Liturgia delle Ore - Letture
Venerdi della 3° settimana del Tempo di Pasqua
Vangelo secondo Luca 18
1Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi:2"C'era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno.3In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario.4Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno,5poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi".6E il Signore soggiunse: "Avete udito ciò che dice il giudice disonesto.7E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare?8Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?".
9Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri:10"Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano.11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano.12Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo.13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore.14Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato".
15Gli presentavano anche i bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano.16Allora Gesù li fece venire avanti e disse: "Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio.17In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà".
18Un notabile lo interrogò: "Maestro buono, che devo fare per ottenere la vita eterna?".19Gesù gli rispose: "Perché mi dici buono? Nessuno è buono, se non uno solo, Dio.20Tu conosci i comandamenti: 'Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre'".21Costui disse: "Tutto questo l'ho osservato fin dalla mia giovinezza".22Udito ciò, Gesù gli disse: "Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi".23Ma quegli, udite queste parole, divenne assai triste, perché era molto ricco.
24Quando Gesù lo vide, disse: "Quant'è difficile, per coloro che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio.25È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio!".26Quelli che ascoltavano dissero: "Allora chi potrà essere salvato?".27Rispose: "Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio".
28Pietro allora disse: "Noi abbiamo lasciato tutte le nostre cose e ti abbiamo seguito".29Ed egli rispose: "In verità vi dico, non c'è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio,30che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà".
31Poi prese con sé i Dodici e disse loro: "Ecco, noi andiamo a Gerusalemme, e tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell'uomo si compirà.32Sarà consegnato ai pagani, schernito, oltraggiato, coperto di sputi33e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà".34Ma non compresero nulla di tutto questo; quel parlare restava oscuro per loro e non capivano ciò che egli aveva detto.
35Mentre si avvicinava a Gèrico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada.36Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse.37Gli risposero: "Passa Gesù il Nazareno!".38Allora incominciò a gridare: "Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!".39Quelli che camminavano avanti lo sgridavano, perché tacesse; ma lui continuava ancora più forte: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!".40Gesù allora si fermò e ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, gli domandò:41"Che vuoi che io faccia per te?". Egli rispose: "Signore, che io riabbia la vista".42E Gesù gli disse: "Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato".43Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio.
Giosuè 8
1Il Signore disse a Giosuè: "Non temere e non abbatterti. Prendi con te tutti i guerrieri. Su, va' contro Ai. Vedi, io ti metto in mano il re di Ai, il suo popolo, la sua città e il suo territorio.2Farai ad Ai e al suo re come hai fatto a Gèrico e al suo re; tuttavia prenderete per voi il suo bottino e il suo bestiame. Tendi un agguato contro Ai, dietro ad essa".
3Giosuè dunque e tutti quelli del popolo atti alla guerra si accinsero ad assalire Ai; Giosuè scelse trentamila uomini, guerrieri valenti, li inviò di notte4e comandò loro: "State attenti: voi tenderete un agguato contro la città, dietro ad essa. Non allontanatevi troppo dalla città e state tutti pronti.5Io, con tutta la gente, mi avvicinerò alla città. Ora, quando essi usciranno contro di noi come l'altra volta, noi fuggiremo davanti a loro.6Essi usciranno ad inseguirci finché noi li avremo tirati lontani dalla città, perché diranno: Fuggono davanti a noi come l'altra volta! Mentre noi fuggiremo davanti a loro,7voi balzerete dall'agguato e occuperete la città e il Signore vostro Dio la metterà in vostro potere.8Come l'avrete in potere, appiccherete il fuoco alla città: farete secondo il comando del Signore. Fate attenzione! Questo è il mio comando".9Giosuè allora li inviò ed essi andarono al luogo dell'agguato e si posero fra Betel e Ai, ad occidente di Ai; Giosuè passò quella notte in mezzo al popolo.10Si alzò di buon mattino, passò in rassegna il popolo e andò con gli anziani di Israele alla testa del popolo verso Ai.11Tutti quelli del popolo atti alla guerra, che erano con lui, salendo avanzarono e arrivarono di fronte alla città e si accamparono a nord di Ai. Tra Giosuè e Ai c'era di mezzo la valle.12Prese circa cinquemila uomini e li pose in agguato tra Betel e Ai, ad occidente della città.13Il popolo pose l'accampamento a nord di Ai mentre l'agguato era ad occidente della città; Giosuè andò quella notte in mezzo alla valle.
14Non appena il re di Ai si accorse di ciò, gli uomini della città si alzarono in fretta e uscirono per il combattimento incontro ad Israele, il re con tutto il popolo, verso il pendio di fronte all'Araba. Egli non s'accorse che era teso un agguato contro di lui dietro la città.15Giosuè e tutto Israele si diedero per vinti dinanzi a loro e fuggirono per la via del deserto.16Tutta la gente che era dentro la città corse ad inseguirli; inseguirono Giosuè e furono attirati lontano dalla città.17Non ci rimase in Ai nessuno che non inseguisse Israele e così lasciarono aperta la città per inseguire Israele.
18Disse allora il Signore a Giosuè: "Tendi verso la città il giavellotto che tieni in mano, perché io te la metto nelle mani". Giosuè tese il giavellotto, che teneva in mano, verso la città.19Come ebbe stesa la mano, quelli che erano in agguato balzarono subito dal loro nascondiglio, entrarono di corsa nella città, la occuparono e s'affrettarono ad appiccarvi il fuoco.20Gli uomini di Ai si voltarono indietro ed ecco videro che il fumo della città si alzava verso il cielo. Allora non ci fu più possibilità per loro di fuggire in alcuna direzione, mentre il popolo che fuggiva verso il deserto si rivolgeva contro quelli che lo inseguivano.21Infatti Giosuè e tutto Israele s'erano accorti che il gruppo in agguato aveva occupata la città e che il fumo della città si era levato; si voltarono dunque indietro e colpirono gli uomini di Ai.22Anche gli altri uscirono dalla città contro di loro, e così i combattenti di Ai si trovarono in mezzo agli Israeliti, avendoli da una parte e dall'altra. Li colpirono finché non rimase nessun superstite e fuggiasco.23Il re di Ai lo presero vivo e lo condussero da Giosuè.24Quando Israele ebbe finito di uccidere tutti i combattenti di Ai nella campagna, nel deserto, dove quelli li avevano inseguiti, e tutti fino all'ultimo furono caduti sotto i colpi della spada, gli Israeliti si riversarono in massa in Ai e la colpirono a fil di spada.25Tutti i caduti in quel giorno, uomini e donne, furono dodicimila, tutti di Ai.26Giosuè non ritirò la mano, che brandiva il giavellotto, finché non ebbero votato allo sterminio tutti gli abitanti di Ai.27Gli Israeliti, secondo l'ordine che il Signore aveva dato a Giosuè, trattennero per sé soltanto il bestiame e il bottino della città.28Poi Giosuè incendiò Ai e ne fece una rovina per sempre, una desolazione fino ad oggi.29Fece appendere il re di Ai ad un albero fino alla sera. Al calar del sole Giosuè comandò che il suo cadavere fosse calato dall'albero; lo gettarono all'ingresso della porta della città e vi eressero sopra un gran mucchio di pietre, che dura fino ad oggi.
30In quell'occasione Giosuè costruì un altare al Signore, Dio di Israele, sul monte Ebal,31secondo quanto aveva ordinato Mosè, servo del Signore, agli Israeliti, come è scritto nel libro della legge di Mosè, un altare di pietre intatte, non toccate dal ferro; vi si sacrificarono sopra olocausti e si offrirono sacrifici di comunione.
32In quel luogo scrisse sulle pietre una copia della legge di Mosè, che questi aveva scritto per gli Israeliti.33Tutto Israele, i suoi anziani, i suoi scribi, tutti i suoi giudici, forestieri e cittadini stavano in piedi da una parte e dall'altra dell'arca, di fronte ai sacerdoti leviti, che portavano l'arca dell'alleanza del Signore, una metà verso il monte Garizim e l'altra metà verso il monte Ebal, come aveva prima prescritto Mosè, servo del Signore, per benedire il popolo di Israele.34Giosuè lesse tutte le parole della legge, la benedizione e la maledizione, secondo quanto è scritto nel libro della legge.35Non ci fu parola, di quante Mosè aveva comandate, che Giosuè non leggesse davanti a tutta l'assemblea di Israele, comprese le donne, i fanciulli e i forestieri che soggiornavano in mezzo a loro.
Proverbi 28
1L'empio fugge anche se nessuno lo insegue,
mentre il giusto è sicuro come un giovane leone.
2Per i delitti di un paese molti sono i suoi tiranni,
ma con un uomo intelligente e saggio l'ordine si mantiene.
3Un uomo empio che opprime i miseri
è una pioggia torrenziale che non porta pane.
4Quelli che violano la legge lodano l'empio,
ma quanti osservano la legge gli muovono guerra.
5I malvagi non comprendono la giustizia,
ma quelli che cercano il Signore comprendono tutto.
6Meglio un povero dalla condotta integra
che uno dai costumi perversi, anche se ricco.
7Chi osserva la legge è un figlio intelligente,
chi frequenta i crapuloni disonora suo padre.
8Chi accresce il patrimonio con l'usura e l'interesse,
lo accumula per chi ha pietà dei miseri.
9Chi volge altrove l'orecchio per non ascoltare la legge,
anche la sua preghiera è in abominio.
10Chi fa traviare gli uomini retti per una cattiva strada,
cadrà egli stesso nella fossa,
mentre gli integri possederanno fortune.
11Il ricco si crede saggio,
ma il povero intelligente lo scruta bene.
12Grande è la gioia quando trionfano i giusti,
ma se prevalgono gli empi ognuno si nasconde.
13Chi nasconde le proprie colpe non avrà successo;
chi le confessa e cessa di farle troverà indulgenza.
14Beato l'uomo che teme sempre,
chi indurisce il cuore cadrà nel male.
15Leone ruggente e orso affamato,
tale è il malvagio che domina su un popolo povero.
16Un principe privo di senno moltiplica le vessazioni,
ma chi odia la rapina prolungherà i suoi giorni.
17Un uomo perseguitato per omicidio
fuggirà fino alla tomba: nessuno lo soccorre.
18Chi procede con rettitudine sarà salvato,
chi va per vie tortuose cadrà ad un tratto.
19Chi lavora la sua terra si sazierà di pane,
chi insegue chimere si sazierà di miseria.
20L'uomo leale sarà colmo di benedizioni,
chi si arricchisce in fretta non sarà esente da colpa.
21Non è bene essere parziali,
per un pezzo di pane si pecca.
22L'uomo dall'occhio cupido è impaziente di arricchire
e non pensa che gli piomberà addosso la miseria.
23Chi corregge un altro troverà in fine più favore
di chi ha una lingua adulatrice.
24Chi deruba il padre o la madre e dice: "Non è peccato",
è compagno dell'assassino.
25L'uomo avido suscita litigi,
ma chi confida nel Signore avrà successo.
26Chi confida nel suo senno è uno stolto,
chi si comporta con saggezza sarà salvato.
27Per chi dà al povero non c'è indigenza,
ma chi chiude gli occhi avrà grandi maledizioni.
28Se prevalgono gli empi, tutti si nascondono,
se essi periscono, sono potenti i giusti.
Salmi 124
1'Canto delle ascensioni. Di Davide.'
Se il Signore non fosse stato con noi,
- lo dica Israele -
2se il Signore non fosse stato con noi,
quando uomini ci assalirono,
3ci avrebbero inghiottiti vivi,
nel furore della loro ira.
4Le acque ci avrebbero travolti;
un torrente ci avrebbe sommersi,
5ci avrebbero travolti
acque impetuose.
6Sia benedetto il Signore,
che non ci ha lasciati,
in preda ai loro denti.
7Noi siamo stati liberati come un uccello
dal laccio dei cacciatori:
il laccio si è spezzato
e noi siamo scampati.
8Il nostro aiuto è nel nome del Signore
che ha fatto cielo e terra.
Ezechiele 23
1Mi fu rivolta questa parola del Signore:2"Figlio dell'uomo, vi erano due donne, figlie della stessa madre,3le quali si erano prostituite in Egitto fin dalla loro giovinezza, dove venne profanato il loro petto e oppresso il loro seno verginale.4Esse si chiamano Oolà la maggiore e Oolibà la più piccola, sua sorella. L'una e l'altra divennero mie e partorirono figli e figlie. Oolà è Samaria e Oolibà è Gerusalemme.5Oolà mentre era mia si dimostrò infedele: arse d'amore per i suoi spasimanti, gli Assiri suoi vicini,6vestiti di porpora, prìncipi e governatori, tutti giovani attraenti, cavalieri montati su cavalli.7Concesse loro i suoi favori, al fiore degli Assiri, e si contaminò con gli idoli di coloro dei quali si era innamorata.8Non rinunciò alle sue relazioni amorose con gli Egiziani, i quali avevano abusato di lei nella sua giovinezza, avevano profanato il suo seno verginale, sfogando su di lei la loro libidine.9Per questo l'ho data in mano ai suoi amanti, in mano agli Assiri, dei quali si era innamorata.10Essi scoprirono la sua nudità, presero i suoi figli e le sue figlie e la uccisero di spada. Divenne così come un monito fra le donne, per la condanna esemplare che essi avevano eseguita su di lei.
11Sua sorella Oolibà la vide e si corruppe più di lei nei suoi amoreggiamenti; con le sue infedeltà superò la sorella.12Spasimò per gli Assiri suoi vicini, prìncipi e capi, vestiti di porpora, cavalieri montati su cavalli, tutti giovani attraenti.13Io vidi che si era contaminata e che tutt'e due seguivano la stessa via.14Ma essa moltiplicò le prostituzioni. Vide uomini effigiati su una parete, figure di Caldei, disegnati con il minio,15con cinture ai fianchi, ampi turbanti in capo, dall'aspetto di grandi capi, rappresentanti i figli di Babilonia, originari di Caldea:16essa se ne innamorò non appena li vide e inviò loro messaggeri in Caldea.17I figli di Babilonia andarono da lei al letto degli amori e la contaminarono con le loro fornicazioni ed essa si contaminò con loro finché ne fu nauseata.18Poiché aveva messo in pubblico le sue tresche e scoperto la sua nudità, anch'io mi allontanai da lei come mi ero allontanato dalla sorella.19Ma essa continuò a moltiplicare prostituzioni, ricordando il tempo della sua gioventù, quando si prostituiva in Egitto.20Arse di libidine per quegli amanti lussuriosi come asini, libidinosi come stalloni,21e così rinnovò l'infamia della sua giovinezza, quando in Egitto veniva profanato il suo petto, oppresso il suo seno verginale.22Per questo, Oolibà, così dice il Signore Dio: Ecco, io suscito contro di te gli amanti di cui mi sono disgustato e li condurrò contro di te da ogni parte,23i figli di Babilonia e di tutti i Caldei, quelli di Pekòd, di Soa e di Koa e con loro tutti gli Assiri, tutti i giovani attraenti, prìncipi e capi, tutti capitani e cavalieri famosi;24verranno contro di te dal settentrione con cocchi e carri e con una moltitudine di popolo e si schiereranno contro di te da ogni parte con scudi grandi e piccoli ed elmi. A loro ho rimesso il giudizio e ti giudicheranno secondo le loro leggi.25Scatenerò la mia gelosia contro di te e ti tratteranno con furore: ti taglieranno il naso e gli orecchi e i superstiti cadranno di spada; deporteranno i tuoi figli e le tue figlie e ciò che rimarrà di te sarà preda del fuoco.26Ti spoglieranno delle tue vesti e s'impadroniranno dei tuoi gioielli.27Metterò fine alle tue scelleratezze e alle tue prostituzioni commesse in Egitto: non alzerai più gli occhi verso di loro, non ricorderai più l'Egitto.
28Perché così dice il Signore Dio: Ecco, io ti consegno in mano a coloro che tu odii, in mano a coloro di cui sei nauseata.29Ti tratteranno con odio e si impadroniranno di tutti i tuoi beni, lasciandoti nuda e scoperta; sarà svelata la turpitudine delle tue scelleratezze, la tua libidine e la tua disonestà.30Così sarai trattata perché tu mi hai tradito con le genti, perché ti sei contaminata con i loro idoli.31Hai seguito la via di tua sorella, la sua coppa porrò nelle tue mani".
32Dice il Signore Dio:
"Berrai la coppa di tua sorella,
profonda e larga,
sarai oggetto di derisione e di scherno;
la coppa sarà di grande capacità.
33Tu sarai colma d'ubriachezza e d'affanno,
coppa di desolazione e di sterminio
era la coppa di tua sorella Samaria.
34Anche tu la berrai, la vuoterai, ne succhierai i cocci,
ti lacererai il seno,
poiché io ho parlato". Parola del Signore.
35Perciò dice il Signore Dio: "Poiché tu mi hai dimenticato e mi hai voltato le spalle, sconterai dunque la tua disonestà e le tue dissolutezze!".
36Il Signore mi disse: "Figlio dell'uomo, non giudicherai tu Oolà e Oolibà? Non mostrerai ad esse i loro abomini?37Sono state adultere e le loro mani sono lorde di sangue, hanno commesso adulterio con i loro idoli; perfino i figli che mi avevano partorito, li hanno fatti passare per il fuoco in loro pasto.38Ancor questo mi hanno fatto: in quello stesso giorno hanno contaminato il mio santuario e profanato i miei sabati;39dopo avere immolato i loro figli ai loro idoli, sono venute in quel medesimo giorno al mio santuario per profanarlo: ecco quello che hanno fatto dentro la mia casa!
40Si rivolsero anche a uomini di paesi lontani, invitandoli per mezzo di messaggeri, ed essi giunsero. Per loro ti sei lavata, ti sei dipinta gli occhi, ti sei adornata dei tuoi vestiti preziosi,41ti sei stesa su un magnifico divano davanti ad una tavola imbandita, su cui hai posto il mio olio, i miei profumi.42Si udiva lo strepito di una moltitudine festante di uomini venuti dal deserto, i quali avevano messo braccialetti ai polsi e una corona di gloria sul loro capo.43Io pensavo di costei, abituata agli adultéri: Ora costoro si faranno complici delle sue prostituzioni.44Infatti entrarono da lei, come si entra da una prostituta: così entrarono da Oolà e da Oolibà, donne di malaffare.45Ma uomini retti le giudicheranno come si giudicano le adultere e le assassine. Le loro mani sono lorde di sangue".
46Dice infatti il Signore Dio: "Si farà venire contro di loro una folla ed esse saranno abbandonate alle malversazioni e al saccheggio.47La folla le lapiderà e le farà a pezzi con le spade; ne ucciderà i figli e le figlie e darà alle fiamme le case.48Eliminerò così un'infamia dalla terra e tutte le donne impareranno a non commettere infamie simili.49Faranno ricadere la vostra infamia su di voi e sconterete i vostri peccati di idolatria: saprete così che io sono il Signore Dio".
Atti degli Apostoli 7
1Gli disse allora il sommo sacerdote: "Queste cose stanno proprio così?".2Ed egli rispose: "Fratelli e padri, ascoltate: il 'Dio della gloria' apparve al nostro padre Abramo quando era ancora in Mesopotamia, prima che egli si stabilisse in Carran,3'e gli disse: Esci dalla tua terra e dalla tua gente e va' nella terra che io ti indicherò'.4Allora, uscito dalla terra dei Caldei, si stabilì in Carran; di là, dopo la morte del padre, Dio lo fece emigrare in questo paese dove voi ora abitate,5ma non gli diede alcuna proprietà in esso, 'neppure quanto l'orma di un piede', ma gli promise 'di darlo in possesso a lui e alla sua discendenza dopo di lui', sebbene non avesse ancora figli.6Poi Dio parlò così: 'La discendenza di Abramo sarà pellegrina in terra straniera, tenuta in schiavitù e oppressione per quattrocento anni'.7'Ma del popolo di cui saranno schiavi io farò giustizia', disse Dio: 'dopo potranno uscire e mi adoreranno' in questo luogo.8E gli diede l'alleanza della circoncisione. E così Abramo generò Isacco e 'lo circoncise l'ottavo giorno' e Isacco generò Giacobbe e Giacobbe i dodici patriarchi.9Ma i patriarchi, 'gelosi di Giuseppe, lo vendettero' schiavo 'in Egitto. Dio però era con lui'10e lo liberò da tutte le sue afflizioni e 'gli diede grazia' e saggezza 'davanti al faraone re d'Egitto, il quale lo nominò amministratore dell'Egitto e di tutta la sua casa'.11'Venne una carestia su tutto l'Egitto' e 'in Canaan' e una grande miseria, e i nostri padri non trovavano da mangiare.12'Avendo udito Giacobbe che in Egitto c'era del grano', vi inviò i nostri padri una prima volta;13la seconda volta Giuseppe 'si fece riconoscere dai suoi fratelli' e fu nota al faraone la sua origine.14Giuseppe allora mandò a chiamare Giacobbe suo padre e tutta la sua parentela, 'settantacinque persone in tutto'.15E Giacobbe 'si recò in Egitto, e qui egli morì' come anche i nostri padri;16'essi furono poi trasportati in Sichem' e posti 'nel sepolcro che Abramo aveva acquistato' e pagato in denaro 'dai figli di Emor, a Sichem'.
17Mentre si avvicinava il tempo della promessa fatta da Dio ad Abramo, il popolo 'crebbe e si moltiplicò' in Egitto,18finché 'salì al trono d'Egitto un altro re, che non conosceva Giuseppe'.19Questi, 'adoperando l'astuzia contro la nostra gente, perseguitò' i nostri padri fino a costringerli a esporre i loro figli, perché non 'sopravvivessero'.20In quel tempo nacque Mosè e piacque a Dio; 'egli fu allevato per tre mesi' nella casa paterna, poi,21essendo stato esposto, 'lo raccolse la figlia del faraone' e lo allevò 'come figlio'.22Così Mosè venne istruito in tutta la sapienza degli Egiziani ed era potente nelle parole e nelle opere.23Quando stava per compiere i quarant'anni, gli venne l'idea di far visita ai 'suoi fratelli, i figli di Israele',24e vedendone uno trattato ingiustamente, ne prese le difese e vendicò l'oppresso, 'uccidendo l'Egiziano'.25Egli pensava che i suoi connazionali avrebbero capito che Dio dava loro salvezza per mezzo suo, ma essi non compresero.26Il giorno dopo si presentò in mezzo a loro mentre stavano litigando e si adoperò per metterli d'accordo, dicendo: Siete fratelli; perché vi insultate l'un l'altro?27Ma 'quello che maltrattava il vicino' lo respinse, dicendo: 'Chi ti ha nominato capo e giudice sopra di noi'?28'Vuoi forse uccidermi, come hai ucciso ieri l'Egiziano'?29'Fuggì via Mosè a queste parole, e andò ad abitare nella terra di Madian', dove ebbe due figli.
30Passati quarant'anni, 'gli apparve nel deserto del monte' Sinai 'un angelo, in mezzo alla fiamma di un roveto ardente'.31Mosè rimase stupito di questa visione; e mentre si avvicinava per veder meglio, si udì la voce del Signore:32'Io sono il Dio dei tuoi padri, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe'. Esterrefatto, Mosè non osava guardare.33'Allora il Signore gli disse: Togliti dai piedi i calzari, perché il luogo in cui stai è terra santa'.34'Ho visto l'afflizione del mio popolo in Egitto, ho udito il loro gemito e sono sceso a liberarli; ed ora vieni, che ti mando in Egitto'.35Questo Mosè che avevano rinnegato dicendo: 'Chi ti ha nominato capo e giudice'?, proprio lui Dio aveva mandato per esser capo e liberatore, parlando per mezzo dell'angelo che gli era apparso nel roveto.36Egli li fece uscire, compiendo 'miracoli e prodigi nella terra d'Egitto', nel Mare Rosso, e 'nel deserto per quarant'anni'.37Egli è quel Mosè che disse ai figli d'Israele: 'Dio vi farà sorgere un profeta tra i vostri fratelli, al pari di me'.38Egli è colui che, mentre erano radunati nel deserto, fu mediatore tra l'angelo che gli parlava sul monte Sinai e i nostri padri; egli ricevette parole di vita da trasmettere a noi.39Ma i nostri padri non vollero dargli ascolto, lo respinsero e 'si volsero' in cuor loro 'verso l'Egitto',40dicendo ad Aronne: 'Fa' per noi una divinità che ci vada innanzi, perché a questo Mosè che ci condusse fuori dall'Egitto non sappiamo che cosa sia accaduto'.41E in quei giorni 'fabbricarono un vitello e offrirono sacrifici' all'idolo e si rallegrarono per l'opera delle loro mani.42Ma Dio si ritrasse da loro e li abbandonò al culto dell''esercito del cielo', come è scritto nel libro dei Profeti:
43'Mi avete forse offerto vittime e sacrifici
per quarant'anni nel deserto, o casa d'Israele?
Avete preso con voi la tenda di Mòloch,
e la stella del dio Refàn,
simulacri che vi siete fabbricati' per adorarli!
'Perciò vi deporterò al di là' di Babilonia.
44I nostri padri avevano nel deserto 'la tenda della testimonianza', come aveva ordinato colui che 'disse a Mosè di costruirla secondo il modello che aveva visto'.45E dopo averla ricevuta, i nostri padri con Giosuè se la portarono con sé nella 'conquista dei popoli' che Dio scacciò davanti a loro, fino ai tempi di Davide.46Questi trovò grazia innanzi a Dio e domandò 'di poter trovare una dimora per il Dio di Giacobbe';47'Salomone' poi 'gli edificò una casa'.48Ma l'Altissimo non abita in costruzioni fatte da mano d'uomo, come dice il Profeta:
49'Il cielo è il mio trono
e la terra sgabello per i miei piedi.
Quale casa potrete edificarmi, dice il Signore,
o quale sarà il luogo del mio riposo?'
50'Non forse la mia mano ha creato tutte queste cose?'
51'O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie', voi sempre 'opponete resistenza allo Spirito Santo'; come i vostri padri, così anche voi.52Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori;53voi che avete ricevuto la legge per mano degli angeli e non l'avete osservata".
54All'udire queste cose, fremevano in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui.
55Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra56e disse: "Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio".57Proruppero allora in grida altissime turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui,58lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo.59E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva: "Signore Gesù, accogli il mio spirito".60Poi piegò le ginocchia e gridò forte: "Signore, non imputar loro questo peccato". Detto questo, morì.
Capitolo XV: Le opere fatte per amore
Leggilo nella Biblioteca1. Non si deve fare alcun male, per nessuna cosa al mondo né per compiacenza verso chicchessia; talora, invece, per giovare a uno che ne ha bisogno, si deve senza esitazione lasciare una cosa buona che si sta facendo, o sostituirla con una ancora più buona: in tal modo non si distrugge l'opera buona, ma soltanto la si trasforma in meglio.
2. A nulla giova un'azione esterna compiuta senza amore; invece, qualunque cosa, per quanto piccola e disprezzata essa sia, se fatta con amore, diventa tutta piena di frutti. In verità Iddio non tiene conto dell'azione umana in sé e per sé, ma dei moventi di ciascuno. Opera grandemente colui che agisce con rettitudine; opera lodevolmente colui che si pone al servizio della comunità, più che del suo capriccio. Accade spesso che ci sembri amore ciò che è piuttosto attaccamento carnale; giacché è raro che, sotto le nostre azioni, non ci siano l'inclinazione naturale, il nostro gusto, la speranza di una ricompensa, il desiderio del nostro comodo. Chi ha un amore vero e perfetto non cerca se stesso, in alcuna sua azione, ma desidera solamente che in ogni cosa si realizzi la gloria di Dio. Di nessuno è invidioso colui che non tende al proprio godimento, né vuole personali soddisfazioni, desiderando, al di là di ogni bene, di avere beatitudine in Dio. Costui non attribuisce alcunché di buono a nessuno, ma riporta il bene totalmente a Dio; dal quale ogni cosa procede, come dalla sua fonte e, nel quale, alla fine, tutti i santi godono pace. Oh, chi avesse anche una sola scintilla di vera carità, per certo capirebbe che tutto ciò che è di questa terra è pieno di vanità.
LETTERA 20* [290] AGOSTINO SALUTA NEL SIGNORE FABIOLA, SIGNORA ASSAI RELIGIOSA, FIGLIA ASSAI VENERABILE ED ECCELLENTISSIMA
Lettere - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaAg. prega Fabiola d'ascoltarlo con pazienza.
1. Mi sono rallegrato di aver ricevuto per tramite del fratello mio [***] la risposta della Santità tua; potessi io contraccambiarti le parole di saluto senza trovarmi nella tristezza. Adesso invece per la prima volta proprio io, tormentato dal dolore, sono diventato importuno e molesto alla tua santa tranquillità, ma sopportami con pazienza: possa tu perseverare sino alla fine con profitto nella grazia di Cristo 1. So infatti che le mie lettere non ti arrecano mai molestia ma piuttosto gioia. Scusa questa lettera, poiché contiene molti motivi di dolore per te ma per la vicendevole carità in Cristo cerca di condividere con me i miei dolori e alle mie unisci le tue preghiere a Dio, nostro Signore, affinché ci consoli.
Chi è Ag. per Antonino e questi per Ag.
2. Sono venuto a sapere con quanta bontà e spirito di fede hai accolto Antonino, figlio e collega mio nell'episcopato, e con quanta cristiana benevolenza hai alleviato la sua mancanza di risorse dandogli ospitalità. Sta' dunque a sentire chi sono io per Antonino e chi è Antonino per me; che cosa io devo a lui e che cosa io chiedo a te. Egli venne ad Ippona da piccolo con la madre e il patrigno; erano tanto poveri che non avevano il necessario per il sostentamento quotidiano; in fine, avendo essi fatto ricorso all'aiuto della Chiesa e avendo io saputo che il padre di Antonino era ancora vivo e che sua madre s'era separata da lui e si era unita con un altro uomo, convinsi ambedue a vivere in continenza, e così il patrigno con il suo ragazzo [fu accolto] nel monastero, la madre nell'ospizio dei poveri sostentati dalla Chiesa, e perciò grazie alla misericordia di Dio cominciarono a vivere tutti e tre a nostre spese. In seguito, con il passare del tempo - per non farla troppo lunga - quello morì, essa invecchiò, il bambino crebbe; tra i suoi compagni esercitava l'ufficio di lettore e già aveva cominciato a mostrare tali qualità che il nostro fratello Urbano - il quale era allora presso di noi sacerdote e superiore del monastero, ora invece è vescovo della Chiesa di Sicca - volle, durante la mia assenza, farlo ordinare prete in una grande tenuta sita nella nostra diocesi, poiché alla mia partenza gli avevo ingiunto di scegliere qualcuno [dei monaci] che, senza aspettare il mio ritorno, fosse ordinato in quella località dal vescovo vicino. La cosa - è vero - non poté effettuarsi per il rifiuto opposto da quel vescovo, ma tuttavia, essendo in seguito venuto a sapere il fatto, presi a considerare Antonino come indispensabile per quell'incarico, non per il fatto che io lo conoscessi quanto sarebbe stato necessario, ma sulla testimonianza del suo superiore.
Quale difficile frangente spinse Ag. a far ordinare vescovo Antonino...
3. Nel frattempo, non bastavo da solo a governare la diocesi assai vasta, come l'esigeva il bisogno, in quanto s'erano venute ad aggiungere non solo molte persone in città, ma anche molte comunità nelle campagne, provenienti dalla sètta di Donato; perciò, dopo aver discusso a fondo il progetto con i fratelli, mi parve opportuno che in una borgata, chiamata Fussala, dipendente dalla sede episcopale d'Ippona, fosse ordinato un vescovo al quale appartenesse la cura di quella regione. Mandai a prendere il primate; egli si degnò di venire; all'ora fissata il prete che credevo di avere pronto per il mio scopo ci lasciò in asso. Che cosa avrei dovuto fare allora per agire bene, se non rinviare un atto così importante? Ma io temevo che, se il santo primate, il quale a stento era venuto da noi da lontano, fosse partito da noi e fosse tornato a casa sua senza aver compiuta quella funzione, tutti coloro per i quali era stato indispensabile fosse compiuta quella ordinazione, si sarebbero scoraggiati e ci sarebbero stati di quelli che i nemici della Chiesa avrebbero potuto ingannare prendendosi gioco della nostra iniziativa andata a vuoto; per questo motivo ritenni utile presentare quel [nostro monaco], che si trovava lì, per farlo ordinare, dal momento che avevo sentito dire che conosceva anche la lingua punica. In realtà non furono i fedeli a chiederlo di loro spontanea volontà, ma non osarono rifiutarlo sembrando loro ch'egli fosse uno dei miei e di mio gradimento.
...che si gonfiò d'arroganza del potere per la carica inaspettata...
4. Sottoposi dunque a una carica sì importante un giovane che aveva non più di vent'anni senza che fosse stato prima sottoposto alla prova in alcun grado del clericato, e del quale io non conoscevo il carattere che avrei dovuto conoscere in precedenza. Ebbene, tu vedi quale fu il mio enorme peccato: considera che cosa ne seguì. L'animo del giovane, salito d'un tratto alla carica di vescovo senza alcun merito di fatiche precedenti, fu assalito dallo spavento; in seguito però, vedendo che gli erano soggetti chierici e fedeli - come poi lo mostrò la realtà - si gonfiò dell'arroganza del dispotismo e, non insegnando nulla con la parola, ma costringendo a far tutto autoritariamente, si compiaceva di farsi temere quando vedeva che non riusciva a farsi amare.
...e associò alla sua arrogante prepotenza due cattivi monaci...
5. Per sostenere quella parte andò in cerca d'individui simili a lui. C'era nel nostro monastero un tale che aveva fatto lo stenografo della mia segreteria il quale, con mio grande dolore, era diventato un poco di buono; per essere stato trovato a parlare da solo con alcune religiose in un'ora inopportuna era stato sottoposto alla fustigazione dal superiore e aveva quindi perso la reputazione. Costui, abbandonato il monastero, si recò presso il vescovo, di cui parliamo, e da lui fu subito ordinato prete senza chiedermi consiglio e a mia insaputa. Io infatti venni a sapere che ciò era successo prima che avessi potuto crederlo possibile, sebbene un tale, al quale avrei dovuto credere, me ne avesse parlato. Vorrei che tu mi credessi, non riuscendo a spiegartelo, quanta tristezza invase allora, in verità, il mio cuore per la paura di vedere un giorno la rovina di quella Chiesa che sarebbe avvenuta per colpa di lui. Presentatasi tuttavia un'occasione - quando proprio il medesimo vescovo mi espose le sue lamentele assai gravi sul conto di quel prete di tal fatta - procurai che fosse scomunicato e fosse restituito alla sua patria dalla quale m'era stato dato. Così era avvenuto, ma non so come, senza chiedere il mio consiglio, lo restituì alla propria comunione e amicizia. Egli fece anche diacono un altro [monaco] datogli per verità dal nostro monastero con un regolare ordine ma non si dimostrò turbolento se non quando fu diacono.
...per mezzo dei quali, del difensore della Chiesa e di un ex soldato prese a rapire e saccheggiare.
6. Quali sventure furono costrette a subire quella borgata e quelle circostanti a causa di questi due chierici, il prete e il diacono, per causa del difensore della Chiesa e per colpa anche di un altro individuo ex soldato o disertore, al quale più abitualmente impartiva ordini, e a causa, inoltre, degli uomini di quella medesima borgata ch'egli aveva costituiti sentinelle in corpi di guardie notturne e dei quali si serviva quando aveva bisogno d'una masnada un po' più numerosa, può conoscerle in ogni modo chiunque avrà la pazienza di leggere i processi verbali redatti in seguito a numerose querele sporte nelle denunce scritte davanti ai vescovi nella Chiesa d'Ippona, ove occupavo un posto anch'io. In essi troverà lamenti degni di compassione di poveri uomini e di povere donne e, cosa più grave, di vedove che né il loro nome, che la Sacra Scrittura ci raccomanda specialmente di difendere 2, né la loro età avanzata poté proteggere in qualche misura dalle rapine, razzie e vessazioni criminali perpetrate da quegli individui. Chiunque cadeva per caso nelle loro mani perdeva il denaro, la suppellettile, i vestiti, il bestiame minuto, i raccolti, infine legname e pietre da costruzione; le case di alcuni venivano occupate, quelle di altri venivano anche demolite per portarne via i materiali che esigeva la costruzione di nuovi edifici. Certi oggetti venivano comprati ma senza pagarli; dei campi di alcuni quelli s'impadronivano con la forza e venivano restituiti solo dopo averne portato via i raccolti per parecchi anni; alcuni di quei campi sono stati posseduti e occupati fino al giudizio episcopale.
Di quei misfatti assai pochi furono discolpati, molti in parte scusati e rinviati ad altro tempo.
7. Molti altri misfatti, oltre quelli contenuti nei processi verbali, anche noi abbiamo sentiti da qualche parte e nelle contrade di coloro che li hanno subiti, sono denunciati ripetutamente non mediante lagnanze sussurrate, ma per mezzo di grida di persone urlanti, e sono raccolti per essere provati qualora sedessero in tribunale ove dei giudici non sovraccarichi di lavoro per mancanza di un numero sufficiente [di magistrati] o anche potessero bastare ad ascoltare tutte le deposizioni quelli che sederanno, dal momento che a stento uno potrebbe avere la pazienza di esaminare attentamente le deposizioni da noi ascoltate nell'udienza e contenute nei processi verbali ecclesiastici. Veramente di quei fatti solo una minima parte sono stati in un modo o in un altro scagionati; molti invece, in parte per l'assenza di coloro dai quali erano stati commessi, non furono esaminati e furono rinviati [ad altro tempo]. Quanto ai chierici, cioè il prete e il diacono, sarebbe troppo lungo descrivere in qual modo la loro presenza è stata sottratta e ancora fino ad oggi è sottratta al tribunale episcopale. Tuttavia nei verbali sono registrate le parole del vescovo con le quali confessò spontaneamente che li aveva esortati a presentarsi perché erano stati suoi complici e che quelli avevano dichiarato di voler presentarsi.
Antonino fu solo obbligato a restituire le refurtive, salvo restando l'episcopato...
8. Noi al contrario ordinammo la restituzione dei beni sottratti, ma conservammo al vescovo l'episcopato intatto e intero con una limitata punizione, per evitare che quelle malefatte restassero del tutto impunite e gli si lasciasse di continuare a commetterle o ad altri d'imitarle; ci limitammo cioè a imporgli come punizione ch'egli avesse la sede vescovile solo in una delle sue cattedre, affinché non si dicesse ch'era stato trasferito in una cattedra diversa dalla sua contro le prescrizioni ecclesiastiche, senza però governare più a lungo i Fussalesi contro la loro volontà. Penso che questa specie di castigo deve considerarsi un favore che gli facciamo, evitandogli di vivere con coloro che lo rifiutano, dei quali la sua stessa presenza inasprirebbe in modo assai pericoloso i loro sentimenti di odio, già molto aspri. Naturalmente decretammo che fosse scomunicato finché non restituisse tutto ciò che aveva rubato. Questa nostra decisione l'abbracciò anche lui fino al punto che non fece appello, e pochissimi giorni dopo versò dei soldi [d'oro] presi a prestito come prezzo dei beni rapinati, affinché non gli fosse negata più a lungo la comunione. Ora molti fratelli e figli nostri che avevano con noi compassione di lui per essere stato assolto assai probabilmente con giustizia da quattro gravi e capitali colpe di violenza carnale rinfacciategli non già da abitanti di Fussala, ma che erano state rinfacciate o fatte rinfacciare da altre persone offese da lui per certi motivi, si rallegrarono con noi con vive espressioni di gioia fraterna per aver noi pronunciato quella sentenza nei suoi confronti.
...oltre alle otto comunità assegnategli estorse anche quella di Togoneto...
9. Scrisse anche una supplica al santo primate della Numidia, in cui gli chiedeva che avesse la bontà di far attendere fino alla data del concilio [provinciale] il desiderio degli abitanti di Fussala, i quali reclamavano con tutte le forze che fosse ordinato un vescovo per loro; il primate li fece attendere. Quando si venne al concilio e tutti i partecipanti trovarono opportuno di mettere in esecuzione i nostri decreti, neppure a causa di ciò presentò appello; se l'avesse fatto allora l'avrebbe fatto certamente troppo tardi, dal momento che alcuni mesi prima non aveva fatto appello contro di noi. In seguito il nostro superiore, il primate, inviò a Fussala dei vescovi alla cui presenza fosse scelto con il voto dei fedeli chi sarebbe dovuto essere ordinato come [loro] vescovo e fosse inviato a lui per essere ordinato, e così fu fatto. Ma, quando spuntò il giorno dell'ordinazione, allora venne in mente ad Antonino l'idea di presentare appello. Tuttavia, avendo accettato la spiegazione datagli dal santo primate e comprendendo di fare invano ciò che da tanto tempo faceva dopo ch'era stata pronunciata in giudizio la sentenza sul conto di lui, acconsentì che gli fossero attribuite otto comunità, che per certe ragioni non si erano recate alla chiesa di Fussala a esprimere il proprio voto per la scelta del vescovo da ordinare. Ma, per seminare di nuovo discordie 3, ottenne, a forza d'insistere, che nella lettera da lui inviata al santo primate fosse aggiunto che venisse unita nella lista anche una delle comunità che si erano recate a Fussala per chiedere il [proprio] vescovo, cioè quella della tenuta di Togoneto; [egli pretese ciò] per avere lì la cattedra da cui dipendessero tutte le altre appartenenti a lui.
...i cui coloni minacciarono di andarsene se fosse assegnata ad Antonino...
10. Questa tenuta è tanto vicina al borgo [di Fussala] che si vedeva bene ch'egli non vi cercava se non occasioni di litigi con cui turbare la pace della Chiesa. Allora i coloni di quella tenuta, poiché già lo conoscevano per la vicinanza e con altri avevano sofferto per le sue ribalderie, scrissero alla padrona della tenuta che, se avesse permesso che ciò fosse avvenuto, se ne sarebbero andati via immediatamente. Scrissero parimenti anche a me, perché intervenissi in loro difesa affinché ciò non avvenisse; per essi scrivemmo, lei e io, al primate.
...che si recò a Roma e consegnò al Papa uno scritto ove tacque lo svolgimento dei fatti.
11. Costui dunque, allorché vide che ciò [che voleva] non gli era stato concesso, decise di passare il mare con una lettera di raccomandazione del suo superiore, il primate, avuta non allora ma prima, allorché quell'autorevole personaggio aveva creduto ingenuamente che quello non avesse colpe di nessun genere e desiderasse passare il mare per far liberare degli individui che il vicario dell'Africa teneva prigionieri, mentre invece non aveva ancora conosciuto in modo del tutto chiaro, attraverso i processi verbali, le angherie subite dagli abitanti di Fussala e il loro giusto dolore. Antonino dunque fece consegnare al venerabile papa Bonifacio una dichiarazione scritta in cui affermava, mentendo, che a partire dal giorno in cui era stato giudicato, era stato nella comunione ecclesiale - come ho ricordato più sopra, egli era stato scomunicato finché non avesse restituito tutti i beni da lui rubati agli abitanti di Fussala, e per questo scopo pochi giorni dopo, è vero, aveva rimesso una certa somma in solidi d'oro perché fosse riammesso nella comunione -, passò inoltre sotto silenzio tutto l'ordine in cui si erano succeduti i fatti necessari a [intendere] la causa e ottenne dal papa una lettera chiaramente assai prudente.
Ai vescovi che lo giudicavano risultò chiaro quanto aveva taciuto in quella dichiarazione.
12. Il papa Bonifacio di venerabile memoria assegnò, in realtà, dei giudici i quali giudicassero se la spiegazione [di Antonino] fosse fondata, se quello avesse indicato fedelmente l'ordinata successione dei fatti, se le cose stessero come le aveva esposte nel testo della sua dichiarazione; soltanto allora gli sarebbe dovuta essere restituita la chiesa di Fussala come a uno esente da colpe, a causa delle quali gli sarebbe stata tolta giustamente. Si radunarono in una città della Numidia, cioè nella chiesa di Tegulata i vescovi che vi si poterono recare; v'erano anche altri vescovi ch'egli non aveva richiesti ma che avevano altri motivi di recarvisi e, sebbene non fosse completo il numero dei vescovi da lui richiesto, disse tuttavia che gli erano sufficienti. Eravamo presenti anche noi, cioè il fratello Alipio ed io, avvertiti da una lettera del primate ma non per pronunciare di nuovo una sentenza riguardo ad Antonino - che cosa infatti sarebbe stato più ingiusto? - ma per rendere conto del nostro giudizio, se ce ne fosse stato bisogno; la relazione sarebbe stata presentata alla sede apostolica. Si lessero dunque i documenti portati da Antonino. Il primate della Numidia Aurelio, il più anziano d'età, espose il motivo per cui aveva ordinato Antonino. In quella esposizione risultò chiaro ciò che quello aveva tralasciato di dichiarare [al papa] per ottenere da Roma una lettera siffatta, e come non aveva indicato fedelmente la successione ordinata dei fatti.
All'udire le lagnanze scritte dei Fussalensi contro di lui Antonino avanzò nuove ingiuste pretese.
13. Il vescovo Antonino chiese allora che fosse fatto entrare il prete inviato dagli abitanti di Fussala; dopo l'ingresso del prete si diede lettura delle lettere dei preti e degli abitanti di Fussala. Quando egli sentì che le lettere erano straboccanti di lagnanze contro di lui, che suscitavano le lacrime e a causa delle quali rifiutavano in ogni modo di ricevere per vescovo un uomo, del quale avrebbero fatto a meno giustamente e felicemente, non volle credere che fossero state inviate da essi e chiese al santo primate di avere la bontà di recarsi di persona negli stessi luoghi con alcuni dei vescovi che gli erano stati assegnati quali componenti di quella commissione, per sondare l'animo dei preti e dei fedeli a condizione che, se gli abitanti di Fussala avessero posto in discussione la questione di accettarlo, egli ricevesse, contro la loro volontà, la comunità di Togoneto aggiunta alle altre otto comunità che aveva già prima; oltre a ciò [volle] che il venerando primate mi chiedesse che le altre cinque comunità che, senza indicarle per iscritto nei processi verbali, gli avevo promesso perché non si accanisse contro gli abitanti di Fussala, io le confermassi facendole registrare nei processi verbali.
Aurelio nei processi verbali promise solo di recarsi a Fussala...
14. Dopo ch'ebbi fatto ciò senza alcuna difficoltà, ce ne andammo - per modo di dire - in pace, se non che io vedevo che la borgata di Togoneto gli era contraria non meno degli abitanti di Fussala e che la padrona del possedimento non glie lo avrebbe concesso, come sembrava al venerando primate Aurelio. Infine, come gli era stato chiesto, il primate promise, è vero, facendolo registrare nei verbali, che si sarebbe recato a Fussala, ma nessuno gli fece promessa, facendola registrare nei processi verbali, di concedergli la comunità di Togoneto. Il medesimo vescovo Antonino fece poi una dichiarazione così perentoria che obbligò i vescovi a riconoscere, in seguito alla risposta degli abitanti di Fussala, che cosa dovessero fare.
...ove, assente Ag., furono concesse ad Antonino le comunità più vicine.
15. Pochi giorni dopo si andò a Fussala come era stato deciso; con il primate c'erano anche due vescovi di cui Antonino aveva chiesto la presenza tra quelli che si trovavano in città, e così gli furono accordati quelli che poté trovare vicini alla medesima borgata; accompagnavano il primate anche altri tre vescovi quale scorta d'onore come vuole l'usanza. Io ero assente, poiché non oso nemmeno vedere gli abitanti di Fussala; a loro che ormai s'erano calmati avendo accettato un vescovo dopo la nostra sentenza, mentre ora di nuovo sono turbati dall'agitazione di costui, sono diventato odioso anch'io stesso, poiché sarei stato io ad arrecare loro una sì grave sciagura, come essi non bisbigliano più con soffocate mormorazioni, ma lo vanno proclamando con aperte proteste e alte grida; oltre a ciò proprio costui, con mostruosa ingratitudine, mi giudica solo un suo nemico. Era ugualmente assente il fratello Alipio ch'era in viaggio per tornare a casa sua.
La comunità di Tegulata, interrogata dai vescovi, si mostrò assai violenta contro Antonino...
16. In tal modo, alla presenza di sei vescovi, quella comunità accorsa numerosa e con entusiasmo fu interrogata e fu trovata mossa dallo stesso sdegno di quando aveva inviato la lettera alla Chiesa di Tegulata per mezzo d'un prete, e anzi ancora più violenta e più inesorabile. Che cosa fece costui in precedenza nel desiderio d'incutere in essi paura non c'è bisogno di scriverlo; te lo confesserà forse lui stesso qualora si sentisse obbligato, sebbene anche i latori della nostra lettera possano riferirlo fedelmente alla tua Reverenza. Così la folla, dopo essere stata interrogata per tutta una giornata, avendo manifestato a sufficienza i suoi sentimenti nei riguardi di costui, reclamò con grandissima impazienza la presenza del proprio vescovo, poiché neppure lui era presente quando fu effettuata la prima indagine. Pertanto dopo l'intervallo di un giorno, essendo allora presente anche il loro vescovo, diedero a propria difesa molte risposte contro costui, urlarono molte accuse contro di lui; tutto fu registrato nei processi verbali.
...la cui doppiezza fu svelata dalla padrona del fondo di Togoneto.
17. Il primate poi mi pregò di andargli incontro in una località ove potessimo vedere tutti insieme che cosa fare. Mentre mi recavo là, durante il viaggio ricevetti una lettera dell'illustrissima signora a cui appartiene la tenuta di Togoneto: mi faceva sapere che il suo fattore le aveva scritto che il venerando primate gli aveva detto d'aver sentito dire dal vescovo Antonino ch'essa aveva acconsentito ch'egli stesse a Togoneto. " Ma di ciò non so nulla " - disse lei - " anzi, egli venne da me e fu lui stesso a pregarmi di non acconsentire ". La lettera della pia donna la portai con me poiché l'avevo considerata un documento indispensabile; io però avevo già saputo ch'egli aveva agito in quel modo, ma non vedevo con quale altra prova sicura potesse essere dimostrato bugiardo, se lo avesse negato in assenza di quella rispettabilissima donna.
Invano Antonino cercò di scolparsi di quell'accusa...
18. Essendoci dunque trovati insieme in una località lontana dieci miglia dalla borgata di Fussala, ove io non volevo andare, ci mettemmo tutti a discutere con lui come ciascuno era in grado di fare, per evitare che un vescovo cattolico provocasse più a lungo turbamento e rovina a danno dei cristiani cattolici. Quando si prese a trattare della tenuta di Togoneto, io presentai la lettera della padrona del possedimento; dopo la lettura della lettera, poiché tutti i fratelli e nostri colleghi d'episcopato, ch'erano presenti, erano rimasti profondamente scossi e avevano preso a rivolgergli gravi rimproveri, rispose che non s'era espresso in quei termini ma, siccome essa per prima aveva detto che non gli avrebbe concesso quella località, egli aveva ribattuto non in tono di supplice ma di sdegnato: " Se non vuoi, non concederla; non la voglio neppure io ". Si passò poi a un altro scambio di parole con cui cercavamo - se fosse stato possibile - di fargli accettare altre due località invece di quella tenuta in modo che a nessuna delle comunità, che ormai erano cominciate ad appartenere al vescovo di Fussala, fosse più a lungo molesto; ma la proposta non fu accolta poiché tutti lo rifiutavano risolutamente.
...ma fu smascherato da un'altra lettere della medesima padrona recapitata ad Ag.
19. Fummo anche in una località delle otto che gli erano state assegnate e dove governava senz'essere contestato. Era stato il fattore della tenuta a chiederci d'incontrarlo e lì avemmo parecchie discussioni con lui ma inutilmente. Proprio lì ricevetti un'altra lettera della padrona della tenuta di Togoneto, poiché le avevo scritto a mia volta informandola della risposta data da Antonino e le avevo chiesto che mi riferisse per lettera, punto per punto, come era andata la cosa. Ella quindi scrisse anzitutto che per mezzo di suo genero le aveva fatto sapere che le chiedeva di fargli il favore di non acconsentire ch'egli stesse a Togoneto e neppure nella sua parrocchia, se avesse dovuto avere la cattedra episcopale in una località diversa da Fussala; in seguito essa confermò a viva voce ch'era stato lui a chiederle ciò. Di questo erano testimoni non solo suo genero, ma anche il vescovo della località dove si trovavano allora, come essa scrisse in modo assai esplicito.
Ag. prega il primate di riammettere alla comunione i Togonetesi che avevano tumultuato contro Antonino.
20. Terminata la lettura di quella lettera alla presenza dei fratelli, [Antonino] rimase talmente sconvolto che non mi rispose altro che parole oltraggiose. E poiché il primate mi aveva detto ch'egli s'era lamentato della presenza del loro vescovo il giorno in cui gli abitanti di Fussala erano stati interrogati per la seconda volta, si decise di consultarli ancora una terza volta, in assenza del loro vescovo, separatamente i coloni di ciascuna tenuta con i loro affittuari e sovrintendenti, senza i fattori. Ma per raggiungere Fussala avevamo dovuto passare per Togoneto e io pregai il primate di riammettere [quegli abitanti] nella comunione poiché li aveva scomunicati avendo essi sbraitato contro Antonino alla sua presenza, e temevo che a causa dello sdegno proprio dei contadini arrivassero ad una completa rovina. In realtà, tra i due vescovi, essi erano stati abbandonati a se stessi fino al punto che io venni a sapere che alcuni di essi avevano cominciato ad apostatare. Di conseguenza temevo che diventasse più grave l'orribile ferita del mio cuore e mi affrettavo a farla guarire il più presto possibile.
Il primate aveva interrogato i fedeli sui misfatti di Antonino, ma quelli se ne andarono tutti.
21. Giungemmo colà verso sera e il giorno seguente vedemmo gli abitanti adunati nella chiesa. Ma appena il venerando primate si mise a parlare in lingua punica riguardo al vescovo Antonino, dichiararono la loro volontà con alte grida e avendo chiesto loro quali torti avesse loro fatto colui al quale si opponevano con tanta ostinazione, uno alla volta si misero a dire ciò che avevano sofferto. Quando però furono invitati a fare le loro deposizioni nominativamente per registrarle nei processi verbali, risposero che avevano paura di farsi scoprire da lui, che avrebbe potuto perseguitarli ad uno ad uno e mandarli in rovina. Ma siccome erano invitati a fare piuttosto quanto era stato detto, all'improvviso tutti ci abbandonarono e se ne andarono con lagnanze piene di sdegno al punto che non rimase nemmeno una sola delle religiose. Chi potrebbe esprimere come rimanemmo sconvolti dalla paura che nel giudizio di Cristo la loro perdizione venisse legata al nostro collo più pesante di quella macina d'asino di cui parla il Vangelo 4? A stento poterono essere richiamati grazie alla promessa del primate di non far nulla contro la loro volontà nel dar loro un vescovo.
I fedeli di Fussala rifiutano di essere interrogati singolarmente sui misfatti di Antonino.
22. Usciti dunque dalla chiesa dopo la celebrazione dei divini misteri trovammo anche due abitanti di Fussala, mandati con un promemoria scritto dove dicevano ch'erano giunte ai loro orecchi delle voci secondo le quali noi li volessimo interrogare ad uno ad uno mentre già tante volte era apparsa chiara e non ambigua la loro volontà riguardo a chi volessero avere per loro vescovo e che individualmente non avrebbero detto altro che quanto avevano potuto dire tutti insieme. Ma se la cosa fosse fatta affinché il loro nemico sapesse quali persone indicate per nome egli dovesse perseguitare, avremmo dovuto capire che con questa procedura sarebbero stati consegnati alla morte, e comunque ci sarebbe dovuto bastare d'aver ucciso le loro anime assegnando loro Antonino, e non dovevamo consegnare anche i loro corpi in modo che fossero uccisi una seconda volta da Antonino. Nel medesimo promemoria aggiungevano pure che, se ci fosse parso opportuno, ordinassimo d'istruire di nuovo il processo restituendo loro le accuse scritte contro Antonino, che avevano consegnate ad Ippona, e tutti gli altri documenti che sarebbe troppo lungo ricordare. Tuttavia, poiché si sarebbe potuto dire che quel promemoria non conteneva la volontà dei fedeli, ma era stato indirizzato da uno o due di essi - e in ogni caso da pochissime persone - non ci parve doveroso cambiare la nostra decisione di recarci da loro.
I vescovi incontrano Ag. al quale esternano le lamentele dei Fussalensi contro costui.
23. Per conseguenza, il primate si recò a mezzogiorno a Fussala con quelli ch'erano indispensabili, mentre io e il loro vescovo restammo nella medesima località. Il giorno seguente in cui il primate interrogava i fedeli per la terza volta, noi gli andammo incontro in una località ove sarebbe dovuto passare al ritorno e vi trascorremmo tutto il giorno mentre egli si trovava a Fussala. Lì ci raggiunsero poi i vescovi con il venerando primate portando le lagnanze e le deposizioni registrate di quegli sventurati, nelle quali essi non ritennero doveroso di risparmiare neppure me stesso. In effetti dichiararono ad alta voce nei miei riguardi ciò che meritavo di sentirmi dire, che cioè ero io la causa di quella sì grande loro calamità, dando loro una persona da essi non richiesta, dalla quale erano afflitti con tante sofferenze.
Antonino dichiara di ricusare le comunità assegnategli ma rifiuta che ciò risulti nei processi verbali.
24. Scrivemmo poi allo stesso vescovo Antonino e ci raggiunse in una borgata, quella di Gilva, ove da una faccenda urgente della Chiesa il primate era costretto a recarsi; egli infatti si era separato da noi con l'impegno di raggiungerci ovunque fosse stato convocato per lettera. Lì, avendo inteso riferire anche dai vescovi, da lui richiesti scegliendoli tra gli altri giudici, ciò che avevano visto e inteso di persona e avendo ciascuno di noi consigliato, per quanto gli era possibile, di non dover far altro - se si considerava un vescovo - se non di governare tranquillamente le comunità che lo avevano accettato senza alcuno scandalo per la Chiesa e senza alcuno scompiglio, rispose che non voleva avere nemmeno quelle e che aveva fatto il fermo proposito di voler rimanere lontano dalle folle in un posto molto solitario, distante dagli invidiosi, come [un semplice] servo di Dio; se noi lo avessimo voluto, avrebbe desiderato darci la prova di quel suo proposito adducendo anche la testimonianza di coloro ai quali ci raccontò di averlo comunicato prima di vederci. Poiché non avevo voluto credere facilmente a una sì buona sua disposizione d'animo, gli dissi che, se pensava e diceva ciò con sincerità, non gli rincrescesse di offrire al nostro Dio anche il sacrificio di misericordia concedendo una sicura tranquillità alla sua Chiesa, eliminando la paura ch'essa aveva di lui e manifestando quella sua volontà nei processi verbali del tribunale vescovile; ma avendo egli affermato che non avrebbe dichiarato assolutamente nulla nei processi verbali, gli dicemmo di manifestarla almeno in uno scritto di proprio pugno, e siccome rispose che non avrebbe fatto neppure ciò, si sentì dire quanto era doveroso dirgli, che cioè non pensava sinceramente di voler servire Dio, dal momento che godeva di lasciare nel turbamento, derivante da una tale paura, la Chiesa di Colui ch'egli aveva intenzione di servire.
Messo alle strette Antonino minaccia di ricorrere alla Sede Apostolica...
25. Allora, vedendosi messo alle strette dalle argomentazioni dei vescovi alle quali non poteva rispondere, una buona volta fece esplodere ciò che dissimulava nel suo cuore e con uno sguardo e un tono di voce terribile disse che in alcun modo lo si poteva convincere di non cercare con qualsiasi mezzo possibile di tornare alla chiesa di Fussala. Udito ciò, mi misi a pregare con istanza il venerando primate di formulare contro di lui, in relazione ai processi verbali di Tegulata, un'accusa verbalizzata nel processo d'inchiesta ecclesiastica, di cui si potesse fare rapporto alla Sede Apostolica. " Io - disse lui - non dichiarerò nulla ai processi verbali "; si alzò tutto sconvolto e se ne andò, ma poi, tornato subito indietro, con gesti incomposti per la collera, minacciò di recarsi presso la Sede Apostolica come se noi avessimo avuto intenzione d'inviare a un'altra sede tutti i punti del dibattito che sarebbe stato registrato nei processi verbali.
...alla quale i vescovi decidono d'inviare una lettera e i processi verbali su Antonino.
26. Restava dunque d'informare la Sede Apostolica indirizzandole una lettera e i processi verbali. Ci prendemmo cura di farlo il più presto possibile. Ecco quale lunga favola siamo diventati per i Giudei, per i pagani 5 e per gli eretici, e anche per tutti i nostri nemici all'interno della Chiesa, volesse il cielo senza la morte spirituale di coloro ai quali, liberati dall'eresia, ormai aspirano di nuovo a una certa luce dell'unità, renderemo odioso il nome cattolico, se neppure adesso sarà confortata la loro debolezza facendo in modo che non abbiano come vescovo uno che essi, con espressioni di risentimento, dichiarano di non poter avere.
Fabiolo lo persuada a non vantarsi di molti ma di guadagnare molti a Dio...
27. Ecco quanto ho creduto mio dovere riferire per iscritto all'Eccellenza tua, affinché se verrà a trovarti, tu non ignori che cosa tu debba raccomandargli. A cotesto povero uomo tu farai un'elemosina molto migliore dandogli consigli per la vita eterna che non il sostentamento per la vita presente; poiché gli manca in modo più pericoloso quell'elemosina per mancanza della quale il suo spirito muore anche se il corpo è sano 6. La finisca di pretendere di esercitare un potere dispotico su membri di Cristo radunati con il sangue versato da altri. Poiché, da quando cominciò ad essere vescovo in quella località, non ha sopportato da parte dei donatisti né danni né ferite d'alcun genere né lui né alcuno dei presbiteri o chierici o alcuna delle persone, quali che fossero, sottoposte al suo governo. Ma perché costui trovasse colà una tale pace, inorridisco a dire quali sofferenze i nostri vi sopportarono! Gli bastino le comunità che Dio volle che lo accettassero senza scandalo, il governo d'una sola delle quali, esercitato con spirito di fede e con diligenza, procura un gran premio presso Dio. Ma tali pensieri non ha costui il quale, facendo bestemmiare il nome di Cristo e provocando gemiti di morte di gente sventurata, desidera godere per il numero delle sue comunità, non cercare di procurare molti fedeli a Dio ma di menar vanto d'averne molti. Altrimenti non avrebbe il desiderio di fare suoi, con tanta fatica, coloro che già vede appartenere a Cristo.
...e come una madre gli dica quanto le suggerirà Dio.
28. Ascolti da te queste esortazioni, te ne prego, e non tacergli nulla di tutto ciò che il Signore avrà la bontà di concederti di dire a costui, della cui sanità spirituale desidero tanto rallegrarmi. Rispetto a lui tu hai infatti un'età da mostrargli dignitosamente un affetto materno. Se infatti la collera di Dio a cui soggiace non è troppo grave, non disprezzerà in te i consigli di sua madre; so che tu sei risuscitata con Cristo in modo che cerchi le cose del cielo, non quelle di questo mondo 7; a un vescovo dunque che cerca le cose di questo mondo non aver paura di dare un consiglio conforme alla fede. Tu infatti in questo mondo cerchi Dio, egli al contrario nella Chiesa cerca questo mondo.
I più gravi misfatti di Antonino: 1) comprò a vil prezzo una proprietà incarcerandone il proprietario.
29. Poiché, cosa che forse non avresti creduto se te lo avesse detto un altro, non esitò a comprare dei poderi in nome suo e non della Chiesa, lui ch'era stato fatto vescovo nell'uscire dal monastero senza avere di suo null'altro che il vestito che portava quel giorno. Forse tu mi chiederai come fece a comprarle: non dirò con le rapine di cui gli abitanti di Fussala si lamentavano per averle subite; i frutti di quelle rapine venivano consumati immediatamente. Eppure, per il sostentamento suo e dei suoi collaboratori gli avevo dato un fondo della Chiesa d'Ippona sito nel suddetto territorio di Fussala. Egli lo aveva dato in affitto e con il denaro riscosso dell'affitto di cinque anni interi trovò la somma per poterlo comprare. Se volessi esporti quale querela presentò contro di lui il venditore in un ricorso all'imperatore e a quali rischi giudiziari si espose o in qual modo il difensore della Chiesa di Fussala - presso il quale il venditore si lamentò d'essere stato incarcerato in una prigione privata affinché vendesse al vescovo il suo possedimento al prezzo più vantaggioso per lui - a stento sfuggì, grazie ai nostri sforzi, alla pena d'una pubblica condanna, poiché aveva già confessato di aver agito in quel modo per ordine del vescovo, benché questi dichiarasse d'aver dato l'ordine che quel tale fosse tenuto in prigione non per metterlo alle strette a vendere quel fondo ma per un'altra colpa; se volessi raccontare tutti i particolari [di quella faccenda], quando mai la lettera potrebbe essere terminata?
2) della metà di un'altra piccola proprietà defraudò il comproprietario.
30. Comprò anche un altro piccolo possedimento sempre a nome proprio ma non so con quale denaro; per altro, anche nel caso di quello stesso possedimento, trattò il proprio comproprietario, insieme al quale possedeva in comune la metà del fondo, in modo che - come è stato dichiarato nella deposizione scritta presentata dal comproprietario al nostro tribunale - si prese tutti i frutti e spogliò delle tegole la casa che possedevano in comune. Ascoltammo la deposizione, ne avemmo le prove, ne ordinammo la restituzione. Il comproprietario ci presentò anche una lettera di suo fratello e fu letta nel nostro tribunale: lo scrivente denunciava le pressioni esercitate su di lui dal vescovo perché vendesse la propria parte di comproprietà e di non aver ricevuto tutto il prezzo che avrebbe dovuto ricevere. Ma poiché non ci veniva mostrato chiaramente se quella fosse davvero una lettera di suo fratello, troncammo bene o male il dibattito tra i presenti e conservammo all'assente il diritto di un'azione giudiziaria.
3) con i materiali tolti da una casa non sua si costruì una nuova abitazione.
31. Antonino però diede quel fondo a un altro, del quale demolì la casa e trasportò tutti i materiali con cui era stata costruita per farli servire alla sua costruzione; presso di lui interposi i miei buoni uffici io stesso perché non aggravasse il vescovo con una denuncia scritta e una sua querela nel nostro tribunale. E di fatto la questione tra loro fu troncata con una sentenza arbitrale privata, in base alla quale quel tale doveva ricevere da Antonino per la sua parte una porzione della proprietà in compenso dei danni subiti; eppure costui, da monaco miserabile che era, divenuto vescovo, dice ancora adesso agli abitanti: " Rendetemi la mia casa che ho costruito nel vostro villaggio ", casa che non sembrava certo costruire per lui stesso ma per la Chiesa; e magari l'avesse costruita con mezzi onesti e con le legittime offerte e non con le rapine! A quanto infatti si dice, nella costruzione di quella casa non c'è quasi nulla che non si possa dimostrare essere stato portato via da proprietà altrui e mostrare a dito il luogo dal quale è stato rubato.
Quanto sanguina il cuore di Ag. per la pessima condotta di Antonino.
32. Ma a questo proposito c'è un altro punto che voglio spiegarti; ho voluto sfogare con te la mia profonda afflizione scrivendo alla tua Sincerità per il fatto che un giovane allevato da noi nel nostro monastero e che, quando lo accogliemmo, non aveva alcun bene da lasciare o da distribuire ai poveri oppure da versare per metterlo a disposizione della comunità, si va ora vantando di tenute e d'una casa come se fossero sua proprietà; e non solo di queste cose vuole appropriarsi ma anche dello stesso gregge di Cristo, mentre invece vuol essere del numero di coloro dei quali l'Apostolo dice: Cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo 8; e quanto grave è questa ferita del mio cuore lo vede Colui che può guarirla.
Ag. scongiura Fabiola ad aiutarlo a vantaggio di Antonino e della Chiesa.
33. In nome di Cristo, della sua misericordia e del suo giudizio, ti scongiuro di aiutarmi in questa faccenda per lui e per la Chiesa. Ho infatti voluto darti queste informazioni, forse con più prolissità che discrezione, non perché tu lo abbia in odio, ma piuttosto affinché tu pensi al suo vero bene spirituale nella misura che il Signore te ne vorrà dare la capacità, con il non permettere che faccia del male a se stesso. In realtà a chi altri mai potrà fare un male maggiore se non a se stesso, se farà di tutto per mettere sossopra e abbattere una Chiesa che dovrebbe voler guadagnare a Cristo e non a se stesso? Io credo che ubbidirà alla tua santa Benevolenza e non alzerà contro di te la sua superbia, se la Sorgente di [ogni] misericordia esaudirà in favore di lui le mie [preghiere fatte con] lacrime tanto frequenti e abbondanti.
1 - Cf. Ep. 209, 3; Mt 10, 22; 24, 13.
2 - Cf. 1 Tm 5, 3.
3 - Cf. Prv 6, 19.
4 - Cf. Mt 18, 6.
5 - Cf. At 19, 17.
6 - Cf. Prv 10, 21.
7 - Col 3, 1.
8 - Fil 2, 21.
24 - I santi esercizi e le occupazioni della Regina del cielo nel primo anno e mezzo della sua infanzia.
La mistica Città di Dio - Libro primo - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca377. il silenzio, che nei primi anni gli altri bambini osservano per necessità naturale, perché non sanno né possono parlare, se non balbettando in modo maldestro, fu, invece, per la nostra divina bambina, una virtù eroica. Infatti, se le parole sono frutto dell'intelletto e comunicazione del pensiero, e se Maria santissima ne fu perfettamente dotata sin dalla sua concezione, ne consegue che ella, subito dopo la nascita, non scelse il silenzio perché non poteva parlare, ma perché liberamente non voleva farlo. E se agli altri bambini mancano le forze naturali per aprire la bocca, muovere la tenera lingua e pronunciare le parole, invece nella bambina Maria non fu presente questo difetto: per la sua natura più robusta, e per l'autorità e il dominio che esercitava su tutte le cose, le sue stesse facoltà le avrebbero infatti ubbidito, qualora lo avesse ordinato. In lei invece il non parlare fu virtù e grande perfezione; teneva nascosta così la sua sapienza e grazia, evitando l'ammirazione che di fatto avrebbe suscitato il veder parlare una neonata. Del resto, non so se, chi avesse parlato, nonostante ne fosse impedito per natura, sarebbe stato da ammirare più di colei che, potendolo invece fare, tacque per un anno e mezzo.
378. Fu volontà dell'Altissimo che, nel tempo in cui gli altri bambini non possono ordinariamente parlare, la nostra bambina mantenesse questo silenzio. Venne eccezionalmente dispensata da questo ordine, soltanto quando poteva, da sola, conversare con i suoi santi angeli custodi o rivolgersi al Signore con suppliche e preghiere vocali. E in verità, non vi era nessun motivo che ella si astenesse - come capitava con i mortali - dal parlare con Dio, autore di questo beneficio, e con gli angeli suoi messaggeri quando le apparivano sotto sembianze corporee; anzi era conveniente che, non essendone impedita, pregasse con la bocca, ed evitasse così di tenerla in ozio per lungo tempo. Sua madre sant'Anna, tuttavia, non sentì mai parlare la bambina, né venne a conoscenza che potesse farlo in quell'età. Il che evidenzia quanto lo stare in silenzio di Maria, in quel primo anno e mezzo della sua infanzia, fosse veramente il frutto della virtù. In quel tempo, quando le parve opportuno, la madre sant'Anna liberò, slegando le fasce, le braccia e le mani della bambina Maria, così che ella poté stringere quelle dei suoi genitori e baciarle con deferente sottomissione e riverente umiltà. Rimase fedele a quest'usanza fin tanto che essi vissero. In quell'età, inoltre, lasciava intendere ai suoi genitori, con segni e gesti esteriori, di desiderare la loro benedizione e perché lo facessero preferiva parlare al loro cuore piuttosto che chiederlo con la bocca. Fu così grande la riverenza che nutrì nei loro confronti da non venirne mai meno, come del re-sto giammai mancò all'obbedienza, recò loro molestia o pena, poiché conosceva i loro pensieri e preveniva i loro desideri.
379. In tutte le sue azioni e i suoi movimenti era illuminata dallo Spirito Santo e perciò faceva ogni cosa nel modo più perfetto. Benché l'esecuzione risultasse completa, tuttavia il suo ardentissimo amore non restava soddisfatto, e rinnovava continuamente i fervorosi affetti dell'amore, anelando e aspirando così a carismi migliori. Le rivelazioni divine e le visioni puramente spirituali erano, nella bambina Regina continue ed ininterrotte, poiché l'Altissimo le stava sempre vicino e l'assisteva. E se talvolta la divina provvidenza sospendeva temporaneamente queste forme di visioni e di cognizioni, ella dirigeva la sua attenzione a quelle precedenti, poiché della rappresentazione chiara di Dio - che, come dissi sopra, ebbe subito dopo la nascita allorché fu portata in cielo dagli angeli - le erano rimaste impresse le immagini cognitive (species intellegibiles) di quanto aveva visto. Dopo che ebbe lasciato la cella del vino, inebriata d'amore, il suo cuore restò talmente ferito che ella, ogni qualvolta si volgeva a questa contemplazione, si infiammava tutta. Essendo però il suo corpo delicato e debole, mentre l'amore era forte come la morte, giungeva a languire appassionatamente d'amore e ne sarebbe morta se l'Altissimo non le avesse rafforzato, mediante una miracolosa virtù, la parte più debole e conservato la vita. Molte volte, tuttavia, il Signore permetteva che quel corpo delicato e vergineo, per la veemenza dell'amore, cadesse in deliquio. Allora i santi angeli la sorreggevano e confortavano e così si adempì la parola della sposa del Cantico dei Cantici: Fulcite me floribus quia amore langueo! - Sostenetemi e rinfrancatemi con fiori perché languisco d'amore. Questo fu per la Regina del cielo un martirio del genere più nobile, ripetutosi migliaia di volte, con il quale sorpassò tutti i martiri sia nell'acquistare meriti che nel patire sofferenze e dolori.
380. La pena dell'amore è qualcosa di così dolce e desiderabile, che chi la patisce, tanto più ardentemente brama di sentir parlare della persona che ama, quanto più ha motivo per amarla: vuole curare la ferita con il rinnovarla. Con questa graziosissima illusione l'anima rimane sospesa tra una vita penosa e una dolce morte. Questo succedeva alla bambina Maria quando parlava con i suoi angeli di Dio, del suo amato e essi le rispondevano. Molte volte li interrogava con queste parole: «Servi del mio Signore e suoi messaggeri, che siete le opere più belle delle sue mani e le scintille di quel fuoco divino che accende il mio cuore, che godete della sua bellezza eterna senza velo né copertura, descrivetemi le caratteristiche e le qualità del mio amato. Avvisatemi se in qualche modo gli ho dato dispiacere. Fatemi sapere ciò che brama e vuole da me, e non indugiate ad alleviare la mia pena, perché languisco d'amore».
381. Gli spiriti celesti le rispondevano: «Sposa dell'Altissimo, l'amato vostro è solo. Egli è il solo che ha l'essere da se stesso. Non ha bisogno di nessuno, mentre tutti hanno bisogno di lui. Egli è infinito nelle perfezioni, immenso nella grandezza, senza limiti nel potere, confini nella sapienza, misura nella bontà. È colui che diede principio a tutto il creato, senza avere egli principio; egli governa il mondo senza stancarsi, e lo conserva senza averne bisogno. Veste di bellezza il creato e le creature e nessuno può contenere la sua infinita bellezza: rende beati quelli che giungono a vederlo faccia a faccia. Sì, o Signora, immense sono le perfezioni del vostro Sposo; la nostra intelligenza si perde nell'abisso della sua luce e i suoi giudizi sono ininvestigabili per qualsiasi creatura».
382. In questi ed in altri simili colloqui, superiori alla nostra comprensione, la bambina Maria si intratteneva con i suoi angeli e con l'Altissimo, rimanendone trasformata. Cresceva sempre più nel fervore e nel desiderio ardente di vedere il sommo Bene, che amava oltre l'immaginabile. Così spesso, per volontà del Signore e per mezzo dei suoi angeli, veniva rapita con tutto il corpo al cielo empireo, dove godeva della presenza di Dio. Alcune di queste volte ne aveva un'idea nitida, altre invece soltanto per mezzo di immagini cognitive infuse (species infusae), quantunque chiarissime e sempre sublimi. Accanto a molti altri misteri, conosceva pure, per intuizione e in modo evidente, gli angeli nonché i gradi, l'ordine del loro rango e le gerarchie. Dal momento che questo beneficio venne concesso a Maria più volte, di conseguenza e proprio per gli atti che esso suscitava in lei, ne venne a contrarre un amore così intenso e forte da sembrare una creatura più divina che umana. Nessun'altra sarebbe stata in grado di comprendere questo dono o altri corrispondenti, nemmeno la stessa natura mortale della bambina avrebbe potuto riceverli senza morirne e se Dio per miracolo non l'avesse tenuta in vita.
383. Quando in quella tenera età le capitava di ricevere qualche ossequio o favore, da parte dei suoi santi genitori o da qualche altro, lo accettava sempre con cuore umile e riconoscente, chiedendo al Signore che li ricompensasse per quel bene che per amore suo le facevano. E pur avendo raggiunto un così grande ed elevato grado di santità, ripiena della luce di Dio e della scienza dei suoi misteri, si reputava l'ultima tra le creature. Nella stima di se stessa, in confronto a loro, si metteva all'ultimo posto e si riteneva indegna perfino dell'alimento necessario alla vita, ella che era Regina e signora di tutto il creato.
Insegnamento della Regina del cielo
384. Figlia mia, tanto più uno riceve, quanto più si deve reputare come il più povero perché il suo debito è maggiore. E se tutti devono umiliarsi, perché da se stessi sono nulla, nulla possono e nulla posseggono, per la stessa ragione si deve abbassare ancor più nella polvere, chi essendo polvere e cenere è stato innalzato dalla potente mano dell'Altissimo più degli altri. In verità limitandosi a se stesso e riconcentrandosi in se stesso, senza essere né valere cosa alcuna, egli si ritrova così più indebitato ed obbligato per ciò che da se stesso non può giungere a soddisfare. La creatura conosca allora quello che è da se stessa, cosicché nessuno potrà mai dire: «Io mi sono fatto da me; mi sostento da me e per me; posso allungarmi la vita; io posso allontanare la morte». Tutto l'essere e la conservazione delle creature dipende dalla mano del Signore. Si umilii dunque, in sua presenza, la creatura; e tu, o carissima, fa' in modo di non dimenticare questi insegnamenti.
385. Voglio anche che tu apprezzi, come un prezioso tesoro, la virtù del silenzio, che io ho cominciato ad osservare dalla mia nascita. Infatti avendo conosciuto nell'Altissimo tutte le virtù, mediante la luce di cui beneficiai, mi affezionai molto a quella del silenzio, tanto da propormela come amica e compagna di tutta la vita; così la osservai con inviolabile silenzio, benché potessi parlare fin da quando venni al mondo. Sappi che il parlare senza peso e misura, è una spada a due tagli che con una lama ferisce chi parla e con l'altra chi ascolta; ed ambedue distruggono la carità o quantomeno la ostacolano insieme alle altre virtù. Da ciò puoi comprendere quanto Dio resti offeso dal vizio di una lingua sfrenata e quanto sia giusto che allontani il suo spirito e nasconda il suo volto a chi si abbandona a ciarle, rumori e pettegolezzi; se si parla molto non si possono evitare gravi peccati. Soltanto con Dio e con i santi si può conversare senza pericolo, ed anche con essi è opportuno usare misura e discrezione; ma con le creature è molto difficile tenere la via maestra, senza passare dal giusto e necessario all'ingiusto e superfluo.
386. Il rimedio che ti preserverà da questo pericolo consiste nel tenerti sempre più vicina all'estremo contrario, eccedendo piuttosto nel tacere e nello stare in silenzio, perché il mezzo prudente di dire solo il necessario si trova più dalla parte del tacere molto, che non da quella del parlare eccessivo. Rifletti, o anima: tu non puoi andare dietro alle inutili e superflue conversazioni delle creature, senza lasciare di conversare con Dio nel segreto del cuore. E ciò che non faresti, senza vergogna e senza temere di essere sgarbata, con le creature, non devi farlo con il Signore, Dio tuo e di tutti. Chiudi l'orecchio alle chiacchiere fallaci e menzognere che potrebbero istigarti a dir ciò che non devi, poiché non è giusto che parli più di quel che ti ordina il tuo Dio e Signore. Attendi invece alla sua santa legge, che ha scritto liberamente di sua mano nel tuo cuore; ascolta la voce del tuo pastore che ti parla dentro e rispondi a lui, e a lui solo. Voglio perciò avvisarti che se tu vuoi essere mia discepola e compagna, devi distinguerti soprattutto nella virtù del silenzio. Taci molto e scrivi fin d'ora questo insegnamento nel tuo cuore e cerca di affezionarti sempre più a questa virtù, perché io per prima cosa desidero da te quest'amore per il silenzio e poi ti insegnerò come devi parlare.
387. Non intendo, con ciò, vietarti di parlare con le tue figlie e suddite, quando si tratta di ammonirle e di consolarle; discorri inoltre con quelli che ti possono parlare del tuo amato Signore e delle sue perfezioni, risvegliando in te l'ardente sete del suo amore. Con queste conversazioni invece di perdere, acquisterai così quel desiderato silenzio tanto utile alla tua anima, e proverai avversione e nausea per i ragionamenti mondani. Inoltre proverai gusto a parlare solo del bene eterno che brami, e per la forza dell'amore che trasformerà il tuo essere in quello del tuo diletto, in te verrà meno l'impeto delle passioni. Sarà così che giungerai a sentire qualcosa di quel dolce martirio che io pativo quando mi lamentavo del corpo e della vita, perché mi sembravano dure prigioni che trattenevano il mio volo verso Dio; ma non il mio amore. O figlia mia, dimentica ogni cosa terrena nel segreto del tuo silenzio e seguimi con tutto il fervore e le forze del tuo spirito, per giungere allo stato in cui il tuo sposo t'invita, e dove tu possa sentire quella consolazione che io provavo nella mia soave pena di amore, sentendomi dire: «Colomba mia, dilata il tuo cuore ed accogli, diletta mia, questa dolcissima pena perché dal tuo affetto il mio cuore è ferito». Questo mi diceva il Signore ed anche tu l'hai sentito più volte poiché sua Maestà parla a chi se ne sta solo e ama il silenzio.
21 ottobre 1943
Maria Valtorta
Dice Gesù:
«Riprendo l’argomento[466] delle anime accolte nel Purgatorio.
Se tu hai afferrato il senso completo delle mie parole, non importa. Queste sono pagine per tutti, perché tutti hanno nel Purgatorio degli esseri cari e quasi tutti, con la vita che conducono, sono destinati a sostare in quella dimora. Per gli uni e per gli altri continuo, dunque.
Ho detto che le anime purganti non soffrono che per l’amore ed espiano con l’amore. Ecco le ragioni di questo sistema di espiazione.
Se voi, uomini irriflessivi, considerate attentamente la mia Legge nei suoi consigli e nei suoi comandi,[467] vedete che essa è tutta imperniata sull’amore. Amore verso Dio, amore verso il prossimo.
Nel primo comandamento Io, Dio, mi impongo al vostro amore riverenziale con tutta la solennità che è degna della mia Natura rispetto alla vostra nullità: “Io sono il Signore Iddio tuo”.
Troppe volte ve ne dimenticate, o uomini che vi credete dèi e, se non avete in voi uno spirito vivificato dalla grazia, altro non siete che polvere e putredine, animali che all’animalità unite l’astuzia dell’intelligenza posseduta dalla Bestia, che vi fa commettere opere da bestie, peggio che da bestie: da demoni.
Ditevelo mattina e sera, ditevelo a mezzogiorno e a mezzanotte, ditevelo quando mangiate, quando bevete, quando andate a dormire, quando vi svegliate, quando lavorate, quando riposate, ditevelo quando amate, ditevelo quando contraete amicizie, ditevelo quando comandate e quando ubbidite, ditevelo sempre: “Io non sono Dio. Il cibo, la bevanda, il sonno non sono Dio. Il lavoro, il riposo, le occupazioni, le opere del genio non sono Dio. La donna, o peggio: le donne, non sono Dio. Le amicizie non sono Dio. I superiori non sono Dio. Uno solo è Dio: è il Signore mio che mi ha dato questa vita perché con essa mi meriti la Vita che non muore, che mi ha dato vesti, cibi, dimore, che mi ha dato il lavoro perché mi guadagni la vita, la genialità perché testimoni d’essere il re della Terra, che mi ha dato capacità d’amare e creature da amare ‘con santità’ e non con libidine, che mi ha dato il potere, l’autorità perché ne faccia mezzo di santità e non di dannazione. Io posso divenire simile a Lui poiché Egli l’ha detto:[468] ‘Voi siete dèi’, ma solo se vivo la sua Vita, ossia la sua Legge, ma solo se vivo la sua Vita, ossia il suo Amore. Uno solo è Dio: Lui. Io sono il suo figlio e suddito, l’erede del suo regno. Ma se diserto e tradisco, se mi creo un regno mio in cui voglio umanamente essere re e dio, allora perdo il Regno vero e la mia sorte di figlio di Dio decade e si degrada a quella di figlio di Satana, poiché non si può contemporaneamente servire l’egoismo e l’amore, e chi serve il primo serve il Nemico di Dio e perde l’Amore, ossia perde Dio”.
Levate dalla vostra mente e dal vostro cuore tutti i bugiardi dèi che vi avete messi, cominciando dal dio di fango che siete voi quando non vivete in Me. Ricordatevi cosa mi dovete per tutto quanto vi ho dato - e più vi avrei dato se voi non aveste legato le mani al vostro Dio col vostro metodo di vita - cosa vi ho dato per la vita di ogni giorno e per la vita eterna. Per questa, Dio vi ha dato suo Figlio, acciò fosse immolato come agnello senza macchia e lavasse col suo Sangue i vostri debiti e non facesse così ricadere, come nei tempi mosaici, le iniquità dei padri sui figli sino alla quarta generazione dei peccatori, che sono “coloro che mi odiano”[469], poiché il peccato è offesa a Dio e chi offende odia.
Non alzate altri altari a dèi non veri. Abbiate, e non tanto sugli altari di pietra, ma sull’altare vivo del vostro cuore, solo ed unico il Signore Iddio vostro. A Lui servite e porgete culto vero di amore, di amore, di amore, o figli che non sapete amare, che dite, dite, dite parole di preghiera, parole soltanto, ma non fate dell’amore la vostra preghiera, l’unica che Dio gradisca.
Ricordate che un vero palpito d’amore, che salga come nube di incenso dalle fiamme del vostro cuore innamorato di Me, ha per Me un valore infinite volte più grande di mille e mille preghiere e cerimonie fatte col cuore tiepido o freddo. Attirate la mia Misericordia col vostro amore. Se sapeste come è attiva e grande la mia Misericordia con chi mi ama! È un’onda che passa e lava quanto in voi costituisce macchia. Vi dà candida stola per entrare nella Città santa del Cielo, nella quale splende come sole la Carità dell’Agnello che si è fatto immolare per voi.
Non usate il Nome santo per abitudine o per dare forza alla vostra ira, per sfogare la vostra impazienza, per corroborare le vostre maledizioni. E soprattutto non applicate il termine “dio” a creatura umana che amate per fame di sensi o per culto di mente. A Uno solo va detto quel Nome. A Me. E a Me deve essere detto con amore, con fede, con speranza. Allora quel Nome sarà la vostra forza e la vostra difesa. Il culto di questo Nome vi giustificherà, perché chi opera mettendo a sigillo delle sue azioni il Nome mio non può commettere azioni malvagie. Parlo di chi agisce con verità, non dei mentitori che cercano coprire se stessi e le loro opere col fulgore del mio Nome tre volte santo. E chi cercano di ingannare? Io non sono soggetto ad inganno, e gli uomini stessi, a meno che non siano dei malati di mente, dal confronto delle opere dei mentitori col loro dire comprendono che sono dei falsi e ne provano sdegno e schifo.
Voi che non sapete amare altro che voi stessi e il vostro denaro, e vi pare perduta ogni ora che non sia dedicata ad accontentare la carne o ad impinguare la borsa, sappiate, nel vostro godere o lavorare da ingordi e da bruti, mettere una sosta che vi dia modo di pensare a Dio, alle sue bontà, alla sua pazienza, al suo amore. Dovreste, lo ripeto, avermi sempre presente qualunque cosa facciate; ma poiché non sapete operare conservando lo spirito fisso in Dio, cessate, una volta alla settimana, di operare per pensare unicamente a Dio.
Questa, che vi può parere legge servile, è invece prova di come Dio vi ama. Lo sa il vostro buon Padre che siete macchine fragili che si usurano nell’uso continuo, e ha provveduto alla vostra carne, anche a quella, poiché è essa pure opera sua, dandovi comando di farla riposare un giorno su sette per dare ad essa giusto ristoro. Dio non vuole le vostre malattie. Foste rimasti suoi figli, proprio suoi, da Adamo in poi, non avreste conosciuto le malattie. Sono, queste, frutto delle vostre disubbidienze a Dio, insieme al dolore e alla morte; e come fungaia sono nate e nascono sulle radici della prima disubbidienza:[470] quella d’Adamo, e rampollano le une dalle altre, tragica catena, dal germe che vi è rimasto in cuore, dal veleno del Serpente maledetto che vi dà febbri di lussuria, di avarizia, di gola, di accidia, di imprudenze colpevoli.
Ed è imprudenza colpevole il voler forzare il vostro essere a continuo lavoro per il guadagno, come lo è il volere supergodere della gola o del senso col non contentarvi del cibo necessario alla vita e della compagna necessaria alla continuazione della specie, ma saziandovi oltre misura come animali da pantano e spossandovi e avvilendovi come, anzi, non come bruti - i quali non sono simili ma superiori a voi nel connubio, al quale vanno ubbidendo a leggi di ordine - ma avvilendovi peggio dei bruti: come dei demoni che disubbidiscono alle leggi sante dell’istinto retto, della ragione e di Dio.
Il vostro istinto voi lo avete corrotto ed esso ormai vi conduce a preferire pasti corrotti, formati da lussurie nelle quali profanate il corpo vostro: opera mia; l’anima vostra: capolavoro mio; e uccidete embrioni di vite negandole alla vita, perché le sopprimete anzi tempo volontariamente o attraverso le vostre lebbre che sono veleno mortale alle vite sorgenti.
Quante sono le anime che un vostro appetito sensuale chiama dal Cielo e alle quali voi chiudete poi le porte della vita? Quante quelle che appena giungono al termine, e vengono alla luce morenti o già morte, alle quali precludete il Cielo? Quante quelle alle quali voi imponete un peso di dolore, che non sempre possono portare, con una esistenza malata, marcata da morbi dolorosi e vergognosi? Quante quelle che non possono resistere a questa sorte di martirio non voluto, ma apposto da voi come un marchio a fuoco sulla carne, che avete generato senza riflettere che, quando si è corrotti come sepolcri[471] pieni di putredine, non è più lecito generare dei figli per condannarli al dolore e al ribrezzo della società? Quante quelle che, non potendo resistere a questa sorte, si suicidano?
Ma che credete voi? Che Io le dannerò per questo loro delitto contro Dio e se stesse? No. Prima di loro, che peccano contro due, vi siete voi che peccate contro tre: contro Dio, contro voi stessi e contro gli innocenti che generate per portarli alla disperazione. Pensatelo. Pensatelo bene. Dio è giusto, e se pesa la colpa pesa anche le cause della colpa. E in questo caso il peso della colpa alleggerisce la condanna del suicida, ma carica la condanna di voi, veri omicidi delle vostre creature disperate.
In quel giorno di riposo che Dio ha messo nella settimana, e vi ha dato l’esempio suo di riposo[472] - pensate, Lui: l’Agente infinito, il Generante che da Se stesso si genera continuamente, Lui vi ha mostrato il bisogno di riposo, per voi lo ha fatto, per esservi Maestro nella vita. E voi, trascurabili potenze, volete non tenerne conto quasi foste più potenti di Dio! -. In quel giorno di riposo per la vostra carne che si spezza sotto fatica eccessiva, sappiate occuparvi dei diritti e dei doveri dell’anima. Diritti: alla Vita vera. L’anima muore se è tenuta separata da Dio. La domenica datela all’anima vostra - poiché non sapete farlo tutti i giorni e tutte le ore - perché in essa domenica essa si nutra della Parola di Dio, si saturi di Dio, per avere vitalità durante gli altri giorni di lavoro.
Così dolce il riposo nella casa del padre ad un figlio che il lavoro ha tenuto lontano per tutta la settimana! E perché voi questa dolcezza non la date all’anima vostra? Perché insozzate questo giorno con crapule e libidini, invece di farne una tersa luce per beatitudine vostra di ora e di poi?
E, dopo l’amore per chi vi ha creato, l’amore a chi vi ha generato e a chi vi è fratello. Se Dio è Carità, come potete dire di essere in Dio se non cercate di somigliarlo nella carità? E potete dire di somigliarlo se amate Lui solo e non gli altri creati da Lui? Sì, che Dio va amato più di tutti, ma non può dire di amare Dio chi spregia di amare coloro che Dio ama.
Amate dunque per primi quelli che per avervi generato sono i creatori secondi del vostro essere sulla Terra. Il Creatore supremo è il Signore Iddio, che forma le vostre anime e, padrone come è della Vita e della Morte, permette il vostro venire alla vita. Ma creatori secondi sono coloro che di due carni e di due sangui fanno una nuova carne, un nuovo figlio di Dio, un nuovo futuro abitante dei Cieli. Perché è per i Cieli che siete creati, perché è per i Cieli che dovete vivere sulla Terra.
Oh! sublime dignità del padre e della madre! Episcopato santo, dico con parola ardita ma vera, che consacra un nuovo servo a Dio col crisma di un amore coniugale, lo lava col pianto della genitrice, lo veste col lavoro del padre, lo rende portatore della Luce infondendo la conoscenza di Dio nelle menti pargole e l’amore di Dio nei cuori innocenti. In verità vi dico che di poco inferiori a Dio sono i genitori solo per il fatto di creare un nuovo Adamo. Ma che poi, quando i genitori sanno fare del nuovo Adamo un nuovo piccolo Cristo, allora la loro dignità è appena di un grado inferiore a quella dell’Eterno.
Amate dunque di amore unicamente inferiore a quello che dovete avere per il Signore Iddio vostro, il padre e la madre vostra, questa duplice manifestazione di Dio che l’amore coniugale fa divenire una “unità”. Amatela perché la sua dignità e le sue opere sono le più simili a quelle di Dio per voi: sono essi genitori i vostri terreni creatori, e tutto in voi li deve venerare per tali.
E amate la vostra prole, o genitori. Ricordate che ad ogni dovere corrisponde un diritto e che, se i figli hanno il dovere di vedere in voi la dignità più grande dopo Dio e di darvi l’amore più grande dopo quello totale che va dato a Dio, voi avete il dovere di essere perfetti per non sminuire il concetto e l’amore dei figli verso di voi.
Ricordatevi che generare una carne è molto, ma è niente nello stesso tempo. Anche gli animali generano una carne e molte volte la curano meglio di voi. Ma voi generate un cittadino dei Cieli. Di questo vi dovete preoccupare. Non spegnete la luce nelle anime dei figli, non permettete che la perla dell’anima dei figli vostri prenda abitudine al fango, perché essa abitudine non la spinga a sommergersi nel fango. Date amore, amore santo ai figli vostri, e non stolte cure alla bellezza fisica, alla cultura umana. No. È la bellezza della loro anima, l’educazione del loro spirito quella che dovete curare.
La vita dei genitori è sacrificio come è quella dei sacerdoti e dei maestri convinti della loro missione. Tutte e tre le categorie sono di “formatori” di ciò che non muore: lo spirito, o la psiche, se più vi piace. E dato che lo spirito sta alla carne nella proporzione di mille a uno, considerate a quale perfezione dovrebbero attingere genitori, maestri e sacerdoti per essere veramente quali dovrebbero. Dico “perfezione”. Non basta “formazione”. Devono formare gli altri, ma per formarli non deformi devono modellarli su un perfetto modello. E come possono pretenderlo se sono imperfetti essi stessi? E come possono divenire perfetti essi stessi se non si modellano sul Perfetto che è Dio? E cosa può rendere capace l’uomo di modellarsi su Dio? L’amore. Sempre l’amore. Siete ferro grezzo e informe. L’amore è la fornace che vi purifica e scioglie e vi fa fluidi per colare attraverso le vene soprannaturali nella forma di Dio. Allora sarete i “formatori” altrui: quando vi sarete formati sulla perfezione di Dio.
Molte volte i figli rappresentano il fallimento spirituale dei genitori. Si vede attraverso ai figli ciò che valevano i genitori. Ché, se è vero che talora da genitori santi nascono figli depravati, questa è l’eccezione. Generalmente uno dei genitori almeno non è santo e, dato che vi è più facile copiare il male che il bene, il figlio copia il men buono. È anche vero che talora da genitori depravati nasce un figlio santo. Ma anche qui è difficile che ambedue i genitori siano depravati. Per legge di compenso il più buono dei due è buono per due, e con preghiere, lacrime e parole compie l’opera di tutti e due formando il figlio al Cielo.
Ad ogni modo, o figli, quali che siano i vostri genitori, Io vi dico: “Non giudicate, amate soltanto, perdonate soltanto, ubbidite soltanto, fuorché in quelle cose che sono contrarie alla mia Legge. A voi il merito dell’ubbidienza, dell’amore e del perdono, del perdono di voi figli, Maria, che accelera il perdono di Dio ai genitori e tanto più l’accelera quanto più è perdono completo; ai genitori la responsabilità e il giusto giudizio, sia riguardo a voi, sia per quanto spetta a Dio, di Dio, unico Giudice”.
Superfluo è spiegare che uccidere è mancare all’amore. Amore verso Dio, al quale levate il diritto di vita e di morte verso una sua creatura e il diritto di Giudice. Solo Dio è Giudice e Giudice santo e, se Egli ha concesso all’uomo di crearsi dei consessi di giustizia per mettervi un freno sia nel delitto sia nella punizione, guai a voi se, come mancate alla Giustizia di Dio, mancate alla giustizia dell’uomo erigendovi a giudici di un vostro simile che ha mancato o credete che vi abbia mancato.
Pensate, o poveri figli, che l’offesa, il dolore sconvolgono mente e cuore, e che l’ira e lo stesso dolore mettono un velo alla vostra vista intellettuale, velo che vi preclude la visione della verità vera e della carità quale Dio ve la presenta perché su di essa sappiate regolare il vostro anche giusto sdegno e non farne, con troppa spietata condanna, una ingiustizia. Siate santi anche mentre l’offesa vi brucia. Ricordatevi di Dio soprattutto allora.
E voi pure, giudici della Terra, siate santi. Avete per le mani gli orrori più vivi dell’umanità. Scrutateli con occhio e mente intrisi di Dio. Vedete il “perché” vero di certe “miserie”. Pensate che, se anche sono vere “miserie” della umanità che si degrada, molte sono le cause che le producono. Nella mano che uccise cercate la forza che la mosse ad uccidere e ricordatevi che voi pure siete uomini. Interrogatevi se voi: traditi, abbandonati, stuzzicati, sareste stati migliori di colui o di colei che vi è davanti in attesa di sentenza. Facendo il severo esame di voi, pensate se nessuna donna può accusarvi di essere i veri uccisori del figlio che ella soppresse, perché dopo l’ora gioconda voi vi siete sottratti al vostro impegno d’onore. E, se lo potete fare, siate pure severi.
Ma se, dopo aver peccato contro la creatura nata da una vostra insidia e da una vostra lussuria, volete ancora ottenere un perdono da Colui che non si inganna e non si smemora con anni e anni di vita corretta, dopo quella scorrettezza che non avete voluto riparare, o dopo quel delitto che avete provocato, siate almeno operosi nel prevenire il male, e specie là dove leggerezza femminile e miseria d’ambiente predispongono alle cadute nel vizio e nell’infanticidio.
Ricordate, o uomini, che Io, il Puro, non ho ricusato di redimere le donne senza onore[473]. E per l’onore che più non avevano ho fatto sorgere nel loro animo, come fiore da un suolo profanato, il fiore vivo del pentimento che redime. Ho dato il mio pietoso amore alle povere disgraziate che un cosiddetto “amore” aveva prostrate nel fango. Il mio amore vero le ha salvate dalla lussuria che il cosiddetto amore aveva inoculato in loro. Se le avessi maledette e fuggite, le avrei perdute per sempre. Le ho amate anche per il mondo, che dopo averle godute le ricopre di ipocrito scherno e di bugiardo sdegno. Al posto delle carezze di peccato, le ho carezzate con la purezza del mio sguardo; al posto delle parole di delirio, ho avuto per loro parole d’amore; al posto della moneta, vergognoso prezzo del loro bacio, ho dato le ricchezze della mia Verità.
Così si fa, uomini, per trarre dal fango chi nel fango sprofonda, e non ci si avvinghia al collo per perire in due, o non si gettano pietre per sprofondarvele di più. È l’amore, è sempre l’amore che salva.
Quale peccato contro l’amore sia l’adulterio, ne ho già parlato[474] e non ripeto, per ora almeno. Vi è su questo rigurgito di animalità tanto da dire - e tanto che non capireste neppure, perché d’essere traditori del focolare ve ne vantate - che per pietà della mia piccola discepola mi taccio. Non voglio esaurire le forze della creatura sfinita e turbare il suo animo con crudezze umane poiché, prossimo alla mèta, pensa solo al Cielo.
Colui che ruba, è ovvio che manchi all’amore. Se si ricordasse di non fare agli altri ciò che non vorrebbe fatto a se stesso, e amasse gli altri quanto se stesso, non leverebbe con violenza e frode ciò che è del prossimo suo. Non mancherebbe perciò all’amore, come invece vi manca commettendo ladroneccio che può essere di merce, di denaro, come di occupazione. Quanti furti commettete derubando un posto all’amico, un’invenzione al compagno! Siete ladri, tre volte ladri, facendo ciò. Lo siete più che se rubaste un portafoglio o una gemma, perché senza questi si può ancora vivere, ma senza un posto di guadagno si muore, e con il derubato del posto muore la sua famiglia di fame.
Vi ho dato la parola come segno di elevazione su tutti gli altri animali della Terra. Dovreste dunque amarmi per la parola, dono mio. Ma posso dire che mi amate per la parola, quando di questo dono di Cielo vi fate arma per rovinare il prossimo col giuramento falso? No, non amate né Me né il prossimo quando asserite il falso, ma sibbene ci odiate. Non riflettete che la parola uccide non solo la carne, ma la riputazione di un uomo? Chi uccide odia, chi odia non ama.
L’invidia non è carità: è anticarità. Chi desidera smodatamente la roba altrui è invido e non ama. Siate contenti di ciò che avete. Pensate che sotto l’apparenza di gioia vi sono sovente dolori che Dio vede e che sono risparmiati a voi, apparentemente meno felici di coloro che invidiate. Ché, se poi l’oggetto desiderato è la altrui moglie o l’altrui marito, allora sappiate che al peccato d’invidia unite quello di lussuria e di adulterio. Compiete perciò una triplice offesa alla carità di Dio e di prossimo.
Come vedete, se voi contravvenite al decalogo contravvenite all’amore. E così è per i consigli che vi ho dato, che sono il fiore della pianta della Carità. Ora, se contravvenendo alla Legge contravvenite all’amore, è ovvio che il peccato è mancanza all’amore. E perciò deve espiarsi con l’amore. L’amore che non avete saputo darmi in Terra, me lo dovete dare nel Purgatorio. Ecco perché dico[475] che il Purgatorio altro non è che sofferenza d’amore.
Avete per tutta la vita poco amato Dio nella sua Legge. Vi siete buttati dietro le spalle il pensiero di Lui, avete vissuto amando tutti e poco amando Lui. È giusto che, non avendo meritato l’Inferno e non avendo meritato il Paradiso, ve lo meritiate ora accendendovi di carità, ardendo per quanto siete stati tiepidi sulla Terra. È giusto che sospiriate per mille e mille ore di espiazione d’amore ciò che avete mille e mille volte mancato di sospirare sulla Terra: Dio, scopo supremo delle intelligenze create. Ad ogni volta che avete voltato le spalle all’amore corrispondono anni e secoli di nostalgia amorosa. Anni o secoli a seconda della vostra gravità di colpa.
Fatti ormai sicuri di Dio, cogniti della superna bellezza di Dio per quel fugace incontro del primo giudizio, il cui ricordo viene seco voi per rendervi più viva l’ansia d’amore, voi sospirate a Lui, la lontananza di Lui piangete, d’esser stati voi la causa di tale lontananza vi rammaricate e pentite, e sempre più vi rendete penetrabili a quel fuoco acceso dalla Carità per vostro supremo bene.
Quando i meriti del Cristo vengono, dalle preghiere dei viventi che vi amano, gettati come essenze d’ardore nel fuoco santo del Purgatorio, l’incandescenza d’amore vi penetra più forte e più addentro e, fra il rutilare delle vampe, sempre più si fa lucido in voi il ricordo di Dio visto in quell’attimo.
Come nella vita della Terra più cresce l’amore e più sottile si fa il velo che cela al vivente la Divinità, altrettanto nel secondo regno più cresce la purificazione, e perciò l’amore, e più prossimo e visibile si fa il volto di Dio. Già traluce e sorride fra il balenare del santo fuoco. È come un Sole che sempre più si fa presso, e la sua luce e il suo calore annullano sempre più la luce e il calore del fuoco purgativo, finché, passando dal meritato e benedetto tormento del fuoco al conquistato e beato refrigerio del possesso, passate da vampa a Vampa, da luce a Luce, salite ad esser luce e vampa in Esso, Sole eterno, come scintilla assorbita da un rogo e come lampada gettata in un incendio.
Oh! gaudio dei gaudi, quando vi troverete assurti alla mia Gloria, passati da quel regno di attesa al Regno di trionfo. Oh! conoscenza perfetta del Perfetto Amore!
Questa conoscenza, o Maria, è mistero che la mente può conoscere per volere di Dio, ma non può descrivere con parola umana. Credi che merita soffrire tutta una vita per possederla dall’ora della morte. Credi che non v’è più grande carità di procurarla con le preghiere a chi amaste sulla Terra e che ora iniziano la purgazione nell’amore, al quale chiusero in vita le porte del cuore tante e tante volte.
Animo, benedetta alla quale sono svelate le verità nascoste. Procedi, opera e sali. Per te stessa e per chi ami nell’al di là.
Lascia consumare dall’Amore lo stame di tua vita. Riversa il tuo amore sul Purgatorio per aprire le porte del Cielo a chi ami. Te beata se saprai amare sino all’incenerimento di ciò che è debole e che peccò. Allo spirito purificato dall’immolazione d’amore vengono incontro i Serafini e gli insegnano il Sanctus eterno da cantare[476] ai piedi del mio trono.»
[466] l’argomento trattato il 17 ottobre.
[467] comandi, che sono sintetizzati nei precetti di Deuteronomio 6, 5 (amore verso Dio) e di Levitico 19, 18 (amore verso il prossimo), già richiamati il 7 luglio e il 17 ottobre. Da essi dipendono i dieci comandamenti, che vengono qui commentati e che sono tramandati in Esodo 20, 1-17; Deuteronomio 5, 1-22.
[468] l’ha detto in Salmo 82, 6.
[469] coloro che mi odiano, come è detto in Esodo 20, 5.
[470] prima disubbidienza, nel contesto del peccato originale, già richiamato il 26 e 29 settembre e il 12 ottobre.
[471] come sepolcri…, secondo l’immagine di Matteo 23, 27.
[472] l’esempio suo di riposo, come si legge in Genesi 2, 2-3.
[473] non ho ricusato di redimere le donne senza onore, come Maria di Magdala (ravvisata, nel “dettato” del 13 ottobre, nella peccatrice innominata dell’episodio di Luca 7, 36-50), la samaritana (in Giovanni 4, 5-26) e l’adultera (in Giovanni 8, 3-11).
[474] ne ho già parlato il 25 settembre.
[475] dico, come già detto il 17 ottobre.
[476] da cantare, come in Isaia 6, 1-3.