Liturgia delle Ore - Letture
Domenica della 2° settimana del Tempo di Pasqua
Vangelo secondo Matteo 27
1Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per farlo morire.2Poi, messolo in catene, lo condussero e consegnarono al governatore Pilato.
3Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani4dicendo: "Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente". Ma quelli dissero: "Che ci riguarda? Veditela tu!".5Ed egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi.6Ma i sommi sacerdoti, raccolto quel denaro, dissero: "Non è lecito metterlo nel tesoro, perché è prezzo di sangue".7E tenuto consiglio, comprarono con esso il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri.8Perciò quel campo fu denominato "Campo di sangue" fino al giorno d'oggi.9Allora si adempì quanto era stato detto dal profeta Geremia: 'E presero trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato,10e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore.'
11Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore l'interrogò dicendo: "Sei tu il re dei Giudei?". Gesù rispose "Tu lo dici".12E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e gli anziani, non rispondeva nulla.13Allora Pilato gli disse: "Non senti quante cose attestano contro di te?".14Ma Gesù non gli rispose neanche una parola, con grande meraviglia del governatore.
15Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta.16Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba.17Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: "Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?".18Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.
19Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: "Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua".20Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù.21Allora il governatore domandò: "Chi dei due volete che vi rilasci?". Quelli risposero: "Barabba!".22Disse loro Pilato: "Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?". Tutti gli risposero: "Sia crocifisso!".23Ed egli aggiunse: "Ma che male ha fatto?". Essi allora urlarono: "Sia crocifisso!".
24Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: "Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!".25E tutto il popolo rispose: "Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli".26Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso.
27Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la coorte.28Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto29e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: "Salve, re dei Giudei!".30E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo.31Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo.
32Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prender su la croce di lui.33Giunti a un luogo detto Gòlgota, che significa luogo del cranio,34gli 'diedero da bere vino' mescolato con 'fiele'; ma egli, assaggiatolo, non ne volle bere.35Dopo averlo quindi crocifisso, 'si spartirono le' sue 'vesti tirandole a sorte'.36E sedutisi, gli facevano la guardia.37Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: "'Questi è Gesù, il re dei Giudei'".
38Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.
39E quelli che passavano di là lo insultavano 'scuotendo il capo' e dicendo:40"Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!".41Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano:42"Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. È il re d'Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo.43'Ha confidato in Dio; lo liberi lui' ora, 'se gli vuol bene'. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!".44Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo.
45Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra.46Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: "'Elì, Elì, lemà sabactàni?'", che significa: "'Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?'".47Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: "Costui chiama Elia".48E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala 'di aceto', la fissò su una canna e così gli 'dava da bere'.49Gli altri dicevano: "Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!".50E Gesù, emesso un alto grido, spirò.
51Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono,52i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono.53E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti.54Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: "Davvero costui era Figlio di Dio!".
55C'erano anche là molte donne che stavano a osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo.56Tra costoro Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedèo.
57Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatéa, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù.58Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato ordinò che gli fosse consegnato.59Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo60e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò.61Erano lì, davanti al sepolcro, Maria di Màgdala e l'altra Maria.
62Il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato i sommi sacerdoti e i farisei, dicendo:63"Signore, ci siamo ricordati che quell'impostore disse mentre era vivo: Dopo tre giorni risorgerò.64Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: È risuscitato dai morti. Così quest'ultima impostura sarebbe peggiore della prima!".65Pilato disse loro: "Avete la vostra guardia, andate e assicuratevi come credete".66Ed essi andarono e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia.
Genesi 30
1Rachele, vedendo che non le era concesso di procreare figli a Giacobbe, divenne gelosa della sorella e disse a Giacobbe: "Dammi dei figli, se no io muoio!".2Giacobbe s'irritò contro Rachele e disse: "Tengo forse io il posto di Dio, il quale ti ha negato il frutto del grembo?".3Allora essa rispose: "Ecco la mia serva Bila: unisciti a lei, così che partorisca sulle mie ginocchia e abbia anch'io una mia prole per mezzo di lei".4Così essa gli diede in moglie la propria schiava Bila e Giacobbe si unì a lei.5Bila concepì e partorì a Giacobbe un figlio.6Rachele disse: "Dio mi ha fatto giustizia e ha anche ascoltato la mia voce, dandomi un figlio". Per questo essa lo chiamò Dan.7Poi Bila, la schiava di Rachele, concepì ancora e partorì a Giacobbe un secondo figlio.8Rachele disse: "Ho sostenuto contro mia sorella lotte difficili e ho vinto!". Perciò lo chiamò Nèftali.
9Allora Lia, vedendo che aveva cessato di aver figli, prese la propria schiava Zilpa e la diede in moglie e Giacobbe.10Zilpa, la schiava di Lia, partorì a Giacobbe un figlio.11Lia disse: "Per fortuna!" e lo chiamò Gad.12Poi Zilpa, la schiava di Lia, partorì un secondo figlio a Giacobbe.13Lia disse: "Per mia felicità! Perché le donne mi diranno felice". Perciò lo chiamò Aser.
14Al tempo della mietitura del grano, Ruben uscì e trovò mandragore, che portò alla madre Lia. Rachele disse a Lia: "Dammi un po' delle mandragore di tuo figlio".15Ma Lia rispose: "È forse poco che tu mi abbia portato via il marito perché voglia portar via anche le mandragore di mio figlio?". Riprese Rachele: "Ebbene, si corichi pure con te questa notte, in cambio delle mandragore di tuo figlio".16Alla sera, quando Giacobbe arrivò dalla campagna, Lia gli uscì incontro e gli disse: "Da me devi venire, perché io ho pagato il diritto di averti con le mandragore di mio figlio". Così egli si coricò con lei quella notte.17Il Signore esaudì Lia, la quale concepì e partorì a Giacobbe un quinto figlio.18Lia disse: "Dio mi ha dato il mio salario, per avere io dato la mia schiava a mio marito". Perciò lo chiamò Ìssacar.19Poi Lia concepì e partorì ancora un sesto figlio a Giacobbe.20Lia disse: "Dio mi ha fatto un bel regalo: questa volta mio marito mi preferirà, perché gli ho partorito sei figli". Perciò lo chiamò Zàbulon.21In seguito partorì una figlia e la chiamò Dina.
22Poi Dio si ricordò anche di Rachele; Dio la esaudì e la rese feconda.23Essa concepì e partorì un figlio e disse: "Dio ha tolto il mio disonore".24E lo chiamò Giuseppe dicendo: "Il Signore mi aggiunga un altro figlio!".
25Dopo che Rachele ebbe partorito Giuseppe, Giacobbe disse a Làbano: "Lasciami andare e tornare a casa mia, nel mio paese.26Dammi le mogli, per le quali ti ho servito, e i miei bambini perché possa partire: tu conosci il servizio che ti ho prestato".27Gli disse Làbano: "Se ho trovato grazia ai tuoi occhi... Per divinazione ho saputo che il Signore mi ha benedetto per causa tua".28E aggiunse: "Fissami il tuo salario e te lo darò".29Gli rispose: "Tu stesso sai come ti ho servito e quanti sono diventati i tuoi averi per opera mia.30Perché il poco che avevi prima della mia venuta è cresciuto oltre misura e il Signore ti ha benedetto sui miei passi. Ma ora, quando lavorerò anch'io per la mia casa?".31Riprese Làbano: "Che ti devo dare?". Giacobbe rispose: "Non mi devi nulla; se tu farai per me quanto ti dico, ritornerò a pascolare il tuo gregge e a custodirlo.32Oggi passerò fra tutto il tuo bestiame; metti da parte ogni capo di colore scuro tra le pecore e ogni capo chiazzato e punteggiato tra le capre: sarà il mio salario.33In futuro la mia stessa onestà risponderà per me; quando verrai a verificare il mio salario, ogni capo che non sarà punteggiato o chiazzato tra le capre e di colore scuro tra le pecore, se si troverà presso di me, sarà come rubato".34Làbano disse: "Bene, sia come tu hai detto!".35In quel giorno mise da parte i capri striati e chiazzati e tutte le capre punteggiate e chiazzate, ogni capo che aveva del bianco e ogni capo di colore scuro tra le pecore. Li affidò ai suoi figli36e stabilì una distanza di tre giorni di cammino tra sé e Giacobbe, mentre Giacobbe pascolava l'altro bestiame di Làbano.
37Ma Giacobbe prese rami freschi di pioppo, di mandorlo e di platano, ne intagliò la corteccia a strisce bianche, mettendo a nudo il bianco dei rami.38Poi egli mise i rami così scortecciati nei truogoli agli abbeveratoi dell'acqua, dove veniva a bere il bestiame, proprio in vista delle bestie, le quali si accoppiavano quando venivano a bere.39Così le bestie si accoppiarono di fronte ai rami e le capre figliarono capretti striati, punteggiati e chiazzati.40Quanto alle pecore, Giacobbe le separò e fece sì che le bestie avessero davanti a sé gli animali striati e tutti quelli di colore scuro del gregge di Làbano. E i branchi che si era così costituiti per conto suo, non li mise insieme al gregge di Làbano.
41Ogni qualvolta si accoppiavano bestie robuste, Giacobbe metteva i rami nei truogoli in vista delle bestie, per farle concepire davanti ai rami.42Quando invece le bestie erano deboli, non li metteva. Così i capi di bestiame deboli erano per Làbano e quelli robusti per Giacobbe.43Egli si arricchì oltre misura e possedette greggi in grande quantità, schiave e schiavi, cammelli e asini.
Sapienza 11
1Essa fece riuscire le loro imprese
per mezzo di un santo profeta:
2attraversarono un deserto inospitale,
fissarono le tende in terreni impraticabili,
3resistettero agli avversari, respinsero i nemici.
4Quando ebbero sete, ti invocarono
e fu data loro acqua da una rupe scoscesa,
rimedio contro la sete da una dura roccia.
5Ciò che era servito a punire i loro nemici,
nel bisogno fu per loro un beneficio.
6Invece della corrente di un fiume perenne,
sconvolto da putrido sangue
7in punizione di un decreto infanticida,
tu desti loro inaspettatamente acqua abbondante,
8mostrando per la sete di allora,
come avevi punito i loro avversari.
9Difatti, messi alla prova, sebbene puniti con misericordia,
compresero quali tormenti avevan sofferto gli empi,
giudicati nella collera,
10perché tu provasti gli uni come un padre che corregge,
mentre vagliasti gli altri come un re severo che condanna.
11Lontani o vicini erano ugualmente tribolati,
12perché un duplice dolore li colse
e un pianto per i ricordi del passato.
13Quando infatti seppero che dal loro castigo
quegli altri ricevevano benefici,
sentirono la presenza del Signore;
14poiché colui che avevano una volta esposto
e quindi respinto con scherni,
lo ammiravano alla fine degli eventi,
dopo aver patito una sete ben diversa da quella dei giusti.
15Per i ragionamenti insensati della loro ingiustizia,
da essi ingannati, venerarono
rettili senza ragione e vili bestiole.
Tu inviasti loro in castigo
una massa di animali senza ragione,
16perché capissero che con quelle stesse cose
per cui uno pecca, con esse è poi castigato.
17Certo, non aveva difficoltà la tua mano onnipotente,
che aveva creato il mondo da una materia senza forma,
a mandare loro una moltitudine di orsi e leoni feroci
18o belve ignote, create apposta, piene di furore,
o sbuffanti un alito infuocato
o esalanti vapori pestiferi
o folgoranti con le terribili scintille degli occhi,
19bestie di cui non solo l'assalto poteva sterminarli,
ma annientarli anche l'aspetto terrificante.
20Anche senza questo potevan soccombere con un soffio,
perseguitati dalla giustizia
e dispersi dallo spirito della tua potenza.
Ma tu hai tutto disposto con misura, calcolo e peso.
21Prevalere con la forza ti è sempre possibile;
chi potrà opporsi al potere del tuo braccio?
22Tutto il mondo davanti a te, come polvere sulla bilancia,
come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra.
23Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi,
non guardi ai peccati degli uomini,
in vista del pentimento.
24Poiché tu ami tutte le cose esistenti
e nulla disprezzi di quanto hai creato;
se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure creata.
25Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi?
O conservarsi se tu non l'avessi chiamata all'esistenza?
26Tu risparmi tutte le cose,
perché tutte son tue, Signore, amante della vita,
Salmi 135
1Alleluia.
Lodate il nome del Signore,
lodatelo, servi del Signore,
2voi che state nella casa del Signore,
negli atri della casa del nostro Dio.
3Lodate il Signore: il Signore è buono;
cantate inni al suo nome, perché è amabile.
4Il Signore si è scelto Giacobbe,
Israele come suo possesso.
5Io so che grande è il Signore,
il nostro Dio sopra tutti gli dèi.
6Tutto ciò che vuole il Signore,
egli lo compie in cielo e sulla terra,
nei mari e in tutti gli abissi.
7Fa salire le nubi dall'estremità della terra,
produce le folgori per la pioggia,
dalle sue riserve libera i venti.
8Egli percosse i primogeniti d'Egitto,
dagli uomini fino al bestiame.
9Mandò segni e prodigi
in mezzo a te, Egitto,
contro il faraone e tutti i suoi ministri.
10Colpì numerose nazioni
e uccise re potenti:
11Seon, re degli Amorrèi,
Og, re di Basan,
e tutti i regni di Cànaan.
12Diede la loro terra in eredità a Israele,
in eredità a Israele suo popolo.
13Signore, il tuo nome è per sempre;
Signore, il tuo ricordo per ogni generazione.
14Il Signore guida il suo popolo,
si muove a pietà dei suoi servi.
15Gli idoli dei popoli sono argento e oro,
opera delle mani dell'uomo.
16Hanno bocca e non parlano;
hanno occhi e non vedono;
17hanno orecchi e non odono;
non c'è respiro nella loro bocca.
18Sia come loro chi li fabbrica
e chiunque in essi confida.
19Benedici il Signore, casa d'Israele;
benedici il Signore, casa di Aronne;
20Benedici il Signore, casa di Levi;
voi che temete il Signore, benedite il Signore.
21Da Sion sia benedetto il Signore.
che abita a Gerusalemme. Alleluia.
Daniele 3
1Il re Nabucodònosor aveva fatto costruire una statua d'oro, alta sessanta cubiti e larga sei, e l'aveva fatta erigere nella pianura di Dura, nella provincia di Babilonia.
2Quindi il re Nabucodònosor aveva convocato i sàtrapi, i prefetti, i governatori, i consiglieri, i tesorieri, i giudici, i questori e tutte le alte autorità delle province, perché presenziassero all'inaugurazione della statua che il re Nabucodònosor aveva fatto erigere.
3I sàtrapi, i prefetti, i governatori, i consiglieri, i tesorieri, i giudici, i questori e tutte le alte autorità delle province vennero all'inaugurazione della statua. Essi si disposero davanti alla statua fatta erigere dal re.
4Un banditore gridò ad alta voce: "Popoli, nazioni e lingue, a voi è rivolto questo proclama:
5Quando voi udirete il suono del corno, del flauto, della cetra, dell'arpicordo, del salterio, della zampogna, e d'ogni specie di strumenti musicali, vi prostrerete e adorerete la statua d'oro, che il re Nabucodònosor ha fatto innalzare.6Chiunque non si prostrerà alla statua, in quel medesimo istante sarà gettato in mezzo ad una fornace di fuoco ardente".
7Perciò tutti i popoli, nazioni e lingue, in quell'istante che ebbero udito il suono del corno, del flauto, dell'arpicordo, del salterio e di ogni specie di strumenti musicali, si prostrarono e adorarono la statua d'oro, che il re Nabucodònosor aveva fatto innalzare.
8Però in quel momento alcuni Caldei si fecero avanti per accusare i Giudei9e andarono a dire al re Nabucodònosor: "Re, vivi per sempre!10Tu hai decretato, o re, che chiunque avrà udito il suono del corno, del flauto, della cetra, dell'arpicordo, del salterio, della zampogna e d'ogni specie di strumenti musicali, si deve prostrare e adorare la statua d'oro:11chiunque non si prostrerà per adorarla, sia gettato in mezzo ad una fornace con il fuoco acceso.
12Ora, ci sono alcuni Giudei, ai quali hai affidato gli affari della provincia di Babilonia, cioè Sadràch, Mesàch e Abdènego, che non ti obbediscono, re: non servono i tuoi dèi e non adorano la statua d'oro che tu hai fatto innalzare".
13Allora Nabucodònosor, sdegnato, comandò che gli si conducessero Sadràch, Mesàch e Abdènego, e questi comparvero alla presenza del re.14Nabucodònosor disse loro: "È vero, Sadràch, Mesàch e Abdènego, che voi non servite i miei dèi e non adorate la statua d'oro che io ho fatto innalzare?15Ora, se voi sarete pronti, quando udirete il suono del corno, del flauto, della cetra, dell'arpicordo, del salterio, della zampogna e d'ogni specie di strumenti musicali, a prostrarvi e adorare la statua che io ho fatta, bene; altrimenti in quel medesimo istante sarete gettati in mezzo ad una fornace dal fuoco ardente. Qual Dio vi potrà liberare dalla mia mano?".
16Ma Sadràch, Mesàch e Abdènego risposero al re Nabucodònosor: "Re, noi non abbiamo bisogno di darti alcuna risposta in proposito;17sappi però che il nostro Dio, che serviamo, può liberarci dalla fornace con il fuoco acceso e dalla tua mano, o re.18Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dèi e non adoreremo la statua d'oro che tu hai eretto".19Allora Nabucodònosor, acceso d'ira e con aspetto minaccioso contro Sadràch, Mesàch e Abdènego, ordinò che si aumentasse il fuoco della fornace sette volte più del solito.20Poi, ad alcuni uomini fra i più forti del suo esercito, comandò di legare Sadràch, Mesàch e Abdènego e gettarli nella fornace con il fuoco acceso.21Furono infatti legati, vestiti come erano, con i mantelli, calzari, turbanti e tutti i loro abiti e gettati in mezzo alla fornace con il fuoco acceso.
22Ma quegli uomini, che dietro il severo comando del re avevano acceso al massimo la fornace per gettarvi Sadràch, Mesàch e Abdènego, rimasero uccisi dalle fiamme,23nel momento stesso che i tre giovani Sadràch, Mesàch e Abdènego cadevano legati nella fornace con il fuoco acceso.
24Essi passeggiavano in mezzo alle fiamme, lodavano Dio e benedicevano il Signore.
25Azaria, alzatosi, fece questa preghiera in mezzo al fuoco e aprendo la bocca disse:
26"Benedetto sei tu, Signore Dio dei nostri padri;
degno di lode e glorioso è il tuo nome per sempre.
27Tu sei giusto in tutto ciò che hai fatto;
tutte le tue opere sono vere,
rette le tue vie e giusti tutti i tuoi giudizi.
28Giusto è stato il tuo giudizio
per quanto hai fatto ricadere su di noi
e sulla città santa dei nostri padri, Gerusalemme.
Con verità e giustizia tu ci hai inflitto tutto questo
a causa dei nostri peccati,
29poiché noi abbiamo peccato, abbiamo agito da iniqui,
allontanandoci da te, abbiamo mancato in ogni modo.
Non abbiamo obbedito ai tuoi comandamenti,
30non li abbiamo osservati, non abbiamo fatto
quanto ci avevi ordinato per il nostro bene.
31Ora quanto hai fatto ricadere su di noi,
tutto ciò che ci hai fatto, l'hai fatto con retto giudizio:
32ci hai dato in potere dei nostri nemici,
ingiusti, i peggiori fra gli empi,
e di un re iniquo, il più malvagio su tutta la terra.
33Ora non osiamo aprire la bocca:
disonore e disprezzo sono toccati ai tuoi servi,
ai tuoi adoratori.
34Non ci abbandonare fino in fondo,
per amore del tuo nome, non rompere la tua alleanza;
35non ritirare da noi la tua misericordia,
per amore di Abramo tuo amico,
di Isacco tuo servo, d'Israele tuo santo,
36ai quali hai parlato, promettendo di moltiplicare
la loro stirpe come le stelle del cielo,
come la sabbia sulla spiaggia del mare.
37Ora invece, Signore,
noi siamo diventati più piccoli
di qualunque altra nazione,
ora siamo umiliati per tutta la terra
a causa dei nostri peccati.
38Ora non abbiamo più né principe,
né capo, né profeta, né olocausto,
né sacrificio, né oblazione, né incenso,
né luogo per presentarti le primiziee trovar misericordia.
39Potessimo esser accolti con il cuore contrito
e con lo spirito umiliato,
come olocausti di montoni e di tori,
come migliaia di grassi agnelli.
40Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te
e ti sia gradito,
perché non c'è confusione per coloro che confidano in te.
41Ora ti seguiamo con tutto il cuore,
ti temiamo e cerchiamo il tuo volto.
42Fa' con noi secondo la tua clemenza,
trattaci secondo la tua benevolenza,
secondo la grandezza della tua misericordia.
43Salvaci con i tuoi prodigi,
da' gloria, Signore, al tuo nome.
44Siano invece confusi quanti fanno il male ai tuoi servi,
siano coperti di vergogna con tutta la loro potenza;
e sia infranta la loro forza!
45Sappiano che tu sei il Signore,
il Dio unico e glorioso su tutta la terra".
46I servi del re, che li avevano gettati dentro, non cessarono di aumentare il fuoco nella fornace, con bitume, stoppa, pece e sarmenti.47La fiamma si alzava quarantanove cubiti sopra la fornace48e uscendo bruciò quei Caldei che si trovavano vicino alla fornace.49Ma l'angelo del Signore, che era sceso con Azaria e con i suoi compagni nella fornace, allontanò da loro la fiamma del fuoco50e rese l'interno della fornace come un luogo dove soffiasse un vento pieno di rugiada. Così il fuoco non li toccò affatto, non fece loro alcun male, non diede loro alcuna molestia.
51Allora quei tre giovani, a una sola voce, si misero a lodare, a glorificare, a benedire Dio nella fornace dicendo:
52"Benedetto sei tu, Signore, Dio dei padri nostri,
degno di lode e di gloria nei secoli.
Benedetto il tuo nome glorioso e santo,
degno di lode e di gloria nei secoli.
53Benedetto sei tu nel tuo tempio santo glorioso,
degno di lode e di gloria nei secoli.
54Benedetto sei tu nel trono del tuo regno,
degno di lode e di gloria nei secoli.
55Benedetto sei tu che penetri con lo sguardo gli abissi
e siedi sui cherubini,
degno di lode e di gloria nei secoli.
56Benedetto sei tu nel firmamento del cielo,
degno di lode e di gloria nei secoli.
57Benedite, opere tutte del Signore, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
58Benedite, angeli del Signore, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
59Benedite, cieli, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
60Benedite, acque tutte, che siete sopra i cieli, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
61Benedite, potenze tutte del Signore, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
62Benedite, sole e luna, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
63Benedite, stelle del cielo, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
64Benedite, piogge e rugiade, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
65Benedite, o venti tutti, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
66Benedite, fuoco e calore, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
67Benedite, freddo e caldo, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
68Benedite, rugiada e brina, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
69Benedite, gelo e freddo, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
70Benedite, ghiacci e nevi, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
71Benedite, notti e giorni, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
72Benedite, luce e tenebre, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
73Benedite, folgori e nubi, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
74Benedica la terra il Signore,
lo lodi e lo esalti nei secoli.
75Benedite, monti e colline, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
76Benedite, creature tutte
che germinate sulla terra, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
77Benedite, sorgenti, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
78Benedite, mari e fiumi, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
79Benedite, mostri marini
e quanto si muove nell'acqua, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
80Benedite, uccelli tutti dell'aria, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
81Benedite, animali tutti, selvaggi e domestici, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
82Benedite, figli dell'uomo, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
83Benedica Israele il Signore,
lo lodi e lo esalti nei secoli.
84Benedite, sacerdoti del Signore, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
85Benedite, o servi del Signore, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
86Benedite, spiriti e anime dei giusti, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
87Benedite, pii e umili di cuore, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
88Benedite, Anania, Azaria e Misaele, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli,
perché ci ha liberati dagl'inferi,
e salvati dalla mano della morte,
ci ha scampati di mezzo alla fiamma ardente,
ci ha liberati dal fuoco.
89Lodate il Signore, perché egli è buono,
perché la sua grazia dura sempre.
90Benedite, fedeli tutti, il Dio degli dèi,
lodatelo e celebratelo, perché la sua grazia dura sempre".
91Allora il re Nabucodònosor rimase stupito e alzatosi in fretta si rivolse ai suoi ministri: "Non abbiamo noi gettato tre uomini legati in mezzo al fuoco?". "Certo, o re", risposero.
92Egli soggiunse: "Ecco, io vedo quattro uomini sciolti, i quali camminano in mezzo al fuoco, senza subirne alcun danno; anzi il quarto è simile nell'aspetto a un figlio di dèi".
93Allora Nabucodònosor si accostò alla bocca della fornace con il fuoco acceso e prese a dire: "Sadràch, Mesàch, Abdènego, servi del Dio altissimo, uscite, venite fuori". Allora Sadràch, Mesàch e Abdènego uscirono dal fuoco.
94Quindi i satrapi, i prefetti, i governatori e i ministri del re si radunarono e, guardando quegli uomini, videro che sopra i loro corpi il fuoco non aveva avuto nessun potere; che neppure un capello del loro capo era stato bruciato e i loro mantelli non erano stati toccati e neppure l'odore del fuoco era penetrato in essi.
95Nabucodònosor prese a dire: "Benedetto il Dio di Sadràch, Mesàch e Abdènego, il quale ha mandato il suo angelo e ha liberato i servi che hanno confidato in lui; hanno trasgredito il comando del re e hanno esposto i loro corpi per non servire e per non adorare alcun altro dio che il loro Dio.
96Perciò io decreto che chiunque, a qualsiasi popolo, nazione o lingua appartenga, proferirà offesa contro il Dio di Sadràch, Mesàch e Abdènego, sia tagliato a pezzi e la sua casa sia ridotta a un mucchio di rovine, poiché nessun altro dio può in tal maniera liberare".
97Da allora il re promosse Sadràch, Mesàch e Abdènego a cariche pubbliche nella provincia di Babilonia.
98Il re Nabucodònosor a tutti i popoli, nazioni e lingue, che abitano in tutta la terra: Pace e prosperità!99M'è parso opportuno rendervi noti i prodigi e le meraviglie che il Dio altissimo ha fatto per me.
100Quanto sono grandi i suoi prodigi
e quanto straordinarie le sue meraviglie!
Il suo regno è un regno eterno
e il suo dominio di generazione in generazione.
Prima lettera ai Corinzi 15
1Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi,2e dal quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l'ho annunziato. Altrimenti, avreste creduto invano!
3Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture,4fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture,5e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.6In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti.7Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli.8Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto.9Io infatti sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio.10Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me.11Pertanto, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.
12Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti?13Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato!14Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede.15Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono.16Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto;17ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati.18E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti.19Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini.
20Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti.21Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti;22e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo.23Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo;24poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza.25Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi.26L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte,27perché 'ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi'. Però quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa.28E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.
29Altrimenti, che cosa farebbero quelli che vengono battezzati per i morti? Se davvero i morti non risorgono, perché si fanno battezzare per loro?30E perché noi ci esponiamo al pericolo continuamente?31Ogni giorno io affronto la morte, come è vero che voi siete il mio vanto, fratelli, in Cristo Gesù nostro Signore!32Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto a Èfeso contro le belve, a che mi gioverebbe? Se i morti non risorgono, 'mangiamo e beviamo, perché domani moriremo'.33Non lasciatevi ingannare: "Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi".34Ritornate in voi, come conviene, e non peccate! Alcuni infatti dimostrano di non conoscere Dio; ve lo dico a vostra vergogna.
35Ma qualcuno dirà: "Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno?".36Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore;37e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco, di grano per esempio o di altro genere.38E Dio gli dà un corpo come ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo.39Non ogni carne è la medesima carne; altra è la carne di uomini e altra quella di animali; altra quella di uccelli e altra quella di pesci.40Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti, e altro quello dei corpi terrestri.41Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle: ogni stella infatti differisce da un'altra nello splendore.42Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile;43si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza;44si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale.
Se c'è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale, poiché sta scritto che45il primo 'uomo', Adamo, 'divenne un essere vivente', ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita.46Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale.47Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo.48Quale è l'uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti.49E come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste.50Questo vi dico, o fratelli: la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l'incorruttibilità.
51Ecco io vi annunzio un mistero: non tutti, certo, moriremo, ma tutti saremo trasformati,52in un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati.53È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità.
54Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura:
'La morte è stata ingoiata per la vittoria.'
55'Dov'è, o morte, la tua vittoria?
Dov'è, o morte, il tuo pungiglione'?
56Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge.57Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!58Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.
Capitolo V: L'attento esame di se stessi
Leggilo nella Biblioteca1. Non possiamo fare troppo affidamento su noi stessi, perché spesso ci manca la grazia e la capacità di sentire rettamente. Scarsa è la luce che è in noi, e subitamente la perdiamo per la nostra negligenza. Spesso poi non ci accorgiamo neppure di essere così ciechi interiormente: facciamo il male e, cosa ancora peggiore, ci andiamo scusando. Talora siamo mossi dalla passione, e la prendiamo per zelo; rimproveriamo negli altri piccole cose e passiamo sopra a quelle più grosse, commesse da noi. Avvertiamo con prontezza, e pesiamo ben bene ciò che gli altri ci fanno soffrire, ma non ci accorgiamo di quanto gli altri soffrono per causa nostra. Chi riflettesse bene e a fondo su se stesso, non giudicherebbe severamente gli altri. L'uomo interiore, prima di occuparsi di altre cose, guarda dentro di sé; e, intento diligentemente a se stesso, è portato a tacere degli altri. Solamente se starai zitto sugli altri, guardando specialmente a te stesso, giungerai a una vera e devota interiorità.
2. Se sarai tutto intento a te stesso e a Dio, ben poco ti scuoterà quello che sentirai dal di fuori. Sei forse da qualche parte, quando non sei presente in te? E se, dimenticando te stesso, tu avessi anche percorso il mondo intero, che giovamento ne avresti ricavato? Se vuoi avere pace e spirituale solidità, devi lasciar andare ogni cosa, e avere dinanzi agli occhi solamente te stesso. Grande sarà il tuo progresso se riuscirai a mantenerti libero da ogni preoccupazione terrena; se invece apprezzerai in qualche modo una qualsiasi cosa temporale, farai un gran passo indietro. Nulla per te sia grande, nulla eccelso, nulla gradito e caro, se non solamente Iddio, oppure cosa che venga da Dio. Considera vano ogni conforto che ti venga da qualsiasi creatura. L'anima che ama Dio disprezza tutto ciò che sia inferiore a Dio. Conforto dell'anima e vera letizia del cuore è soltanto Dio, l'eterno, l'incommensurabile, colui che riempie di sé l'universo.
LETTERA 118: Agostino a Dioscoro che chiedeva informazioni intorno a Cicerone, risponde che un vescovo non può perdere tempo in cose poco serie, del resto inutili per un Cristiano
Lettere - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaScritta poco dopo la precedente.
Agostino a Dioscoro che chiedeva informazioni intorno a Cicerone, risponde che un vescovo non può perdere tempo in cose poco serie, del resto inutili per un Cristiano (n. 1-12). Discute del fine degli studi e del bene sommo (n. 13-16), esortando Dioscoro ad abbracciare la filosofia cristiana che sola ci può far comprendere l'umiltà di Cristo (n. 17-22). Passa in rassegna citazioni di Cicerone che critica sentenze di filosofi intorno a Dio (n. 23-24).
Quesiti intricati e quasi del tutto inutili.
1. 1. Tu hai pensato che io dovessi essere assediato o soffocato tutto ad un tratto da un'infinità di quesiti, nella convinzione che io sia completamente libero da qualsiasi impegno del mio ufficio. Ma quando mai potrei io districarti le difficoltà di tanti quesiti, mentre hai tanta fretta, anzi, a quanto mi scrivi, sei addirittura sul punto di partire? Del resto anche se le difficoltà che mi chiedi di sciogliere fossero facili, sarei impedito dal farlo a causa del loro stesso numero. Esse al contrario sono tanto intricate e sì fortemente intrecciate che, se pure fossero poche e avessi a mio disposizione tutto il tempo desiderabile, ne resterei completamente assorbito con la conseguenza di sottopormi per un bel pezzo ad uno sforzo mentale eccessivo e di consumarmi interamente le unghie. Io invece vorrei distoglierti da codeste per te così deliziose ricerche e metterti in mezzo alle mie pressanti occupazioni: impareresti allora a non nutrire una vana curiosità oppure non oseresti addossare la briga di appagarla e di alimentarla a coloro la cui occupazione principale è proprio quella di reprimere e frenare i curiosi. Quanto meglio e quanto più utilmente impiegherei il mio tempo e la mia fatica se attendessi non già a scriverti una lettera, ma ad estirpare dal tuo cuore desideri vani e ingannatori, dai quali tanto più ci si deve guardare, quanto più facilmente traggono in inganno, velati e coperti come sono da non so quale apparenza di onestà e dalla denominazione di studi liberali. Peggio ancora sarebbe, se li stimolassi ancor più col farmi complice e, per così dire, aiutante affinché esercitassero un più dispotico potere sul tuo carattere, pur così buono!
Futile il fine e i motivi addotti da Dioscoro.
1. 2. Orbene, se tanti dialoghi da te letti non ti hanno giovato affatto a conoscere e a raggiungere il fine al quale devono tendere tutte le tue azioni, dimmi un po': a che ti giovano? In realtà la tua lettera mi fa capire molto bene in che cosa hai riposto il fine di codesto tuo ardente studio, a te inutile e a me molto molesto. Nella tua lettera, facendo del tutto per indurmi a risolvere i quesiti inviatimi, ti esprimi così: '' Potrei scongiurarti più a lungo ricorrendo anche a molti tuoi cari amici; conosco però il tuo animo, che non desidera farsi pregare ma dare a tutti quello che può, purché non si tratti di cosa sconveniente, come non lo è affatto quella che ti chiedo. Ma qualunque essa sia, ti prego di farmi questo favore perché sto per intraprendere un viaggio per mare ". Queste espressioni della tua lettera dimostrano, è vero, la buona opinione che hai di me, poiché io desidero concedere a tutti quello che non sia però sconveniente; a me però non sembra che nella tua domanda non ci sia nulla di sconveniente. In realtà non arrivo a vedere l'aspetto decente della cosa quando penso che un vescovo, occupato fin sui capelli nelle faccende ecclesiastiche che lo reclamano con strepito da ogni parte, faccia all'improvviso finta di non sentirle e si rifiuti dall'attendere ad esse e si metta a spiegare delle questioncelle dei Dialoghi di Cicerone a uno studentello! Quanto ciò sia sconveniente te n'accorgi anche tu stesso, quantunque l'ardente passione per i tuoi studi non ti permetta di riflettervi attentamente. Cosa vuol dire infatti che, dopo aver affermato che nella tua domanda non v'è assolutamente nulla di sconveniente, subito poi soggiungi: '' Ma qualunque essa sia, ti prego di farmi questo favore, poiché sto per intraprendere un viaggio per mare "? Vuol dire che, sebbene ti paia che nella tua domanda non ci sia nulla di sconveniente, tuttavia qualunque possa essere la sconvenienza, tu mi chiedi ugualmente d'accontentarti poiché sei in procinto di fare un viaggio per mare. Ma perché mai - ti domando io - hai aggiunto '' poiché sono in procinto d'intraprendere un viaggio per mare "? Forse che, se tu non dovessi partire, non dovrei accontentarti in una cosa sconveniente? Tu naturalmente pensi che la sconvenienza verrebbe cancellata dall'acqua del mare! Ma se pur così fosse, non sarebbe cancellata la sconvenienza che commetterei io che non devo viaggiare per mare!
Quanto misera la felicità dipendente dall'opinione umana.
1. 3. Nella tua lettera dici pure che io so bene quanto mai ti sia molesto l'esser di peso ad altri e affermi che Dio solo sa come vi sei stato costretto da una grave necessità. Nel leggere la tua lettera, a questo punto mi concentrai per capire quale mai poteva essere questa tua necessità, quand'ecco m'imbatto nell'espressione seguente: '' Voi conoscete bene come sono fatti gli uomini e quanto sono facili a biasimare chi, interrogato, non rispondesse; tu capisci che sarebbe giudicato un ignorante e uno stupido ". A questo punto mi sono sentito bruciare dal desiderio di risponderti, perché questa tua malattia mentale ha commosso profondamente il mio animo e hai fatto breccia tra le mie occupazioni in modo che non posso trascurare d'apprestarti le mie cure e cercare, con l'aiuto di Dio, di guarirti: la cura non consisterà nel risolvere o spiegare con chiarezza i tuoi quesiti, ma nello strappare da un legame infelice la tua felicità che tu fai dipendere dal giudizio malsicuro e instabile degli uomini, e nel legarla a un cardine assolutamente stabile e inconcusso. E non t'accorgi, caro Dioscoro, che si fa beffe di te proprio il tuo Persio scagliandoti quel suo verso: Il tuo sapere è forse nulla, se altri non sa che tu sai? 1; non t'assesta forse così un bello scapaccione, adatto a colpire e a rintuzzare cotesta tua mentalità puerile, se pure hai ancora un po' di buon senso? Come dicevo poco prima, tu hai letto tanti dialoghi e ti sei riempita la mente di tante dispute di filosofi; ebbene, dimmi, chi mai di essi ha riposto il fine delle proprie azioni nella fama del volgo o nel giudizio degli uomini anche onesti e sapienti? Tu invece, cosa di cui dovresti maggiormente vergognarti, proprio mentre stai per affrontare un viaggio per mare, dichiari d'aver ricavato un gran profitto in Africa e dici d'importunare dei vescovi, occupatissimi e intenti in faccende di gran lunga diverse, per farti spiegare Cicerone! E ciò per l'unica ragione che temi gli uomini portati a biasimare e hai vergogna di passare per ignorante e stupido qualora, da essi interrogato, tu non sapessi dar loro una risposta! Oh faccenda degna davvero delle veglie e delle elucubrazioni d'un vescovo!
Vuoto e fallace il bene della stima umana.
1. 4. Mi pare che giorno e notte tu non pensi che a riuscire di ottenere dagli uomini elogi per i tuoi studi e per la tua scienza. Ora, se ho sempre giudicato pericolosa questa preoccupazione in chi aspira a beni certi e sinceri, adesso ne ho la piena conferma da te. Solo questa tua sciagurata preoccupazione non ti ha permesso di comprendere quale motivo m'avrebbe potuto indurre ad accordarti il favore richiestomi. Poiché, per lo stesso assurdo motivo per cui ti senti spinto a sapere le spiegazioni chieste solo per essere lodato e non biasimato dagli uomini, tu pensi ch'io debba soddisfare la tua richiesta! Dio volesse ch'io riuscissi ad allontanarti dal bene sì vano e fallace della lode umana col dichiararti che il motivo da cui sono spinto a risponderti non è di soddisfare la tua richiesta, ma di correggerti! '' Gli uomini - dici - sono facili a biasimare ". Ebbene, che ne deriva? '' Se uno - dici - interrogato, non rispondesse, passerebbe per ignorante e stupido ". Ebbene, ora t'interrogo io, non a proposito di qualche passo dei libri di Cicerone, del quale i lettori non riescono forse ad afferrare il senso, ma a proposito della tua lettera e sul senso delle tue parole. Ti domando insomma perché mai non hai detto: '' Chi non rispondesse, si rivelerebbe ignorante e stupido ", ma hai detto '' passerebbe per ignorante e stupido ". Evidentemente perché capisci da te stesso che, se l'interrogato su tali argomenti non rispondesse, non sarebbe in realtà ignorante e stupido, ma sarebbe soltanto reputato tale. Io però ti fo notare che, se uno teme d'essere stroncato dai discorsi della gente che trincia giudizi come chi pota col ronchetto, è un legno secco e perciò stesso non solo è reputato, ma si dimostra coi fatti ch'è davvero ignorante e stupido!
Ridicola la preoccupazione di Dioscoro.
1. 5. Tu forse dirai: Poiché io non sono stupido e mi preoccupo soprattutto di non esserlo, non voglio neppure esser creduto tale. Va bene; ma io ti chiedo: A quale scopo non lo vuoi? Qual è la ragione per cui non hai esitato ad importunarmi col chiedermi la soluzione dei tuoi quesiti e lo scopo prefissoti, talmente necessario da chiamarlo '' grave necessità "? L'hai detta tu stesso affermando ch'è quella di non esser reputato ignorante e stupido dagli uomini, facili a biasimare, qualora, interrogato su tali questioni, tu non sapessi rispondere. Orbene, io ti domando: è tutto qui il motivo della tua richiesta, oppure non vuoi esser reputato ignorante e stupido per qualche altro motivo? Se è tutto qui, tu vedi bene - come io penso - ch'esso è lo scopo del tuo ardente desiderio e per causa di esso - lo confessi tu stesso - sei di peso a me. Ma che mai può riuscirmi di peso da parte di Dioscoro, fuorché ciò ch'è di peso a Dioscoro stesso anche a sua insaputa? Ma egli stesso non s'accorgerà del peso fin quando non vorrà risollevarsi: Dio non voglia però che i pesi gli si siano attaccati talmente addosso da render vani i suoi tentativi di scrollarseli dalle spalle. Non dico ciò del fatto che si studiano tali questioni, ma dello scopo per cui si studiano. Ti accorgi da te stesso che tale scopo è ridicolo, inutile e frivolo. Per di più tale scopo suol generare nell'occhio della mente una specie di tumore, sotto il quale si forma della tabe, da cui la pupilla rimane offuscata e non è più capace di vedere gli splendori della verità. Credimi, caro Dioscoro, è proprio così. Volesse Dio ch'io potessi godere della tua amicizia nell'identità dei sentimenti e nel contemplare la bellezza della verità, dalla cui ombra tu sei disorientato. Altro mezzo non saprei trovare per farti prestar fede a quanto ti dico se non questo ragionamento. Orbene, la verità non la vedi né potrai vederla mai assolutamente, finché riponi la dannosa tua felicità sulla instabilità delle lodi umane!
La vera felicità consiste nel bene immutabile.
1. 6. Se invece non è in ciò che riponi lo scopo delle tue azioni e delle tue ricerche affannose, ma non vuoi passare da ingenuo e stupido per qualche altro motivo, ti chiedo: Qual è questo motivo? Se è quello di trovare minor difficoltà nel procurarti ricchezze terrene e una sposa, nell'arrivare alle cariche e ad altre simili vanità, che passano come trascinate da una vertiginosa corrente e trascinano con sé nell'abisso i meschini che vi cadono dentro, neppure per questo s'addice a me prestarti i miei servigi per farti raggiungere uno scopo di tal genere, anzi sarebbe mio dovere allontanartene. Però quando ti esorto a non riporre la tua felicità nell'incerta fama, non voglio dire che tu debba passare, per così dire, dal Mincio nel Po; anche se non volessi passarvi vi saresti trascinato forse dalla stessa corrente del Mincio. Mi spiego: la vanità delle lodi umane non potrebbe in realtà saziare l'avidità del tuo animo, in quanto non offre che un cibo senza alcuna sostanza. La tua medesima avidità ti obbligherebbe quindi a rivolgerti a un altro oggetto per così dire più sostanzioso e più vantaggioso. Se però tale oggetto viene trascinato via dalla corrente della caducità temporale, è simile a un fiume che sbocca in un altro. In tal modo si ha un'infelicità senza limiti finché lo scopo dei nostri doveri è riposto in un bene malsicuro. Vorrei insomma che tu fissassi costantemente l'intenzione d'ogni tua buona e nobile azione su un bene inconcusso e immutabile, sul quale edificare la dimora della tua pace senz'alcun turbamento. Ammesso pure che tu possa raggiungere la felicità terrena, di cui ho parlato, facendoti trasportare dall'aura della notorietà popolare o spiegando le vele alla sua brezza, pensi forse di farla servire per raggiungere un bene certo, vero, pieno? A me, al contrario, non sembra, e del resto la stessa verità vieta di pensarlo, che si possa arrivare ad essa con numerosi raggiri, dal momento che è tanto vicina, o attraverso forti somme, dal momento che è del tutto gratuita!
Occorre servire la verità e non la vanità.
1. 7. Ma può darsi che hai di mira un altro scopo! Pensi forse di servirti della lode degli uomini come d'un mezzo per farti strada nella mente di essi e convincerli delle verità che procurano la salvezza e temi quindi che, se ti reputassero ignorante e stupido, ti giudicherebbero pure indegno d'essere ascoltato con attenzione e pazienza, qualora tu volessi esortarli al bene o rampognare la malizia e la dissolutezza dei peccatori? Se nel propormi la soluzione dei tuoi quesiti avevi in mente questo scopo di giustizia e di carità e non lo hai dichiarato espressamente nella tua lettera, si vede che io riscuoto poca stima da parte tua: poiché mi sarei sentito spinto ad accordarti subito il favore richiesto. Se non te l'avessi accordato, ciò sarebbe dipeso unicamente perché impedito forse da qualche causa e non già dalla vergogna di dover favorire o anche di non oppormi alla tua futile bramosia! Sarebbe dunque meglio e più utile per te apprendere in modo più breve e sicuro le stesse regole della verità, con le quali saresti in grado di confutare da te stesso qualunque errore. Eviteresti così di reputarti istruito ed intelligente anche se riuscissi ad imparare tanti vecchi, anzi decrepiti errori applicandoti nello studio con più boria che saggezza, cosa questa in sé erronea e vergognosa! Non credo però che adesso tu ti consideri tale: non invano ho esposto sì a lungo a Dioscoro tante verità fin dall'inizio della presente lettera.
Quanto spesso erri il giudizio umano.
2. 8. Veniamo dunque al punto, dal momento che non ti giudichi affatto ignorante e stupido perché ignori coteste bazzecole, ma perché ignori proprio la verità. Chiunque abbia già scritto o possa scrivere su tali problemi, questi sono tali che, o già li conosci senza nutrir dubbi oppure, se sono falsi, li puoi ignorare tranquillamente. Non devi quindi tormentarti preoccupandoti inutilmente di conoscere le diverse opinioni degli altri al fine di non essere reputato ignorante e stupido. Stando così le cose, vediamo, di grazia, se deve turbarti la falsa opinione che di te potrebbero avere gli altri, i quali - come tu scrivi - sono facili a biasimare e a reputarti, sia pure a torto, ignorante e stupido, se si accorgeranno che tu ignori tali nozioni. Vediamo, ripeto, se la falsa opinione della gente ti debba impressionare fino al punto di chiedere la spiegazione di tali opinioni, senza sconvenienza, a dei vescovi. Ora io suppongo che tu brami queste cose per essere in grado d'inculcare negli altri la verità e correggere la condotta di coloro che ti giudicherebbero indegno d'essere ascoltato per apprendere nozioni utili e salutari, qualora ti reputassero ignorante e ottuso a proposito dei libri di Cicerone. La cosa però, credimi, non è affatto così.
La filosofia è in ribasso perfino nei ginnasi greci.
2. 9. Anzitutto non credo affatto che nei paesi, in cui temi di passare per ignorante e ottuso, vi sia gente capace di rivolgerti quesiti su tali discipline, dal momento che non solo qui, dove sei venuto ad impararle, ma anche a Roma hai constatato quanto sono trascurate e perciò non sono né insegnate né apprese. In Africa inoltre non solo non hai la seccatura di rispondere a chi possa rivolgerti tali domande, ma non trovi neppure chi sia disposto a sentirsele rivolgere da te. Per tale scarsezza di studiosi ti sei visto costretto, per averne la spiegazione, a inviare i tuoi quesiti a dei vescovi, come se questi volessero tenerli durevolmente nella memoria fino alla canizie episcopale e alla cattedra ecclesiastica, anche se da giovani si preoccuparono di studiarli (come se fossero chissà che gran cosa!) con la medesima passione o meglio aberrazione dell'animo da cui tu sei trascinato! Ma anche se volessero tenerli fissi in mente, non li scaccerebbero forse dalla loro memoria, anche loro malgrado, altre più importanti e più gravi preoccupazioni? E anche se, per inveterata abitudine, rimanesse nel loro animo qualche rimembranza di quegli argomenti, non bramerebbero forse di seppellirne il ricordo nell'oblio anziché servirsene per rispondere a futili quesiti che sembra siano divenuti, per così dire, muti e indifferenti perfino tra la superficialità degli studenti e delle cattedre dei professori di retorica, al punto che per farteli spiegare sei obbligato a inviarli da Cartagine qua ad Ippona? Tali questioni poi sono così insolite e peregrine che volendo vedere come una frase da spiegare si riallacci con la precedente e come si concateni con essa il ragionamento seguente, non potrei trovare assolutamente neppure il testo di Cicerone. Se poi i tuoi insegnanti di retorica di Cartagine non ti hanno aiutato in questa tua ricerca, non solo non li biasimo, ma li lodo qualora per caso si fossero resi conto che tali quisquilie sogliono essere gare non del Foro romano, ma dei ginnasi greci. Tu però, essendo andato col pensiero ai ginnasi greci e avendoli trovati muti e indifferenti di fronte alle tue preoccupazioni, delle quali vorresti liberarti, ti si è affacciata alla mente la basilica dei Cristiani d'Ippona, la cui cattedra è occupata da chi una volta vendeva coteste ciance ai ragazzi. Io però non desidero che tu sia ancora un ragazzo, e a me non si addice più d'essere né venditore né largitore di bagattelle puerili. Orbene, stando così le cose, che cioè due grandi città come Roma e Cartagine, maestre di letteratura latina, né ti importunano con farti domande su tali questioni né si curano del fatto che le importuni tu affinché ascoltino le tue domande, non riesco a esprimere a parole quanto io rimanga stupito che un giovane così brillante come te tema di trovare nelle città della Grecia e dell'Oriente qualcuno che lo importuni con domande su tali argomenti. Poiché sarebbe più facile sentire delle cornacchie in Africa che discorsi su tali argomenti in quelle regioni.
Nessuna vergogna per un Greco ignorare questioni oscure ai dotti Latini.
2. 10. Supponiamo pure ch'io m'inganni e in quelle regioni tu t'imbatta per caso in qualcuno che ti faccia domande su tali questioni. Non solo costui sarebbe tanto più importuno quanto più è inetto, ma io ti chiedo: Non dovresti forse temere piuttosto d'incontrare in Grecia più facilmente persone che potrebbero rivolgere a te, greco di patria ed istruito fin dalla tua infanzia in lingua greca, delle domande su questioni tratte dalle opere dei loro scrittori e non trattate da Cicerone nelle sue? Se ciò accadesse, che cosa potresti rispondere? Forse che hai voluto imparare tali questioni nelle opere degli scrittori Latini anziché dei Greci? Ma rispondendo così anzitutto offenderesti la Grecia e tu sai quanto i Greci mal sopportano simili ingiurie! In secondo luogo essi rimarrebbero sdegnati ed esulcerati, e ti giudicherebbero senz'altro un ottuso (nomea che cerchi d'evitare a ogni modo) per aver preferito imparare le dottrine filosofiche greche in opere dialogiche latine, ove sono esposte frammentariamente e staccate dal contesto, anziché nei testi originari degli autori Greci, ove sono esposte per esteso e in concatenazione logica. Ti reputeranno inoltre ignorante perché, dal momento che non conosci tante questioni filosofiche nella tua lingua, sei andato ad accattarle in una lingua straniera. Risponderai forse che non era tua intenzione trascurare gli scrittori Greci a proposito di tali questioni, ma hai prima voluto conoscere gli scrittori Latini e che, una volta istruito nelle opere latine, ti vuoi ora applicare a quelle greche? Ma se un Greco come te non si vergogna di aver studiato da ragazzo le opere latine ed ora, divenuto adulto, vuole studiare le opere greche, sarà forse vergognoso ignorare alcune questioni delle opere latine, a proposito delle quali tanti dotti Latini sono ignoranti come te? Di ciò ti rendi conto tu stesso per il semplice fatto che affermi di essere costretto a dar fastidio a me, pur trovandoti a Cartagine tra una sì gran moltitudine di dotti.
Per insegnare la verità non occorre conoscere Cicerone.
2. 11. Supponiamo infine che tu possa dare una risposta a tutti i quesiti sui quali mi hai consultato: saresti senz'altro proclamato dottissimo e acutissimo e innalzato al cielo dallo spirito borioso dei Grèculi. Non dimenticare però, in tal caso, la tua serietà e lo scopo che ti saresti prefisso nel procacciarti tali lodi: esse dovrebbero servirti cioè ad insegnare qualche verità molto importante e salutare a siffatta gente, che rimane a bocca aperta sentendo simili frivolezze ed ora sarebbe dispostissima a sentirti parlare, anzi penderebbero avidamente dal tuo labbro. Io però vorrei sapere se conosci bene una tale verità sì importante e salutare e se sai insegnarla agli altri! Sarebbe infatti ridicolo che, dopo avere imparato tante cose inutili al fine di conciliarti l'animo degli uditori per insegnare le necessarie, tu non conoscessi bene queste medesime cose, ad accettar le quali li avresti preparati con le inutili! Sarebbe ridicolo che, mentre sei intento a imparare il modo di destar l'attenzione degli uditori, tu non volessi imparare ciò che si deve far entrare in orecchi già attenti. Ma se rispondi che lo sai già, e che è la dottrina cristiana, la quale io so che poni al di sopra di tutte le altre e per la quale unicamente deve concepirsi la speranza della salvezza eterna, non è affatto necessario che tu le procuri uditori con la conoscenza dei dialoghi di Cicerone e mediante un'accozzaglia di massime estranee al pensiero cristiano tra loro discordanti e chieste quasi mendicando. L'attenzione di coloro che dovranno ricevere da te una tale dottrina devi conciliartela coi tuoi costumi. Al fine d'insegnare la verità non voglio che tu cominci ad insegnare cose che poi si dovranno disimparare.
Dioscoro conosca piuttosto gli errori contro la fede cristiana.
2. 12. Ora, se la conoscenza delle massime di scrittori profani, tra loro opposte e contraddittorie, è di qualche aiuto a chi vuole inculcare la verità cristiana per fargli conoscere come devono ribattersi gli errori ad essa contrari, questo aiuto si riduce a fargli evitare che l'avversario miri solo a confutare la tua dottrina mentre sta bene attento a tenere nascosta la sua. La conoscenza della verità, insomma, è capace di giudicare rettamente e confutare interamente qualsiasi errore, perfino quelli mai prima uditi, purché venga proferito. Al fine però, non solo di combattere gli errori già noti, ma di scoprire anche quelli tenuti nascosti, qualora fosse necessario conoscere gli errori altrui, aguzza lo sguardo e tendi l'orecchio, guarda bene ed ascolta se si dà mai il caso che venga alcuno ad affrontarci con obiezioni desunte dal pensiero di Anassimene e di Anassagora! È impossibile, dal momento che degli stessi filosofi Epicurei e Stoici sono già troppo fredde le ceneri per farne scaturire una scintilla contro la fede cristiana. Poni invece bene attenzione allo schiamazzo che sollevano le sette e le conventicole, alcune timide, altre audacemente operanti alla luce del sole, come quelle dei Donatisti, Massimianisti, Manichei, o degli Ariani, Eunomiani, Macedoniani, Catafrigi, tra la turba e le combriccole dei quali ti appresti ad andare, e di tutte le altre innumerevoli ed esiziali eresie. Orbene, se ci rincresce di conoscere tutti questi errori, perché mai dovremmo indagare il pensiero di Anassimene e rifriggere con inutile curiosità dispute già spente, per difendere la religione cristiana? Perché mai, dal momento che non si sente più parlare dei dissensi e delle questioni neppure di certi eretici come i Marcioniti e i Sabelliani e di tanti altri che vollero gloriarsi del nome cristiano? Se tuttavia, come dicevo, fosse necessario conoscere in anticipo e in profondità alcune dottrine contrarie alla verità, dovremmo darci pensiero degli eretici che si mascherano sotto il nome di Cristiani, anziché di Anassagora e di Democrito.
Solo il Sommo Bene può renderci felici.
3. 13. A chiunque vi chiedesse su tali argomenti le spiegazioni che tu chiedi a me, rispondi pure che sei più dotto e saggio ignorandole. Temistocle, ad esempio, non si curò affatto di essere considerato non sufficientemente colto allorché durante un banchetto si rifiutò di suonare la lira, scusandosi dicendo che non l'aveva imparata; a chi poi gli replicava: '' Che cosa dunque sai fare? " '' So fare - rispose - d'un piccolo Stato uno grande " 2. Ebbene, dovresti forse esitare a rispondere di non sapere tali argomenti dal momento che, se uno ti domandasse che cosa sai, potresti rispondere di sapere come si può essere felici anche senza di essi? Se poi tu non fossi convinto di ciò, sarebbe assurdo che ti applicassi a tali ricerche; in tal caso agiresti stoltamente, come se, essendo affetto da una pericolosa malattia fisica, andassi in cerca di piaceri e di vesti fini e soffici invece di medici e di medicine. Non devi, in altre parole, differire per nulla una tale conoscenza né anteporle alcun'altra, nemmeno nel programma ben ordinato dei tuoi studi, soprattutto all'età a cui sei giunto. Considera intanto quanto facilmente potresti raggiungere una tale conoscenza, se tu lo volessi. Chi infatti cerca come arrivare alla felicità, in realtà non cerca altro che dove risiede la somma perfezione del bene, in che cosa cioè consista, non lasciandosi guidare da erronee e temerarie opinioni, ma dalla certa e inconcussa verità. Ora il sommo bene si fa consistere o nel corpo o nell'anima o in Dio o in due di essi o certo in tutti questi esseri. Ma se imparerai che né il sommo bene né una parte di esso può consistere affatto nel corpo, resterà che dovrà consistere o nell'anima o in Dio o in tutti e due questi esseri. Se però continuerai l'indagine e imparerai che quanto si dice del corpo vale pure dell'anima, cos'altro ci rimane se non Dio, in cui può consistere il sommo bene dell'uomo? Non che gli altri esseri non siano dei beni, ma si può dare il nome di sommo bene solo a quello cui gli altri sono indirizzati. Si è infatti beati solo quando si gode tale bene per il quale si desidera possedere tutti gli altri, mentre esso si ama non in vista d'un altro bene ma per se stesso. Si dice inoltre che in esso è la perfezione poiché non si trova altro bene che lo sorpassi o al quale esso possa essere indirizzato. In esso insomma viene appagata ogni aspirazione, in esso si ha la sicurezza del godimento, in esso è la gioia più serena dell'amore più completo.
L'errore degli Epicurei circa il Sommo Bene.
3. 14. Dammi quindi uno il quale sia pronto a capire che non è già il corpo il bene dell'anima ma che anzi il bene del corpo è l'anima, e lascerà subito d'indagare se il sommo bene o qualche sua parte consista nel corpo. Poiché sarebbe quanto mai stolto negare che l'anima è superiore al corpo, come sarebbe ugualmente assai stolto negare che Colui, che dà la felicità o parte di essa, sia superiore a chi la riceve. Per conseguenza l'anima non riceve dal corpo né il sommo bene né alcuna parte di esso. Coloro che non vedono ciò, sono accecati dalla dolcezza dei piaceri sensuali e non comprendono che questa è una conseguenza di un difetto di salute. La perfetta salute fisica poi si avrà solo nella finale immortalità dell'intero composto umano. Dio infatti ha dotato l'anima d'una natura sì potente, che dalla felicità piena e completa, promessa ai santi alla fine dei tempi, ridonderà pure nella natura inferiore, qual è appunto il corpo, non la felicità propria dell'anima che comprende e gode Dio, ma la pienezza della salute ossia il vigore dell'incorruttibilità. Coloro che ciò non comprendono, si dibattono, come ho già detto, in turbolente discussioni riponendo tutti, anche se variamente secondo la capacità intellettuale di ciascuno, il sommo bene dell'uomo nel corpo e dietro di sé trascinano turbe esaltate di gente sensuale e turbolenta; fra costoro primeggiano presso il volgo gli Epicurei a causa della loro grande autorità.
Gli Stoici riposero il Sommo Bene nell'anima.
3. 15. Così pure, dammi uno che veda subito che l'anima stessa, quando è felice, non lo è a causa di un bene suo proprio, poiché altrimenti non sarebbe mai infelice, e costui lascerà d'indagare non solo se il sommo bene ma anche, per così dire, il bene che rende felici o qualche parte di esso, sia nell'anima. Quando infatti l'anima si compiace di se stessa come di un suo proprio bene, allora essa cade nell'orgoglio. Quando invece riconosce di essere soggetta a mutamenti, non foss'altro che per la possibilità di diventare da sapiente stolta, mentre al contrario riconosce che la sapienza è immutabile, deve pur riconoscere che quella è superiore alla propria natura; deve riconoscere pure che solo divenendo partecipe della sapienza e venendone illuminata, il suo godimento è più grande e più sicuro di quello che prova di se stessa. In tal modo l'anima, cessando di essere orgogliosa, si sforza di stare unita a Dio e di essere ricreata e riportata alla sua forma originaria da Lui, bene immutabile, dal quale ormai comprende che deriva non solo la forma essenziale di tutte le cose che si percepiscono coi sensi del corpo o con l'intelligenza della mente, ma la stessa possibilità di formazione per le cose, prima della stessa effettiva loro formazione, come prova il fatto che si chiama '' informe " ciò che può ricevere una forma. L'anima quindi percepisce di essere tanto più soggetta a deviazioni quanto meno si tiene unita a Dio che è l'Essere supremo perché non è capace né di progressi né di deficienze, non essendo soggetto ad alcun mutamento. Comprende anche che a se stessa è utile il mutamento che consiste nel potersi unire perfettamente a Dio, dannoso invece il mutamento che consiste in un difetto. Capisce che ogni difetto conduce alla distruzione e che, anche se non appaia se una cosa vi arrivi, a tutti però è chiaro che la distruzione porta una cosa a non essere più quel che era prima. Da ciò conclude che le cose sono o possono essere difettose per il solo fatto che sono state create dal nulla. La ragione intrinseca poi del loro essere e sussistere e concorrere, nonostante i loro stessi difetti, all'armonia universale del creato, risiede nella bontà e onnipotenza di Dio, Essere supremo e Creatore, capace di trarre dal nulla non solo qualcosa, ma perfino qualcosa di grande. Si convince altresì che il primo peccato, ossia la prima mancanza di volontà, è appunto godere del proprio potere, poiché gode d'una creatura inferiore al potere divino che è senza dubbio maggiore. Ora alcuni, non comprendendo ciò e considerando solo le facoltà dell'anima umana e la magnificenza delle sue azioni e parole, pur vergognandosi di porre il sommo bene nel corpo, lo posero nell'anima, cioè più in basso certamente rispetto all'essere in cui avrebbe dovuto esser posto per un giustissimo motivo logico. Tra i filosofi greci che la pensano così, primeggiarono per numero e per acume dialettico gli Stoici, i quali però, non riconoscendo nella natura che esseri corporei, poterono elevare l'animo umano piuttosto al di sopra della carne che del corpo.
I Platonici posero il Sommo Bene in Dio.
3. 16. Fra coloro che dicono che l'unico nostro sommo bene è godere Dio, dal quale siamo stati creati noi e tutte le cose, si sono segnalati, tra i Greci, i Platonici; questi hanno creduto giustamente che loro dovere era quello di opporsi quasi esclusivamente agli Stoici e agli Epicurei. Gli Accademici infatti non sono che i Platonici, come dimostra la successione dei discepoli. Poiché Arcesilao fu il primo ad occultare la propria dottrina per dedicarsi a confutare i suddetti filosofi. Se chiedi a chi successe, troverai Polemone, succeduto a Senocrate, discepolo di Platone e al quale Platone lasciò la sua scuola dell'Accademia. Se poi, per quanto riguarda il problema del sommo bene dell'uomo, mettiamo da parte le persone e consideriamo la questione nei propri termini, c'imbatteremo certamente in due errori tra loro diametralmente opposti: l'uno pone il sommo bene nel corpo, l'altro nell'anima; a tutti e due si oppone la natura delle verità, la quale ci fa comprendere che il nostro sommo bene non è che Dio: ma essa persuade della verità non prima di aver confutato gli errori. Considera adesso il problema insieme con le persone che lo discussero e troverai che gli Epicurei e gli Stoici si combattono aspramente tra loro. I Platonici invece, nel tentativo di definire la controversia, mentre nascondono il proprio genuino pensiero, confutano e confondono la loro stolta fiducia nell'errore.
Ai Platonici e agli altri filosofi mancò l'esempio dell'umiltà divina.
3. 17. Ma se quei filosofi seppero esser l'esempio vivente dei propri errori, non altrettanto poterono esserlo della vera dottrina i Platonici poiché a tutti mancò l'esempio della divina umiltà, che al tempo opportuno rifulse per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo. Davanti a quest'esempio unico cede, s'infrange e svanisce del tutto la superbia dell'animo più tracotante e arrogante. I Platonici quindi non riuscirono col loro prestigio a far credere nelle cose invisibili le folle accecate dall'amore alle cose terrene, vedendole trascinate, specie a causa delle dispute degli Epicurei, non solo a godere i piaceri sensuali, ai quali correvano spontaneamente, ma finanche a difenderli col sostenere che in essi è riposto il sommo bene dell'uomo. Vedevano d'altra parte che quelli, i quali per amore della virtù combattevano i piaceri dei sensi, avevano minor difficoltà a ravvisarla nell'anima umana, dalla quale procedono le buone azioni, ch'essi giudicavano come meglio potevano. Capivano nello stesso tempo che se avessero tentato d'insegnare agli uditori qualcosa di divino e d'immutabile, di superiore a tutte le cose, che non è percepito da nessun senso del corpo, ma è inteso solo dalla mente, pur trascendendo perfino la natura della stessa mente umana; capivano che se avessero voluto insegnare che tale bene è Dio, godimento promesso in premio all'anima purificata da ogni macchia di passioni terrene, nel quale bene può trovare appagamento il desiderio della completa felicità e nel quale solo troviamo la perfezione d'ogni bene; capivano - ripeto - che non sarebbero stati compresi e che avrebbero ricevuto la palma della vittoria non tanto essi quanto gli Epicurei o gli Stoici, sebbene discordi tra loro: in tal modo la vera e salutare dottrina sarebbe caduta nel discredito, con danno gravissimo del genere umano. Questo per quanto riguarda il problema morale.
I Platonici e il problema cosmologico.
3. 18. Ammettiamo pure che i Platonici, riguardo al problema cosmologico, avessero insegnato che di tutto l'universo è creatrice la Sapienza incorporea, mentre gli altri filosofi, non uscendo dai limiti del mondo fisico, riponevano il principio delle cose chi negli atomi, chi nei quattro elementi (fra cui il fuoco sarebbe stata la causa efficiente predominante nella creazione). Chi non vede a quali filosofi avrebbe dato entusiastica approvazione l'infinita turba degli stolti, la quale tutta dedita ai piaceri del senso, non avrebbe potuto in alcun modo concepire una potenza incorporea che fosse causa efficiente delle cose?
I Platonici e il problema gnoseologico.
3. 19. Rimaneva il problema gnoseologico. Sai infatti che tutte le indagini dirette all'acquisto della saggezza riguardano o la morale o la cosmologia o la gnoseologia. Ora, gli Epicurei affermavano che i sensi del corpo non s'ingannano mai, gli Stoici invece ammettevano che s'ingannano solo qualche volta, pur riponendo gli uni e gli altri nei sensi il criterio per arrivare alla conoscenza della verità. Chi mai tra le contraddizioni di quei filosofi avrebbe dato ascolto ai Platonici? Chi mai li avrebbe creduti, non dico sapienti, ma almeno uomini, qualora li avesse sentiti affermare proposizioni come le seguenti? Non solo esiste qualche essere che non si può percepire né col tatto né con l'odorato né col gusto né con gli occhi o con gli orecchi: non possiamo neppure pensare un tale essere immaginandocelo come qualcuna delle cose sensibili, ma è il solo vero, il solo che si può comprendere perché immutabile ed eterno: esso viene tuttavia compreso unicamente dall'intelligenza, l'unica facoltà con cui può esser raggiunta la verità nel modo che questa può venire raggiunta.
I Platonici e l'insegnamento delle realtà invisibili.
3. 20. I Platonici quindi non potevano insegnare tale loro teoria a uomini dediti ai piaceri sensuali, anche perché non godevano presso i popoli di tanto prestigio da persuaderli a crederla finché il loro animo non venisse elevato, al punto da poterla comprendere. Ecco perché preferirono tener nascosto il loro pensiero ed esporlo solo nelle discussioni coi filosofi, che si vantavano d'avere trovato la verità mentre la riponevano nei sensi carnali. Non c'interessa ora di esaminare quale fosse l'intenzione dei Platonici nell'usare tale metodo. Essa però non era certo divina né munita in qualche modo di garanzia divina. Considera attentamente solo che Cicerone in molte maniere dimostra chiaramente come Platone riponesse il sommo bene, la causa efficiente dell'universo e la fede nella ragione non già nella sapienza umana, ma nella sapienza assolutamente divina, dalla quale è, per così dire, illuminata la sapienza umana, insomma nella sapienza assolutamente immutabile, ossia nella verità sempre identica a se stessa. Considera inoltre come dai Platonici furono combattuti, sotto il nome di Epicurei e di Stoici, coloro che riponevano nel corpo o nell'anima il sommo bene, la causa efficiente dell'universo e la fede nella ragione. Col trascorrere poi del tempo s'arrivò al principio dell'era Cristiana. Allora la fede nelle realtà eterne e invisibili venne salutarmente predicata per mezzo di miracoli visibili agli uomini che non sapevano né vedere né immaginare se non corpi. E ad opporsi al beato apostolo Paolo, che gettava i fondamenti della medesima fede tra i pagani, furono proprio gli Epicurei e gli Stoici, come può vedersi negli Atti degli Apostoli 3.
I Platonici devono chinare la cervice a Cristo.
3. 21. Su tale argomento mi pare d'aver dimostrato a sufficienza come gli errori dei pagani riguardo non solo alla morale, ma anche alla cosmologia e alla gnoseologia, sebbene fossero numerosi e multiformi, erano insegnati principalmente da due scuole filosofiche; pure essendo combattuti e confutati con acuta dialettica e vigorosa eloquenza dai Platonici, durarono tuttavia fino all'era Cristiana. Ai nostri tempi invece vediamo tali filosofi ridotti quasi al completo silenzio, per cui nelle scuole di retorica si accenna appena alle loro dottrine, mentre le discussioni e i contrasti fra gli stessi ciarlieri ginnasi greci sono ormai estirpate e soffocate. Se qualche scuola filosofica di errore sorge ora contro la verità, ossia contro la Chiesa di Cristo, non osa uscir fuori a combatterla se non camuffata sotto il nome cristiano. Da ciò si capisce come ormai gli stessi filosofi della scuola di Platone, cambiando solo alcuni punti della loro dottrina riprovati da quella Cristiana, devono piegare con religiosa pietà la cervice all'invitto e unico sovrano, Cristo, e riconoscere in Lui il Verbo di Dio che, rivestitosi dell'umanità, invitò a credere (e furono subito credute sulla sua parola) verità che i Platonici non osavano neppure di profferire.
Occorre rivolgersi a Cristo con umiltà.
3. 22. A Cristo, caro Dioscoro, vorrei che ti assoggettassi con la più profonda pietà e che, nel tendere alla verità e nel raggiungerla, non ti aprissi altra via che quella apertaci da lui il quale, essendo Dio, ha veduto la debolezza dei nostri passi. La prima via è l'umiltà, la seconda è l'umiltà e la terza è ancora l'umiltà: e ogni qualvolta tornassi a interrogarmi, ti risponderei sempre così. Non perché non ci siano altri precetti degni d'essere menzionati, ma perché la superbia ci strapperà senz'altro di mano tutto il merito del bene di cui ci rallegriamo, se l'umiltà non precede, accompagna e segue tutte le nostre buone azioni in modo che l'anteponiamo per averla di mira, la poniamo accanto per appoggiarci ad essa, ci sottoponiamo ad essa perché reprima il nostro orgoglio. Poiché tutti gli altri vizi sono da temersi nelle azioni colpevoli; la superbia invece deve temersi anche nelle azioni buone, poiché le azioni per sé degne di lode vanno perdute se ispirate dall'amore della stessa lode. Si dice che a un famosissimo oratore fu chiesto quale fosse, a suo avviso, la prima regola dell'eloquenza e che rispondesse: '' L'arte del porgere ", quale fosse la seconda e rispondesse ancora: '' L'arte del porgere ", quale fosse la terza e rispondesse ognora: '' L'arte del porgere ". Allo stesso modo, ogni qualvolta tu chiedessi quale sia il primo dei precetti della religione cristiana, non troverei altra risposta che questa: '' l'umiltà ", anche se le circostanze mi spingessero a dire altre cose.
Il monismo materialistico dei filosofi ionici.
4. 23. Proprio per insegnare quest'umiltà necessaria alla salvezza, nostro Signor Gesù Cristo umiliò se stesso: a questa umiltà s'oppone una, chiamiamola così, ignorantissima scienza, per cui ci si rallegra di sapere il pensiero filosofico d'Anassimene, d'Anassagora, di Pitagora, di Democrito e altre simili dottrine per apparire dotti ed eruditi, mentre tutto questo bagaglio culturale è ben lontano dalla vera dottrina ed erudizione. Chi sa che Dio non è esteso né diffuso in spazi finiti o infiniti come se fosse maggiore in una parte e minore in un'altra, ma che è presente ovunque come la verità (di cui nessuno, che sia assennato, dice che si trovi parte in un luogo e parte in un altro), poiché la verità è Dio stesso; chi sa ciò, non sarà punto impressionato da quel che pensava dell'aria infinita un filosofo, chiunque egli fosse, il quale affermava che l'aria è Dio. Che gl'importa inoltre se non sa che cosa per bellezza di un corpo intendano cotesti filosofi, i quali parlano sempre d'una bellezza circoscritta da ogni parte? Che gl'importa di sapere se Cicerone, in quanto Accademico e solo allo scopo di confutare Anassimene, gli obbiettava che Dio dev'essere dotato di bellezza, pensando a una bellezza fisica, dal momento che Anassimene aveva affermato che Dio ha un corpo e l'aria è una sostanza fisica, oppure pensando a una bellezza fisica, dal momento che Anassimene aveva affermato che Dio ha un corpo e l'aria è una sostanza fisica, oppure pensando che la verità è la bellezza incorporea, da cui l'anima stessa dell'uomo è informata, alla cui luce giudichiamo belle tutte le azioni del saggio? Che gl'importa se Cicerone diceva che Dio dev'essere supremamente bello non tanto per confutare Anassimene, quanto perché pienamente convinto che niente è più bello della stessa verità intelligibile e immutabile? Allo stesso modo nemmeno l'affermazione di Anassimene, che cioè l'aria sia generata pur credendola Dio, fa impressione alcuna su chi comprende che il Verbo di Dio, Dio lui stesso, fu generato da Dio ma non come è generata l'aria; questa presuppone una causa che la faccia esistere, non essendo essa per nulla Dio. Il Verbo invece è generato in modo ben diverso, in un modo che non può esser compreso da nessuno se non da chi è ispirato da Dio. Chi non vedrebbe poi quanto Anassimene ragioni da stolto anche a proposito delle stesse sostanze fisiche, quando afferma che l'aria è generata e cionondimeno pretende ch'essa sia Dio, mentre poi non afferma ch'è Dio Colui che la produce, dal momento che non può esser generato da nessuno? L'affermazione poi che l'aria è soggetta a un continuo movimento non impressionerà né indurrà a crederla Dio chi sappia che il movimento dei corpi è inferiore a quello dell'anima, come il movimento dell'anima è molto meno attivo di quello della somma e immutabile Sapienza.
L'intelletto di Anassàgora e la Sapienza infinita.
4. 24. Allo stesso modo, se Anassàgora o chiunque altro chiama Intelletto la verità stessa e la sapienza, perché dovrei far questione di parole con un simile filosofo? È chiaro infatti che la disposizione e il movimento di tutte le cose è opera dell'Intelletto, il quale non senza ragione è detto infinito, non perché esteso negli spazi e in determinati luoghi, ma per la sua potenza incomprensibile alla mente umana. Non segue però da questo che la sapienza sia anche essa alcunché d'informe, caratteristica questa solo dei corpi, che sarebbero senza forma se fossero senza limiti. Ma Cicerone per confutare, come sembra, gli avversari ch'erano materialisti, nega che a ciò che è senza limite si possa aggiungere qualche altra cosa, perché necessariamente i corpi hanno un limite nella parte a cui s'aggiunge dell'altro. Dice quindi che Anassàgora '' non vide come un movimento unito a una sensazione o connesso ", ossia aderente senza interruzione di continuità, '' a una cosa infinita, possa esistere ". Così dicendo parrebbe indicare le sostanze fisiche, alle quali non si potrebbe aggiungere nulla se non fossero limitate. Ma soggiunge: '' Non può esistere in alcun modo sensazione che non susciti una ripercussione in tutta la natura ", come se Anassàgora avesse affermato che l'Intelletto che ordina e governa l'universo ha la sensazione simile a quella che ha l'anima attraverso il corpo. Poiché è chiaro che è l'intera anima a percepirla quando si avverte una sensazione attraverso il corpo; qualunque sia la cosa percepita è avvertita da tutta l'anima. Cicerone poi dice intenzionalmente che tutta la natura ha sensazioni, per confutare l'affermazione di Anassagora dell'Intelletto infinito. Come potrebbe infatti l'intelletto aver sensazioni se fosse infinito? La sensazione corporea comincia da un punto e non percorre tutto il corpo se non dopo esser giunta alle sue estremità; il che non può affermarsi dell'infinito. Ma neppure Anassàgora aveva parlato di sensazioni fisiche. Ora, quando si parla di un tutto incorporeo s'intende parlare dell'assenza di limiti nello spazio e così pure esser chiamato '' tutto e infinito ": '' tutto " a causa della sua integrità o interezza, '' infinito " perché non circoscritto da limiti di spazio.
Contraddizioni di Anassàgora sull'Intelletto-Dio.
4. 25. Cicerone continua dicendo: '' Se poi Anassàgora vuole che l'Intelletto sia un essere dotato di anima, occorrerà che vi sia una potenza intima per cui possa chiamarsi un essere animato "; in tal modo esso potrebbe essere, per così dire, un corpo e possedere nell'intimo un'anima per cui chiamarsi un essere animato. Nota come parla di sostanze corporee secondo l'idea prodotta in noi dalla vista degli animali e lo faccia, penso io, a causa dell'ottusità di coloro contro i quali egli discute. Eppure egli afferma una verità che, se i suoi avversari avessero potuto aprire gli occhi alla luce, sarebbe bastata per dimostrare loro quest'altra verità: tutto ciò che si presenta alla mente come una sostanza corporea vivente, si deve pensare necessariamente come dotata d'anima, ossia come una sostanza animata, ma non come anima. Ecco come si esprime: '' Se l'Intelletto è dotato d'anima, ci sarà una potenza intima per cui quella sostanza possa chiamarsi un essere animato ". Subito però soggiunge: '' Ma quale potenza è più interna dell'intelligenza? " L'Intelletto dunque non può avere un'anima nel suo intimo, per cui essa possa chiamarsi un essere animato, poiché proprio esso è la sostanza più intima. Occorre perciò ch'esso abbia un corpo esterno al quale l'Intelletto possa essere intimo e possa così renderlo animato. Ecco perché Cicerone soggiunge: '' Esso è quindi rivestito d'uno corpo esterno ", come se Anassàgora avesse affermato che non può sussistere intelletto se non appartiene a qualche essere animato. Potrebbe darsi che pensasse che l'Intelletto è la stessa somma Sapienza, la quale non può esser propria di alcun essere animato, poiché la verità si mostra indistintamente a tutte le anime capaci di goderla. Nota perciò come Cicerone conclude con fine arguzia: '' Siccome però ciò non piace ", cioè non piace ad Anassàgora che l'Intelletto, da lui chiamato Dio, sia rivestito d'un corpo esterno in forza del quale possa risultare un essere animato, '' pare che un Intelletto puro e semplice, senza aggiunta di nessun elemento che lo renda capace di sentire ", senza cioè l'aggiunta d'alcun elemento materiale per virtù del quale possa sentire, '' sia un concetto che superi il limite della nostra facoltà speculativa! " 4.
Ricercare la vera Sapienza e non Anassàgora.
4. 26. È verissimo: tale concetto supera il limite della facoltà speculativa degli Stoici e degli Epicurei, che sanno concepire solo sostanze materiali. Dicendo '' nostra ", Cicerone vuol farci intendere la facoltà speculativa umana, e fa bene a non dire: '' supera ", ma '' Pare che superi ". Sì, è vero: a quei filosofi pare che nessuno possa comprendere una simile sostanza e perciò pensano che non esista, ma, per quanto è possibile all'uomo, non supera l'intelligenza di alcuno ch'esista una pura e semplice sapienza e verità, la quale non è propria di alcun essere animato, ma comune a tutti, e in virtù della quale ogni anima, che n'è capace, diviene sapiente e verace. Può essere che Anassàgora arrivasse a conoscerla e capisse ch'essa è Dio e la chiamasse Intelletto. Ma a renderci dotti e sapienti non sarà né il nome di Anassàgora, che tutti i maestrucoli vanno strombazzando volentieri - mi si perdoni il termine militaresco - per dare l'impressione di conoscere la letteratura antica, né le nozioni ch'egli possedeva e le nozioni filosofiche da lui possedute e in base alle quali arrivò a conoscere questa verità! È naturale: la verità mi deve essere cara non perché fu conosciuta da Anassàgora, ma perché è la verità, anche se nessuno di quei filosofi l'avesse mai conosciuta!
Che cosa Democrito pensa di Dio.
4. 27. Non dobbiamo quindi gonfiarci di orgoglio perché conosciamo chi forse arrivò alla conoscenza della verità, per apparire dotti agli occhi della gente; ma non ci deve inorgoglire neppure il solido possesso della verità in se stessa, in grazia della quale possiamo essere realmente dotti. Tanto meno possono giovare alla regola della nostra fede religiosa, e renderci chiare le cose oscure, i nomi e le opinioni di quei filosofi che insegnarono il falso. Se invece avessimo veri sentimenti di umanità, dovremmo piuttosto rattristarci degli errori di tanti illustri filosofi, quando ne sentissimo parlare, anziché indagarli con tanta passione, per vantarcene tanto stoltamente con quelli che non li conoscono! Quanto sarebbe stato meglio per me se non avessi neppure sentito il nome di Democrito! Ora non proverei il dolore che provo nel pensare come ai suoi tempi fosse reputato non so qual grande sapiente, mentre credeva che gli dei fossero immagini emananti da oggetti solidi: esse, pur non essendo solide, vagando qua e là con moto loro proprio, penetrerebbero nell'animo umano e vi farebbero sorgere l'idea di una potenza divina. Ora l'oggetto fisico da cui emanerebbe l'immagine, non dovrebbe essere giudicato tanto più eccellente quanto più è solido? I critici perciò affermano che nella sua opinione Democrito fu sempre incerto ed esitante, poiché talvolta diceva pure che Dio sia una certa natura da cui emanino delle immagini, che egli crea e fa svanire, immagini, s'intende, che si sprigionano senza posa a guisa di vapori per emanazione da quella natura. Io però non riesco a comprendere come egli possa considerare corporea ed eterna e quindi anche divina una siffatta natura. Egli soggiunge che tali immagini vagano e penetrano nel nostro animo, come se le persone che ragionano non potessero concepire molte, anzi innumerevoli sostanze [spirituali], quali la verità e la sapienza, senza immaginarle fisicamente e con la sola facoltà intellettiva! Se tali filosofi non arrivano a concepire in qualunque modo si voglia; se poi ne discutono, vorrei mi dicessero da quale corpo provenga e di che natura sia l'immagine della verità che entra nella loro intelligenza!
Principi contrastanti dell'atomismo epicureo.
4. 28. Si dice d'altronde che Democrito, riguardo alle questioni cosmologiche, differisca da Epicuro anche perché crede che nell'incontro degli atomi sia insita una forza animale e vitale. Egli afferma, a mio parere, che in virtù di tale forza anche le immagini sono dotate di divinità, sebbene non lo siano tutte le immagini di tutte le cose, ma solo quelle degli dèi, le quali sarebbero elementi intelligenti di tutti quanti gli esseri ai quali egli attribuisce la divinità; le reputa immagini animate che sogliono esserci benefiche o malefiche 5. Epicuro invece, come princìpi delle cose non pone se non gli atomi, cioè corpuscoli talmente sottili e piccoli che non possono essere divisi ulteriormente e non possono essere percepiti né con la vista né col tatto: afferma pure che dall'incontro casuale di questi corpuscoli si formano gli innumerevoli mondi, gli esseri animati, le stesse anime e perfino gli dèi, ai quali attribuisce forma umana e li colloca non già in qualche mondo, ma fuori dei mondi, negli intermondi, ossia negli spazi tra i mondi. Egli inoltre non vuol concepire se non esseri materiali, ma perché possano essere immaginati afferma che dagli esseri, formati, secondo lui, da atomi, emanano immagini più sottili di quelle che arrivano ai nostri occhi, poiché la causa del vedere sarebbero, secondo lui, immagini così enormi che possono abbracciare il mondo intero. Intendi ormai, credo, che specie d'immagini immaginano costoro.
Idee e immagini secondo gli atomisti.
4. 29. Mi stupisco poi che Demòcrito non avvertisse quanto fosse falsa la sua tesi anche solo per il fatto che se l'anima umana è corporea come pretendono gli atomisti, dev'essere per conseguenza pure piccola, essendo racchiusa in un corpo sì piccolo: è quindi impossibile che le enormi immagini, che entrano in essa, vengano interamente a contatto con l'anima per poterla impressionare. È un fatto incontestabile che quando una massa corporea piccola viene a contatto con una grande, non può assolutamente essere toccata da tutte le parti di essa. Come mai dunque le immagini vengono percepite dallo spirito tutte insieme, se in tanto sono percepite con la mente in quanto, venendo e penetrando, si mettono a contatto con lo spirito? Non dimenticare che io parlo secondo il modo di pensare dei sensisti, poiché non penso affatto che lo spirito sia come è immaginato da essi! Se invece Demòcrito pensa che l'anima sia incorporea, col mio argomento può venire confutato il solo Epicuro. Ma perché mai Demòcrito non comprese come non è necessario né possibile che l'anima, se incorporea, concepisca delle idee come immagini corporee, che toccano e penetrano il nostro spirito? Riguardo poi al senso della vista, essi vengono confutati entrambi con lo stesso argomento, poiché immagini materiali tanto enormi non possono in nessun modo toccare con tutti i loro punti gli occhi, che sono tanto piccoli!
Erronea soluzione del problema gnoseologico.
4. 30. Quando poi si domanda a tali filosofi perché mai di un corpo si veda una sola immagine, mentre ne emanano innumerevoli, rispondono che il passaggio di tali immagini, sempre emananti, si compie così rapidamente che, accumulandosi e addensandosi, per così dire, le une sulle altre, di molte appare all'occhio una sola. Questa panzana Cicerone la confuta col dire che il loro dio non può pensarsi eterno, proprio perché è pensato come risultante d'innumerevoli immagini che emanano e poi scompaiono. Fanno poi consistere l'eternità delle forme degli dèi nel concorso d'una innumerevole moltitudine d'atomi, i quali si staccherebbero dalla massa divina in modo che agli uni ne succederebbero sempre degli altri, sicché a causa dell'ininterrotto loro succedersi, quella natura non potrebbe mai dissolversi. '' Tutte le cose dunque - deduce logicamente Cicerone - sarebbero eterne! " 6, perché a nessuna mancherebbe la moltitudine d'innumerevoli atomi, la quale di volta in volta riparerebbe le continue perdite! Un po' più oltre Cicerone soggiunge: ''Come mai questo loro dio non dovrebbe temere d'andare in rovina a forza d'essere incessantemente percosso e sconvolto dall'eterno incontro degli atomi?" A ragione dice che quel corpo è percosso dagli atomi che precipitandoglisi addosso lo colpiscono; a ragione dice che sconvolto, perché se li sente penetrare nell'interno; '' e poi - soggiunge infine - se da questo dio emanano continuamente delle immagini " 7, di cui abbiamo parlato abbastanza, come può sperare d'essere immortale?
Le teorie atomistiche sono una vergogna per il genere umano.
4. 31. In tutti questi deliramenti di simili filosofi è soprattutto da deplorare che, mentre dovrebbe essere sufficiente esporli per essere rigettati senza alcuna possibilità di difesa, persone d'acutissimo ingegno si sono prese al contrario la briga di combattere, con ricchezza d'argomenti e con l'eloquenza, teorie che anche i più ottusi avrebbero dovuto mettere in burla e rigettare appena enunciate. Anche ammesso, per ipotesi, che gli atomi esistano e che possano accozzarsi e agitarsi nel loro incontro casuale, sarebbe forse giusto pensare con tali filosofi che gli atomi, incontrandosi casualmente, possano comporre qualche sostanza e perfino formare una figura regolare, uniformemente levigata, darle un colorito e una vita animata? Tutte queste cose non possono assolutamente esser compiute se non dalla potenza e abilità della divina Provvidenza. Questa verità la comprende solo chi ama vedere più con l'intelligenza che non con gli occhi del corpo e ne chiede la grazia a Colui dal quale è stato creato. Non si deve poi ammettere assolutamente l'esistenza degli atomi, come si può dimostrare anche in base alla stessa teoria di tali filosofi, lasciando da parte le sottili teorie che i dotti insegnano sulla divisibilità delle sostanze materiali. Gli atomisti affermano che in natura non esistono se non sostanze corporee, il vuoto e le loro qualità inseparabili: con quest'ultimo termine intendono, a mio parere, il movimento e l'urto degli atomi, oltre alle forme che ne derivano. Ebbene, mi dicano: In quale categoria pongono le immagini che, a quanto essi dicono, emanano dai corpi solidi senz'essere affatto solide ma percepibili solo mediante il loro contatto con l'occhio, allorché vediamo, e mediante il loro contatto con lo spirito, allorché pensiamo, dal momento che sono corpi anch'esse? Domando ciò, poiché essi credono realmente che tali immagini, emanando da un corpo arrivano all'occhio o all'animo, anch'esso corporeo secondo le loro affermazioni. Orbene, io domando ancora: forse le immagini emanano pure dagli atomi? Se ne emanano, in qual modo sono atomi, dal momento che da essi emanano dei corpi? Se invece non emanano dagli atomi, potrebbe pensarsi pure qualcosa senza bisogno di immagini, ma essi respingono assolutamente una tale ipotesi: in caso diverso come possono conoscere gli atomi, se non hanno potuto pensarli? Ma ormai mi vergogno di dover confutare simili fandonie, anche se i sensisti non si vergognano di pensarle; ma dato che ebbero perfino l'audacia di difenderle, ne provo vergogna non solo per loro, ma anche per lo stesso genere umano, che ha potuto dare ascolto a tali scemenze!
Gesù Cristo è la verità personificata.
5. 32. Talmente enorme è l'accecamento dell'intelligenza umana a causa della colluvie dei peccati e dell'amore carnale, che teorie sì mostruose poterono far perdere ai dotti tutto il loro tempo in discussioni! Potrai forse tu dunque, o Dioscoro, potrà forse chiunque altro, dotato d'ingegno sveglio, dubitare che, per far arrivare il genere umano a seguire la verità, non lo si poteva aiutare in modo migliore di quello usato dall'uomo assunto in modo mirabile ed ineffabile dalla stessa Verità? Egli, impersonando e incarnando la Verità sulla terra, coi suoi precetti di bontà e con le sue opere divine, ha persuaso gli uomini a credere per mezzo della fede, la quale è inizio di salvezza, ciò che non potevano ancora comprendere con l'intelligenza. Orbene, io che mi glorio d'essere al suo servizio, esorto anche te a credere fermamente e senza esitazioni in Lui. Egli ha fatto in modo che non poche persone ma interi popoli, incapaci di giudicare con la ragione simili problemi, credono per la fede fino a quando, aiutati dai suoi precetti salutari, possono uscire dalle perplessità e respirare all'aperto e alla luce della purissima e sincerissima verità. Occorre quindi sottomettersi alla sua autorità con tanto maggior sentimento religioso, in quanto vediamo che ormai nessun errore osa più alzare il capo per trascinarsi dietro folle d'ignoranti senza coprirsi del nome cristiano. Fra tutte le antiche sette solo gli Ebrei continuano a rimanere fuori della religione cristiana e si radunano in piccole riunioni; essi ritengono per vere le Sacre Scritture, ma fanno finta di non conoscere e non capire che proprio da esse è stato preannunciato lo stesso Gesù Cristo. Inoltre quelli che, pur non essendo nell'unità e nell'unione cattolica, si gloriano tuttavia del nome di Cristiani, sono costretti a opporsi ai credenti e osano sedurre gl'ignoranti con lo specchietto della ragione [come unico criterio di verità], mentre la medicina ordinata agli uomini dal Signore è soprattutto quella di credere per fede. Ma gli eretici si vedono costretti, come ho già detto, a usare questo metodo, perché s'accorgono in quale discredito cadrebbero, se mettessero la loro autorità a confronto con quella della Chiesa cattolica. Ecco perché si sforzano di mettersi al di sopra dell'inconcussa autorità della Chiesa, stabilita sui più saldi fondamenti, col proclamare quale unico criterio di verità la ragione e col prometterne l'acquisto. Tale temerità è la regola per così dire degli eretici. Ma il Signore, clementissimo sovrano della nostra fede, ha munito come d'una roccaforte l'autorità della Chiesa, non solo per mezzo di numerosissime comunità, ossia chiese cristiane, d'ogni popolo e nazione e delle stesse sedi apostoliche, ma l'ha pure dotata di numerosissimi mezzi di difesa nelle argomentazioni irrefutabili di alcuni personaggi piamente istruiti e veramente spirituali. La norma migliore è comunque di mettere anzitutto i deboli e i vacillanti a riparo dagli attacchi entro la roccaforte della fede, e dopo averli messi al sicuro, combattere per essi con tutte le forze della ragione.
Come si comportarono i Neoplatonici verso il cristianesimo.
5. 33. Siccome poi i Platonici erano ai loro tempi circondati da ogni parte da false e discordanti teorie filosofiche e non avevano un'autorità così potente da imporre la fede, preferirono occultare la propria dottrina affinché fosse oggetto di ricerca anziché esporla al volgo per essere profanata. Quando però la religione di Cristo cominciò a propagarsi tra lo stupore e la commozione dei regni di questo mondo, cominciarono essi pure a uscir fuori alla luce, a manifestare e a spiegare a tutti la dottrina di Platone. Allora fiorì a Roma la scuola di Plotino, che ebbe per discepoli molti spiriti assai acuti e sagaci. Alcuni di essi però si lasciarono, purtroppo, corrompere dalla curiosità delle arti magiche; altri invece, riconoscendo che in Gesù Cristo nostro Signore era personificata la stessa immutabile verità e sapienza cui avevano aspirato con ogni sforzo, passarono al suo servizio. L'autorità più eccelsa e la luce della ragione sono riposti quindi nell'unico nome che salva e nella sua Chiesa per ricreare e riformare il genere umano.
Esortazione a progredire nella verità.
5. 34. Non mi pento d'averti esposto di preferenza questi particolari punti, sebbene tu forse desiderassi altre spiegazioni. Quanto più progredirai nella verità, tanto più apprezzerai la mia esposizione: allora apprezzerai pure questo mio proposito che adesso ritieni poco utile ai tuoi studi. Ho cercato del resto di rispondere nel modo più breve possibile e con le opportune osservazioni anche agli altri quesiti, cioè non solo a quelli indicati nella tua lettera ma pure a quasi tutti gli altri annotati in tutti i foglietti staccati. Se ritieni ch'io abbia risposto troppo brevemente o in modo diverso da quanto avresti voluto, non rifletti esattamente, caro Dioscoro, a chi hai rivolto i tuoi quesiti. Ho però tralasciato tutti i quesiti tratti dai libri dell'Orator e del De Oratore, poiché, se mi fossi occupato a spiegarli, mi sarebbe sembrato d'essere un ciarlatano qualunque. Riguardo poi ad altre questioni potrei essere interrogato anche senza sconvenienza, se mi si proponesse di trattare e risolvere problemi considerati in se stessi, ma non in relazione ai libri di Cicerone. Trattare tali problemi così come presentati in quei libri non si addice più alla mia condizione di vescovo. Mi sarei astenuto pure dal trattare i quesiti rivoltimi, se non avessi dovuto allontanarmi per un po' di tempo da Ippona per una convalescenza, dopo una malattia in cui mi trovò il tuo servo quando venne da me. Durante quei giorni poi ebbi pure una ricaduta con nuovi attacchi di febbre. Ecco perché la presente è stata spedita più tardi di quanto altrimenti avrebbe potuto essere spedita. Ti prego caldamente di farmi sapere come l'hai accolta.
1 - PERS., Sat. 1, 27.
2 - PLUTARCO, Themist. 2; cf. Cic., Tuscul. 1, 2, 4.
3 - Cf. At 16, 16 ss.
4 - Cic., De nat. deor. 1, 11, 26 s.
5 - Cic., De nat. deor. 1, 43, 120.
6 - Cic., De nat. deor. 1, 39, 109; 37, 105.
7 - CIC., De nat. deor. 1, 41, 114.
La purezza per il regno dei cieli
Vita cristiana - Padre Raimondo Marchioro
Leggilo nella Biblioteca1 - Chi sono i puri di cuore
Un giorno Gesù, visto che una grande moltitudine era venuta per ascoltare
la sua parola, salì su un’altura e alla folla che Io circondava
rivolse il celebre discorso della montagna o delle beatitudini, compendio e proclama
di tutta la vita cristiana.
Immaginate Gesù, lassù, attorniato dagli apostoli e dalla folla.
Tutti sono là, in silenzio, e pendono dalle labbra del Divino Maestro,
per non perdere neppure una sillaba di quello che dirà.
Gesù con la sua solita calma e serenità incomincia.
1. “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il
regno dei cieli.
2. “Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
3. “Beati i miti, perché erediteranno la terra.
4. “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno
saziati.
5. “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
6. “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
7. “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiama ti figli
di Dio.
8. “Beati i perseguitati per causa della giustizia, per ché di essi è il
Regno dei Cieli” (Mt. 5, 3-10).
Abbiamo sentito: è Gesù che parla, dunque ogni parola che esce
dalla sua bocca è verità. Questa volta ci ha detto tante cose.
Consideriamo pertanto una beatitudine alla volta, dando la precedenza alla
sesta: “
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8).
Ma perché tale scelta di precedenza? Perché la purezza, specialmente
ai nostri giorni, è una virtù poco conosciuta, la più trascurata,
la più oltraggiata e, tal volta, addirittura anche derisa.
È
necessario che la purezza occupi in mezzo al Popolo di Dio il posto che le spetta.
La virtù regina della vita cristiana è la carità: amare
Dio per Se stesso e il prossimo per amore di Dio. La purezza è quella
virtù che prepara e dispone il cuore dell’uomo ad amare Dio
e il prossimo come devono essere amati. (Cfr. C.C.C. 1716 - 1729).
1) Per capire questa beatitudine di Gesù, per capi re chi siano i puri
di cuore, prima di tutto è necessario comprendere il significato di
alcuni termini, relativi a questo argomento.
1 - La purezza (o purità) è la virtù che regola la condotta
dell’uomo di fronte alla vita sessuale e di tutto ciò che sta in
rapporto con essa, secondo principi dettati dalla natura umana stessa e, soprattutto,
dall’insegnamento di Cristo e della Chiesa. La purezza, per tanto, comprende
la castità e la pudicizia.
2 - La castità è quella virtù morale che inclina l’uomo a moderare l’uso e l’appetito della dilettazione venerea secondo le norme della retta ragione.
A questa norma naturale, che regola l’uso della facoltà procreativa
entro i limiti del suo fine, si aggiunge, nella fede cristiana, la considerazione
della dignità del corpo umano, che, per il Battesimo, è stato
elevato a membro di Cristo e tempio dello Spirito Santo (cfr. lCor6, 15-20).
L’oggetto materiale di questa virtù è l’atto ed
il piacere sessuale propriamente detto, mentre la pudicizia si riferisce
agli atti
periferici.
Come ogni virtù, la castità comporta una facilità nell’esercizio
dei suoi atti; l’astensione dunque di un uso illecito del piacere sessuale
con grandi sforzi, non è ancora la virtù della castità,
ma semplicemente continenza.
La castità si divide in perfetta ed imperfetta:
- La castità perfetta è quella nella quale ci si astiene non
solo da un uso illegittimo del piacere venereo, ma anche da quello legittimo
nel passato
e nel presente con il proposito, con o senza voto, di mantenere questo stato
anche nel futuro.
- La castità imperfetta è quella nella quale ci si astiene
da un uso illegittimo del piacere venereo, senza escludere un uso legittimo
sia nel
presente, nei coniugi, sia futuro nei fidanzati, sia passato nei vedovi.
3 - La pudicizia è la virtù che inclina l’uomo ad evitare
tutte le azioni e cose che offendono il pudore sessuale (viene scambiata
anche con la modestia). (Cfr. C.C.C. 2521 - 2527).
Essa ha come oggetto non l’atto sessuale in se stesso — che è proprio
della castità — ma tutte le azioni che hanno con questo una certa
affinità, ne formano il complemento, in quanto, per loro natura, tendono
ad eccitare commozioni veneree, come sono gli sguardi morbosi (colui che conserva
la pudicizia nello sguardo si dice anche che conserva la modestia degli occhi),
i toccamenti, i baci e gli abbracci sensuali, i discorsi osceni, ecc. Tutti questi
atti entrano nella sfera dell’impudicizia e portano facilmente alla lussuria,
cioè all’atto sessuale completo che è, come si è detto
sopra, oggetto della castità.
Per questa ragione la pudicizia non è una virtù distinta dalla castità, ma è la castità applicata a regola re quanto attiene alla periferia del suo proprio oggetto, cioè l’atto sessuale completo.
4 - La verginità, in genere, è l’immunità da ogni peccato mortale contro la castità in passato, al presente e con il proposito di conservare questo stato anche nel futuro, escludendo anche il matrimonio e il suo uso.
Si distingue una triplice verginità:
I. La verginità puramente fisica è quella della donna che ha conservato l’integrità corporale. Questa ha una relazione soltanto accidentale con la virtù in quanto da essa viene custodita, ma, per sé, la virtù può esserci anche senza verginità fisica (se è andata perduta per cause fuori dell’atto sessuale o contro la volontà e può mancare con essa se è rimasta intatta nonostante l’atto sessuale completo volontario).
II. La verginità materiale o naturale, quella cioè che fornisce la materia della virtù della verginità, è l’immunità da ogni peccato mortale contro la castità, escludendo anche il matrimonio e il suo uso.
III. La verginità formale è l’immunità da qualsiasi peccato mortale esterno ed interno contro la castità e cioè contro il 6° ed il 9° comandamento, in un soggetto vergine, nel presente e nel futuro ed esclude anche l’intenzione seria di sposarsi e di usare il matrimonio. Alla verginità formale infatti non si oppone il matrimonio, ma il suo uso; per es. Maria SSma fu sempre vergine anche se sposata.
Si può distinguere ancora un ‘altra triplice verginità: la
verginità davanti a Dio, davanti alla Chiesa e davanti agli uomini.
I. La verginità davanti a Dio si perde:
a) nella donna: esternamente, con un qualsiasi peccato mortale contro il 6° comandamento con o senza rottura dell’imene e con l’uso del matrimonio; interna mente, con un qualsiasi peccato mortale contro il 9° comandamento e con l’intenzione di sposarsi e di usare il matrimonio;
b) nell’uomo: esternamente, con un qualsiasi peccato mortale contro il
6° comandamento e con l’uso del matrimonio; internamente, con un qualsiasi
peccato mortale contro il 9° comandamento e con l’intenzione di
sposarsi e di usare il matrimonio.
Si dice che uno possiede 1’ “Innocenza Battesimale”, quando
nella sua vita non commise nessuna colpa grave né con le opere né con
i pensieri.
II. La verginità davanti alla Chiesa:
a) La donna rimane vergine finché non è stata violata la sua integrità corporale (o l’imene) con un atto coniugale volontario (o copula).
b) L’uomo rimane vergine finché non ha avuto un rapporto intimo sessuale consumato volontario con una donna (o copula).
III. La verginità davanti agli uomini (cioè quando si può costatare):
a) La donna è vergine solo quando ha conservato l’integrità corporale
(o imene).
b) Nell’uomo non è possibile costatare la sua verginità.
5 - La temperanza, è una virtù cardinale che consiste nel moderare,
entro i limiti del lecito e nella giusta misura, i nostri istinti verso i
piaceri che accompagna no il mangiare e il bere (per la nostra conservazione)
e gli atti
sessuali (per la conservazione della specie).
L’oggetto primario della temperanza sono i piaceri del gusto e del
tatto.
L’oggetto secondario tutti gli atti che hanno qual che connessione con questi piaceri.
2) Chiariti i termini principali relativi a questo tema, passiamo a vedere chi sono i veri puri di cuore della beatitudine evangelica.
1 - Sono puri di cuore del Vangelo, in senso stretto e come viene comunemente inteso, tutti coloro che — uomini e donne — si astengono da qualsiasi specie di peccato sessuale proibito dal 6° e dal 9° comandamento, per amore di Gesù Cristo, Figlio di Dio, per la conquista del Regno dei Cieli.
I veri puri di cuore esercitano la castità e la pudicizia nello stato
in cui si trovano (cfr. C.C.C. 1618 - 1620).
Coloro che hanno avuto da Dio il dono di capire la preziosità e la bellezza della purezza, hanno l’accorgi mento di evitare anche le occasioni remote, per sé indifferenti, di trasgredire tale virtù, vivendo nella santa temperanza; non solo, ma usano anche abbondantemente tutti quei mezzi che Gesù ha messo a nostra disposizione: preghiera, uso frequente dei sacra menti, meditazione, mortificazione, vigilanza ecc., per conservare nel proprio essere sempre incontaminata la bella virtù che, a ragione, è stata simboleggiata con il candore del giglio.
Il più alto grado di purezza si ha nella verginità formale davanti
a Dio. Ma non è necessario raggiungere il massimo grado per essere puri
di cuore. In tutti gli strati sociali lo si può essere: Vescovi, sacerdoti,
religiosi, fidanzati, sposati, vedovi, persone non vincolate dal matrimonio;
e in tutte le età.
Si deve però qui ricordare quanto insegna, a questo proposito, il Concilio
di Trento, il quale afferma: “Lo stato di verginità e di celibato è superiore
a quello coniugale: è cosa migliore, infatti, e più felice rimane
re nella verginità e nel celibato che unirsi in matrimonio” (Cfr.
Conc. Trid., sess. XXIV, can. 10, DS. 980).
A questo riguardo è opportuno tenere presente anche quanto dice Gesù: “I
discepoli gli dicono: ‘Se la condizione dell’uomo con la donna è così,
non conviene sposarsi’. Ed egli rispose loro: ‘Non tutti comprendono
questo linguaggio, ma soltanto coloro ai quali è concesso. Infatti, ci
sono degli eunuchi che sono nati così dal seno della madre, e vi sono
eunuchi che sono stati evirati dagli uomini, e ci sono eunuchi che si sono resi
tali da sé per amore del Regno dei cieli. Chi può comprendere,
comprenda!” (Mt. 19, 10-12); è opportuno considerare anche
quanto dice S. Paolo (ICor. 7, 25-40).
Si devono inoltre fare altri rilievi. Per appartenere alla categoria dei puri di cuore della beatitudine evangelica, non basta solo la purezza, ma bisogna tenere presente il fine per cui ci si conserva puri: l’amore di Gesù Cristo, riconosciuto Figlio di Dio e la costante tensione al Regno dei Cieli, da possedere, dopo la morte; la contemplazione di Dio, Uno e Trino, per tutta l’eternità.
Non si possono dire veri puri di cuore del Vangelo coloro che si astengono
da qualsiasi specie di impurità contro il sesto ed il nono comandamento,
perché, essendo anormali, non sentono alcuna inclinazione alla sessualità o
perché hanno paura delle malattie o per qualsiasi altro motivo umano
e naturale.
Ciò che determina la purezza evangelica è il fine per cui uno si
conserva puro e cioè l’amore per Gesù Cristo, Figlio
di Dio, per ottenere il Regno dei Cieli, il Paradiso, dopo la morte.
Sono puri di cuore in senso largo, e in una maniera più completa, tutti coloro che si sforzano di conservare la propria anima immune da qualsiasi specie di peccato, cercando di essere fedeli ai propri doveri verso Dio, verso se stessi e verso il prossimo, assumendo con diligenza gli impegni del proprio stato, evitando qualsiasi forma di falsità e di ipocrisia, mantenendo sempre la trasparenza della propria anima e avendo di mira in tutto solo l’amore di Dio.
2 - Perché il Signore dice “beati i puri di cuore” e non dice “beati i puri di corpo?”
E’ chiaro che con questa espressione Gesù intende una purezza totale
e completa di corpo e di spirito: in altre parole Egli chiede la perfetta osservanza
del sesto e del nono comandamento e l’esercizio delle altre virtù.
La risposta a questo interrogativo ce la dà Gesù stesso: “Dal
di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni
cattive, fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigia, malvagità,
inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose
vengono dal di dentro e contaminano l’uomo” (Mc. 7,21).
Abbiamo imparato a conoscere chi sono i puri di cuore del Vangelo: facciamo
in modo di essere anche noi tra questi; sforziamoci di raggiungere il grado
di purezza
più alto possibile, disponendo il nostro spirito all’incondizionato
amore di Gesù Cristo, Figlio di Dio: così Egli vuole essere
amato.
Percorrendo questo cammino di fede e di amore fattivo, meriteremo di possedere la beatitudine pro messa da Gesù Cristo e di vedere Dio non solo nella manifestazione del suo Creato ma anche e, soprattutto, faccia a faccia, in cielo e per tutta l’eternità. (Cfr. C.C.C. 2517-2519).
2 - Il sesto comandamento (Non commettere atti impuri)
Il sesto comandamento ci proibisce: di commettere atti impuri di qualsiasi specie; di metterci in occasione prossima
di commetterli; Il sesto comandamento, inoltre, ci ordina di essere santi nel
corpo e cioè di esercitare la virtù della castità. Il sesto comandamento ci proibisce di commettere atti impuri di qualsiasi specie.
Prima di tutto cerchiamo di capire che cosa sia l’atto impuro.
L’atto impuro (o di lussuria o venereo o sessuale) è l’eccitazione
degli organi sessuali, prodotta, con piena Coscienza e volontà, in qualsiasi
maniera, in modo tale da provocare l’effusione del seme (polluzione)
nell’uomo o del liquido ghiandolare nella donna.
Chi, con piena avvertenza della mente e deliberato consenso della volontà,
compie un atto impuro commette un peccato mortale, poiché trasgredisce
in maniera grave il sesto comandamento. Costui, infatti, si serve delle forze
della vita non per il fine previsto dal Creatore — dare cioè la
vita ad un’altra creatura — ma per il piacere egoistico personale.
Il commettere un atto impuro significa anche compiere un furto al Creatore,
il prendere per sé qualche cosa che non appartiene alla creatura.
Il corpo, infatti, (e tutta la persona) non è esclusiva proprietà dell’uomo:
Dio glielo ha dato in prestito, per ché lo gestisca secondo determinate
leggi delineate nei dieci comandamenti: è un capitale che l’uomo
deve amministrare bene in questa vita, perché possa guadagnare la felicità eterna
nel Paradiso.
Il rapporto sessuale è lecito solo al marito e alla moglie, validamente
sposati, purché compiano l’atto coniugale rettamente e in nessun
modo impediscano la concezione della prole. Non è lecito, pertanto,
ad altre persone, compresi i fidanzati, i quali acquistano tale diritto soltanto
dopo aver celebrato validamente il matrimonio.
Diverse sono le specie di peccati impuri.
1 - La masturbazione (o peccato solitario) è il peccato impuro commesso
da soli.
2 - L’onanismo è il peccato impuro commesso dai coniugi che, nel
rapporto coniugale, impediscono in qualsiasi maniera la concezione della prole,
oppure fra un uomo e una donna, ma in forma contro natura.
3 - La fornicazione è il rapporto sessuale tra un uomo e una donna non
sposati e liberi dai vincoli del l’Ordine Sacro o dei voti o della parentela.
4 - L’adulterio è il rapporto sessuale fra una persona sposata
con un’altra, che non è il proprio coniuge sia mentre i rispettivi
coniugi rimangono nel matrimonio sia divisi dal divorzio.
5 - L’incesto è il rapporto sessuale tra consanguinei o affini
entro i gradi nei quali il matrimonio è proibito dalla Chiesa.
(Consanguinei = secondi cugini, cfr. can. 1091, par. 2. Affini = qualsiasi
grado solo in linea retta, cfr. can. 1092.)
6 - Il sacrilegio è la profanazione di una persona consacrata a Dio
con i voti religiosi o con l’Ordine Sacro mediante un peccato impuro.
7 - Lo stupro è il rapporto sessuale violento con una donna vergine
(in senso stretto) o con una non vergine (in senso lato).
Per violenza si intende qui non solo quella fisica, ma anche quella morale
e cioè contro sua volontà.
8 - Il ratto (o rapimento) è il trasportare violento di una persona
da un luogo ad un altro con l’intento di commettere con essa un peccato
impuro.
9 - La prostituzione è il prestarsi abitualmente per commettere atti
impuri con tutti indistintamente e dietro pagamento.
10 - L’omosessualità (lesbismo o saffismo) è il peccato
impuro commesso fra due uomini o due donne.
11 - La bestialità è il peccato impuro commesso con una bestia.
Chi compie con piena avvertenza della mente e deliberato consenso della volontà ciascuna delle sud dette specie di impurità commette un peccato mortale contro il 6° comandamento, ma il più delle volte, nello stesso tempo, secondo i casi, commette anche un altro peccato grave o contro la pietà (incesto) o contro la religione (sacrilegio) o contro la natura (sodomia e bestialità). Per es. chi commette un adulterio — commette un peccato mortale contro la giustizia verso il proprio marito (o la propria moglie) e un altro verso il marito (o la moglie) della persona, compagna di peccato se questa è sposata.
2) Il sesto comandamento proibisce di metterci in occasione prossima di commettere
atti impuri.
Abbiamo detto che commette un peccato mortale chi, con piena avvertenza e deliberato consenso, compie un atto impuro. Ora dobbiamo aggiungere che commette peccato mortale non solo chi compie un atto impuro, ma anche chi si mette, con grave temerarietà, in occasione prossima di compierlo.
Mettersi in occasione prossima di peccato equivale a porsi in situazioni e
circostanze che, si prevede, con molte probabilità, possano indurre
a cadere nel peccato impuro. Compiendo quindi determinate azioni, coscienti
e volute, noi commettiamo peccato mortale, anche se poi, in realtà,
il peccato impuro non ci sarà e commettiamo peccato mortale, perché noi
siamo tenuti ad evitare non solo il peccato impuro direttamente, ma anche quelle
azioni che indirettamente e prossimamente portano al medesimo.
Per es. se io so che leggendo un libro cattivo, mi eccito in modo tale che,
con molta probabilità, cadrò nel peccato impuro, sono tenuto
a non leggere quel libro, e se lo leggo, conoscendo il pericolo grave in cui
mi metto, commetto un peccato mortale, anche se poi il peccato impuro non ci
sarà.
Quello che si è detto per il libro cattivo vale anche per gli spettacoli
immorali, per le figure pornografiche, per gli atteggiamenti poco corretti
da soli o in compagnia, ecc.
Se le suddette azioni non diventano occasione prossima di peccato, ma solo
remota, cioè si prevedo no solo scarse probabilità di cadere
nell’atto impuro, allora il peccato non sarà più mortale,
ma veniale o addirittura non sussisterà, secondo i casi, a meno che
non ci sia stata l’intenzione di arrivare al peccato Impuro.
Le principali e più comuni occasioni o cause di caduta nel peccato impuro
sono: gli sguardi; i toccamenti, i baci, gli abbracci; gli atteggiamenti scomposti,
i cattivi compagni, i discorsi osceni, le immagini pornografiche, le letture
e gli spettacoli immorali, l’ozio, l’intemperanza nel mangiare
e nel bere, ecc.
Tutte queste occasioni o cause hanno una connotazione particolare in relazione alla sensibilità di ciascuna persona: non tutte producono gli stessi effetti in ogni individuo, per es. ciò che per uno potrebbe essere occasione prossima di peccato impuro, per un altro potrebbe diventare solo remota o addirittura non sussistere o quasi.
Ognuno conosce se stesso, la propria sensibilità e le proprie tendenze,
perciò deve evitare le occasioni e le cause che, con maggior facilità,
possano indurlo al peccato impuro.
Infine bisogna tenere presente che in tutte queste azioni, occasioni e cause
deve sempre essere evitato lo scandalo, ossia il cattivo esempio verso coloro
che per età o limiti intellettuali o morali potrebbero trarne conclusioni
o comportamenti distorti.
3) Il sesto comandamento ci ordina:
Di esercitare la virtù della castità, che, anche se tal volta è difficile, è sempre
possibile con l’aiuto del Signore. Ci ordina di essere santi nel corpo, portando il massimo rispetto alla propria
e all’altrui persona, che è tempio di Dio, tempio della SS. Trinità.
Rileggiamo i passi seguenti della Sacra Scrittura così chiari al riguardo: “Non
sapete voi che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?” (1
Cor. 3,16).
“
Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi
asteniate dalla impudicizia, che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo
con santità e rispetto, non come oggetto di passione e libidine, come
i pagani che non conoscono Dio, che nessuno offenda e inganni in questa materia
il proprio fratello, perché il Signore è vindice di tutte queste
cose, come già vi abbiamo detto e attestato. Dio non ci ha chiamato
all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza
queste norme, non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo Santo
Spirito” (lTs. 4,3-8).
“
Gesù gli rispose: ‘Se uno mi ama, osserverà la mia parola
e il padre mio lo amerà, e verremo a lui e dimoreremo in lui” (Gv.
14,2).
3 - Il nono comandamento (Non desiderare la donna d’altri)
Il nono comandamento:
1- ci proibisce di desiderare la donna d’altri;
2 - ci ordina la perfetta purezza dell’anima.
1) Il nono comandamento ci proibisce di desidera re la donna d’altri.
L’espressione “non desiderare la donna d’altri” si
deve intendere come la proibizione di qualsiasi specie di pensieri e desideri
impuri, che, comunemente, vengono chiamati “pensieri cattivi”.
Il sesto comandamento, come già abbiamo visto, ci proibisce ogni specie
di impurità nelle azioni e cioè nel corpo; il nono, invece, ci
proibisce ogni sorta di impurità nei pensieri e nei desideri e cioè nello
spirito, nell’anima.
Il pensiero impuro è la deliberata compiacenza di quelle azioni, che
sono proibite nel sesto comandamento, rappresentate nella mente o nell’immaginazione,
senza che vi sia la volontà di compierle.
Il pensiero impuro è peccato, perché ci si diletta di cose proibite
dalla legge di Dio, e il peccato è della stessa gravità e della
stessa specie dell’azione che ci si rappresenta nel pensiero e di cui
ci si compiace.
il desiderio impuro acconsentito è la volontà di compiere quelle
azioni che sono proibite nel 6° comandamento.
il desiderio impuro acconsentito è peccato della stessa gravità e
della stessa specie dell’azione che si desidera compiere.
Non è in nostro potere impedire i cattivi pensieri: essi sono infatti una conseguenza del peccato origina le, ma è in nostro
potere ed è nostro dovere non accettarli. Altro è il sentire
e altro è l’acconsentire. Si commette peccato solo quando si acconsente
a questi cattivi pensieri, cioè quando si accettano con la volontà.
Gli sguardi, i toccamenti, i baci, gli abbracci, gli atteggiamenti scomposti, i cattivi compagni, i discorsi osceni, le immagini pornografiche, le letture e gli spettacoli immorali, l’ozio, l’intemperanza nel mangiare e bere, ecc. sono peccato mortale o veniale solo se rientrano negli atti impuri nell’indurre in occasione prossima o remota di compierli oppure se portano a pensieri o desideri impuri. Se non rientrano in questi non sono neppure peccato.
2) Il nono comandamento ci ordina la perfetta purezza dell’anima.
Il sesto comandamento ci ordina la purezza del corpo, imponendoci l’astensione
da qualsiasi specie di atti impuri.
Il nono comandamento va più avanti, allorché impone di rigettare
subito ogni pensiero e desiderio impuro.
Il nostro corpo e la nostra anima, infatti, sono tempio di Dio, tempio della
SSma Trinità.
4 - Il sesso anormale
A questo punto sembra opportuno fare una considerazione chiarificatrice circa
il sesso normale e quello anormale.
Si deve intendere per sesso normale l’inclinazione sessuale comune che
l’uomo sente verso la donna e viceversa.
Il sesso anormale è di quelle persone, uomini o donne, che, per natura
(o perché l’hanno acquisita), sentono un’inclinazione sessuale
non comune ma ano mala. Tali anomalie sessuali, molte volte, non dipendo no
dai singoli individui, ma dalla natura ricevuta in sorte e, specialmente nelle
forme più gravi, rivelano un fondo patologico e, talvolta, conducono
a perversioni sessuali.
Le anomalie (perversioni) sessuali si sogliono distinguere in due categorie.
1) La prima categoria comprende i casi in cui il rapporto è comune,
normale, però lo scopo di esso non è tanto il comune rapporto
ma questo è subordinato ad altre esigenze. Le principali specie ditali perversioni sono le seguenti. La scopofilia è una perversione sessuale in cui il soggetto prova una
voluttà abnorme alla vista delle nudità di persone di altro sesso
o degli atti erotici altrui. L’esibizionismo è una perversione sessuale in cui il soggetto
prova un’abnorme voluttà nel mostrare agli altri le proprie nudità.
Il sadismo (dal marchese De Sade, che lo ha descritto nei suoi romanzi) è una
perversione sessuale in cui il soggetto eccita la dilettazione venerea con
immagini e azioni che contengono una crudeltà e veemenza attiva, per
es. con il percuotere, flagellare, soffocare, pungere la pelle altrui, trucidare,
ecc.
Il masochismo (dal poeta Sacher Masoch che difendeva questa perversità) è una perversione sessuale in cui la libidine sorge dalla crudeltà passiva e da violenze subite o immaginate, per es. essere percossi, flagellati, torturati fino al sangue,ecc.
2) La seconda categoria comprende i casi in cui il rapporto è diverso
da quello normale e si ha quindi l’omosessualità che è una
perversione sessuale in cui il soggetto (uomo o donna) sente una inclinazione
erot ca verso individui dello stesso sesso.
Le varie forme di omosessualità sono le seguenti:
I. La sodomia è il coito anale compiuto fra due uomini o fra un uomo
e una donna.
II La pederastia (pedofilia) è un atto sodomitico effettuato su un fanciullo
o fanciulla.
III. Il lesbismo o saffismo è il peccato impuro compiuto fra due donne.
Gli omosessuali vengono distinti in attivi e passivi ed il grado di morbosità è maggiore
nei maschi passivi e nelle femmine attive.
In questi casi sembra che alla radice del disturbo vi sia spesso un’insufficiente
differenziazione psicosessuale dei soggetti.
IV. Il travestitismo od eonismo (il piacere di vestire gli abiti del sesso
opposto) è il fenomeno psicosessuale nel quale il soggetto (per lo più uomo)
recita il ruolo del sesso opposto pur essendo consapevole di appartenere ad
un sesso determinato. In questa dimensione il soggetto ricerca l’identificazione
sessuale nell’abbigliamento e nell’assunzione dei gusti , delle
abitudini e delle condotte del sesso opposto.
V. il transessualismo è la sindrome psicosessuale caratterizzata dal
sentimento provato da un individuo di sesso determinato di appartenere al sesso
opposto; a tale sentimento si accompagna il desiderio di cambiare la propria
configurazione somatosessuale con trattamenti chirurgici o ormonali.
VI. Il feticismo è una perversione sessuale che consiste nella soddisfazione
ottenuta con il contatto solo di determinate parti o di determinati orna menti
di persona dell’altro sesso; la tendenza al possesso dell’oggetto
feticistico suole essere di natura ossessiva e può scatenare impulsi
irrefrenabili a rubare quel determinato oggetto.
VII. La bestialità è la perversione sessuale nella quale l’individuo
trova soddisfacimento nel rapporto con animali.
VIII. La necrofilia, che è forse il massimo dei perverti menti sessuali ed ha attinenza anche con il summenzionato sadismo, è una perversione in cui il soggetto cerca la soddisfazione sui cadaveri.
3) La sessualità secondo la forza dello stimolo si può dividere
anche nelle seguenti quattro categorie.
I. La paradossia sessuale (dal latino paradoxum = che è contro la comune
opinione = strano) avvie ne quando si hanno stimoli sessuali nel tempo nel
quale, secondo la norma generale, non è ancora iniziata la facoltà di
generare oppure è già finita,
come per es. nei fanciulli prima dei sette anni o nei vecchi decrepiti.
II. L’anestesia sessuale (dal greco di-’ataOi = insensibilità)
si ha quando il piacere sessuale non può essere eccitato da nessuna
cosa. Raramente si trovano uomini di tal genere e per la loro impotenza di coito
non possono contrarre un matrimonio valido. Questi sono gli uomini cosiddetti “frigidi”;
altrettanto può dirsi delle donne.
III. L’iperstesia sessuale si trova in quei soggetti, che sentono uno
stimolo sessuale del tutto straordinario. Questa spinta di sessualità spesso è congiunta
con qualche forma di parestesia sessuale.
IV. La parestesia sessuale (dal greco napd = prep. da, lontano da, e da a =
sensazione; stato anormale, alterazione della sensibilità) si ha quando
la vita sessuale non è stimolata dalle cose pertinenti ai piaceri venerei,
ma da altri elementi del tutto alieni dalla vita sessuale.
Le forme principali relative a questa perversione sono il sadismo, il masochismo,
il feticismo e l’omosessualità.
Bisogna distinguere, infine, l’omosessualità come tendenza, dai peccati commessi con persone dello stesso sesso, da coloro che non hanno occasione o possibilità di peccare con persone di sesso diverso.
4) Responsabilità
Anche coloro che, per natura sono portati ad una sessualità anormale
sono tenuti ad esercitare la virtù della purezza, se vogliono essere
veri cristiani. L’anormalità sessuale, ereditata dalla natura, non è motivo
di segregazione, perché tutti gli uomini e tutte le donne sono nati
con il peccato originale e tutti porta no nel loro essere l’effetto nefasto
della concupiscenza sessuale. Si tratta di forme diverse della stessa concupiscenza
e cioè concupiscenza sessuale normale o anormale.
Non ha un merito o un demerito chi ha ereditato l’una o l’altra
tendenza sessuale. Ambedue i soggetti devono lottare contro le sregolate inclinazioni
sessuali per conservarsi puri nel corpo e nello spirito per amore di Gesù Cristo,
per la conquista del Regno dei Cieli. Anche i cosiddetti anormali, pertanto, possono e devono dominarsi, giacché tutte
le azioni libere sono da attribuire all’individuo, fintanto che non è perduta
la consapevolezza della responsabilità e gli atti vengo no compiuti
con piena cognizione e libera volontà. Una maggiore o minore veemenza di passione si ha tanto negli anormali come
nei normali. Forme patologiche di impurità, inoltre, si trovano sia negli uni come
negli altri. La responsabilità dei singoli soggetti si giudica secondo i principi
generali degli atti umani. E un grande atto di fede e di umiltà accettarsi come si è e portare
quelle croci e sofferenze che Dio, giorno per giorno ci manda, lottando contro
il male, contro le inclinazioni cattive in qualsiasi forma si presentino.
Quello che interessa è combattere con grande spirito di fede e di amore
verso Gesù Cristo, secondo l’insegnamento di S. Paolo:
“
Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con
le sue passioni e concupiscenze” (Gai. 5, 24).
(Cfr. Lettera Congr. della Fede, “De pastorali per sonarum homosexualium
cura”, del 1-10-1986). Certe forme di omosessualità non sono assolutamente
irrisolubili. Spesso la soluzione del problema si trova in una “ricostruzione” della
personalità del soggetto. Infatti la perversione sessuale è il
risultato di “vuoti” più o meno pari del carattere (timidezza,
insicurezza, ecc.). Risolti tali aspetti il soggetto ha molte possibilità di
ritornare ad un’affettività normale, con normali tendenze.
5 - È peccato l’impurità?
Quante volte si sente dire, specialmente da persone giovani: perché è peccato
l’impurità? chi l’ha detto? E si prosegue con insistenza,
che vorrebbe essere persuasiva, affermando che le forze della vita, il sesso,
l’a more e la bellezza del corpo sono certamente elementi positivi nella
nostra esistenza terrena, sono doni che Dio ha dato all’uomo e alla donna,
quindi non si capisce come mai l’uso di questi beni possa essere peccato.
Rispondere a questo quesito non sembra difficile. Va subito detto che, non
solo Dio non ha proibito l’uso di tali beni, ma anzi l’ha comandato.
Così, infatti, si legge nella Scrittura: “Crescete, moltiplicatevi
e riempite la terra” (Gn. 1,28). E l’esplicito comando di Dio ai
primi uomini.
Si deve precisare, però, che Dio in tale uso ha messo dei limiti ben
distinti; chi oltrepassa questi con fini commette peccato.
La nostra ricerca sta proprio in questo: arrivare a conoscere, con chiarezza, la linea di demarcazione in materia tra il lecito e l’illecito, tra la purezza e l’impurità.
1) Prima di sentire che cosa Dio vuole da noi a questo proposito, ascoltiamo la ragione per sapere se ha qualche cosa da insegnarci.
La sana ragione, non turbata dalle passioni, ci dà grandi insegnamenti.
La coscienza retta, infatti, suggerisce ad ogni creatura umana ciò che è lecito
e ciò che è illecito, non solo in questo campo, ma in tutti i
settori dell’attività umana responsabile e ciò perché la
legge di Dio è impressa nel nostro essere.
La coscienza, prima di compiere una azione, ci dice se ciò che stiamo
per fare è lecito o illecito (coscienza antecedente); ci accompagna
nel compi mento dell’azione (coscienza concomitante) e, infine, ci loda
o ci rimprovera dopo che abbiamo terminata l’azione (coscienza conseguente).
Se abbiamo operato il male, sentiamo dentro di noi il rimorso, cioè una
voce interiore, che ci dice che abbiamo trasgredito la legge di Dio. Questa
voce, però, è avvertita con chiarezza solo da una sana ragione,
non turbata dalle passioni; il depravato che ha perduto ogni senso del pudore,
diventa sordo ai richiami della Coscienza.
Si deve, però, osservare che molto difficilmente si riesce a far tacere del tutto la voce della coscienza, a meno che il livello di sensibilità morale sia completa mente assente per inveterata assuefazione al vizio e al peccato. (Cfr. “Gaudium et Spes”, 16).
2) Ascoltiamo che cosa Dio, nel Vecchio Testamento, ci dice dell’impurità.
Esaminiamo le più importanti espressioni, che si trovano nel Vecchio
Testamento, su questo argomento. Le frasi sono così chiare e precise
che non hanno bisogno di spiegazione, per cui riporteremo il Testo Sacro senza
alcun commento.
“
Dio allora pronunciò tutte queste parole: non commettere adulterio.., non desiderare la donna d’altri.., non desiderare
la moglie del tuo prossimo...” (Es. 20, 1.14.17).
Vengono ricordati i peccati contro il sesto e il nono comandamento. presa la pena di morte, riservate a coloro che commettono tali peccati impuri.
“
Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso
un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su
di loro” (Lv. 20, 13).
Viene condannata l’omosessualità.
“
L’uomo che si abbrutisce con una bestia, dovrà essere messo a
morte; dovrete uccidere anche la bestia. Se una donna si accosta ad una bestia
per lordarsi con essa, ucciderai la donna e la bestia; tutte e due dovranno
essere messe a morte; il loro sangue ricadrà su di loro” (Lv.
20, 15).
Viene condannata la bestialità.
Il Signore disse allora a Mosè:
“
... nessuno si accosterà a una sua consanguinea, per avere rapporti
con lei. Io sono il Signore. Non recherai oltraggio a tuo padre avendo rapporti
con tua madre... tua matrigna.., tua sorella... figlia di tuo figlio o della
figlia di tua figlia.., figlia della tua matrigna.., sorella di tuo padre...
sorella di tua madre... moglie del fratello di tuo padre... tua nuora... tua
cognata...” (Lv. 18,1, 6-16).
Qui vengono proibiti i peccati di incesto, e in Lv. 20, 10-21, Dio stabilisce gravi pene, con “ Se un uomo sarà sorpreso in fragrante a giacere con una donna maritata, siano ambedue messi a morte...” (Dt. 22, 22).
Dio stabilisce la pena per l’adulterio.
“ Se una fanciulla vergine è fidanzata, e un uomo, trovandola nella città, giacerà con lei, siano con dotti ambedue fuori della porta della città e siano lapidati, finché muoiano...” (Dt. 22, 23).
Dio stabilisce la pena per la fornicazione. “
Se un uomo trova una giovane fidanzata per i campi e facendole violenza giace
con lei, muoia soltanto l’uomo che ha peccato con quella; ma non far
nulla alla giovane, essa non ha commesso colpa degna di morte...” (Dt.
22, 25-26).
Dio stabilisce la pena per lo stupro.
“
Giuda poi dette in moglie ad Er, suo primogenito, una donna di nome Tamar,
ma Er, primogenito di Giuda, spiacque al Signore, che Io fece morire. Perciò Giuda
disse ad Onan: ‘Entra dalla moglie di tuo fratello, compi il tuo dovere
di cognato e suscita prole a tuo fratello’. Ma Onan, sapendo che la prole
non sarebbe stata sua, quando si accostava alla moglie di suo fratello, emetteva
(il seme) in terra, per non dar prole a suo fratello. Ciò che egli faceva
dispiacque molto al Signore, che fece mori re anche lui” (Gn. 38, 6-9).
Onan voleva per sé la successione del fratello Er; perciò rendeva impossibile che, dal suo matrimonio con Tamar, nascessero figli. Il suo peccato di usare il matrimonio, impedendone la prole, è da Dio chiamato abominevole e punito con la morte.
3) Ascoltiamo che cosa Gesù Cristo ci dice dell’impurità.
“
Avete udito che è stato detto: ‘Non commetterai adulterio’.
Io, invece, vi dico che chiunque guarda una donna desiderandola, ha già commesso
adulte rio con lei nel suo cuore” (Mt. 5, 27-28). Gesù condanna non solo l’adulterio, proibito nel sesto comandamento,
ma anche il solo desiderio di adulterio, fornicazione ecc. proibito nel nono
comandamento. “É
stato detto: ‘Chi ripudia la propria moglie, le dia un atto di divorzio’.
Io, invece, vi dico che chiunque ripudia la propria moglie, eccetto in caso
di fornicazione (concubinato), la rende essa adulte ra; e chi sposa una ripudiata,
commette adulterio” (Mt. 5, 3 1-32) e anche (Mt. 19, 3-9).
Gesù condanna il divorzio e il libero amore.
“
Gli dissero i discepoli: ‘Se questa è la condizione dell’uomo
rispetto alla donna, non conviene sposarsi ’. Egli rispose loro: “Non
tutti possono capirlo, ma solo a coloro ai quali è stato concesso. Vi
sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne
sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini e vi sono altri che si
sono fatti eunuchi per il Regno dei cieli. Chi può capire, capisca” (Mt.
19, 10-12).
Gesù ci insegna che per poter condurre una vita celibataria, bisogna
avere una vocazione speciale.
“Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni
cattive: fornicazioni... adulteri... impudicizia... Tutte queste cose cattive
vengo no fuori dal di dentro e contaminano l’uomo” (Mc. 7, 2 1-23).
Con queste espressioni Gesù condanna la fornicazione, l’adulterio
e ogni specie di atti impuri non completi: li chiama, infatti, cattivi e dice
che contaminano l’uomo.
Consideriamo il caso dell’adultera.
“
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alza tosi allora Gesù le
disse: ‘Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?’ Ed ella rispose: ‘Nessuno,
Signore’. E Gesù le disse: ‘Neanch’io ti condanno;
va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv. 8, 9-11).
Gesù, pur avendo comprensione e misericordia, riconosce che è peccato
l’adulterio e dice alla donna di non ripeterlo più in avvenire,
appunto perché è una grave trasgressione della legge di Dio.
“
Questa razza di demoni (impuri) non si scaccia se non con la preghiera e il
digiuno” (Mt. 17, 21).
Gesù ci indica i mezzi per vincere l’impurità: la preghiera e il digiuno.
4) Ascoltiamo che cosa gli Apostoli ci dicono dell’impurità.
S. Giacomo il Minore nel discorso di Gerusalemme afferma:
“
Per questo io ritengo che non si debba importuna re quelli che si convertono
a Dio tra i pagani, ma solo si ordini loro di astenersi dalle sozzure degli
idoli, dalla impudicizia,...” (At. 15, 19-20). Gli Apostoli, gli anziani e tutta la Chiesa di Gerusalemme inviarono una Lettera
ai fratelli di Antiochia e di Cilicia, nella quale dicono: “
Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo
al di fuori di queste cose necessarie: astenervi dalle carni offerte agli idoli,
dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia. farete cosa buona
perciò a guardarvi da queste cose. State bene” (At. 15, 28-29).
Sia il discorso di S. Giacomo il Minore che la Lettera Apostolica esortano
i primi cristiani ad astener si dall’impudicizia, il che significa da
ogni forma di impurità. S. Paolo, nelle sue Lettere afferma dell’impurità quanto segue: “
Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale sì da sottomettervi ai suoi desideri;...” (Rm. 6, 12).
S. Paolo esorta a rinunciare ai desideri peccaminosi del corpo.
“La donna sposata, infatti, è legata dalla legge al marito finché egli vive; ma se il marito muore è libera dalla legge che la lega al marito. Ella sarà dunque chiamata adultera se, mentre vive il marito, passa ad un altro uomo, ma se il marito muore essa è libera dalla legge e non è più adultera se passa ad un altro uomo...” (Rm. 7, 2-3).
S. Paolo insegna l’indissolubilità del matrimonio per tutta la
vita.
“
Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensa no alle cose della carne;
quelli invece che vivono secondo lo Spirito, alle cose dello Spirito. Ma i
desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano
alla vita e alla pace. Infatti i desideri della carne sono in rivolta contro
Dio, perché non si sottomettono alla sua legge e neanche lo potrebbero.
Quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio” (Rm. 8,
5-8).
S. Paolo ci dice che se seguiamo i desideri peccaminosi della carne non possiamo
piacere a Dio.
“
... se vivete secondo la carne, voi morirete...” (Rm. 8,13).
S. Paolo ci avvisa che se vivremo secondo la carne, moriremo spiritualmente.
“
Si sente da per tutto parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale
che non si riscontra neanche tra pagani, al punto che uno convive con la moglie
di suo padre. E voi vi gonfiate di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti,
in modo che si tolga di mezzo a voi chi ha compiuto una tale azione! Orbene,
io, assente con il corpo ma presente con lo spirito ho già giudicato
come se fossi presente colui che ha compiuto tale azione: nel nome del Signore
nostro Gesù, essendo radunati insieme voi e il mio spirito, con il potere
del Signore nostro Gesù, questo individuo sia dato in balia di satana
per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere
la salvezza nel giorno del Signore” (1Cor. 5, 1-5).
S. Paolo parla dell’incestuoso di Corinto.
“
Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri,
né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari,
né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il
regno di Dio” (ICor. 6, 9-10).
S. Paolo dice che gli impuri non potranno entrare nel Regno dei cieli.
“
... il corpo non è per l’impudicizia, ma per il Signore, e il
Signore è per il corpo. Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche
noi con la sua potenza.
Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?
Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta?
Non sia mai! O non sapete voi che chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo? 'I
due saranno, è detto, un corpo solo’. Ma chi si unisce al Signore
forma con lui un solo spirito. Fuggite la fornicazione! Qualsiasi peccato l’uomo
commetta, è fuori dal suo corpo; ma chi si dà alla fornicazione,
pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è tempio
dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete
a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque
Dio nel vostro corpo!” (1 Cor. 6, 13-20).
S. Paolo combatte il peccato impuro.
“
Quanto poi alle cose di cui mi avete scritto, è cosa buona per l’uomo
non toccare donna; tuttavia, per il pericolo dell’incontinenza, ciascuno
abbia la pro pria moglie e ogni donna il proprio marito.
Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente la moglie verso
il marito. La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il
marito, allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo,
ma lo è la moglie. Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e
temporanea mente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme,
perché satana non vi tenti nei momenti di passione. Questo però dico
per concessione, non per comando. Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno
ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro.
Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come
sono io; ma se non sanno vive re in continenza, si sposino; è meglio
sposarsi che ardere.
Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal
marito — e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con
il marito — e il marito non ripudi la moglie. Agli altri dico io, non
il Signore: se un nostro fratello ha la moglie non credente e questa consente
a rimane re con lui, non la ripudi; e una donna che abbia il marito non credente,
se questi consente a rimanere con lei, non lo ripudi: perché il marito
non credente viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente
viene resa santa dal marito credente; altrimenti i vostri figli sarebbero impuri,
mentre invece sono santi. Ma se il non credente vuoi separarsi, si separi;
in queste circostanze il fratello o la sorella non sono soggetti a servitù;
Dio vi ha chiamati alla pace! E che sai tu, donna, se salverai il marito? O
che sai tu, uomo, se salverai la moglie?” (ICor. 7, 1-16).
S. Paolo detta le norme di un sano matrimonio cristiano.
“
Quanto alle vergini, non ho alcun comando dal Signore, ma do un consiglio.
Penso dunque che sia bene per l’uomo, a causa della presente necessità,
di rimanere così. Ti trovi legato ad una donna? Non cercare di scioglierti.
Sei sciolto da donna? non andare a cercarla, però se ti sposi non fai
peccato e se la giovane prende marito, non fa peccato. Tutta via costoro avranno
tribolazioni nella carne, e io vorrei risparmiarvele” (1 Cor. 7,25-28).
“
La moglie è vincolata per tutto il tempo in cui vive il marito; se il
marito muore è libera di sposa re chi vuole, purché ciò avvenga
nel Signore. Ma se rimane così, a mio parere è meglio; credo
infatti di avere anch’io lo Spirito di Dio” (1 Cor. 7, 39-40).
S. Paolo dà alcuni consigli circa lo stato di verginità:
“
Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità,
libertinaggio, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi,
divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste
cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il
Regno di Dio” (Gai. 5, 19-2 1).
S. Paolo avvisa che chi compie ogni forma di impurità grave non potrà entrare
nel Regno di Dio e cioè nel Paradiso.
“
Quanto alla fornicazione e ad ogni specie di impurità o cupidigia, neppure
se ne parli tra voi, come si addice a santi; lo stesso si dica per le volgarità,
insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece
azioni di grazie! Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro,
o avaro — che è roba da idolatri — avrà accesso al
Regno di Cristo e di Dio” (Ef. 5,3 - 5).
S. Paolo ripete anche agli Efesini la minaccia di esclusione dal Regno dei
Cieli per coloro che compiono ogni specie grave di impurità e condanna
anche la sconvenienza del parlare volgare e triviale.
“
Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione,
impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria,
cose tutte che attirano l’ira di Dio su coloro che disobbediscono. Anche
voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi
vizi. Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia,
maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca” (Col. 3, 5-8).
S. Paolo dice che i peccati impuri attirano l’ira di Dio su coloro che
li compiono ed esorta a togliere le parole oscene dalla bocca di ognuno.
“
Perché questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione:
che vi asteniate dalla impudicizia, che ciascuno sappia mantenere il proprio
corpo con santità e rispetto, non come oggetto di passioni e libidine,
come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno offenda e inganni in questa
materia il proprio fratello, perché il Signore è vindice di tutte
queste cose, come già vi abbiamo detto ed attestato. Dio non ci ha chiamati
all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza
queste norme non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo Santo
Spirito” (1 Ts. 4,3-8).
S. Paolo ci spinge ad astenerci da ogni forma di impurità per tendere
alla santità con tutte le nostre forze.
S. Giacomo il Minore dell’impurità afferma:
“
Nessuno, quando è tentato, dica: ‘Sono tentato da Dio’;
perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno
al male. Ciascuno piuttosto è tentato dalla propria concupiscenza che
lo attrae e lo seduce; poi la concupiscenza concepisce e genera il peccato,
e il peccato quand’è consumato, pro duce la morte” (Gc.
1, 13-15).
S. Giacomo il Minore nella sua lettera cattolica ci insegna che le tentazioni
non provengono da Dio, ma dalla concupiscenza di ciascuno, e il peccato, una
volta consumato, produce la morte spirituale dell’anima.
S. Pietro a proposito dell’impurità dice:
“
Il Signore sa liberare i pii dalla prova e serbare gli empi per il castigo
nel giorno del giudizio, soprattutto coloro che nelle loro impure passioni
vanno dietro alla carne e disprezzano il Signore... Essi stimano felicità il
piacere d’un giorno; sono tutta sporcizia e vergogna; si dilettano dei
loro inganni mentre fanno festa con voi; hanno gli occhi pieni di disonesti
desideri e sono insaziabili di peccato, adescano le anime instabili, hanno
il cuore rotto alla cupidigia, figli di maledizione! ... Costoro sono come
fonti senz’acqua e come nuvole sospinte dal vento: a loro è riserbata
l’oscurità delle tenebre. Con discorsi gonfiati e vani adescano
mediante le licenziose passioni della carne coloro che si erano appena allontanati
da quelli che vivono nell’errore. Promettono loro libertà, ma
essi stessi sono schiavi della corruzione” (2Pt. 2, 9-19).
S. Pietro parla del castigo riservato a coloro che vanno dietro alle loro impure
passioni, trascinando con sé i deboli, illudendoli con una falsa scienza.
S. Giuda così parla dell’impurità:
“
Così Sodoma e Gomorra e le città vicine, che si sono abbandonate
all’impudicizia allo stesso modo, e sono andate dietro a vizi contro
natura, stanno come esempio subendo le pene di un fuoco eterno” (Gd.
7).
S. Giuda, nella sua lettera, ricorda i castighi che stanno subendo nell’inferno — e
sono di esempio — coloro che si sono abbandonati ad ogni specie di impurità.
5) Ascoltiamo che cosa la Chiesa ci dice dell’impurità.
Esaminando la dottrina della Chiesa sull’impurità lungo la sua storia di venti secoli, dobbiamo costatare che essa è sempre stata conforme all’insegnamento che Dio, Gesù Cristo e gli Apostoli hanno rivelato. Tale dottrina è riassunta in quello che è stato già ricordato circa il sesto, il nono comandamento e il sesso anormale. E opportuno, tuttavia, ricordare gli ultimi documenti della Sede Apostolica su questo argomento che riassumono tale dottrina insegnata lungo il corso dei secoli.
1 - Circa la masturbazione sia il Magistero della Chiesa — nella linea di una tradizione costante — sia il senso morale dei fedeli, hanno sempre affermato, senza esitazione, che la masturbazione è un atto intrinsecamente e gravemente disordinato, che costituisce oggettivamente una colpa grave. Per la responsabilità personale poi si devono tener presenti tutte le circo stanze attenuanti o aggravanti che accompagnano soggettivamente i singoli casi.
Bisogna ricordare che ogni atto genitale umano deve svolgersi solo nel quadro del matrimonio, realizzando “in un contesto di vero amore, l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana” (Cfr. Conc. Vat. I!, “Gaudium et Spes”, 51; Dich. della Congr. per la Dottrina della Fede, “Persona humana”, 1975; C.C.C. 2352; Leone IX, Ep. “Ad spendidum nitetis”, ad S. Petrum Damiani, a. 1054, DS. 687-688; prop. 49 condannata da Innocenzo XI, Decreto del S. ufficio, 2marzo 1679, DS. 1269).
2 - Circa l’atto coniugale (o rapporto intimo o relazione sessuale) la Chiesa ha sempre insegnato che l’atto coniugale (o rapporto intimo o relazione sessuale) può essere compiuto solo dal vero marito e dalla vera moglie nell’ambito del matrimonio legittimamente celebrato, come giustamente dice l’aggettivo “coniugale” che l’accompagna e cioè dai veri coniugi.
La Chiesa insegna inoltre che tale atto può essere compiuto dai coniugi
non in qualsiasi maniera ma in un modo ben determinato e cioè deve essere
sempre aperto alla vita.
Tale dottrina, ribadita sempre nel corso dei secoli, è stata riassunta
recentemente in alcuni documenti della Sede Apostolica.
Pio XI, nella Enciclica “Casti Connubi” del 31 Dic. 1930, dichiara solennemente: “... qualsiasi uso del matrimonio in cui per la umana malizia l’atto sia destituito della sua naturale virtù procreatrice, va contro la legge di Dio e della natura, e coloro che osano commettere tali azioni, si rendono rei di colpa grave...”. La stessa dottrina è ripetuta anche da:
Pio XII, nel “Discorso alle ostetriche” del 29 Ott. 1951 e dal
Conc. Vat. Il, “Gaudium et Spes” nn. 48, 50 e51;
Paolo VI, nell’Enciclica “Humaae Vitae” del 25 Luglio 1968,
nn. 11 e 14;
Giovanni Paolo Il, nell’Esort. Apost. “Familiaris Consortio” del
22 Nov. 1981, p. III, n. 29; nella Dich. della Congregazione per la Dottrina
della Fede, “Per sona Humana” del 29 Dic. 1975; C.C.C. 2360-239
1.
La Chiesa, infine, insegna che tale atto è grave mente proibito ai fidanzati, ai conviventi, ai vedovi e a tutti gli altri uomini e donne che non siano uniti da un valido vincolo matrimoniale.
3 - Circa l’omosessualità o qualsiasi anormalità sessuale (“contra naturam” o “crimen pessimum”).
La Chiesa lungo il corso dei secoli ha sempre considerato molto gravi i peccati di omosessualità o di qualsiasi altra specie di anormalità sessuale chiamandoli “contra naturam” o anche, talvolta, “crimen pessimum”. Basandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni (Cfr. Gn. 19, 1-29; Rm. 1, 18-32; lCor. 6-10; lTm. 1, 10). La Sacra Tradizione ha sempre ribadito che gli atti di omosessualità sono “intrinsecamente disordinati” (cfr. Dich. della Congregazione della Dottrina della Fede, “Persona humana”, n. 8).
Sono contrari alla legge naturale (“contra naturam”), precludono all’atto sessuale il dono della vita, e quindi non sono il frutto di una vera complementarietà affettiva e sessuale. Quindi in nessun caso possono essere approvati e giustificati. Gli anormali sessuali — insegna ancora la Chiesa — devono essere accolti con rispetto, comprensione e delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Anch’essi, come gli altri cristiani, sono chiamati alla castità e alla beatitudine: “Beati i puri di cuore...” (Cfr. Dich. Congreg. per la Dottrina della Fede, “Persona humana” del 29-12-1975; Lettera, Congr. per la Dottr. della Fede “De Pastorali persona rum homosexualium cura” del 1-10-1986; C.C.C. nn. 2357-2359).
6 - La purezza nei fidanzati e negli sposati
Non tutti gli uomini sono tenuti ad esercitare la purezza nella stessa maniera, perché diversi sono gli impegni assunti nella scelta dello stato di vita. E necessario, pertanto, esaminare come deve essere la purezza nei vari stati di vita, rappresentati dalle singole perso ne. Queste sono:
1) I Sacerdoti
2) I religiosi
3) I fidanzati
4) Gli sposati
5) I vedovi
6) I non sposati
Ritengo opportuno fare una distinzione fra i suddetti vari stati di vita: fra quelli cioè che avranno (fidanzati) o hanno (sposati) la possibilità di compiere lecitamente l’atto coniugale e tutti gli altri per i quali è vietato. Tratterò pertanto, la purezza nei fidanzati e negli sposati e poi, in altro capitolo, la purezza negli altri stati di vita.
1) I fidanzati
1 - I fidanzati sono due persone, un uomo e una donna che, spinti da mutua simpatia hanno iniziato una serie di incontri e conversazioni, durante le quali sono pervenuti alla promessa di un futuro matrimonio e si accingono a prepararsi alle nozze.
2 - È molto opportuno che i due fidanzati, prima di compiere il primo
passo della promessa, chiedano consiglio a chi è competente in questo
campo: ad un sacerdote saggio e di intensa vita spirituale, meglio se specializzato
anche in materia e dottrina matrimoniale. I genitori, il parroco e il confessore hanno “il dove re di aiutare i
fidanzati a prepararsi meglio al matrimonio” (Cfr. Conc. Vat. II, “Apostolicam
actuositatem”, n. II e Can. 1063).
“
I fidanzati sono ripetutamente invitati dalla parola di Dio a nutrire e potenziare
il loro fidanzamento con un amore casto...” (Conc. Vat. Il, “Gaudium
et Spes”, n.49).
4 - I fidanzati, per la loro situazione, si trovano in occasione prossima necessaria di peccato, ma essi devono fare in modo che tale occasione prossima diventi remota, evitando le solite e comuni occasioni prossime di peccato, astenendosi in modo particolare dal trovarsi da soli in ambienti, situazioni e circostanze tali che potrebbero indurre al peccato impuro; usando, inoltre, i mezzi spirituali che il Signore ha messo a nostra disposizione: la preghiera, l’uso frequente dei sacramenti, la meditazione delle verità eterne, la mortificazione, ecc., mezzi che esamineremo più avanti nel capitolo ottavo.
5 - Ai fidanzati sono proibiti i rapporti intimi coniugali, che, come dice
la parola stessa, sono leciti solo ai coniugi.
“
Molti oggi rivendicano il diritto all’unione sessuale prima del matrimonio,
almeno quando esiste una ferma volontà di sposarsi e un affetto in qualche
modo già coniugale nella psicologia dei soggetti, e richiedo no questo
completamento, che essi stimano connatura le. Tale richiesta è avanzata,
soprattutto, quando la celebrazione del matrimonio è impedita da circostanze
esterne, e quindi tale intima relazione sembra necessaria, perché l’amore
sia conservato intatto nella sua profondità.
Questa opinione è in contrasto con la dottrina cristiana, secondo la
quale ogni atto genitale umano deve svolgersi nel quadro del matrimonio.. -
San Paolo è ancora più esplicito quando insegna che, se celibi
e vedovi non possono vivere in continenza, non hanno altra scelta che la stabile
unione del matrimonio. “E meglio sposarsi che ardere” (1Cor. 7,9).
Con il matrimonio, infatti, l’amore dei coniugi è paragonato all’amore
irrevocabile che Cristo ha per la Chiesa (Cfr. Ef. 5,25-32), mentre l’unione
dei corpi nell’impudicizia (l’unione sessuale fuori del matrimo
nio) è esplicitamente condannata: 1Cor. 5,1-6; 7, 2; 10, 8; Ef. 5,4;
lTm. 1, 10; Ebr. 13, 4; e con ragioni esplicite: (iCor. 6, 12-20) contamina
il tempio dello Spirito Santo, quale è divenuto il cristiano. L’unione
carnale, dunque, non è legittima se tra l’uomo e la donna non
si è instaurata una definitiva comunità di vita.
Ecco ciò che ha sempre inteso e insegnato la Chiesa (Cfr. Innocenzo
IV, Ep. “Sub catholicae professione”, 6 marzo 1254: DS. 835; Pio
TI, Propos. condanna te nell’Ep. “Cum sicut accepimus”, 14
Nov. 1459: DS. 1367; Decreti del 5. Officio, 24 Sett. 1665: DS. 2045; 2 Marzo 1679: DS. 2148; Pio XI, Enc. “Casti connubi” AAS. 22 (1930)
pp. 558-559), trovando, peraltro, nella riflessione degli uomini e nelle lezioni
della storia un accordo profondo con la sua dottrina” (Dichiarazione
della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, “Persona humana”,
n. 7, del 19 Dic. 1975).
6 - “Parecchi attualmente reclamano una specie di “Diritto alla
prova” quando c’è intenzione di sposarsi. Qualunque sia
la fermezza del proposito di coloro che si impegnano in rapporti sessuali prematuri,
tali rapporti “non consentono di assicurare, nella sua sincerità e
fedeltà, la relazione interpersonale di un uomo e di una donna e specialmente
di proteggerla dalle fantasie e dai capricci”
L’unione carnale è moralmente legittima solo quando tra l’uomo e la donna si sia instaurata una comunità di vita definitiva. L’amore umano non ammette la “prova”. Esige un dono totale e definitivo delle persone tra loro” (C.C.C. 2391).
7 - Se due persone, fidanzati o meno, violando la legge di Dio, avessero dei
rapporti intimi e in seguito ai quali si determinasse una gravidanza, a loro
non è mai lecito, per nessuna ragione, sia pure di grave por tata, procurare
un aborto, che è peccato gravissimo, essendo, un vero omicidio di un
innocente, peccato cui è annessa anche la scomunica, prevista nel can.
1398 del Codice di Diritto Canonico. (Cfr. Giovanni Paolo 11, “Evangelìum
vitae”, nn. 58-63).
Si può concludere tale riflessione sui fidanzati con le parole del Catechismo
della Chiesa Cattolica: “I fidanzati sono chiamati a vivere la castità nella
continenza. Messi così alla prova, scopriranno il reciproco rispetto,
si alleneranno alla fedeltà e alla speranza di riceversi l’un
l’altro da Dio. Riserveranno al tempo del matrimonio le manifestazioni
di tenerezza proprie del l’amore coniugale. Si aiuteranno vicendevolmente
a crescere nella castità” (C.C.C. n. 2350). Vivendo davvero così gusteranno
le gioie della beatitudine di Cri sto: “Beati i puri di cuore...” (Mc.
5,8); (C.C.C. 2350).
L’atto coniugale è aperto alla vita, quando non si evita positivamente la prole con metodi artificiali, come per es. usando metodi anticoncezionali o compiendo l’atto coniugale in maniera onanistica, versando cioè il seme fuori dalla vagina. (Cfr. Giovanni Paolo 11, “Evangelium Vitae”, nn. 13-14).
2) Gli sposati
1 - Un uomo e una donna, battezzati ambedue (o uno battezzato e uno no) con
la debita dispensa (can. 1086), che celebrano un valido matrimonio religioso
secondo le norme canoniche, sono sposati (coniugi), uniti da un vincolo perpetuo
ed esclusivo con il fine del mutuo aiuto e della procreazione ed educazione
della prole (cfr. Cann. 1055 e 1056).
2 - Un uomo e una donna battezzati, che celebrano il matrimonio solo civile,
compiono un atto solo civile, davanti alla Chiesa però non sono sposati
(coniugi), ma concubini e, pertanto, non ricevono nessun sacra mento, essi
sono uniti solo da un vincolo civile. Potranno essere veramente sposati (coniugi)
solo quando celebreranno il matrimonio religioso canonico.
3 - Un uomo e una donna, non battezzati, che celebrano un valido matrimonio
civile, secondo le norme dello Stato, pur non ricevendo il sacramento, sono
sposati (coniugi) legittimamente e cioè sono uniti da un vincolo perpetuo
ed esclusivo con il fine del mutuo aiuto e della procreazione ed educazione
della prole e ciò in forza ed esigenza del diritto naturale.
4 - Agli sposati, per quanto riguarda la purezza, è lecito l’atto
coniugale, purché sia compiuto in modo umano (Conc. Vat. II, Gaudium
et Spes, 49; can. 1091 par. 1) e sia sempre aperto alla vita.
L’atto coniugale è compiuto in modo umano quando i due coniugi
godono attualmente dell’uso di ragione e quando il seme viene versato
dentro la vagina oltre l’imene.
5 - Agli sposati è lecito l’atto coniugale anche quando è certo
che non potrà avvenire, in alcun modo, la concezione.
6 - Agli sposati, in unione con l’atto coniugale come preparazione e
come complemento, sono sempre lecite anche tutte le altre qualsiasi manifestazioni
amo rose e sensuali, purché il seme sia versato dentro la vagina. Non è peccato,
però, se, improvvisamente, senza intenzione, arrivasse la polluzione,
ma rimane l’obbligo di evitare di mettersi in occasione prossima di pervenire
a questo punto. E colpa grave invece se è voluta liberamente.
7 - Agli sposati, anche quando essi non vogliono o non possono compiere l’atto
coniugale, sono lecite certe manifestazioni di amore e certe sensualità,
pur ché sia sempre evitato di mettersi in occasione prossima di arrivare
alla polluzione.
8 - Se la moglie nell’atto coniugale non riesce ad avere la piena soddisfazione,
essa stessa (o con l’aiuto del marito) può procurarsela con toccamenti,
immediatamente prima o dopo la copula come preliminari o complemento dell’atto
coniugale.
La stessa cosa invece non è lecita al marito, perché il fare
questo sarebbe una vera e propria masturbazione; si determina una dispersione
del seme fuori dalla vagina, frustrando così un’eventuale concezione
e per ché in questo caso non si verifica nessun completamento del coito,
poiché precedentemente non c’è stato nessun vero atto coniugale.
9 - I coniugi, che per valide ragioni: familiari, economiche, sociali, ambientali,
ecc., ritengono di non procreare, devono astenersi dall’ atto coniugale
oppure servirsi dei metodi anticoncezionali naturali. Non sono mai leciti i
metodi anticoncezionali artificiali: meccanici, chimici, ecc. Se poi, inaspettatamente,
pur usando i metodi naturali o quelli artificiali, avvenisse lo stesso la gravidanza,
allora non è mai lecito, per nessuna ragione, anche grave, procurare
l’aborto, perché questo è un autentico omicidio di un innocente
ed è un peccato gravissimo a cui è annessa anche la scomunica
(can. 1398), come è stato già detto. (Cfr. Giovanni Paolo Il, “Evangelium
vitae”, nn. 58-63).
E lecito procurare l’aborto solo indirettamente quando, per salvare la
madre gravemente ammalata, le si amministra una medicina o si effettua in lei
un inter vento chirurgico, che produce, da una parte, la guarigione della paziente
e dall’altra, la perdita del feto. Tale modo di agire è giustificato
perché si fonda sul principio morale dell’azione con doppio effetto,
uno buono e uno cattivo.
10 - Il debito coniugale, cioè il dovere di prestarsi La circostanza
che i figli nati da un matrimonio, per compiere l’atto coniugale (coito
- copula), è per sé per es. per causa di malattia dei genitori,
reste un obbligo grave per ciascuno dei due coniugi.
Esistono tuttavia delle cause che possono scusare nascere, non rende illecito
l’atto coniugale; dal prestare il debito coniugale: vengono citate qui di seguito:
I. nel caso di adulterio dell’altra parte;
II. nel caso che il marito trascuri, in forma grave, il proprio matrimonio, è urgente
l’avvio di accurati accertamenti e, solo dopo aver sciolto il dubbio,
dovere del mantenimento della moglie e dei figli;
III. nel caso che chi lo chiede sia privo dell’uso di ragione: per es.
un demente o uno molto ubriaco, ecc.
IV. nel caso di richieste esagerate;
V. nel caso di grave pericolo per la salute o di grave incomodo per motivi,
non ordinari o comuni, ma straordinari;
VI. nel caso che una delle due parti chieda di com piere l’atto coniugale
in modo illecito. In tale circostanza esiste l’obbligo grave di negarlo.
11 - Agli sposati è proibito l’atto coniugale nelle seguenti circostanze:
I. quando l’atto coniugale è compiuto in modo tale per cui la
procreazione è resa più difficile in forma grave;
II. quando esiste un grave pericolo per la salute di uno dei due coniugi o
di entrambi.
III. quando si viene a conoscere, con certezza, che il proprio matrimonio è invalido;
IV. quando si dubita seriamente della validità del proprio matrimonio, è urgente
l’avvio di accurati accertamenti e, solo dopo aver sciolto il dubbio,
potrà essere lecito l’atto coniugale.
I coniugi devono tenere sempre presente che sposandosi non hanno sciolto il problema della castità nella vita cristiana, perché a loro è lecito l’atto coniugale, il “remedium concupiscentiae”, ma lo hanno piuttosto reso più complesso. La sensualità, infatti, più viene esercitata più forte fa sentire il suo stimolo. I coniugi, pertanto, devono fortificarsi contro le tentazioni impure ed usare quei mezzi che il Signore ha messo a nostra disposizione, e che più avanti, nel capitolo ottavo, prenderemo in considerazione.
7 -La purezza negli altri stati di vita
Abbiamo considerato la purezza nei fidanzati e negli sposati per i quali, nel
futuro o nel presente, è lecito l’atto coniugale.
Prendiamo ora in esame la purezza che è inerente anche ad altri stati
di vita e cioè: 1) nei sacerdoti, 2) nei religiosi, 3) nei vedovi, 4)
ne non sposati per i quali, finché rimangono in tale stato di vita,
l’atto coniugale è sempre proibito.
1) I sacerdoti
I fedeli cristiani, accettando liberamente di essere al servizio di Gesù Cristo
e dei fratelli, diventando chierici, ministri sacri, con l’Ordinazione
diventano persone sacre (can. 266, par. I).
I sacerdoti, per libera scelta del loro stato, sono vincolati al celibato,
che è un dono particolare di Dio mediante il quale i ministri sacri
possono aderire più facilmente a Cristo con un cuore indiviso e sono
messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli
uomini (Can. 277, par. I).
I sacerdoti, pertanto, sono tenuti ad osservare la castità perfetta,
il che significa che essi devono astenersi non solo da un uso illegittimo del
piacere vene reo, ma anche da quello legittimo nel matrimonio, per la promessa
fatta di conservare questo stato fino alla morte.
Il sacro celibato ecclesiastico è una libera scelta annessa all’Ordine
Sacro. Chi, pertanto, desidera accedere al sacerdozio deve assumersi anche
l’obbligo del celibato.
I sacerdoti, dunque, devono evitare i peccati impuri contro il sesto e nono
comandamento, rispettando anche la pudicizia e la temperanza, per premunirsi
contro le tentazioni.
Ogni peccato grave contro il sesto o nono comandamento, compiuto da un sacerdote, è anche
un sacrilegio, perché viene profanata la sua persona, che, come abbiamo
detto sopra, è sacra.
Il peccato impuro commesso da un sacerdote, inoltre, assume anche le altre
malizie contenute nelle varie specie di impurità compiute. Così per
es., un sacerdote, che pecca gravemente con una donna sposata, commette i seguenti
peccati mortali:
1 - peccato contro il sesto comandamento: contro la castità in opere;
2 - peccato contro il nono comandamento: contro la castità in pensieri;
3 - peccato contro il primo comandamento: sacrilegio, profanazione di una persona
sacra;
4 - peccato contro il settimo comandamento: contro la giustizia nei riguardi
del marito della donna sposata;
5 - peccato contro il quinto comandamento: peccato di scandalo, inducendo altri
a compiere il male.
“
Lo scandalo è grave (considerando l’oggetto) quando a provocano
sono coloro che, per natura o per funzione, sono tenuti ad insegnare e ad educare
gli altri” (C.C.C. 2285).
Ai sacerdoti (e ai vescovi evidentemente) si devo no unire anche i diaconi
transeunti e permanenti celibi.
I diaconi permanenti coniugati, invece, devono osservare la purezza degli sposati — ricordando
sempre che, con l’Ordinazione, sono diventati persone sacre — o
dei vedovi, tenendo presente che ad essi sono proibite le seconde nozze.
2) I Religiosi
I fedeli cristiani, desiderosi di una maggiore perfezione, emettendo pubblicamente
i voti di obbedienza, povertà e castità si obbligano all’osservanza
dei tre consigli evangelici e così diventano religiosi, abbracciando
un nuovo stato di vita.
Lo stato religioso, pur non appartenendo alla struttura gerarchica della Chiesa, è uno
dei modi per segui re più da vicino Gesù Cristo e si radica nel
battesimo. Non è uno stato intermedio tra lo stato clericale e quel
lo laicale, ma da entrambe le parti alcuni fedeli sono chiamati da Dio ad uno sviluppo della consacrazione battesimale (Conc. Vat.
Il, Lumen Gentium, n. 44; Per fectae Caritatis, n. i e 5 e C.C.C., 913 - 916).
I Religiosi, emettendo pubblicamente i voti in un Istituto Religioso, si consacrano
completamente a Dio e diventano così persone sacre, acquistando diritti
e doveri definiti giuridicamente (can. 654). Essi sono tenuti, fra l’altro,
all’obbligo del celibato, di osservare cioè la castità perfetta
e anche perpetua — quando verrà emessa tale professione — per
il Regno dei Cieli. Essi, pertanto, devono astenersi non solo da un uso illegittimo
del piacere venereo, ma anche da quello legittimo nel matrimonio, in ottemperanza
al voto di castità.
I Religiosi, dunque, devono evitare i peccati impuri contro il sesto e nono
comandamento, rispettando anche la pudicizia e la temperanza, per premunirsi
contro le tentazioni.
Ogni peccato grave contro il sesto o nono comandamento compiuto da un Religioso, è anche
un sacrilegio, perché con tale peccato viene profanata la sua per sona,
che, come si è detto, è sacra.
Il peccato impuro commesso da un Religioso, riveste anche le altre malizie,
a seconda della specie del peccato impuro compiuto.
Così per es., un religioso, che pecca gravemente con una donna sposata,
commette i seguenti peccati mortali:
1 - peccato contro il sesto comandamento: contro la castità in opere;
2 - peccato contro il nono comandamento: contro la castità in pensieri;
3 - peccato contro il primo comandamento: sacrilegio, profanazione della sua
persona sacra;
4 - peccato contro il secondo comandamento: violazione del voto di castità;
5 - peccato contro il settimo comandamento: violazione della giustizia nei
riguardi del marito della donna sposata;
6 - peccato contro il quinto comandamento: peccato di scandalo inducendo una
persona a compiere il male.
3) I vedovi
Ai vedovi, a coloro cioè che hanno perduto per la morte il proprio coniuge,
per quanto riguarda la purezza nulla è lecito di tutto ciò che è permesso
agli sposati.
I vedovi, pertanto, devono osservare la castità, evitando qualsiasi
specie di peccato impuro contro il sesto e il nono comandamento, rispettando
anche la pudicizia e la temperanza, per premunirsi contro le eventuali tentazioni.
Ai vedovi può essere lecito — evitato il pericolo di mettersi
in occasione prossima di peccato — pensare all’atto coniugale avuto
con il proprio coniuge, perché l’oggetto del pensiero è una
cosa lecita nel passato.
Ai vedovi, secondo la dottrina cristiana, è proibito ogni atto genitale
umano, che deve svolgersi solo nel quadro del matrimonio. S. Paolo, in proposito,
insegna che se i vedovi non possono vivere in continenza, non hanno altra scelta
che le nuove nozze. Egli infatti dice: “È
meglio sposarsi che ardere” (ICor. 7,9). “
Con il matrimonio, infatti, l’amore dei coniugi è assunto nell’amore
irrevocabile che Cristo ha per la Chiesa (cfr. Ef. 5,25-32), mentre l’unione
dei corpi nell’impudicizia contamina il tempio dello Spirito Santo, quale è divenuto
il cristiano. L’unione carnale, dunque, non è legittima se tra
l’uomo e la donna non si è instaurata una definitiva comunità di
vita’ (Dich. della S. Congr. per la Dottrina della Fede, “Persona
humana”, n. 7).
4) I non sposati
I non sposati, coloro cioè che non sono legati da alcun vincolo né sacerdotale
o religioso né matrimoniale (celibi o nubili), se vogliono essere buoni
cristiani e fedeli seguaci di N.S.G.C. devono osservare la castità,
evitando qualsiasi specie di peccato impuro contro il sesto e il nono comandamento,
rispettando anche la pudicizia e la temperanza, per premunirsi contro eventuali
tentazioni.
Ai non sposati, come ai vedovi, nulla è lecito di quanto è permesso
agli sposati; ad essi, pertanto, è proibito ogni atto genitale umano
che deve svolgersi solo nel quadro del matrimonio (cfr. “Persona humana”,
n. 7).
Anche per i non sposati vale l’insegnamento di S. Paolo, dato ai vedovi,
che non possono vivere in continenza, che cioè scelgano le nozze: “E
meglio sposarsi che ardere” (1Cor. 7,9).
5) In conclusione si deve dire qualche parola chiarificatrice riguardo ai separati
e ai divorziati. Circa la castità essi si trovano nella situazione dei vedovi o dei non
sposati e perciò devono osservare la castità al pari di costoro. Ai separati o divorziati potrebbe essere lecito l’atto coniugale, ma
solo con il proprio vero coniuge ed è gravemente proibito con qualsiasi
altro: amico o convivente o coniuge civile. E chiaro che ai battezzati è vietato il solo matrimonio civile, perché la
Chiesa per loro, richiede la “forma canonica” per una valida celebrazione
del matrimonio. I separati o divorziati possono passare a nuove nozze religiose solo quando
il loro matrimonio prece dente (religioso) è stato dichiarato nullo
dal competente Tribunale Ecclesiastico. Si deve ricordare, infine, che la Chiesa non può sanare le unioni irregolari,
perché non è di sua competenza, essendo l’indissolubilità del
matrimonio una norma di diritto divino (Mt. 5,31-32 e 19, 3-9). La Chiesa può intervenire
solo quando si verificano casi contemplati 1) nel Privilegio Paolino, 2) nel
Privilegio Petrino (o della fede) 3) nel matrimonio rato e non consumato.
I - Il Privilegio Paolino (lCor. 7, 12-15)
Un matrimonio contratto tra non battezzati, anche se consumato, può essere
sciolto quanto al vincolo, quando una delle due parti si fa battezzare e l’altra
rifiuta di continuare pacificamente la vita coniugale. La parte cristiana allora
può separarsi da quella infedele e contrarre un nuovo matrimonio (Cfr.
Cann. 1143- 1150).
2 - Il Privilegio Petrino (o della fede)
Il Papa per una giusta causa può sciogliere un matrimonio, anche se
consumato, tra un battezzato (entro o fuori della Chiesa cattolica) e un infedele,
cioè uno non battezzato. Il Papa può sciogliere il battezzato
dal vincolo matrimoniale in favore della fede da acquistarsi o da conservarsi.
3 - Il matrimonio rato e non consumato
Il matrimonio rato (= matrimonio valido) di due battezzati o tra una parte
battezzata e una non battezzata a cui non abbia fatto seguito l’atto
coniugale (non consumato) può essere sciolto dal Romano Pontefice per
una giusta causa (Cfr. Can. 1142 e Cann. 1697- 1706).
8 - I mezzi per conservare la purezza
La purezza, detta anche “la bella virtù”, non è difficile
da osservarsi, specialmente per “i puri di cuore”, per coloro cioè che,
nella loro vita, si sono sempre sforzati di osservarla; la virtù “acquisita”,
infatti, rende più facili quelle azioni che la costituiscono; talvolta
però diventa difficile, anzi molto difficile e forti sono le tentazioni
che si devono combattere e vincere.
“ Il battezzato deve continuare a lottare contro la concupiscenza della
carne e i desideri disordinati” (C.C.C. 2520).
E necessario, pertanto, premunirsi contro gli attacchi del maligno per non
lasciarsi cogliere d’improvviso e cadere miseramente nel peccato. Gesù ci
ammonisce: “Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto,
ma la carne è debole” (Mt. 26,41).
Per esercitare la virtù della purezza è dunque indispensabile
usare quei mezzi che il Signore ha messo a nostra disposizione.
Esistono due specie di mezzi: naturali e soprannaturali.
I mezzi naturali sono quei piccoli accorgimenti umani che ci aiutano a superare le difficoltà che incontriamo per conservare la purezza.
I mezzi soprannaturali sono quegli elementi spirituali, che il Signore ci dona, perché, usandoli con spirito di fede, noi possiamo ottenere le grazie attuali necessarie per vincere le seduzioni dei sensi.
1) I mezzi naturali
1 - Cercare di capire il valore prezioso della purezza nella nostra vita presente e, soprattutto, in rapporto con la futura, ricordando che tale virtù, secondo l’insegnamento di Gesù (Mt. 5, 8), porta con sé la beatitudine, la pace interiore e la visione di Dio: attraverso le creature, qui in terra, e, faccia a faccia, in Paradiso (cfr. C.C.C. 2519).
E stato costatato che un’ anima veramente pura per amore di Gesù Cristo
si distingue sempre e subito dalle altre; la sa scoprire con chiarezza solo
chi è esperto in campo spirituale e possiede una sensibilità particolare.
Da tali persone pure emana un qualche cosa indescrivibile di serenità interiore,
che traspare anche all’esterno. E noto, invece, lo sconvolgimento che
produce nella persona il terremoto del peccato impuro.
Conosciuto il valore inestimabile della perla preziosa della purezza, la si
apprezza e si cerca di possederla.
2 - Fuggire le occasioni di peccato. Si devono evi tare le occasioni prossime e remote di peccato. Metter si in occasione prossima di peccato significa porre delle azioni di qualsiasi specie, compiendo le quali noi prevediamo che, con molta probabilità, cadremo nel peccato impuro.
Si devono, pertanto, evitare tali occasioni, perché il mettersi in condizione
prossima di peccato con consapevolezza e piena volontà si commette già peccato
mortale e poi perché è molto difficile trattenersi dal peccato
impuro quando già è iniziata la via della discesa, come è molto
difficile fermare, improvvisamente, un oggetto in caduta.
Ricordiamo, inoltre, che nell’ atto di dolore noi promettiamo non solo
di evitare il peccato, ma anche le occasioni prossime di peccato. Si devono anche evitare le occasioni remote, per ché queste, pian piano,
conducono alle occasioni prossime e, quindi, al peccato. In queste occasioni bisogna tener sempre presente le proprie inclinazioni e
il soggettivo grado di sensibilità: ciò che per alcuni diventa
occasione prossima di peccato, per altri è invece remota o addirittura
inesistente.
Infine, concludendo, ricordiamo, con autentica e vera semplicità, che
nella lotta contro le tentazioni impure vince chi fugge!
3 - Essere decisi, in maniera assoluta, nel respingere le tentazioni impure fin dal loro primo insorgere. Ogni titubanza anche minima potrebbe essere fatale. Alle tentazioni impure non si può cedere nemmeno un millimetro: attesa la fragilità della natura umana, si finirà per cedere, in seguito, un metro e più.
4 - Distrarsi nel momento della tentazione. Se è possibile ci si impegni
in qualche attività di gradimento, capace di captare la nostra attenzione
oppure si pensi a qualche problema che ci attrae ed affascina; può essere
utile anche un sano e moderato sport.
Devono essere valorizzate, infine, anche le cure igieniche.
5 - Considerare vanità tutto ciò che è oggetto della tentazione impura. Il peccato impuro si riduce ad un piacere di breve durata che, invece, lascia l’amarezza nel cuore e il rimorso nello spirito.
6 - Mortificazione dei sensi, specialmente degli occhi e del tatto. Una conseguenza del peccato originale è la concupiscenza, che è un veleno, che si insinua attraverso tutto il nostro essere; è necessario, pertanto, saper mortificare i sensi esterni, quelli interni e gli affetti del cuore, per conservare la purezza. I due più vulnerabili, in tale settore, sono la vista e il tatto.
Il santo Giobbe, consapevole ditale verità, aveva fatto un patto con
gli occhi: di non guardare cioè le giovani donne per non essere indotto
in tentazione impura. “Ho stretto un patto con gli occhi di non guardare
neppure una vergine” (Gb. 3 1.1).
Il Siracide, premurosamente, raccomanda: “Non fissare il tuo sguardo
su una vergine, per non essere coinvolto nei suoi castighi... Distogli gli
occhi da una donna bella, non fissare una bellezza che non ti appartiene. Per
la bellezza di una donna molti sono periti; e la passione vi si infiamma come
il fuoco” (Sir. 9,5, 8-9).
E la Sapienza insegna: “La vista provoca negli stolti il desiderio” (Sap.
15,5).
Secondo la psicologia lo sguardo eccita la fantasia e accende il desiderio,
il desiderio poi sollecita la volontà, e, se questa acconsente, il peccato
entra nel l’anima (cfr. C.C.C. 2520).
Il senso del tatto è ancora più pericoloso, perché eccita impressioni sensuali che tendono facilmente alla ricerca del piacere impuro. Si usi, pertanto, grande riserbo verso se stessi; verso gli altri siano permesse le ordinarie cortesie, ma si badi a non porvi alcun senti mento appassionato che sia manifestazione di un affetto disordinato.
7 - Essere temperanti nel mangiare e nel bere e soprattutto non esagerare nell’alcool
- La Chiesa, fin dai suoi inizi, ha sempre raccomandato la mortificazione nel
cibo e nelle bevande, anzi, lungo il corso del l’anno liturgico, ha imposto
vari digiuni e astinenze dalle carni, come segno di penitenza e anche per suggerire
ai fedeli un aiuto a vincere le tentazioni impure.
Per quanto riguarda l’alcool dobbiamo usare parti colare accortezza, tenendo presente quanto ci insegna S. Paolo: “Non ubriacatevi di vino, che porta alla lussuria” (Ef. 5, 18).
8 - La lettura spirituale - Un mezzo validissimo per vincere le tentazioni impure è la lettura spirituale. Bisogna però stare attenti a saper scegliere i libri più adatti per tale scopo. Essi sono specialmente quelli che contengono la dottrina della Chiesa o che la spiegano, quelli di alta spiritualità o quelli che raccontano esempi eroici di vita cristiana intensamente vissuta. Si consigliano pertanto: i quattro Vangeli, gli Atti degli Apostoli, le lettere di 5. Paolo e degli altri Apostoli; il Catechismo della Chiesa Cattolica o altri Catechismi, l’Imitazione di Cristo, il racconto della vita dei Santi o dei Martiri antichi o recenti, o altri libri del genere.
9 - Evitare l’ozio - L’ozio, cioè quello stato di inoperosità delle facoltà sia fisiche che mentali, è un cattivo consigliere per la custodia della purezza. Il tempo di voluta inattività è il più adatto ad essere assalito da tentazioni impure. A questo proposito è opportuno ricordare il noto proverbio: “L’ozio è il padre di tutti i vizi".
10 - Evitare “certe” familiarità con persone dell’altro sesso (o dello stesso sesso, se si hanno tendenze omosessuali) - E prudente non manifestare a queste persone la nostra simpatia per loro (a meno che non si tratti di fidanzamento in vista del matrimonio); ogni manifestazione di marcata affettuosità potrebbe generare un’atmosfera favorevole all’insorgere di tentazioni impure. I fidanzati nelle loro manifestazioni di affetto dovranno agire sempre con grande prudenza e cautela, tenendo presente la grande debolezza e fragilità della natura umana.
11 - Massima vigilanza - Per conservare la purezza è necessario essere costantemente vigilanti, perché i nemici, cioè la nostra concupiscenza, il mondo esteriore e il demonio sono sempre in agguato.
Non dobbiamo dire: “Ciò neppure mi scalfisce; esercito la virtù da
tanti anni; sono ormai anziano” ed altre simili espressioni; potremmo
avere delle sorprese assai amare.
Ascoltiamo la voce dei Santi e, soprattutto, seguiamo il loro esempio, basato
sul radicato convincimento che la vita umana, fino all’ultimo istante,
non è mai affrancata dal pericolo di cadere in peccato: quindi dobbiamo
essere sempre vigilanti ed usare i mezzi che abbiamo a nostra disposizione
per conservare il tesoro prezioso della purezza.
2) I mezzi soprannaturali
1 - La fede, la speranza e la carità
Una fede forte, una speranza certa e una carità ardente sono le tre
virtù teologali che difendono la purezza da ogni assalto. Quando un’anima è convinta che Gesù Cristo è il
vero Dio, il solo Dio e l’unico Dio e crede a quanto egli ha insegnato; è certa che, dopo questa vita, ce ne sarà un’altra,
eternamente felice per i buoni ed eterna mente infelice per i cattivi; quando
questa anima ama ardentemente Cristo Dio, perché sa che è il
suo Dio, il suo Tutto, ha in sé tutta la forza sufficiente per combattere
contro le tentazioni sensuali e per conservare quindi la purezza. In una persona normale, quando mancano queste tre virtù, è molto
difficile che esista la purezza, perché, per vincere le passioni dei
sensi, tali virtù sono elementi indispensabili. Esse formano i tre pilastri
che sostengono l’edificio della nostra cristiana spiritualità e
rappresentano il fine di ogni umana aspirazione: Dio, che, insieme ai dono
della libertà, a tutti elargisce la sua grazia per conoscerlo, possederlo
e amarlo nel tempo e nell’eternità.
2 - La preghiera
Una preghiera umile, fiduciosa e costante è il mezzo più efficace
e necessario per ottenere da Dio il dono della purezza (cfr. C.C.C. 2520). Qui si parla di preghiera intesa nel suo senso più ampio e cioè:
preghiera vocale: recita di formule che escono dalle labbra e partono dal cuore;
preghiera mentale, fatta di riflessioni e di colloqui con Dio; preghiera abituale:
quel costante sentimento di amore, che l’anima nutre verso il suo Dio,
il suo Tutto. Quando si parla di preghiera si vuole intendere, anche, il coltivare con la
massima diligenza la pietà, la vita interiore e la costante presenza
di Dio. Tale lavoro interiore e personale facilita molto l’esercizio della virtù della
purezza. L’anima, in questo stato, sente quasi una istintiva attrazione
verso la bella virtù anche se, ricordiamolo, la concupiscenza e le relative
tentazioni rimarranno sempre.
3 - L’uso frequente dei Sacramenti
L’uso frequente dei sacramenti della Penitenza e della Comunione sono
mezzi molto utili per conserva re la virtù della purezza. Diciamo subito che questi sacramenti, per produrre i loro effetti, devono essere
ricevuti con le debite disposizioni. E bene accostarsi spesso alla confessione: come norma non si lasci passare
il mese; allorché, però, si ha la certezza o anche il dubbio
di avere commesso un peccato mortale, è necessario pentirsi subito e
accostarsi, quanto prima, al confessionale. E utile tener presente che, allorché si avverte l’insistente assalto
della tentazione, non si deve aspettare la rovinosa caduta nel peccato per
accostarsi alla confessione, perché l’acqua salutare della grazia
del Sacra mento spegnerà il fuoco delle passioni sensuali.
Anche la S. Comunione, se si riceve con le dovute disposizioni, porta abbondanti
frutti di grazia e di purezza. E necessario, però, una diligente preparazione
e non si deve omettere un devoto ringraziamento, che si ripeta frequentemente
nell’intera giornata, special mente nei momenti di difficoltà e
delle tentazioni impure.
4 - Partecipare alla vita liturgica della Chiesa
La preghiera, la pietà, la vita interiore e la viva partecipazione alla
liturgia della Chiesa sono validi aiuti per conservare la purezza. Per liturgia si intende quel complesso di atti di culto pubblico o ufficiale
della Chiesa. La parola “pubblico” significa che è compiuto a nome della
Chiesa da un ministro a ciò legittimamente destinato, secondo le leggi
e le prescrizioni della Chiesa stessa. Un atto di culto è pubblico anche
se viene compiuto in privato e nel massimo segreto, come per es. il conferimento
dell’assoluzione sacramentale o la recita privata del divino ufficio
di un sacerdote.
Gli atti di culto pubblico sono:
I. La celebrazione della S. Messa
II. L’amministrazione dei Sacramenti e dei Sacramentali (benedizioni,
consacrazioni, ecc.)
III. La recita del divino ufficio: in privato, in pubblico o solenne.
Anche se non sono strettamente attinenti alla liturgia, esistono delle funzioni
extraliturgiche, cioè alcuni altri atti di culto che, pur non essendo
liturgici, fanno parte della devozione popolare e vengono regolati, approvati
e favoriti dalla Chiesa stessa. Tali sono per es. la “Via Crucis”,
il Santo Rosario, Tridui, Novene o Mesi in onore del Signore, della Madonna
e dei Santi, l’adorazione del SS. Sacramento e altre simili funzioni
paraliturgiche penitenziali o devozionali.
Il seguire l’anno liturgico con i suoi vari tempi (Avvento, Quaresima,
Tempo ordinario, ecc.) e le sue feste (Natale, Pasqua, Pentecoste, SS. Trinità)
porta all’anima un ardente fervore religioso e spirituale che serve a
tenerci lontani dalle concupiscenze della carne e ad avvicinarci di più a
Gesù, che è la beatitudine dei puri di cuore.
5 - La frequente meditazione dei novissimi: morte, giudizio, inferno e paradiso
Lo Spirito Santo, nel libro del Siracide (Ecclesiastico), ci esorta con le
parole: “In tutte le tue opere ricordati della tua fine e non cadrai
mai nel peccato” (Sir. 7,40).
Se noi molto spesso ci concentreremo nella meditazione delle ultime grandi
realtà (novissimi) della nostra vita: morte, giudizio, inferno e paradiso,
certa mente avremo uno stimolo per astenerci dal peccato impuro, che, come
già specificato, può condurre alla dannazione eterna.
Meditiamo, pertanto, frequentemente sui novissimi.
La morte! Essa potrebbe essere lontana o vicina e improvvisa. Che sarebbe di
noi se questa ci trovasse impreparati? Il Signore ci esorta: “Vegliate,
perché non conoscete né il giorno né l’ora” (Mt.
25, 13).
Il giudizio! Da questo dipenderà il nostro destino eternamente felice
o eternamente infelice. Ricordiamo che l’esito, consolante o triste,
del giudizio dipende dal nostro comportamento in questa terra.
L’inferno! Con tutte le forze dobbiamo evitarlo. Gesù dell’inferno
dice:
“
Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno...”(Mt. 25, 41).
“
... dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue” (Mc. 9,
48).
“
... brucerà la pula con un fuoco inestinguibile” (Mt. 3, 12).
“
... nella fornace ardente dove sarà pianto e stridor di denti” (Mt.
13, 42).
Non una, ma più volte il Signore ripete tale espressione: “pianto
e stridor di denti”. Chi piange e stride i denti dal dolore non si trova
certamente in una situazione piacevole! Ebbene: con tutte le nostre forze dobbiamo
evitare l’inferno!
Il paradiso! Il fine ultimo della nostra vita terrena è raggiungere
il paradiso, dove vedremo Dio faccia a faccia ed Egli sarà la nostra
felicità per sempre.
Infelici noi se, alla fine dei nostri giorni, non potremo raggiungerlo: avremo
sbagliato tutto nella nostra vita e per sempre.
6 - Coltivare una tenera devozione a Maria Santissima
Un mezzo efficacissimo per conservare la purezza si ha nel coltivare una tenera
devozione a Maria Santissima. La nostra devozione a Lei non deve consistere solo nell’esercizio di
pie pratiche, ma, soprattutto, nell’imitazione delle sue virtù,
specialmente della purezza, nella sua elezione a modello di santità,
e nel pregarLa spesso, invocandoLa, in modo particolare, nel momento delle
tentazioni impure.
Maria Santissima, la madre purissima, la madre castissima, la sempre vergine,
la vergine delle vergini, la mediatrice di tutte le grazie ci otterrà,
certamente, dal suo diletto figlio di conservare nel nostro corpo e nel nostro
spirito la virtù della purezza, donandoci di gustare, nello stesso tempo,
la beatitudine proclamata da Gesù: “Beati i puri di cuore” (Mt.
5 - 8).
Giova anche molto compiere, in una determinata circostanza, una totale e solenne consacrazione a Maria di tutto noi stessi, anima e corpo. E opportuno poi che tale atto venga rinnovato ogni giorno nelle nostre quotidiane preghiere.
9 - La beatitudine dei puri di cuore
Dopo aver considerato chi sono i puri di cuore del Vangelo, la purezza
nei vari stati di vita cristiana e i mezzi per conservarla, dobbiamo ora
esaminare
la beatitudine promessa da Gesù Cristo: “
Beati i puri di cuore...” (Mt. 5, 8).
1) La beatitudine
Innanzi tutto si deve capire bene il senso esatto della parola “beatitudine”. E opportuno, pertanto, conoscere il significato di alcuni termini: gioia,
piacere, felicità, che hanno un rapporto stretto con la suddetta locuzione.
La gioia è lo stato piacevole dell’uomo, anima e corpo, causato
da un qualche cosa che è secondo la sua natura. Questo qualche cosa
può essere passato, presente o futuro; esso causa tale stato piacevole,
perché serve a completare, a perfezionare il nostro essere limitato,
che per natura sua tende alla perfezione. La gioia si dice soprattutto dello spirito, ma si riferisce anche a tutto
l’uomo,
anima e corpo. Dalla gioia si distingue il piacere, che è una soddisfazione dei sensi
e riguarda più il corpo che lo spirito, senza escluderlo, evidentemente. La felicità è lo stato piacevole di colui che è in possesso
di tutto ciò che conviene al suo essere, secondo la sua capacità recettiva. E chiaro che la felicità, in senso stretto, non sarà mai raggiunta
in questa terra, ma solo in cielo.
Dire felicità o beatitudine è la stessa cosa, con la sola differenza
che il primo termine viene usato, ordinariamente, in senso largo, per la vita
terrena, il secondo invece per quella celeste. La beatitudine, pertanto, è quello stato di felicità che godono
i Santi in paradiso e che consiste nella visione immediata, intuitiva e facciale
di Dio e nel suo godimento. Uno degli elementi che causerà questa felicità è,
senza dubbio, la certezza che tale stato durerà senza interruzione e
per tutta l’eternità. Gesù quando dice: “Beati i puri di cuore...” (Mt. 5, 8),
usa il termine beatitudine, non in senso stretto, per ché siamo ancora
sulla terra, ma per analogia, per partecipazione a quella del cielo. Nella parola beatitudine è compresa anche quella pace, serenità e
tranquillità dello spirito, che riguarda tutta la persona dell’uomo,
e vengono esclusi tutti i turbamenti di un’anima, che vive in peccato
mortale, agitata dal rimorso di essere nemica di Dio. La beatitudine è anche quella sicurezza interiore dell’anima in
Dio, come quella del bambino nei riguardi della madre: quando il bambino è con
la madre non ha paura di nulla.
2) La causa efficiente della beatitudine dei puri di cuore
Ciò che causa la beatitudine nei puri di cuore è l’amicizia
dell’uomo con Dio, della creatura con il suo Creatore. Tale stretto legame è cementato
dalla grazia santificante o abituale, che è la vita di Dio trapiantata
nel nostro spirito: è l’inabitazione della SS. Trinità nell’anima. Per conquistare la perla preziosa della grazia si richiede, oltre alla fede
e al battesimo, l’osservanza esatta dei dieci comandamenti e, in particolare,
l’esercizio della virtù della purezza, codificato da Dio nel sesto
e nel nono comandamento.
Ogni osservanza della legge di Dio produce l’effetto della grazia, ma
la purezza (e la santità completa dell’anima), è stata
elevata alla dignità di beatitudine, proclamata da N.S. Gesù Cristo.
Egli ha una predilezione speciale per tale virtù.
“
Beati i puri di cuore...” (Mt. 5, 8).
“
Quanto è buono Dio con i giusti, con gli uomini dal cuore puro” (SaI. 72, 8).
“
Chi salirà il monte del Signore, Chi starà nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro” (Sai. 23, 3-4)
“
Il mio diletto si pasce fra i gigli” (Ct. 6, 3).
“ Questi non si sono contaminati con donne, sono infatti vergini e seguono l’Agnello dovunque va” (Ap. 14, 4).
Gesù ci dice che la beatitudine dei puri di cuore consiste nel vedere
Dio: “
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”(Mt. 5, 8).
Certamente, perché chi riesce a vedere Dio, è pieno di Dio con
la sua grazia, è posseduto da Dio e chi ha Dio, ha tutto, non gli manca
nulla: ha la beatitudine.
Qui viene spontanea una domanda: i puri di cuore vedranno dio in cielo, dopo
la morte, o anche sulla terra?
Sicuramente in cielo, i puri di cuore vedranno Dio faccia a faccia, come
anche tutti quelli che si salveranno, secondo l’insegnamento di 5. Giovanni: “Saremo
simili a lui poiché noi lo vedremo come Egli è” (lGv. 3,2);
e di S. Paolo: “Noi ora vediamo come per mezzo di uno specchio, in immagine;
allora invece vedremo faccia a faccia” (ICor. 13, 12) e Cfr. anche C.C.C.
2519.
Possiamo rispondere che i puri di cuore vedranno Dio anche in questa terra, secondo la capacità della natura umana per mezzo di una fede grande, limpida e semplice, attraverso il cristallo dei sensi. Si potrà vede re Dio nella fede, e, con gli occhi del corpo e dell’intelligenza, nelle opere del creato.
3) Riflessioni sulla beatitudine dei puri di cuore
S. Giovanni nel discorso di Gesù con Nicodemo chiama il Figlio di Dio
con la parola “luce” e poi aggiunge: “Chi opera la verità viene
alla luce” (Gv. 3, 21). In altre parole: Chi agisce lealmente, con retta
intenzione, con purezza e santità di vita viene alla luce, non rimane
nelle tenebre, vede la luce, che è Dio.
Qui non si tratta tanto di vedere solo la luce natura le, che vedono anche
i malvagi, quanto piuttosto della luce spirituale, che è un insieme
di naturale e soprannaturale, che influisce negli occhi del corpo, dell’intelligenza
e della fede e ci dà così la possibilità di vedere la
vera luce, Dio.
Abbiamo detto che in questa terra vediamo Dio, attraverso il cristallo dei
sensi e, se questo è terso, limpido e trasparente, con l’aiuto
della fede potremo vedere Dio come Egli è, Uno e Trino. Se invece tale
cristallo è annebbiato, appannato, offuscato o, peggio macchiato o spezzato
non potremo vedere nulla.
Quello che rende inservibile il cristallo dei sensi per vedere Dio in questa
terra è il peccato, specialmente il peccato dell’impurità.
Tale colpa, infatti, è quella che più di ogni altra lascia un
segno nello spirito e col pisce più le anime che, ordinariamente, si
conservano pure che non coloro che sono inveterati nel vizio. Più forte
e marcato, infatti, è il rimorso negli uni che non negli altri; senza
considerare quelli che, ormai, hanno fatto tacere la voce della coscienza,
o quasi, perché è impossibile spegnere del tutto la voce della
coscienza, per l’abitudine radicata dell’ impurità.
I peccati impuri, infatti, sono quelli che più si ricordano, anche nei
particolari, perché più degli altri lasciano nella persona un’impronta
speciale intaccando, direttamente, la natura dell’uomo, la natura della
sua vita fisica. Se l’impurità è quel peccato che, più di ogni altro,
lascia un segno più marcato nel rimorso atroce che porta nella coscienza,
al contrario, la virtù opposta, la purezza produce nell’anima
un segno più accentuato, quasi un anticipo della beatitudine del cielo
che il giusto avrà nella visione di Dio, promessa nella vita eterna,
ma già iniziata, nella fede, in questo mondo.
Non è la purezza che ci fa vedere e gustare Dio in questo mondo, ma
la fede; la purezza è il mezzo per rendere più limpidi gli occhi
della fede, per avvicinarci alla visione di Dio e al Suo godimento. Perché la purezza sia completa, tale da meritare la beatitudine promessa
da Gesù, è necessario che l’ani ma sia veramente pura e
santa, cioè immune da qualsiasi peccato, che abbia sempre la rettitudine
di intenzione e il distacco dai beni di questo mondo: dal nostro spirito, dall’intelligenza
e dalla volontà; dal nostro corpo e dai beni che sono al di fuori di
noi: dalle ricchezze e dalle comodità della vita; che impari ad usare
tutti questi beni come mezzi e non come fine, che è e deve essere, sempre
e solo, Gesù, Dio. Una pallida idea della beatitudine dei puri di cuore è offerta dall’amore
di due persone, che veramente si amano, di due innamorati. Di essi si dice
che sono felici. La purezza evangelica, infatti, perché sia tale, si richiede che sia
conservata per amore di Gesù Cristo, per la conquista del Regno dei
Cieli, di Dio.
Esiste, però, una differenza tra due creature innamorate e l’anima
pura innamorata di Dio. Nei primi rimane il dubbio atroce che la creatura possa
cedere al tradimento, nella seconda si ha la certezza assoluta che Dio non
tradirà mai, c’è solo la possibilità che sia tra
dito Dio da parte dell’uomo. Nel Regno dei cieli, invece, sarà esclusa del tutto la possibilità di
un qualsiasi tradimento: e sarà quindi beatitudine piena. La beatitudine dei puri di cuore consiste anche nella certezza di contemplare
con gli occhi della fede Dio, Uno e Trino, senza avere di Lui il timore di
ricevere un rimprovero, ma uno sguardo di profonda simpatia e di immenso
amore. Noi, estasiati in Lui, nel vedere di essere oggetto dell’amore del Padre
dell’Universo, di essere i suoi prediletti, di essere da Lui posseduti,
di essere trasformati in Lui, ci addormenteremo nel suo amore e guarderemo
alla morte come alla grande liberatrice. L’anima completamente pura e
santa, sciolta da qualsiasi vincolo terreno, vola liberamente verso il sole
della SS. Trinità, perché quello è il suo tesoro (cfr.
Mt. 6,21), quello è il suo tutto, come ripeteva spesso 5. Francesco
d’Assisi: “Mio Dio e mio Tutto”
10 - La
purezza, virtù ancella della carità
Talvolta si sente dire che la Chiesa Cattolica ha dato preminenza alla purezza,
specialmente in passato, a confronto della carità, che è la
regina di tutte le virtù. Tale affermazione indica una mancanza di
chiarezza sia del concetto di carità cristiana sia di quello della
purezza. Se la Chiesa ha sempre insistito molto sulla purezza, l’ha
fatto proprio in funzione della carità. Compresa bene la vera natura della carità cristiana e della purezza
comprenderemo anche l’infondatezza della suddetta affermazione critica. La purezza, infatti, è quella virtù che ci insegna a distaccarci
da noi stessi e, in tale maniera, dispone il nostro animo alla carità cristiana. Non può esistere nel fedele vera carità cristiana e cioè vero
amore verso Dio per Se stesso e amore del prossimo per amore di Dio, se prima
egli non ha imparato a distaccarsi da se stesso, dal proprio io, dal proprio
corpo e dalle ricchezze che sono fuori di lui. (Cfr. Conc. Vat. 11, “Perfectae
caritatis”, 12).
Cerchiamo, pertanto, di comprendere bene la vera natura della carità cristiana.
Essa è la terza delle virtù teologali, dopo la fede e la speranza
e tutte e tre hanno come oggetto Dio: nella fede, Dio da conoscersi per mezzo
della rivelazione operata da N.S. Gesù Cristo; nella speranza, Dio da
possedersi, dopo la morte, nella vita eterna, in Paradiso; nella carità,
Dio, conosciuto con la fede, da amarsi sopra ogni cosa, con tutta la mente,
con tutto il cuore e con tutte le forze in questo mondo, e, soprattutto, nell’altro,
per l’eternità, in Paradiso.
Quale meta altissima è la virtù della carità e quanto è difficile
da raggiungersi! Potremmo dire che la carità è l’unica
vera virtù e che le altre sono manifestazioni di essa. Le altre virtù, infatti, non sono tali se non sono informate dalla carità,
che ne è la regina; esse sono come le ancelle, ma ancelle senza le quali
la carità stessa non può sussistere. Ecco infatti quanto insegna S. Paolo in proposito. “
Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità,
sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la
scienza, e possedessi la sicurezza della fede così da trasportare le
montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere
bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa
la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca
il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode
dell’ingiusti zia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto
crede, tutto spera, tutto sopporta” (1Cor. 13,1-7).
Dalla descrizione di S. Paolo, quindi, scaturiscono due insegnamenti: primo,
la carità è la regina di tutte le virtù ed essa tutte
le informa; secondo, le altre virtù sono elementi indispensabili per
la sussistenza della carità stessa.
La pazienza, l’umiltà, la purezza, ecc. sono varie manifestazioni
della carità; non può esistere vera carità senza la pazienza,
l’umiltà, la purezza, e tutte le altre virtù; e non possono
esistere la vera pazienza, l’umiltà, la purezza e le altre virtù senza
la carità, cioè prescindendo dall’amore di Dio.
Dobbiamo dunque concludere che la purezza (come ogni altra virtù) è una
virtù necessaria per possedere la vera carità cristiana. Da quanto sopra esposto, appare chiaro che non si può identificare la
carità con l’elemosina, che è gesto profondamente cristiano,
ma non è virtù, e neppure confonderla con la filantropia, il
solidarismo, la beneficenza, l’altruismo, l’umanitarismo che, per
lo più, si fondano su di un lodevole senso di amore verso il prossimo,
ma, disgiunta dall’amore di Dio, non posso no identificarsi con la carità cristiana. Essa è amore, volontà di bene, ma quale amore?
Non qualsiasi amore, ma quello soprannaturale per Iddio: ma non per qualsiasi
Dio (conosciuto solo con la ragione o creato con la fantasia), ma Dio, conosciuto
per mezzo della rivelazione, della fede, tramite l’annunzio di Gesù Cristo,
Figlio di Dio e Dio lui stesso insieme con il padre e lo Spirito Santo. Questo amore — insieme con la fede e la speranza — ci è stato
infuso nell’anima nel santo battesimo (cfr. Rm. 5, 5).
L’oggetto della carità cristiana è duplice: primo, Dio, conosciuto per mezzo della fede, e questo deve essere amato per Se stesso; secondo, noi stessi e il prossimo, che devono essere amati non per se stessi, ma per amore di Dio. Due comandamenti che si possono riassumere in uno solo: amore di Dio. Perché l’amore verso noi stessi e il prossimo non sono altro che l’espressione e la prova del nostro amore per Dio, secondo l’insegna mento di Gesù: “Se mi amate, osservate i miei comandamenti” (Gv. 14, 15) e “In questo consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti” (lGv. 5, 3 e cfr. anche Conc. Vat. Il, “Lumen Gentium”, 42).
Da qui risulta che il vero amore di Dio (la carità cristiana) non si
può esaurire in sole espressioni di affetto per Iddio, anche sincere,
in preghiere, anche ardenti, ma trova il suo compimento nelle opere, che sono
la manifestazione concreta dei nostri sentimenti per Dio, secondo l’insegnamento
di Gesù: “Non chiunque mi dirà: Signore, Signore, entrerà nel
Regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio, che è in
cielo, questi entrerà nel Regno dei Cieli” (Mt. 7, 21).
Il Signore ci insegna anche con quale intensità dobbiamo amarlo: “Amerai
il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la
mente. Questo è il massimo e primo comandamento” (Mt. 22, 37-38).
In altre parole, tutta la nostra vita presente deve essere un olocausto a Dio.
Dobbiamo convincerci che Dio è molto esigente e geloso — anche
se buono, misericordioso e comprensivo — e ci vuole tutti per Sé.
Egli infatti ci dice: “Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno
e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro;
non potete servire a Dio e al denaro” (Mt. 6, 24). La vera carità cristiana dunque consiste nell’amore di Dio per
Se stesso con tutte le nostre forze, e quando si dice tutte, si intende, che
neppure una sola delle nostre facoltà deve essere impiegata per un fine
di verso. L’espressione di Gesù si può tradurre anche:
“
Amare Dio sopra ogni cosa” e ciò significa ritenere Dio il bene
più grande di tutti i beni che esistono sulla terra; ne consegue che
tutti gli altri beni di questo mondo si devono stimare come inferiori, e, fra
questi, anche il bene di se stesso, del proprio io e del proprio corpo.
L’amore per Iddio pertanto deve essere sommo.
Bisogna fare attenzione a non confondere l’amore soprannaturale per Iddio,
che risiede unicamente nel l’intelletto e nella volontà e nella
stima supera qualsiasi altro amore, con quello per le persone care, che si
distingue per la forza dell’affetto e che, per l’intensità,
non è superato da nessun altro e che per lo più risiede nei sensi.
Si può pertanto conciliare l’amore soprannaturale sommo per Iddio
e l’amore sensibile, non superato da nessun altro, per una persona cara.
Come si vede, altissima è la meta della vera carità cristiana.
Ecco quanto dice S. Bonaventura su questo argo mento.
“
La carità ha tanta forza che essa sola serra l’inferno, apre il
paradiso, sola dà la speranza della salute, sola rende grati a Dio.
E di tanto valore che essa tra le altre è detta la virtù per
antonomasia: chi l’ha è ricco, dovizioso e beato; chi non l’ha è povero,
accattone ed infelice”.
Se dunque la carità ha tanto valore, bisogna prendersi cura di possederla
a preferenza di tutte le altre virtù; e non una carità qualunque,
ma quella sola per la quale si ama Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore
di Dio.
In qual modo poi, tu debba amare il tuo Creatore, il medesimo tuo Sposo te
lo dice nel Vangelo: ‘Amerai il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore
e con tutta l’anima tua e con tutta la tua mente’.
Intendi bene, quale amore voglia da te il tuo diletto Gesù Egli vuole
che all’amor suo tu dia tutto il tuo cuore, tutta la tua anima e tutta
la mente tua, in modo che in tutto il tuo cuore, in tutta l’anima tua
e in tutta la tua mente nessun altro possegga con lui nemmeno una piccola parte.
Certamente allora ami Dio con tutta l’anima, quando fai volentieri e
senza nessuna opposizione non ciò che tu vuoi, non ciò che consiglia
il mondo, non ciò che suggeriscono i sensi, ma ciò che sai tu
che Dio vuole. Certissimamente poi, allora ami Dio con tutta l’anima,
quando per amor suo ti esponi anche alla morte, se occorre.
Ma se, al contrario, sarai stato negligente in qual cuna di queste cose, allora
no, non ami con tutta l’ani ma. Via dunque, ama il Signore Dio con tutta
l’anima, vale a dire, conforma in ogni cosa la volontà tua alla
volontà divina” (Dagli “Opuscoli mistici” di San Bonaventura
Vescovo — “De perfectione vitae ad sorores” ed. Vita e Pensiero,
Milano 1926, pp. 307; 349-351).
La meta della carità cristiana è difficile a raggiungersi; per
poterla conquistare si richiede che l’animo sia distaccato da tutti i
beni di questo mondo e che sia aiutato dall’esercizio di tutte le virtù e
specialmente della purezza, che, più di ogni altra, dispone il fedele
cristiano al vero amore per Iddio.
Di qui appare chiaro che la purezza (e tutte le altre virtù) è ancella
della carità e grande è il sostegno che le assicura.
La purezza è una virtù indispensabile per la carità fino
al punto che non vi può esser carità senza purezza.
Il peccato dell’impurità, infatti, distrugge il tessuto osseo
del fedele cristiano; gli sconvolge, come un terremoto, la mente e il cuore,
e lo rende incapace di amare Dio per se stesso sopra ogni cosa.
Dopo tali considerazioni, dunque, si deve ritenere infondata la critica alla
Chiesa, ricordata all’inizio del capitolo.
0ra è facile comprendere perché la chiesa, maestra saggia, lungo
il corso dei secoli, ha sempre inculcato con insistenza ai suoi fedeli l’esercizio
della purezza, che è facile perdere per la fragilità e debolezza
umana; perdendo la purezza si perde anche la carità, che è la
virtù regina, che ci fa entrare nel Regno dei Cieli. (Cfr. C.C.C. nn.
1822 - 1829).
Conclusione
Nella considerazione della bella virtù della purezza, siamo riusciti a capire chi sono i veri puri di cuore, proclamati dalla beatitudine di Gesù, attraverso l’esame del sesto e nono comandamento e degli altri insegnamenti evangelici. Consapevoli delle difficoltà che si trovano nell’esercizio ditale virtù, abbiamo individuato con semplicità e chiarezza i mezzi naturali e soprannaturali per conservarla. I fedeli del popolo di Dio, ai nostri giorni, non chiedono ai loro pastori e maestri parole o paroloni, ma desiderano di avere nella dottrina della fede certezze e idee chiare e precise. Nel presente lavoretto mi sèmbra di aver soddisfatto tale esigenza. Voglia il cielo che, attraverso queste pagine, lo Spirito Santo per intercessione di Maria Santissima ci abbia reso chiara l’importanza della virtù della purezza, al fine del dinamismo e dell’arricchimento della nostra vita spirituale. Se fossimo riusciti a tanto, avremmo trovato un mezzo sicuramente efficace per introdurci sulla strada maestra della carità cristiana, che ci largisce la robustezza per entrare attraverso “la porta stretta” e poter raggiungere così la beatitudine eterna della salvezza, promessa da N.S. Gesù Cristo, morto e risorto.
30 dicembre 1996
Catalina Rivas
Bisogna avere dell’ordine per essere un autentico Mio riflesso. Se Dio non avesse ordine, puoi tu immaginare come sarebbe la creazione? Io lo so che tu non puoi correggere i tuoi difetti in un giorno, ma lotta per vincerli, per non farti amica dei tuoi difetti.