Liturgia delle Ore - Letture
Giovedi della 3° settimana del Tempo di Pasqua
Vangelo secondo Giovanni 6
1Dopo questi fatti, Gesù andò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade,2e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi.3Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli.4Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.5Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: "Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?".6Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare.7Gli rispose Filippo: "Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo".8Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro:9"C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?".10Rispose Gesù: "Fateli sedere". C'era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini.11Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero.12E quando furono saziati, disse ai discepoli: "Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto".13Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
14Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: "Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!".15Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo.
16Venuta intanto la sera, i suoi discepoli scesero al mare17e, saliti in una barca, si avviarono verso l'altra riva in direzione di Cafàrnao. Era ormai buio, e Gesù non era ancora venuto da loro.18Il mare era agitato, perché soffiava un forte vento.19Dopo aver remato circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura.20Ma egli disse loro: "Sono io, non temete".21Allora vollero prenderlo sulla barca e rapidamente la barca toccò la riva alla quale erano diretti.
22Il giorno dopo, la folla, rimasta dall'altra parte del mare, notò che c'era una barca sola e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma soltanto i suoi discepoli erano partiti.23Altre barche erano giunte nel frattempo da Tiberìade, presso il luogo dove avevano mangiato il pane dopo che il Signore aveva reso grazie.24Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù.25Trovatolo di là dal mare, gli dissero: "Rabbì, quando sei venuto qua?".
26Gesù rispose: "In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati.27Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo".28Gli dissero allora: "Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?".29Gesù rispose: "Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato".
30Allora gli dissero: "Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi?31I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: 'Diede loro da mangiare un pane dal cielo'".32Rispose loro Gesù: "In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero;33il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo".34Allora gli dissero: "Signore, dacci sempre questo pane".35Gesù rispose: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete.36Vi ho detto però che voi mi avete visto e non credete.37Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me, non lo respingerò,38perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.39E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell'ultimo giorno.40Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno".
41Intanto i Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: "Io sono il pane disceso dal cielo".42E dicevano: "Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?".
43Gesù rispose: "Non mormorate tra di voi.44Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno.45Sta scritto nei profeti: 'E tutti saranno ammaestrati da Dio'. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me.46Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre.47In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna.48Io sono il pane della vita.49I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti;50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo".
52Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?".53Gesù disse: "In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita.54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno.55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui.57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me.58Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno".
59Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.60Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: "Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?".61Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: "Questo vi scandalizza?62E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima?63È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita.64Ma vi sono alcuni tra voi che non credono". Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito.65E continuò: "Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio".
66Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui.
67Disse allora Gesù ai Dodici: "Forse anche voi volete andarvene?".68Gli rispose Simon Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna;69noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio".70Rispose Gesù: "Non ho forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!". Egli parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: questi infatti stava per tradirlo, uno dei Dodici.
Primo libro delle Cronache 24
1Classi dei figli di Aronne. Figli di Aronne: Nadàb, Abiu, Ebiatàr, Eleàzaro e Itamar.2Nadàb e Abiu morirono prima del padre e non lasciarono discendenti. Esercitarono il sacerdozio Eleàzaro e Itamar.
3Davide, insieme con Zadòk dei figli di Eleàzaro e con Achimèlech dei figli di Itamar, li divise in classi secondo il loro servizio.4Poiché risultò che i figli di Eleàzaro, relativamente alla somma dei maschi, erano più numerosi dei figli di Itamar, furono così classificati: sedici capi di casati per i figli di Eleàzaro, otto per i figli di Itamar.5Li divisero a sorte, questi come quelli, perché c'erano principi del santuario e principi di Dio sia tra i figli di Eleàzaro che tra i figli di Itamar.6Lo scriba Semaia figlio di Netaneèl, dei figli di Levi, ne fece il catalogo alla presenza del re, dei capi, del sacerdote Zadòk, di Achimèlech figlio di Ebiàtar, dei capi dei casati sacerdotali e levitici; si registravano due casati per Eleàzaro e uno per Itamar.
7La prima sorte toccò a Ioarib, la seconda a Iedaia,8la terza a Carim, la quarta a Seorim,9la quinta a Malchia, la sesta a Miamin,10la settimana a Akkoz, l'ottava ad Abia,11la nona a Giosuè, la decima a Secania,12l'undecima a Eliasib, la dodicesima a Iakim,13la tredicesima a Cuppa, la quattordicesima a Is-Bàal,14la quindicesima a Bilga, la sedicesima a Immer,15la diciassettesima a Chezir, la diciottesima a Happizzès,16la diciannovesima a Petachia, la ventesima a Ezechiele,17la ventunesima a Iachin, la ventiduesima a Gamul,18la ventitreesima a Delaia, la ventiquattresima a Maazia.19Questi furono i turni per il loro servizio; a turno entravano nel tempio secondo la regola stabilita dal loro antenato Aronne, come gli aveva ordinato il Signore, Dio di Israele.
20Quanto agli altri figli di Levi, per i figli di Amram c'era Subaèl, per i figli di Subaèl Iecdia.21Quanto a Recabia, il capo dei figli di Recabia era Issia.22Per gli Iseariti, Selomòt; per i figli di Selomòt, Iacat.23Figli di Ebron: Ieria il primo, Amaria secondo, Iacaziel terzo, Iekameam quarto.24Figli di Uzziel: Mica; per i figli di Mica, Samir;25fratello di Mica era Issia; per i figli di Issia, Zaccaria.26Figli di Merari: Macli e Musi; per i figli di Iaazia suo figlio.27Figli di Merari nella linea di Iaazia suo figlio: Soam, Zaccur e Ibri.28Per Macli: Eleàzaro, che non ebbe figli.29Per Kis i figli di Kis: Ieracmèl.30Figli di Musi: Macli, Eder e Ierimòt. Questi sono i figli dei leviti secondo i loro casati.31Anch'essi, come i loro fratelli, figli di Aronne, furono sorteggiati alla presenza del re Davide, di Zadòk, di Achimèlech, dei casati sacerdotali e levitici, il casato del primogenito come quello del fratello minore.
Proverbi 24
1Non invidiare gli uomini malvagi,
non desiderare di stare con loro;
2poiché il loro cuore trama rovine
e le loro labbra non esprimono che malanni.
3Con la sapienza si costruisce la casa
e con la prudenza la si rende salda;
4con la scienza si riempiono le sue stanze
di tutti i beni preziosi e deliziosi.
5Un uomo saggio vale più di uno forte,
un uomo sapiente più di uno pieno di vigore,
6perché con le decisioni prudenti si fa la guerra
e la vittoria sta nel numero dei consiglieri.
7È troppo alta la sapienza per lo stolto,
alla porta della città egli non potrà aprir bocca.
8Chi trama per fare il male
si chiama mestatore.
9Il proposito dello stolto è il peccato
e lo spavaldo è l'abominio degli uomini.
10Se ti avvilisci nel giorno della sventura,
ben poca è la tua forza.
11Libera quelli che sono condotti alla morte
e salva quelli che sono trascinati al supplizio.
12Se dici: "Ecco, io non ne so nulla",
forse colui che pesa i cuori non lo comprende?
Colui che veglia sulla tua vita lo sa;
egli renderà a ciascuno secondo le sue opere.
13Mangia, figlio mio, il miele, perché è buono
e dolce sarà il favo al tuo palato.
14Sappi che tale è la sapienza per te:
se l'acquisti, avrai un avvenire
e la tua speranza non sarà stroncata.
15Non insidiare, o malvagio, la dimora del giusto,
non distruggere la sua abitazione,
16perché se il giusto cade sette volte, egli si rialza,
ma gli empi soccombono nella sventura.
17Non ti rallegrare per la caduta del tuo nemico
e non gioisca il tuo cuore, quando egli soccombe,
18perché il Signore non veda e se ne dispiaccia
e allontani da lui la collera.
19Non irritarti per i malvagi
e non invidiare gli empi,
20perché non ci sarà avvenire per il malvagio
e la lucerna degli empi si estinguerà.
21Temi il Signore, figlio mio, e il re;
non ribellarti né all'uno né all'altro,
22perché improvvisa sorgerà la loro vendetta
e chi sa quale scempio faranno l'uno e l'altro?
23Anche queste sono parole dei saggi.
Aver preferenze personali in giudizio non è bene.
24Se uno dice all'empio: "Tu sei innocente",
i popoli lo malediranno, le genti lo esecreranno,
25mentre tutto andrà bene a coloro che rendono giustizia,
su di loro si riverserà la benedizione.
26Dà un bacio sulle labbra
colui che risponde con parole rette.
27Sistema i tuoi affari di fuori
e fatti i lavori dei campi
e poi costruisciti la casa.
28Non testimoniare alla leggera contro il tuo prossimo
e non ingannare con le labbra.
29Non dire: "Come ha fatto a me così io farò a lui,
renderò a ciascuno come si merita".
30Sono passato vicino al campo di un pigro,
alla vigna di un uomo insensato:
31ecco, ovunque erano cresciute le erbacce,
il terreno era coperto di cardi
e il recinto di pietre era in rovina.
32Osservando, riflettevo
e, vedendo, ho tratto questa lezione:
33un po' dormire, un po' sonnecchiare,
un po' incrociare le braccia per riposare
34e intanto viene passeggiando la miseria
e l'indigenza come un accattone.
Salmi 96
1Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore da tutta la terra.
2Cantate al Signore, benedite il suo nome,
annunziate di giorno in giorno la sua salvezza.
3In mezzo ai popoli raccontate la sua gloria,
a tutte le nazioni dite i suoi prodigi.
4Grande è il Signore e degno di ogni lode,
terribile sopra tutti gli dèi.
5Tutti gli dèi delle nazioni sono un nulla,
ma il Signore ha fatto i cieli.
6Maestà e bellezza sono davanti a lui,
potenza e splendore nel suo santuario.
7Date al Signore, o famiglie dei popoli,
date al Signore gloria e potenza,
8date al Signore la gloria del suo nome.
Portate offerte ed entrate nei suoi atri,
9prostratevi al Signore in sacri ornamenti.
Tremi davanti a lui tutta la terra.
10Dite tra i popoli: "Il Signore regna!".
Sorregge il mondo, perché non vacilli;
giudica le nazioni con rettitudine.
11Gioiscano i cieli, esulti la terra,
frema il mare e quanto racchiude;
12esultino i campi e quanto contengono,
si rallegrino gli alberi della foresta
13davanti al Signore che viene,
perché viene a giudicare la terra.
Giudicherà il mondo con giustizia
e con verità tutte le genti.
Lamentazioni 3
1Io sono l'uomo che ha provato la miseria
sotto la sferza della sua ira.
2Egli mi ha guidato, mi ha fatto camminare
nelle tenebre e non nella luce.
3Solo contro di me egli ha volto e rivolto
la sua mano tutto il giorno.
4Egli ha consumato la mia carne e la mia pelle,
ha rotto le mie ossa.
5Ha costruito sopra di me, mi ha circondato
di veleno e di affanno.
6Mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi
come i morti da lungo tempo.
7Mi ha costruito un muro tutt'intorno,
perché non potessi più uscire;
ha reso pesanti le mie catene.
8Anche se grido e invoco aiuto,
egli soffoca la mia preghiera.
9Ha sbarrato le mie vie con blocchi di pietra,
ha ostruito i miei sentieri.
10Egli era per me un orso in agguato,
un leone in luoghi nascosti.
11Seminando di spine la mia via, mi ha lacerato,
mi ha reso desolato.
12Ha teso l'arco, mi ha posto
come bersaglio alle sue saette.
13Ha conficcato nei miei fianchi
le frecce della sua faretra.
14Son diventato lo scherno di tutti i popoli,
la loro canzone d'ogni giorno.
15Mi ha saziato con erbe amare,
mi ha dissetato con assenzio.
16Mi ha spezzato con la sabbia i denti,
mi ha steso nella polvere.
17Son rimasto lontano dalla pace,
ho dimenticato il benessere.
18E dico: "È sparita la mia gloria,
la speranza che mi veniva dal Signore".
19Il ricordo della mia miseria e del mio vagare
è come assenzio e veleno.
20Ben se ne ricorda e si accascia
dentro di me la mia anima.
21Questo intendo richiamare alla mia mente,
e per questo voglio riprendere speranza.
22Le misericordie del Signore non sono finite,
non è esaurita la sua compassione;
23esse son rinnovate ogni mattina,
grande è la sua fedeltà.
24"Mia parte è il Signore - io esclamo -
per questo in lui voglio sperare".
25Buono è il Signore con chi spera in lui,
con l'anima che lo cerca.
26È bene aspettare in silenzio
la salvezza del Signore.
27È bene per l'uomo portare
il giogo fin dalla giovinezza.
28Sieda costui solitario e resti in silenzio,
poiché egli glielo ha imposto;
29cacci nella polvere la bocca,
forse c'è ancora speranza;
30porga a chi lo percuote la sua guancia,
si sazi di umiliazioni.
31Poiché il Signore non rigetta mai...
32Ma, se affligge, avrà anche pietà
secondo la sua grande misericordia.
33Poiché contro il suo desiderio egli umilia
e affligge i figli dell'uomo.
34Quando schiacciano sotto i loro piedi
tutti i prigionieri del paese,
35quando falsano i diritti di un uomo
in presenza dell'Altissimo,
36quando fan torto a un altro in una causa,
forse non vede il Signore tutto ciò?
37Chi mai ha parlato e la sua parola si è avverata,
senza che il Signore lo avesse comandato?
38Dalla bocca dell'Altissimo non procedono forse
le sventure e il bene?
39Perché si rammarica un essere vivente,
un uomo, per i castighi dei suoi peccati?
40"Esaminiamo la nostra condotta e scrutiamola,
ritorniamo al Signore.
41Innalziamo i nostri cuori al di sopra delle mani,
verso Dio nei cieli.
42Abbiamo peccato e siamo stati ribelli;
tu non ci hai perdonato.
43Ti sei avvolto nell'ira e ci hai perseguitati,
hai ucciso senza pietà.
44Ti sei avvolto in una nube,
così che la supplica non giungesse fino a te.
45Ci hai ridotti a spazzatura e rifiuto
in mezzo ai popoli.
46Han spalancato la bocca contro di noi
tutti i nostri nemici.
47Terrore e trabocchetto sono la nostra sorte,
desolazione e rovina".
48Rivoli di lacrime scorrono dai miei occhi,
per la rovina della figlia del mio popolo.
49Il mio occhio piange senza sosta
perché non ha pace
50finché non guardi e non veda il Signore dal cielo.
51Il mio occhio mi tormenta
per tutte le figlie della mia città.
52Mi han dato la caccia come a un passero
coloro che mi son nemici senza ragione.
53Mi han chiuso vivo nella fossa
e han gettato pietre su di me.
54Son salite le acque fin sopra il mio capo;
io dissi: "È finita per me".
55Ho invocato il tuo nome, o Signore,
dalla fossa profonda.
56Tu hai udito la mia voce: "Non chiudere
l'orecchio al mio sfogo".
57Tu eri vicino quando ti invocavo,
hai detto: "Non temere!".
58Tu hai difeso, Signore, la mia causa,
hai riscattato la mia vita.
59Hai visto, o Signore, il torto che ho patito,
difendi il mio diritto!
60Hai visto tutte le loro vendette,
tutte le loro trame contro di me.
61Hai udito, Signore, i loro insulti,
tutte le loro trame contro di me,
62i discorsi dei miei oppositori e le loro ostilità
contro di me tutto il giorno.
63Osserva quando siedono e quando si alzano;
io sono la loro beffarda canzone.
64Rendi loro il contraccambio, o Signore,
secondo l'opera delle loro mani.
65Rendili duri di cuore,
la tua maledizione su di loro!
66Perseguitali nell'ira e distruggili
sotto il cielo, Signore.
Atti degli Apostoli 25
1Festo dunque, raggiunta la provincia, tre giorni dopo salì da Cesarèa a Gerusalemme.2I sommi sacerdoti e i capi dei Giudei gli si presentarono per accusare Paolo e cercavano di persuaderlo,3chiedendo come un favore, in odio a Paolo, che lo facesse venire a Gerusalemme; e intanto disponevano un tranello per ucciderlo lungo il percorso.4Festo rispose che Paolo stava sotto custodia a Cesarèa e che egli stesso sarebbe partito fra breve.5"Quelli dunque che hanno autorità tra voi, disse, vengano con me e se vi è qualche colpa in quell'uomo, lo denuncino".
6Dopo essersi trattenuto fra loro non più di otto o dieci giorni, discese a Cesarèa e il giorno seguente, sedendo in tribunale, ordinò che gli si conducesse Paolo.7Appena giunse, lo attorniarono i Giudei discesi da Gerusalemme, imputandogli numerose e gravi colpe, senza però riuscire a provarle.8Paolo a sua difesa disse: "Non ho commesso alcuna colpa, né contro la legge dei Giudei, né contro il tempio, né contro Cesare".9Ma Festo volendo fare un favore ai Giudei, si volse a Paolo e disse: "Vuoi andare a Gerusalemme per essere là giudicato di queste cose, davanti a me?".10Paolo rispose: "Mi trovo davanti al tribunale di Cesare, qui mi si deve giudicare. Ai Giudei non ho fatto alcun torto, come anche tu sai perfettamente.11Se dunque sono in colpa e ho commesso qualche cosa che meriti la morte, non rifiuto di morire; ma se nelle accuse di costoro non c'è nulla di vero, nessuno ha il potere di consegnarmi a loro. Io mi appello a Cesare".12Allora Festo, dopo aver conferito con il consiglio, rispose: "Ti sei appellato a Cesare, a Cesare andrai".
13Erano trascorsi alcuni giorni, quando arrivarono a Cesarèa il re Agrippa e Berenìce, per salutare Festo.14E poiché si trattennero parecchi giorni, Festo espose al re il caso di Paolo: "C'è un uomo, lasciato qui prigioniero da Felice, contro il quale,15durante la mia visita a Gerusalemme, si presentarono con accuse i sommi sacerdoti e gli anziani dei Giudei per reclamarne la condanna.16Risposi che i Romani non usano consegnare una persona, prima che l'accusato sia stato messo a confronto con i suoi accusatori e possa aver modo di difendersi dall'accusa.17Allora essi convennero qui e io senza indugi il giorno seguente sedetti in tribunale e ordinai che vi fosse condotto quell'uomo.18Gli accusatori gli si misero attorno, ma non addussero nessuna delle imputazioni criminose che io immaginavo;19avevano solo con lui alcune questioni relative la loro particolare religione e riguardanti un certo Gesù, morto, che Paolo sosteneva essere ancora in vita.20Perplesso di fronte a simili controversie, gli chiesi se voleva andare a Gerusalemme ed esser giudicato là di queste cose.21Ma Paolo si appellò perché la sua causa fosse riservata al giudizio dell'imperatore, e così ordinai che fosse tenuto sotto custodia fino a quando potrò inviarlo a Cesare".22E Agrippa a Festo: "Vorrei anch'io ascoltare quell'uomo!". "Domani, rispose, lo potrai ascoltare".
23Il giorno dopo, Agrippa e Berenìce vennero con gran pompa ed entrarono nella sala dell'udienza, accompagnati dai tribuni e dai cittadini più in vista; per ordine di Festo fu fatto entrare anche Paolo.24Allora Festo disse: "Re Agrippa e cittadini tutti qui presenti con noi, voi avete davanti agli occhi colui sul conto del quale tutto il popolo dei Giudei si è appellato a me, in Gerusalemme e qui, per chiedere a gran voce che non resti più in vita.25Io però mi sono convinto che egli non ha commesso alcuna cosa meritevole di morte ed essendosi appellato all'imperatore ho deciso di farlo partire.26Ma sul suo conto non ho nulla di preciso da scrivere al sovrano; per questo l'ho condotto davanti a voi e soprattutto davanti a te, o re Agrippa, per avere, dopo questa udienza, qualcosa da scrivere.27Mi sembra assurdo infatti mandare un prigioniero, senza indicare le accuse che si muovono contro di lui".
Capitolo VII:L’esame di coscienza e il proposito di correggersi
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1. Sopra ogni cosa è necessario che il sacerdote di Dio si appresti a celebrare, a toccare e a mangiare questo sacramento con somma umiltà di cuore e supplice reverenza, con piena fede e devota intenzione di dare gloria a Dio. Esamina attentamente la tua coscienza; rendila, per quanto ti è possibile, pura e luminosa per mezzo del sincero pentimento e dell'umile confessione dei tuoi peccati, cosicché nulla di grave tu abbia, o sappia di avere, che ti sia di rimprovero e ti impedisca di accedere liberamente al Sacramento. Abbi dispiacere di tutti i tuoi peccati in generale; e maggiormente, in particolare, abbi dolere e pianto per le tue colpe di ogni giorno. Se poi ne hai il tempo, confessa a Dio, nel segreto del tuo cuore, tutte le miserie delle tue passioni. Piangi e ti rincresca di essere ancora così legato alla carne e al mondo; così poco mortificato di fronte alle passioni e così pieno di impulsi di concupiscenza; così poco vigilante su ciò che percepiscono di fuori i sensi, così spesso perduto dietro a vane fantasie; così fortemente inclinato verso le cose esteriori e così poco attento a ciò che è dentro di noi; così facile al riso e alla dissipazione e così restio al pianto e alla compunzione; così pronto alla rilassatezza e alle comodità materiali, così pigro, invece, al rigore e al fervore; così avido di udire o vedere cose nuove e belle, e così lento ad abbracciare ciò che è basso e spregevole; così smanioso di molto possedere e così tenace nel tenere per te; così sconsiderato nel parlare e così incapace di tacere; così disordinato nella condotta e così avventato nell'agire; così profuso nel cibo; così sordo alla parola di Dio; così sollecito al riposo e così tardo al lavoro; così attento alle chiacchiere, così pieno di sonno nelle sacre veglie, compiute distrattamente affrettandone col desiderio la fine; così negligente nell'adempiere alle Ore, così tiepido nella celebrazione della Messa, così arido nella Comunione; così facilmente distratto, così di rado pienamente raccolto in te stesso; così subitamente mosso all'ira, così facile a far dispiacere agli altri; così proclive a giudicare, così severo nell'accusare; così gioioso quando le cose ti vanno bene e così poco forte nelle avversità; così facile nel proporti di fare molte cose buone, ma capace, invece, di realizzarne ben poche.
2. Confessati e deplorati, con dolore e con grande amarezza per la tua fragilità, questi e gli altri tuoi difetti, fa' il fermo proponimento di correggere per sempre la tua vita e di progredire maggiormente. Dopo di che, rimettendo a me completamente ogni tua volontà, offri te stesso sull'altare del tuo cuore, a gloria del mio nome, sacrificio perpetuo, affidando a me con fede il tuo corpo e la tua anima; cosicché tu ottenga di accostarti degnamente ad offrire a Dio la Messa e a mangiare il sacramento del mio corpo, per la tua salvezza. Non v'è dono più appropriato; non v'è altro modo per riscattare e cancellare pienamente i peccati, all'infuori della totale e perfetta offerta di se stessi a Dio, nella Messa e nella Comunione, insieme con l'offerta del corpo di Cristo. Se uno farà tutto quanto gli è possibile e si pentirà veramente, ogni volta che verrà a me per ottenere il perdono e la grazia, "Io vivo, dice il Signore, e non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva" (Ez 33,11): "giacché più non mi ricorderò dei suoi peccati" (Eb 10,17), ma tutti gli saranno rimessi.
LETTERA 20: Agostino ringrazia Antonino dell'amicizia e buona stima che ha di lui
Lettere - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaScritta nello stesso periodo (389-90).
Agostino ringrazia Antonino dell'amicizia e buona stima che ha di lui (n. 1-2) ed esprime il desiderio di vedere tutta la sua famiglia concorde nella fede e nella pietà (n. 3).
AGOSTINO AD ANTONINO
Una risposta breve ma ampliata dalla viva voce del latore.
1. Due essendo le persone che dovevano scriverti, per una parte sei stato più che pienamente soddisfatto, poiché vedi presente uno di noi. E, dato che dalla sua bocca tu ascolti anche me, avrei potuto non rispondere, se non lo avessi fatto su espressa richiesta di colui per la cui partenza mi sembrava inutile quello che ho fatto. Perciò io parlo con te forse più fruttuosamente che se ti fossi vicino, dal momento che leggi la mia lettera e ascolti colui nel cui cuore tu sai benissimo che io vivo. Con somma gioia ho esaminato e ponderato la lettera della tua Santità, giacché essa rivela il tuo animo cristiano senza alcuno degli orpelli che sono propri di questa età iniqua e inoltre pieno di amicizia per me.
Agostino si congratula con Antonino del suo buon cuore e lo ringrazia.
2. Mi congratulo con te e rendo grazie al nostro Dio e Signore per la tua fede, speranza e carità, e a te davanti a Lui perché hai di me una così buona opinione da ritenermi servo fedele di Dio e perché proprio questo ami in me con perfetta sincerità di cuore. Quantunque, anche a questo proposito, bisognerebbe congratularsi per la tua buona disposizione verso il bene piuttosto che ringraziarti. Infatti a te giova amare la bontà di per se stessa, e indubbiamente la ama chi ama colui che crede buono, tanto nel caso che lo sia realmente quanto nel caso che sia diverso da quel che si crede. A questo proposito uno solo è l'errore da cui bisogna guardarsi, cioè di giudicare diversamente da ciò che esige la verità non riguardo all'uomo ma riguardo a quello che è il bene vero dell'uomo. Tu però, fratello carissimo, che non sbagli affatto credendo o sapendo che è un grande bene servire Dio di buon grado e con purezza di cuore, quando ami un uomo qualsiasi perché lo ritieni partecipe di questo bene, possiedi già il tuo frutto, anche se egli non lo è. Pertanto con te bisogna congratularsi in questo; con lui invece non nel caso che sia amato per il motivo suddetto, ma nel caso che sia tale quale lo ritiene colui dal quale proprio per questo motivo è amato. Quale dunque io sia e quali progressi abbia fatto verso Dio lo vedrà Colui il cui giudizio non può errare non solo per quanto concerne il bene dell'uomo ma anche l'uomo stesso. A tale riguardo per te è sufficiente a procurarti la ricompensa della beatitudine eterna il fatto che, ritenendomi tale quale dev'essere un servo di Dio, mi circondi con tutto l'affetto del tuo cuore. Ti ringrazio poi vivamente perché, quando mi lodi come tale, tu mi stimoli in maniera particolare a desiderare di esserlo; e ancor più ti ringrazio se non solo ti raccomandi alle mie preghiere ma non cessi altresì di pregare per me. Infatti più gradita a Dio è la preghiera innalzata per un fratello quando si offre il sacrificio della carità.
La famiglia di Antonino goda dell'unità di fede, di pietà, di timor di Dio.
3. Saluto vivamente il tuo bambino e faccio voti che cresca secondo i precetti salutari del Signore. Anche per la tua casa io auguro e invoco l'unità della fede e la vera pietà, che è solo quella cattolica. A tal fine, se ritieni ancora necessaria l'opera mia, non esitare a chiederla confidando nel nostro comune Signore e nei diritti della carità. Tuttavia vorrei esortare la tua religiosissima prudenza a ispirare o ad alimentare nella tua consorte, che è come un vaso più fragile 1, un timore non irrazionale di Dio con la lettura dei libri sacri e con elevati discorsi. Infatti non vi è quasi nessuno, sollecito dello stato della propria anima e perciò zelante nel ricercare senza ostinazione la volontà del Signore, il quale con l'aiuto d'una buona guida non riesca a distinguere che differenza vi sia fra una qualsiasi sètta scismatica e l'unica Chiesa Cattolica.
16 - L'Altissimo rivestì di virtù l'anima di Maria santissima.
La mistica Città di Dio - Libro primo - Sant'Agostino di Ippona
Leggilo nella Biblioteca224. Dio avviò l'impetuoso torrente della sua divinità per rallegrare la mistica città dell'anima santissima di Maria facendolo sgorgare dal fonte della sua infinita sapienza e bontà. L'Altissimo aveva deciso di porre in questa divina Signora i più grandi tesori di grazie e virtù che mai siano stati dati, o saranno dati in eterno ad altra creatura. Quando giunse l'ora di donarli a lei, cioè nel medesimo istante in cui fu concepita, l'Onnipotente, con soddisfazione, esaudì il desiderio che fin dall'eternità aveva come in sospeso, finché non ne fosse giunto il tempo opportuno. Il fedelissimo Signore fece questo: riversò nell'anima santissima di Maria, nell'istante della sua concezione, tutte le grazie e i doni in grado così eminente che nessuno dei santi né tutti insieme vi poterono mai arrivare. Con parole umane tutto ciò non si può manifestare.
225. Sebbene allora fosse ricolmata, come sposa che discendeva dal cielo, di ogni perfezione e di ogni sorta di grazia interiore, non fu necessario che le esercitasse tutte subito, ma solamente quelle che poteva e che erano convenienti allo stato in cui si trovava nel grembo di sua madre. Le prime furono le virtù teologali, fede, speranza e carità, che hanno per oggetto Dio. Ella esercitò subito queste virtù conoscendo la Divinità, le sue perfezioni, i suoi attributi infiniti, la trinità e la distinzione delle Persone, con profonda fede. Questa conoscenza di Dio non ne impedì un'altra che le fu data, come presto dirò. Esercitò anche la virtù della speranza che riguarda Dio come oggetto della beatitudine e come fine ultimo. Quell'anima santissima si sollevò e s'incamminò verso Dio con intensissimi desideri di unirsi a lui senza essersi prima rivolta ad altro e senza vivere un istante solo senza questo movimento interiore. Nello stesso modo e nel medesimo istante, ella esercitò la virtù della carità, che riguarda Dio come infinito e sommo bene, con tale forza e tale stima della divinità che tutti i serafini, nella loro grande veemenza e virtù, non potranno mai giungere a così alto grado.
226. Ebbe poi le altre virtù, che ornano e perfezionano la parte razionale della creatura, nella stessa misura delle teologali; le furono date anche virtù morali e naturali in grado miracoloso e soprannaturale, e nello stesso grado, soltanto però a un livello molto più alto nell'ordine della grazia, le furono infusi i doni e i frutti dello Spirito Santo. Ebbe scienza infusa, sapienza di tutte le scienze e delle arti naturali. Da questo conobbe e seppe tutto il naturale e il soprannaturale che porta alla grandezza di Dio, di modo che fin dal primo istante, nel grembo di sua madre, fu sapiente, prudente, illuminata e capace di comprendere Dio e tutte le sue opere più di quanto lo furono e lo saranno in eterno tutte le altre creature, ad eccezione del suo Figlio santissimo. Una tale perfezione consistette non solo nelle virtù che le furono infuse in così eminente grado, ma anche negli atti che vi corrispondevano secondo la loro condizione ed eccellenza, di modo che nello stesso momento poté esercitarli col potere divino, il quale per ogni bisogno non si pose dei limiti, né si assoggettò ad altra legge se non a quella della sua divina e più che giusta volontà.
227. Di tutte queste virtù e grazie e di quanto operano si dirà molto nel corso della presente Storia della vita santissima di Maria; esprimerò qui solo qualcosa di ciò che operò nell'istante della sua concezione mediante i benefici che le furono dati e la luce che ricevette da essi. Con gli atti delle virtù teologali, come ho detto, della virtù della religione e delle altre virtù cardinali che ne conseguono, conobbe Dio nel suo essere, e come creatore e come glorificatore. Con atti eroici lo riverì, lo lodò, lo ringraziò perché l'aveva creata; lo amò, lo temette e lo adorò offrendogli sacrifici di magnificenza, lode e gloria per il suo essere immutabile. Conobbe i doni che riceveva, nonostante qualcuno le fosse nascosto: per questo rese grazie con profonda umiliazione e con prostrazioni corporali che subito fece nel grembo di sua madre con quel così piccolo corpo. Con tali atti ella ebbe più merito in quello stato che non tutti i santi nel massimo grado della loro perfezione e santità.
228. Ella ebbe un'altra visione e cognizione, superiore agli atti della fede infusa, del mistero della Divinità e della santissima Trinità. Se in quell'istante non la vide intuitivamente come i beati, la vide però astrattivamente con altra luce e visione inferiore a quella beatifica, ma superiore a tutti gli altri modi in cui Dio si può manifestare o si manifesta all'intelletto creato. Le furono mostrate alcune specie o immagini della Divinità così chiare e manifeste, che in esse conobbe l'essere immutabile di Dio e in lui tutte le creature, con maggiore luce ed evidenza di come una creatura può essere conosciuta da un'altra. Queste immagini fecero da specchio chiarissimo che rifletteva tutta la Divinità e in essa le creature: in questa luce e in queste immagini di Dio le vide più distintamente e chiaramente di quanto le conoscesse in se stesse per mezzo della scienza infusa.
229. In tutti questi modi le furono evidenti, fin dalla sua concezione, tutti gli uomini e tutti gli angeli nel loro ordine, le loro dignità e i loro compiti, nonché tutte le creature irragionevoli nelle loro nature e qualità. Conobbe la creazione, lo stato e la rovina degli angeli, la giustificazione e la gloria dei buoni, la caduta e il castigo dei cattivi, la primitiva innocenza di Adamo ed Eva, l'inganno, la colpa e la miseria che ne seguì sia per loro stessi sia per tutto il genere umano, e il decreto della volontà divina per la loro riparazione ormai già disposta e quasi giunta al momento di essere compiuta. Conobbe l'ordine e la natura dei cieli, degli astri e dei pianeti, la qualità e disposizione degli elementi, il purgatorio, il limbo e l'inferno, come tutte queste cose e quelle racchiuse in esse erano state create e conservate dal potere divino, solamente per la sua bontà infinita, senza che ne avesse necessità alcuna. Soprattutto conobbe ciò che Dio avrebbe rivelato del suo mistero facendosi uomo per redimere tutto il genere umano, lasciando i cattivi angeli senza questo rimedio.
230. Mentre l'anima santissima di Maria conosceva per ordine tutte queste meraviglie, nell'istante in cui fu unita al corpo, operava gesti eroici delle varie virtù con incomparabile stupore, lode, glorificazione, adorazione, umiliazione, amore di Dio e dolore dei peccati commessi contro quel sommo Bene che riconosceva autore e fine di tante ammirabili opere. Contemporaneamente offrì se stessa in sacrificio gradito all'Altissimo, cominciando da quel momento a benedirlo, amarlo e riverirlo con fervoroso affetto, per riparare alla mancanza di amore e di riconoscenza da parte sia degli angeli cattivi sia degli uomini. Invitò poi gli angeli santi, ella che già ne era la Regina, ad aiutarla a glorificare il creatore e Signore di tutti, e a pregare anche per lei.
231. In quell'istante il Signore le presentò gli angeli che le assegnava per custodirla: ella li vide e li conobbe, mostrò loro benevolenza ed ossequio invitandoli ad inneggiare con canti di lode all'Altissimo. Li preavvisò che questo sarebbe stato il compito che dovevano svolgere con lei in tutto il tempo della vita mortale, mentre l'assistevano e la custodivano. Conobbe similmente tutta la sua genealogia, tutto il resto del popolo santo eletto da Dio, i Patriarchi, i Profeti e quanto sua Maestà fosse stata meravigliosa nei doni, nelle grazie e nei favori che aveva operati con loro. È' davvero stupendo che la beatissima Vergine, già fin dal primo istante in cui la sua santissima anima fu creata, nonostante le diverse parti del suo santissimo corpo si distinguessero appena, piangesse di dolore per la caduta del genere umano e versasse lacrime nel grembo di sua madre ben sapendo quanto fosse terribile peccare contro il sommo Bene. Dio, nella sua onnipotenza, operò questo prodigio affinché non le mancasse nessuna eccellenza che potesse tornare a onore di colei che era eletta ad essere Madre di Dio.
232. Per questo miracoloso affetto fece suppliche, fin dal primo istante, per la salvezza del genere umano, assumendo l'ufficio di mediatrice, avvocata e riparatrice. Presentò a Dio il grido dei santi Padri e degli altri giusti della terra, affinché la sua misericordia non ritardasse la salvezza dei mortali, che ella già guardava come fratelli. Ancor prima di vivere tra loro, li amava con ardentissima carità; appena fu concepita cominciò ad essere loro benefattrice per l'amore divino e fraterno che ardeva nel suo infiammato cuore. L'Altissimo gradì tali domande più di tutte le orazioni dei santi e degli angeli; questo fu manifestato a lei, che era creata per essere Madre dello stesso Dio, nonostante ella ignorasse allora questo fine. Conobbe però l'amore dello stesso Signore e il suo ardente desiderio di scendere dal cielo per redimere gli uomini. Ed era giusto che Dio, per affrettare la sua venuta, si mostrasse obbligato, più che da ogni altro, dalle preghiere e richieste di quella creatura per la quale principalmente veniva e dalle cui viscere doveva ricevere la carne, compiendo in essa la sua opera più ammirabile, fine di tutte le altre.
233. Pregò ancora nello stesso istante della sua concezione per i suoi genitori, Gioacchino ed Anna, che, prima di vedere col corpo, vide e conobbe in Dio. Subito esercitò con loro la virtù dell'amore, della riverenza e della gratitudine di figlia, riconoscendoli causa seconda della sua esistenza. Fece anche molte altre domande generali e particolari per differenti necessità. Con la scienza infusa di cui era fornita, compose nella sua mente e nel suo cuore un inno di lode per aver trovato, alla porta della vita, la preziosa dramma che perdemmo tutti fin dal principio. Trovò la grazia che le andò incontro e la Divinità che l'aspettava ai limiti della natura. Le sue facoltà incontrarono, nel primo istante del suo esistere, il nobilissimo Oggetto che le mosse cominciando a porle in esercizio, perché solo per lui erano create. Dovendo essere sue in tutto e per tutto, a lui si dovevano le primizie delle loro attività, cioè la cognizione e l'amore divino. Non vi fu, così, in questa Signora né istante di vita senza conoscere Dio, né cognizione senza amore, né amore senza merito. In questo, niente fu piccolo o misurato con le leggi comuni e le regole generali. Tutto fu grande e tale uscì dalla mano dell'Altissimo, perché ella camminasse, crescesse, ed arrivasse ad essere così magnifica che Dio solo ne fosse maggiore. Oh, che bei passi furono i tuoi, o figlia del principe, dato che col primo di essi giungesti alla Divinità! Bella sei ben due volte, poiché la tua grazia e bellezza è ogni bellezza e grazia. Divini sono i tuoi occhi ed i tuoi pensieri sono come la porpora del re, poiché rapisti il suo cuore e lo legasti, facendolo prigioniero del tuo amore nel santuario del tuo grembo verginale e del tuo cuore.
234. Qui veramente dormiva la sposa del re, e il suo cuore vegliava. Dormivano quei sensi che appena avevano la loro forma naturale e non avevano ancora visto la luce materiale del sole; intanto quel divin cuore, più incomprensibile per la grandezza dei suoi doni che per la piccolezza della sua conformazione, vegliava nel talamo di sua madre con la luce della Divinità che lo irraggiava, infiammandolo nel fuoco del suo immenso amore. Non conveniva che in questa divina creatura le facoltà inferiori dell'anima operassero prima di quelle superiori, né che l'operare di queste fosse inferiore o uguale a quello delle altre creature. Infatti, se l'operare corrisponde all'essere di ciascuna cosa, colei che da sempre era superiore a tutte in dignità ed eccellenza, doveva operare con proporzionata superiorità rispetto ad ogni creatura angelica o umana. Non le doveva mancare l'eccellenza degli spiriti angelici, i quali nel momento in cui furono creati fecero subito uso delle loro facoltà, perché questa stessa grandezza e prerogativa le era dovuta, come a colei che era creata per essere loro Regina e signora. Le spettava, anzi, con vantaggi tanto più grandi, quanto la dignità di Madre di Dio è superiore a quella di suo servo e il nome di Regina a quello di vassallo, poiché a nessuno degli angeli il Verbo disse: «Tu sei mia madre»; né qualcuno di loro poté mai dire a lui: «Tu sei mio figlio». Soltanto tra Maria e il Verbo eterno ci fu questa comunicazione e questa vicendevole corrispondenza. In ragione di ciò si deve misurare e ponderare la grandezza di Maria, come fece l'Apostolo con quella di Cristo.
235. Nello scrivere questi misteri del Re, quando già è un onore rivelare le sue opere, confesso la mia limitatezza di donna e mi affliggo perché parlo con termini comuni e vuoti, che non arrivano a definire ciò che intendo nella luce di cui è investita la mia anima in tali misteri. Per non avvilire tanta grandezza sarebbero necessarie ben altre parole ed espressioni particolari e appropriate, ma la mia ignoranza non le trova. E quando le possedesse, sarebbero troppo elevate per l'umana debolezza. Essa si riconosca inferiore ed impotente a fissare il suo sguardo su questo sole divino, che con raggi di divinità viene al mondo, sebbene coperto dalla nube del grembo materno di sant'Anna. Se tutti desideriamo che ci sia data l'opportunità di avvicinarci a contemplare questa meravigliosa visione, andiamoci nudi e liberi: gli uni dalla naturale pusillanimità, gli altri dal timore, benché il tutto sia mascherato dall'umiltà. Andiamoci poi con somma devozione e pietà, lontani dallo spirito di discordia, così che ci sia dato di vedere da vicino, in mezzo al roveto, il fuoco della Divinità, senza esserne consumati.
236. Ho detto che l'anima santissima di Maria, quando fu concepita, vide in modo astrattivo la divina Essenza, dal momento che non mi fu data luce per dire ch'ella vide la gloria quale veramente è. Con ciò intendo esprimere che questo privilegio fu solo della santissima anima di Cristo per l'unione sostanziale con la Divinità nella persona del Verbo, affinché rimanesse sempre unita con essa per mezzo delle facoltà dell'anima per somma grazia e gloria. E come Cristo nostro bene cominciò ad essere contemporaneamente uomo e Dio, così cominciò a conoscere Dio e ad amarlo come comprensore. Ma l'anima della sua Madre santissima non era unita sostanzialmente alla Divinità, e così non agì subito come beata, poiché entrava nella vita per essere viatrice. Essendo la più vicina all'unione ipostatica, ebbe tuttavia una visione di poco inferiore a quelia beatifica, ma superiore a tutte le altre visioni e rivelazioni della Divinità avute dalle creature, eccettuata la chiara visione con la piena fruizione. La visione di Dio, che ebbe la Madre di Cristo nel primo istante, sia per alcune modalità sia per alcune qualità, eccelse su quella chiara di altri, in quanto ella conobbe più misteri astrattivamente, che non altri con visione intuitiva. Il non aver visto, però, la Divinità faccia a faccia nel momento della sua concezione, non significa che poi non l'abbia veduta molte volte nel corso della sua vita, come in seguito dirò.
Insegnamento che mi diede la Regina del cielo su questo capitolo
237. Ho detto sopra come la Regina e madre di misericordia mi aveva promesso che, quando sarei giunta a scrivere le prime azioni delle sue facoltà e virtù, m'avrebbe istruita affinché riflettessi la mia vita nello specchio purissimo della sua: è questo l'intento principale del suo rivelarsi a me. Questa gran Signora, fedelissima nelle sue parole e sempre vicina a me con la sua presenza, quando cominciò a rivelarmi tali misteri, iniziò a mantenere la sua promessa in questo capitolo, come fece ugualmente negli altri. Così io scriverò alla fine di ogni capitolo ciò che sua Altezza m'insegnerà, come faccio ora.
238. Figlia mia, io voglio che, dallo scrivere i misteri della mia santissima vita, tu raccolga per te stessa il frutto che desideri. Voglio che il premio della tua fatica sia la maggior purezza e perfezione della tua vita, se con la grazia dell'Altissimo ti disponi ad imitarmi, mettendo in pratica ciò che udrai. Questa è anche la volontà del mio Figlio santissimo: che tu applichi le tue forze a compiere ciò che io t'insegnerò, facendo attenzione, con tutta la stima del tuo cuore, alle mie virtù ed opere. Ascoltami con accuratezza e con fede, perché io ti dirò parole di vita eterna, t'insegnerò il massimo della santità e della perfezione cristiana e quello che è maggiormente accetto agli occhi di Dio. Da questo momento comincerai a prepararti per ricevere la luce nella quale intuirai chiaramente gli occulti misteri della mia santissima vita e la dottrina che desideri. Prosegui questo lavoro e scrivi ciò che a tal fine t'insegnerò. Or dunque ascolta.
239. La creatura che indirizza il suo primo movimento a Dio, quando riceve l'uso della ragione, compie un atto di giustizia verso di lui, così che, conoscendolo, lo possa amare, riverire e adorare come suo creatore e Signore unico e vero. I genitori hanno l'obbligo naturale di guidare i loro figli fin da bambini in questa conoscenza, indirizzandoli con cura perché subito cerchino il loro ultimo fine e lo incontrino attraverso i primi atti della ragione e della volontà. Dovrebbero essere attenti ad allontanarli dalle ingenuità e burle puerili, alle quali la stessa natura corrotta li inclina se si lasciano agire senza alcun educatore. Se i padri e le madri prevenissero questi inganni e questi costumi non buoni dei loro figli, e fin dalla loro giovane età li ammaestrassero sul loro Dio e creatore, questi sarebbero preparati a conoscerlo e ad adorarlo. La santa mia madre, che ignorava la mia sapienza e il mio stato, fece con me tutto questo così puntualmente e per tempo che, portandomi nelle sue viscere, adorava in mio nome il Creatore, tributandogli per me atti di somma riverenza e rendendogli grazie per avermi creata. Lo supplicava anche che mi custodisse, difendesse e liberasse dallo stato in cui io allora mi trovavo. Similmente i genitori devono chiedere con fervore a Dio che disponga con la sua provvidenza che le anime dei bambini arrivino a ricevere il battesimo e siano libere dalla schiavitù del peccato originale.
240. Se poi la creatura ragionevole non avesse riconosciuto e adorato il Creatore al momento dell'uso della ragione, deve farlo nel momento in cui lo conosce per mezzo della fede. Non deve, però, fermarsi qui; anzi l'anima dovrà impiegare questa conoscenza per non perderlo mai di vista, per temerlo sempre, amarlo ed onorarlo. Quanto a te, figlia mia, hai ottemperato questo dovere d'adorazione verso Dio in tutto il corso della tua vita; ma ora voglio che tu lo adempia ancora meglio come io te lo insegnerò. Fissa lo sguardo interiore della tua anima nell'essere di Dio, che non ha né principio né fine, e contemplalo infinito negli attributi e nelle perfezioni. Egli solo è la vera santità, il sommo bene, l'oggetto nobilissimo della creatura, colui che diede l'essere a tutte le cose create e che, senza averne alcun bisogno, le sostenta e governa. Egli è la somma bellezza senza macchia, né difetto alcuno; egli è eterno nell'amore, veritiero nelle parole, fedelissimo nelle promesse; egli è colui che diede la sua stessa vita, abbandonandosi ai tormenti per il bene delle sue creature, senza che alcuna lo abbia meritato. In questo immenso campo di bontà e di benefici, dilata la tua vista ed impegna le tue forze per non dimenticarlo e non allontanarti da lui. Sarebbe una scortesia e slealtà se, dopo aver conosciuto in questo modo il sommo Bene, lo dimenticassi con esecrabile ingratitudine. Tale sarebbe la tua, se dopo aver ricevuto una maggiore luce divina della fede, superiore a quella comune, traviassi il tuo intelletto con la tua volontà dalla via dell'amore divino. Se qualche volta, per tua debolezza, tu ti trovassi in questa situazione, torna subito a ricercare la strada con prontezza e diligenza; umiliata, adora l'Altissimo dandogli onore, magnificenza e lode eterna. Bada bene che devi considerare come tuo proprio compito fare questo incessantemente per te e per tutte le altre creature, e voglio che tu te ne mostri sempre sollecita.
241. Per esercitarti in questo con più forza, medita nel tuo cuore ciò che sai che ho fatto, e come quella prima visione del sommo Bene lasciò il mio cuore ferito d'amore. Per questo mi diedi tutta a lui per non perderlo, vivendo sollecita, mai riposando, ma camminando fino a raggiungere il centro dei miei desideri ed affetti, perché, essendo infinito l'oggetto, l'amore non vuole essere finito, né deve riposare fino a che non lo possieda. Alla conoscenza di Dio e all'amore per lui deve seguire la conoscenza di te stessa, pensando e riflettendo sulla tua pochezza e viltà. Sappi che queste verità bene intese, ripetute e meditate, producono divini effetti nelle anime. Udite queste ed altre parole della Regina, dissi a sua Maestà:
242. «Signora mia, di cui sono schiava e a cui, per esserlo nuovamente, mi dedico e mi consacro, non senza motivo il mio cuore, per vostra materna degnazione, bramava ardentemente questo giorno nel quale potessi conoscere l'ineffabile altezza delle vostre virtù nello specchio delle vostre divine opere e udire la dolcezza delle vostre salutari parole. Confesso, Regina mia, con tutto il mio cuore, di non avere compiuto opera buona per meritare in premio questo beneficio. Penso che scrivere la vostra santissima vita sia piuttosto un'opera d'eccessiva audacia, tanto che non meriterei perdono, se non lo facessi unicamente per obbedire alla vostra volontà e a quella del vostro Figlio santissimo. Accogliete, o mia Signora, questo sacrificio di lode e parlate: la vostra serva vi ascolta. Risuoni, dolcissima Signora mia, nei miei orecchi la vostra soavissima voce, dal momento che voi avete parole di vita. Proseguite così, o mia Padrona, il vostro insegnamento, affinché in questo mare immenso delle vostre perfezioni il mio cuore si dilati ed abbia degna materia per lodare l'Onnipotente. Nel mio petto arde quel fuoco che la vostra pietà ha acceso, per desiderare ardentemente ciò che la virtù ha di più santo, di più puro e di più accetto agli occhi vostri. Nel profondo di me sento la legge della carne contrastare quella dello spirito; ciò mi causa ritardo od imbarazzo e giustamente temo che m'impedisca il bene che voi, o pietosissima Madre, mi offrite. Guardatemi, dunque, o Signora mia, come figlia istruendomi come discepola, correggendomi come serva e costringendomi come schiava se dovessi tardare o resistere. Non voglio che accada questo, ma purtroppo per debolezza cadrò. Io alzerò gli occhi per conoscere l'essere di Dio, con la divina sua grazia controllerò i miei affetti, così che si innamorino delle sue infinite perfezioni; se lo raggiungo non lo lascerò più. Però voi, Signora e madre della conoscenza e del bell'amore, chiedete a vostro Figlio e mio Signore che non mi abbandoni, dal momento che si mostrò generosissimo nel favorire la vostra umiltà, o Regina e signora di tutto il creato.
9 dicembre 1941
Madre Pierina Micheli
In questi scorsi giorni, non ho saputo scrivere. Dovrei dire: non ho saputo obbedire. Ho passato qualche notte terribile, ma poi la presenza del Padre e l'ubbidienza mi vennero in aiuto e il nemico fu legato. La notte dal 6 al 7 credo, mi prese nuovamente un freddo terribile come se il corpo fosse su lastre di ghiaccio. Il Padre mi aveva detto per ubbidienza di stare calda e dormire.
Spiacente di non saper ubbidire, mi rivolsi a S. Silvestro, e dissi: allora non è vero che Tu vuoi che io ubbidisca al Padre. S. Silvestro venne al mio letto, mi pose la mano sul capo e mi disse: Sì, sì, ubbidisci. Mi riscaldai all'istante e dormii.
La sera del 7 all'8 non potei dire l'ufficio tanto il nemico mi disturbò. Lo dissi al mattino. Ieri festa della mia cara Madre Immacolata, appena entrata in Cappella, udii una voce: Anime, anime! e Si Gesù, anime, risposi io. All'istante la mia povera anima piombò nella più nera oscurità, nella pena di non poter amare, in un vuoto di tutto, nel più spaventoso abbandono.
Compresi che l'Immacolata, voleva dare a Gesù tante anime e si degnava chiedermi in aiuto. Così rimasi, in una pena che non so descrivere, ma che accettai incondizionatamente.
Anche il Padre non poté fermarsi, e la Sua pena la sentii e sento come fosse mia. L'accompagnai con la preghiera, e offro secondo le sue intenzioni e per il caro Padre ammalato. l'Immacolata conceda grazie tante.
Non un raggio di luce. La mia Madre celeste mi guarda di nascosto. Mi sento forte però, e l'impotenza ad amare, è la pena più intima e cruciante.