Quali sventure furono costrette a subire quella borgata e quelle circostanti a causa di questi due chierici, il prete e il diacono, per causa del difensore della Chiesa e per colpa anche di un altro individuo ex soldato o disertore, al quale più abitualmente impartiva ordini, e a causa, inoltre, degli uomini di quella medesima borgata ch'egli aveva costituiti sentinelle in corpi di guardie notturne e dei quali si serviva quando aveva bisogno d'una masnada un po' più numerosa, può conoscerle in ogni modo chiunque avrà la pazienza di leggere i processi verbali redatti in seguito a numerose querele sporte nelle denunce scritte davanti ai vescovi nella Chiesa d'Ippona, ove occupavo un posto anch'io. In essi troverà lamenti degni di compassione di poveri uomini e di povere donne e, cosa più grave, di vedove che né il loro nome, che la Sacra Scrittura ci raccomanda specialmente di difendere 2, né la loro età avanzata poté proteggere in qualche misura dalle rapine, razzie e vessazioni criminali perpetrate da quegli individui. Chiunque cadeva per caso nelle loro mani perdeva il denaro, la suppellettile, i vestiti, il bestiame minuto, i raccolti, infine legname e pietre da costruzione; le case di alcuni venivano occupate, quelle di altri venivano anche demolite per portarne via i materiali che esigeva la costruzione di nuovi edifici. Certi oggetti venivano comprati ma senza pagarli; dei campi di alcuni quelli s'impadronivano con la forza e venivano restituiti solo dopo averne portato via i raccolti per parecchi anni; alcuni di quei campi sono stati posseduti e occupati fino al giudizio episcopale.
Di quei misfatti assai pochi furono discolpati, molti in parte scusati e rinviati ad altro tempo.
7. Molti altri misfatti, oltre quelli contenuti nei processi verbali, anche noi abbiamo sentiti da qualche parte e nelle contrade di coloro che li hanno subiti, sono denunciati ripetutamente non mediante lagnanze sussurrate, ma per mezzo di grida di persone urlanti, e sono raccolti per essere provati qualora sedessero in tribunale ove dei giudici non sovraccarichi di lavoro per mancanza di un numero sufficiente [di magistrati] o anche potessero bastare ad ascoltare tutte le deposizioni quelli che sederanno, dal momento che a stento uno potrebbe avere la pazienza di esaminare attentamente le deposizioni da noi ascoltate nell'udienza e contenute nei processi verbali ecclesiastici. Veramente di quei fatti solo una minima parte sono stati in un modo o in un altro scagionati; molti invece, in parte per l'assenza di coloro dai quali erano stati commessi, non furono esaminati e furono rinviati [ad altro tempo]. Quanto ai chierici, cioè il prete e il diacono, sarebbe troppo lungo descrivere in qual modo la loro presenza è stata sottratta e ancora fino ad oggi è sottratta al tribunale episcopale. Tuttavia nei verbali sono registrate le parole del vescovo con le quali confessò spontaneamente che li aveva esortati a presentarsi perché erano stati suoi complici e che quelli avevano dichiarato di voler presentarsi.
Antonino fu solo obbligato a restituire le refurtive, salvo restando l'episcopato...
8. Noi al contrario ordinammo la restituzione dei beni sottratti, ma conservammo al vescovo l'episcopato intatto e intero con una limitata punizione, per evitare che quelle malefatte restassero del tutto impunite e gli si lasciasse di continuare a commetterle o ad altri d'imitarle; ci limitammo cioè a imporgli come punizione ch'egli avesse la sede vescovile solo in una delle sue cattedre, affinché non si dicesse ch'era stato trasferito in una cattedra diversa dalla sua contro le prescrizioni ecclesiastiche, senza però governare più a lungo i Fussalesi contro la loro volontà. Penso che questa specie di castigo deve considerarsi un favore che gli facciamo, evitandogli di vivere con coloro che lo rifiutano, dei quali la sua stessa presenza inasprirebbe in modo assai pericoloso i loro sentimenti di odio, già molto aspri. Naturalmente decretammo che fosse scomunicato finché non restituisse tutto ciò che aveva rubato. Questa nostra decisione l'abbracciò anche lui fino al punto che non fece appello, e pochissimi giorni dopo versò dei soldi [d'oro] presi a prestito come prezzo dei beni rapinati, affinché non gli fosse negata più a lungo la comunione. Ora molti fratelli e figli nostri che avevano con noi compassione di lui per essere stato assolto assai probabilmente con giustizia da quattro gravi e capitali colpe di violenza carnale rinfacciategli non già da abitanti di Fussala, ma che erano state rinfacciate o fatte rinfacciare da altre persone offese da lui per certi motivi, si rallegrarono con noi con vive espressioni di gioia fraterna per aver noi pronunciato quella sentenza nei suoi confronti.
...oltre alle otto comunità assegnategli estorse anche quella di Togoneto...
9. Scrisse anche una supplica al santo primate della Numidia, in cui gli chiedeva che avesse la bontà di far attendere fino alla data del concilio [provinciale] il desiderio degli abitanti di Fussala, i quali reclamavano con tutte le forze che fosse ordinato un vescovo per loro; il primate li fece attendere. Quando si venne al concilio e tutti i partecipanti trovarono opportuno di mettere in esecuzione i nostri decreti, neppure a causa di ciò presentò appello; se l'avesse fatto allora l'avrebbe fatto certamente troppo tardi, dal momento che alcuni mesi prima non aveva fatto appello contro di noi. In seguito il nostro superiore, il primate, inviò a Fussala dei vescovi alla cui presenza fosse scelto con il voto dei fedeli chi sarebbe dovuto essere ordinato come [loro] vescovo e fosse inviato a lui per essere ordinato, e così fu fatto. Ma, quando spuntò il giorno dell'ordinazione, allora venne in mente ad Antonino l'idea di presentare appello. Tuttavia, avendo accettato la spiegazione datagli dal santo primate e comprendendo di fare invano ciò che da tanto tempo faceva dopo ch'era stata pronunciata in giudizio la sentenza sul conto di lui, acconsentì che gli fossero attribuite otto comunità, che per certe ragioni non si erano recate alla chiesa di Fussala a esprimere il proprio voto per la scelta del vescovo da ordinare. Ma, per seminare di nuovo discordie 3, ottenne, a forza d'insistere, che nella lettera da lui inviata al santo primate fosse aggiunto che venisse unita nella lista anche una delle comunità che si erano recate a Fussala per chiedere il [proprio] vescovo, cioè quella della tenuta di Togoneto; [egli pretese ciò] per avere lì la cattedra da cui dipendessero tutte le altre appartenenti a lui.
...i cui coloni minacciarono di andarsene se fosse assegnata ad Antonino...
10. Questa tenuta è tanto vicina al borgo [di Fussala] che si vedeva bene ch'egli non vi cercava se non occasioni di litigi con cui turbare la pace della Chiesa. Allora i coloni di quella tenuta, poiché già lo conoscevano per la vicinanza e con altri avevano sofferto per le sue ribalderie, scrissero alla padrona della tenuta che, se avesse permesso che ciò fosse avvenuto, se ne sarebbero andati via immediatamente. Scrissero parimenti anche a me, perché intervenissi in loro difesa affinché ciò non avvenisse; per essi scrivemmo, lei e io, al primate.
...che si recò a Roma e consegnò al Papa uno scritto ove tacque lo svolgimento dei fatti.
11. Costui dunque, allorché vide che ciò [che voleva] non gli era stato concesso, decise di passare il mare con una lettera di raccomandazione del suo superiore, il primate, avuta non allora ma prima, allorché quell'autorevole personaggio aveva creduto ingenuamente che quello non avesse colpe di nessun genere e desiderasse passare il mare per far liberare degli individui che il vicario dell'Africa teneva prigionieri, mentre invece non aveva ancora conosciuto in modo del tutto chiaro, attraverso i processi verbali, le angherie subite dagli abitanti di Fussala e il loro giusto dolore. Antonino dunque fece consegnare al venerabile papa Bonifacio una dichiarazione scritta in cui affermava, mentendo, che a partire dal giorno in cui era stato giudicato, era stato nella comunione ecclesiale - come ho ricordato più sopra, egli era stato scomunicato finché non avesse restituito tutti i beni da lui rubati agli abitanti di Fussala, e per questo scopo pochi giorni dopo, è vero, aveva rimesso una certa somma in solidi d'oro perché fosse riammesso nella comunione -, passò inoltre sotto silenzio tutto l'ordine in cui si erano succeduti i fatti necessari a [intendere] la causa e ottenne dal papa una lettera chiaramente assai prudente.
Ai vescovi che lo giudicavano risultò chiaro quanto aveva taciuto in quella dichiarazione.
12. Il papa Bonifacio di venerabile memoria assegnò, in realtà, dei giudici i quali giudicassero se la spiegazione [di Antonino] fosse fondata, se quello avesse indicato fedelmente l'ordinata successione dei fatti, se le cose stessero come le aveva esposte nel testo della sua dichiarazione; soltanto allora gli sarebbe dovuta essere restituita la chiesa di Fussala come a uno esente da colpe, a causa delle quali gli sarebbe stata tolta giustamente. Si radunarono in una città della Numidia, cioè nella chiesa di Tegulata i vescovi che vi si poterono recare; v'erano anche altri vescovi ch'egli non aveva richiesti ma che avevano altri motivi di recarvisi e, sebbene non fosse completo il numero dei vescovi da lui richiesto, disse tuttavia che gli erano sufficienti. Eravamo presenti anche noi, cioè il fratello Alipio ed io, avvertiti da una lettera del primate ma non per pronunciare di nuovo una sentenza riguardo ad Antonino - che cosa infatti sarebbe stato più ingiusto? - ma per rendere conto del nostro giudizio, se ce ne fosse stato bisogno; la relazione sarebbe stata presentata alla sede apostolica. Si lessero dunque i documenti portati da Antonino. Il primate della Numidia Aurelio, il più anziano d'età, espose il motivo per cui aveva ordinato Antonino. In quella esposizione risultò chiaro ciò che quello aveva tralasciato di dichiarare [al papa] per ottenere da Roma una lettera siffatta, e come non aveva indicato fedelmente la successione ordinata dei fatti.
All'udire le lagnanze scritte dei Fussalensi contro di lui Antonino avanzò nuove ingiuste pretese.
13. Il vescovo Antonino chiese allora che fosse fatto entrare il prete inviato dagli abitanti di Fussala; dopo l'ingresso del prete si diede lettura delle lettere dei preti e degli abitanti di Fussala. Quando egli sentì che le lettere erano straboccanti di lagnanze contro di lui, che suscitavano le lacrime e a causa delle quali rifiutavano in ogni modo di ricevere per vescovo un uomo, del quale avrebbero fatto a meno giustamente e felicemente, non volle credere che fossero state inviate da essi e chiese al santo primate di avere la bontà di recarsi di persona negli stessi luoghi con alcuni dei vescovi che gli erano stati assegnati quali componenti di quella commissione, per sondare l'animo dei preti e dei fedeli a condizione che, se gli abitanti di Fussala avessero posto in discussione la questione di accettarlo, egli ricevesse, contro la loro volontà, la comunità di Togoneto aggiunta alle altre otto comunità che aveva già prima; oltre a ciò [volle] che il venerando primate mi chiedesse che le altre cinque comunità che, senza indicarle per iscritto nei processi verbali, gli avevo promesso perché non si accanisse contro gli abitanti di Fussala, io le confermassi facendole registrare nei processi verbali.
Aurelio nei processi verbali promise solo di recarsi a Fussala...
14. Dopo ch'ebbi fatto ciò senza alcuna difficoltà, ce ne andammo - per modo di dire - in pace, se non che io vedevo che la borgata di Togoneto gli era contraria non meno degli abitanti di Fussala e che la padrona del possedimento non glie lo avrebbe concesso, come sembrava al venerando primate Aurelio. Infine, come gli era stato chiesto, il primate promise, è vero, facendolo registrare nei verbali, che si sarebbe recato a Fussala, ma nessuno gli fece promessa, facendola registrare nei processi verbali, di concedergli la comunità di Togoneto. Il medesimo vescovo Antonino fece poi una dichiarazione così perentoria che obbligò i vescovi a riconoscere, in seguito alla risposta degli abitanti di Fussala, che cosa dovessero fare.
...ove, assente Ag., furono concesse ad Antonino le comunità più vicine.
15. Pochi giorni dopo si andò a Fussala come era stato deciso; con il primate c'erano anche due vescovi di cui Antonino aveva chiesto la presenza tra quelli che si trovavano in città, e così gli furono accordati quelli che poté trovare vicini alla medesima borgata; accompagnavano il primate anche altri tre vescovi quale scorta d'onore come vuole l'usanza. Io ero assente, poiché non oso nemmeno vedere gli abitanti di Fussala; a loro che ormai s'erano calmati avendo accettato un vescovo dopo la nostra sentenza, mentre ora di nuovo sono turbati dall'agitazione di costui, sono diventato odioso anch'io stesso, poiché sarei stato io ad arrecare loro una sì grave sciagura, come essi non bisbigliano più con soffocate mormorazioni, ma lo vanno proclamando con aperte proteste e alte grida; oltre a ciò proprio costui, con mostruosa ingratitudine, mi giudica solo un suo nemico. Era ugualmente assente il fratello Alipio ch'era in viaggio per tornare a casa sua.
La comunità di Tegulata, interrogata dai vescovi, si mostrò assai violenta contro Antonino...
16. In tal modo, alla presenza di sei vescovi, quella comunità accorsa numerosa e con entusiasmo fu interrogata e fu trovata mossa dallo stesso sdegno di quando aveva inviato la lettera alla Chiesa di Tegulata per mezzo d'un prete, e anzi ancora più violenta e più inesorabile. Che cosa fece costui in precedenza nel desiderio d'incutere in essi paura non c'è bisogno di scriverlo; te lo confesserà forse lui stesso qualora si sentisse obbligato, sebbene anche i latori della nostra lettera possano riferirlo fedelmente alla tua Reverenza. Così la folla, dopo essere stata interrogata per tutta una giornata, avendo manifestato a sufficienza i suoi sentimenti nei riguardi di costui, reclamò con grandissima impazienza la presenza del proprio vescovo, poiché neppure lui era presente quando fu effettuata la prima indagine. Pertanto dopo l'intervallo di un giorno, essendo allora presente anche il loro vescovo, diedero a propria difesa molte risposte contro costui, urlarono molte accuse contro di lui; tutto fu registrato nei processi verbali.
...la cui doppiezza fu svelata dalla padrona del fondo di Togoneto.
17. Il primate poi mi pregò di andargli incontro in una località ove potessimo vedere tutti insieme che cosa fare. Mentre mi recavo là, durante il viaggio ricevetti una lettera dell'illustrissima signora a cui appartiene la tenuta di Togoneto: mi faceva sapere che il suo fattore le aveva scritto che il venerando primate gli aveva detto d'aver sentito dire dal vescovo Antonino ch'essa aveva acconsentito ch'egli stesse a Togoneto. " Ma di ciò non so nulla " - disse lei - " anzi, egli venne da me e fu lui stesso a pregarmi di non acconsentire ". La lettera della pia donna la portai con me poiché l'avevo considerata un documento indispensabile; io però avevo già saputo ch'egli aveva agito in quel modo, ma non vedevo con quale altra prova sicura potesse essere dimostrato bugiardo, se lo avesse negato in assenza di quella rispettabilissima donna.
Invano Antonino cercò di scolparsi di quell'accusa...
18. Essendoci dunque trovati insieme in una località lontana dieci miglia dalla borgata di Fussala, ove io non volevo andare, ci mettemmo tutti a discutere con lui come ciascuno era in grado di fare, per evitare che un vescovo cattolico provocasse più a lungo turbamento e rovina a danno dei cristiani cattolici. Quando si prese a trattare della tenuta di Togoneto, io presentai la lettera della padrona del possedimento; dopo la lettura della lettera, poiché tutti i fratelli e nostri colleghi d'episcopato, ch'erano presenti, erano rimasti profondamente scossi e avevano preso a rivolgergli gravi rimproveri, rispose che non s'era espresso in quei termini ma, siccome essa per prima aveva detto che non gli avrebbe concesso quella località, egli aveva ribattuto non in tono di supplice ma di sdegnato: " Se non vuoi, non concederla; non la voglio neppure io ". Si passò poi a un altro scambio di parole con cui cercavamo - se fosse stato possibile - di fargli accettare altre due località invece di quella tenuta in modo che a nessuna delle comunità, che ormai erano cominciate ad appartenere al vescovo di Fussala, fosse più a lungo molesto; ma la proposta non fu accolta poiché tutti lo rifiutavano risolutamente.
...ma fu smascherato da un'altra lettere della medesima padrona recapitata ad Ag.
19. Fummo anche in una località delle otto che gli erano state assegnate e dove governava senz'essere contestato. Era stato il fattore della tenuta a chiederci d'incontrarlo e lì avemmo parecchie discussioni con lui ma inutilmente. Proprio lì ricevetti un'altra lettera della padrona della tenuta di Togoneto, poiché le avevo scritto a mia volta informandola della risposta data da Antonino e le avevo chiesto che mi riferisse per lettera, punto per punto, come era andata la cosa. Ella quindi scrisse anzitutto che per mezzo di suo genero le aveva fatto sapere che le chiedeva di fargli il favore di non acconsentire ch'egli stesse a Togoneto e neppure nella sua parrocchia, se avesse dovuto avere la cattedra episcopale in una località diversa da Fussala; in seguito essa confermò a viva voce ch'era stato lui a chiederle ciò. Di questo erano testimoni non solo suo genero, ma anche il vescovo della località dove si trovavano allora, come essa scrisse in modo assai esplicito.
Ag. prega il primate di riammettere alla comunione i Togonetesi che avevano tumultuato contro Antonino.
20. Terminata la lettura di quella lettera alla presenza dei fratelli, [Antonino] rimase talmente sconvolto che non mi rispose altro che parole oltraggiose. E poiché il primate mi aveva detto ch'egli s'era lamentato della presenza del loro vescovo il giorno in cui gli abitanti di Fussala erano stati interrogati per la seconda volta, si decise di consultarli ancora una terza volta, in assenza del loro vescovo, separatamente i coloni di ciascuna tenuta con i loro affittuari e sovrintendenti, senza i fattori. Ma per raggiungere Fussala avevamo dovuto passare per Togoneto e io pregai il primate di riammettere [quegli abitanti] nella comunione poiché li aveva scomunicati avendo essi sbraitato contro Antonino alla sua presenza, e temevo che a causa dello sdegno proprio dei contadini arrivassero ad una completa rovina. In realtà, tra i due vescovi, essi erano stati abbandonati a se stessi fino al punto che io venni a sapere che alcuni di essi avevano cominciato ad apostatare. Di conseguenza temevo che diventasse più grave l'orribile ferita del mio cuore e mi affrettavo a farla guarire il più presto possibile.
Il primate aveva interrogato i fedeli sui misfatti di Antonino, ma quelli se ne andarono tutti.
21. Giungemmo colà verso sera e il giorno seguente vedemmo gli abitanti adunati nella chiesa. Ma appena il venerando primate si mise a parlare in lingua punica riguardo al vescovo Antonino, dichiararono la loro volontà con alte grida e avendo chiesto loro quali torti avesse loro fatto colui al quale si opponevano con tanta ostinazione, uno alla volta si misero a dire ciò che avevano sofferto. Quando però furono invitati a fare le loro deposizioni nominativamente per registrarle nei processi verbali, risposero che avevano paura di farsi scoprire da lui, che avrebbe potuto perseguitarli ad uno ad uno e mandarli in rovina. Ma siccome erano invitati a fare piuttosto quanto era stato detto, all'improvviso tutti ci abbandonarono e se ne andarono con lagnanze piene di sdegno al punto che non rimase nemmeno una sola delle religiose. Chi potrebbe esprimere come rimanemmo sconvolti dalla paura che nel giudizio di Cristo la loro perdizione venisse legata al nostro collo più pesante di quella macina d'asino di cui parla il Vangelo 4? A stento poterono essere richiamati grazie alla promessa del primate di non far nulla contro la loro volontà nel dar loro un vescovo.
I fedeli di Fussala rifiutano di essere interrogati singolarmente sui misfatti di Antonino.
22. Usciti dunque dalla chiesa dopo la celebrazione dei divini misteri trovammo anche due abitanti di Fussala, mandati con un promemoria scritto dove dicevano ch'erano giunte ai loro orecchi delle voci secondo le quali noi li volessimo interrogare ad uno ad uno mentre già tante volte era apparsa chiara e non ambigua la loro volontà riguardo a chi volessero avere per loro vescovo e che individualmente non avrebbero detto altro che quanto avevano potuto dire tutti insieme. Ma se la cosa fosse fatta affinché il loro nemico sapesse quali persone indicate per nome egli dovesse perseguitare, avremmo dovuto capire che con questa procedura sarebbero stati consegnati alla morte, e comunque ci sarebbe dovuto bastare d'aver ucciso le loro anime assegnando loro Antonino, e non dovevamo consegnare anche i loro corpi in modo che fossero uccisi una seconda volta da Antonino. Nel medesimo promemoria aggiungevano pure che, se ci fosse parso opportuno, ordinassimo d'istruire di nuovo il processo restituendo loro le accuse scritte contro Antonino, che avevano consegnate ad Ippona, e tutti gli altri documenti che sarebbe troppo lungo ricordare. Tuttavia, poiché si sarebbe potuto dire che quel promemoria non conteneva la volontà dei fedeli, ma era stato indirizzato da uno o due di essi - e in ogni caso da pochissime persone - non ci parve doveroso cambiare la nostra decisione di recarci da loro.
I vescovi incontrano Ag. al quale esternano le lamentele dei Fussalensi contro costui.
23. Per conseguenza, il primate si recò a mezzogiorno a Fussala con quelli ch'erano indispensabili, mentre io e il loro vescovo restammo nella medesima località. Il giorno seguente in cui il primate interrogava i fedeli per la terza volta, noi gli andammo incontro in una località ove sarebbe dovuto passare al ritorno e vi trascorremmo tutto il giorno mentre egli si trovava a Fussala. Lì ci raggiunsero poi i vescovi con il venerando primate portando le lagnanze e le deposizioni registrate di quegli sventurati, nelle quali essi non ritennero doveroso di risparmiare neppure me stesso. In effetti dichiararono ad alta voce nei miei riguardi ciò che meritavo di sentirmi dire, che cioè ero io la causa di quella sì grande loro calamità, dando loro una persona da essi non richiesta, dalla quale erano afflitti con tante sofferenze.
Antonino dichiara di ricusare le comunità assegnategli ma rifiuta che ciò risulti nei processi verbali.
24. Scrivemmo poi allo stesso vescovo Antonino e ci raggiunse in una borgata, quella di Gilva, ove da una faccenda urgente della Chiesa il primate era costretto a recarsi; egli infatti si era separato da noi con l'impegno di raggiungerci ovunque fosse stato convocato per lettera. Lì, avendo inteso riferire anche dai vescovi, da lui richiesti scegliendoli tra gli altri giudici, ciò che avevano visto e inteso di persona e avendo ciascuno di noi consigliato, per quanto gli era possibile, di non dover far altro - se si considerava un vescovo - se non di governare tranquillamente le comunità che lo avevano accettato senza alcuno scandalo per la Chiesa e senza alcuno scompiglio, rispose che non voleva avere nemmeno quelle e che aveva fatto il fermo proposito di voler rimanere lontano dalle folle in un posto molto solitario, distante dagli invidiosi, come [un semplice] servo di Dio; se noi lo avessimo voluto, avrebbe desiderato darci la prova di quel suo proposito adducendo anche la testimonianza di coloro ai quali ci raccontò di averlo comunicato prima di vederci. Poiché non avevo voluto credere facilmente a una sì buona sua disposizione d'animo, gli dissi che, se pensava e diceva ciò con sincerità, non gli rincrescesse di offrire al nostro Dio anche il sacrificio di misericordia concedendo una sicura tranquillità alla sua Chiesa, eliminando la paura ch'essa aveva di lui e manifestando quella sua volontà nei processi verbali del tribunale vescovile; ma avendo egli affermato che non avrebbe dichiarato assolutamente nulla nei processi verbali, gli dicemmo di manifestarla almeno in uno scritto di proprio pugno, e siccome rispose che non avrebbe fatto neppure ciò, si sentì dire quanto era doveroso dirgli, che cioè non pensava sinceramente di voler servire Dio, dal momento che godeva di lasciare nel turbamento, derivante da una tale paura, la Chiesa di Colui ch'egli aveva intenzione di servire.
Messo alle strette Antonino minaccia di ricorrere alla Sede Apostolica...
25. Allora, vedendosi messo alle strette dalle argomentazioni dei vescovi alle quali non poteva rispondere, una buona volta fece esplodere ciò che dissimulava nel suo cuore e con uno sguardo e un tono di voce terribile disse che in alcun modo lo si poteva convincere di non cercare con qualsiasi mezzo possibile di tornare alla chiesa di Fussala. Udito ciò, mi misi a pregare con istanza il venerando primate di formulare contro di lui, in relazione ai processi verbali di Tegulata, un'accusa verbalizzata nel processo d'inchiesta ecclesiastica, di cui si potesse fare rapporto alla Sede Apostolica. " Io - disse lui - non dichiarerò nulla ai processi verbali "; si alzò tutto sconvolto e se ne andò, ma poi, tornato subito indietro, con gesti incomposti per la collera, minacciò di recarsi presso la Sede Apostolica come se noi avessimo avuto intenzione d'inviare a un'altra sede tutti i punti del dibattito che sarebbe stato registrato nei processi verbali.
...alla quale i vescovi decidono d'inviare una lettera e i processi verbali su Antonino.
26. Restava dunque d'informare la Sede Apostolica indirizzandole una lettera e i processi verbali. Ci prendemmo cura di farlo il più presto possibile. Ecco quale lunga favola siamo diventati per i Giudei, per i pagani 5 e per gli eretici, e anche per tutti i nostri nemici all'interno della Chiesa, volesse il cielo senza la morte spirituale di coloro ai quali, liberati dall'eresia, ormai aspirano di nuovo a una certa luce dell'unità, renderemo odioso il nome cattolico, se neppure adesso sarà confortata la loro debolezza facendo in modo che non abbiano come vescovo uno che essi, con espressioni di risentimento, dichiarano di non poter avere.
Fabiolo lo persuada a non vantarsi di molti ma di guadagnare molti a Dio...
27. Ecco quanto ho creduto mio dovere riferire per iscritto all'Eccellenza tua, affinché se verrà a trovarti, tu non ignori che cosa tu debba raccomandargli. A cotesto povero uomo tu farai un'elemosina molto migliore dandogli consigli per la vita eterna che non il sostentamento per la vita presente; poiché gli manca in modo più pericoloso quell'elemosina per mancanza della quale il suo spirito muore anche se il corpo è sano 6. La finisca di pretendere di esercitare un potere dispotico su membri di Cristo radunati con il sangue versato da altri. Poiché, da quando cominciò ad essere vescovo in quella località, non ha sopportato da parte dei donatisti né danni né ferite d'alcun genere né lui né alcuno dei presbiteri o chierici o alcuna delle persone, quali che fossero, sottoposte al suo governo. Ma perché costui trovasse colà una tale pace, inorridisco a dire quali sofferenze i nostri vi sopportarono! Gli bastino le comunità che Dio volle che lo accettassero senza scandalo, il governo d'una sola delle quali, esercitato con spirito di fede e con diligenza, procura un gran premio presso Dio. Ma tali pensieri non ha costui il quale, facendo bestemmiare il nome di Cristo e provocando gemiti di morte di gente sventurata, desidera godere per il numero delle sue comunità, non cercare di procurare molti fedeli a Dio ma di menar vanto d'averne molti. Altrimenti non avrebbe il desiderio di fare suoi, con tanta fatica, coloro che già vede appartenere a Cristo.
...e come una madre gli dica quanto le suggerirà Dio.
28. Ascolti da te queste esortazioni, te ne prego, e non tacergli nulla di tutto ciò che il Signore avrà la bontà di concederti di dire a costui, della cui sanità spirituale desidero tanto rallegrarmi. Rispetto a lui tu hai infatti un'età da mostrargli dignitosamente un affetto materno. Se infatti la collera di Dio a cui soggiace non è troppo grave, non disprezzerà in te i consigli di sua madre; so che tu sei risuscitata con Cristo in modo che cerchi le cose del cielo, non quelle di questo mondo 7; a un vescovo dunque che cerca le cose di questo mondo non aver paura di dare un consiglio conforme alla fede. Tu infatti in questo mondo cerchi Dio, egli al contrario nella Chiesa cerca questo mondo.
I più gravi misfatti di Antonino: 1) comprò a vil prezzo una proprietà incarcerandone il proprietario.
29. Poiché, cosa che forse non avresti creduto se te lo avesse detto un altro, non esitò a comprare dei poderi in nome suo e non della Chiesa, lui ch'era stato fatto vescovo nell'uscire dal monastero senza avere di suo null'altro che il vestito che portava quel giorno. Forse tu mi chiederai come fece a comprarle: non dirò con le rapine di cui gli abitanti di Fussala si lamentavano per averle subite; i frutti di quelle rapine venivano consumati immediatamente. Eppure, per il sostentamento suo e dei suoi collaboratori gli avevo dato un fondo della Chiesa d'Ippona sito nel suddetto territorio di Fussala. Egli lo aveva dato in affitto e con il denaro riscosso dell'affitto di cinque anni interi trovò la somma per poterlo comprare. Se volessi esporti quale querela presentò contro di lui il venditore in un ricorso all'imperatore e a quali rischi giudiziari si espose o in qual modo il difensore della Chiesa di Fussala - presso il quale il venditore si lamentò d'essere stato incarcerato in una prigione privata affinché vendesse al vescovo il suo possedimento al prezzo più vantaggioso per lui - a stento sfuggì, grazie ai nostri sforzi, alla pena d'una pubblica condanna, poiché aveva già confessato di aver agito in quel modo per ordine del vescovo, benché questi dichiarasse d'aver dato l'ordine che quel tale fosse tenuto in prigione non per metterlo alle strette a vendere quel fondo ma per un'altra colpa; se volessi raccontare tutti i particolari [di quella faccenda], quando mai la lettera potrebbe essere terminata?
2) della metà di un'altra piccola proprietà defraudò il comproprietario.
30. Comprò anche un altro piccolo possedimento sempre a nome proprio ma non so con quale denaro; per altro, anche nel caso di quello stesso possedimento, trattò il proprio comproprietario, insieme al quale possedeva in comune la metà del fondo, in modo che - come è stato dichiarato nella deposizione scritta presentata dal comproprietario al nostro tribunale - si prese tutti i frutti e spogliò delle tegole la casa che possedevano in comune. Ascoltammo la deposizione, ne avemmo le prove, ne ordinammo la restituzione. Il comproprietario ci presentò anche una lettera di suo fratello e fu letta nel nostro tribunale: lo scrivente denunciava le pressioni esercitate su di lui dal vescovo perché vendesse la propria parte di comproprietà e di non aver ricevuto tutto il prezzo che avrebbe dovuto ricevere. Ma poiché non ci veniva mostrato chiaramente se quella fosse davvero una lettera di suo fratello, troncammo bene o male il dibattito tra i presenti e conservammo all'assente il diritto di un'azione giudiziaria.
3) con i materiali tolti da una casa non sua si costruì una nuova abitazione.
31. Antonino però diede quel fondo a un altro, del quale demolì la casa e trasportò tutti i materiali con cui era stata costruita per farli servire alla sua costruzione; presso di lui interposi i miei buoni uffici io stesso perché non aggravasse il vescovo con una denuncia scritta e una sua querela nel nostro tribunale. E di fatto la questione tra loro fu troncata con una sentenza arbitrale privata, in base alla quale quel tale doveva ricevere da Antonino per la sua parte una porzione della proprietà in compenso dei danni subiti; eppure costui, da monaco miserabile che era, divenuto vescovo, dice ancora adesso agli abitanti: " Rendetemi la mia casa che ho costruito nel vostro villaggio ", casa che non sembrava certo costruire per lui stesso ma per la Chiesa; e magari l'avesse costruita con mezzi onesti e con le legittime offerte e non con le rapine! A quanto infatti si dice, nella costruzione di quella casa non c'è quasi nulla che non si possa dimostrare essere stato portato via da proprietà altrui e mostrare a dito il luogo dal quale è stato rubato.
Quanto sanguina il cuore di Ag. per la pessima condotta di Antonino.
32. Ma a questo proposito c'è un altro punto che voglio spiegarti; ho voluto sfogare con te la mia profonda afflizione scrivendo alla tua Sincerità per il fatto che un giovane allevato da noi nel nostro monastero e che, quando lo accogliemmo, non aveva alcun bene da lasciare o da distribuire ai poveri oppure da versare per metterlo a disposizione della comunità, si va ora vantando di tenute e d'una casa come se fossero sua proprietà; e non solo di queste cose vuole appropriarsi ma anche dello stesso gregge di Cristo, mentre invece vuol essere del numero di coloro dei quali l'Apostolo dice: Cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo 8; e quanto grave è questa ferita del mio cuore lo vede Colui che può guarirla.
Ag. scongiura Fabiola ad aiutarlo a vantaggio di Antonino e della Chiesa.
33. In nome di Cristo, della sua misericordia e del suo giudizio, ti scongiuro di aiutarmi in questa faccenda per lui e per la Chiesa. Ho infatti voluto darti queste informazioni, forse con più prolissità che discrezione, non perché tu lo abbia in odio, ma piuttosto affinché tu pensi al suo vero bene spirituale nella misura che il Signore te ne vorrà dare la capacità, con il non permettere che faccia del male a se stesso. In realtà a chi altri mai potrà fare un male maggiore se non a se stesso, se farà di tutto per mettere sossopra e abbattere una Chiesa che dovrebbe voler guadagnare a Cristo e non a se stesso? Io credo che ubbidirà alla tua santa Benevolenza e non alzerà contro di te la sua superbia, se la Sorgente di [ogni] misericordia esaudirà in favore di lui le mie [preghiere fatte con] lacrime tanto frequenti e abbondanti.
1 - Cf. Ep. 209, 3; Mt 10, 22; 24, 13.
2 - Cf. 1 Tm 5, 3.
3 - Cf. Prv 6, 19.
4 - Cf. Mt 18, 6.
5 - Cf. At 19, 17.
6 - Cf. Prv 10, 21.
7 - Col 3, 1.
8 - Fil 2, 21.
20 - Si narrano gli eventi concernenti la sepoltura del sacro corpo di Maria santissima.
La mistica Città di Dio - Libro ottavo - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca747. Affinché i fedeli non rimanessero oppressi - ed alcuni di essi non morissero - a causa del dolore che provarono per il transito della beatissima Signora, fu indispensabile che la potenza divina li consolasse con speciale provvidenza, comunicando un particolare coraggio con il quale i cuori si dilatassero nella loro incomparabile afflizione. Dal momento che la mancanza di fiducia di poter mai compensare quella perdita nella vita presente non ammetteva conforto, la privazione di quel tesoro non aveva rimedio e la dolcissima e piacevolissima vicinanza e affabilità della Regina aveva rapito l'amore di ciascuno, tutti senza di lei furono come senza anima e senza respiro; ma Dio, che sapeva la ragione di così giusta sofferenza, li assistette in essa e con la sua forza li animò segretamente, perché non venissero meno e fossero in grado di occuparsi di quanto conveniva disporre in ordine al sacro corpo e di tutto quello che la situazione richiedeva.
748. Gli apostoli, ai quali principalmente spettava questo compito, pensarono senza indugio ad assolverlo e destinarono alle spoglie un sepolcro nuovo, che era stato misteriosamente preparato dall'Unigenito nella valle di Giosafat. Ricordandosi che le membra di sua Maestà erano state cosparse di unguenti preziosi e aromatici secondo il costume dei giudei, ed avvolte nella sindone e nel sudario, giudicarono di dover fare lo stesso con quelle di sua Madre. A tale scopo, chiamarono le due giovani che si erano prese cura di lei ed erano state nominate eredi delle sue inestimabili tuniche, e le invitarono ad ungerle con sommo rispetto e a metterle in un lenzuolo, per poi deporle nel feretro. Esse si introdussero con grande timore nell'oratorio, dove la venerabile defunta stava sulla sua predella, ma la luce che la circondava le trattenne e offuscò loro gli occhi in maniera che non riuscirono a sfiorarla, né a vederla, né a capire in che punto preciso si trovasse.
749. Uscirono con riverenza ancora maggiore, e con immenso stupore e sconcerto dettero ragguaglio dell'accaduto agli Undici, che conferirono tra loro e non senza un'ispirazione superiore conclusero che bisognava evitare il contatto con quella santa arca dell'alleanza, che non andava trattata nel modo comune. Entrarono subito Pietro e Giovanni, che contemplarono lo splendore e contemporaneamente udirono la celeste musica dei ministri superni, alcuni dei quali intonavano: «Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te», mentre altri replicavano: «Vergine prima del parto, durante il parto e dopo il parto»; da allora si sviluppò in parecchi figli della comunità primitiva la devozione per quest'ultimo elogio, che si è trasmesso per tradizione ed è giunto sino a noi, confermato dalla Chiesa. Stettero per un po' attoniti a motivo dell'ammirazione per ciò che ascoltavano e osservavano, e per deliberare come comportarsi si inginocchiarono in preghiera, domandando di essere illuminati. Intesero immediatamente una voce che diceva: «Non si scopra né si tocchi il sacro corpo».
750. Ebbero dunque intelligenza della volontà dell'Altissimo e portarono prontamente una bara. Essendosi considerevolmente moderato il fulgore, si accostarono alla Principessa e con profondo ossequio sollevarono le vesti dai lati, senza scomporle affatto, e ve la collocarono nella medesima posizione. Fu per loro semplice, poiché non sentirono peso e con il tatto non avvertirono altro se non lievissimamente il solo abito. Quindi, si attenuò ulteriormente la radiosità e tutti ravvisarono la bellezza del candidissimo volto e delle mani, avendo l'Eterno stabilito così perché fosse alleviata la loro pena; per il resto, il sublime talamo della sua dimora fu tenuto celato, affinché né in vita né in morte si scorgessero altre parti che quelle necessarie: il volto per conoscerla e le mani con le quali aveva lavorato.
751. Tanta fu l'attenzione che il Maestro ebbe per il decoro della nostra sovrana che mostrò meno zelo per il proprio corpo divinizzato che per il suo. La fece simile a sé nella concezione immacolata, nonché nella venuta al mondo per quanto concerne il non permettere che percepisse attraverso i sensi il modo naturale della nascita; inoltre, la preservò dalle tentazioni di impurità. Nel nascondere il suo corpo, però, si regolò con lei, che era donna, differentemente che con se stesso, giacché egli era uomo e redentore per mezzo della sua passione, e peraltro la castissima Regina lo aveva supplicato di concederle che nessuno lo guardasse dopo il suo transito. Gli apostoli provvidero alla sepoltura e, con la loro diligenza e la pietà dei credenti, fu raccolta una rilevante quantità di lumi, che per un miracolo, pur stando accesi per quella giornata e per le due seguenti, non si estinsero né si consumarono minimamente.
752. Perché questo e molteplici altri portenti che il suo braccio compì in tale occasione fossero più noti, Dio mosse tutti gli abitanti della città ad accorrere e, sia tra i giudei sia tra i gentili, rimase appena qualcuno che non assistesse al singolare spettacolo. Quei nuovi sacerdoti della legge evangelica alzarono colei che era tabernacolo di sua Maestà, sorreggendo sulle loro spalle il propiziatorio dei suoi oracoli e dei suoi favori, e partirono ordinatamente in processione diretti alla valle di Giosafat. Questo era il corteo visibile, ma ve ne era anche uno invisibile: davanti a tutti camminavano i mille custodi, i quali continuavano a cantare le loro melodie, che erano udite da molti e che durarono ininterrottamente per tre giorni con incomparabile dolcezza; erano poi scese dalle altezze varie legioni angeliche con gli antichi padri e profeti, e specialmente con Gioacchino, Anna, Giuseppe, Elisabetta, il Battista e diversi altri beati che Gesù aveva inviato alle esequie.
753. Avanzarono così e per via avvennero eccezionali prodigi, la cui spiegazione renderebbe indispensabile dilungarsi non poco. In particolare, tutti gli ammalati furono perfettamente guariti e numerosi indemoniati furono liberati senza che i diavoli avessero l'ardire di aspettare che le persone che possedevano si avvicinassero. Più mirabili furono gli eventi che si verificarono nella conversione delle anime, poiché si spalancarono i tesori della misericordia e tanti vennero alla cognizione di Cristo, nostro bene, confessandolo apertamente come vero Signore e salvatore e chiedendo il battesimo; perciò, per più giorni ci fu da faticare nel catechizzare e nell'amministrare quel sacramento a quanti avevano aderito alla fede. Nel trasportare il feretro gli apostoli sperimentarono effetti straordinari di luce e di consolazione, e ne parteciparono pure i discepoli. La gente era stupita per il profumo, per la musica e per altri segni sorprendenti, e tutti proclamavano il Creatore immensamente potente nella Vergine, percuotendosi il petto con compunzione in attestazione di questo.
754. Quando furono giunti, Pietro e Giovanni, che avevano già posto la preziosa gemma nella bara, la tolsero da essa con la medesima riverenza e facilità, l'adagiarono nella fortunata tomba e la coprirono con un telo. In tutto ciò operarono più le mani degli spiriti superni che le loro. Fu messo un masso dinanzi all'ingresso, come era consuetudine fare, e restarono di guardia soltanto i mille angeli di Maria, mentre gli altri risalirono all'empireo. La folla si disperse, e gli apostoli e i discepoli rientrarono tra tenerissime lacrime alla casa del cenacolo, in cui si conservò per un anno intero il soavissimo odore delle sacre spoglie, e nell'oratorio addirittura per parecchi anni. Quel santuario fu luogo di rifugio in ogni necessità per coloro che vi cercavano rimedio, perché ciascuno ve lo trovava tanto nelle infermità quanto nelle altre tribolazioni e calamità, ma le colpe di Gerusalemme, fra i castighi che meritarono, dopo un certo tempo comportarono anche la privazione di un beneficio così stimabile.
755. Appena furono arrivati lì, stabilirono che qualcuno di loro stesse al sepolcro finché non fosse cessata la divina armonia, poiché attendevano la fine di questa meraviglia. Dunque, alcuni si occuparono di chi aveva abbracciato il Vangelo e altri si recarono nuovamente presso la tomba, che in quei tre giorni fu frequentata da tutti. I più assidui furono Pietro e Giovanni, i quali, benché talora se ne allontanassero, tornavano subito dove era il loro cuore. Non omisero di porgere l'estremo saluto alla Signora dell'universo neppure gli animali, giacché il cielo si riempì di uccelli piccoli e grandi e dalle montagne si precipitarono velocemente giù molte bestie e fiere: gli uni con mesti cinguettii, le altre con guaiti e muggiti e tutti con movimenti dolorosi, soffrendo la comune perdita, mostravano la loro angustia. Solo qualche giudeo incredulo, più duro delle pietre e più crudele delle belve, non manifestò tale sentimento, come non lo aveva manifestato per il proprio Redentore.
Insegnamento della Regina del cielo
756. Figlia mia, con la memoria della mia morte fisica e della sepoltura del mio corpo, esigo che sia fissata e confermata la tua morte e sepoltura al mondo, che deve essere il frutto primario dell'essere stata illuminata sulla mia storia e dell'averla narrata. Nel corso del racconto ti ho sovente palesato questo desiderio e ti ho avanzato questa richiesta, affinché non ti renda inutile il favore che hai ricevuto per benignità dell'Altissimo e mia. È brutta cosa che un membro della Chiesa, dopo essere morto al peccato e rinato in Cristo mediante il battesimo ed aver appreso che sua Maestà fu crocifisso per lui, ricada nell'errore; ma cosa ben peggiore è il fatto che ciò accada in coloro che per speciale grazia sono scelti ed eletti per essere suoi amici carissimi, come quanti a tale scopo si dedicano e consacrano al suo servizio negli ordini religiosi, secondo i differenti stati e le differenti condizioni.
757. In loro, vizi come la superbia, la presunzione, l'alterigia, la mancanza di mortificazione, l'ira, l'avidità, l'impurità della coscienza e altri ancora fanno inorridire l'Eterno e i beati, che sono costretti a distogliere lo sguardo da simili mostruosità, più sdegnati e offesi di quando le riscontrano in soggetti diversi. Pertanto, il mio Unigenito ripudia numerose anime che ingiustamente portano il nome di sue spose, abbandonandole al loro malvagio consiglio, perché hanno infranto slealmente il patto di fedeltà contratto con lui e con me nella loro vocazione e professione. Se tutti devono temere questa sventura per evitare di commettere un così terribile tradimento, rifletti su quanto saresti spregevole ai suoi occhi qualora te ne macchiassi. È ora che tu muoia completamente ad ogni realtà visibile, e che siano sepolti il tuo corpo nella conoscenza e nell'annientamento di te stessa e la tua anima nell'essere di Dio. La tua vita è finita per il secolo e tu sei ormai distaccata da esso, e io sono il giudice di questa causa. Non hai più nulla a che fare con quelli che abitano sulla terra, né costoro con te, e bisogna che lo scrivere e il morire siano in te una medesima cosa, come spesso ti ho raccomandato e tu hai ripetutamente promesso nelle mie mani con sincere lacrime.
758. Bramo che questa sia la prova del mio insegnamento e la testimonianza della sua efficacia, e non ammetterò che tu la discrediti in mio disonore, ma procurerò che tutte le creature intendano la forza del mio esempio e della mia dottrina verificata nei tuoi atti. Non ti gioverai dei tuoi ragionamenti, del tuo volere e ancor meno delle tue inclinazioni e passioni, poiché tutto questo in te ha già avuto termine; tua legge saranno la volontà dell'Onnipotente, la mia e quella dell'obbedienza, e, affinché attraverso tali mezzi tu non sia mai all'oscuro di ciò che è più santo e gradito al Signore, egli l'ha disposto di persona, tramite me, i suoi angeli e chi ti governa. Non allegare ignoranza, pusillanimità, fiacchezza e codardìa, misura il tuo debito, sii attenta alla luce incessante e opera con la grazia che ti è data, giacché con tanti benefici non vi è croce pesante per te né morte così amara che non sia tollerabile e amabile. In questa risiede ogni tuo bene e deve consistere il tuo diletto, perché, se non morirai interamente a tutto, i tuoi sentieri saranno disseminati di spine e non giungerai alla perfezione cui aneli né all'eccellenza cui sei chiamata.
759. Se il mondo non si dimentica di te, dimenticati tu di lui; se non ti lascia, rammenta che fosti tu a lasciarlo e io te ne allontanai; se ti viene dietro, fuggilo; se ti lusinga, aborriscilo; se ti disprezza, sopportalo; se ti cerca, non ti trovi che per glorificare in te il sommo sovrano. Per il resto, non ricordartene più di quanto i vivi sogliono ricordarsi dei morti e scordatene come i morti si scordano dei vivi, e non avere con nessuno più rapporto di quello che hanno fra loro i vivi e i morti. Non ti sembrerà eccessivo che ti abbia frequentemente ribadito questo ammonimento all'inizio, nel mezzo e alla fine della presente Storia, se pondererai l'importanza di metterlo in pratica. Considera le persecuzioni che nascostamente ti ha ordito il demonio avvalendosi della gente, sotto vari aspetti e con vari pretesti. Il Redentore ha permesso ciò per vagliarti e per donarti il suo soccorso; tu, da parte tua, mostra che ne sei consapevole e sai che è grande il tesoro e che lo custodisci in un vaso fragile, mentre l'inferno cospira e si solleva contro di te. Sei nella carne peritura, circondata e combattuta da astuti nemici. Sei sposa di Gesù e io sono tua Madre e maestra. Renditi dunque conto della tua miseria e debolezza, e corrispondi come figlia carissima e discepola docile e irreprensibile in tutto.
33-49 Ottobre 13, 1935 E’ tanto l’amore di Gesù, che sente il bisogno di sfogarsi con la creatura. Lui in mezzo tra il suo Padre Celeste e le creature, e resta il colpito per amore di esse.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Mi sentivo secondo il solito tutta abbandonata nelle braccia del mio dolce Gesù, il quale sentiva il bisogno di sfogare il suo Amore ardente; parlare del suo Amore è uno sfogo, far comprendere in quali pene, strettezze, inceppi lo mette il suo Amore è per Lui il più grande sollievo. Ed oh! com’è straziante sentirlo con voce soffocata nel pianto, affannato, a mezza voce: “Amatemi, amatemi, non voglio altro che amore, è il più grande dei miei dolori non essere amato. . . , e perché non sono amato? Perché non si fa la mia Volontà. Essa è portatrice del mio Amore e mi fa amare dalla creatura con Amore Divino, ed Io sentendo il mio Amore mi sento sbarazzato dalle intensità delle mie fiamme e sento il dolce ristoro, il riposo, il sollievo nel mio stesso Amore che mi dà la creatura”. Ora mentre ciò pensavo, il mio Sommo Bene Gesù visitando la piccola anima mia, si faceva vedere involto nelle sue fiamme, mi ha detto:
(2) “Figlia mia, se tu sapessi in quali strettezze mi mette il mio Amore. Ascoltami, il mio Padre Celeste era mio, l’amavo con tale intensità d’amore, che mi reputerei felice di mettere la Vita affinché nessuno me lo potesse offendere, ero una sol cosa con Lui, la mia stessa Vita, e non amarlo non potevo, né volevo, la nostra virtù divina formava un solo amore col mio Padre Celeste, quindi inseparabile. Le creature da parte della mia Umanità, erano mie, incorporate con Me, potrei dire, formavano la mia stessa Umanità; come fare a non amarle? Sarebbe come non amare la propria vita, ed oh! in quali condizioni, intrighi, inceppi mi metteva il mio Amore; senti: “Amavo mio Padre, vederlo offeso era il più grande dei miei martiri; amavo le creature, erano già mie, me le sentivo in Me, e queste non vi erano offese che non facevano, ingratitudini che non commettevano; il mio caro Padre Celeste giustamente voleva colpirle, disfarsi di loro, ed in mezzo tra l’uno e l’altro restavo colpito da Colui che tanto amavo, e subire le pene di coloro, dolermi per loro, e mentre col Padre restavo offeso anch’Io, le amavo fino alla follia, e mettevo la Vita per salvare ciascuna creatura, non potevo né volevo sottrarmi dal mio Padre Celeste, perché era mio e l’amavo, anzi era mio dovere, come suo vero Figlio, ridargli tutta la gloria, l’amore, la soddisfazione, che gli dovevano tutte le creature, e sebbene colpito da pene indescrivibili, Io stesso volevo farmi colpire, perché l’amavo, e amavo coloro per cui ero colpito. Ah! solo il mio Amore, perché divino, sa formare tali invenzioni amorose, tali inceppi che dà dell’incredibile, e forma l’eroismo del vero amore, tanto che si finisce col restare bruciato, consumato sul rogo dell’amore per chi amava e li teneva come essere incorporati in Sé, che formavano la sua stessa Vita. Ahi! in quali strettezze mi mette il mio Amore, mi riempie tanto, che sento il bisogno d’uno sfogo d’uscire da Me opere, pene, luce, grazie sorprendenti per dare sfogo al mio Amore, ed è tale e tanto, che sono sempre dentro e fuori di essa a servirla, e ora la servo di luce nel sole per poter continuare questo sfogo d’amore, ora la servo nell’aria per farla respirare, ora la servo nell’acqua per dissetarla, ora nelle piante per alimentarla, ora nel vento per carezzarla, nel fuoco per riscaldarla, non vi è cosa fatta da Me, tanto nella Creazione quanto nella Redenzione, cui il mio Amore non potendosi contenere dentro di Sé, usciva fuori per dare sfogo d’amore verso le creature. Ora, chi può dirti quanto soffro nel non vedermi amato, come il mio Amore resta torturato dall’ingratitudine umana. Io giungo fino a far mie le sue colpe per dolermi come se fossero mie, fino a farne la penitenza a lei dovuta, prendo sulle mie spalle tutti i suoi mali, per ricambiarli in bene, la faccio mia, tutta mia, fino a darle il posto nella mia Umanità come un membro a Me più caro, vado inventando sempre nuovi ritrovati d’amore, per farle sentire come l’amo, e non vedendomi amato, qual pena, qual dolore. Perciò figlia mia, amami! Amami! Quando mi sento amato il mio Amore trova il suo riposo e le sue torture amorose, cambiate in dolci ristori”.