Liturgia delle Ore - Letture
Domenica della 3° settimana del Tempo di Pasqua
Vangelo secondo Matteo 28
1Passato il sabato, all'alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l'altra Maria andarono a visitare il sepolcro.2Ed ecco che vi fu un gran terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa.3Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve.4Per lo spavento che ebbero di lui le guardie tremarono tramortite.5Ma l'angelo disse alle donne: "Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso.6Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto.7Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l'ho detto".8Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l'annunzio ai suoi discepoli.
9Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: "Salute a voi". Ed esse, avvicinatesi, gli presero i piedi e lo adorarono.10Allora Gesù disse loro: "Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno".
11Mentre esse erano per via, alcuni della guardia giunsero in città e annunziarono ai sommi sacerdoti quanto era accaduto.12Questi si riunirono allora con gli anziani e deliberarono di dare una buona somma di denaro ai soldati dicendo:13"Dichiarate: i suoi discepoli sono venuti di notte e l'hanno rubato, mentre noi dormivamo.14E se mai la cosa verrà all'orecchio del governatore noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni noia".15Quelli, preso il denaro, fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questa diceria si è divulgata fra i Giudei fino ad oggi.
16Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato.17Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano.18E Gesù, avvicinatosi, disse loro: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra.19Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo,20insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".
Giudici 11
1Ora Iefte, il Galaadita, era uomo forte e valoroso, figlio di una prostituta; lo aveva generato Gàlaad.2Poi la moglie di Gàlaad gli partorì figli e, quando i figli della moglie furono adulti, cacciarono Iefte e gli dissero: "Tu non avrai eredità nella casa di nostro padre, perché sei figlio di un'altra donna".3Iefte fuggì lontano dai suoi fratelli e si stabilì nel paese di Tob. Attorno a Iefte si raccolsero alcuni sfaccendati e facevano scorrerie con lui.4Qualche tempo dopo gli Ammoniti mossero guerra a Israele.5Quando gli Ammoniti iniziarono la guerra contro Israele, gli anziani di Gàlaad andarono a prendere Iefte nel paese di Tob.6Dissero a Iefte: "Vieni, sii nostro condottiero e combatteremo contro gli Ammoniti".7Ma Iefte rispose agli anziani di Gàlaad: "Non siete forse voi quelli che mi avete odiato e scacciato dalla casa di mio padre? Perché venite da me ora che siete in difficoltà?".8Gli anziani di Gàlaad dissero a Iefte: "Proprio per questo ora ci rivolgiamo a te: verrai con noi, combatterai contro gli Ammoniti e sarai il capo di noi tutti abitanti di Gàlaad".9Iefte rispose agli anziani di Gàlaad: "Se mi riconducete per combattere contro gli Ammoniti e il Signore li mette in mio potere, io sarò vostro capo".10Gli anziani di Gàlaad dissero a Iefte: "Il Signore sia testimone tra di noi, se non faremo come hai detto".11Iefte dunque andò con gli anziani di Gàlaad; il popolo lo costituì suo capo e condottiero e Iefte ripeté le sue parole davanti al Signore in Mizpa.
12Poi Iefte inviò messaggeri al re degli Ammoniti per dirgli: "Che c'è tra me e te, perché tu venga contro di me a muover guerra al mio paese?".13Il re degli Ammoniti rispose ai messaggeri di Iefte: "Perché, quando Israele uscì dall'Egitto, si impadronì del mio territorio, dall'Arnon fino allo Iabbok e al Giordano; restituiscilo spontaneamente".14Iefte inviò di nuovo messaggeri al re degli Ammoniti per dirgli:15"Dice Iefte: Israele non si impadronì del paese di Moab, né del paese degli Ammoniti;16ma, quando Israele uscì dall'Egitto e attraversò il deserto fino al Mare Rosso e giunse a Kades,17mandò messaggeri al re di Edom per dirgli: Lasciami passare per il tuo paese, ma il re di Edom non acconsentì. Mandò anche al re di Moab, nemmeno lui volle e Israele rimase a Kades.18Poi camminò per il deserto, fece il giro del paese di Edom e del paese di Moab, giunse a oriente del paese di Moab e si accampò oltre l'Arnon senza entrare nei territori di Moab; perché l'Arnon segna il confine di Moab.19Allora Israele mandò messaggeri a Sicon, re degli Amorrei, re di Chesbon, e gli disse: Lasciaci passare dal tuo paese, per arrivare al nostro.20Ma Sicon non si fidò che Israele passasse per i suoi confini; anzi radunò tutta la sua gente, si accampò a Iaaz e combatté contro Israele.21Il Signore, Dio d'Israele, mise Sicon e tutta la sua gente nelle mani d'Israele, che li sconfisse; così Israele conquistò tutto il paese degli Amorrei che abitavano quel territorio;22conquistò tutti i territori degli Amorrei, dall'Arnon allo Iabbok e dal deserto al Giordano.23Ora il Signore, Dio d'Israele, ha scacciato gli Amorrei davanti a Israele suo popolo e tu vorresti possedere il loro paese?24Non possiedi tu quello che Camos tuo dio ti ha fatto possedere? Così anche noi possiederemo il paese di quelli che il Signore ha scacciati davanti a noi.25Sei tu forse più di Balak, figlio di Zippor, re di Moab? Mosse forse querela ad Israele o gli fece guerra?26Da trecento anni Israele abita a Chesbon e nelle sue dipendenze, ad Aroer e nelle sue dipendenze e in tutte le città lungo l'Arnon; perché non gliele avete tolte durante questo tempo?27Io non ti ho fatto torto e tu agisci male verso di me, muovendomi guerra; il Signore giudice giudichi oggi tra gli Israeliti e gli Ammoniti!".28Ma il re degli Ammoniti non ascoltò le parole che Iefte gli aveva mandato a dire.
29Allora lo spirito del Signore venne su Iefte ed egli attraversò Gàlaad e Manàsse, passò a Mizpa di Gàlaad e da Mizpa di Gàlaad raggiunse gli Ammoniti.30Iefte fece voto al Signore e disse: "Se tu mi metti nelle mani gli Ammoniti,31la persona che uscirà per prima dalle porte di casa mia per venirmi incontro, quando tornerò vittorioso dagli Ammoniti, sarà per il Signore e io l'offrirò in olocausto".32Quindi Iefte raggiunse gli Ammoniti per combatterli e il Signore glieli mise nelle mani.33Egli li sconfisse da Aroer fin verso Minnit, prendendo loro venti città, e fino ad Abel-Cheramin. Così gli Ammoniti furono umiliati davanti agli Israeliti.34Poi Iefte tornò a Mizpa, verso casa sua; ed ecco uscirgli incontro la figlia, con timpani e danze. Era l'unica figlia: non aveva altri figli, né altre figlie.35Appena la vide, si stracciò le vesti e disse: "Figlia mia, tu mi hai rovinato! Anche tu sei con quelli che mi hanno reso infelice! Io ho dato la mia parola al Signore e non posso ritirarmi".36Essa gli disse: "Padre mio, se hai dato parola al Signore, fa' di me secondo quanto è uscito dalla tua bocca, perché il Signore ti ha concesso vendetta sugli Ammoniti, tuoi nemici".37Poi disse al padre: "Mi sia concesso questo: lasciami libera per due mesi, perché io vada errando per i monti a piangere la mia verginità con le mie compagne".38Egli le rispose: "Va'!", e la lasciò andare per due mesi. Essa se ne andò con le compagne e pianse sui monti la sua verginità.39Alla fine dei due mesi tornò dal padre ed egli fece di lei quello che aveva promesso con voto. Essa non aveva conosciuto uomo; di qui venne in Israele questa usanza:40ogni anno le fanciulle d'Israele vanno a piangere la figlia di Iefte il Galaadita, per quattro giorni.
Siracide 35
1Chi osserva la legge moltiplica le offerte;
chi adempie i comandamenti offre un sacrificio di
comunione.
2Chi serba riconoscenza offre fior di farina,
chi pratica l'elemosina fa sacrifici di lode.
3Cosa gradita al Signore è astenersi dalla malvagità,
sacrificio espiatorio è astenersi dall'ingiustizia.
4Non presentarti a mani vuote davanti al Signore,
tutto questo è richiesto dai comandamenti.
5L'offerta del giusto arricchisce l'altare,
il suo profumo sale davanti all'Altissimo.
6Il sacrificio dell'uomo giusto è gradito,
il suo memoriale non sarà dimenticato.
7Glorifica il Signore con animo generoso,
non essere avaro nelle primizie che offri.
8In ogni offerta mostra lieto il tuo volto,
consacra con gioia la decima.
9Dà all'Altissimo in base al dono da lui ricevuto,
dà di buon animo secondo la tua possibilità,
10perché il Signore è uno che ripaga,
e sette volte ti restituirà.
11Non cercare di corromperlo con doni, non accetterà,
non confidare su una vittima ingiusta,
12perché il Signore è giudice
e non v'è presso di lui preferenza di persone.
13Non è parziale con nessuno contro il povero,
anzi ascolta proprio la preghiera dell'oppresso.
14Non trascura la supplica dell'orfano
né la vedova, quando si sfoga nel lamento.
15Le lacrime della vedova non scendono forse sulle sue
guance
e il suo grido non si alza contro chi gliele fa versare?
16Chi venera Dio sarà accolto con benevolenza,
la sua preghiera giungerà fino alle nubi.
17La preghiera dell'umile penetra le nubi,
finché non sia arrivata, non si contenta;
18non desiste finché l'Altissimo non sia intervenuto,
rendendo soddisfazione ai giusti e ristabilendo l'equità.
19Il Signore non tarderà
e non si mostrerà indulgente sul loro conto,
20finché non abbia spezzato le reni agli spietati
e si sia vendicato delle nazioni;
21finché non abbia estirpato la moltitudine dei violenti
e frantumato lo scettro degli ingiusti;
22finché non abbia reso a ognuno secondo le sue azioni
e vagliato le opere degli uomini secondo le loro
intenzioni;
23finché non abbia fatto giustizia al suo popolo
e non lo abbia allietato con la sua misericordia.
24Bella è la misericordia al tempo dell'afflizione,
come le nubi apportatrici di pioggia in tempo di siccità.
Salmi 38
1'Salmo. Di Davide. In memoria.'
2Signore, non castigarmi nel tuo sdegno,
non punirmi nella tua ira.
3Le tue frecce mi hanno trafitto,
su di me è scesa la tua mano.
4Per il tuo sdegno non c'è in me nulla di sano,
nulla è intatto nelle mie ossa per i miei peccati.
5Le mie iniquità hanno superato il mio capo,
come carico pesante mi hanno oppresso.
6Putride e fetide sono le mie piaghe
a causa della mia stoltezza.
7Sono curvo e accasciato,
triste mi aggiro tutto il giorno.
8Sono torturati i miei fianchi,
in me non c'è nulla di sano.
9Afflitto e sfinito all'estremo,
ruggisco per il fremito del mio cuore.
10Signore, davanti a te ogni mio desiderio
e il mio gemito a te non è nascosto.
11Palpita il mio cuore,
la forza mi abbandona,
si spegne la luce dei miei occhi.
12Amici e compagni si scostano dalle mie piaghe,
i miei vicini stanno a distanza.
13Tende lacci chi attenta alla mia vita,
trama insidie chi cerca la mia rovina.
e tutto il giorno medita inganni.
14Io, come un sordo, non ascolto
e come un muto non apro la bocca;
15sono come un uomo che non sente e non risponde.
16In te spero, Signore;
tu mi risponderai, Signore Dio mio.
17Ho detto: "Di me non godano,
contro di me non si vantino
quando il mio piede vacilla".
18Poiché io sto per cadere
e ho sempre dinanzi la mia pena.
19Ecco, confesso la mia colpa,
sono in ansia per il mio peccato.
20I miei nemici sono vivi e forti,
troppi mi odiano senza motivo,
21mi pagano il bene col male,
mi accusano perché cerco il bene.
22Non abbandonarmi, Signore,
Dio mio, da me non stare lontano;
23accorri in mio aiuto,
Signore, mia salvezza.
Malachia 3
1Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate; l'angelo dell'alleanza, che voi sospirate, ecco viene, dice il Signore degli eserciti.2Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai.3Siederà per fondere e purificare; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un'oblazione secondo giustizia.4Allora l'offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani.5Io mi accosterò a voi per il giudizio e sarò un testimone pronto contro gli incantatori, contro gli adùlteri, contro gli spergiuri, contro chi froda il salario all'operaio, contro gli oppressori della vedova e dell'orfano e contro chi fa torto al forestiero. Costoro non mi temono, dice il Signore degli eserciti.
6Io sono il Signore, non cambio;
voi, figli di Giacobbe, non siete ancora al termine.
7Fin dai tempi dei vostri padri
vi siete allontanati dai miei precetti,
non li avete osservati.
Ritornate a me e io tornerò a voi,
dice il Signore degli eserciti.
Ma voi dite:
"Come dobbiamo tornare?".
8Può un uomo frodare Dio?
Eppure voi mi frodate
e andate dicendo:
"Come ti abbiamo frodato?".
Nelle decime e nelle primizie.
9Siete già stati colpiti dalla maledizione
e andate ancora frodandomi,
voi, la nazione tutta!
10Portate le decime intere nel tesoro del tempio,
perché ci sia cibo nella mia casa;
poi mettetemi pure alla prova in questo,
- dice il Signore degli eserciti -
se io non vi aprirò le cateratte del cielo
e non riverserò su di voi benedizioni sovrabbondanti.
11Terrò indietro gli insetti divoratori
perché non vi distruggano i frutti della terra
e la vite non sia sterile nel campo,
dice il Signore degli eserciti.
12Felici vi diranno tutte le genti,
perché sarete una terra di delizie,
dice il Signore degli eserciti.
13Duri sono i vostri discorsi contro di me - dice il Signore - e voi andate dicendo: "Che abbiamo contro di te?".14Avete affermato: "È inutile servire Dio: che vantaggio abbiamo ricevuto dall'aver osservato i suoi comandamenti o dall'aver camminato in lutto davanti al Signore degli eserciti?15Dobbiamo invece proclamare beati i superbi che, pur facendo il male, si moltiplicano e, pur provocando Dio, restano impuniti".
16Allora parlarono tra di loro i timorati di Dio. Il Signore porse l'orecchio e li ascoltò: un libro di memorie fu scritto davanti a lui per coloro che lo temono e che onorano il suo nome.17Essi diverranno - dice il Signore degli eserciti - mia proprietà nel giorno che io preparo. Avrò compassione di loro come il padre ha compassione del figlio che lo serve.18Voi allora vi convertirete e vedrete la differenza fra il giusto e l'empio, fra chi serve Dio e chi non lo serve.
19Ecco infatti sta per venire il giorno rovente come un forno. Allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno venendo li incendierà - dice il Signore degli eserciti - in modo da non lasciar loro né radice né germoglio.20Per voi invece, cultori del mio nome, sorgerà il sole di giustizia con raggi benefici e voi uscirete saltellanti come vitelli di stalla.21Calpesterete gli empi ridotti in cenere sotto le piante dei vostri piedi nel giorno che io preparo, dice il Signore degli eserciti.
22Tenete a mente la legge del mio servo Mosè,
al quale ordinai sull'Oreb,
statuti e norme per tutto Israele.
23Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga
il giorno grande e terribile del Signore,
24perché converta il cuore dei padri verso i figli
e il cuore dei figli verso i padri;
così che io venendo non colpisca
il paese con lo sterminio.
Prima lettera ai Corinzi 7
1Quanto poi alle cose di cui mi avete scritto, è cosa buona per l'uomo non toccare donna;2tuttavia, per il pericolo dell'incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito.
3Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito.4La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie.5Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di passione.6Questo però vi dico per concessione, non per comando.7Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro.
8Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io;9ma se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere.
10Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito -11e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito - e il marito non ripudi la moglie.
12Agli altri dico io, non il Signore: se un nostro fratello ha la moglie non credente e questa consente a rimanere con lui, non la ripudi;13e una donna che abbia il marito non credente, se questi consente a rimanere con lei, non lo ripudi:14perché il marito non credente viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente; altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, mentre invece sono santi.15Ma se il non credente vuol separarsi, si separi; in queste circostanze il fratello o la sorella non sono soggetti a servitù; Dio vi ha chiamati alla pace!16E che sai tu, donna, se salverai il marito? O che ne sai tu, uomo, se salverai la moglie?
17Fuori di questi casi, ciascuno continui a vivere secondo la condizione che gli ha assegnato il Signore, così come Dio lo ha chiamato; così dispongo in tutte le chiese.18Qualcuno è stato chiamato quando era circonciso? Non lo nasconda! È stato chiamato quando non era ancora circonciso? Non si faccia circoncidere!19La circoncisione non conta nulla, e la non circoncisione non conta nulla; conta invece l'osservanza dei comandamenti di Dio.20Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato.21Sei stato chiamato da schiavo? Non ti preoccupare; ma anche se puoi diventare libero, profitta piuttosto della tua condizione!22Perché lo schiavo che è stato chiamato nel Signore, è un liberto affrancato del Signore! Similmente chi è stato chiamato da libero, è schiavo di Cristo.23Siete stati comprati a caro prezzo: non fatevi schiavi degli uomini!24Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato.
25Quanto alle vergini, non ho alcun comando dal Signore, ma do un consiglio, come uno che ha ottenuto misericordia dal Signore e merita fiducia.26Penso dunque che sia bene per l'uomo, a causa della presente necessità, di rimanere così.27Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei sciolto da donna? Non andare a cercarla.28Però se ti sposi non fai peccato; e se la giovane prende marito, non fa peccato. Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella carne, e io vorrei risparmiarvele.
29Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve; d'ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l'avessero;30coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero;31quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!32Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore;33chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie,34e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito.35Questo poi lo dico per il vostro bene, non per gettarvi un laccio, ma per indirizzarvi a ciò che è degno e vi tiene uniti al Signore senza distrazioni.
36Se però qualcuno ritiene di non regolarsi convenientemente nei riguardi della sua vergine, qualora essa sia oltre il fiore dell'età, e conviene che accada così, faccia ciò che vuole: non pecca. Si sposino pure!37Chi invece è fermamente deciso in cuor suo, non avendo nessuna necessità, ma è arbitro della propria volontà, ed ha deliberato in cuor suo di conservare la sua vergine, fa bene.38In conclusione, colui che sposa la sua vergine fa bene e chi non la sposa fa meglio.
39La moglie è vincolata per tutto il tempo in cui vive il marito; ma se il marito muore è libera di sposare chi vuole, purché ciò avvenga nel Signore.40Ma se rimane così, a mio parere è meglio; credo infatti di avere anch'io lo Spirito di Dio.
Capitolo XII: Colui che si appresta a comunicarsi con Cristo vi si deve preparare con scrupolosa diligenza
Leggilo nella BibliotecaVoce del Diletto
1. Io sono colui che ama la purezza; io sono colui che dona ogni santità. Io cerco un cuore puro: là è il luogo del mio so. Allestisci e "apparecchia per me un'ampia sala ove cenare (Mc 14,15; Lc 22,12), e farò la Pasqua presso di te con i miei discepoli". Se vuoi che venga a te e rimanga presso di te, espelli "il vecchio fermento" (1Cor 5,7) e purifica la dimora del tuo cuore. Caccia fuori tutto il mondo e tutto il disordine delle passioni; sta "come il passero solitario sul tetto" (Sal 101,8) e ripensa, con amarezza di cuore, ai tuoi peccati. Invero, colui che ama prepara al suo caro, da cui è amato, il luogo migliore e più bello: di qui si conosce l'amorosa disposizione di chi riceve il suo diletto. Sappi tuttavia che, per questa preparazione - anche se essa durasse un intero anno e tu non avessi altro in mente - non potresti mai fare abbastanza con le tue sole forze. E' soltanto per mia benevolenza e per mia grazia, che ti viene concesso di accostarti alla mensa: come se un poveretto fosse chiamato al banchetto di un ricco e non avesse altro modo per ripagare quel beneficio che farsi piccolo e rendere grazie. Fa' dunque tutto quello che sta in te; fallo con tutta attenzione, non per abitudine, non per costrizione. Il corpo del tuo Diletto Signore Dio, che si degna di venire a te, accoglilo con timore, con venerazione, con amore. Sono io ad averti chiamato; sono io ad aver comandato che così fosse fatto; sarò io a supplire a quel che ti manca. Vieni ed accoglimi. Se ti concedo la grazia della devozione, che tu ne sia grato al tuo Dio; te la concedo, non già per il fatto che tu ne sia degno, ma perché ho avuto misericordia di te. Se non hai questa devozione, e ti senti piuttosto arido, insisti nella preghiera, piangi e bussa, senza smettere finché non avrai meritato di ricevere almeno una briciola o una goccia della grazia di salvezza. Sei tu che hai bisogno di me, non io di te. Sono io che vengo a santificare te e a farti migliore, non sei tu che vieni a dare santità a me. Tu vieni per ricevere da me la santità, nell'unione con me; per ricevere nuova grazia, nel rinnovato, ardente desiderio di purificazione. "Non disprezzare questa grazia" (1Tm 4,14); prepara invece il tuo cuore con ogni cura e fa' entrare in te il tuo diletto.
2. Ancora, occorre, non solo che tu ti disponga a pietà, avanti la Comunione, ma anche che tu ti conservi in essa, con ogni cura, dopo aver ricevuto il Sacramento. La vigilanza di poi non deve essere inferiore alla devota preparazione di prima; ché tale attenta vigilanza è a sua volta la migliore preparazione per ottenere una grazia più grande. Taluno diventa assai mal disposto, proprio per essersi subito abbandonato a consolazioni esteriori. Guardati dal molto parlare; tieniti appartato, a godere del tuo Dio. E' lui che tu possiedi; neppure il mondo intero te lo potrà togliere. Io sono colui al quale devi darti interamente, così che tu non viva più in te, ma in me, fuori da ogni affanno.
Scala claustralium
Guigo il certosino - Guigo il certosino
Leggilo nella Biblioteca I. Il fratello Guigo all’amatissimo fratello suo Gervaso: trovi la sua gioia nel Signore. Sono in debito d’amore, fratello, verso di te, perché ti sei messo per primo ad amarmi; e sono obbligato a risponderti perché con la tua lettera mi hai prima di ogni altro invitato a scrivere. Mi sono così proposto di trasmetterti alcune idee che mi son venute alla mente sull’attività spirituale dei monaci. Sono cose che tu hai imparato attraverso l’esperienza meglio di quanto abbia fatto io nell’impegno intellettuale: dunque giudica e correggi queste mie riflessioni. È ben giusto che a te io offra le primizie freschissime della mia fatica, in modo che tu possa raccogliere i primi frutti di questa giovane piantagione che sono io: tu mi hai strappato con lodevole furto alla schiavitù del faraone e a un’individualistica ricerca di raffinatezze per collocarmi nella schiera ordinata di chi va in battaglia, innestando con sapienza nel buon olivo il ramo tagliato con arte dall’oleastro.
2. Un giorno, mentre ero occupato nel lavoro manuale, presi a riflettere sull’attività spirituale dell’uomo. Allora improvvisamente quattro gradini spirituali si offersero all’intima mia riflessione, e cioè la lettura, la meditazione, l’orazione e la contemplazione. Questa è la scala dei monaci, grazie alla quale essi sono elevati dalla terra al cielo. È una scala con pochi gradini, ma di un’altezza incommensurabile, indicibile. La sua estremità inferiore è fissata alla terra, la cima penetra nelle nubi e sonda i segreti del cielo. Quanto ai gradini, così come sono diversi nel nome e nel numero sono pure distinti nella successione e nel valore; e a colui che si pone a esaminare con attenzione le loro caratteristiche e il loro modo di agire, e l’efficacia di ciascuno di essi su di noi, e le rispettive differenze e i rapporti di subordinazione, ogni cosa parrà breve e facile, quale che sia la fatica e l’applicazione che avrà dedicato a tale opera: grande ne è infatti l’utilità e la dolcezza.
La lettura è dunque un accurato esame delle Scritture che muove da un impegno dello spirito. La meditazione è un’opera della mente che si applica a scavare nella verità più nascosta sotto la guida della propria ragione. L’orazione è un impegno amante del cuore in Dio allo scopo di estirpare il male e conseguire il bene. La contemplazione è come un innalzamento al di sopra di sé da parte dell’anima sospesa in Dio, che gusta le gioie della dolcezza eterna.
Descritti in tal modo i quattro gradini, resta da vedere la loro azione su di noi.
3. La lettura indaga sulla dolcezza della vita beata, la meditazione la trova, l’orazione la chiede, la contemplazione la assapora. La lettura si può dire che porti alla bocca cibo solido, la meditazione lo mastica e lo macina, l’orazione ne sente il sapore, la contemplazione è la dolcezza stessa che dona gioia e ricrea le forze. La lettura rimane sulla scorza, la meditazione penetra nel midollo, l’orazione si spinge alla richiesta suscitata dal desiderio, la contemplazione riposa nel godimento della dolcezza raggiunta. Perché ciò possa esser compreso più chiaramente prendiamo un esempio fra molti.
4. Alla lettura sento queste parole: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio» (Mt 5,8). È un detto breve, ma ricolmo di dolcissimi significati differenti per il nutrimento dell’anima. È offerto a noi come un grappolo; l’anima lo vaglia con attenzione, poi dice fra sé: «Qui ci può essere qualcosa di buono: tornerò al mio cuore e vedrò se sono in grado di capire questa purezza e di trovarla per me: è una cosa preziosa e desiderabile se i suoi possessori sono detti beati, se le viene promessa la visione di Dio che è la vita eterna, se viene lodata da tante testimonianze della sacra Scrittura». E così, desiderando spiegare a se stessa compiutamente tutto ciò, comincia a masticare e a macinare questo grappolo, lo mette nel torchio, spinge insomma la ragione a indagare cosa sia e come si possa ottenere questa purezza tanto preziosa.
5. Comincia così un’accurata meditazione, che non rimane all’esterno, non si attarda alla superficie, ma rivolge il suo passo più in alto, penetra nel profondo, sonda ogni particolare. Riflette attentamente sul fatto che non è detto: «Beati i puri nel corpo», ma «i puri di cuore». Infatti non basta avere le mani innocenti dalle opere malvagie se non si è purificati nella mente dai pensieri perversi: lo conferma l’autorità del profeta, che dice: «Chi salirà il monte del Signore, chi starà nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro» (Sal 24,3-4). Riflette poi a quanto lo stesso profeta desideri questa purezza di cuore quando prega così: «Crea in me, o Dio, un cuore puro» (Sal 51,12), e ancora: «Se nel mio cuore avessi cercato il male, il Signore non mi avrebbe ascoltato» (Sal 66,18). Pensa a quanto fosse sollecito il beato Giobbe nel custodire il suo cuore, se poteva dire: «Avevo stretto con gli occhi un patto di non fissare neppure una vergine» (Gb 31,1). Come si dominava quell’uomo santo, se chiudeva gli occhi per non vedere cose vane (Sal 119,37), per non rivolgere un’attenzione non dovuta a ciò che in seguito avrebbe potuto divenire un desiderio non voluto!
Dopo essersi soffermata su queste cose e su altre dello stesso genere a proposito della purezza di cuore, la meditazione comincia a pensare al premio, a quale gloria e quale allegrezza sarebbe la visione del volto desiderato di Dio, il volto più bello di tra i figli dell’uomo (Sal 45,3), non più disprezzato e rifiutato, non nell’aspetto ch’egli ha ricevuto da sua madre, ma rivestito di una veste d’immortalità, con la corona che gli pose suo Padre nel giorno della risurrezione e della gloria, nel giorno fatto dal Signore (cf. Sir 6,31 e Ct 3,11). Pensa che in questa visione è quella sazietà di cui dice il profeta: «Mi sazierò quando apparirà la tua gloria» (Sal 17,15). Vedi quanto mosto è scaturito da un piccolissimo grappolo, quale fuoco si è levato da una scintilla? Un così piccolo impasto, «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio», sull’incudine della meditazione si è esteso davvero molto!
E fin dove potrebbe ancora estendersi se vi si accostasse qualcuno che ne ha fatto l’esperienza? Perché sento che il pozzo è profondo (Gv 4,11) e che io, recluta inesperta, ho trovato appena di che attingere poche gocce. L’anima, infiammata da questi bagliori, stimolata da questi desideri, rotto ormai il vasetto di alabastro (Mc 14,3; Gv 12,3) comincia a presentire, non ancora con il gusto ma come con l’odorato la soavità dell’unguento: e da ciò deduce quanto sarebbe dolce aver esperienza di questa purezza la cui sola meditazione le è fonte, essa lo vede, di sì grande gioia.
Ma che fare? Essa arde dal desiderio di possedere e tuttavia non trova in se stessa come giungere a possedere; e quanto più ci pensa tanto più ne ha sete. Rende più intensa la meditazione, rende più intensa anche la sofferenza, perché non prova quella dolcezza che la meditazione gli mostra racchiusa nella purezza di cuore e che però non gli dona. Non appartiene infatti né a chi legge né a chi medita il provare questa dolcezza, se non è stato dato dall’alto (Gv 19,11). Leggere e meditare è sia dei buoni che dei malvagi, e gli stessi filosofi pagani hanno saputo trovare, sotto la guida della ragione, in che consiste l’essenza del vero bene. Ma poiché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria come a Dio, e anzi, troppo presumendo delle proprie forze dicevano: «Magnificheremo la nostra lingua, le nostre labbra sono in nostro potere» (Rm 1,21; Sal 12,5), non hanno meritato di afferrare ciò che pure erano riusciti a scorgere. Hanno vaneggiato nei loro ragionamenti ed è svanita la loro perizia (Rm 1,21; Sal 107,27), acquisita com’era nello studio delle discipline umane invece che nello Spirito di sapienza. Eppure è lui che solo dà la vera sapienza, cioè quella scienza saporosa che rallegra con un nutrimento di inestimabile prelibatezza l’anima in cui penetra; quella sapienza di cui è detto: «La sapienza non entra in un’anima che opera il male» (Sap 1,4). Essa procede unicamente da Dio: per cui così come il Signore concesse a molti il potere di battezzare ma tenne per sé il potere e l’autorità di rimettere i peccati nel battesimo, onde Giovanni solo di lui poté dire, ad esclusione di chiunque altro: «Egli è colui che battezza» (Gv 1,33), allo stesso modo noi possiamo dire di lui: «Egli è colui che dà sapore alla sapienza e rende saporosa per l’anima la scienza». La parola è data a tutti, la sapienza interiore a pochi, perché è il Signore che la distribuisce a chi vuole e quando vuole.
6. L’anima vede dunque che non può giungere con le sue forze alla dolcezza della conoscenza e dell’esperienza, oggetto del suo desiderio. Vede anzi che quanto più nel suo cuore s’innalza, Dio si fa distante (Sal 64,7-8). Allora si umilia e si rifugia nell’orazione. Così essa parla: «Signore che non ti lasci vedere se non dai cuori puri, io mi applico attraverso la lettura e la meditazione a capire cosa sia e come si possa ottenere la vera purezza di cuore, sì da giungere attraverso di essa a conoscerti foss’anche in misura minima. Ho cercato il tuo volto, Signore, il tuo volto, Signore, ho cercato; ho meditato a lungo nel mio cuore, e nella meditazione è divampato un gran fuoco (Sal 27,8; Sal 77,7; Sal 39,4) e un immenso desiderio di conoscerti più a fondo. Tu spezzi per me il pane della sacra Scrittura e nello spezzare del pane ti fai conoscere a me (Lc 24,35). Avviene allora che quanto più ti conosco, tanto più desidero conoscerti, non soltanto nella scorza della lettera, ma nella percezione sensibile dell’esperienza. Non lo chiedo a causa dei miei meriti, Signore, ma per la tua misericordia. Io sono un’anima indegna e peccatrice, lo confesso; ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni (Mt 15,27). Dammi dunque un pegno dell’eredità futura, Signore, dammi almeno una goccia di pioggia celeste che procuri un po’ di refrigerio alla mia sete, perché sono febbricitante d’amore» (cf. Lc 16,24; Ct 2,5).
7. Con queste e altre simili ardenti parole l’anima infiamma il desiderio; mostra così il potere della sua invocazione e con la malia di questi canti attira a sé lo Sposo. Il Signore, i cui occhi sono sui giusti e i cui orecchi non sono solo attenti alle loro preghiere, ma sono nelle loro preghiere (Sal 34,16; 1Pt 3,12), non attende che il discorso sia finito: spezza il fluire tranquillo dell’orazione e sollecito irrompe, sollecito viene incontro all’anima desiderante, tutto cosparso di quella rugiada che è la dolcezza del cielo, profumato di delicatissimi unguenti. Viene a ricreare l’anima affaticata, a rianimare quella affamata, a saziare quella inaridita; viene a farle dimenticare le cose della terra, mirabilmente vivificandola mediante la mortificazione nell’oblio di se stessa e rendendola sobria mediante l’ebbrezza. Avviene che in certi atti carnali l’anima sia vinta dalla brama della carne fino a perdere del tutto l’uso della ragione, per cui l’uomo diviene quasi esclusivamente carnale; nello stesso modo ma in un movimento contrario, in questa altissima contemplazione i moti carnali vengono dall’anima superati e assorbiti al punto che in nulla la carne contraddice più allo spirito, per cui l’uomo diviene quasi esclusivamente spirituale.
8. Ma come potremo riconoscere, Signore, quando fai queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta (Mt 24,3)? I messaggeri, i testimoni di questa consolazione e di questa letizia sono forse i sospiri e le lacrime? Se è così, è una ben curiosa contraddizione in termini, e straordinario ne è il significato. Come possono accordarsi la consolazione e i sospiri, la letizia e le lacrime? Ma forse non è neppur giusto parlare di lacrime: è piuttosto un’incontenibile sovrabbondanza di rugiada interiore, effusa dall’alto quasi in segno di abluzione interiore e per la purificazione dell’uomo esteriore. Nel battesimo dei fanciulli con l’abluzione esteriore viene figurata e significata l’abluzione dell’uomo interiore; qui, nello stesso modo ma in un movimento contrario, da un’abluzione interiore deve procedere la purificazione esteriore.
Veramente portatrici di vita quelle lacrime con cui vengono purificate le macchie interiori, con cui vengono spenti gli incendi dei peccati! Beati voi che in tal modo piangete, perché riderete (Lc 6,21; Mt 5,5). In queste lacrime, o anima, riconosci il tuo Sposo, abbraccia l’oggetto del tuo desiderio, inebriati al torrente delle delizie, succhia miele e latte al seno delle consolazioni (Sal 36,9; Is 66,11). Sono questi i meravigliosi piccoli doni e i conforti che il tuo Sposo ti porge e ti affida: i gemiti e le lacrime. Egli ti offre una bevanda di lacrime in abbondanza: queste lacrime siano il tuo pane giorno e notte, pane che sostiene il cuore dell’uomo, più dolce del miele e di un favo stillante (Sal 80,6; Sal 42,4; Sal 104,15; Sal 19,11). Signore Gesù, se tanto dolci sono le lacrime destate dalla memoria e dal desiderio di te, quanto dolce sarà la gioia racchiusa nella chiara visione di te? Se tanto dolce è piangere per te, quanto dolce sarà gioire di te?
Ma perché mai divulghiamo davanti a tutti dei colloqui tanto segreti? Perché cerchiamo di esprimere con banali parole degli slanci inenarrabili? Sono cose troppo grandi, che non può capire chi non le ha sperimentate: le leggerà più chiaramente nel libro dell’esperienza ove la stessa unzione insegnerà (1Gv 2,27). Altrimenti la lettera esteriore non è di alcun profitto per chi legge: la lettura della lettera esteriore risulta abbastanza insipida se non interviene una spiegazione a rivelarne il senso interiore a partire dal cuore.
9. Anima mia, troppo abbiamo prolungato questo discorso. Era bello per noi restare qui, e contemplare assieme a Pietro e Giovanni la gloria dello Sposo, e rimanere a lungo con lui se qui avesse voluto fare non due, non tre tende (Mt 17,4 parr.), ma una sola, in cui abitare assieme e assieme rallegrarci. Ecco invece che lo Sposo dice: «Lasciami andare, perché è spuntata l’aurora (Gen 32,27), hai ormai ricevuto la luce della grazia, la visita che desideravi». E così, dopo aver dato la benedizione, ferito l’articolazione del femore e mutato il nome da Giacobbe in Israele, si allontana per un certo tempo lo Sposo a lungo desiderato, subito sfuggito. Si sottrae quanto alla visita di cui si è detto, quanto alla dolcezza della contemplazione; tuttavia rimane presente quanto alla sua volontà di guidarci, quanto alla grazia, quanto all’unione con noi.
10. Non temere, o sposa, non disperarti, non crederti disprezzata se per un certo tempo ti sottrae lo Sposo il suo volto. Tutto ciò concorre al tuo bene (Rm 8,28): dal suo accostarsi come dal suo ritirarsi tu trarrai un guadagno. Per te egli viene, per te anche si ritira. Viene a tua consolazione e si ritira a tua difesa, perché tu non monti in superbia per la grandezza della consolazione (2Cor 12,7), perché non ti metta a disprezzare i tuoi compagni per lo Sposo che è sempre con te e non finisca con l’attribuire questa consolazione alla tua natura invece che alla grazia. Essa invece è una grazia che lo Sposo distribuisce quando vuole e a chi vuole, che non si possiede per diritto ereditario. Dice un proverbio popolare che familiarità induce al disprezzo: così lo Sposo si ritira perché non gli avvenga di essere disprezzato a causa della sua assiduità, perché sia maggiormente desiderato a causa della sua assenza. Egli sa che se sarà desiderato sarà più avidamente cercato, se a lungo cercato sarà finalmente trovato: e più grande ne sarà allora il ringraziamento.
Di più: se non venisse mai meno questa consolazione, che è confusa e imperfetta rispetto alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi, potremmo pensare di avere quaggiù una città stabile e cercheremmo con minor forza quella futura (1Cor 13,12; Rm 8,18; Eb 13,14). Perché dunque non prendiamo l’esilio per la patria, la caparra per il premio finale, lo Sposo alternativamente viene e si ritira: ora offre consolazione, ora muta in debolezza la prostrazione (Sal 41,4). Per un certo tempo ci permette di gustare quanto è buono (Sal 34,9); poi, prima di essere gustato pienamente, si sottrae; dispiega le ali volteggiando sopra di noi per spingerci a volare a nostra volta, quasi dicendo: «Poco avete gustato come sono buono, come sono dolce (Dt 32,11; Sal 34,9; 1Pt 2,3). Se volete saziarvi pienamente della mia dolcezza correte dietro a me al profumo dei miei aromi (Ct 1,3), tenete in alto i cuori: perché là io sono, alla destra di Dio Padre, là mi vedrete, non come in uno specchio, in maniera confusa, ma faccia a faccia. Allora il vostro cuore si rallegrerà pienamente, e nessuno potrà togliere la vostra gioia» (Mc 16,7; 1Cor 13,12; Gv 16,22-23).
11. Ma fa’ attenzione a te stessa, o sposa: quando lo Sposo si assenta non va lontano, e anche se tu non lo vedi, egli sempre ti vede. È pieno d’occhi davanti e di dietro (Ap 4,6), sì che non puoi nasconderti alla sua vista. Ha anche attorno a te i suoi spiriti come messaggeri, incaricati di scrutare attentamente, di riferire come ti comporti in assenza dello Sposo, di accusarti di fronte a lui se in te riconoscessero qualche segno di rilassamento o di vacuità. Geloso è questo tuo Sposo: se mai tu accogliessi un altro amore, se cercassi di piacere a un altro più che a lui, subito si separerebbe da te e ad altre giovinette si legherebbe. Delicato è questo tuo Sposo, e nobile e ricco, il più bello tra i figli dell’uomo (Sal 45,3): così non vuole avere per sé altra sposa se non la più bella. Se vedrà in te macchia o ruga, subito allontanerà gli occhi Suoi (Ef 5,27; Is 1,15), perché non può reggere nulla di immondo. Sii dunque casta, sii pudica e umile: solo in tal modo meriterai di esser visitata frequentemente dal tuo Sposo.
Forse troppo a lungo ti ho intrattenuto, fratello mio. È stato l’argomento, fecondo quanto dolce, a spingermi a ciò: se mi ci sono soffermato non è stato per mia volontà, ma perché sono stato mio malgrado trascinato da tanta dolcezza.
12. Ora riprendiamo per sommi capi tutte le cose dette: raduniamo assieme quel che si è esposto più diffusamente, e tutto apparirà più chiaro. Dalle osservazioni fatte a partire dagli esempi citati puoi vedere quanto strettamente siano uniti fra loro i gradini di cui si è detto, e come ciascuno preceda l’altro sia nel tempo che nel rapporto di causalità. La lettura viene prima a mo’ di fondamento, ci fornisce l’argomento e ci conduce alla meditazione. La meditazione indaga più a fondo che cosa si debba perseguire, e scavando trova il tesoro (cf. Pr 2,4 e Mt 13,44) e lo mostra; ma poiché da se stessa non è capace di conservarlo ci conduce all’orazione. L’orazione, elevandosi a Dio con tutte le sue forze, consegue il tesoro desiderato che è la soavità della contemplazione: e questa con il suo sopravvenire ci ricompensa di tutta la fatica dei primi tre gradini inebriando l’anima assetata con una rugiada di dolcezza celeste. La lettura è un esercizio che riguarda l’esterno, la meditazione è una comprensione che riguarda l’interno, l’orazione riguarda il desiderio, la contemplazione supera ogni capacità di percezione. Il primo gradino è di quanti intraprendono la strada, il secondo è di quanti sono già un po’ avanti, il terzo è di quanti non si posseggono più, il quarto è di quanti hanno raggiunto la pace.
13. I gradini di cui stiamo trattando sono strettamente concatenati e si servono l’un l’altro con un vicendevole aiuto: quelli che precedono giovano a poco o nulla senza quelli che seguono, e mai o quasi mai si possono acquisire quelli che seguono senza quelli che precedono. Che giova infatti occupare il proprio tempo in una continua lettura, percorrere le gesta e gli scritti dei santi, se con la masticazione e la ruminazione non ne estraiamo il succo e poi non lo assimiliamo e non lo facciamo penetrare nel profondo del cuore? Solo allora saremo in grado di considerare con attenzione la nostra realtà e di tendere a vivere come loro: grande infatti è la passione con cui leggiamo e rileggiamo le loro imprese. E d’altra parte, come rifletteremo su queste cose, come potremo fare attenzione a non superare con una meditazione falsa e vana i confini posti dai santi padri, se non saremo stati precedentemente istruiti al riguardo con la lettura o con l’ascolto? Sì, perché anche l’ascolto ha in qualche modo a che fare con la lettura: per questo noi diciamo di aver letto non solo quei libri che abbiamo letto da noi o che ci siamo fatti leggere da altri, ma anche quelli di cui abbiamo ascoltato l’esposizione fatta dai maestri.
Allo stesso modo, che giova all’uomo aver capito grazie alla meditazione quel che deve fare, se con l’aiuto dell’orazione e con la grazia di Dio non prende forza per conquistarlo? Poiché ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce (Gc 1,17), senza il quale nulla possiamo: è lui che compie in noi le sue opere, anche se non certo senza di noi. Siamo infatti collaboratori di Dio, come dice l’apostolo (1Cor 3,9); Dio vuole che noi lo preghiamo, vuole che quando la grazia viene e bussa alla porta noi le apriamo gl’intimi recessi della nostra volontà (cf. Ap 3,20) e consentiamo ad essa.
Questo consentimento è ciò che esigeva il Signore dalla Samaritana quando le disse: «Chiama tuo marito» (Gv 4,16). In certo modo egli le diceva: «Io voglio infonderti la grazia, tu metti in opera il tuo libero arbitrio». Esigeva da lei l’orazione: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere, tu stessa gli avresti chiesto acqua viva» (Gv 4,10). Quand’ebbe udito ciò in questa sorta di lettura fattagli dal Signore, la donna fu istruita, e meditò in cuor suo che sarebbe stato per lei buono e utile bere di quell’acqua. Allora, infiammata dal desiderio di possederla, si volse verso l’orazione dicendo: «Signore, dammi di quest’acqua perché non abbia più sete» (Gv 4,15). Ecco, l’ascolto della parola del Signore e la successiva meditazione di essa l’aveva stimolata all’orazione. Come sarebbe stata spinta a chiedere se prima non l’avesse infiammata la meditazione? Che cosa le avrebbe offerto la meditazione se l’orazione non fosse sopraggiunta a domandare ciò che le era apparso come l’oggetto della sua ricerca? Perché la meditazione sia fruttuosa bisogna che segua ad essa un’orazione fervente: la dolcezza della contemplazione ne sarà per così dire l’effetto.
14. Da tutto ciò possiamo dedurre che la lettura senza meditazione è arida, la meditazione senza lettura è soggetta a errore, l’orazione senza meditazione è tiepida, la meditazione senza orazione è infruttuosa. L’orazione fatta con fervore porta all’acquisto della contemplazione, mentre il dono della contemplazione senza orazione è raro o miracoloso. Il Signore infatti, la cui potenza è senza confini e la cui misericordia si estende al di sopra di tutte le sue opere, di tanto in tanto fa sorgere figli di Abramo dalle pietre (Mt 3,9), forzando quanti sono induriti e ribelli a sottomettersi nell’accettazione: prodigo di doni trascina il toro per le corna, come dice il proverbio, ogni volta che si intromette senza esser chiamato e che si effonde senza esser cercato. Questo, a quanto leggiamo, è accaduto talvolta ad alcuni, come a Paolo e a qualcun altro. Ma non dobbiamo per questo attender simili doni anche per noi tentando Dio; dobbiamo invece fare ciò che ci viene richiesto, leggere e meditare la legge divina, pregare Dio che venga in aiuto alla nostra debolezza (Rm 8,26) e veda ciò che in noi è incompiuto. È lui stesso che ci insegna a far questo quando dice: «Chiedete e otterrete, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto» (Mt 7,7). Infatti quaggiù il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono (Mt 11,12).
Una volta fissate le differenze fra i gradini si possono individuare anche le loro caratteristiche e capire quale sia il loro reciproco legame e il loro effetto su di noi. Beato l’uomo il cui spirito, libero da ogni altra preoccupazione, desidera trattenersi senza posa su questi quattro gradini; che venduti tutti i suoi averi compra quel campo in cui si cela il tesoro desiderabile del soffermarsi e del vedere quanto è buono il Signore (Mt 13,44; Sal 46,11 e Sal 34,9); che attivo sul primo gradino, osservatore instancabile sul secondo, fervente sul terzo, elevato al di sopra di sé sul quarto, grazie a queste salite che pone nel suo cuore sale di dono in dono fino a vedere il Dio degli dèi in Sion (Sal 84,6.8). Beato colui cui è concesso di restare anche solo per breve tempo in questo gradino più alto, e che può dire in verità: «Ecco che sento la grazia di Dio, ecco che contemplo con Pietro e Giovanni la sua gloria sul monte, ecco che mi rallegro con Giacobbe degli amplessi della bella Rachele».
Ma ponga costui anche attenzione a se stesso: non gli avvenga, dopo la contemplazione che l’ha innalzato fino ai cieli, di precipitare in una caduta disordinata fino agli abissi, di volgersi, dopo essere stato visitato da una grazia così grande, alle rilassatezze della mondanità e alle lusinghe della carne. Piuttosto, quando la punta della mente umana nella sua debolezza non riesce più a sostenere lo splendore della vera luce, procuri di scendere dolcemente e con ordine su uno dei tre gradini per i quali era asceso. Si soffermi di volta in volta ora su uno ora su un altro, secondo il movimento della propria libertà interiore e tenendo conto del luogo e del momento: anche se, mi sembra, sarà tanto più vicino a Dio quanto più sarà lontano dal primo gradino.
Ma ahimè, quanto fragile e miserevole è la condizione umana! Ecco, guidati dalla ragione e dalle testimonianze della Scrittura abbiamo visto chiaramente che la pienezza d’una vita beata è racchiusa in questi quattro gradini e che ad essi deve volgersi tutta la fatica dell’uomo spirituale. Ma chi si tiene veramente su questo sentiero di vita? Chi è costui? Noi lo proclameremo beato. C’è in molti il desiderio, ma di pochi è la capacità di attuarlo (Sir 31,9). Potessimo noi esser nel novero di questi pochi!
15. Vi sono in generale quattro situazioni che possono distrarci da questi gradini: una necessità inevitabile, l’utilità di un’azione volta al bene, l’incapacità propria dell’uomo, la vanità che viene dal mondo. La prima è scusabile, la seconda è tollerabile, la terza è degna di compassione, la quarta è colpevole. E veramente colpevole: per colui che viene distratto nella sua condotta da una situazione siffatta meglio sarebbe stato non aver conosciuto la grazia di Dio, piuttosto che tornare indietro dopo averla conosciuta (cf. 2Pt 2,21). Quale scusa avrà infatti per tale peccato? A buon diritto il Signore potrà dirgli: «Che cosa ancora dovevo farti che io non abbia fatto? Tu ancora non esistevi e io ti ho creato; hai peccato facendoti servo del diavolo e io ti ho redento; ti aggiravi assieme agli empi e io ti ho scelto; ti ho dato grazia ai miei occhi e volevo prendere dimora presso di te. Ma tu mi hai disprezzato, e non solo le mie parole ma me stesso ti sei gettato alle spalle per andare dietro alle tue passioni».
Dio buono, soave e mite, amico dolce, consigliere accorto, aiuto potente, quanto disumano e temerario è chi ti getta via, chi respinge dal suo cuore un ospite sì umile e mansueto! Quale infelice e rovinoso scambio, gettar via il proprio creatore e accogliere pensieri di male fatti per nuocerci; e il talamo segreto dello Spirito santo, quel luogo segreto dei cuore che fino a poco prima fissava le gioie del cielo, abbandonarlo in un attimo ai più squallidi pensieri, al calpestio dei porci (cf. Mt 7,6)! Ancora è nel cuore la tiepida traccia lasciata dallo Sposo e già vi si insinuano adulteri desideri. Non si addice, non può succedere a orecchie che poco fa hanno udito parole che non è lecito ad alcuno pronunziare (2Cor 12,4), di piegarsi tanto in fretta ad ascoltare favole o detrazioni; a occhi che poco fa sono stati battezzati da lacrime sante, di volgersi improvvisamente a guardare cose vane (cf. Sal 119,37); a una lingua che poco fa ha cantato un dolce epitalamio, che con parole infiammate e persuasive ha riconciliato la sposa con lo Sposo e l’ha introdotta nella cella del vino (Ct 2,4), di volgersi nuovamente a un linguaggio volgare e vacuo, a ordire inganni (Sal 50,19) e detrazioni. Preservaci da questo, Signore. Se tuttavia per debolezza umana dovessimo ricaderci non disperiamoci, ma ricorriamo nuovamente al medico misericordioso che solleva l’indigente dalla polvere e dall’immondizia rialza il povero (Sal 113,7): e lui, che non vuole la morte del peccatore, nuovamente ci guarirà e ci fascerà (cf. Ez 33,11).
È ormai tempo di terminare questa lettera. Preghiamo tutti il Signore perché mitighi fin d’ora gli ostacoli che ci distolgono dal contemplarlo e in futuro ce ne liberi completamente; attraverso questi gradini ci conduca di altezza in altezza fino a vedere il Dio degli dèi in Sion (Sal 84,8). Là gli eletti gusteranno la dolcezza della contemplazione divina non a piccole gocce e con interruzioni; possederanno invece eternamente in un torrente di delizie una gioia che nessuno potrà loro togliere e una pace immutabile, la pace in lui (Sal 36,9; Gv 16,23; Sal 4,9). Tu dunque, fratello mio Gervaso, se un giorno ti verrà dato dall’alto (Gv 19,11) di salire fino alla cima di questa scala ricordati di me, e prega per me quando sarai nella felicità (Gen 40,14): un telo tragga a sé un altro telo, e chi ascolta ripeta: «Vieni!» (Ap 22,17).
4. Progresso nello studio e fervore religioso (1883~1886)
Storia di un'anima - Santa Teresa di Lisieux
Leggilo nella BibliotecaAl parlatorio delle
Carmelitane - Attrazione per le letture - Ritorno ad Alencon - Primo
incontro con Gesù Eucaristico - Cresima - Penosa vita di collegio -
Malattia degli scrupoli - Uscita di collegio e lezioni private - Stanza
di studio - Leonia - Maria entra nel Carmelo - Risposta celeste.
96 - Parlando delle visite alle carmelitane, ricordo la prima, la quale
ebbe luogo poco tempo dopo che Paolina era entrata. Ho dimenticato di
parlarne, ma c'è un particolare che non debbo omettere. La mattina
nella quale dovevo andare al parlatorio, mentre riflettevo sola sola
nel mio letto (perché era li che facevo le mie orazioni più profonde,
e, contrariamente alla Sposa dei cantici, vi trovavo sempre il mio
Amato), mi domandai quale nome avrei avuto nel Carmelo; sapevo che
c'era una suor Teresa di Gesù, e tuttavia il mio bel nome di Teresa non
poteva essermi tolto. A un tratto pensai a Gesù Bambino che amavo
tanto, e dissi a me stessa: «Oh, come sarei felice di chiamarmi Teresa
di Gesù Bambino!». Non dissi nulla in parlatorio del sogno che avevo
fatto da sveglia, ma alla buona madre Maria di Gonzaga, mentre
domandava alle suore quale nome avrebbero potuto darmi, venne in mente
di chiamarmi col nome che avevo sognato. Grande fu la mia gioia, e quel
felice incontro di pensieri mi parve una delicatezza del mio diletto
Gesù Bambino.
97 - Ho omesso anche alcuni minimi particolari della mia infanzia prima
che lei entrasse nel Carmelo; non le ho parlato del mio amore per le
immagini e per la lettura. Eppure, Madre mia cara, debbo alle belle
immagini che lei mi mostrava come ricompensa, una delle gioie più dolci
e delle impressioni più forti che mi abbiano incitata a praticare la
virtù. Dimenticavo il tempo mentre le guardavo, per esempio: l'umile
fiore del Prigioniero divino mi diceva tante cose che mi diventava
facile immergermi nel raccoglimento. Vedendo che il nome di Paolina era
scritto sotto il piccolo stelo fiorito, avrei voluto che ci fosse anche
quello di Teresa, e mi offrivo a Gesù per essere il fiore suo.
98 - Non sapevo giocare, però mi piaceva molto la lettura, e avrei
passato la vita leggendo; fortunatamente avevo, per guidarmi, degli
angeli sulla terra, i quali mi sceglievano libri tali da divertirmi
nutrendomi spirito e cuore, e poi dovevo passare soltanto un tempo
limitato a leggere, ciò che mi costava sacrifici gravi: a volte dovevo
interrompere proprio in mezzo al passo più avvincente. Questa
attrattiva per la lettura è durata fino a quando sono entrata nel
Carmelo. Dire il numero di libri che mi è passato per le mani non
sarebbe possibile, e tuttavia il Signore non ha mai permesso che ne
leggessi uno solo capace di farmi del male. E vero che, leggendo certi
racconti cavallereschi, non sempre intendevo, in un primo momento, il
vero senso della vita; ma ben presto il Signore mi faceva sentire che
la gloria vera è quella che durerà eterna, e che per arrivare ad essa
non è necessario compiere opere sfolgoranti, bensì nascondersi e
praticar la virtù sì che la mano sinistra ignori ciò che fa la destra...
99 - Così, leggendo le gesta patriottiche delle eroine di Francia, in
particolare quelle della Venerabile Giovanna d'Arco, avevo gran
desiderio d'imitarle, mi pareva di sentire in me lo stesso ardore dal
quale erano animate, la medesima ispirazione celeste. Allora ricevetti
una grazia che ho sempre considerata come una delle maggiori per me,
perché a quell'età non ricevevo luci come ora che ne sono inondata.
Pensai che ero nata per la gloria e cercando il mezzo di raggiungerla,
il Signore m'ispirò i sentimenti che ho scritti qui sopra. Mi fece
capire altresì che la mia gloria non apparirà agli occhi degli uomini,
e consisterà nel divenire una grande santa!!! Questo desiderio potrà
sembrar temerario se si considera quanto ero debole e imperfetta, e
quanto lo sono ancora dopo sette anni passati in religione, tuttavia
sento ancora la stessa fiducia ardita di diventare una grande santa,
perché non conto sui meriti miei non avendone alcuno, ma spero in colui
che è la Virtù, la Santità stessa. Lui solo, contentandosi dei miei
deboli sforzi, mi eleverà fino a sé e, coprendomi dei suoi meriti
infiniti, mi farà santa. Non pensavo allora che bisogna soffrire molto
per arrivare alla santità, ma il Signore non tardò a mostrarmelo,
mandandomi le prove che ho raccontato prima. Ora debbo riprendere il
mio racconto al punto in cui l'ho lasciato.
100 - Tre mesi dopo che fui guarita, Papà ci fece fare il viaggio di
Alencon. Era la prima volta che ritornavo là, e la mia gioia fu grande
quando rividi i luoghi nei quali era trascorsa la mia infanzia,
soprattutto quando potei pregare sulla tomba di Mamma e chiederle di
proteggermi sempre. il Signore mi ha fatto la grazia di non conoscere
la società mondana se non quel tanto da potere disprezzarla e tenermi
lontana da essa. Potrei dire che proprio durante il soggiorno in
Alencon feci il mio primo ingresso nel mondo. Tutto era gioia, felicità
intorno a me, ero festeggiata, carezzata, ammirata; in una parola, la
vita mia per quindici giorni fu disseminata di fiori. Confesso che
questa vita aveva un fascino per me. La Saggezza ha ben ragione quando
dice che «la malia delle futilità mondane seduce anche lo spirito
alieno dal male». A dieci anni il cuore si lascia abbagliare
facilmente, e perciò considero una grande grazia di non essere rimasta
ad Alencon; gli amici che avevamo là erano troppo mondani, sapevano
troppo intrecciare le gioie della terra col servizio a Dio. Non
pensavano abbastanza alla morte, e tuttavia la morte è venuta a
visitare un gran numero di persone che ho conosciuto, giovani, ricche,
felici! Mi piace tornare col pensiero ai luoghi incantatori dove esse
hanno vissuto, e domandarmi dove sono, che cosa giovano loro i
castelli, i parchi nei quali le ho viste godere le comodità della vita?
E vedo che tutto è vanità e afflizione di spirito sotto il sole... e
che l'unico bene è amare Dio con tutto il cuore, ed essere, quaggiù,
poveri di spirito.
101 - Forse Gesù ha voluto mostrarmi il mondo innanzi alla prima visita
che mi avrebbe fatta, affinché io scegliessi più liberamente la via
sulla quale mi sarei impegnata con lui. Al tempo della mia prima
Comunione mi è rimasto impresso nel cuore come un ricordo sgombro da
nuvole; mi pare che non avrei potuto avere disposizioni migliori, e le
mie pene d'anima mi lasciarono per quasi un anno. Gesù voleva farmi
gustare una gioia più perfetta che fosse possibile in questa valle di
lacrime.
102 - Si ricorda, Madre mia cara, dell'incantevole libretto che lei mi
aveva composto tre mesi avanti la mia prima Comunione? Proprio quelle
pagine mi aiutarono a preparare il cuore in modo conseguente e rapido,
perché, se da lungo tempo già lo preparavo, bisognava ben dargli uno
slancio nuovo, empirlo di fiori nuovi affinché Gesù potesse riposarsi
in lui gradevolmente. Ogni giorno facevo un gran numero di «pratiche»,
che formavano altrettanti fiori, facevo un numero anche più grande di
aspirazioni che lei aveva scritte nel mio libriccino per ogni giorno, e
quegli atti d'amore formavano i bocci. Ogni settimana lei mi scriveva
una cara lettera che mi empiva l'anima di pensieri profondi e mi
aiutava a praticare la virtù, era una consolazione per la sua
figliolina la quale faceva un sacrificio tanto grande accettando di non
essere preparata sera per sera sulle ginocchia di lei, Madre mia,
com'era stata preparata Celina.
103 - Maria sostituiva Paolina per me: mi sedevo in grembo a lei e
ascoltavo avidamente ciò che mi diceva, mi pare che tutto il cuore di
lei, tanto grande, tanto generoso, si versasse in me. Come i guerrieri
illustri insegnano ai loro figli il mestiere delle armi, così Maria mi
parlava dei combattimenti della vita, e della palma riservata ai
vittoriosi. E ancora mi parlava delle ricchezze immortali che è facile
ammassare ogni giorno, e della sciagura che è passare senza allungare
la mano per cogliere quei tesori, poi mi indicava il modo per essere
santa per mezzo della fedeltà alle cose minime; mi dette il foglietto
«Della rinuncia» che io meditavo con delizia. Com'era eloquente, la mia
Madrina cara! Avrei voluto non essere sola per ascoltare i suoi
insegnamenti profondi, mi sentivo così commossa da credere, nella mia
ingenuità, che i più grandi peccatori si sarebbero commossi come me e
che, abbandonando le ricchezze caduche, avrebbero cercato soltanto
quelle del Cielo.
104 - A quel tempo nessuno ancora mi aveva insegnato a fare orazione,
eppure io ne avevo gran desiderio; senonché Maria mi trovava già
abbastanza pia, e mi permetteva soltanto le mie preghiere solite. Un
giorno una maestra dell'Abbazia mi domandò cosa facessi nei giorni di
vacanza quando mi trovavo sola. Le risposi che andavo dietro il mio
letto in un po' di posto vuoto che c'era, e che potevo chiudere con la
tenda: lì, «pensavo». - «Ma a che cosa pensi?» - mi domandò ancora.
-«Penso al buon Dio, alla vita... all'eternità, insomma, penso!». La
buona religiosa rise molto di me, più tardi le piaceva di ricordarmi il
tempo in cui pensavo, e mi domandava. - «Pensi ancora?...». Capisco ora
che facevo orazione senza saperlo, e che già Dio misericordioso
m'istruiva in segreto.
105 - I tre mesi di preparazione passarono rapidi, ben presto dovetti
entrare in ritiro e per questo diventare collegiale interna, dormendo
all'Abbazia. Non posso dire il ricordo dolce che mi ha lasciato quel
ritiro; veramente, se ho molto sofferto in collegio, sono stata
largamente compensata dalla felicità ineffabile di quei pochi giorni
passati nell'attesa di Gesù. Non credo che si possa gustare quella
gioia fuori dalle comunità religiose; essendo poche le bambine, era
facile occuparsi di ciascuna in particolare, e veramente le nostre
maestre ci prodigavano in quel momento delle cure materne. Si
occupavano ancor più di me che delle altre, ogni sera la prima maestra
veniva, con la sua lucernetta, ad abbracciarmi nel mio letto,
mostrandomi grande affetto. Una sera, commossa per la bontà di lei, le
dissi che le avrei confidato un segreto, e tirando fuori
misteriosamente il mio libretto prezioso che era sotto il guanciale,
glielo mostrai con gli occhi che brillavano di gioia. La mattina,
trovavo bello di veder tutte le scolare che si alzavano appena sveglie,
e di fare anch'io come loro, ma non ero abituata a vestirmi e
sistemarmi da sola. Maria non era li per farmi i riccioli, perciò ero
costretta a presentare timidamente il mio pettine alla maestra della
stanza ove ci si vestiva, che rideva vedendo una figliolona di undici
anni che non sapeva sbrogliarsi; tuttavia mi pettinava, ma non con la
dolcezza di Maria, e io non osavo gridare, ciò che mi accadeva tutti i
giorni sotto la mano delicata della mia madrina. Ebbi modo di
costatare, durante il ritiro, che ero una bambina carezzata e curata
come ce ne sono poche sulla terra, soprattutto fra quelle rimaste prive
di mamma! Ogni giorno Maria e Leonia venivano a trovarmi con Papà, il
quale mi colmava di pensierini cari, cosicché non soffersi per la
privazione della famiglia, e niente oscurò il cielo bello del mio
ritiro.
106 - Ascoltavo con grande attenzione gli insegnamenti che ci dava il
reverendo Don Domin, ed anche li riassumevo scrivendoli; riguardo ai
miei pensieri non ne volli scrivere alcuno pensando che me li sarei
ricordati bene, ciò che fu vero. Era per me gran felicità di andare con
le suore a tutte le funzioni; mi facevo notare in mezzo alle compagne
per un grande crocifisso che Leonia mi aveva regalato, e che io passavo
nella mia cintola come fanno i missionari; quel crocifisso suscitava
ammirazione nelle buone religiose le quali pensavano che io,
portandolo, volessi imitare la mia sorella carmelitana. Era ben verso
lei che sciamavano i miei pensieri, sapevo che la mia Paolina era in
ritiro com'ero io, non già perché Gesù si desse a lei, bensì perché lei
si dava a Gesù e perciò questa solitudine passata nell'attesa mi era
doppiamente cara.
107 - Ricordo che una mattina mi avevano fatto andare all'infermeria
perché tossivo molto (da quando ero stata malata, le mie maestre
facevano una grande attenzione a me, per un leggero mal di testa mi
mandavano a prendere aria o a riposarmi nell'infermeria, e lo stesso se
mi vedevano più pallida del solito). Vidi entrare la mia Celina cara,
aveva ottenuto il permesso di venire a vedermi nonostante il ritiro,
per offrirmi un'immagine che grandi tanto, era «il fiore del divino
Prigioniero». Come fu dolce per me ricevere questo ricordo dalla mano
di Celina! Quanti pensieri d'amore ho avuto per merito di lei!
108 - La vigilia del gran giorno ricevetti l'assoluzione per la seconda
volta, la mia confessione generale mi lasciò una grande pace
nell'anima, e il buon Dio permise che nessuna nube venisse a turbarla.
Nel pomeriggio chiesi perdono a tutta la famiglia che venne a trovarmi,
ma riuscii a parlare soltanto con le lacrime, ero troppo commossa...
Paolina non c'era, tuttavia sentivo che era vicina a me col cuore; mi
aveva mandato una bella immagine per mezzo di Maria, non mi stancavo
d'ammirarla e farla ammirare da tutti. Avevo scritto al buon padre
Pichon per raccomandarmi alle sue preghiere, dicendogli anche che ben
presto sarei stata carmelitana, e che allora sarebbe stato lui il mio
direttore. (E ciò accadde davvero quattro anni dopo, poiché gli aprii
l'anima quando fui al Carmelo). Maria mi dette una lettera di lui,
realmente ero troppo felice! Tutte le gioie mi arrivavano insieme. Più
di tutto mi fece piacere nella lettera di lui questa frase: «Domani
salirò all'altare per lei e per la sua Paolina!». Paolina e Teresa
furono l'8 maggio più che mai unite, poiché Gesù pareva le confondesse
inondandole con le sue grazie...
109 - Un «giorno bello tra tutti» arrivò finalmente. Quali ricordi
intraducibili mi hanno lasciato nell'anima i particolari minimi di
quella giornata di Cielo! il risveglio gioioso dell'aurora, i baci
rispettosi e teneri delle maestre e delle compagne grandi. La stanza
piena di fiocchi di neve di cui ciascuna bimba veniva rivestita a
turno. Soprattutto l'entrata nella cappella e il canto mattinale
dell'inno tanto bello «O santo Altare che gli Angeli circondano!». Ma
non voglio entrare nei particolari, ci sono cose che perdono il loro
profumo appena esposte all'aria, ci sono pensieri dell'anima che non si
possono tradurre in linguaggio terreno senza perdere il loro senso
intimo e celeste; sono come quella “Pietra bianca che sarà data al
vincitore, e sulla quale è scritto un nome che nessuno conosce se non
colui che la riceve”. Ah, come fu dolce il primo bacio di Gesù
all'anima mia! Fu un bacio d'amore, mi sentivo amata, e dicevo anche:
«Vi amo, mi do a Voi per sempre». Non ci furono domande, non lotte, non
sacrifici; da lungo tempo Gesù e la povera piccola Teresa si erano
guardati e si erano capiti... Quel giorno non era più uno sguardo, ma
una fusione, non erano più due, Teresa era scomparsa come la goccia
d'acqua nell'oceano. Gesù restava solo, era il padrone, il re. Teresa
gli aveva pur chiesto di toglierle la libertà, perché la libertà le
faceva paura, lei si sentiva così debole, così fragile, che voleva
unirsi per sempre alla Forza divina! La sua gioia era troppo grande,
troppo profonda perché lei potesse contenerla, lacrime deliziose la
inondarono ben presto, con grande stupore delle compagne le quali più
tardi dicevano una all'altra: «Perché ha pianto? Aveva qualche cosa che
le dispiaceva?». - «No, era piuttosto per non avere la Mamma con sé, o
la sorella che lei ama tanto e che è carmelitana». Non capivano che
tutta la gioia del Cielo venendo in un cuore, questo cuore esiliato non
poteva sopportarla senza spargere lacrime. Oh no, l'assenza di Mamma
non mi dava dolore nel giorno della prima Comunione, non c'era forse il
Cielo nell'anima mia? E Mamma non aveva lì il suo posto da gran tempo?
Non piangevo l'assenza di Paolina: senza dubbio sarei stata felice di
vedermela accanto, ma da lungo tempo il mio sacrificio era accettato;
in quel giorno, soltanto la gioia mi empiva il cuore, io mi univo a
colei che si dava irrevocabilmente a Gesù: e Gesù si dava a me con
tanto amore!
110 - Nel pomeriggio fui io a pronunciare l'atto di consacrazione alla
Madonna; era ben giusto che io parlassi a nome delle mie compagne alla
mia Mamma del Cielo, io che ero rimasta priva così giovane della Mamma
terrena. Misi tutto il cuore nel parlarle, nel consacrarmi a lei, come
una bambina che si getta nelle braccia di sua madre, e le chiede di
vegliare su lei. Mi pare che la Vergine Santa dovette guardare il suo
fiorellino e sorridergli, non era lei che l'aveva guarito con un
sorriso visibile? Non aveva proprio lei deposto nel calice dell'umile
fiore il suo Gesù, il Fiore dei campi, il Giglio della valle?
111 - La sera di quel bel giorno ritrovai la mia famiglia terrena; già
il mattino, dopo la Messa, avevo abbracciato Papà e tutti i miei cari
parenti, ma allora fu il vero riunirsi; Papà prendendo la mano della
sua piccola regina si avviò verso il Carmelo. Allora vidi la mia
Paolina divenuta la sposa di Gesù, la vidi col velo bianco come il mio,
con la corona di rose... Ah, la mia gioia fu senza amarezza, speravo di
raggiungerla presto e attendere con lei il Cielo! Non fui insensibile
alla festa di famiglia che ebbe luogo la sera della mia prima
Comunione; l'orologio bello che mi regalò il mio re mi fece gran
piacere, ma la gioia era tranquilla e niente turbò la mia pace intima.
Maria mi prese con sé nella notte che segui quel bel giorno, perché i
giorni più radiosi sono seguiti da tenebre, soltanto il giorno della
prima, unica, eterna Comunione del Cielo sarà senza tramonto!
112 - Il giorno dopo fu bello anch'esso, ma improntato di malinconia.
Il vestito che Maria mi aveva comprato, tutti i regali che avevo
ricevuti non mi colmavano il cuore, soltanto Gesù poteva contentarmi,
sospiravo il momento nel quale avrei potuto riceverlo una seconda
volta. Un mese circa dopo la prima Comunione andai a confessarmi per
l'Ascensione, e osai chiedere il permesso di fare la santa Comunione.
Al disopra di tutte le speranze, il sacerdote me la permise ed ebbi la
felicità d'inginocchiarmi alla balaustra fra Papà e Maria; che ricordo
dolce ho conservato di quella seconda visita di Gesù! Le lacrime mi
caddero ancora con indicibile soavità, ripetevo tutto il tempo a me
stessa le parole di san Paolo: «Non sono più io che vivo, è Gesù che
vive in me». Dopo quella Comunione, il mio desiderio di ricevere il
buon Dio divenne più e più grande, ottenni il permesso per tutte le
feste principali. La vigilia di quei giorni felici Maria mi prendeva la
sera sulle ginocchia e mi preparava come l'aveva fatto per la prima
Comunione; ricordo una volta in cui mi parlò del dolore, dicendomi che
forse non avrei camminato su quella via, ma che Dio mi porterebbe
sempre come un bambino.
113 - Un giorno dopo, le parole di Maria mi tornarono alla mente,
sentii nascere in me un gran desiderio di soffrire, e al tempo stesso
l'intima sicurezza che Gesù mi riservava un gran numero di croci; mi
sentii inondata di consolazioni così grandi che la considero come una
delle grazie maggiori nella mia vita. Soffrire divenne il mio ideale,
aveva un fascino che mi rapiva senza che io lo conoscessi bene. Fino
allora avevo sofferto senza amare la sofferenza, da quel giorno ne
provai un vero amore. Sentivo anche il desiderio di amare soltanto il
buon Dio, di non trovar gioia che in lui. Spesso durante le mie
comunioni ripetevo le parole della Imitazione: «O Gesù! Dolcezza
ineffabile cambiate per me in amarezze tutte le consolazioni della
terra!» Questa preghiera usciva dalle mie labbra senza sforzo, senza
costrizione; mi pareva di ripeterla non per mio volere, ma come una
bambina la quale ripeta parole suggeritele da una persona amica. Più
tardi le dirò, Madre mia cara, in qual modo Gesù si è compiaciuto di
attuare il mio desiderio, e come lui solo fu sempre la mia dolcezza
ineffabile; se ne parlassi subito sarei costretta ad anticipare il
tempo della mia vita di giovane, mentre ho ancora da darle molti
particolari riguardo all'infanzia.
114 - Poco tempo dopo la prima Comunione entrai nuovamente in ritiro
per la Cresima. Mi ero preparata con grande cura a ricevere la visita
dello Spirito Santo, non capivo che non si desse grande importanza a
ricevere questo sacramento d'Amore. Comunemente si praticava un solo
giorno di ritiro per la Cresima, ma poiché Monsignore non poté venire
nel giorno stabilito, ebbi la consolazione di due giorni in solitudine.
Per distrarci la nostra maestra ci condusse a Monte Cassino, e là colsi
a piene mani le grandi margherite per la festa del Corpus Domini. Come
era gioiosa l'anima mia! A somiglianza degli apostoli attendevo con
felicità la visita dello Spirito Santo. Mi rallegravo al pensiero di
essere ben presto perfetta cristiana, e soprattutto di avere sulla
fronte eternamente la croce misteriosa che il Vescovo traccia dando il
sacramento. Finalmente arrivò il momento felice, non sentii un vento
impetuoso nella discesa dello Spirito Santo, ma piuttosto quella brezza
lieve, della quale il profeta Elia intese il murmure sul monte Horeb.
In quel giorno ricevetti la forza per offrire, perché ben presto il
martirio dell'anima mia doveva cominciare. Mi fu madrina la mia cara
Leonia, era così commossa che non poté trattenersi dal piangere tutto
il tempo della cerimonia. Con me ricevette la santa Comunione, perché
io ebbi ancora la felicità di unirmi a Gesù in quel bel giorno.
115 - Dopo le deliziose indimenticabili feste, la mia esistenza rientrò
nel quotidiano, cioè dovetti riprendere la vita di collegiale che mi
era così penosa. Nel momento della mia prima Comunione amavo quella
convivenza con bambine della mia età, tutte piene di buona volontà, le
quali avevano preso come me la risoluzione di praticare seriamente la
virtù; ma bisognava riprendere i contatti con delle scolare ben
diverse, distratte, riottose alla regola, e ciò mi rendeva infelice.
Ero un carattere gaio, ma non sapevo lanciarmi nei giochi dell'età mia;
spesso durante la ricreazione mi appoggiavo ad un albero, e da là
contemplavo il colpo d'occhio, abbandonandomi a riflessioni serie!
Avevo inventato un gioco che mi piaceva, cioè di seppellire i poveri
uccellini morti che trovavo sotto gli alberi; varie scolare vollero
aiutarmi, cosicché il nostro cimitero divenne graziosissimo, piantato
d'alberi e di fiori, il tutto proporzionato alle dimensioni dei nostri
piccoli implumi. Mi piaceva anche di raccontare novelle di mia
invenzione, via via che mi venivano in mente, allora le mie compagne mi
circondavano premurosamente, e talvolta delle scolare grandi si univano
al gruppo delle ascoltatrici. La medesima storia durava per parecchi
giorni perché mi piaceva di renderla sempre più interessante, a mano a
mano che vedevo le impressioni che suscitava e che si manifestavano sul
viso delle mie compagne, ma presto la maestra mi proibì di continuare
la mia professione di oratore, volendoci veder correre e non discorrere.
116 - Ricordavo con facilità il senso delle cose che imparavo, ma
duravo fatica a imparare parola per parola; così per il catechismo
durante l'anno che precedette la mia prima Comunione, chiesi quasi
tutti i giorni il permesso d'imparano durante la ricreazione; i miei
sforzi ottennero buon successo, e fui quasi sempre la prima. Se per
caso, per una sola parola dimenticata, perdevo il mio posto, il mio
dispiacere si manifestava con lacrime amare che il reverendo Don Domin
non sapeva come calmare. Era ben contento di me (non quando piangevo),
e mi chiamava il suo dottorino, a causa del mio nome di Teresa. Una
volta la scolara che mi seguiva non seppe fare alla sua compagna la
domanda di catechismo. Il reverendo Padre, avendo fatto il giro di
tutte le scolare, ritornò a me, e disse che voleva vedere se meritavo
davvero il mio posto di prima. Nella mia profonda umiltà, non aspettavo
altro; mi alzai e dissi con sicurezza quello che mi era stato richiesto
senza fare uno sbaglio, con grande stupore di tutte. Dopo la mia prima
Comunione, il mio zelo per il Catechismo continuò fino a quando uscii
dal collegio. Riuscivo benissimo nei miei studi, ero quasi sempre la
prima, i più grandi successi miei erano la storia e lo stile. Tutte le
mie maestre mi consideravano come una scolara molto intelligente, ma lo
stesso non accadeva presso lo zio, ove passavo per una piccola
ignorante, buona e dolce, dotata di un giudizio dritto, ma incapace e
maldestra...
117 - Non mi sorprende questa opinione che gli zii avevano e che senza
dubbio hanno ancora nei miei confronti, non parlavo quasi mai, essendo
timidissima; quando scrivevo, la calligrafia da gatto e l'ortografia
molto... naturale non erano fatte per sedurre. Nei lavoretti di cucito,
ricamo e altri, riuscivo bene, è vero, secondo le mie maestre, ma il
modo goffo e maldestro con cui tenevo il mio lavoro giustificava
l'opinione poco vantaggiosa che avevano di me. Io considero ciò come
una grazia; il buon Dio volendo per sé solo tutto il mio povero cuore,
esaudiva già la mia preghiera «cambiando in amarezza le consolazioni
della terra». Ne avevo tanto più bisogno in quanto non sarei stata
insensibile alle lodi. Spesso vantavano dinanzi a me l'intelligenza
degli altri, mai la mia, allora io conclusi che non ne avevo, e mi
rassegnai a vedermene privata.
118 - Il cuore mio sensibile e affettuoso si sarebbe dato facilmente se
avesse trovato un altro cuore atto a capirlo. Cercai di fare amicizia
con le bambine dell'età mia, soprattutto con due, volevo loro bene, e
da parte loro esse mi amavano quanto sapevano e potevano; ma ahimè!
com'è angusto e volubile il cuore delle creature! Ben presto vidi che
il mio affetto non era compreso. Una delle amiche dovette rientrare in
famiglia, e tornò qualche mese dopo; durante la sua assenza io avevo
pensato a lei conservando preziosamente un anellino che mi aveva
regalato. Quando la rividi, la gioia mia fu grande, ma ahimè! ottenni
soltanto uno sguardo indifferente... Il mio amore non era stato capito,
lo sentii, e non mendicai un'affezione che mi veniva rifiutata, ma il
buon Dio mi ha dato un cuore così amante e sensibile che, quando ha
voluto bene puramente, vuol bene sempre, e così continuai a pregare per
la mia compagna, e l'amo ancora.
119 - Vedendo che Celina voleva bene ad una delle nostre maestre, volli
imitarla, ma, non sapendo ingraziarmi le creature, non ci riuscii. Oh,
felice ignoranza! Quanti mali mi ha evitati! Come ringrazio Gesù di
avermi fatto trovare «soltanto amarezze nelle amicizie della terra»!
Con un cuore come il mio, mi sarei lasciata prendere e tagliare le ali,
allora in qual modo avrei potuto «volare e riposarmi»? Un cuore
abbandonato agli affetti delle creature come può unirsi intimamente con
Dio? Sento che questo non è possibile. Senz'aver bevuto alla coppa
avvelenata dell'amore troppo ardente delle creature, sento che non
posso ingannarmi; ho visto tante anime sedotte da quella falsa luce
volare come povere farfalle e bruciarsi le ali, poi tornare verso la
vera dolce luce dell'amore che dava ad esse ali nuove più brillanti e
più leggere, affinché potessero volare a Gesù, Fuoco divino «che brucia
senza consumare» Ah, lo sento, Gesù mi sapeva troppo debole per espormi
alla tentazione. Forse mi sarei lasciata bruciare tutta dalla luce
ingannatrice se l'avessi vista brillare ai miei occhi... Non è stato
così, ho incontrato solamente amarezza là dove anime più forti
incontrano la gioia e se ne distaccano per fedeltà. Io non ho dunque
alcun merito per non essermi abbandonata all'amore delle creature,
poiché da esso fui preservata per grande misericordia del Signore!
Riconosco che senza lui avrei potuto cadere in basso quanto santa
Maddalena, e la profonda parola di Nostro Signore a Simone mi echeggia
nell'anima con grande dolcezza.
120 - Lo so, «colui al quale si rimette meno, ama meno» ma so anche che
Gesù mi ha rimesso più che a santa Maddalena perché mi ha rimesso in
anticipo, impedendomi di cadere. Ah, come vorrei poter chiarire ciò che
sento! Ecco un esempio che spiegherà il mio pensiero. Suppongo che il
figlio d'un medico abile incontri sul suo cammino una pietra che lo
faccia cadere; cadendo, egli si rompe un arto, e subito il padre corre
a lui, lo rialza con amore, cura le ferite impegnando tutte le risorse
della sua arte, e ben presto il figlio completamente guarito gli
dimostra la propria riconoscenza. Certamente questo figlio ha ben
ragione d'amare suo padre! Ma farò ancora un'altra ipotesi. Il padre,
avendo saputo che sulla strada di suo figlio si trova una pietra, si
affretta, va innanzi a lui, la rimuove senza che nessuno lo veda.
Certamente questo figlio, oggetto della sua tenerezza previdente, non
sapendo la sventura dalla quale è liberato per mezzo di suo padre, non
testimonierà a lui la propria riconoscenza e l'amerà meno che se fosse
stato guarito da lui. Ma se viene a conoscere il pericolo al quale è
stato sottratto, non amerà di più suo padre? Ebbene, io sono quel
figlio, oggetto dell'amore previdente di un Padre il quale non ha
mandato il Verbo a riscattare i giusti bensì i peccatori. Vuole che io
lo ami perché mi ha rimesso non già molto, bensì tutto. Non ha atteso
che io lo amassi molto, come santa Maddalena, ma ha voluto che io
sappia com'egli mi ha amata d'un amore d'ineffabile previdenza,
affinché ora io ami lui alla follia! Ho inteso dire che non si è mai
incontrata un'anima pura la quale ami più di un'anima penitente; ah!
come vorrei smentire questa parola!
121 - Mi accorgo di essere ben lontana dal mio soggetto, e perciò mi
affretto di tornare ad esso. L'anno che seguì la mia prima Comunione
trascorse quasi tutto senza prove intime per l'anima mia, fu durante il
mio ritiro per la seconda Comunione che mi vidi assalita dalla
terribile malattia degli scrupoli. Bisogna essere passati attraverso
questo martirio per capirlo bene: dire quanto ho sofferto per un anno e
mezzo, mi sarebbe impossibile. Tutti i miei pensieri e le mie azioni
più semplici divenivano per me oggetto di turbamento; non avevo riposo
se non dicendoli a Maria, e ciò mi costava molto, perché mi credevo
obbligata a dire i pensieri stravaganti che avevo riguardo a lei
stessa. Appena deposto il fardello, gustavo un attimo di pace, ma
questa pace passava come un lampo, e ben presto il martirio
ricominciava. Che pazienza è stata necessaria a Maria cara, per
ascoltarmi e non darmi segni di noia! Appena tornavo dall'Abbazia, lei
si metteva ad arricciarmi i capelli per il giorno dopo (perché tutti i
giorni, per far piacere a Papà, la piccola regina aveva i capelli
arricciati, con grande stupore delle compagne e soprattutto delle
maestre le quali non vedevano bambine così curate dai loro genitori),
durante la seduta non smettevo di piangere e di raccontare tutti i miei
scrupoli. Alla fine dell'anno Celina, avendo finito i suoi studi,
rientrò a casa, e la povera Teresa, obbligata a tornare sola a scuola,
non tardò ad ammalarsi: l'unica attrattiva che la tratteneva trì
collegio era vivere con la sua Celina inseparabile, senza lei la
«figlioletta» non poté restarci.
122 - Uscii dunque dall'Abbazia all'età di tredici anni, e continuai la
mia istruzione prendendo varie lezioni per settimana da «Madame
Papinau». Era un'ottima persona erudita, ma aveva un po' il tono della
zitella; viveva con sua madre, ed era incantevole vedere il ménage che
facevano in tre (perché la gatta era di famiglia ed io avevo da
tollerare che mi facesse le fusa sopra i quaderni, e mi toccava anche
ammirare la sua eleganza). Avevo il vantaggio di vivere nell'intimità
della famiglia; i Buissonnets essendo troppo lontani per le gambe un
po' invecchiate della mia docente, lei aveva chiesto che andassi a casa
sua. Quando arrivavo, generalmente trovavo soltanto la vecchia signora
Cochain la quale mi guardava «con i suoi grandi occhi chiari», e poi
chiamava con voce calma e sentenziosa: «M.me Papinau... Ma..
.d'mòizelle Thè.. .rèse è qui». La figlia rispondeva prontamente con
voce infantile: «Eccomi, Maman». E la lezione cominciava.
123 - Queste lezioni avevano in più il vantaggio (oltre all'istruzione
che ricevevo) di farmi conoscere il mondo... Chi l'avrebbe creduto! In
quella stanza arredata all'antica, ingombra di libri e quaderni,
assistevo spesso a visite di ogni genere: preti, signore, giovanette,
ecc. La signora Cochain faceva il più possibile le spese della
conversazione per lasciare alla figlia il modo di darmi lezione, ma in
quei giorni non imparavo molto; col naso nel libro udivo tutto ciò che
dicevano, ed anche quello che sarebbe stato meglio per me non udire; la
vanità s'insinua tanto facilmente nel cuore! Una signora diceva che
avevo bei capelli... un'altra, uscendo, e credendo di non essere
intesa, domandava chi fosse quella giovanetta così carina; e così tali
parole, tanto più lusinghiere quanto meno erano dette in presenza mia,
mi lasciavano nell'anima una compiacenza dalla quale capivo facilmente
di essere piena di amor proprio.
124 - Oh, come ho compassione delle anime che si perdono! E così facile
smarrirsi nei sentieri fioriti di questo mondo... senza dubbio per
un'anima un poco elevata, la dolcezza che il mondo offre è mescolata
con amarezza, e il vuoto immenso dei desideri non potrebbe essere
colmato dalle lodi d'un istante... Ma se il mio cuore non fosse stato
innalzato verso Dio fin dal primo risveglio, se il mondo mi avesse
sorriso fin dal mio entrare nella vita, che sarei divenuta? Oh, Madre
mia cara, con quanta riconoscenza canto le misericordie del Signore!
Egli mi ha, come dice la Sapienza, «ritirata dal mondo prima che il mio
spirito fosse corrotto dalla sua malizia e che le sue apparenze
ingannevoli avessero sedotta l'anima mia». La Vergine Santa vegliava
anche lei sul suo fiore umile, e non voleva vederlo appassire al
contatto delle cose terrene, perciò lo portò sopra il suo monte prima
che esso sbocciasse. Aspettando quel momento felice la piccola Teresa
cresceva in amore verso la sua Mamma del Cielo; per provarle questo
amore ella fece un atto che le costò molto, e che io cercherò di
raccontare brevemente, nonostante la lunghezza di esso.
125 - Quasi subito dopo il mio ingresso nell'Abbazia, ero stata
ricevuta nell'Associazione dei santi Angeli; mi piacevano molto le
pratiche di devozione che essa imponeva, poiché provavo un'attrattiva
particolare a pregare gli spiriti beati del Cielo e soprattutto quello
che il buon Dio mi ha dato come compagno nel mio esilio. Qualche tempo
dopo la mia prima Comunione, il nastro d'aspirante alle Figlie di Maria
sostituì quello dei santi Angeli, ma io lasciai l'Abbazia quando ancora
non ero stata accolta nell'associazione della Santa Vergine. Essendo
uscita prima di aver compiuto i miei studi, non avevo il permesso di
entrare come ex-allieva; confesso che questo privilegio non eccitava il
mio desiderio, ma pensando che tutte le mie sorelle erano state «Figlie
di Maria», temetti di essere meno di loro figlia della mia Madre dei
Cieli, e andai molto umilmente (benché mi costasse), a chiedere di
essere ricevuta nell'associazione della Santa Vergine all'Abbazia. La
prima maestra non volle rifiutarmi, ma mise come condizione che io
rientrassi due giorni per settimana nel pomeriggio per dimostrare se
ero degna di essere ammessa. Ben lungi dal farmi piacere, questo
permesso mi costò moltissimo; non avevo come le altre ex-allieve, una
maestra amica con la quale passare varie ore; così mi contentavo di
andare a salutare la maestra, poi lavoravo in silenzio per tutta la
lezione di cucito o ricamo. Nessuno faceva attenzione a me, e così
salivo alla tribuna della cappella, e rimanevo davanti al Santissimo
fino al momento in cui Papà veniva a prendermi; era la sola
consolazione: Gesù non era forse il mio unico amico? Non sapevo parlare
che a lui, le conversazioni con le creature, perfino le conversazioni
pie, mi stancavano l'anima. Sentivo che è meglio parlare a Dio che di
Dio, perché si mescola tanto amor proprio nelle conversazioni
spirituali! Ah, proprio per la Santa Vergine soltanto venivo
all'Abbazia... talvolta mi sentivo sola, molto sola, come nei giorni
della mia vita di collegio quando passeggiavo triste e malata nel
cortile grande, ripetevo le parole che mi facevano sempre rinascere nel
cuore la pace e la forza: «La vita è la tua nave e non la tua dimora».
Già da piccolissima ritrovavo coraggio in questo verso; ancora oggi,
nonostante gli anni che cancellano tante impressioni di pietà
infantile, l'immagine della nave affascina l'anima mia e l'aiuta a
sopportare l'esilio. Anche la Sapienza dice che: «La vita è come la
nave che rompe le acque agitate e non lascia dietro sé traccia del
proprio passaggio». Quando penso a queste cose, l'anima ia s'immerge
nell'infinito, mi sembra già di toccare la riva eterna. Mi pare di
ricevere l'abbraccio di Gesù, di vedere la mia Madre del Cielo venirmi
incontro con Papà... Mamma... i quattro angeli... Credo di godere
finalmente e per sempre della vera, dell'eterna vita in famiglia...
126 - Prima di veder la famiglia riunita al focolare paterno dei Cieli,
dovevo passare attraverso tante separazioni! L'anno nel quale fui
accolta tra le Figlie della Vergine Santa, mi rapì la mia cara Maria,
l'unico sostegno della mia anima... Era Maria che mi guidava, mi
consolava, mi aiutava a praticare la virtù; era il mio solo oracolo.
Senza dubbio, Paolina m'era rimasta bene addentro nel cuore, ma Paolina
era lontana, così lontana da me! Avevo sofferto il martirio per
assuefarmi a vivere senza lei, per accettare tra lei e me dei muri
impenetrabili; ma finalmente avevo riconosciuto la triste realtà.
Paolina era perduta per me, quasi allo stesso modo come se fosse morta.
Mi amava ancora, pregava per me, ma, agli occhi miei, la mia Paolina
cara era divenuta una Santa, la quale non doveva più capire le cose
della terra; e le miserie della povera Teresa, se lei le avesse
conosciute, avrebbero dovuto farla stupire e impedirle di amar tanto la
sorellina. D'altra parte, quand'anche avessi voluto confidarle i miei
pensieri come ai Buissonnets, non avrei potuto farlo, i «parlatori»
erano riservati a Maria. Celina ed io avevamo il permesso di venire
alla fine, appena in tempo per sentirci stringere il cuore... Così
avevo realmente Maria sola, ella mi era indispensabile, dicevo i miei
scrupoli unicamente a lei, ed ero tanto obbediente che il mio
confessore non ha conosciuto mai la mia brutta malattia; gli dicevo
soltanto il numero di peccati che Maria mi aveva permesso di
confessare, non uno di più, e in tal modo avrei potuto passare per
l'anima meno scrupolosa della terra, nonostante che lo fossi all'ultimo
grado. Maria sapeva dunque tutto ciò che accadeva nell'anima mia,
conosceva anche il desiderio di entrare nel Carmelo, e io l'amavo tanto
che non potevo vivere senza lei.
127 - Tutti gli anni la zia c'invitava a turno da lei a Trouville, a me
sarebbe piaciuto tanto andarci, ma con Maria! Quando non ce l'avevo, mi
annoiavo molto. Tuttavia una volta ebbi veramente piacere a Trouville,
fu l'anno del viaggio di Papà a Costantinopoli; per distrarci un poco
(perché eravamo tanto dispiaciute sapendo Papà così lontano), Maria ci
mandò, Celina e me, a passare quindici giorni in riva al mare. Mi ci
divertii molto perché avevo la mia Celina. La zia ci procurò tutti i
piaceri possibili: passeggiate sul somaro, pesca delle triglie, e così
via. Ero ancora molto bambina, nonostante i miei dodici anni e mezzo;
ricordo la mia gioia quando mi misi dei bei nastri azzurro-cielo che la
zia mi aveva regalato per i capelli; ricordo anche di essermi
confessata proprio a Trouville di quel piacere fanciullesco che mi
pareva un peccato. Una sera ebbi un'esperienza che mi sorprese molto.
Maria (Guérin) la quale era quasi sempre malaticcia, piangiucchiava
spesso; allora la zia l'accarezzava, le dava i nomi più teneri, e la
cara cuginetta continuava, nonostante ciò, a dire lacrimando che aveva
mal di capo. Io che avevo mal di testa quasi ogni giorno, e non me ne
lamentavo, una sera volli imitare Maria, e mi sentii in dovere di
lacrimare sopra una poltrona in un angolo del salotto. Subito Giovanna
e la zia si occuparono di me: «Che cos'hai?». - «Ho mal di testa». Ma
pare che non mi si addicesse lamentarmi, non potei mai persuaderle che
il mal di capo mi facesse piangere; invece di coccolarmi, mi parlarono
come a una persona grande, e Giovanna mi rimproverò la poca fiducia
nella zia, perché pensava che avessi una inquietudine di coscienza:
insomma, fui pagata a mie spese, ben risoluta a non imitar più gli
altri, e capii la favola «dell'asino e del canino». Ero l'asino che,
viste le carezze prodigate al canino, era venuto a mettere le sue
povere zampe sulla tavola per ricevere la sua parte di baci; ahimè! se
non ricevetti le bastonate come il povero animale, ricevetti davvero il
soldino adatto per me, e quel soldino mi guarì per sempre dalla voglia
d'attirar l'attenzione; l'unico sforzo che avevo fatto per questo scopo
mi era costato troppo! L'anno seguente, cioè quello in cui la mia cara
Madrina partì, la zia m'invitò ancora, ma questa volta sola, e mi
trovai tanto spaesata, che entro due o tre giorni ero malata, e bisognò
che mi riconducessero a Lisieux; la malattia che temevano fosse grave,
in realtà era soltanto nostalgia dei Buissonnets, appena ebbi messo
piede a casa, tornò la salute... Ed era a quella bimba li che il buon
Dio stava per togliere l'unico appoggio che l'attaccasse alla vita!
128 - Appena seppi la decisione di Maria, risolsi di non prendere più
svago né piacere su questa terra. Da quando ero uscita dal collegio, mi
ero installata nella ex stanza di pittura di Paolina e l'avevo
accomodata a gusto mio. Era un vero bazar, un'accozzaglia di pietà e di
curiosità, un giardino e una voliera... Così, sul fondo si stagliava
una grande croce di legno nero senza il Cristo, alcuni disegni che mi
piacevano; sopra un altro muro, un canestro guarnito di mussola e di
nastri rosa con erbe fini e fiori; sulla quarta parete troneggiava,
solo, il ritratto di Paolina a dieci anni; sotto esso c era una tavola
sulla quale era posata una gabbia ampia che racchiudeva un gran numero
di uccelletti, e questi, col loro cinguettio melodioso rompevano il
capo ai visitatori, ma non già alla loro padroncina che li amava tanto.
C'era anche il «mobiletto bianco» pieno di libri miei di studio,
quaderni, ecc... Su quel mobile era posata una statua della Vergine
Santa con dei vasi sempre ornati di fiori naturali, e dei candelieri;
intorno varie piccole statue di santi e sante, panierini in conchiglie,
scatole di carta bristol, ecc.! Finalmente il mio giardino era sospeso
davanti alla finestra nella quale curavo alcuni vasi da fiori (i più
rari che potessi trovare); avevo ancora una giardiniera nell'interno
del «mio museo», e ci mettevo la mia pianta privilegiata. Davanti alla
finestra era situata la mia tavola coperta con un tappeto verde, e su
quel tappeto avevo posto, proprio in mezzo, una clessidra, una
statuetta di san Giuseppe, un porta-orologi, dei panieri di fiori, un
calamaio, ecc... Alcune seggiole zoppe, e l'incantevole letto per la
bambola di Paolina completavano tutto il mio arredamento. Davvero
quella povera soffitta era un mondo per me, e come il signore de
Maistre potrei comporre un libro chiamandolo «Viaggio intorno alla mia
stanza». In questo ambiente restavo sola per ore intere studiando e
meditando davanti alla bella vista che mi si stendeva dinanzi.
129 - Quando seppi della partenza di Maria, la mia stanza perse per me
tutto il suo fascino, non volevo lasciare un solo attimo la sorella
carissima che sarebbe partita presto. Quanti atti di pazienza le ho
fatto fare! Ogni volta che passavo davanti alla porta di camera sua,
bussavo fino a farmi aprire, e l'abbracciavo con tutto il cuore, volevo
far provvista di baci per tutto il tempo che dovevo rimanerne priva. Un
mese prima che lei entrasse nel Carmelo, Papà ci condusse ad Alencon,
ma questo viaggio non somigliò lontanamente al primo, tutto fu
tristezza e amarezza per me. Non posso dire le lacrime che piansi sulla
tomba di Mamma, perché avevo dimenticato di portare un mazzo di
fiordalisi colti per lei. Mi addoloravo veramente per tutto! Ero il
contrario di ora! perché il buon Dio mi ha fatto la grazia di non
abbattermi per veruna cosa passeggera. Quando ricordo il passato,
l'anima mia trabocca di riconoscenza vedendo i favori ricevuti dal
Cielo, in me si è operato un cambiamento tale che non sono
riconoscibile. E vero che desideravo la grazia «di avere un dominio
pieno sulle mie azioni, di essere la padrona di me, e non la schiava».
Queste parole della Imitazione mi commuovevano profondamente, ma io
dovevo acquistare direi quasi con i miei desideri questa grazia
inestimabile; ero ancora soltanto una bambina la quale pareva non
avesse altra volontà se non quella degli altri, e ciò faceva dire alla
gente di Alencon che ero debole di carattere…
130 - Fu durante quel viaggio che Leonia compì un tentativo presso le
clarisse; a me fece dispiacere il suo ingresso straordinario perché
l'amavo molto, e non avevo potuto abbracciarla prima che partisse. Mai
dimenticherò la bontà e l'impaccio del mio carissimo Babbo quando ci
annunciò che Leonia aveva già l'abito di clarissa. Come noi trovava che
la cosa era assai strana, ma non voleva dir niente, vedendo quanto
Maria era scontenta. Ci condusse al convento e là sentii una stretta al
cuore come mai avevo provato all'aspetto di un monastero, provavo
l'effetto opposto a quello del Carmelo, ove tutto mi dilatava l'anima.
La vista delle religiose non mi disse gran che di più, e non fui
tentata di rimanere fra loro; quella cara Leonia era carina davvero nel
suo nuovo abito, ci disse di guardar bene i suoi occhi perché non li
avremmo più rivisti (le clarisse non si fanno vedere se non a occhi
bassi), ma il buon Dio si contentò di due mesi di sacrificio, e Leonia
tornò a mostrare i suoi occhi blu spesso velati di lacrime. Lasciando
Alencon credevo che sarebbe rimasta con le Clarisse e perciò mi
allontanai col cuore grosso grosso dalla triste via della Mezzaluna.
Eravamo tre sole, ormai, e ben presto la nostra cara Maria ci avrebbe
lasciate anche lei... Il 15 ottobre fu il giorno della separazione
Della gioiosa e numerosa famiglia dei Buissonnets rimanevano soltanto
le due ultime... Le colombe erano fuggite dal nido paterno, quelle che
restavano avrebbero voluto sciamare con loro, ma le ali erano ancor
troppo deboli perché potessero spiccare il volo. Il buon Dio che voleva
chiamare a sé la più piccola e debole di tutte, si affrettò a
svilupparle le ali. Lui che si compiace di mostrare la sua bontà e la
sua potenza servendosi degli strumenti meno degni, volle ben chiamarmi
prima di Celina la quale senza dubbio meritava più di me questo favore;
ma Gesù sapeva quanto ero debole, e perciò mi nascose per prima nel
cavo della roccia.
131 - Quando Maria entrò nel Carmelo ero ancora molto scrupolosa. Non
potendo più confidarmi con lei, guardai verso il Cielo. Mi rivolsi ai
quattro angeli che mi avevano preceduta lassù, perché pensavo che
quelle anime innocenti non avendo mai conosciuto turbamenti né timori,
dovevano aver pietà della loro sorellina la quale soffriva sulla terra.
Parlai loro con semplicità di bambina, feci notare che, essendo
l'ultima della famiglia, ero stata sempre la più amata, la più colmata
di tenerezza da parte delle sorelle; che se fossero rimasti essi sulla
terra, mi avrebbero certamente dato altrettante prove di affetto... La
loro partenza per il Cielo non mi pareva una buona ragione per
dimenticarmi, anzi, trovandosi essi a potere attingere dai tesori
divini, dovevano prendere per me la pace, e dimostrarmi così che in
Cielo si sa ancora amare! La risposta non si fece attendere, ben presto
la pace inondò l'anima mia con le sue acque deliziose, e capii che, se
ero amata sulla terra, lo ero anche nel Cielo... Da quel momento in poi
la devozione crebbe verso i miei fratellini e sorelline, e mi piace di
conversare spesso con loro parlando delle tristezze di questo esilio...
del desiderio di raggiungerli presto nella Patria celeste!
8 dicembre 1943
Madre Pierina Micheli
La festa della mia cara Mamma del Paradiso, fu di agonia interna... ho cercato di operare e fare del mio meglio per reagire... abbandono assoluto... Sono entrate due Probande. Le affido all'Immacolata... che io non sia per loro di danno...