Liturgia delle Ore - Letture
Mercoledi dell'Ottava di Pasqua
Vangelo secondo Marco 12
1Gesù si mise a parlare loro in parabole: "Un uomo 'piantò una vigna, vi pose attorno una siepe, scavò un torchio, costruì una torre', poi la diede in affitto a dei vignaioli e se ne andò lontano.2A suo tempo inviò un servo a ritirare da quei vignaioli i frutti della vigna.3Ma essi, afferratolo, lo bastonarono e lo rimandarono a mani vuote.4Inviò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo picchiarono sulla testa e lo coprirono di insulti.5Ne inviò ancora un altro, e questo lo uccisero; e di molti altri, che egli ancora mandò, alcuni li bastonarono, altri li uccisero.6Aveva ancora uno, il figlio prediletto: lo inviò loro per ultimo, dicendo: Avranno rispetto per mio figlio!7Ma quei vignaioli dissero tra di loro: Questi è l'erede; su, uccidiamolo e l'eredità sarà nostra.8E afferratolo, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna.9Che cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e sterminerà quei vignaioli e darà la vigna ad altri.10Non avete forse letto questa Scrittura:
'La pietra che i costruttori hanno scartata
è diventata testata d'angolo;'
11'dal Signore è stato fatto questo
ed è mirabile agli occhi nostri'"?
12Allora cercarono di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito infatti che aveva detto quella parabola contro di loro. E, lasciatolo, se ne andarono.
13Gli mandarono però alcuni farisei ed erodiani per coglierlo in fallo nel discorso.14E venuti, quelli gli dissero: "Maestro, sappiamo che sei veritiero e non ti curi di nessuno; infatti non guardi in faccia agli uomini, ma secondo verità insegni la via di Dio. È lecito o no dare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare o no?".15Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse: "Perché mi tentate? Portatemi un denaro perché io lo veda".16Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: "Di chi è questa immagine e l'iscrizione?". Gli risposero: "Di Cesare".17Gesù disse loro: "Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio". E rimasero ammirati di lui.
18Vennero a lui dei sadducei, i quali dicono che non c'è risurrezione, e lo interrogarono dicendo:19"Maestro, Mosè ci ha lasciato scritto che 'se muore il fratello di uno' e lascia la moglie 'senza figli, il fratello ne prenda la moglie per dare discendenti al fratello'.20C'erano sette fratelli: il primo prese moglie e morì senza lasciare discendenza;21allora la prese il secondo, ma morì senza lasciare discendenza; e il terzo egualmente,22e nessuno dei sette lasciò discendenza. Infine, dopo tutti, morì anche la donna.23Nella risurrezione, quando risorgeranno, a chi di loro apparterrà la donna? Poiché in sette l'hanno avuta come moglie".24Rispose loro Gesù: "Non siete voi forse in errore dal momento che non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio?25Quando risusciteranno dai morti, infatti, non prenderanno moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli.26A riguardo poi dei morti che devono risorgere, non avete letto nel libro di Mosè, a proposito del roveto, come Dio gli parlò dicendo: 'Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e di Giacobbe'?27Non è un Dio dei morti ma dei viventi! Voi siete in grande errore".
28Allora si accostò uno degli scribi che li aveva uditi discutere, e, visto come aveva loro ben risposto, gli domandò: "Qual è il primo di tutti i comandamenti?".29Gesù rispose: "Il primo è: 'Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore';30'amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore', con tutta la tua mente 'e con tutta la tua forza'.31E il secondo è questo: 'Amerai il prossimo tuo come te stesso'. Non c'è altro comandamento più importante di questi".32Allora lo scriba gli disse: "Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è 'unico e non v'è altri all'infuori di lui';33'amarlo con tutto il cuore', con tutta la mente 'e con tutta la forza' e 'amare il prossimo come se stesso' val più di tutti gli olocausti e i sacrifici".34Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse: "Non sei lontano dal regno di Dio". E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
35Gesù continuava a parlare, insegnando nel tempio: "Come mai dicono gli scribi che il Messia è figlio di Davide?36Davide stesso infatti ha detto, mosso dallo Spirito Santo:
'Disse il Signore al mio Signore:
Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici
come sgabello ai tuoi piedi'.
37Davide stesso lo chiama Signore: come dunque può essere suo figlio?". E la numerosa folla lo ascoltava volentieri.
38Diceva loro mentre insegnava: "Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze,39avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti.40Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grave".
41E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte.42Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino.43Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: "In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri.44Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere".
Primo libro di Samuele 29
1I Filistei avevano concentrato tutte le forze in Afek, mentre gli Israeliti erano accampati presso la sorgente che si trova in Izreèl.2I capi dei Filistei marciavano con le loro centinaia e le migliaia. Davide e i suoi uomini marciavano alla retroguardia con Achis.3I capi dei Filistei domandarono: "Che cosa fanno questi Ebrei?". Achis rispose ai capi dei Filistei: "Non è forse costui Davide servo di Saul re d'Israele? È stato con me un anno o due e non ho trovato in lui nulla da ridire dal giorno della sua venuta fino ad oggi".4I capi dei Filistei furono tutti contro di lui e gli intimarono: "Rimanda quest'uomo: torni al luogo che gli hai assegnato. Non venga con noi in guerra, perché non diventi nostro nemico durante il combattimento. Come riacquisterà costui il favore del suo signore, se non con la testa di questi uomini?5Non è costui quel Davide a cui cantavano tra le danze:
"Saul ha ucciso i suoi mille
e Davide i suoi diecimila?".
6Achis chiamò Davide e gli disse: "Per la vita del Signore, tu sei leale e io vedo con piacere che tu vada e venga con me in guerra, perché non ho trovato in te alcuna malizia, da quando sei arrivato fino ad oggi. Ma non sei gradito agli occhi dei capi.7Quindi torna indietro, per non passare come nemico agli occhi dei capi dei Filistei".8Rispose Davide ad Achis: "Che cosa ho fatto e che cosa hai trovato nel tuo servo, da quando sono venuto alla tua presenza fino ad oggi, perché io non possa venire a combattere contro i nemici del re mio signore?".9Rispose Achis a Davide: "So bene che tu mi sei prezioso come un inviato di Dio; ma i capi dei Filistei mi hanno detto: Non deve venire con noi a combattere.10Alzatevi dunque domani mattina tu e i servi del tuo signore che sono venuti con te. Alzatevi presto e allo spuntar del giorno partite".11Il mattino dopo Davide e i suoi uomini si alzarono presto per partire e tornarono nel territorio dei Filistei. I Filistei salirono ad Izreèl.
Giobbe 36
1Eliu continuò a dire:
2Abbi un po' di pazienza e io te lo dimostrerò,
perché in difesa di Dio c'è altro da dire.
3Prenderò da lontano il mio sapere
e renderò giustizia al mio creatore,
4poiché non è certo menzogna il mio parlare:
un uomo di perfetta scienza è qui con te.
5Ecco, Dio è grande e non si ritratta,
egli è grande per fermezza di cuore.
6Non lascia vivere l'iniquo
e rende giustizia ai miseri.
7Non toglie gli occhi dai giusti,
li fa sedere sul trono con i re
e li esalta per sempre.
8Se talvolta essi sono avvinti in catene,
se sono stretti dai lacci dell'afflizione,
9fa loro conoscere le opere loro
e i loro falli, perché superbi;
10apre loro gli orecchi per la correzione
e ordina che si allontanino dalla iniquità.
11Se ascoltano e si sottomettono,
chiuderanno i loro giorni nel benessere
e i loro anni nelle delizie.
12Ma se non vorranno ascoltare,
di morte violenta periranno,
spireranno senza neppure saperlo.
13I perversi di cuore accumulano l'ira;
non invocano aiuto, quando Dio li avvince in catene:
14si spegne in gioventù la loro anima,
e la loro vita all'età dei dissoluti.
15Ma egli libera il povero con l'afflizione,
gli apre l'udito con la sventura.
16Anche te intende sottrarre dal morso
dell'angustia:
avrai in cambio un luogo ampio, non ristretto
e la tua tavola sarà colma di vivande grasse.
17Ma se colmi la misura con giudizi da empio,
giudizio e condanna ti seguiranno.
18La collera non ti trasporti alla bestemmia,
l'abbondanza dell'espiazione non ti faccia fuorviare.
19Può forse farti uscire dall'angustia il tuo
grido,
con tutti i tentativi di forza?
20Non sospirare quella notte,
in cui i popoli vanno al loro luogo.
21Bada di non volgerti all'iniquità,
poiché per questo sei stato provato dalla miseria.
22Ecco, Dio è sublime nella sua potenza;
chi come lui è temibile?
23Chi mai gli ha imposto il suo modo d'agire
o chi mai ha potuto dirgli: "Hai agito male?".
24Ricordati che devi esaltare la sua opera,
che altri uomini hanno cantato.
25Ogni uomo la contempla,
il mortale la mira da lontano.
26Ecco, Dio è così grande, che non lo
comprendiamo:
il numero dei suoi anni è incalcolabile.
27Egli attrae in alto le gocce dell'acqua
e scioglie in pioggia i suoi vapori,
28che le nubi riversano
e grondano sull'uomo in grande quantità.
29Chi inoltre può comprendere la distesa delle
nubi,
i fragori della sua dimora?
30Ecco, espande sopra di esso il suo vapore
e copre le profondità del mare.
31In tal modo sostenta i popoli
e offre alimento in abbondanza.
32Arma le mani di folgori
e le scaglia contro il bersaglio.
33Lo annunzia il suo fragore,
riserva d'ira contro l'iniquità.
Salmi 22
1'Al maestro del coro. Sull'aria: "Cerva dell'aurora". Salmo. Di Davide.'
2"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Tu sei lontano dalla mia salvezza":
sono le parole del mio lamento.
3Dio mio, invoco di giorno e non rispondi,
grido di notte e non trovo riposo.
4Eppure tu abiti la santa dimora,
tu, lode di Israele.
5In te hanno sperato i nostri padri,
hanno sperato e tu li hai liberati;
6a te gridarono e furono salvati,
sperando in te non rimasero delusi.
7Ma io sono verme, non uomo,
infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo.
8Mi scherniscono quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
9"Si è affidato al Signore, lui lo scampi;
lo liberi, se è suo amico".
10Sei tu che mi hai tratto dal grembo,
mi hai fatto riposare sul petto di mia madre.
11Al mio nascere tu mi hai raccolto,
dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio.
12Da me non stare lontano,
poiché l'angoscia è vicina
e nessuno mi aiuta.
13Mi circondano tori numerosi,
mi assediano tori di Basan.
14Spalancano contro di me la loro bocca
come leone che sbrana e ruggisce.
15Come acqua sono versato,
sono slogate tutte le mie ossa.
Il mio cuore è come cera,
si fonde in mezzo alle mie viscere.
16È arido come un coccio il mio palato,
la mia lingua si è incollata alla gola,
su polvere di morte mi hai deposto.
17Un branco di cani mi circonda,
mi assedia una banda di malvagi;
hanno forato le mie mani e i miei piedi,
18posso contare tutte le mie ossa.
Essi mi guardano, mi osservano:
19si dividono le mie vesti,
sul mio vestito gettano la sorte.
20Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, accorri in mio aiuto.
21Scampami dalla spada,
dalle unghie del cane la mia vita.
22Salvami dalla bocca del leone
e dalle corna dei bufali.
23Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli,
ti loderò in mezzo all'assemblea.
24Lodate il Signore, voi che lo temete,
gli dia gloria la stirpe di Giacobbe,
lo tema tutta la stirpe di Israele;
25perché egli non ha disprezzato
né sdegnato l'afflizione del misero,
non gli ha nascosto il suo volto,
ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito.
26Sei tu la mia lode nella grande assemblea,
scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
27I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano:
"Viva il loro cuore per sempre".
28Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra,
si prostreranno davanti a lui
tutte le famiglie dei popoli.
29Poiché il regno è del Signore,
egli domina su tutte le nazioni.
30A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.
E io vivrò per lui,
31lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
32annunzieranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
"Ecco l'opera del Signore!".
Daniele 3
1Il re Nabucodònosor aveva fatto costruire una statua d'oro, alta sessanta cubiti e larga sei, e l'aveva fatta erigere nella pianura di Dura, nella provincia di Babilonia.
2Quindi il re Nabucodònosor aveva convocato i sàtrapi, i prefetti, i governatori, i consiglieri, i tesorieri, i giudici, i questori e tutte le alte autorità delle province, perché presenziassero all'inaugurazione della statua che il re Nabucodònosor aveva fatto erigere.
3I sàtrapi, i prefetti, i governatori, i consiglieri, i tesorieri, i giudici, i questori e tutte le alte autorità delle province vennero all'inaugurazione della statua. Essi si disposero davanti alla statua fatta erigere dal re.
4Un banditore gridò ad alta voce: "Popoli, nazioni e lingue, a voi è rivolto questo proclama:
5Quando voi udirete il suono del corno, del flauto, della cetra, dell'arpicordo, del salterio, della zampogna, e d'ogni specie di strumenti musicali, vi prostrerete e adorerete la statua d'oro, che il re Nabucodònosor ha fatto innalzare.6Chiunque non si prostrerà alla statua, in quel medesimo istante sarà gettato in mezzo ad una fornace di fuoco ardente".
7Perciò tutti i popoli, nazioni e lingue, in quell'istante che ebbero udito il suono del corno, del flauto, dell'arpicordo, del salterio e di ogni specie di strumenti musicali, si prostrarono e adorarono la statua d'oro, che il re Nabucodònosor aveva fatto innalzare.
8Però in quel momento alcuni Caldei si fecero avanti per accusare i Giudei9e andarono a dire al re Nabucodònosor: "Re, vivi per sempre!10Tu hai decretato, o re, che chiunque avrà udito il suono del corno, del flauto, della cetra, dell'arpicordo, del salterio, della zampogna e d'ogni specie di strumenti musicali, si deve prostrare e adorare la statua d'oro:11chiunque non si prostrerà per adorarla, sia gettato in mezzo ad una fornace con il fuoco acceso.
12Ora, ci sono alcuni Giudei, ai quali hai affidato gli affari della provincia di Babilonia, cioè Sadràch, Mesàch e Abdènego, che non ti obbediscono, re: non servono i tuoi dèi e non adorano la statua d'oro che tu hai fatto innalzare".
13Allora Nabucodònosor, sdegnato, comandò che gli si conducessero Sadràch, Mesàch e Abdènego, e questi comparvero alla presenza del re.14Nabucodònosor disse loro: "È vero, Sadràch, Mesàch e Abdènego, che voi non servite i miei dèi e non adorate la statua d'oro che io ho fatto innalzare?15Ora, se voi sarete pronti, quando udirete il suono del corno, del flauto, della cetra, dell'arpicordo, del salterio, della zampogna e d'ogni specie di strumenti musicali, a prostrarvi e adorare la statua che io ho fatta, bene; altrimenti in quel medesimo istante sarete gettati in mezzo ad una fornace dal fuoco ardente. Qual Dio vi potrà liberare dalla mia mano?".
16Ma Sadràch, Mesàch e Abdènego risposero al re Nabucodònosor: "Re, noi non abbiamo bisogno di darti alcuna risposta in proposito;17sappi però che il nostro Dio, che serviamo, può liberarci dalla fornace con il fuoco acceso e dalla tua mano, o re.18Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dèi e non adoreremo la statua d'oro che tu hai eretto".19Allora Nabucodònosor, acceso d'ira e con aspetto minaccioso contro Sadràch, Mesàch e Abdènego, ordinò che si aumentasse il fuoco della fornace sette volte più del solito.20Poi, ad alcuni uomini fra i più forti del suo esercito, comandò di legare Sadràch, Mesàch e Abdènego e gettarli nella fornace con il fuoco acceso.21Furono infatti legati, vestiti come erano, con i mantelli, calzari, turbanti e tutti i loro abiti e gettati in mezzo alla fornace con il fuoco acceso.
22Ma quegli uomini, che dietro il severo comando del re avevano acceso al massimo la fornace per gettarvi Sadràch, Mesàch e Abdènego, rimasero uccisi dalle fiamme,23nel momento stesso che i tre giovani Sadràch, Mesàch e Abdènego cadevano legati nella fornace con il fuoco acceso.
24Essi passeggiavano in mezzo alle fiamme, lodavano Dio e benedicevano il Signore.
25Azaria, alzatosi, fece questa preghiera in mezzo al fuoco e aprendo la bocca disse:
26"Benedetto sei tu, Signore Dio dei nostri padri;
degno di lode e glorioso è il tuo nome per sempre.
27Tu sei giusto in tutto ciò che hai fatto;
tutte le tue opere sono vere,
rette le tue vie e giusti tutti i tuoi giudizi.
28Giusto è stato il tuo giudizio
per quanto hai fatto ricadere su di noi
e sulla città santa dei nostri padri, Gerusalemme.
Con verità e giustizia tu ci hai inflitto tutto questo
a causa dei nostri peccati,
29poiché noi abbiamo peccato, abbiamo agito da iniqui,
allontanandoci da te, abbiamo mancato in ogni modo.
Non abbiamo obbedito ai tuoi comandamenti,
30non li abbiamo osservati, non abbiamo fatto
quanto ci avevi ordinato per il nostro bene.
31Ora quanto hai fatto ricadere su di noi,
tutto ciò che ci hai fatto, l'hai fatto con retto giudizio:
32ci hai dato in potere dei nostri nemici,
ingiusti, i peggiori fra gli empi,
e di un re iniquo, il più malvagio su tutta la terra.
33Ora non osiamo aprire la bocca:
disonore e disprezzo sono toccati ai tuoi servi,
ai tuoi adoratori.
34Non ci abbandonare fino in fondo,
per amore del tuo nome, non rompere la tua alleanza;
35non ritirare da noi la tua misericordia,
per amore di Abramo tuo amico,
di Isacco tuo servo, d'Israele tuo santo,
36ai quali hai parlato, promettendo di moltiplicare
la loro stirpe come le stelle del cielo,
come la sabbia sulla spiaggia del mare.
37Ora invece, Signore,
noi siamo diventati più piccoli
di qualunque altra nazione,
ora siamo umiliati per tutta la terra
a causa dei nostri peccati.
38Ora non abbiamo più né principe,
né capo, né profeta, né olocausto,
né sacrificio, né oblazione, né incenso,
né luogo per presentarti le primiziee trovar misericordia.
39Potessimo esser accolti con il cuore contrito
e con lo spirito umiliato,
come olocausti di montoni e di tori,
come migliaia di grassi agnelli.
40Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te
e ti sia gradito,
perché non c'è confusione per coloro che confidano in te.
41Ora ti seguiamo con tutto il cuore,
ti temiamo e cerchiamo il tuo volto.
42Fa' con noi secondo la tua clemenza,
trattaci secondo la tua benevolenza,
secondo la grandezza della tua misericordia.
43Salvaci con i tuoi prodigi,
da' gloria, Signore, al tuo nome.
44Siano invece confusi quanti fanno il male ai tuoi servi,
siano coperti di vergogna con tutta la loro potenza;
e sia infranta la loro forza!
45Sappiano che tu sei il Signore,
il Dio unico e glorioso su tutta la terra".
46I servi del re, che li avevano gettati dentro, non cessarono di aumentare il fuoco nella fornace, con bitume, stoppa, pece e sarmenti.47La fiamma si alzava quarantanove cubiti sopra la fornace48e uscendo bruciò quei Caldei che si trovavano vicino alla fornace.49Ma l'angelo del Signore, che era sceso con Azaria e con i suoi compagni nella fornace, allontanò da loro la fiamma del fuoco50e rese l'interno della fornace come un luogo dove soffiasse un vento pieno di rugiada. Così il fuoco non li toccò affatto, non fece loro alcun male, non diede loro alcuna molestia.
51Allora quei tre giovani, a una sola voce, si misero a lodare, a glorificare, a benedire Dio nella fornace dicendo:
52"Benedetto sei tu, Signore, Dio dei padri nostri,
degno di lode e di gloria nei secoli.
Benedetto il tuo nome glorioso e santo,
degno di lode e di gloria nei secoli.
53Benedetto sei tu nel tuo tempio santo glorioso,
degno di lode e di gloria nei secoli.
54Benedetto sei tu nel trono del tuo regno,
degno di lode e di gloria nei secoli.
55Benedetto sei tu che penetri con lo sguardo gli abissi
e siedi sui cherubini,
degno di lode e di gloria nei secoli.
56Benedetto sei tu nel firmamento del cielo,
degno di lode e di gloria nei secoli.
57Benedite, opere tutte del Signore, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
58Benedite, angeli del Signore, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
59Benedite, cieli, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
60Benedite, acque tutte, che siete sopra i cieli, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
61Benedite, potenze tutte del Signore, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
62Benedite, sole e luna, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
63Benedite, stelle del cielo, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
64Benedite, piogge e rugiade, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
65Benedite, o venti tutti, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
66Benedite, fuoco e calore, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
67Benedite, freddo e caldo, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
68Benedite, rugiada e brina, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
69Benedite, gelo e freddo, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
70Benedite, ghiacci e nevi, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
71Benedite, notti e giorni, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
72Benedite, luce e tenebre, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
73Benedite, folgori e nubi, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
74Benedica la terra il Signore,
lo lodi e lo esalti nei secoli.
75Benedite, monti e colline, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
76Benedite, creature tutte
che germinate sulla terra, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
77Benedite, sorgenti, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
78Benedite, mari e fiumi, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
79Benedite, mostri marini
e quanto si muove nell'acqua, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
80Benedite, uccelli tutti dell'aria, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
81Benedite, animali tutti, selvaggi e domestici, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
82Benedite, figli dell'uomo, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
83Benedica Israele il Signore,
lo lodi e lo esalti nei secoli.
84Benedite, sacerdoti del Signore, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
85Benedite, o servi del Signore, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
86Benedite, spiriti e anime dei giusti, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
87Benedite, pii e umili di cuore, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
88Benedite, Anania, Azaria e Misaele, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli,
perché ci ha liberati dagl'inferi,
e salvati dalla mano della morte,
ci ha scampati di mezzo alla fiamma ardente,
ci ha liberati dal fuoco.
89Lodate il Signore, perché egli è buono,
perché la sua grazia dura sempre.
90Benedite, fedeli tutti, il Dio degli dèi,
lodatelo e celebratelo, perché la sua grazia dura sempre".
91Allora il re Nabucodònosor rimase stupito e alzatosi in fretta si rivolse ai suoi ministri: "Non abbiamo noi gettato tre uomini legati in mezzo al fuoco?". "Certo, o re", risposero.
92Egli soggiunse: "Ecco, io vedo quattro uomini sciolti, i quali camminano in mezzo al fuoco, senza subirne alcun danno; anzi il quarto è simile nell'aspetto a un figlio di dèi".
93Allora Nabucodònosor si accostò alla bocca della fornace con il fuoco acceso e prese a dire: "Sadràch, Mesàch, Abdènego, servi del Dio altissimo, uscite, venite fuori". Allora Sadràch, Mesàch e Abdènego uscirono dal fuoco.
94Quindi i satrapi, i prefetti, i governatori e i ministri del re si radunarono e, guardando quegli uomini, videro che sopra i loro corpi il fuoco non aveva avuto nessun potere; che neppure un capello del loro capo era stato bruciato e i loro mantelli non erano stati toccati e neppure l'odore del fuoco era penetrato in essi.
95Nabucodònosor prese a dire: "Benedetto il Dio di Sadràch, Mesàch e Abdènego, il quale ha mandato il suo angelo e ha liberato i servi che hanno confidato in lui; hanno trasgredito il comando del re e hanno esposto i loro corpi per non servire e per non adorare alcun altro dio che il loro Dio.
96Perciò io decreto che chiunque, a qualsiasi popolo, nazione o lingua appartenga, proferirà offesa contro il Dio di Sadràch, Mesàch e Abdènego, sia tagliato a pezzi e la sua casa sia ridotta a un mucchio di rovine, poiché nessun altro dio può in tal maniera liberare".
97Da allora il re promosse Sadràch, Mesàch e Abdènego a cariche pubbliche nella provincia di Babilonia.
98Il re Nabucodònosor a tutti i popoli, nazioni e lingue, che abitano in tutta la terra: Pace e prosperità!99M'è parso opportuno rendervi noti i prodigi e le meraviglie che il Dio altissimo ha fatto per me.
100Quanto sono grandi i suoi prodigi
e quanto straordinarie le sue meraviglie!
Il suo regno è un regno eterno
e il suo dominio di generazione in generazione.
Seconda lettera ai Tessalonicesi 2
1Ora vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla nostra riunione con lui,2di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente.3Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l'apostasia e dovrà esser rivelato l'uomo iniquo, il figlio della perdizione,4colui che si contrappone 'e s'innalza sopra ogni' essere che viene detto 'Dio' o è oggetto di culto, 'fino a sedere' nel tempio di 'Dio', additando se stesso come 'Dio'.
5Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose?6E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora.7Il mistero dell'iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene.8Solo allora sarà rivelato 'l'empio' e il Signore Gesù lo 'distruggerà con il soffio della sua bocca' e lo annienterà all'apparire della sua venuta, l'iniquo,9la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri,10e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l'amore della verità per essere salvi.11E per questo Dio invia loro una potenza d'inganno perché essi credano alla menzogna12e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all'iniquità.
13Noi però dobbiamo rendere sempre grazie a Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza, attraverso l'opera santificatrice dello Spirito e la fede nella verità,14chiamandovi a questo con il nostro vangelo, per il possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo.
15Perciò, fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla nostra lettera.16E lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza,17conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene.
Capitolo III: L'ammaestramento della verità
Leggilo nella Biblioteca 1. Felice colui che viene ammaestrato direttamente dalla verità, così come essa è, e non per mezzo di immagini o di parole umane; ché la nostra intelligenza e la nostra sensibilità spesso ci ingannano, e sono di corta veduta. A chi giova un'ampia e sottile discussione intorno a cose oscure e nascoste all'uomo; cose per le quali, anche se le avremo ignorate, non saremo tenuti responsabili, nel giudizio finale? Grande nostra stoltezza: trascurando ciò che ci è utile, anzi necessario, ci dedichiamo a cose che attirano la nostra curiosità e possono essere causa della nostra dannazione. "Abbiamo occhi e non vediamo" (Ger 5,21). Che c'importa del problema dei generi e delle specie? Colui che ascolta la parola eterna si libera dalle molteplici nostre discussioni. Da quella sola parola discendono tutte le cose e tutte le cose proclamano quella sola parola; essa è "il principio" che continuo a parlare agli uomini (Gv 8,25). Nessuno capisce, nessuno giudica rettamente senza quella parola. Soltanto chi sente tutte le cose come una cosa sola, e le porta verso l'unità e le vede tutte nell'unità, può avere tranquillità interiore e abitare in Dio nella pace. O Dio, tu che sei la verità stessa, fa' che io sia una cosa sola con te, in un amore senza fine. Spesso mi stanco di leggere molte cose, o di ascoltarle: quello che io voglio e desidero sta tutto in te. Tacciano tutti i maestri, tacciano tutte le creature, dinanzi a te: tu solo parlami.
2. Quanto più uno si sarà fatto interiormente saldo e semplice, tanto più agevolmente capirà molte cose, e difficili, perché dall'alto egli riceverà lume dell'intelletto. Uno spirito puro, saldo e semplice non si perde anche se si adopera in molteplici faccende, perché tutto egli fa a onore di Dio, sforzandosi di astenersi da ogni ricerca di sé. Che cosa ti lega e ti danneggia di più dei tuoi desideri non mortificati? L'uomo retto e devoto prepara prima, interiormente, le opere esterne che deve compiere. Così non saranno queste ad indurlo a desideri volti al male; ma sarà lui invece che piegherà le sue opere alla scelta fatta dalla retta ragione. Nessuno sostiene una lotta più dura di colui che cerca di vincere se stesso. Questo appunto dovrebbe essere il nostro impegno: vincere noi stessi, farci ogni giorno superiori a noi stessi e avanzare un poco nel bene.
3. In questa vita ogni nostra opera, per quanto buona, è commista a qualche imperfezione; ogni nostro ragionamento, per quanto profondo, presenta qualche oscurità. Perciò la constatazione della tua bassezza costituisce una strada che conduce a Dio più sicuramente che una dotta ricerca filosofica. Non già che sia una colpa lo studio, e meno ancora la semplice conoscenza delle cose - la quale è, in se stessa, un ben ed è voluta da Dio -; ma è sempre cosa migliore una buona conoscenza di sé e una vita virtuosa. Infatti molti vanno spesso fuori della buona strada e non danno frutto alcuno, o scarso frutto, di bene, proprio perché si preoccupano più della loro scienza che della santità della loro vita. Che se la gente mettesse tanta attenzione nell'estirpare i vizi e nel coltivare le virtù, quanta ne mette nel sollevare sottili questioni filosofiche non ci sarebbero tanti mali e tanti scandali tra la gente; e nei conviventi non ci sarebbe tanta dissipazione. Per certo, quando sarà giunto il giorno del giudizio, non ci verrà chiesto che cosa abbiamo studiato, ma piuttosto che cosa abbiamo fatto; né ci verrà chiesto se abbiamo saputo parlare bene, ma piuttosto se abbiamo saputo vivere devotamente. Dimmi: dove si trovano ora tutti quei capiscuola e quei maestri, a te ben noti mentre erano in vita, che brillavano per i loro studi? Le brillanti loro posizioni sono ora tenute da altri; e non è detto che questi neppure si ricordino di loro. Quando erano vivi sembravano essere un gran che; ma ora di essi non si fa parola. Oh, quanto rapidamente passa la gloria di questo mondo! E voglia il cielo che la loro vita sia stata all'altezza del loro sapere; in questo caso non avrebbero studiato e insegnato invano. Quanti uomini si preoccupano ben poco di servire Iddio, e si perdono a causa di un vano sapere ricercato nel mondo. Essi scelgono per sé la via della grandezza, piuttosto di quella dell'umiltà; perciò si disperde la loro mente (Rm 1,21). Grande è, in verità, colui che ha grande amore; colui che si ritiene piccolo e non tiene in alcun conto anche gli onori più alti. Prudente è, in verità, colui che considera sterco ogni cosa terrena, al fine di guadagnarsi Cristo (Fil 3,8). Dotto, nel giusto senso della parola, è, in verità, colui che fa la volontà di Dio, buttando in un canto la propria volontà.
La Verginità
San Giovanni Crisostomo - San Giovanni Crisostomo
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I. La verginità praticata dagli eretici non comporta ricompense.
1. I Giudei non riconoscono la bellezza della verginità: non c'è da meravigliarsene, giacché non hanno rispettato neppure Cristo, nato da una vergine. I Greci, invece, l'ammirano e la venerano, ma solo la Chiesa di Dio la imita con zelo. Quanto alle vergini degli eretici, io non le chiamerei vergini, soprattutto perché non sono pure: non vengono riservate ad un unico sposo, così come vuole il beato apostolo che prepara le nozze di Cristo là dove dice: "Vi ho destinati ad un unico uomo, per presentarvi a Cristo come una vergine pura". Queste parole, anche se si riferiscono a tutta la Chiesa nella sua pienezza, riguardano purtuttavia anche le vergini. Le donne che non amano un unico marito e se ne sposano un secondo, come possono essere caste?2. Innanzitutto, in base a questo ragionamento, non sono vergini. In secondo luogo, si astengono dal matrimonio perché lo disprezzano. Avendo stabilito in linea di principio che esso è una cosa cattiva, si privano fin dal primo momento dei premi della verginità. Vuole la giustizia che coloro che non commettono azioni delittuose restino solo esenti da pene, senza per questo essere premiati, come si può vedere non solo nelle prescrizioni delle nostre leggi, ma anche in quelle delle leggi pagane. La legge dice: "Chi uccide venga mandato a morte", ma non aggiunge "chi non uccide venga onorato". "Il ladro venga punito": ma non è prescritto che chi non danneggia le cose altrui riceva un dono. Così pure, le leggi che condannano a morte l'adultero non ritengono degno di un'onorificenza colui che non rovina il matrimonio altrui. In questo hanno perfettamente ragione, giacché la lode e l'ammirazione devono andare a chi realizza il bene, non a chi non commette il male: per questi ultimi, un premio sufficiente è rappresentato dal non subire alcuna punizione.
3. Per questo anche nostro Signore ha minacciato la Geenna a chi si adira contro il proprio fratello a capriccio e senza motivo e lo chiama sciocco. Purtuttavia, non ha promesso il regno dei cieli a coloro che non si adirano senza ragione e che non muovono dei rimproveri: dicendo "Amate i vostri nemici", Egli ha preteso qualcosa di più importante e di più grande. Nell'intento di mostrare come il non adirarsi con i propri fratelli sia una cosa infima, di poco conto ed indegna di una qualsiasi ricompensa, ha detto che neanche l'amore per loro - che pure vale già molto di più dell'altro atteggiamento - è sufficiente per essere ritenuti degni di un premio. E come potrebbe esserlo, se comportandoci così non abbiamo nulla in più dei pagani? Per poter chiedere un premio, occorre fare in aggiunta un'altra cosa molto più importante. "Non ritenerti degno di una corona - dice il Signore - solo perché non ti condanno alla Geenna perché non hai rimproverato e non ti sei adirato. Io non mi limito a pretendere questa piccola misura di bontà: anche se dici che non solo non biasimi tuo fratello ma lo ami, resti ancora in basso e stai in compagnia dei pubblicani. Se invece vuoi essere perfetto e diventare degno dei cieli, non fermarti a questo ma sali più in alto, e pensa ad una cosa che oltrepassa la natura stessa: si tratta dell'amore per i nemici..
4. Una volta ammessa l'assoluta verità di queste parole, cessino gli eretici di mortificarsi senza ragione: tanto, non riceveranno alcuna ricompensa. Non è che il Signore sia ingiusto - lungi da me quest'idea! Al contrario, sono essi a comportarsi da stolti e da malvagi. Come mai? Abbiamo mostrato che nessun premio tocca a chi si limita a non compiere azioni cattive. Gli eretici evitano il matrimonio, perché lo ritengono una cosa cattiva. Come potranno dunque richiedere un premio, per essersi tenuti lontani da una cosa cattiva? Come noi non riteniamo degno di una ricompensa chi non è stato adultero, così essi dovrebbero comportarsi verso chi non si sposa. Chi in quel giorno li giudicherà dirà loro: "Io non ho riservato gli onori a chi si è limitato soltanto a non commettere azioni cattive - questo è per me troppo poco - ma conduco all’eredità dei cieli che non invecchia mai coloro che hanno percorso tutta quanta la strada della virtù". Come mai allora voi, che ritenete il matrimonio una cosa impura ed abominevole, solo perché lo evitate pretendete i premi riservati a chi compie delle buone azioni?
5. Per questo Cristo mette alla sua destra le pecore, le benedice e le conduce nel regno dei cieli: esse non si sono limitate a non rubare le cose altrui, ma hanno distribuito agli altri i loro averi. Parimenti, Egli accoglie colui al quale erano stati affidati cinque talenti non perché non ha fatto diminuire quanto gli era stato dato, ma perché l'ha accresciuto, ed ha restituito in misura doppia il danaro depositato. Quando cesserete dunque di correre a vuoto, di stancarvi senza ragione, di dare pugni a caso e di percuotere l'aria? E se si trattasse solo di un capriccio! Dopo avere tanto faticato ed avere atteso una ricompensa maggiore delle fatiche sopportate, non è un piccolo castigo vedersi messi, al momento della premiazione, tra coloro che rimangono senza premio.
II. Gli eretici vengono puniti perché praticano la verginità.
1. Ma ciò che essi devono temere non consiste solo in questo, e le loro pene non si limitano alla mancanza di ricompensa: altre molto più gravi li attendono, quali il fuoco inestinguibile, i vermi che non muoiono, la tenebra esterna, i tormenti, i gemiti. Ci occorrerebbero infinite lingue e la potenza degli angeli per ringraziare in modo degno Dio della sua sollecitudine nei nostri riguardi. Ma neanche in tali condizioni questo sarebbe possibile. E come potrebbe esserlo? Noi e gli eretici dobbiamo compiere un uguale sforzo per realizzare la verginità: anzi, può darsi che le loro fatiche siano molto più aspre delle nostre. Il frutto degli sforzi non è però lo stesso: per loro sono riservate le catene, le lacrime, i gemiti e le punizioni eterne; per noi, la condizione degli angeli, le luci risplendenti, e l'intimità con lo sposo, che è come la somma di tutti i beni.2. Come mai allora gli stessi sforzi portano a ricompense contrarie? Ciò accade perché essi hanno scelto la verginità per violare la legge di Dio, mentre noi la pratichiamo per osservare i suoi voleri. Che Dio vuole che tutti gli uomini si astengano dal matrimonio, lo testimonia colui che fa parlare Cristo in se stesso: "Voglio - egli dice - che tutti gli uomini siano come me", vale a dire continenti. Purtuttavia il Signore, volendoci risparmiare e sapendo bene che "lo spirito è pronto, ma la carne è debole" non ha fatto della continenza un precetto obbligatorio, ma ha concesso alla nostra anima la facoltà di sceglierla. Se si trattasse di un comandamento e di una legge, chi la pratica non godrebbe di un’onorificenza, ma si sentirebbe dire "Avete fatto ciò che dovevate fare", ed i peccatori non otterrebbero il perdono, ma sarebbero soggetti alla punizione assegnata ai trasgressori. Con le parole "Chi è in grado di comprendere comprenda", il Signore non ha condannato chi non è capace di praticare la verginità, ma ha voluto mostrare l'importanza e la sublimità della lotta che deve sostenere chi ha la forza di realizzarla. Per questo anche Paolo, seguendo le tracce del maestro, dice: "Non ho con me un ordine del Signore, esprimo solo il mio parere".
III. L’orrore per il matrimonio è proprio di una satanica mancanza di umanità.
Né Marcione né Valentino né Mani si sono attenuti a tale moderazione. Non parlava in loro Cristo che aveva riguardo per le sue pecore e che offriva la propria vita per loro, ma il padre della menzogna, il distruttore degli uomini. Per questo essi mandano alla perdizione tutti i loro seguaci: in questo mondo, li caricano di fatiche sterili ed insopportabili; nell'al di là, li trascinano con sé nel fuoco preparato per loro.IV. Gli eretici, praticando la verginità, vanno incontro ad un destino più penoso di quello dei Greci.
1. Quanto siete più sfortunati dei Greci! I Greci infatti, anche se gli orrori della geenna li attendono, riescono purtuttavia a godere in questo mondo, giacché si sposano e traggono profitto dalle ricchezze e dagli altri piaceri della vita. Per voi ci sono invece soltanto i tormenti e i dolori sia in questa che nell'altra vita: in questa vita siete voi a sopportarli volontariamente, nell'altra li dovrete sopportare pur non volendoli. I Greci non verranno né ricompensati né puniti per i loro digiuni e per la loro verginità; voi, invece, subirete l'estremo castigo per la condotta dalla quale vi aspettavate infinite lodi, e mischiati agli altri rei sentirete le parole: "Andatevene via da me nel fuoco preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché avete digiunato e siete rimasti vergini.2. Il digiuno e la verginità non rappresentano in se stessi né un bene né un male, ma diventano l'una o l'altra cosa a seconda della disposizione di coloro che li praticano. Per i Greci tale virtù è sterile: ricevono la ricompensa che meritano, giacché non l’hanno praticata nel timore di Dio. Voi invece, che combattete Dio e calunniate le sue creature, non solo non riceverete alcuna ricompensa, ma sarete anche puniti. Per quanto riguarda la vostra dottrina, sarete messi insieme a loro perché come loro avete rinnegato il Dio esistente ed introdotto il politeismo; per quanto riguarda invece la vostra condotta di vita, essi staranno meglio di voi: mentre infatti la loro pena consiste soltanto nel non ricevere alcun bene, per voi consiste nel patire in aggiunta dei mali; e mentre essi possono godere di tutto in questa vita, voi siete privi sia dei beni presenti che dei futuri.
3. C'è forse un castigo maggiore di quello che consiste nel ricevere una punizione come ricompensa delle proprie fatiche e dei propri sudori? L'adultero, l'avido, colui che si approfitta dei beni altrui e che si prende quelli del suo prossimo hanno una consolazione, sia pure piccola: per lo meno, sono puniti a causa di quelle cose di cui hanno goduto in questa vita. Nel caso invece di colui che accetta di buon grado di sopportare la povertà per essere ricco nell’altra vita e di sostenere le fatiche della verginità per far parte dei cori degli angeli nell'al di là, e che invece, improvvisamente e contro ogni sua aspettativa, è punito per quella condotta grazie alla quale sperava di godere di un'infinità di beni, non è possibile esprimere con le parole il suo dolore, dovuto al fatto che deve soffrire in questo modo contro tutte le sue speranze. A mio parere, egli è tormentato ugualmente dal fuoco e dalla sua coscienza, giacché deve fare questa constatazione: mentre coloro che hanno faticato come lui si trovano assieme a Cristo, egli è sottoposto al castigo estremo per quella condotta che fa godere agli altri i beni ineffabili; e, pur avendo vissuto in modo austero, è costretto a soffrire più dei dissoluti e dei lussuriosi.
V. La verginità degli eretici è più impura dell'adulterio.
1. In effetti, la temperanza degli eretici è peggiore di ogni tipo di dissolutezza. Mentre l’ingiustizia di quest'ultimo si ferma agli uomini, la prima combatte Dio ed offende la sua infinita sapienza. Tali trappole i1 diavolo tende a coloro che lo venerano. Che la verginità degli eretici sia proprio un ritrovato della sua malvagità non sono io a dirlo, ma colui che non ignora i suoi pensieri.2. Che cosa soggiunge dunque costui? "Lo spirito dice apertamente che negli ultimi momenti alcuni si allontaneranno dalla fede per seguire gli spiriti ingannatori e gl'insegnamenti dei demoni che, come ipocriti mentitori, marchiano la propria coscienza, che vietano di sposarsi e che impongono l'astinenza dei cibi creati da Dio per essere presi". Come fa dunque ad essere vergine colei che abbandona la fede, che segue l’errore, che ascolta i demoni e che onora la menzogna? Come può essere vergine colei che marchia la propria coscienza? La vergine che vuole ricevere il santo sposo deve essere pura non solo nel corpo ma anche nell'anima. Ma tale vergine come fa ad essere pura, se ha dei marchi così forti? Come può preservare la bellezza della verginità quando un pensiero empio si agita in lei, se deve scacciare dalla camera nuziale anche i pensieri temporali perché non può rimanere composta se li fa albergare in sé?
VI. Gli eretici quando praticano la verginità contaminano non solo la loro anima ma anche i loro corpi.
1. In effetti, anche se il suo corpo rimane puro, si corrompe sempre la parte migliore della sua anima, vale a dire i suoi pensieri. Che utilità c'è nel far restare in piedi il recinto, quando il tempio è andato distrutto? O quale guadagno si ricava dal fatto che la sede del trono resta pulita, quando il trono è stato sporcato? Ma neanche in tal caso il corpo resta esente dalla contaminazione. Le parole blasfeme e cattive nascono dentro l'anima, ma non vi rimangono: quando vengono fuori, tramite la bocca che le proferisce contaminano sia la lingua che l'orecchio che le riceve, e dopo essersi riversate nell'anima come dei farmaci deleteri ne corrodono la radice in modo più grave di qualsiasi verme, finendo con il distruggere assieme ad essa tutto quanto il corpo. Se dunque la verginità consiste nella santità di corpo e di spirito, e se una donna simile è empia e contaminata in entrambi questi elementi, come può essa dirsi vergine? Ma mi mostra un viso pallido, delle membra consunte, una veste semplice ed uno sguardo mite. Ma che utilità c'è in queste cose, se lo sguardo interiore è sfrontato? Quale sguardo è più sfrontato di quello che induce gli occhi esterni a considerare cattive le creature di Dio?2. "Tutta la gloria della figlia del re viene dal di dentro". Costei ha invertito l'ordine illustrato da tale frase: all’esterno si riveste di gloria, mentre dentro ospita ogni infamia. Il brutto consiste proprio in questo: di fronte agli uomini, essa fa mostra di una grande mitezza, mentre nei riguardi di Dio suo creatore dà prova di un'enorme follia, e pur non sopportando di guardare in viso un uomo - ammettiamo pure che tra le loro vergini ce ne siano alcune di tal fatta - guarda il signore degli uomini con occhi sfrontati e fa salire in alto i suoi discorsi ingiusti. Il loro volto è giallo come il legno di bosso, e simile a quello di un cadavere. Per questo sono degne di essere molto compiante e commiserate: lo stato miserando che hanno accettato non solo è inutile, ma le rovina e ricade sulla loro testa.
VII. Bisogna giudicare la verginità non dalle vesti, ma dall'anima.
1. La veste è modesta. La verginità non risiede però nelle vesti né nel colore della pelle, ma nell’anima e nel corpo. Se il filosofo non si giudica né dai capelli né dal bastone né dalla bisaccia ma dal suo modo di fare e dall'anima, e se il soldato non si valuta in base al mantello o alla cintura, ma in base alla forza ed al coraggio, non sarebbe assurdo attribuire ad una giovane la virtù della verginità - una cosa così mirabile, che trascende ogni qualità umana - servendosi di criteri così semplici e secondari come i capelli sudici, il volto dimesso e la veste lugubre, senza mettere a nudo la sua anima ed esaminare quindi per bene la sua disposizione?2. Questo non è consentito da colui che ha stabilito le regole di tale gara. Egli ci ordina di giudicare coloro che vi s'impegnano non dalle loro vesti, ma dalle loro convinzioni e dalla loro anima. "Chi compete - dice - è temperante in tutto", vale a dire in tutto ciò che pregiudica la salute dell'anima, ed aggiunge: "Nessuno può essere incoronato, se non gareggia secondo le regole". Quali sono dunque le regole di questa gara? Ascolta di nuovo le sue parole, o piuttosto Cristo stesso, l'istitutore della gara: "Affinché la vergine sia pura nel corpo e nello spirito", " prezioso è il matrimonio, ed il letto nuziale è incontaminato".
VIII. E' dannoso per la vergine mostrarsi altera nei confronti delle persone sposate.
1. La vergine potrebbe rispondermi: "Che cosa m'importa di queste cose, una volta che ho detto addio al matrimonio?". Ma è proprio la convinzione di non avere niente a che fare con la dottrina del matrimonio a perderti, o misera. Disprezzando senza misura quest'istituzione, rechi offesa alla sapienza di Dio e calunni tutta la creazione. Se infatti il matrimonio è una cosa impura, tutti gli esseri viventi che vengono generati tramite esso sono impuri, ed impure siete anche voi, per non parlare della natura umana. Come può dunque una donna impura essere vergine? Avete escogitato un secondo, o piuttosto un terzo modo di contaminare e di sporcare: quando rifuggite dal matrimonio come da una cosa impura, proprio perché ne rifuggite diventate le donne più impure e rendete la verginità più abominevole della fornicazione.2. Con chi vi metteremo allora? Assieme agli Ebrei? Ma essi non lo consentirebbero, perché onorano il matrimonio ed ammirano l'opera creatrice di Dio. Oppure insieme a noi? Ma non volete ascoltare Cristo, quando dice per bocca di Paolo: "Il matrimonio è onorato da tutti, ed il letto nuziale è incontaminato". Vi resta un posto vicino ai Greci. Anche questi però vi respingeranno come empi. Dice infatti Platone: "Chi ha formato quest’universo è buono". Nessuna invidia tocca una cosa buona in nessun caso. Tu invece consideri Dio cattivo, ed autore di opere cattive. Ma non temere: il tuo insegnamento è condiviso dal diavolo e dai suoi angeli; ma no, neanche essi sono d'accordo: non credere che la pensino così solo perché t’inducono a nutrire dei pensieri così stolti. Che si rendono conto della bontà di Dio, puoi sentire dalle loro grida: ora dicono "Sappiamo chi sei, il santo di Dio", ora invece "Gli uomini che annunziano la strada della salvezza sono i servi del Dio altissimo".
3. Continuerete dunque a parlare di verginità e a vantarvene? Non andrete piuttosto a rinchiudervi ed a piangere sulla vostra stoltezza, servendosi della quale il diavolo vi ha legate come prigioniere per gettarvi nel fuoco della Geenna? Non ti sei sposata? Ma non per questo sei vergine. Io chiamo vergine colei che pur essendo padrona di sposarsi non ha scelto il matrimonio. Se invece tu dici che il matrimonio è una cosa proibita, la tua azione non dipende più da una scelta ma dalla costrizione della legge. Per questo noi ammiriamo i Persiani che non commettono l'incesto, ma non i Romani. Questi ultimi lo considerano una cosa assolutamente abominevole, mentre nel caso dei primi l'impunità di cui gode chi osa praticarlo attira le lodi su coloro che si astengono da tali accoppiamenti.
4. Secondo lo stesso criterio va esaminato il matrimonio. Poiché esso è consentito tra noi, abbiamo tutte le ragioni per ammirare chi non si sposa. Voi invece, respingendolo ad un livello inferiore, non potete reclamare le lodi dovute all'astinenza: l'astenersi dalle cose proibite non si addice ad un’anima nobile e generosa. La virtù perfetta non consiste nel non commettere azioni che, se vengono commesse, ci fanno sembrare a tutti cattivi, ma nel distinguersi in pratiche che non mettono in cattiva luce coloro che non le abbracciano e che non solo allontanano da una reputazione cattiva, ma fanno entrare nella schiera dei buoni coloro che le scelgono e le seguono.
5. Come nessuno sarebbe disposto a lodare la verginità degli eunuchi per il fatto che non si sposano, così nessuno loda voi. Ciò che per loro è dettato dalla necessità naturale, diventa in voi un pregiudizio della vostra coscienza perversa. E come la mutilazione corporea priva gli eunuchi della gloria derivante dall'astinenza, così, nel vostro caso, anche se il fisico resta integro, il diavolo distrugge ogni retto pensiero, vi mette nella condizione di non sposarvi, vi sforza con delle fatiche e vi priva di ogni onore. Tu vieti il matrimonio? Per questo dalla tua rinunzia non ti verranno premi, ma solo supplizi e castighi.
IX. Esortare alla verginità non significa vietare il matrimonio.
1. "E tu - mi si dice - non proibisci il matrimonio?". Non sia mai! Mi auguro di non essere mai pazzo come te. "E come mai allora - si continua a dirmi - esorti le persone a non sposarsi?". Io lo faccio perché sono convinto che la verginità è molto più pregevole del matrimonio, ma non per questo considero il matrimonio una cosa cattiva: anzi, lo lodo molto. Per coloro che intendono farne un buon uso, esso è il porto della continenza, giacché impedisce alla natura d'inferocirsi. Presentando l'accoppiamento legittimo come una diga e ricevendo così i flutti del desiderio, introduce in noi una grande calma e ci custodisce. Ci sono però alcuni che non hanno bisogno di questa protezione: invece di ricorrere ad essa, placano le follie della natura con i digiuni, con le veglie, con il dormire per terra e con altri duri esercizi. Pur non vietando il matrimonio, io esorto questi ultimi a non sposarsi.2. C'è una grande differenza tra una cosa e l'altra, tra la costrizione e la libera scelta. Chi consiglia lascia l'ascoltatore padrone della scelta tra le cose sulle quali consiglia, chi invece pone dei divieti priva l'altro di questa facoltà. Inoltre, quando esorto, io non considero cattivo il matrimonio, né accuso chi non mi ubbidisce. Tu invece, calunniandolo e dichiarandolo cattivo, usurpi la funzione del legislatore senza essere un consigliere, e non puoi non odiare chi non ti ascolta. Io non mi comporto così: ammiro chi si iscrive a tale gara, ma non condanno coloro che rimangono fuori della competizione.
3. L'accusa sarebbe giusta se si propendesse per qualcosa che è cattiva per comune ammissione. Chi però ha un bene minore e non può raggiungere il maggiore, anche se resta privo delle lodi e dell’ammirazione che quest'ultimo comporta, non merita di essere condannato. Come posso dunque vietare il matrimonio, se non condanno chi si sposa? Io vieto la fornicazione e l'adulterio, non il matrimonio. Punisco coloro che osano praticare le prime due cose e li bandisco dal corpo della chiesa, ma continuo a lodare coloro che contraggono il matrimonio, se sono continenti. Ci sono così due vantaggi: da una parte, non si calunnia l’opera creatrice di Dio, dall'altra non solo non si distrugge la dignità della verginità, ma la si rende ancora più venerabile.
X. Chi denigra il matrimonio reca un torto alla verginità.
1. Chi denigra il matrimonio reca anche un torto alla verginità; chi invece lo loda, eleva e fa risplendere ancora di più la natura straordinaria dello stato verginale. Ciò che sembra bello solo in rapporto a ciò che è brutto non può essere molto bello; quella che è invece la migliore delle cose considerate buone, è la cosa più bella in senso assoluto: è sotto questa luce che vogliamo mostrare la verginità. Come coloro che denigrano il matrimonio nuocciono anche alle lodi della verginità, così chi lo tiene lontano dalle critiche fa le lodi non tanto di esso quanto della verginità. Anche nel caso dei corpi, noi chiamiamo belli non quelli che sono migliori dei corpi mutilati, ma quelli che sono migliori dei corpi ben fatti e privi di difetti.2. Il matrimonio è una bella cosa? Allora la verginità è una cosa straordinaria perché è superiore ad una cosa che è già bella; e le è superiore nella misura in cui il pilota è superiore ai marinai, o i1 generale è superiore ai soldati. Ma come, nel caso della nave, se si eliminano i rematori si fa affondare l'imbarcazione, e come in guerra se si allontanano i soldati si consegna il generale prigioniero al nemico, così anche nel caso che stiamo trattando, se si priva il matrimonio del suo rango elevato si tradisce la gloria della verginità e la si fa cadere al livello più basso.
3. La verginità è bella? Son d'accordo anch'io. E' superiore al matrimonio? Ammetto anche questo. Se vuoi, per dare un'idea della misura della sua superiorità, posso citare come esempi la superiorità del cielo sulla terra, o quella degli angeli sugli uomini; se poi dovessi esprimermi in modo più ardito, direi che si tratta di una superiorità ancora maggiore. E' vero infatti che gli angeli non sposano né vengono sposati: ma essi non sono strettamente uniti alla carne ed al sangue, non soggiornano sulla terra, non devono sopportare una moltitudine di desideri, non hanno bisogno di cibi e bevande, non possono essere blanditi da un dolce canto né impressionati da una visione stupenda o da altre simili cose; come si può osservare la purezza del cielo nel pieno pomeriggio, quando non è offuscata da nessuna nuvola, così le loro nature non possono non rimanere trasparenti e luminose quando nessun desiderio le ottenebra.
XI. La verginità trasforma in angeli gli uomini che l'abbracciano veramente.
1. Il genere umano, per natura inferiore agli angeli beati, fa violenza alle proprie facoltà e cerca con il suo impegno di uguagliarli per quanto è possibile. Come può avvenire questo? Gli angeli non sposano né vengono sposati: ma neanche la vergine lo fa; gli angeli rimangono ininterrottamente vicini a Dio e lo servono: ma così si comporta anche la vergine. Anche Paolo vuole che le vergini restino lontane da ogni preoccupazione, perché possano essere assidue senza distrarsi. E se, a differenza degli angeli, non possono salire al cielo perché sono trascinate in basso dalla carne, purtuttavia anche in questo mondo godono di una grande consolazione: se rimangono sante nel corpo e nello spirito, possono ricevere il padrone dei cieli in persona.2. Comprendi la dignità della verginità, e come essa renda la vita di coloro che vivono sulla terra simile a quella di coloro che stanno in cielo? Essa impedisce a chi ha un corpo di restare inferiore alle potenze incorporee, e porta gli uomini ad emulare gli angeli. Ma nulla di tutto ciò riguarda voi eretici, che danneggiate un simile stato, che calunniate il Signore e che lo chiamate cattivo. Vi attende il castigo riservato al servo cattivo; alle vergini della chiesa si presenteranno invece molti e grandi beni, superiori agli occhi, alle orecchie ed ai pensieri umani. Lasciamo quindi gli eretici - ne abbiamo già parlato abbastanza - e rivolgiamoci d'ora in poi ai figli della chiesa.
XII. Paolo, quando disse: "Agli altri sono io a parlare non il Signore", non diede un consiglio umano.
1. Da dove è bene far cominciare il nostro discorso? Dalle parole stesse che il Signore pronunziò per bocca del beato Paolo. Paolo infatti, quando dice "Agli sposati non sono io a parlare, ma il Signore" non intende dire che le sue parole sono una cosa, e quelle del Signore un'altra. Colui che fa parlare Cristo in sé, che non si preoccupa neppure di vivere in modo che Cristo possa vivere in lui, che pospone all'amore per lui i regni, la vita, gli angeli, le potenze, ogni altra creatura ed in una parola ogni cosa, come potrebbe di buon grado - specie quando dà dei precetti - dire o pensare qualcosa che non piace al Signore?2. Che cosa significano le sue parole "Io" e "Non io"? Cristo ci ha dato le leggi e gl'insegnamenti in parte direttamente, in parte tramite gli apostoli. Che egli non stabilì tutto direttamente, lo puoi sentire dalle sue stesse parole: "Avrei molte cose da dirvi, ma non potete ancora sopportarne il peso". Il precetto "La donna non si separi dall'uomo" Egli l'aveva dato già prima, quando si trovava ancora su questa terra rivestito di carne. Per questo Paolo dice: "Agli sposati non sono io a parlare, ma il Signore". Agl'infedeli invece Egli non parlò direttamente, ma diede delle prescrizioni, ispirando a tal fine l'anima di Paolo e facendogli dire: "Chi ha una moglie non credente che desidera abitare con lui, non la ripudi; e la moglie che ha un marito non credente che desidera abitare con lei non lo ripudi".
3. Per questa ragione, quando disse "Non è il Signore a parlare, ma sono io", non volle affermare che le sue parole erano umane - e come avrebbero potuto esserlo? - ma che il Signore ha dato questo comandamento non quando si trovava assieme agli apostoli, ma adesso, tramite lui. Come dunque le parole "Il Signore, non io" non indicano una contrapposizione nei confronti dei comandamenti di Cristo, cosí le parole "Io, non il Signore", non sono state pronunziate da chi vuol dire qualcosa di personale e di diverso da ciò che piace a Dio, rna da chi vuol far vedere soltanto che il comandamento viene dato ora per suo tramite.
4. Parlando della vedova, Paolo dice "A mio parere, è piú beata se resta cosí". E perché nessuno, sentendo le parole "A mio parere", pensasse che il suo fosse un pensiero umano, eliminò ogni sospetto aggiungendo: "Penso di avere anch'io lo spirito di Dio". Come dunque noi non possiamo dire che le sue siano affermazioni umane, solo perché colui che parla in nome dello spirito dice "A mio parere", cosí anche nel nostro caso, quando dice "Sono io a parlare, non il Signore", non bisogna credere che la frase sia di Paolo. Egli faceva parlare Cristo in sé e non avrebbe osato fissare tale insegnamento in una sua affermazione, se non ci avesse portato questa legge da lassú.
5. Qualcuno avrebbe potuto dirgli: "Io che ho la fede e che sono puro non sopporto di stare assieme ad una donna che non possiede nessuna fede e che è impura. Tu stesso hai detto prima che sei un, e non il Signore, a dire queste cose. Quale sicurezza e certezza posso avere?". Ma Paolo gli avrebbe risposto: "Non temere. Ho detto che faccio parlare Cristo in me e che credo di possedere lo spirito di Dio proprio perché non ti venisse il sospetto che le mie parole fossero umane. Se esse lo fossero, non avrei mai dato ai miei pensieri tanta autorità. I calcoli degli uomini sono vili, i loro pensieri ingannevoli. Anche la chiesa universale mostra la forza di questa legge custodendola severamente: non la custodirebbe cosí, se non fosse fermamente convinta che queste parole rappresentano un comandamento di Cristo".
6. Che cosa dice dunque Paolo, ricevendo l'eco delle parole di Cristo? "Per quanto riguarda ciò su cui mi avete scritto, è bene per un uomo non toccare una donna". A tal proposito ci si potrebbe rallegrare con Corinzi, che pur non avendo ricevuto alcun consiglio dal maestro sulla verginità, lo prevengono interrogandolo e facendo mostra cosí dei progressi compiuti sotto l'azione della grazia. Nel Vecchio Testamento non sussistevano dubbi sul matrimonio: non solo tutto il popolo, ma anche i Leviti, i sacerdoti e lo stesso gran sacerdote gli attribuivano una grande importanza.
XIII. Perché i Corinzi scrissero a Paolo sulla verginità, e perché egli prima di allora non aveva rivolto loro alcuna esortazione.
1. Come mai dunque i Corinzi giunsero a rivolger questa domanda? Data la loro perspicacia, sapevano bene di avere bisogno di un piú alto grado di virtú, giacché erano stati ritenuti degni di un dono piú grande. Vale anche la pena di chiedersi come mai Paolo non avesse mai rivolto loro quest'esortazione: se avessero sentito qualcosa in proposito, essi non gli avrebbero scritto di nuovo facendogli domande su questo argomento. Anche in questo caso ci si può rendere conto della profondità della sapienza di Paolo. Non rivolse senza motivo né a caso un’esortazione su di un tema cosí importante, ma aspettò che in loro nascessero prima il desiderio ed il pensiero di quest’ideale: se si fosse trovato di fronte ad anime già preparate alla verginità, avrebbe potuto gettare con piú efficacia i suoi semi, giacché la disposizione d'animo degli ascoltatori nei riguardi dell'argomento avrebbe facilitato di molto l’accoglimento dei suoi consigli. D’altra parte, l'apostolo volle anche far notare l'importanza e la grande solennità dell'impresa.2. In caso contrario, non avrebbe aspettato la loro buona disposizione d'animo, ma avrebbe subito spiegato i termini del problema, presentandolo, se non come un’ingiunzione o un comandamento, per lo meno come un'esortazione o un consiglio. Non avendo osato fare neppure questo, ci ha fatto vedere che la verginità richiede molto sudore e grandi lotte. Anche in questo caso si comportò cosí perché volle imitare nostro Signole. Anche nostro Signore parlò infatti della verginità soltanto quando i suoi discepoli gli fecero domande in proposito.
3. Quando essi dissero: "Se questa è la condizione dell'uomo quando si trova in compagnia della donna, conviene non sposarsi", rispose: "Vi sono degli eunuchi che si sono resi tali per il regno dei cieli". Quando la virtù da realizzare è molto alta e per questo non può essere rinchiusa nella costrizione di un comandamento, bisogna attendere la buona disposizione di coloro che intendono realizzarla, infondendo in loro la volontà necessaria in un altro modo e senza destare sospetti: cosí fece appunto Cristo. Non li portò a desiderare la verginità parlando di essa: discorrendo solo sul matrimonio, mostrando il peso di questo stato e limitando il suo discorso a quest'argomento, con la sua accortezza fece in modo che essi, pur non avendo sentito parlare della verginità, dicessero di propria iniziativa: "E' meglio non sposarsi".
4. Per questa ragione Paolo, l'imitatore di Cristo, disse "Riguardo a ciò su cui mi avete scritto", quasi volesse scusarsi con loro parlando cosí, e dire "Io non osavo condurvi ad un cosí alto ideale, data la difficoltà dell'impresa, ma poiché voi mi avete scritto di vostra iniziativa, ho trovato il coraggio di darvi questo consiglio: è una buona cosa per l'uomo non toccare una donna". Come mai, pur avendo i Corinzi scritto su molti argomenti, egli non aveva mai aggiunto quest'esortazione? Solo per il motivo che ho spiegato adesso: per evitare che qualcuno accogliesse male il suo consiglio, ricordò la lettera da loro inviata. Ma neanche allora, pur avendo avuto tale spunto, rivolse un’esortazione veemente: usò invece un tono dimesso, imitando anche in questo Cristo. Il Salvatore infatti, concluso il discorso sulla verginità, aggiunse: "Chi è in grado d’intendere, intenda". E l'apostolo cosa disse? "Riguardo a ciò su cui mi avete scritto, è una buona cosa per l'uomo non toccare una donna".
XIV. Obiezione di coloro che rifiutano la verginità e sua confutazione
1. Ma qualcumo potrebbe forse obiettare: "Se è bene non toccare la donna, a che scopo il matrimonio si è introdotto nella vita? Quale altro uso potremo fare della donna, se non ci può essere utile né per il matrimonio né per la procreazione? Che cosa potrà impedire la distruzione del genere umano, se ogni giorno la morte si pascola di esso e lo falcia, mentre tale ragionamento vieta di far sorgere altri al posto di quelli caduti? Se tutti volessimo realizzare questo bell'ideale e non toccassimo la donna, tutto andrebbe distrutto: le città, le case, i campi, le arti, gli animali, le piante. Come infatti quando cade il generale l'esercito perde necessariamente il suo ordine, cosí una volta eliminato con l'astinenza dal matrimonio l'uomo, il re della terra, nessun'altra cosa potrà conservare la sua sicurezza ed il suo ordine, e questo bel consiglio riempirà la terra d'infiniti mali".2. Se queste parole fossero pronunziate soltanto dai nostri nemici e dagl'infedeli, non me ne curerei molto. Poiché però parlano cosí anche molti presunti membri della chiesa, che per debolezza di volontà non riescono a sobbarcarsi alle fatiche richieste dalla verginità e che cercano di nascondere la propria pigrizia denigrando questa pratica e mostrandone l'inutilità, in modo da dare l'impressione di essere rimasti indietro non per trascuratezza ma per un retto modo di ragionare, lasciamo pure da parte i nemici - "l'uomo psichico non comprende infatti le cose dello spirito, che per lui sono sciocchezze" - ed insegniamo due cose a coloro che fingono di stare dalla nostra parte: da un lato, la pratica della verginità non è superflua, ma al contrario di grande utilità e necessaria; dall'altro, l'accusa rivolta contro di essa non può restare impunita, ma attira sui detrattori dei pericoli pari ai premi ed alle lodi che toccano a chi riesce a realizzare lo stato verginale.
3. Dopo che tutto l'universo fu creato e tutto fu approntato per il nostro riposo ed il nostro uso, Dio formò l'uomo, per il quale aveva creato il mondo. L'uomo, una volta formato, rimase nel paradiso: del matrrmonio non si faceva parola. Aveva bisogno di un aiuto; l'aiuto gli venne, e neanche allora il matrimonio sembrava necessario. Non s'intravedeva neppure: essi vivevano ignorandolo, soggiornando nel paradiso come in cielo e rallegrandosi della familiarità con Dio. Il desiderio di unione, il concepimento, i dolori del parto, le generazioni e qualsiasi tipo di corruzione erano banditi dalla loro anima. Simili ad un corso d'acqua trasparente che sgorga da una fonte pura, se ne stavano in quel luogo adorni della verginità.
4. Allora tutta la terra era priva di uomini: c'era proprio quello che ora temono certe persone, che si preoccupano del mondo abitato, che si danno gran pensiero delle cose altrui ma che non sopportano neppure il ricordo delle proprie, che temono la scomparsa di tutto il genere umano ma che trascurano la propria anima come se fosse una cosa estranea; eppure, per quanto riguarda quest'ultima, dovranno rendere conto esattamente anche delle mancanze piú piccole, mentre non dovranno fornire neanche la piú piccola spiegazione sulla nascita degli uornini.
5. Non c'erano allora né città, né arti, né case, di cui voi tanto vi preoccupate: tutto questo non esisteva, e purtuttavia nulla ostacolava o impediva quella vita beata, tanto rnigliore della presente. Ma dopo avere disobbedito a Dio ed essere divenuti terra e cenere, persero insieme a quell’esistenza beata anche la bellezza della verginità, che li abbandonò per ritirarsi con Dio. Finché rimasero insensibili al diavolo e riverirono il loro padrone, anche la verginità rimase ad adornarli piú di quanto i diademi o le vesti d'oro facciano con i re. Ma quando, divenuti prigionieri del diavolo, dovettero deporre questa veste regale e l'ornamento celeste, attirando su di sé la corruzione propria della morte, la maledizione, i dolori e le fatiche della vita, allora assieme a tutti questi mali sopraggiunse anche il matrimonio, un abito mortale e degno di uno schiavo.
6. "Chi infatti si sposa - dice l'apostolo - si preoccupa delle cose del mondo". Vedi qual è l'origine del matrimonio? Perché sembrò necessario? Esso deriva dalla disobbedienza, dalla maledizione, dalla morte. Dove c'è la morte, lì c'è anche il matrimonio: se la morte non c'è, neanche il matrimonio sopravviene. La verginità, invece, non fa parte di questa catena, ma è sempre utile, sempre bella e sempre beata, ed esiste sia prima che dopo la morte, sia prima del matrimonio che dopo di esso. Quale matrimonio, dimmi, ha fatto nascere Adamo? Quali dolori hanno generato Eva? Non puoi risponderrmi. Perché allora, senz'alcun motivo, temi tanto che, cessando il matrimonio, scompaia anche il genere umano? Un'infinità di angeli serve Dio, migliaia e migliaia di arcangeli gli sono vicini, e nessuno di loro è nato dalla generazione, dal parto, dai dolori e dal concepimento. Non avrebbe dunque potuto Dio, a maggior ragione, creare gli uomini prescindendo dal matrimorno? Cosí creò i primi progenitori, dai quali discendono tutti gli uomini.
XV. Non è il matrimonio ad accrescere il genere umano
1. La nostra razza è conservata non dalla forza del matrimonio, ma dalla parola del Signore, che disse all'inizio: "Crescete, moltiplicatevi e riempite la terra". Che cosa infatti, dimmi, ha spinto Abramo alla procreazione? Non è forse vero che, dopo avere usufruito per tanti anni del matrimonio, pronunziò infine questa frase: "O Signore, che cosa mi dirai? Dovrò morire senza figli?" Come allora Dio fece di corpi consunti il principio e la radice di tante miriadi di persone, cosí anche all'inizio, se Adamo e la sua compagna avessero obbedito al suo ordine e saputo dominare il piacere acceso dall'albero proibito, non gli sarebbe mancato il modo di accrescere la razza umana. In effetti, né il matrimonio è in grado di moltiplicare uomini esistenti se Dio non lo vuole, né la verginità di diminuirne il numero, se Egli vuole che siano molti. Egli cosí dispose - dice la Scrittura - per colpa nostra e della nostra disobbedienza.2. Perché infatti il matrimonio non comparve prima della trasgressione? Perché nel paradiso non vi furono congiungimenti? Perché i dolori del parto non esistevano prima della maledizione? Perché allora tutto questo era superfluo, mentre divenne poi necessario a causa della nostra debolezza; mi riferisco sia a ciò di cui ho parlato, sia a tutto il resto: alle città, alle arti, alla necessità d'indossare gli abiti, e a tutti gli altri innumerevoli bisogni. E' stata la morte ad introdurre tutto questo, trascinandoselo con sé. Non devi quindi onorare piú della verginità ciò che ti fu concesso a causa della tua debolezza, e non devi neppure mettere le due cose sullo stesso piano: procedendo secondo questo ragionamento, giungerai a dire che è meglio avere due mogli piuttosto che contentarsi di una sola, giacché anche questo fu consentito dalla legge di Mosè; allo stesso modo, preferirai le ricchezze alla povertà volontaria, il lusso alla vita temperante, e la vendetta alla nobile sopportazione delle offese.
XVI. II matrimonio è una concessione
1. "Ma tu denigri tutto questo", mi si obietta. Io non denigro affatto: Dio l’ha concesso, ed a suo tempo si è rivelato utile. Quello che però dico, è che si tratta di ben poca cosa, di una virtú propria piú dei bambini che degli uomini. Per questo Cristo, nell’intento di renderci perfetti, ci ha comandato di spogliarci di esso come se fosse un vestito per bambini che non può ricoprire un uomo perfetto né essere un ornamento adatto "all'età della pienezza di Cristo", e d'indossare altri abiti piú convenienti e piú perfetti dei primi, senza contraddirsi nelle sue prescrizioni ma rimanendo in perfetto accordo con se stesso.2. Infatti, anche se questi comandamenti sono piú severi di quelli antichi, lo scopo del legislatore resta identico. Di che cosa si tratta? Si tratta di eliminare il vizio della nostra anima e di ricondurla alla virtú perfetta. Se si fosse preoccupato non di dare comandamenti piú severi dei precedenti, ma di lasciare le cose sempre nello stesso stato e di non elevarle mai al di sopra della loro mediocrità, allora veramente sarebbe stato in contraddizione con se stesso. Se all'inizio, quando il genere umano era piú infantile, avesse prescritto questa rigida norma di vita, noi non avremmo ricevuto un comandamento proporzionato alle nostre possibilità, e tutta la nostra salvezza sarebbe stata compromessa da tale mancanza di proporzioni. Allo stesso modo, se dopo tanto tempo ed il tirocinio fatto sotto la legge ci avesse fatto rimanere sulla terra mentre il momento ci chiamava a questa celeste filosofia, non avremmo tratto nessum giovamento apprezzabile dalla sua concessione, giacché non avremmo realizzato quello stato perfetto al quale la concessione mirava.
XVII. Della condiscendenza divina
1. Ora questo caso è simile a quello dei piccoli uccelli. La madre, dopo averli nutriti, li spinge fuori dal nido. Se però vede che sono ancora deboli, che cadono e che hanno ancora bisogno di rimanere dentro il nido, li lascia lì ancora per vari giorni non perché vi rimangano per sempre, ma perché possano volare con tutta sicurezza una volta che le loro ali si sono ben fissate e che essi sono divenuti abbastanza forti. Cosí anche nostro Signore fin dall’inizio ci ha trascinati verso il cielo e ci ha indicato la strada che conduce ad esso; non ignorava, ma sapeva bene che non eravamo capaci di volare, e voleva mostrarci che la caduta si verificava non per suo volere, ma per la nostra debolezza. Dopo avercelo mostrato, ci lasciò crescere per molto tempo in questo mondo e nel matrimonio, come in un nido.2. Ma quando, dopo un lungo intervallo di tempo, ci crebbero le ali della virtú, ritornò, e con delicatezza e piano piano ci portò fuori da questa dimora insegnandoci a volare piú in alto Chi è ancora pigro e dorme in un sonno profondo, ama trattenersi nel nido, rimanendo inchiodato alle cose del mondo. Chi invece è veramente nobile ed ama la luce, abbandona il nido con grande disinvoltura, vola verso l'alto e tocca il cielo, lasciando tutte le cose terrene: il matrimonio, le ricchezze, i pensieri e tutto ciò che è solito trascinarci sulla terra.
3. Non dobbiarno dunque scambiare il permesso del matrimonio, concesso all'inizio, per un obbligo che c’impedisce di rinunziare ad esso. Il Signore vuole che vi rinunciamo: ascolta le sue parole "Chi è in grado d'intendere, intenda". Non meravigliarti del fatto che non abbia prescritto questo fin dall'inizio. Neanche il medico, infatti, prescrive ai malati tutte le cure insieme e nello stesso momento: quando sono in preda alla febbre, proibisce loro i cibi solidi, mentre quando non ci sono piú né la febbre né la debolezza fisica da essa prodotta, sopprime i cibi sgradevoli e li riporta alla dieta consueta. Come gli elementi dei corpi, scontrandosi tra loro e rimanendo in eccesso o in difetto, provocano una malattia, cosí anche nel caso dell’anima la mancanza di misura nelle passioni distrugge la sua salute. Bisogna avere una prescrizione per queste passioni soprattutto nel momento piú adatto: senza questi due fattori, la legge da sola non basta a correggere il disordine che si forma nell'anima. Cosí pure, neanche le medicine possono eliminare la piaga: quello che le medicine fanno per le ferite, lo fanno le leggi per i peccati.
4. Tu non importuni il medico quando, intervenendo sulle stesse ferite, taglia, o brucia, o spesso non fa nessuna di queste due cose, anche se di sovente non riesce nel suo intento; quando invece si tratta di Dio che non sbaglia mai e che regola tutto in modo degno della sua sapienza tu, pur essendo uomo, pretendi d'immischiarti, gli chiedi ragione dei suoi comandamenti, e non ti sottometti alla sua infinita sapienza? Non è questo il segno di un’estrema stoltezza? Dio disse: "Crescete e moltiplicatevi". Allora il momento richiedeva questo, giacché la natura umana era come impazzita, non poteva sopportare lo stimolo delle passioni e non poteva rifugiarsi in un alto porto trovandosi in mezzo a quella tempesta.
5. Che cosa avrebbe dovuto comandare Dio? Di vivere nella continenza e nella verginità? Ma quest’ordine avrebbe prodotto una caduta ancora più grave ed avrebbe reso più violenta la fiamma. Se ai bambini che hanno bisogno soltanto del latte si togliesse questo nutrimento e li si costringesse a prendere il cibo degli adulti, nulla potrebbe impedire la loro rapida morte: tanto grande è il male dell’inopportunità. Per questo la verginità non fu concessa all’inizio. Per meglio dire, ci apparve all’inizio prima ancora del matrimonio, ma quest'ultimo sopraggiunse successivamente e fu ritenuto necessario per le ragioni prima spiegate; se Adamo avesse continuato ad obbedire, non ne avrebbe avuto bisogno. E come - mi si obietta - avrebbero potuto nascere tante moltitudini di uomini? Ed io, giacché questa paura continua ad agitarti tanto, ti chiedo di nuovo: "Com'è nato Adamo, com'è nata Eva, se non c'era il mezzo del matrimonio?". "E che? - mi si chiederebbe -. Tutti gli nomini avrebbero dovuto nascere così?". Se fossero nati così o in un altro modo, non sono in grado di dirlo. Ciò che ora c'importa di stabilire, è che Dio non aveva bisogno del matrimonio per moltiplicare gli uomini sulla terra.
XVIII. Non la verginità, ma il peccato riduce il genere umano
Che non la verginità, ma il peccato e gli accoppiamenti fuori luogo sono la causa dell'estinzione del genere umano, lo mostra l'annientamento degli uomini, delle bestie ed in una parola di tutti gli esseri che respiravano sulla terra verificatosi ai tempi di Noè. Se i figli di Dio avessero allora resistito a quell’innaturale desiderio ed onorato la verginità, se non avessero gettato degli sguardi peccaminosi sulle figlie degli uomini, tale calamità non li avrebbe colpiti. Non si creda che io intenda addossare sul matrimonio la colpa della loro rovina; non sto dicendo questo: dico che la rovina e la distruzione della nostra razza dipendono non dalla verginità, ma dal peccato.XIX. Anticamente il matrimonio aveva due ragioni, ora ne ha una sola
1. Certo, il matrimonio fu concesso per la procreazione; ma ancora di più fu concesso per spegnere il fuoco della nostra natura. Lo testimonia Paolo, là dove dice "per evitare la fornicazione, ciascuno abbia la propria moglie": della procreazione non fa parola. Inoltre, egli non invita la coppia a restare unita perché procrei molti figli; per quale ragione allora raccomanda questo? "Perché Satana non vi tenti": sono le sue parole. Più avanti, non dice "si sposino se desiderano i figli" ma "si sposino, se non riescono a rimanere continenti". All’inizio, come ho detto, il matrimonio aveva queste due funzioni; successivamente invece, dopo che la terra, il mare e tutte le regioni abitabili furono popolate, rimase solo un motivo per contrarlo, l’eliminazione della sfrenatezza e della scostumatezza.2. In effetti, coloro che anche adesso si rotolano in queste passioni, che desiderano vivere come i porci e corrompersi nei lupanari, vengono non poco aiutati dal matrimonio, che li allontana dall’impurità e dalla schiavitù e li conserva nella santità e nel decoro. Ma fino a quando dovrò continuare a combattere contro ombre? Anche voi che parlate così conoscete quanto me l’eccellenza della verginità: tutte le cose da voi dette non sono che delle scuse e dei pretesti che mirano a velare l'incontinenza.
XX. Anche ammettendo che coloro che disprezzano la verginità non corrano alcun pericolo, nondimeno tale denigrazione non è esente da rischi
Ma anche se non si corresse alcun pericolo parlando così, bisognerebbe ora porre fine alle calunnie. Chi infatti assume un atteggiamento ostile di fronte alle cose belle, pronunziando un giudizio così depravato ed ingiusto, oltre a danneggiare se stesso dà anche di fronte a tutti una non piccola prova della propria malvagità. Dovreste quindi tenere a posto la lingua, se non per altre ragioni, per lo meno per evitare di attirarvi una reputazione così cattiva: dovete ricordare che, mentre chi ammira coloro che si distinguono nelle gare più impegnative può trovare presso tutti comprensione se non riesce a raggiungere gli stessi risultati, chi invece non solo non riesce, ma denigra le imprese degne di molte corone, è giustamente odiato da tutti come un acerrimo nemico della virtù e come più miserabile degli stolti; questi ultimi infatti non sanno cosa fanno, né sopportano volontariamente la propria sorte. Perciò, anche se oltraggiano i potenti, non solo non vengono puniti, ma sono oggetto di commiserazione da parte di coloro che hanno offeso. Ma se qualcuno osasse fare consapevolmente ciò che essi fanno senza volerlo, sarebbe giustamente condannato con giudizio unanime come nemico della nostra natura.XXI. Coloro che disprezzano la verginità corrono un grave pericolo
1. Come ho detto, anche se tale accusa non facesse correre dei pericoli, bisognerebbe abbandonarla: ne ho spiegato le ragioni. In realtà però il fatto comporta un grave pericolo: sarà punito non solo "chi siede parlando male del proprio fratello e sollevando scandali contro il figlio di sua madre", ma anche chi cerca di calunniare le cose che sembrano belle a Dio. Ascolta le parole di un altro profeta, là dove parla di quest'argomento: "Guai a chi chiama buono il cattivo ed il cattivo buono, a chi trasforma la tenebra in luce e la luce in tenebra, il dolce nell'amaro e l'amaro nel dolce". E che cosa c’è di più dolce, di più bello e di più risplendente della verginità? Essa emette degli splendori più luminosi dei raggi del sole, e mentre ci allontana da tutte le cose materiali, ci mette in condizione di guardare fissi, con occhi puri, a sole della giustizia. Queste grida lanciava Isaia contro coloro che ospitavano in sé tali idee distorte.2. Ascolta che cosa dice un altro profeta su coloro che pronunziano contro altri queste parole pestifere; egli comincia con la stessa esclamazione: "Guai a chi versa al vicino una sporca bevanda". La parola "guai" non è un semplice modo di dire, ma una minaccia che ci annunzia una punizione indicibile, che non conosce perdono; nelle Scritture, tale avverbio è usato a proposito di coloro che non possono sfuggire alla punizione imminente.
3. E un altro profeta, accusando gli Ebrei, disse da parte sua: "Avete dato da bere il vino ai santi". Se chi fa bere il vino ai Nazirei dovrà sopportare una punizione così grande, chi versa una bevanda sudicia nelle anime dei semplici di quale punizione non sarà degno? Se chi elimina una piccola parte dell'ascesi prevista dalla legge subisce un castigo inesorabile, chi dileggia tutta quanta la santità, quale condanna subirà? "Se - dice il Signore - qualcuno scandalizzerà uno di questi piccoli, sarà meglio per lui attaccarsi al collo una macina da mulino e gettarsi in mare". Che cosa potranno dire allora coloro che con queste parole scandalizzano non solo un piccolo, ma molte persone? Se chi chiama sciocco il proprio fratello sarà condotto direttamente al fuoco della Geenna, chi calunnia questo modo di vita uguale a quello degli angeli quanta ira non attirerà sul suo capo?
4. Una volta Miriam parlò contro Mosè non con il tono che voi usate contro la verginità, ma in modo molto meno grave ed in termini più moderati. Non schernì l'uomo, né derise la virtù di quel beato, che anzi ammirava molto: si limitò a dire che anche lei godeva dei suoi stessi privilegi. Purtuttavia, attirò su di sé l'ira divina a tal punto, che neanche le molte preghiere del presunto offeso valsero ad ottenere qualcosa per lei: anzi, il suo castigo andò molto al di là di quello che Mosè stesso aveva pensato.
XXII. La morte dei fanciulli al tempo di Eliseo fu utile
1. Ma perché parlare di Miriam? Alcuni fanciulli che giocavano vicino a Betlemme, solo per aver detto ad Eliseo "Sali, calvo", provocarono a tal punto Dio, che questi fece piombare su di loro degli orsi proprio mentre parlavano; erano quarantadue, e tutti furono dilaniati fino all’ultimo da quelle bestie. Né la giovane età, né il numero, né il fatto che scherzassero valse a proteggere quei bambini: ed era giusto. Se coloro che si sobbarcano a così grandi fatiche dovessero essere dileggiati dai bambini e dagli uomini, quale persona più debole accetterebbe mai di sopportare fatiche che attirano le risa e gli scherni? Quale uomo ordinario cercherà più d’imitare la virtù, vedendo che è così ridicola?2. Ora la virtù è universalmente ammirata non solo da coloro che la praticano, ma anche da coloro che, in seguito a delle cadute, se ne allontanano; eppure, molti esitano ed indietreggiano di fronte a queste fatiche: chi sarebbe allora più disposto ad abbracciarla subito, se vedesse che non solo non è ammirata, ma è calunniata da tutti gli uomini? Le persone molto forti, che si sono già trasferite in cielo, non hanno bisogno della consolazione della gente ordinaria, perché a consolarle basta la lode di Dio. Chi invece è più debole e solo da poco si fa guidare m tale pratica, riceve un non piccolo aiuto anche dalla spinta prodotta dall'opinione del volgo: solo m seguito, quando sarà completamente educato, potrà mettersi piano piano in condizione di non aver più bisogno di tale aiuto.
3. Questi eventi si verificano non solo per costoro, ma anche per la salvezza degli schernitori, i quali procederebbero oltre nella loro malvagità, se vedessero impuniti i loro misfatti precedenti. Ma mentre parlavo, mi sono tornati in mente certi episodi della storia di Elia. La sorte che gli orsi fecero subire a quei fanciulli a causa di Eliseo, toccò anche, a causa del suo maestro, a cinquantadue uomini ed ai loro capi, quando il fuoco si accese in cielo. Allorché essi, con un fare molto ironico, vennero a chiamare il giusto invitandolo a scendere tra loro, in sua vece scese un fuoco, che li divorò tutti cosi come fecero quelle bestie.
4. Voi tutti, o nemici della verginità, riflettete dunque su questo e mettete sulla vostra bocca una porta ed una sbarra, per non dover dire il giorno del giudizio, vedendo rifulgere in quel luogo le persone vergini: "Questi sono coloro che deridevamo ed a cui lanciavamo oltraggi; e noi stolti ritenevamo pazza la loro vita, ed ignominiosa la loro morte. Come possono essere stati annoverati tra i figli di Dio ed avere la sorte dei santi? Ci siamo dunque allontanati dalla strada della verità, e la luce della giustizia non ha brillato per noi". Ma a che cosa gioveranno queste parole, se il pentimento non sarà più efficace in quel frangente?
XXIII. Come mai coloro che commettono gli stessi peccati non vengono puniti allo stesso modo
Ma forse qualcuno di voi chiederà: "Nessuno dunque dopo quei tempi insultò i santi?" Molti, ed in molti punti della terra, l’hanno fatto. "Come mai allora non sono stati puniti allo stesso modo?". Sappiamo che molti di loro lo sono stati. Se poi alcuni sono sfuggiti al castigo, non sfuggiranno ad esso per sempre. Secondo il beato Paolo "i peccati di alcuni sono evidenti e portano al giudizio, mentre per altri si rivelano successivamente". Come i legislatori mettono per iscritto le pene dei trasgressori, così anche nostro Signore Gesù Cristo, quando punisce uno o due peccatori e scrive per così dire i loro castighi su di una colonna di bronzo, si serve della loro sorte per parlare a tutti; Egli dice che coloro che osano commettere gli stessi peccati di chi è stato punito, anche se per il momento non vengono puniti, in futuro subiranno un castigo più severo.XXIV. Coloro che peccano e non sono puniti non devono rassicurarsi, ma piuttosto temere
1. Di conseguenza, se non soffriamo alcun male pur avendo peccato oltre misura, non dobbiamo rassicurarci, ma piuttosto temere. Se infatti qui non siamo giudicati da Dio, lì saremo condannati assieme al mondo. Anche in questo caso, le parole non sono mie, ma di Cristo che parla in Paolo. Parlando a coloro che prendono i sacramenti senza esserne degni, egli dice: "Per questo tra voi ce ne sono molti che sono deboli e malati, mentre un buon numero dorme. Se ci giudicassimo, non saremmo giudicati; ora invece, se siamo giudicati, veniamo educati dal Signore per non essere condannati assieme al mondo". Vi sono alcuni che hanno bisogno soltanto di una condanna su questa terra, quando nei loro peccati non oltrepassano una certa misura e quando, dopo essere stati puniti, non corrono più verso di essi, imitando il cane che si volge verso ciò che ha vomitato; vi sono poi altri che per l'enormità delle loro colpe sono puniti sia qui che lì; altri, infine, saranno puniti solo lì per avere commesso le colpe più gravi, non essendo stati ritenuti degni di essere sferzati assieme agli uomini. "Non saranno sferzati assieme agli uomini" - è detto -, in quanto sono destinati ad essere puniti con i demoni. "Andate via da me - dice il Signore - verso la tenebra eterna, preparata per il diavolo ed i suoi seguaci".2. Molti sono riusciti ad ottenere il sacerdozio pagando, senza essere rimproverati da nessuno e senza ascoltare le parole che Simone udì a suo tempo da Pietro. Non per questo però sfuggono al castigo: ne subiranno uno molto peggiore di quello che avrebbero dovuto subire qui, giacché neanche l'esempio è valso a renderli più saggi. Molti hanno osato fare quello che fece Core; non hanno subito la sua sorte, ma soffriranno in seguito una pena più grave. Molti che hanno imitato l'empietà del Faraone non sono annegati come lui, ma sono attesi dall'oceano della Geenna. Neanche coloro che chiamano sciocchi i propri fratelli sono stati puniti, ma il castigo è riservato per loro nell'al di là.
3. Non pensate dunque che le minacce di Dio siano solo parole. Egli ha dato esecuzione ad alcune di esse come nel caso di Saffira, di suo marito, di Carmi, di Aaron e di molti altri, perché chi non crede alle sue parole, convinto dall'evidenza dei fatti, in futuro non s'illuda più di sfuggire alla punizione ed impari che la bontà di Dio consiste non nel non punire affatto chi persevera nei suoi peccati, ma nel concedere una proroga ai peccatori.
4. Si potrebbe parlare anche più a lungo, per dare un’idea di tutto il fuoco che si preparano coloro che disprezzano la bellezza della verginità. Ma queste parole sono sufficienti ai saggi, mentre neanche un discorso più lungo del presente potrebbe allontanare gl’incorreggibili ed i pazzi dalla loro mania. Chiudiamo quindi questa parte, e rivolgiamo il nostro discorso ai saggi, ritornando al beato Paolo. "Riguardo a ciò su cui mi avete scritto - dice - è bene per l'uomo non toccare la donna". Si vergognino ora entrambe le categorie di persone, sia quelli che denigrano il matrimonio, sia quelli che lo esaltano oltre il dovuto. Ad entrambi il beato Paolo chiude la bocca sia con queste parole che con quelle che seguono.
XXV. Il matrimonio è necessario ai deboli
Il matrimonio è una bella cosa, perché conserva l’uomo nella temperanza e gl’impedisce di rotolare nella fornicazione e di morirvi. Non va quindi calunniato. E' in effetti di grande utilità, giacché non consente alle membra di Cristo di diventare membra di una prostituta, e vieta che il sacro tempio venga profanato ed insozzato. E’ bello perché sostiene e rimette in piedi chi sta per cadere. Ma di quale utilità può essere per colui che sta già in piedi e che non ha bisogno del suo aiuto? In tal caso, esso non è né utile né necessario, ma è solo d’impedimento alla virtù, non solo perché le frappone molti ostacoli, ma anche perché la priva della maggior parte degli elogi.XXVI. Chi si sposa pur essendo in grado di restare vergine, reca un gravissimo torto a se stesso
Chi ricopre di armi un uomo che può combattere nudo e vincere, non solo non gli giova, ma gli fa il più grande torto, privandolo dell'ammirazione e delle più grandi corone: impedisce alla sua forza di rivelarsi in modo completo, e fa perdere al suo trofeo molta fama. Nel caso del matrimonio, il danno è ancora più grave: si priva l'uomo non solo della grande considerazione della gente ordinaria, ma anche dei premi riservati alla vergine. Per questo vien detto: "E' bene per l'uomo non toccare donna". Perché allora permetti di toccarla? "A causa della fornicazione, ciascuno abbia la propria moglie". "Esito - dice l'apostolo - a condurti fino all'altezza della verginità, nel timore che tu possa precipitare nel baratro della fornicazione. Le tue ali non sono ancora abbastanza leggere, perché io possa sollevarti fino a quella vetta". Eppure, essi hanno deciso di cimentarsi e si sono slanciati verso la bellezza della verginità. Perché allora hai paura e tremi, o beato Paolo? "Perché - risponderebbe forse - mostrano tanta voglia in quanto ignorano di che cosa si tratta; io invece, avendo esperienza e conoscendo già questa battaglia, esito a consigliarla agli altri".XXVII. La verginità è un gran bene e dispensa grandi beni
1. Conosco le difficoltà di quest’impresa, l’asprezza di questo combattimento, la pesantezza di questa guerra. Bisogna avere un'anima combattiva, violenta, disperatamente decisa nella sua lotta contro i desideri, giacché si deve camminare sui carboni senza bruciarsi e sulle spade senza farsi colpire. La forza del desiderio è infatti pari a quella del fuoco e del ferro; e l'anima, se non impara a non voltarsi verso questi dolori, ben presto perisce. Ci occorrono un pensiero di diamante, un occhio che non si addormenta mai, molta pazienza, delle mura robuste, [dei muri esterni] e delle sbarre, delle guardie vigili e prodi, e prima di ogni altra cosa, l’intervento superiore: "Se il Signore non custodisce la città, invano vegliano i suoi custodi".2. Come potremo dunque far giungere a noi quest'aiuto? L'otterremo solo dopo che avremo dato tutto il nostro contributo: mi riferisco ai pensieri sani, alla forte intensità dei digiuni e delle veglie, alla scrupolosa osservanza della legge, al rispetto dei comandamenti, e soprattutto alla sfiducia in noi stessi. Anche se riusciamo a realizzare grandi cose, dobbiamo infatti dire sempre: "Se non è il Signore a costruire la casa, invano hanno lavorato i suoi costruttori. "Noi non lottiamo contro il sangue e la carne, ma contro le dominazioni, contro le potestà, contro i capi delle tenebre di questo mondo, contro gli spiriti maligni che si trovano negli spazi celesti". Restando armati di giorno e di notte, dobbiamo tener desti i nostri pensieri e mettere paura ai desideri impudenti. Basta che i pensieri si rilassino un po', che compare il diavolo con in mano il fuoco, che scaglia per incendiare il tempio di Dio. Dobbiamo dunque essere fortificati da ogni parte. La nostra è una battaglia contro le necessità naturali; cerchiamo d'imitare il modo di vita degli angeli e di correre assieme alle potenze incorporee. Noi, terra e cenere, facciamo di tutto per renderci uguali agli esseri che vivono in cielo: la corruzione vuole gareggiare con l’incorruttibilità.
3. Dimmi: qualcuno oserà ancora paragonare il piacere del matrimonio a tale stato? Come non sarebbe oltremodo sciocco? Paolo, sapendo bene tutto questo, disse: "Ognuno abbia la propria moglie". Per questo si mostrava ritroso, per questo non osava parlare loro subito della verginità, ma si soffermava a discorrere sul matrimonio, nell’intento di distaccarli da esso a poco a poco; le poche parole che diceva sulla continenza le mescolava ai suoi lunghi discorsi sul matrimonio, in modo che l'udito non fosse colpito dalla severità dell’esortazione. Chi infatti intreccia in tutto il suo discorso argomenti troppo severi si rende molesto all'ascoltatore, e costringe spesso alla ribellione l'anima che non sopporta il peso di ciò che vien detto. Chi invece lo varia, e vi mescola più argomenti piacevoli che argomenti spiacevoli, evita di renderlo pesante, e facendo riposare l'ascoltatore riesce meglio a persuaderlo e ad attirarlo, come fece appunto Paolo.
4. Subito dopo aver detto "E' bene per l'uomo non toccare la donna", passò al matrimonio con le parole: "Ognuno abbia la propria moglie". Benedisse la verginità e la mise da parte limitandosi a dire: "E' bene per l'uomo non toccare la donna". Per quanto riguarda invece il matrimonio, dà dei consigli e degli ordini e ne spiega il motivo: "A causa della fornicazione"; sembra così voler giustificare il permesso che dà di sposarsi. In verità egli, parlando del matrimonio, fa nascostamente l'elogio della continenza: non lo svela apertamente, ma lo lascia alla coscienza degli ascoltatori. Chi infatti si rende conto che Paolo l'esorta al matrimonio non perché lo consideri il sommo della virtù ma perché gli rimprovera una sensualità troppo forte, che non può essere scacciata senza di esso, pieno di rossore e di vergogna cerca di abbracciare subito la verginità e di allontanare da sé tale reputazione.
XXVIII. Ciò che viene detto sul matrimonio è un'esortazione alla verginità
1. Perché Paolo dice quindi "Il marito dia alla moglie l’affetto dovuto, e similmente si comporti la moglie con il marito"? Per spiegare queste parole e renderle più chiare, aggiunge: "La moglie non è padrona del proprio corpo, ma solo il marito lo è; similmente, il marito non è padrone del proprio corpo, ma solo la moglie lo è". Queste parole sembrano dette in favore del matrimonio. In realtà però Paolo riveste un amo con l'esca consueta, e lo getta nelle orecchie dei suoi discepoli nell'intento di distoglierli dal matrimonio parlando di esso. Chi infatti sente che dopo il matrimonio non sarà più padrone di sé ma dipenderà dalla volontà della moglie, cerca di liberarsi subito da questa schiavitù così amara, o piuttosto non vuole neanche cominciare a sottomettersi a questo giogo, perché una volta che vi si è sottomesso deve restare schiavo finché lo vuole la moglie.. Che io non faccio delle semplici congetture sul pensiero di Paolo lo si può capire facilmente, se si pensa ai discepoli del Signore: costoro non ritennero il matrimonio una cosa pesante e molesta finché non si avvidero che il Signore voleva rinserrarli nello stesso obbligo in cui Paolo avrebbe poi rinchiuso i Corinzi. Le frasi "Chi ripudia la propria moglie quando non ricorre il motivo della fornicazione la spinge all'adulterio" e "il marito non è padrone del proprio corpo" esprimono lo stesso pensiero, anche se con parole diverse.
. Se si esaminano più attentamente le parole di Paolo, si vede che esse accrescono la tirannide del matrimonio e ne rendono più pesante la schiavitù. Se infatti il Signore non consente al marito di scacciare la propria moglie dalla sua casa, Paolo lo priva perfino della facoltà di disporre del proprio corpo, dando tutto il potere alla moglie e mettendolo al di sotto di un servo comprato. Quest’ultimo può spesso ottenere la completa libertà se, divenuto ricco, riesce a pagare il prezzo al padrone. Il marito invece, anche se ha la moglie più terribile, si vede costretto a fare buon viso alla sua schiavitù, non potendo trovare il modo di liberarsi da tale dominio o di sfuggirne.
XXIX. Le parole "Non negatevi l'uno all’altro" sono un'esortazione alla verginità
1. Paolo, dopo aver detto "La moglie non è padrona del proprio corpo", aggiunge: "Non negatevi l'uno all'altro se non quando siete d'accordo, nel momento più opportuno, in modo che possiate attendere alla preghiera ed al digiuno; dopo di che, ritornate a stare insieme". Penso ora che molti di coloro che hanno abbracciato la verginità arrossiscano e si vergognino della grande indulgenza di Paolo. Ma non abbiate timore, e non siate sciocchi. Queste parole sembrano essere state dette da chi vuole compiacere gli sposati, ma chi le esamina attentamente si accorge che sono animate dallo stesso pensiero delle frasi precedenti. Se infatti le si ascoltassero staccandole dalla questione che precede, sembrerebbero degne più di una pronuba che di un apostolo, ma una volta spiegato il significato di tutto il contesto, si vedrebbe che anche quest'esortazione è conforme alla dignità dell'apostolo.Perché Paolo si dilunga su questo discorso? Una volta indicato il suo pensiero in modo più dignitoso con le parole precedenti, non avrebbe potuto contentarsi di limitare ad esse la sua esortazione? Che cosa dice in più la frase "Non negatevi l’uno all'altro se non quando siete d'accordo, nel momento più opportuno" delle altre "Il marito dia alla moglie l’affetto dovuto" e "il marito non è padrone del proprio corpo"? Certo, non dice nulla di più; ma qui l’apostolo, usando più parole, ha reso più chiaro ciò che prima aveva detto più brevemente ed in modo più oscuro.
2. Agendo così, egli ha voluto imitare Samuele, il santo di Dio. Come questi spiegò al popolo con la maggiore esattezza possibile le leggi di chi regna non perché accettasse un re ma perché lo rifiutasse (il suo discorso sembrava un insegnamento, ma in realtà mirava a distogliere il popolo da un desiderio inopportuno), così anche Paolo dibatte con maggiore continuità e chiarezza la questione della tirannia del matrimonio nell'intento di distogliere da esso gli ascoltatori con le sue parole. Dopo aver detto "la moglie non è padrona del proprio corpo", aggiunge "Non negatevi l'uno all'altro se non quando siete d'accordo, in modo che possiate attendere al digiuno ed alle preghiere". Vedi come conduce alla pratica della continenza le persone sposate, senza destare sospetti e senza rendersi molesto? All’inizio si limitò a lodare la continenza, dicendo: "E' bene per l'uomo non toccare la donna". Ora, invece, aggiunge un'esortazione: "Non negatevi l'uno all'altro, se non quando siete d'accordo". Tale discorso è più gentile, e rivela il pensiero del maestro, che non accampa pretese con veemenza, soprattutto quando il mettere in pratica i suoi consigli richiede una grande bontà. Egli non cerca di consolare l'ascoltatore soltanto così: trattato con poche parole l'aspetto più austero, prima ancora che l'ascoltatore si addolori, passa all'aspetto più piacevole e vi si sofferma più a lungo.
XXX. Come mai Paolo, pur ritenendo il matrimonio una cosa pregevole, raccomanda a chi digiuna di astenersi dai rapporti coniugali
1. Vale la pena di esaminare come mai, "se il matrimonio è una cosa pregevole e se il letto coniugale è esente da contaminazione", Paolo non consente il rapporto coniugale nel periodo del digiuno e della preghiera. Sarebbe del tutto assurdo che mentre gli Ebrei - nei quali tutti i bisogni corporei sono profondamente impressi, e che hanno il permesso di avere due mogli, di ripudiarle e di sposarne altre al loro posto - si preoccupano della continenza fino al punto di astenersi dal rapporto legittimo non per un giorno o due soltanto ma per più giorni quando devono ascoltare la parola di Dio, noi invece - che godiamo di una grazia così grande, che abbiamo ricevuto lo spirito, che siamo morti e siamo stati sepolti assieme a Cristo, che siamo stati ritenuti degni di essere figli adottivi di Dio, che siamo stati elevati ad una dignità così grande e che abbiamo goduto di tanti e così grandi beni - non dobbiamo avere neppure la stessa preoccupazione di quei piccoli.2. Se qualcuno poi insistesse a ricercare il motivo per cui Mosè proibì agli Ebrei questi rapporti, direi che, anche se il matrimonio è una cosa pregevole, può soltanto giungere a non contaminare chi ne fa uso; mettere in mostra i santi, rientra però non nelle sue possibilità, ma in quelle della verginità. Mosè e Paolo non sono stati i soli a dare tali precetti: ascolta le parole di Ioel: "Santificate il digiuno, annunziate la guarigione, radunate l'assemblea, fate venire gli anziani". Ma cerchi forse il passo in cui ha ordinato di tenersi lontani dalle mogli? "Lo sposo esca dal suo letto e la sposa esca dalla sua camera nuziale". Quest’ordine va al di là di quello di Mosè. Se lo sposo e la sposa, in cui il desiderio è al culmine, in cui la giovinezza è piena di vigore, in cui il desiderio è indomabile, non devono avere rapporti nel periodo del digiuno e della preghiera, non devono comportarsi così a maggior ragione gli altri, che non sono sottoposti ad una costrizione così grave? Chi vuol pregare e digiunare nel modo giusto deve eliminare ogni desiderio terreno, ogni pensiero ed ogni motivo di dispersione, e presentarsi a Dio dopo essersi ben raccolto in sé sotto ogni rispetto. Il digiuno è bello perché recide le preoccupazioni dell’anima, perché allontana la pigrizia che circonda la mente, perché fa sì che il pensiero si raccolga tutto in se stesso. Alludendo a tutto questo, Paolo vieta il rapporto e fa uso di parole ben appropriate. Non dice infatti "Perché non veniate contaminati", ma "perché possiate attendere al digiuno ed alla preghiera", come se il rapporto con la propria moglie fosse causa non d'impurità, ma di una perdita di tempo.
XXXI. Paolo era obbligato a vietare i rapporti a coloro che intendevano attendere alla preghiera
Se anche ora, nonostante la grande sicurezza di cui godiamo, il diavolo cerca di ostacolarci nel momento della preghiera, ammesso che trovi un’arsura dissoluta e rammollita dalla passione per una donna, che cosa non è capace di fare, quando svia in un senso o nell’altro gli occhi del pensiero? Per non metterci in condizione di subire questa sorte e di offendere Dio con una preghiera così inutile proprio quando cerchiamo di rendercelo propizio, egli ci ordina di astenerci dai rapporti.XXXII. Quando preghiamo con negligenza non solo non ci propiziamo Dio, ma l’irritiamo
1. Se coloro che avvicinano i re - ma perché parlare dei re? basta pensare ai più bassi magistrati; se gli schiavi che avvicinano i padroni o perché hanno subito un torto da altri, o perché hanno bisogno di un favore, o perché cercano di mitigare l'ira che si è levata contro di loro, incontrano questi potenti solo dopo avere concentrato su di loro tutti i loro sguardi ed i loro pensieri, ed alla minima negligenza non solo non ottengono ciò di cui hanno bisogno, ma ricevono in aggiunta una punizione e vengono cacciati via; se coloro che cercano di fermare l'ira degli uomini stanno così attenti, quali pene non dobbiamo soffrire noi miseri, quando ci accostiamo con tanta negligenza a Dio, il padrone universale, e ci rendiamo meritevoli di una collera tanto più grande? Né il servo né il suddito irritano tanto il padrone o il re quanto noi irritiamo Dio ogni giorno.2. Alludendo a questo, Cristo chiama "cento denari" i peccati verso il prossimo e "diecimila talenti" i peccati verso Dio. Poiché dunque ci accostiamo alla preghiera per spegnere la sua ira e per riconciliarci con colui che combattiamo ogni giorno, a ragione l’apostolo cerca di tenerci lontani dal piacere, come se dicesse: "O miei diletti, è dell'anima che si parla; corriamo i più gravi pericoli: dobbiamo tremare, avere paura e mostrarci contriti; ci accostiamo ad un padrone terribile, che abbiamo molto offeso e che ha da muoverci gravi accuse per gravi mancanze. Non è il momento delle carezze e dei piaceri, ma delle lacrime, degli amari lamenti, delle prostrazioni, delle confessioni scrupolose, delle suppliche ferventi, delle preghiere assidue. Sarà già una buona cosa se potremo mitigare la sua ira accostandoci a lui con tanto riguardo, non perché nostro Signore sia insensibile o crudele - al contrario, è assai mite e pieno di amore per gli uomini - ma perché l’enormità dei nostri peccati non permette neanche a chi è così buono, ben disposto e misericordioso di perdonarci tanto presto. Per questo egli dice: "In modo che possiate attendere al digiuno ed alla preghiera". Che cosa c'è di più amaro di questa schiavitù? "Vuoi - ci chiede - progredire verso la virtù, volare verso il cielo, togliere la sporcizia dalla tua anima insistendo senza interruzione nei digiuni e nelle preghiere? ". Ma se la moglie non vuole acconsentire a questo tuo progetto, devi rimanere schiavo della sua sensualità. Per questo all’inizio l'apostolo disse: "E' bene per l'uomo non toccare la donna"; e per questo i discepoli dissero al Signore: "Se questa è la condizione dell'uomo quando sta con la moglie, non conviene sposarsi". Pronunciarono tali parole, perché pensarono agl’inconvenienti che necessariamente si verificano nell'uno o nell'altro caso, e perché furono messi in imbarazzo da tali riflessioni.
XXXIII. Quando si parla due volte dello stesso argomento si imita Cristo
Anche Paolo tratta continuamente lo stesso tema per indurre i Corinzi a fare questa riflessione. "Ognuno abbia la propria moglie, il marito dia alla moglie l’affetto dovuto, la moglie non è padrona del proprio corpo, non negatevi l'uno all’altro, tornate a stare insieme". Questi beati ascoltatori non rimasero colpiti dalle sue prime parole; solo dopo averle sentite una seconda volta, si resero conto dell'obbligo contenuto in quel comandamento. Anche Cristo, quando si sedette sul monte, parlò di questo e tornò a parlarne dopo avere toccato molti altri argomenti; in tal modo, poté condurre i suoi ascoltatori all'amore per la continenza. Le stesse cose ripetute continuamente hanno maggiore efficacia. Il discepolo quindi, imitando anche in questo il maestro, parla continuamente delle stesse cose, e non dà il permesso di sposarsi senza dire altro, ma ne spiega il motivo: "a causa della fornicazione, delle tentazioni sataniche e dell'incontinenza"; così, senza destare sospetti, mentre parla del matrimonio tesse l'elogio della verginità.XXXIV. La verginità è ammirevole, e degna di molte corone
1. Se Paolo ha paura di separare per molto tempo coloro che vivono nel matrimonio, nel timore che il diavolo trovi il modo d'introdursi, di quante corone non sono degne le donne che non hanno bisogno di questa consolazione neanche all’inizio, e che rimangono invitte fino alla fine? Eppure il diavolo non ricorre ad uguali mezzi contro queste due categorie di persone. A mio avviso, egli non molesta le persone sposate, sapendo bene che hanno a portata di mano un rifugio: se si accorgono di essere oggetto di un attacco più forte, quest'ultime possono subito rifugiarsi nel porto, giacché il beato Paolo non permette loro di spingersi troppo lontano nella navigazione, ma le esorta a tornare indietro se sono stanche, invitandole a stare di nuovo insieme. La vergine è invece costretta a restare sempre in alto mare, e a navigare su di un oceano senza porti; anche se si leva una tempesta più violenta, non può fare ondeggiare la sua nave e concedersi un riposo.2. I pirati non attaccano i naviganti quando si trovano vicini ad una città, ad una rada o ad un porto: sarebbe un rischio vano. Se invece riescono ad intercettare la nave in alto mare, incoraggiati nella loro audacia dalla mancanza di aiuto, tutto muovono e sconvolgono, e non desistono, finché non fanno affondare i naviganti o non subiscono essi stessi questa sorte. Allo stesso modo il terribile tentatore suscita contro la vergine una grande tempesta, un violento uragano ed enormi, irresistibili ondate, tutto sconvolgendo, in modo da sommergere la nave con la sua violenza ed impetuosità. Ha sentito dire infatti che la vergine non può "tornare a stare insieme" ma è obbligata a lottare e a combattere sempre contro gli spiriti del male, finché non approda nel porto veramente tranquillo.
3. Paolo chiude la vergine fuori delle mura come se fosse un soldato valoroso, e non permette che le si aprano le porte, anche se il nemico si accanisce molto contro di lei, anche se diventa più violento perché l’avversario non può godere di nessuna tregua. Non solo il diavolo, ma anche il pungolo del desiderio molesta maggiormente i non sposati. E questo è chiaro a tutti. Noi non diveniamo facilmente preda del desiderio di quelle cose di cui possiamo godere, giacché la sicurezza consente all’anima di starsene tranquilla. Ce lo testimonia un proverbio, popolare ma pur sempre vero: ciò di cui si dispone - esso dice - non suscita violenti desideri. Se però ci viene vietato l'uso di ciò di cui eravamo padroni da tempo, si produce l’effetto contrario, e ciò che prima disprezzavamo, quando sfugge al nostro potere risveglia un desiderio più violento.
4. Questa è la prima ragione per cui gli sposati godono di una più grande serenità; la seconda è dovuta al fatto che la fiamma, anche se cerca di alzarsi, è subito soffocata dall’unione che sopravviene. La vergine invece, non sapendo come spegnere il fuoco, lo vede allungarsi ed alzarsi, e non riuscendo ad estinguerlo si preoccupa unicamente di combatterlo per non lasciarsi bruciare. C'è forse qualcosa di più paradossale del fatto che essa sopporti dentro di sé tutto il peso del fuoco e non si bruci? O del fatto che covi la fiamma nelle parti più riposte della sua anima e che conservi il pensiero intatto? Nessuno le permette di liberarsi di questi carboni gettandoli fuori, e lei si vede costretta a sopportare nella sua anima ciò che l'autore dei proverbi considera impossibile se riferito ai colpi. Che cosa dice costui? "Potrà qualcuno camminare sui carboni ardenti senza bruciarsi i piedi?". Ma guarda: la vergine vi cammina, e sopporta il tormento. "Qualcuno metterà il fuoco nel seno, e non si brucerà le vesti"?. La vergine ha un fuoco rabbioso e rimbombante non nelle vesti ma dentro di sé, eppure sopporta la fiamma e la ripara.
5. Dimmi, qualcuno oserà ancora paragonare il matrimonio alla verginità? Oserà ancora guardarlo in faccia? Non lo permette il beato Paolo, che ha posto una grande distanza tra le due cose. "La donna vergine - dice - si preoccupa delle cose del Signore, quella sposata delle cose del mondo". Ascolta come rimprovera le persone sposate, dopo averle ricongiunte ed avere concesso loro questo favore: "Tornate a stare insieme - dice loro - perché Satana non vi tenti". Allo scopo di dimostrare che tutto non dipende tanto dalla tentazione quanto dalla nostra debolezza, egli adduce il motivo principale con le parole: "A causa della vostra intemperanza".
6. Chi non arrossirebbe, sentendo queste parole? chi non cercherebbe di sfuggire alla taccia d’intemperanza? Quest'esortazione non riguarda tutti, ma quelli che cadono troppo in basso. "Se sei così schiavo dei piaceri - dice Paolo -, se sei così molle da disperderti sempre nell’accoppiamento e da desiderarlo, sta' pure con tua moglie". Dando questo permesso egli non approva né loda, ma deride e condanna. Se non avesse voluto colpire veramente l'anima delle persone libidinose, non avrebbe usato la parola "intemperanza", che è così espressiva e così pregna di rimprovero. Perché non ha detto "A causa della vostra debolezza"? Perché con quest'ultima frase avrebbe mostrato piuttosto di perdonare, mentre usando parola "intemperanza" ha voluto far rilevare l'enormità del loro rilassamento. E' dunque proprio dell'intemperanza il non potersi tenere lontani dalla fornicazione, se non si sta sempre attaccati alla moglie e non si gode dell'unione coniugale.
7. Che cosa potrebbero dire ora coloro che ritengono superflua la verginità? Mentre quest’ultima merita lodi tanto più grandi quanto maggiore è il suo impegno, il matrimonio invece, proprio quando lo si usa a sazietà, viene a perdere ogni merito. "Quello che io dico - afferma Paolo - è una concessione, non un ordine". Dove c'è la concessione, non c'è posto per la lode. Ma anche quando parla delle vergini, egli dice: "Non ho un ordine del Signore, ma esprimo un parere". Ha forse voluto respingere la verginità? Niente affatto. Nel caso della vergine esprime un parere, nell’altro caso invece fa una concessione. In nessuno dei due casi dà un ordine, ma non per lo stesso motivo: nel caso del matrimonio, onde evitare che qualcuno che voglia liberarsi dell'intemperanza riceva un divieto perché vincolato dall’obbligo di un comandamento; nel caso delle vergini, per evitare che qualcuno, non riuscendo ad elevarsi fino alla verginità, venga condannato come trasgressore di un precetto. "Non comando di restare vergini - egli dice - perché temo la difficoltà dell'impresa. Non comando di avere continui rapporti con la moglie, perché non voglio legittimare l'intemperanza. Ho detto "state insieme" perché voglio impedirvi di precipitare, non perché voglio ostacolare il desiderio di salire in alto".
8. Paolo non vuole dunque in primo luogo che si abbiano sempre rapporti con la moglie: è stata l’intemperanza dei pigri a prescrivere questo. Se vuoi sapere qual è il desiderio di Paolo, ascolta: "Voglio - egli dice - che tutti siano come me", vale a dire continenti. Se vuoi che tutti siano continenti, vuoi che nessuno si sposi. "Non per questo però vieto il matrimonio a chi lo desidera né accuso, ma faccio voti e desidero che tutti siano come me; d'altra parte, permetto il matrimonio a causa della fornicazione. Per questo all’inizio dissi: "è bene per l’uomo non toccare la donna".
XXXV. Era necessario che Paolo s'indicasse come esempio di continenza
1. Perché mai Paolo parla qui di sé dicendo "voglio che tutti gli uomini siano come me"? Non certo per esaltarsi: egli era colui che, pur essendosi distinto tra gli apostoli nella fatica della predicazione, si riteneva indegno perfino di essere chiamato apostolo. Dopo avere detto infatti "Sono il più piccolo degli apostoli", nel timore di avere pronunziato una parola che oltrepassava i suoi meriti, si riprese subito aggiungendo: "Non sono degno di essere chiamato apostolo". Come mai allora qui si aggiunge come esempio alla sua esortazione? Non l'ha fatto senza motivo o a caso, ma perché sapeva bene che i discepoli si lasciano condurre all'imitazione delle cose belle soprattutto quando ricevono l'esempio dai maestri. Come colui che è saggio solo nelle parole e non nelle opere non è di grande aiuto all'ascoltatore, così colui che è in grado di mostrare di avere messo in pratica i consigli che dà riesce a trascinare meglio l’uditorio. Inoltre, Paolo si mostra libero dall'invidia e dall'orgoglio: vuole che i suoi discepoli siamo partecipi di questo privilegio, non cerca di avere nulla in più di loro e desidera che essi l'eguaglino in tutto.2. Devo ricordare anche il terzo motivo. Di che cosa si tratta? La cosa sembrava difficile, e non alla portata dei più. Nell'intento di mostrare che era invece molto facile, egli cita come esempio colui che l'aveva realizzata, perché i discepoli non credessero che costasse molta fatica e perché, guardando la loro guida, potessero anch'essi incamminarsi fiduciosi per la stessa strada. Così si comporta anche in un'altra occasione. Parlando ai Galati, e cercando di dissipare la paura che avevano della legge, e che li faceva ricadere nelle vecchie usanze e li costringeva ad osservare molti di quei precetti, che cosa dice? "Diventate come me, perché anch'io sono come voi". Ciò che vuol dire è questo: "Non potete affermare che io, convertitomi ora dal paganesimo senza conoscere la paura prodotta dalla trasgressione della legge, vi voglio insegnare impunemente tutte queste cose. Anch'io sono stato una volta asservito a questa schiavitù come voi: mi sottomettevo alle prescrizioni della legge, ne osservavo i precetti, ma una volta illuminato dalla grazia ho trasferito tutto me stesso a quest'ultima, abbandonando la prima. Questo non rappresenta più una trasgressione "se ci sottomettiamo ad un altro uomo": di conseguenza, nessuno di voi può dire che io agisco in un modo ed esorto in un altro, né che, badando alla mia sicurezza, vi caccio in un pericolo. Se la cosa fosse stata pericolosa, non avrei tradito me stesso trascurando la mia salvezza". Come in quest'altro caso dissipò la loro paura citandosi come esempio, così anche nel nostro, mettendosi in mezzo, intende eliminare la loro angoscia.
XXXVI. L'apostolo chiama "grazia" la verginità perché vuole essere umile
1. "Ma ciascuno — dice Paolo — ha la propria grazia, chi in un modo, chi in un altro. Osserva come i tratti caratteristici dell'umiltà dell'apostolo non svaniscano mai, ma risplendano sempre in modo distinto. Egli chiama grazia di Dio la propria azione virtuosa, ed attribuisce al Signore tutto il frutto delle sue grandi fatiche. Ma perché ci si dovrebbe meravigliare se si comporta così a proposito della continenza, quando assume lo stesso atteggiamento nei riguardi della predicazione, per la quale sopportò infinite fatiche, tormenti continui, sofferenze indicibili, ed andò incontro a quotidiani pericoli di morte? Che cosa dice in proposito? "Mi sono affaticato più di tutti loro: non io però, ma la grazia di Dio che è in me". Non attribuisce una parte del merito a sé ed un'altra a Dio, ma fa risalire tutto a Dio. E' proprio di un buon servo credere che nulla gli appartenga e che tutto sia del padrone [e ritenere che nulla sia suo ma tutto del Signore].2. Paolo si comporta così anche altrove. Dopo avere detto "Riceviamo dei favori differenti, secondo la grazia che ci è stata concessa ", un poco più avanti annovera tra questi favori le cariche, le opere di misericordia e le elargizioni. A tutti è chiaro che queste cose sono azioni virtuose, e non favori. Ho voluto ricordarlo, perché quando gli senti dire "Ognuno ha la propria grazia" tu non ti scoraggi e non dica a te stesso: "La cosa non richiede il mio impegno, se Paolo l’ha chiamata grazia". Egli parla così per umiltà, non perché voglia annoverare la temperanza tra le grazie. Non era infatti sua intenzione contraddire in tal modo se stesso e Cristo; Cristo aveva detto: "Ci sono degli eunuchi che si sono resi eunuchi per il regno dei cieli", ed aveva aggiunto: "Chi è in grado d'intendere, intenda"; ed egli stesso aveva condannato le donne che dopo avere scelto la vedovanza non avevano voluto tener fede a questo proposito. Se si tratta di una grazia, perché le minacci dicendo "Vengono giudicate, perché hanno rinnegato la fede primitiva"? Cristo non ha mai punito coloro che non avevano la grazia, ma ha condannato sempre coloro che non davano prova di una vita retta: le cose che soprattutto cercava, erano la perfetta condotta di vita e le azioni irreprensibili. La distribuzione delle grazie non dipende dalla scelta di chi le riceve, ma dal giudizio di chi le offre. Per questo Cristo non loda mai gli autori dei miracoli, e toglie ai discepoli che se ne vantano questa soddisfazione, dicendo: "Non rallegratevi perché i demoni vi ubbidiscono". Coloro che vengono sempre considerati beati sono gli umili, i miti, i puri di cuore, i pacifici, coloro che hanno tutte queste qualità ed altre simili.
3. Lo stesso Paolo, enumerando i propri atti virtuosi, ricorda tra essi anche la continenza. Dopo aver detto "Nella grande perseveranza, nei tormenti, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle oppressioni, nei colpi, nelle prigionie, nelle sofferenze, nei tumulti, nelle veglie, nei digiuni. aggiunge: "nella purezza": non l'avrebbe fatto, se si fosse trattato di una grazia. Egli deride coloro che non la possiedono, chiamandoli intemperanti Perché colui che non dà in sposa la propria figlia vergine si comporta meglio? Perché la vedova che resta tale è più felice? Come ho detto prima, le beatitudini ed i castighi dipendono non dai miracoli, ma dalle opere. Perché mai Paolo dovrebbe insistere ancora sulle stesse raccomandazioni se la cosa non ci riguardasse ed oltre all'intervento di Dio non fosse necessario il nostro impegno? Dopo aver detto "Voglio che tutti gli uomini siano come me", vale a dire continenti, aggiunge: "Dico ai celibi ed alle vedove che è meglio restare come me". Di nuovo, e per lo stesso motivo, si cita come esempio: a suo parere, i suoi ascoltatori, avendo un esempio così vicino e diretto, avrebbero affrontato con più impegno le fatiche della verginità. Non meravigliarti se, dopo aver detto prima "Voglio che tutti siano come me", e dopo avere aggiunto qui "E' bene per loro restare come me", non ne spiega affatto il motivo. Non fa questo per vanagloria, ma perché pensa che sia sufficiente la sua convinzione personale, con la quale realizzò questa virtù.
XXXVII. Nelle seconde nozze accadono molte cose spiacevoli
1. Chi vuole ascoltare anche dei ragionamenti, esamini in primo luogo l'opinione comune, e poi ciò che si verifica in tali frangenti. Anche se i legislatori non puniscono le seconde nozze ma le consentono e le autorizzano, molte persone, sia in privato che in pubblico, ne parlano spesso male, dileggiandole, biasimandole e rifiutandole. Tutti respingono coloro che le contraggono come se fossero, per così dire, degli spergiuri; nessuno se la sente di farseli amici, o di stringere accordi con loro, o di concedere loro la benché minima fiducia. Le persone infatti, quando vedono che costoro scacciano dalla loro mente con tanta disinvoltura il ricordo di una familiarità, di un amore, di un’intimità, di una vita comune, sono vittime di una sorta di paralisi; non possono avvicinarli con animo del tutto sincero, perché li considerano volubili ed instabili, e li allontanano non solo per questi motivi, ma anche per le cose spiacevoli che si verificano.2. Dimmi: che cosa c'è di più spiacevole del fatto che ai molti gemiti, ai lamenti, alle lacrime, ai capelli in disordine, alle vesti nere, subentrino improvvisamente gli applausi, le camere nuziali, e delle agitazioni opposte alle precedenti, come se degli attori recitassero sulla scena e diventassero ora l'uno, ora l'altro personaggio? Sulla scena, si può vedere lo stesso attore nelle vesti ora di un re, ora del più povero degli uomini; nel nostro caso, colui che prima si rotolava vicino alla tomba, diventa improvvisamente sposo; colui che si strappava i capelli, porta di nuovo sullo stesso capo la corona; colui che era abbattuto e cupo, che spesso pronunziava piangendo molti elogi della sposa defunta di fronte a coloro che cercavano di consolarlo, che diceva che la vita gli era divenuta impossibile, che s'irritava contro chi cercava di distoglierlo dai suoi lamenti, spesso, proprio nel mezzo del suo lutto, si abbellisce e si adorna di nuovo, sorride alle stesse persone con gli stessi occhi con cui prima piangeva, si mostra affabile ed accoglie tutti con la stessa bocca con cui prima pronunciava degli scongiuri contro tutto.
3. Ma la cosa più pietosa è la guerra condotta contro i figli, provocata dalla leonessa che abita assieme alle figlie: tale veste assume sempre la matrigna. Da lei si originano i disordini ed i litigi quotidiani, e l'animosità strana ed insolita contro la defunta che non le dà alcun fastidio. I vivi colpiscono con l'invidia e ne sono colpiti, ma con i morti anche i nemici si rappacificano. Ciò non avviene però in questo caso: la polvere e la cenere sono oggetto d’invidia, la sepolta è bersaglio di un odio indicibile, colei che è divenuta terra riceve biasimi, motteggi ed accuse; un'inimicizia implacabile si accende contro colei che non ha fatto alcun male. Che cosa c'è di peggiore o di piú crudele di questa follia? La nuova sposa, che non ha ricevuto alcun torto dalla defunta — ma perché usare quest'espressione? La nuova sposa, che trae profitto dalle sue fatiche e che gode dei suoi beni, non cessa di combattere contro la sua ombra; ogni giorno colpisce con infiniti motteggi colei che spesso non ha neppure visto, si vendica di colei che non è piú, facendo del male ai suoi figli, e spesso, quando non riesce nel suo intento, aizza il marito contro di loro. Eppure, gli uomini trovano tutto questo facile e sopportabile, pur di non essere costretti a sottomettersi alla tirannia della concupiscenza.
4. La vergine, al contrario, non prova le vertigini di fronte a questo combattimento, e non fugge lo scontro che sembra cosí insostenibile ai piú, ma, grazie alla sua nobiltà d'animo, rimane ferma ed accetta la battaglia voluta dalla natura. Come la si può ammirare secondo i suoi meriti? Mentre infatti gli altri per non bruciare hanno bisogno di nuove nozze, lei, che non si è sposata neanche una volta, resta sempre santa ed incolume. Per questo motivo, ed ancora di piú perché pensava ai premi riservati nei cieli alla vedovanza, colui che fa parlare Cristo in sé disse: "E' bene per loro se rimangono come me". Non hai avuto la forza di salire fino alla cima piú alta? Raggiungi almeno quella che si trova subito dopo di essa: la vergine ti sia superiore solo in questo, nel non essersi lasciata vincere dal desiderio neanche una volta; nel tuo caso, invece, la concupiscenza, dopo averti vinto in un primo tempo, non è riuscita a tenerti sempre in suo potere. Tu hai vinto dopo una sconfitta, lei gode di una vittoria che non conosce sconfitte: solo all'inizio ti supera, mentre alla fine ti è pari.
XXXVIII. Perchè Paolo consola tanto le persone sposate, mentre non concede tregua alle fatiche della vergine
1. Come mai dunque Paolo consola le persone sposate fino al punto da non farle separare se una delle due non vuole, e da non prolungare il distacco avvenuto di comune accordo? Inoltre, se vogliono, concede un secondo matrimonio, perché non brucino. Verso le persone vergini, invece, non si mostra affatto cosí indulgente: mentre, dopo un breve intervallo, lascia di nuovo libere le persone sposate, alla vergine che non ha un attimo di respiro e che combatte continuamente, ingiunge di stare sempre al suo posto e di farsi bersagliare dai desideri, senza concederle neanche una piccola pausa. Perché mai non ha detto anche a proposito di lei: "Se non è continente, si sposi"? Perché neanche all'atleta si potrebbe dire, dopo che ha gettato via la veste, che si è unto, che è entrato nell'arena e che si è cosparso di polvere: "Ritirati e fuggi via dall'avversario"; al contrario, non può non verificarsi una di queste due eventualità: l'atleta se ne andrà o con la corona della vittoria, o pieno di vergogna, dopo essere caduto. Nel ginnasio e nella palestra, quando si esercita con altri che conosce bene, quando affronta gli amici come se fossero avversari, l'atleta è padrone d'impegnarsi o no; quando è invece iscritto alla gara, quando la folla si raduna nel teatro, quando l'arbitro è presente, quando gli spettatori sono seduti e l'avversario gli si trova di fronte, la legge della gara non gli lascia scelta.2. Anche per la vergine, prima che decida se sposarsi o no, il matrimonio non presenta alcun pericolo. Ma dopo che ha preso la decisione e si è iscritta, allora fa il suo ingresso nello stadio. Quando il teatro è affollato, quando gli angeli la guardano dall'alto, quando Cristo fa da arbitro, quando il diavolo s'infuria, digrigna i denti, è stretto nella lotta ed è afferrato alla vita, chi oserebbe farsi avanti e dirle: "Fuggi via dal nemico, rinunzia alle tue fatiche, lascia la presa, non abbattere l'avversario, non fargli lo sgambetto, e lasciagli la vittoria"?
3. Ma perché parlare delle vergim? Neanche alle vedove qualcuno oserebbe fare tale discorso, ma pronuncerebbe al loro indirizzo queste terribili parole: "Se mettono da parte Cristo e vogliono sposarsi, saranno giudicate, perché sono venute meno al primo impegno". Eppure, Paolo stesso dice: "Dico ai non sposati ed alle vedove che è megho se rimangono come me; se però non riescono ad essere continenti, si sposino". E ancora: "Se suo marito muore, è libera di sposare chi vuole, purché lo faccia nel Signore".
XXXIX. A quali vedove ed a quali vergini Paolo permette di sposarsi
1. Come mai danque Paolo condanna colei che lascia libera, e giudica illegittimo il matrimonio che dice "essere nel Signore"? Non temere: non si tratta dello stesso matrimonio, ma di due matrimoni diversi. Come, quando dice "Se la vergine si sposa, non pecca", intende parlare non di colei che ha rinunziato al matrimonio (è evidente a tutti che costei commette un peccato, ed un peccato intollerabile), ma di colei che, non ancora sposata, non ha preso ancora nessuma decisione in merito, ma resta indecisa tra le due soluzioni, cosí, per quanto riguarda la vedova, nel secondo caso intende parlare di quella che, non avendo piú il marito, non è ancora legata alla decisione presa liberamente e che è ancora libera di scegliere l'una o l'altra soluzione, mentre nel primo caso si riferisce a quella che non è piú padrona di stare con un altro sposo, e che si è impegnata nelle lotte della continenza.2. La vedova, se non ha ancora accettato di rimanere tale, può infatti, pur essendo vedova, non essere ammessa alla digmtà di questo stato. Per questo Paolo dice: "Venga ammessa alla dignità di vedova colei che ha non meno di sessant'anni e che è stata la moglie di un unico marito. Alla semplice vedova consente, se vuole, di risposarsi, mentre condanna aspramente la vedova che, dopo avere promesso a Dio di rimanere tale, poi si risposa calpestando il patto stretto con Dio. Non parla a quest'ultima, ma alla prima quando dice: "Se non sono continenti, si sposino; è meglio sposarsi che bruciare". Non vedi che il matrimonio non è mai ammirato di per sé, ma solo in rapporto alla fornicazione, alle tentazioni ed all'incontinenza? In precedenza aveva impiegato questi termini; ora invece, dopo averli fatti segno di violenti rimproveri, usa per la stessa cosa parole piú benevole, chiamandola incendio e fuoco.
3. Neanche qui però è riuscito a passare oltre senza rimproverare l'ascoltatore. Non ha detto infatti "Se subiscono violenze da parte dei desideri, se vengono sconvolti, se non possono". Non ha usato nessuna di queste espressioni, che si addicono a chi soffre ed è degno di perdono. Che cosa ha detto invece? "Se non sono continenti", frase che si riferisce a coloro che per pigrizia non vogliono impegnarsi: in tal modo, egli fa vedere che costoro, pur potendo riuscire, non riescono perché non vogliono faticare. Ciò nonostante, non li punisce né li condanna alla pena, ma si imita a non lodarli ed a mostrarsi severo solo con rimproveri verbali; non ricorda la procreazione, il motivo piú bello e piú nobile del matrimonio, ma solo il fuoco, l'imtemperanza, la fornicazione e le tentazioni sataniche, consentendo le nozze solo per evitare quei mali.
4. "E che importanza ha questo? — mi si potrebbe obiettare —. Finché il matrimonio tiene lontana la punizione, sopporteremo di buon grado ogni condanna ed ogni offesa: basta che ci sia consentito di godere dei piaceri e di soddisfare sempre i nostri desideri". E che cosa succederebbe, o caro, se, non potendo piú godere dei piaceri, ci attirassimo solo il biasimo? "Come? — mi si direbbe — non si può godere, dopo che Paolo ha detto "Se non sono continenti, si sposino"?".
5. Ascolta però anche le parole che vengono dopo di queste. Hai sentito che è meglio sposarsi che bruciare; hai accolto di buon grado il piacere, hai lodato la concessione, hai ammirato la condiscendenza dell'apostolo; ma non fermarti a questo: accetta anche quello che viene dopo, giacché l'una e l'altra prescrizione provengono dalla stessa persona. Che cosa dice dunque dopo? "Agli sposati prescrivo — non io, ma il Signore — che la moglie non si separi dal marito; se si separa, la moglie non si risposi, o si riconcili con il marito; ed il marito non ripudi la propria moglie.
XL. Aspra ed inevitabile è la schiavitú del matrimonio
1. Che cosa succede quando il marito è affabile, mentre la moglie è cattiva, incline al biasimo, ciarliera, prodiga — malattia quest'ultima che è comume a tutte le donne — e piena di molti vizi? Come farà il poveretto a sopportare questo tormento quotidiano, quest'orgoglio e quest'impudenza? E che cosa succede, se al contrario la moglie è modesta e mite, mentre il marito è insolente, portato al disprezzo, irascibile e gonfio di orgoglio per le sue ricchezze e la sua potenza, e tratta la consorte — che pure è libera — come una schiava, senza amarla piú delle ancelle? Come farà la sposa a sopportare tale costrizione e violenza? E che cosa succede, se il marito non fa che allontanarla, e continua a comportarsi cosí per tutta la vita? "Sopporta — dice l'apostolo — tutta questa schiavitú: sarai libera solo quando morirà; finché vivi, delle due l'una: o dovrai impegnarti molto per educarlo e renderlo migliore, oppure, se questo è impossibile, dovrai sopportare nobilmente questa guerra implacabile e questa battaglia senza tregua".2. Prima aveva detto: "Non separatevi se non di comune accordo". Qui, ingiunge alla sposa che si è separata di restare d'ora in poi continente anche contro la sua volontà. Dice infatti: "Non si risposi, oppure si riconcili con il marito". Vedi com'è presa tra due fuochi? O deve sopportare la violenza del desiderio, o, se non vuole farlo, adulare chi l'offende e consegnarsi a lui perché faccia di lei ciò che vuole: egli può infierire con le percosse, sommergerla di rimproveri, consegnarla al disprezzo dei servi o fare altre simili cose.
3. Molti mezzi sanno escogitare i mariti, quando vogliono punire le loro mogli. Se la sposa non sopporta tutto questo, deve praticare una continenza sterile: dico sterile perché le manca il presupposto adatto, in quanto è prodotta non dal desiderio di santità, ma dall'ira verso il marito "Non si risposi — dice l'apostolo — o si riconcili con il marito". "Che cosa accade, se non vuole piú riconciliarsi?" ci si potrebbe chiedere. Hai un'altra soluzione ed un'altra via di uscita. Quale? Attendi la sua morte.
4. Come infatti la vergine non può mai sposarsi perché il suo sposo vive sempre ed è immortale, cosí alla donna sposata è consentito di risposarsi solo quando muore il marito. Se infatti, mentre vive, potesse passare da lui ad un altro uomo, e poi da quest'ultimo ad un altro ancora, a che cosa servirebbe piú il matrimonio? In tal caso, gli uomini si prenderebbero gli uni le mogli degli altri senza piú distinzioni, e tutti si unirebbero con tutte le donne. E come non si deteriorerebbero i nostri rapporti con coloro che coabitano con noi, se ora l'uno, ora l'altro, ora altri ancora, convivessero con la stessa donna? Giustamente il Signore ha chiamato tale condotta adulterio.
XLI. Perché Dio consentì ai Giudei il ripudio
1. Come ha potuto dunque Dio permettere questo ai Giudei? E' chiaro che l’ha fatto a causa della durezza dei loro cuori, perché non riempissero le loro case del sangue dei congiunti. Dimmi, cos'è meglio, scacciare la sposa odiata o trucidarla in casa? Avrebbero fatto questo, se non avessero avuto il permesso di scacciarla. Per questo è detto: "Se la odi, ripudiala". Quando invece parla con le persone piú miti e con quelle alle quali non permette neppure di adirarsi, che cosa dice l'apostolo? "Se si separa, non si risposi". Vedi la costrizione, la schiavitú inevitabile, il legame che stringe entrambi? Un vero e proprio legame è infatti il matrimonio, non solo a causa del gran numero di preoccupazioni e di angustie quotidiame, ma anche perché costringe i coniugi a sottostare l'uno all'altro, in un modo piú severo di quello usato con i servi.2. E' detto: "Il marito abbia autorità sulla moglie". Ma quale guadagno ricava da tale signoria? Dio infatti, rendendolo a sua volta schiavo di colei che gli è sottoposta, ha escogitato un nuovo e strano scambio di schiavitú. Come i servi che hanno cercato di fuggire, quando vengono legati dai padroni sia uno per uno che l'uno all'altro e fissati da entrambe le parti ai ceppi con una breve catena, non possono camminare liberamente perché l'uno è costretto a seguire l'altro; cosí anche le anime delle persone sposate, pur avendo dei pensieri propri, subiscono la costrizione dovuta al legame che le stringe l'una all'altra: si tratta di una costrizione piú pesante di qualsiasi catena, perché le soffoca, le priva entrambe di ogni libertà, non dà mai il comando a nessuna delle due, ed insegna ad entrambe la facoltà di decidere. Dove sono coloro che sono pronti a sopportare tutte le condanne pur di essere consolati dal piacere?
3. In effetti, quando le liti e gli odi reciproci portano via molto tempo, una non piccola parte del piacere viene spesso annullata. La schiavitú dovuta al fatto che l'uno è costretto a sopportare suo malgrado la cattiveria dell'altro, basta a gettare un’ombra su ogni godimento. Per questo quel beato apostolo cercò in un primo tempo di frenare con le esortazioni l'impulso del desiderio, ricordando la fornicazione, l'intemperanza ed il fuoco. Accortosi però che queste parole di rimprovero non avevano molta presa sui piú, per distoglierli ricorse ad un argomento molto piú forte, quello che aveva fatto dire ai discepoli "Non conviene sposarsi": si tratta del fatto che nessuna delle persone sposate è piú padrona di sé. Egli non l'introduce sotto forma di esortazione, ma dà ad esso la costrizione del precetto e del comandamento. Mentre dipende da noi lo sposarsi o no, non dipende piú da noi sopportare la schiavitú non volontariamente, ma nostro malgrado.
4. E perché mai? Perché quando all'inizio la scegliemmo, non l'ignoravamo, ma conoscevamo bene le sue prescrizioni e le sue leggi, e ci sottomettemmo spontaneamente al suo giogo. Dopo avere parlato di coloro che coabitano con mogli non credenti, avere passato in rassegna minutamente tutte le leggi del matrimonio, avere fatto un discorso su servi ed avere consolato questi ultimi in misura sufficiente, esortandoli a non degradare con lo stato di schiavitú la loro nobiltà spirituale, Paolo passa quindi a parlare della verginità: già da tempo teneva dentro di sé queste parole e desiderava spargerle come semi, ma solo ora le fa venire alla luce; neanche durante il discorso sul matrimonio era però riuscito a tacere del tutto.
5. Nella sua esortazione al matrimonio ne aveva infatti parlato, sia pure in modo breve e frammentario: esercitate le orecchie e disposte bene le menti degli ascoltatori con quest'ottimo metodo, preparò per le sue parole il migliore ingresso. Dopo avere rivolto un'esortazione ai servi — "siete stati comprati ad un certo prezzo, non diventate schiavi degli uomini" -, dopo avere ricordato i benefici del Signore; dopo avere cosí innalzato ed elevato al cielo i pensieri di tutti, pronunziò il discorso sulla verginità dicendo: "Per quanto riguarda le vergini, non ho un ordine del Signore, ma esprimo un parere, giacché se sono credente, lo devo alla sua misericordia". Eppure, pur non avendo degli ordini, quando parlavi dei credenti sposati alle non credenti legiferavi con grande autorità e prescrivevi: "Agli altri parlo io, non il Signore: un fratello che ha una moglie non credente, se costei desidera vivere con lui, non la scacci".
6. Perché allora non ti esprimi allo stesso modo a proposito delle vergini? Perché su quest’argomento Cristo ha chiaramente manifestato il suo volere, vietando che la cosa assumesse la costrizione propria di un ordine. La frase "chi è in grado d'intendere, intenda" lascia l'ascoltatore libero di scegliere. Parlando della continenza, l'apostolo dice: "Voglio che tutti gli uomini siano come me", vale a dire continenti. E ancora: "Dico ai non sposati ed alle vedove: è una buona cosa se rimangono come me". Parlando invece della verginità, non si cita mai come esempio, ma si esprime con molta riservatezza e circospezione, perché egli stesso non era riuscito a realizzare questa virtú: "Non ho un'ordine, dice.
7. Egli dà il suo consiglio solo dopo avere lasciata libera la scelta ed essersi conquistato il favore dell'ascoltatore. Poiché infatti la parola "verginità", non appena profferita, fa subito pensare ad un gran numero di fatiche, non dà subito inizio alla sua esortazione, ma predispone prima il discepolo, lasciandolo libero di vedere o no nelle sue parole un ordine e rendendo la sua anima docile e malleabile: solo dopo aver fatto questo si spiega meglio. Hai sentito parlare di verginità, parola che comporta fatiche e sudori. Non temere: non hai a che fare con un ordine, né con la costrizione di un comandamento; la verginità concede in cambio i propri beni a coloro che l'abbracciano spontaneamente, di loro libera scelta, mettendo sul loro capo una corona splendida e fiorente, mentre non punisce né forza contro il suo volere chi la rifiuta e non la vuole avvicinare.
8. L'apostolo ha saputo eliminare dal suo discorso ogni aspetto sgradevole e renderlo piacevole non solo cosí, ma anche dicendo che non era lui, ma Cristo, a concedere questo favore. Non ha detto infatti: per quanto riguarda le vergini non comando, ma "non ho un comando". E' come se avesse detto: se avessi rivolto quest’esortazione mosso dai miei pensieri umani, non avrei meritato alcuna fiducia; ma poiché essa corrisponde ai voleri di Dio, il pegno della fiducia è sicuro. Sono privo della facolta di dare un simile ordine, ma se volete ascoltare uno che come voi è schiavo di Cristo, ricordatevi che "esprimo un parere, come un uomo che deve alla misericordia del Signore la sua fede in lui".
9. E' giusto ammirare, in questo contesto, la grande abilità ed intelligenza del beato apostolo: preso tra due esigenze contrarie, raccomandare la sua persona in modo che il suo consiglio trovasse una buona accoglienza e non vantarsi troppo giacché non aveva saputo raggiungere questa virtú, riuscí subito in entrambi gl’intenti. Dicendo "Come un uomo che deve alla misericordia del Signore", raccomanda in un certo senso se stesso; d'altra parte, non mettendosi troppo in luce nel momento in cui agisce cosí, si umilia e si abbassa.
XLII. Dell'umiltà di Paolo
1. Egli non ha detto infatti: esprimo un parere perché mi è stato affidato il messaggio evangelico, perché sono stato ritenuto degno di essere il predicatore dei popoli, perché sono stato incaricato di dirigervi, perché sono il vostro maestro e la vostra guida. Che cosa dice invece? "Perché devo alla misericordia del Signore la mia fede in lui": in tal modo, adduce un motivo meno importante. L'essere semplicemente un fedele è infatti meno importante dell'essere il maestro dei fedeli. Ma anche ad un altro modo di umiliarsi egli ha pensato. A quale? Non ha detto: perché sono divenuto un fedele di Cristo, ma perché "devo alla misericordia del Signore la mia fede". Non ritenere doni di Dio solo l'apostolato, la predicazione e l'insegnamento: anche la mia fede in lui viene dalla sua misericordia. Sono stato ritenuto degno della fede non perché ne fossi degno, ma solo perché sono stato commiserato; e la misericordia è frutto della grazia, non del merito.2. Di conseguenza, se Dio non fosse stato tanto misericordioso, non avrei potuto essere chiamato non solo "apostolo", ma neanche "fedele". Hai notato la buona disposizione d'animo del servitore, e la contrizione del suo cuore? Non si attribuisce nulla in piú degli altri, e quello che ha in comune con i suoi discepoli deriva, a suo dire, non da lui stesso ma dalla misericordia e dalla grazia di Dio usando queste parole, come se volesse dire: non rifiutatevi di accogliere il mio consiglio, giacché Dio non mi ha rifiutato la sua misericordia. Non rifiutatevi, anche perché si tratta di un parere, non di un ordine: dò un consiglio, non una legge. Nessuna legge ci proibisce di rivelare le cose utili che vengono in mente ad ognuno di noi, specie poi quando ciò avviene in seguito ad una richiesta degli ascoltatori, come nel vostro caso. "Penso — dice — che questa sia una buona cosa. Non vedi che il suo discorso si fa di nuovo umile, e si priva di ogni autorita? Avrebbe anche potuto dire: poiché il Signore non ha comandato la verginità, neanch'io la comando; visto che sono il vostro apostolo, mi limito a consigliarla e vi esorto ad imitarla.
3. Piú avanti, infatti, rivolgendosi a loro, dice: "Se per gli altri non sono l'apostolo, lo sono però per voi". Qui, invece, non dice nulla di tutto questo, ma usa le sue parole con molta circospezione: invece di "consiglio" dice "esprimo un parere", invece di "come maestro" dice "perché devo alla misericordia del Signore la mia fede im lui". E come se tutto ciò non bastasse a rendere dimesso il suo discorso, nel momento in cui comincia a dare i consigli ne diminuisce ancor piú l'autorità, in quanto non si limita ad enunciarli, ma ne spiega il motivo. "Penso che ciò sia una buona cosa — dice — a causa delle necessità presenti". Eppure, parlando della continenza, non aveva detto "penso", né aveva fornito spiegazioni, ma aveva detto soltanto "per loro è bene rimanere come me"; qui, invece, dice: "Penso che sia una buona cosa, a causa delle necessità presenti". Dicendo questo, non nutre dubbi sull'argomento — non sia mai! — ma intende rimettere tutto al giudizio degli ascoltatori. Il consigliere non pronunzia il verdetto con le sue parole, ma lascia dipendere tutto dalla decisione dell'uditorio.
XLIII. Quali sono le necessità presenti di cui parla Paolo
Quali sono le necessità presenti di cui parla qui? I bisogni naturali? Niente affatto. Innanzitutto, se avesse voluto alludere a questi, ricordandoli avrebbe prodotto un effetto contrario alle sue intenzioni, giacché chi vuole sposarsi intende soddisfarli sempre. In secondo luogo, non li avrebbe chiamati "presenti", giacché sono stati piantati nel genere umano non ora, ma da molto tempo; e mentre prima erano molto forti ed indomabili, ora invece, dopo la venuta del Signore e la crescita della virtú, possono essere vinti piú facilmente. Di conseguenza, non di essi parla l’apostolo, ma di un altro bisogno, che assume molte forme e molti aspetti. Di quale si tratta? Della perversione che regna nelle vicende della vita. Tale è la confusione, tale è la tirannia esercitata dalle preoccupazioni, tale è il numero delle difficoltà, che spesso chi si sposa è costretto anche suo malgrado a commettere peccati ed azioni cattive.XLIV. E' piú facile raggiungere il regno dei cieli con la verginità che con il matrimonio
1. Anticamente, in effetti, non ci veniva proposto un così alto grado di virtú: potevamo difenderci dalle offese, rispondere a chi ci biasimava, preoccuparci delle ricchezze, impegnarci con un giuramento, applicare la norma "occhio per occhio", odiare i nemici: non ci era proibito né vivere nel lusso, né adirarci, né scacciare una moglie e prenderne un'altra. Non solo, ma la legge ci consentiva di avere due mogli nello stesso tempo, e mostrava una grande indulgenza sia in queste cose che in tutte le altre. Dopo la venuta di Cristo, la strada si è fatta invece molto piú stretta: non solo è stata sottratta al nostro potere l'indescrivibile, enorme licenza che regnava in tutte le cose che ho enumerato, ma dobbiamo anche tenerci in casa la moglie, che spesso c'induce e ci costringe a peccare nostro malgrado; nel caso in cui volessimo scacciarla saremmo infatti rei di adulterio.2. Non solo per questo motivo ci è difficile raggiungere la virtú, ma anche perché, pur ammettendo che la donna che abita con noi abbia un carattere sopportabile, il gran numero di pensieri che ci circonda, causato da lei e dai suoi figli, non ci lascia alzare lo sguardo verso il cielo neanche un momento: a guisa di un turbine, scuote da ogni parte la nostra anima e la sommerge. L'uomo, anche se vuole condurre una vita senza rischi e quieta come un privato cittadino, quando si vede intorno i figli e la moglie che ha bisogno di molto danaro, suo malgrado si tuffa nell'onda degli affari pubblici. Una volta cadutovi, non si possono descrivere i peccati che è costretto a commettere adirandosi, usando modi violenti, giurando, rimproverando, comportandosi da ipocrita e compiendo molte azioni per compiacere o perché spinto dall'odio. Quando è sbattuto da tale tempesta e vuole diventare famoso, come può evitare di tirarsi addosso la grande sporcizia dei peccati? Se poi si considerano le faccende domestiche, si vede che il marito, a causa della moglie, è sommerso dalle stesse difficoltà, e anche da altre maggiori, giacché deve preoccuparsi di tante cose di cui non avrebbe bisogno se fosse solo. Questo succede quando la moglie è buona e mite. Se invece è cattiva, odiosa ed insopportabile, non si può piú parlare di bisogni, ma di supplizi e punizioni. Come potrà percorrere la strada che porta in cielo, che richiede piedi liberi e leggeri ed un'anima agile e spedita, se su di lui incombe il peso di tante faccende, se è legato a ceppi cosí forti, se è sempre trascinato verso il basso da tale catena, rappresentata dalla malvagità della moglie?
XLV. Per coloro che escogitano delle difficoltà superflue non c'è nessuna ricompensa
1. Ma qual è il saggio discorso che la gente comune fa per rispondere a tutte le difficoltà che abbiamo enumerato? Si dice: "Chi realizza la virtú pur tra così grandi costrizioni, non merita forse un onore maggiore?". "Per quale motivo, o mio caro?". "Perché sposandosi si è sobbarcato ad una fatica piú forte". E chi l'ha costretto a portare un tale carico? Se, sposandosi, avesse ubbidito ad un comandamento e non sposandosi avesse trasgredito la legge, questo discorso sarebbe accettabile. Ma se, pur essendo libero di non sottoporsi al giogo del matrimonio, preferisce mettersi in mezzo a così gravi difficoltà senza esservi costretto da nessuno, in modo da rendersi piú aspra la lotta per la virtú, tutto questo non riguarda l'arbitro della gara. Quest'ultimo, infatti, ha comandato una cosa sola: di condurre una guerra contro il diavolo fino al conseguimento della vittoria sulla malvagità. A lui non interessa affatto se questo fine viene raggiunto con il matrimonio, con i piaceri e con le molte preoccupazioni, oppure con l'ascesi, la mortificazione e la noncuranza per tutto il resto. Egli dice che il mezzo per ottenere la vittoria e la strada che conduce al trofeo sono rappresentati dal distacco da tutte le cose mondane.2. Poiché tu, pur avendo la moglie, i figli e le preoccupazioni che questi si trascinano dietro, vuoi fare una campagna e combattere per raggiungere gli stessi risultati conseguiti da coloro che non si trovano impigliati in nessuna di queste cose e per conquistarti quindi una piú grande ammirazione, forse ci tacceresti ora di presunzione, se ti dicessimo che non puoi arrivare alla loro vetta. Alla fine però il momento della premiazione ti farà capire che la sicurezza è di gran lunga preferibile alla vuota ambizione, e che è meglio ubbidire a Cristo che alla vanità dei propri pensieri. Cristo dice infatti che per raggiungere la virtu non basta che ci stacchiamo dalle nostre cose, se non odiamo noi stessi. Tu invece, pur essendo sporcato da esse, dici di poterle superare. Ma, come ho detto, in quel momento capirai bene quale ostacolo rappresentino per la virtú la moglie e le preoccupazioni relative.
XLVI. Come mai la Scrittura chiama la donna "aiuto dell'uomo" se gli è di ostacolo nella vita perfetta
1. "Come mai dunque — si dirà — la Scrittura chiama aiuto colei che è di ostacolo? E' detto infatti: facciamo un aiuto simile a lui". Ed io ti chiederò: come può essere un aiuto colei che ha privato l'uomo di tanta sicurezza, e che l’ha scacciato da quel meraviglioso soggiorno nel paradiso, gettandolo nel tumulto della vita presente? Tutto ciò può fare non chi aiuta, ma chi insidia. "La donna — è detto — è il principio del peccato, ed a causa sua noi tutti moriamo". Ed il beato Paolo dice: "Adamo non fu ingannato; fu la donna che, ingannata, commise la trasgressione.2. Come può dunque essere un aiuto colei che ha messo l'uomo in balia della morte? Come può essere un aiuto colei a causa della quale i figli di Dio, o per meglio dire tutti gli abitanti della terra, morirono sommersi assieme alle bestie, agli uccelli ed a tutti gli altri animali? Non sarebbe stata la donna la causa della perdizione del giusto Giobbe, se questi non fosse stato veramente uomo. Non fu la donna a provocare la rovina di Sansone? Non fece la donna del suo meglio, perché tutto il popolo Ebreo fosse iniziato al culto di Beelfegor e venisse trucidato per mano dei suoi fratelli? E chi piú di ogni altro consegnò al diavolo Acaab, e prima di lui Salomone, nonostante la sua grande sapienza e fama? Anche ora, non inducono spesso le donne i loro mariti ad offendere Dio? Non ha forse detto per questo il saggio "Qualsiasi cattiveria è piccola, se paragonata alla cattiveria della donna"?
3 "Come mai dunque — mi si chiede — Dio ha detto: "Facciamogli un aiuto simile a lui"? Dio non mente". Neanch'io lo dico — non sia mai! la donna fu fatta a tale scopo e per questo motivo, ma, al pari del suo compagno, non volle rimanere nella dignità che le era propria. L'uomo era stato creato da Dio a sua immagine e somiglianza: "Facciamo — disse infatti Dio — l'uomo a nostra immagine e somiglianza", cosí come disse "facciamogli un aiuto". Una volta creato però l'uomo perse subito entrambe queste prerogative. Non seppe conservare né l'immagine né la somiglianza — e come avrebbe potuto, se si consegnò all'assurdo desiderio, se divenne preda dell'inganno, e se non riuscí a vincere il piacere? L'immagine, suo malgrado, gli fu tolta per tutto il tempo successivo.
4. Dio lo privò di una non piccola parte del suo potere, del privilegio cioè di essere temuto da tutti come un padrone: allo stesso modo, il padrone fa sì che il servo ingrato che l'ha offeso venga disprezzato dagli altri servi. All'inizio, infatti, l'uomo incuteva paura a tutti gli animali. Dio li aveva condotti tutti da lui, e nessuno osava fargli del male o insidiarlo, perché si vedeva risplendere in lui l'immagine regale. Ma dopo che oscurò con il suo peccato questo carattere, Dio lo privò del potere.
5. Il fatto che egli non comanda su tutti gli animali della terra, ma trema di fronte ad alcuni di essi e li teme, non fa apparire falsa l'affermazione di Dio "Comandino sugli animali della terra": la mutilazione del potere dipese non da chi l'aveva concesso, ma da chi l'aveva ricevuto. Allo stesso modo, le insidie che le donne tendono agli uomini non rendono vana la frase "Facciamogli un aiuto simile a lui". La donna fu fatta a tale scopo, ma non vi restò fedele. A parte questo, si può anche obiettare che la donna dà il suo aiuto nel tipo di vita presente, per quanto riguarda la procreazione dei figli ed il desiderio fisico; ma quando questa vita era fuori questione e non esistevano né la procreazione né il desiderio, perché si parla di "aiuto" senza ragione? L'uomo, se nelle cose importanti ricorre all'aiuto di colei che è capace di assisterlo solo in quelle di pochissimo conto si accorge che non solo non gli è utile, ma l'incatena con le sue preoccupazioni.
XLVII. Come può la donna essere di aiuto nelle cose spirituali
1. Mi si obietterà: "Come potremo allora rispondere a Paolo, quando dice: "Come puoi sapere, o donna, se salverai tuo marito?" e quando dimostra che il suo aiuto è necessario nelle cose spirituali?". Io pure sono d'accordo. Non escludo affatto la donna dalla collaborazione nelle cose spirituali — non sia mai! Dico solo che vi riesce, quando non si occupa del matrimonio ma, pur rimanendo donna nella sua natura, si eleva alla virtú degli uomini beati. Non quando si adorna, non quando si dà ai piaceri, non quando chiede al marito sempre piú danaro, non quando è prodiga e portata a spendere, è in grado di conquistarlo: al contrario, può farlo solo quando, elevatasi al di sopra di tutte le cose contingenti, imprime in sé il carattere della vita apostolica; quando fa mostra di una grande mitezza, di una grande modestia, di un grande disprezzo per le ricchezze e di una grande rassegnazione; quando dice: "Se abbiamo di che nutrirci e di che coprirci, ci contentiamo", quando con il suo comportamento fa vedere di praticare tale filosofia e, disprezzando la morte del corpo, non attribuisce nessun valore alla vita presente; quando, secondo il detto del profeta, ritiene la gloria di questa vita un fiore di campo.2. La moglie, infatti, non è in grado di salvare il marito unendosi a lui nella sua qualita di sposa, ma soltanto facendo mostra di una vita condotta secondo il vangelo; molte donne sono riuscite in quest'intento anche al di fuori del matrimonio. Si racconta che Priscilla, accolto presso di sé Apollo, gli fece da guida per tutta la strada della verità. Anche se ora questo non è piú possibile, le spose possono sempre mostrare lo stesso impegno e raccogliere gli stessi frutti. Come ho detto prima, la sposa non trascina con sé il marito per il fatto di essere sposa, giacchè nessun marito che ha la moglie credente rimarrebbe non credente, se i rapporti coniugali e la coabitazione realizzassero veramente questo. Ma ciò non si verifica affatto: solo il far mostra di una grande filosofia e di una grande pazienza, il deridere le difficoltà del matrimonio, e l'adozione continua di una tale condotta giovano alla salvezza del coniuge; se invece la sposa insiste nella ricerca dei suoi diritti, non solo non aiuta il marito, ma lo danneggia. Per capire che anche cosí si tratta di un'impresa molto difficile, devi ascoltare ciò che dice l'apostolo: "Come puoi sapere, o donna, se salverai tuo marito?". Siamo soliti far uso di questo tipo di domanda, quando parliamo di eventi inverosimili.
3. Che cosa dice dopo? "Sei legato ad una donna? Non cercare di liberartene. Sei libero dal legame con una donna? Non cercarne una". Vedi come passa di frequente da un argomento al suo opposto e come mescola bene le due esortazioni dopo un breve intervallo? Come nel discorso sul matrimonio aveva speso alcune parole sulla continenza per risvegliare l'ascoltatore, cosí anche qui pronunzia delle parole sul matrimonio per farlo riposare. Comincia a parlare della verginità, ma prima di dire qualcosa sul suo conto si rifugia subito nel discorso sul matrimonio. La frase "Non ho un ordine" è di chi consente ed introduce il matrimonio. Dopo essere passato alla verginità ed avere detto "Penso che sia una cosa buona", accortosi che la frequente ripetizione del suo nome disturbava molto le orecchie delicate, non usa spesso questo termine: pur avendo fornito una ragione che da sola bastava ad incoraggiare le fatiche necessarie a realizzarla — si trattava dei bisogni presenti — non ha il coraggio di parlare di nuovo di "verginità". Che cosa dice invece? "E' bene per l'uomo restare cosí". Non procede nel suo discorso, ma dopo averlo troncato prima che sembrasse troppo severo, spende di nuovo delle parole sul matrimonio dicendo: "Sei legato ad una donna? Non cercare di liberartene". Se questo non fosse stato il suo scopo, se qui non avesse voluto incoraggiare, non avrebbe avuto alcun motivo di fare della filosofia sul matrimonio mentre dava dei consigli sulla verginità. Ritorna quindi a parlare della verginità, ma neanche ora la chiama con il suo vero nome. Che cosa dice? "Sei libero dal legame con una donna? Non cercarne una".
4. Ma non temere. Paolo non ha svelato tutto il suo pensiero, né ha legiferato. Il discorso sul matrimonio ritorna subito, dissipando i timori e dicendo "Se però ti sposi, non pecchi". Non devi però scoraggiarti: ti trascina di nuovo alla verginità. Questo è infatti proprio l'intento delle sue parole, là dove ci fa sapere che chi si sposa deve sopportare un forte tormento carnale. Come i medici più valenti e piú gentili quando devono somministrare una medicina amara o fare un taglio o una cauterizzazione o qualcun'altra di queste cose non fanno tutto insieme ma ad intervalli, e solo dopo avere fatto respirare un po' l'ammalato applicano quello che c'è ancora da applicare, allo stesso modo anche il beato Paolo non intesse nel suo discorso i consigli sulla verginità tutti insieme, senz'interruzione e continuamente, ma l'interrompe spesso parlando del matrimonio: nascondendo così la loro asprezza, rende le sue parole piú piacevoli e piú accette. Questo è il motivo per cui il suo discorso è cosí vario.
5. Vale ora la pena di esaminare le parole "Sei legato ad una donna? Non cercare di liberartene. Questa è una frase non di chi consiglia il matrimonio, ma di chi vuol mostrare la natura inesorabile del suo legame, che non offre scampo. Perché non ha detto "Hai una moglie? Non la lasciare. Convivi con lei, non allontanarti", ma ha chiamato "legame" quest'unione? Qui ha voluto mostrare la pesantezza di tale condizione. Poiché infatti tutti corrono al matrimonio come se si trattasse di una cosa piacevole, egli fa vedere come gli sposati non differiscano in nulla da prigionieri legati. Anche nel matrimonio se uno dei due tira anche l'altro deve seguirlo, e se uno dei due si ribella anche l'altro deve perire con lui.
Che cosa accade dunque, se mio marito è portato a cadere in basso ed io voglio essere continente? Devi seguirlo. La catena che il matrimonio ti ha messo intorno ti trascina e tit tira tuo malgrado verso colui che fin dall’inizio è legato assieme a te; se opponi resistenza e cerchi di romperla, non solo non ti liberi dai suoi legami, ma vai incontro alla più grave punizione.
XLVIII. La moglie che pratica la continenza contro il volere del marito sarà punita più di quest’ultimo, che pure si dà alla fornicazione.
1. La moglie che intende praticare la continenza contro il volere del marito non solo si priva dei beni che spettano alla continenza, ma si rende anche responsabile della sua fornicazione e viene accusata ancora più di lui. Come mai? Perchè, privandolo dell’unione legittima, lo spinge nel baratro della lussuria. Se non le è permesso di essere continente neanche per un breve periodo contro il volere del marito, quale perdono può trovare, quando lo priva costantemente di tale consolazione? Si ptrà dire: "Che cosa c’è di più grave di questa costrizione e di quest’insolenza?". Anch’io sono d’accordo. Perchè dunque ti ci sei sottoposta? Avresti dovuto fare questo ragionamento non dopo il matrimonio, ma prima.2. Per questo anche Paolo ricorda in un secondo tempo la costrizione derivante dal legame matrimoniale e passa quindi a parlare dell’assenza di tale legame. Dopo aver detto "Sei legato ad una donna? Non cercare di liberartene" aggiunge "Sei libero dal legame con una donna? Non cercarla". Si comporta così perchè tu, una volta esaminata bene e compresa la forza del giogo, sia più disposto ad accettare il discorso sul celibato. "Se ti sposi - egli dice - non pecchi; se la vergine si sposa, non pecca". Ecco dove finisce la grande virtù del matrimonio: nel non essere accusati, non nell’essere ammirati. L’ammirazione è infatti una prerogativa della verginità, mentre chi si sposa deve contentarsi di sentirsi dire che non ha peccato. "Perchè dunque - mi si dice - esorti a non cercare una moglie?". "Perchè una volta legati non ci si può più liberare, perchè la cosa comporta molti tormenti". "Dimmi - mi si ribatte -, l’unico guadagno che ricaviamo dalla verginità è la fuga dai tormenti di questa vita? E chi potrà sopportare la verginità per questo premio? Chi oserà impegnarsi in tale gara per prendere solo questa ricompensa dopo tanti sudori?".
XLIX. Perchè Paolo c’indirizza verso la verginità partendo dai piaceri di questa vita.
1. Che cosa dici? Mentre mi esorti a combattere contro i demoni - "la nostra lotta non si svolge contro il sangue e la carne" - mentre mi spingi a resistere alle follie della natura, mentre chiedi a me, fatto di carne e di sangue, di realizzare la stessa virtù delle potenze incorporee ricordi solo i beni della terra, e ti limiti a dire che non avremo i tormenti derivanti dal matrimonio? Perchè mai non ha detto "La vergine, se si sposa, non pecca, ma si priva dei beni della verginità, dei doni grandi ed ineffabili"? Perché non ha passato in rassegna i beni riservati alle vergini assieme all'immortalità? Perché non ha ricordato che esse, prese le lampade per andare incontro allo sposo, entreranno assieme al re nella camera nuziale coperte di gloria e fiduciose, e cne risplenderanno piú di ogni altro restando vicine a1 suo trono ed agli appartamenti regali? Di tutto ciò non fa la benché minima menzione, mentre dal principio alla fine del suo discorso ricorda la liberazione dai dispiaceri della vita. "Credo — egli dice — che questo sia una cosa buona". Tralasciando di aggiungere "a causa dei beni futuri", dice invece "a causa delle necessità presenti". Quindi, dopo aver detto "La vergine se si sposa non pecca", tace sull’argomento dei doni celesti di cui si priva, ed aggiunge soltanto "Costoro avranno i tormenti della carne".2. Egli mantiene quest'atteggiamento non solo fino a questo punto, ma fino alla fine. Non mette avanti la verginità parlando dei beni futuri, ma si rifugia sempre nello stesso motivo, dicendo "Il tempo è breve". Invece di dire "Voglio che voi nei cieli brilliate e che siate molto piú splendenti delle persone sposate", si trattiene sulle cose di quaggiú dicendo "Voglio che non abbiate preoccupazioni". Non si comporta cosí solo qui. Anche quando parla della sopportazione, batte nei suoi consigli la stessa strada. Dopo aver detto "Se il tuo nemico ha fame dagli da mangiare, se ha sete dagli da bere", dopo avere dato un tale ordine, dopo avere comandato di fare violenza ai bisogni naturali e di schierarsi in battaglia contro un fuoco cosí insopportabile, dopo avere evitato di parlare del cielo e dei beni celesti nel suo discorso sui premi, fa consistere la ricompensa nel danno subito da chi ha commesso il male: "Facendo cosí. accumulerai dei carboni ardenti sul suo capo".
3. Perché dunque ricorre a questo tipo di esortazione? Non per errore, o perchè ignori il modo di trascinare e convincere l'ascoltatore, ma perché possiede piú di tutti gli uomini la facoltà di persuadere. E questo da che cosa risulta? Dalle sue parole. In che modo? Parliamo innanzitutto di ciò che disse sulla verginità: si rivolgeva ai Corinzi, presso i quali giudicava opportuno di non dover conoscere nulla oltre a Cristo crocifisso, ai quali non poteva parlare come avrebbe parlato a persone spirituali, ai quali dava da bere il latte perché erano ancora carnali, ed ai quali, quando scriveva, muoveva questi rimproveri: "Vi ho fatto bere il latte, non vi ho dato un cibo solido. Non eravate in grado di prenderlo; neanche ora lo siete: siete ancora carnali, e camminate come gli uomini".
4. Per questo, quando li esorta alla verginità e cerca di distoglierli dal matrimonio, prende le mosse dalle cose di questa terra, vale a dire dalle cose visibili e sensibili. Sapeva bene che, partendo dalle cose terrene, avrebbe potuto trascinare meglio questi miseri, ancora attaccati alla terra ed attratti da essa. Perché mai infatti, dimmi, molti uomini ancora piú rozzi e materiali nelle piccole e grandi cose giurano su Dio e non hanno paura di spergiurare, mentre non sarebbero mai disposti a giurare sulla testa dei loro figli? Eppure, lo spergiuro e la punizione sono molto piú gravi nel primo che nel secondo caso; purtuttavia, tali uomini sono trattenuti piú dal secondo che dal primo giuramento.
5. Anche per quanto riguarda l'aiuto ai poveri, costoro non vengono stimolati tanto dai discorsi sul regno dei cieli, anche se ripetuti piú volte, quanto dalla speranza in qualcosa di utile per i loro figli e per loro stessi in questa vita. Diventano zelanti in tali aiuti soprattutto quando guariscono da una lunga malattia, quando riescono a scampare ad un pericolo, quando ottengono una carica od una magistratura; per farla breve, si può constatare che la maggior parte degli uomini viene spinta dalle cose che si trovano a portata di mano. Queste infatti, proprio perché si fanno maggiormente sentire data la loro vicinanza, nei momenti buoni rappresentano il piú forte incentivo, mentre in quelli dolorosi incutono maggiore paura. Per questo Paolo prese le mosse dalle cose piú vicine quando parlò ai Corinzi e cercò di abituare i Romani alla sopportazione.
6. In effetti l'anima debole, quando riceve un torto, non si libera tanto facilmente dal veleno dell'ira, se sente fare dei discorsi sul regno dei cieli e le vengono offerte delle speranze a lungo termine; questo invece si verifica, quando attende il momento di vendicarsi dell'offensore. Paolo, volendo distruggere il rancore alla radice e svuotare l'ira, ricorda ciò che riesce maggiormente a consolare l'offeso: senza privarlo dell'onore a lui riservato nella vita futura, per il momento cerca di farlo incamminare in qualche modo per la strada della filosofia e di aprirgli la porta della riconciliazione. La cosa piú difiicile è incominciare a realizzare la virtú: dopo quest'inizio, la fatica non è piú tanta.
7. Non si comporta però cosí nostro Signore Gesú Cristo quando parla della verginità o della tolleranza. Nel primo caso, ricorda il regno dei cieli: "Vi sono degli eunuchi — dice — che si sono resi tali per il regno dei cieli". E quando esorta a pregare per i nemici, non parla del danno che l'offensore deve ricevere, né ricorda i carboni ardenti: lascia che tutte queste cose vengano dette alle persone piccole e meschine, e nelle sue esortazioni prende le mosse da pensieri piú elevati. Di quali si tratta? "Affinché diveniate — dice — simili al padre vostro che è nei cieli". Guarda quant'è grande il premio. Coloro che ascoltavano queste parole erano Pietro, Giacomo, Giovanni e la rimanente schiera degli apostoli: per questo li attirava ricordando i premi spirituali. Paolo avrebbe fatto lo stesso, se il suo discorso si fosse rivolto a simili persone. Poiché però parla ai Corinzi, ancora imperfetti, concede loro subito il frutto delle loro fatiche, affinché si mettano a praticare la virtú con maggiore impegno.
8. Per questo anche Dio rinunziò ad annunziare agli Ebrei il regno dei cieli, ed accordò loro solo i beni terreni. Per le cattive azioni minacciò non la geenna ma le disgrazie di questa vita, quali la fame, la pestilenza, le malattie, le guerre, le prigionie ed altre simili. Da questi mali infatti vengono piú trattenuti gli uomini materiali, e questi mali temono maggiormente, mentre non tengono in nessun conto le cose che non si vedono e che non sono vicine. Per questo anche Paolo si dilunga di piú sugli argomenti che sono maggiormente in grado di far presa sulla loro rozzezza. Voleva inoltre mostrare che mentre alcuni degli altri beni ci caricano di fatiche in questa vita e riservano tutti i premi alla vita futura, la verginità invece, nel momento in cui viene realizzata, concede una non piccola ricompensa, liberandoci da tante fatiche e preoccupazioni. Assieme a questi due scopi egli ne raggiunse anche un terzo. Quale? Il far ritenere la verginità non impossibile, ma ben possibile. A tale scopo, egli mostra che il matrimonio procura molte piú difficoltà. E' come se dicesse a qualcuno: "La verginità ti sembra fonte di pene e di fatiche? Io ti dico invece che la devi praticare: è cosí facile, che ci procura un numero di gran lunga inferiore di preoccupazioni rispetto al matrimonio". "Proprio perché desidero risparmiarvi — egli dice — e non voglio che subiate tormenti, preferisco che non vi sposiate".
9. "Ma di quali tonnenti si tratta? — mi si potrebbe forse obiettare —. Al contrario, vediamo che il matrimonio procura un grande rilassamento e molti piaceri. Innanzitutto, il potere di soddisfare i propri desideri con tutta tranquillità senza dovere sopportare i violenti assalti della natura contribuisce non poco alla serenità della vita. In secondo luogo, il resto della vita non conosce piú né abbattimenti né squallore, ed è pieno di allegria, di risa e di gioia. La tavola è sontuosa, le vesti sono molli, il letto ancora più molle, i bagni sono continui, i profumi ed i vini non inferiori ai profumi sono a disposizione, al pari di tante altre cose dispendiose, di diverso genere: in tal modo essi servono la carne, procurandole molti piaceri.
L. Il piacere è considerato illegittimo sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento.
1. Innanzitutto, queste cose non sono consentite nel matrimonio, che è solito procurare soltanto la libertà degli accoppiamenti, e non quella di godere i piaceri. Ne è testimone il beato Paolo quando dice: "La donna che vive nella dissolutezza è morta". E se si obietta che queste parole sono state pronunziate a proposito delle vedove, ascolta ciò che dice alle donne sposate: "Analogamente, le donne devono essere vestite in modo decente, e adornarsi con ritegno e temperanza, non con trecce, ori, perle e vesti sfarzose, ma cosí come si addice alle donne che manifestano la loro religiosità attraverso le buone opere". Non solo in questo passo, ma anche in altri si può notare la sua grande insistenza sulla necessità di non ricercare tali cose.2. Dice infatti: "Se abbiamo di che nutrirci e coprirci, ci contentiamo. Chi vuole essere ricco, diviene preda di desideri stolti e dannosi, che fanno precipitare gli uomini nella rovina e nella perdizione". Ma perché parlare di Paolo, che pronunziava tali parole all'epoca della somma filosofia e dell'abbondante grazia dello spirito? Ascolta come il profeta Amos attacca aspramente coloro che si danno ai piaceri: eppure, parlava agli Ebrei ancora bambini, in un tempo in cui erano consentiti il lusso, lo sfarzo e per così dire tutte le cose superflue. Dice: "Guai a coloro che vanno verso il giorno cattivo, che si avvicinano ai falsi sabati fino a toccarli, che dormono su letti di avorio, che sono dissoluti sui loro giacigli, che mangiano i capretti del gregge ed i vitelli da latte presi dalle mandrie; che battono le mani al suono degli strumenti, che bevono il vino filtrato e che si ungono con i profuni piú preziosi: pensano che questi beni siano stabili e non caduchi".
LI. Anche se il piacere fosse permesso, i dolori prodotti dal matrimonio basterebbero a distruggerlo.
Come ho detto, in primo luogo i piaceri non erano consentiti; ma anche se non fossero stati vietati e se tutto fosse stato permesso, va ricordato che altri fattori opposti sono causa di tristezza e di dolore; anzi, sono tanto piú numerosi e piú forti dei piaceri, che non è possibile provare questi ultimi neanche un poco: essi si dileguano completamente.LII. Del grande male rappresentato dalla gelosia.
1. Dimmi: se un uomo è per natura geloso, o se un pretesto infondato lo fa divenire preda di questo male, che cosa è piú pietoso di quest'anima? Quale guerra, quale tempesta possiamo paragonare alla sua casa, per ottenere un'immagine fedele? Tutto gronda di dolori, di sospetti, di discordia e di confusione. Chi è colpito da tale pazzia non sta meglio degl'indemoniati o di coloro che sono vittime di una malattia mentale: continuamente scatta e si slancia, odia tutti e sfoga la sua ira sui presenti anche se non hanno colpa, si tratti dei servi, dei figli o di qualsiasi altro. Ogni gioia è scacciata, e tutto è pieno di tristezza, di dolore e di avversione. Rimanga a casa, vada in piazza o intraprenda un viaggio, fa sempre nascere questo terribile male, che è peggiore della morte e che eccita ed irrita la sua anima senza lasciarla mai tranquilla. In effetti, tale malattia è solita produrre non solo la tristezza, ma anche un'ira intollerabile. Ciascuno di questi mali è sufficiente da solo a rovinare la sua vittima; quando però tutti insieme la cingono d'assedio e la stringono continuamente senza permetterle di respirare neanche per un breve momento, quante morti sarebbero peggiori? Neanche l'estrema povertà, neanche una malattia inguaribile, neanche il fuoco o il ferro possono essere definiti mali uguali: soltanto coloro che l'hanno sperimentata lo sanno bene. Quando il marito si vede costretto a sospettare sempre della donna che ama piú di ogni altra persona, e per la quale darebbe volentieri la propria vita, che cosa è piú in grado di consolarlo?2. Se deve mangiare e bere, l'uomo geloso pensa che la tavola sia piena di veleni mortali piuttosto che di vivande; e quando si corica e giace sul letto, non riesce a stare quieto neanche un momento, ma si agita e si rivolta come se avesse sotto di sé dei carboni: né la compagnia degli amici, né il pensiero degli affari, né la paura dei pericoli, né lo smodato piacere né alcun'altra cosa è in grado di allontanarlo da tale tempesta, che s'impadronisce della sua anima più di qualsiasi gioia e dolore. Tenendo presente questo, Salomone disse: "Dura come la morte è la gelosia", e "l'animo di suo marito è pieno di gelosia; nel giorno del giudizio non la risparmierà: nessuna ricompensa muterà il suo odio, ed i molti doni non varranno a dissolverlo".
3. Cosí forte è la pazzia prodotta da questa malattia, che neanche il castigo del colpevole riesce ad eliminare il dolore. Spesso molti mariti, pur avendo ucciso l'adultero, non riescono ad estirpare l'ira e lo scoraggiamento. Ci sono amche uomini che, dopo avere ucciso le proprie mogli, si lasciano consumare dal fuoco della gelosia in misura simile o anche maggiore. Il marito vive in preda a questi mali, anche quando non c'è nulla di vero; e la moglie misera e sfortunata deve sopportare dolori ancora piú forti di quelli del coniuge. Quando infatti vede imbestialirsi e diventare nemico piú di ogni altro l'uomo che avrebbe dovuto consolarla da tutti i dolori e da cui avrebbe dovuto attendersi ogni assistenza, dove potrà piú guardare? Dove dovrà fuggire? Dove potrà trovare la liberazione dai suoi mali, se il porto è coperto e pieno di un’infinità di scogli?
4. Allora i servi e le serve la trattano in modo piú oltraggioso di suo marito. Questa razza di persone è sempre infida ed ingrata, ma quando può prendersi una maggiore libertà e vede padroni in discordia tra loro, considera tale guerra un ottimo pretesto per oltraggiare. In questi momenti, possono infatti inventare ed immaginare tutto ciò che piace loro senza alcun timore, e con le loro calunnie accrescono i sospetti. L'anima del marito, una volta divenuta preda di tale funesta malattia, crede volentieri a tutto, ed aprendo le orecchie a tutti indifferentemente, non riesce a distinguere i calunniatori da coloro che non lo sono. Anzi, sembrano dire la verità piú coloro che accrescono i sospetti che coloro che cercano di dissiparli.
5. La moglie deve quindi temere non meno del marito gli schiavi pronti a fuggire che vivono nella sua casa e le loro mogli, e prendere il loro posto abbandonando il rango che le è proprio. Quando potrà vivere senza piangere? In quale notte? In quale giorno? In quale festa? Quando potrà evitare i sospiri, i lamenti, i gemiti? Continuamente la colpiscono le minacce, le offese e gli oltraggi sia del marito che ha ricevuto una ferita inunaginaria sia dei servi miserabili; custodi e spie la sorvegliano, e tutto è pieno di paura e di tremito. Non solo vengono sorvegliate le sue entrate e le sue uscite, ma vengono esaminate con molta attenzione anche le sue parole, i suoi sguardi, i suoi sospiri: in tal caso, o deve rimanere piú immobile di una pietra, sopportare tutto in silenzio e restare sempre inchiodata alla camera nuziale peggio di un prigioniero; o, se vuole parlare, lamentarsi ed uscire, deve rendere conto di tutto a questi giudici corrotti — parlo delle ancelle e della folla dei domestici.
6. Se vuoi, in mezzo a tutte queste disgrazie metti pure le ricchezze indescrivibili, la sontuosità della mensa, le schiere dei servi, lo splendore della stirpe, la grande potenza, la grande fama, il lustro degli antenati; non lasciare nessuna delle cose che sembrano rendere invidiabile questa vita; metti tutto insieme con attenzione, e raffrontalo con questi tormenti: vedrai che il piacere prodotto da tali cose non è neanche una parvenza, e si dilegua com'è naturale che si spenga una scintilla che cade in un vasto mare. Ciò succede quando è il marito ad essere geloso; quando invece la malattia si trasferisce alla moglie — e questo accade non di rado — il marito si trova in migliori condizioni di lei, mentre la maggior parte del dolore si riversa di nuovo sulla poveretta, che non può fare uso delle stesse armi nei confronti del marito di cui sospetta. Quale marito potrebbe infatti mai accettare l’ordine della moglie di rimanere sempre in casa?
7. Quale servo può d'altra parte avere il coraggio di sorvegliare il padrone, senza essere subito gettato da un precipizio? La moglie non può consolarsi con questi mezzi, né dare sfogo alla propria ira con le parole: il marito può forse sopportare questo suo malumore una o due volte, ma se lei continua sempre ad accusarlo le insegna subito che è meglio sopportare tutto in silenzio e consumarsi. Questo accade quando c'è un semplice sospetto. Quando invece il male è reale, nessuno può sottrarre la moglie alle mani del marito offeso, che, invocando in suo soccorso le leggi, conduce in tribunale la persona a lei piú cara e la fa uccidere. Il marito, al contrario, può sfuggire alla pena della legge, anche se gli è riservata la condanna celeste, quella di Dio. Ciò non basta però a consolare la misera, che va necessariamente incontro ad una morte lenta e pietosa, prodotta dagl'incantesimi e dalle pozioni approntate dalle adultere. Vi sono poi delle adultere che non hanno bisogno di ricorrere a questi mezzi insidiosi nei confronti delle loro vittime, perché queste vengono rapite prima dalla morte, data la veemenza della loro disperazione. Di conseguenza, anche se tutti gli uomini corrono al matrimonio, le donne non devono inseguirlo. Non possono dire che la tirannia del desiderio è troppo forte; d'altra parte, come il nostro discorso ha dimostrato, sono esse a raccogliere il maggior numero dei mali del matrimonio.
8. "E che? — mi si obietta —. Questa disgrazia tocca a tutti i matrimoni?". Essa però non resta lontana da ogni matrimonio, mentre si tiene ben lontana da ogni persona vergine. La donna sposata, anche se non ne è vittima, è sempre vittima della paura che essa produce: colei che intende convivere con un uomo non può non soppesare e temere le cose brutte collegate con tale convivenza. La vergine, al contrario, resta esente non solo dalle disgrazie, ma anche dai sospetti. "Questo però non si verifica in tutti i matrimoni". Neanch'io lo dico; ma anche se non capita un male, ce ne sono molti altri, e se si sfugge ad uno, non è possibile sfuggire a tutti quanti: come, nel caso delle spine che si attaccano alle vesti quando si attraversa una siepe, se ci si volta per toglierne una si è punti da molte altre, così nella vita matrimoniale chi sfugge ad un male è trafitto da un altro, e chi ne evita uno inciampa in un altro; in una parola non si può trovare un matrimonio in cui manchino completamente i dispiaceri.
LIII. Il matrimonio con una donna ricca non è invidiabile, e provoca piú dolori del matrimonio con una donna povera.
Ma, se vuoi, lasciamo da parte tutti gli aspetti spiacevoli, e prendiamo ora in esame più da vicino la cosa che nel matrimonio sembra rappresentare la somma felicità e che spesso molti, anzi tutti si augurano di ottenere. Di che cosa si tratta? Del prendere in sposa, quando si è poveri, semplici e modesti, una moglie discendente da una famiglia importante, potente e molto ricca. Ma questa cosa così invidiabile si rivela in realtà foriera di disgrazie non minori di quelle dell’altro matrimonio tanto detestato. Le donne sono una razza portata più di ogni altra all'alterigia ed alla debolezza, e divengono più facilmente preda di queste malattie. Quando poi hanno a portata di mano un gran numero di pretesti per manifestare la loro alterigia, nulla più le trattiene: come la fiamma che si attacca ad una materia, si gonfiano in un modo indicibile, e sconvolgono ogni ordine, mettendo tutto sottosopra. In tal caso infatti la moglie non consente al marito di rimanere il capo, ma, spinta dalla sua presunzione e demenza, lo scaccia da questo posto e lo relega in una posizione subordinata, che invece spetterebbe a lei: così, è lei a diventare il capo. Che cosa c'è di peggio di quest'anomalia? Non parlo poi dei rimproveri, delle offese, dei dispiaceri, cose più insopportabili di ogni altra.LIV. Se si riesce a sottomettere la moglie ricca, i dispiaceri si fanno ancora piu grandi .
E se si dicesse — l'ho sentito dire a molti, quando capita di fare questi discorsi: "Mi basta che sia molto ricca; per me, non è un problema sottometterla ed umiliare la sua presunzione"; se si dicesse questo, innanzitutto si mostrerebbe d'ignorare che si tratta di un'impresa molto difficile. In secondo luogo, anche se si riuscisse, il danno non sarebbe lieve. Il fatto che la moglie viene sottomessa al marito con la costrizione, il timore e la violenza è molto più penoso e doloroso dell'esercizio di un pieno potere su di lui. Come mai? Perché questa violenza scaccia ogni amore ed ogni piacere; e quando non c'è né l'amore né il desiderio amoroso, ed al loro posto subentrano la paura e la costrizione, che cosa vale più un simile matrimonio?LV. Sposare un uomo piu ricco è un male insopportabile.
Questo accade quando è la moglie ad essere ricca. Se invece la moglie non ha nulla mentre il marito è ricco, la moglie, invece di essere sposa, diventa serva, e da donna libera che era si trasforma in schiava: perduta la sicurezza propria del suo rango, non si trova in una situazione migliore di quella degli schiavi comprati; e se il marito vuol fare lo sregolato o ubriacarsi o portare nel suo letto una folla di cortigiane, deve o sopportare tutto e fare buon viso, o abbandonare la casa. E questa non è la sola cosa brutta: quando il marito è così, la moglie non è in grado di comandare liberamente né i servi né le ancelle; vivendo come un'estranea, godendo di cose che non le appartengono, e coabitando con un padrone più che con un marito, è costretta a fare tutto ed a soffrire. Qualora poi un uomo volesse sposare una donna di condizione simile alla sua, la legge della sottomissione rovina ogni uguaglianza, anche se l'entità del patrimonio spinge la moglie a considerarsi uguale al marito. Che cosa si può fare di fronte a difficoltà così grandi, che insorgono ad ogni passo? Non citarmi come esempio i matrimoni — molto pochi e facili a contarsi — che sfuggono a questi mali: è bene definire le cose non in base alle eccezioni, ma in base a ciò che capita di regola.LVI. La donna sposata è costretta a soffrire molti dolori
1. E' ben difficile, anzi è impossibile che questi mali si presentino durante lo stato verginale, mentre è difficile che non capitino durante il matrimonio. E se nei matrimoni che sembrano felici insorgono così forti dispiaceri e così gravi disgrazie, che cosa si dovrebbe dire e a proposito dei matrimoni che, per comune ammissione, sono fonte di dolori? E' fatale che la donna, anche se deve morire una volta sola, non tema la morte di una sola persona e che non si preoccupi di un'unica vita, pur possedendone una sola: grande è la sua trepidazione per il marito, per i figli, per le loro mogli e per i loro figli, e quanto più la radice si divide nei vari rami, tanto più si moltiplicano le sue ansie. Se a qualcuna di queste persone capita o un danno economico o una malattia fisica o qualche altro male non voluto, essa deve affliggersi e lamentarsi non meno delle vittime dirette. Quando tutti i congiunti muoiono prima di lei, il dolore le diventa insopportabile; quando invece alcuni restano in vita, mentre altri sono rapiti da morti premature, neanche in questo si può trovare una vera e propria consolazione.2. L'ansia per le persone vive che continua a scuotere l'anima non è inferiore al dolore che prova per i morti ma lo supera, per quanto strano ciò possa sembrare. Il tempo suole infatti mitigare la tristezza prodotta dalle morti, mentre le preoccupazioni per i vivi sono destinate a continuare sempre, e a cessare solo con la morte. Quale vita conduciamo se, non contentandoci dei nostri dolori, siamo costretti a piangere sulle disgrazie altrui? Spesso molte donne discendono da genitori illustri, vengono allevate nei più grandi agi e vengono fatte sposare ad uomini molto potenti; eppure all’improvviso, prima ancora di potere assaporare questa felicità, al sopraggiungere di una calamità simile ad una tempesta o ad una burrasca, vanno a fondo e sperimentano gli orrori del naufragio; dopo aver goduto di un'infinità di beni prima del matrimonio, una volta sposatesi piombano nell'estrema disgrazia. "Ma questo — mi si obietta — non suole accadere in tutti i matrimoni né si verifica sempre". Ed io torno a ripetere: non si può però neanche dire che tutti i matrimoni ne siano esenti: da una parte, alcune persone fanno diretta esperienza di tali disgrazie; dall'altra, quelle che sono riuscite ad evitare la prova sono angustiate dall'attesa. Ogni vergine, invece, rimane al di sopra di ogni prova e di ogni attesa.
LVII. Dei dolori che colpiscono ogni matrimonio.
1. Ma se vuoi lasciamo stare tutto questo ed esaminiamo ora i mali che la natura assegna al matrimonio ed ai quali nessuno può sfuggire, lo voglia o no. Quali sono? I dolori del parto, la generazione ed i figli. Ma riprendiamo il discorso da un punto più alto, e cerchiamo di capire ciò che avviene prima del matrimonio, per quanto ci è possibile (queste cose le conosce infatti con esattezza soltanto chi le ha sperimentate). E’ giunto il tempo del fidanzamento, e subito preoccupazioni di vario tipo si affollano nella mente della donna: l'uomo che sta per sposare può avere dei bassi natali o una cattiva reputazione, o può essere arrogante, ingannatore, millantatore, insolente, geloso, meschino, sciocco, malvagio, duro, effeminato. Certo, non è detto che tutti questi mali debbano colpire tutte le donne che si sposano; ma è fatale che tutte se ne preoccupino molto. Quando non si conosce ancora l'uomo assegnato e le speranze sono incerte, l'anima della donna trema piena di timore di fronte a tutto e pensa a tutti i mali possibili. Chi poi dicesse che essa potrebbe rallegrarsi pensando ai beni contrari, sappia che la speranza dei beni non ci consola nella stessa misura in cui ci addolora il timore dei mali. I beni producono la gioia solo quando poggiano su speranze sicure, mentre i mali, anche quando vengono soltanto sospettati, subito scompigliano e sconvolgono l’anima.2. Come nel caso degli schiavi l'incertezza sui futuri padroni non dà tregua alle loro anime, così l'anima delle vergini, per tutto il periodo del fidanzamento, assomiglia ad una nave sbattuta dalla tempesta. Ogni giorno i loro genitori accolgono o scacciano i pretendenti; il pretendente che ieri ha vinto può essere oggi vinto da un altro, il quale può a sua volta essere scacciato da un altro ancora. Accade anche che alla vigilia stessa del matrimonio quello che era ritenuto lo sposo se ne vada a mani vuote, mentre un altro a cui non si pensava affatto riceve in sposa la ragazza dai genitori. E non solo le donne, ma anche gli uomini hanno forti preoccupazioni: mentre sul conto degli uomini ci si può informare, come ci si può informare sul carattere o sull'aspetto di una donna che rimane sempre chiusa in casa? Questo accade all'epoca dell'innamoramento. Quando poi si giunge al matrimonio, l’angoscia cresce e le paure soverchiano le gioie; la sposa teme di sembrare già dalla prima sera poco attraente e di gran lunga inferiore alle aspettative del marito. Essa può sopportare un disprezzo successivo, che subentra all'ammirazione iniziale; ma se, per così dire, suscita repulsione fin dal punto di partenza, quando potrà mai essere ammirata?
3. E non dire: "Che cosa succede invece se è bella?". Neanche in questo caso si libera dalle sue preoccupazioni. Molte donne splendenti nella loro bellezza fisica non riescono a catturare i loro mariti, che abbandonano per darsi ad altre inferiori a loro. E anche quando questa preoccupazione svanisce, ne sopraggiunge un'altra: nuovi dispiaceri insorgono al pagamento della dote, quando il suocero non la dà volentieri perché sa di dare un deposito a fondo perduto, e quando lo sposo, pur essendo ansioso di prenderla, si vede costretto ad essere cauto nelle sue richieste di riscossione; la sposa si vergogna del ritardo ed arrossisce di fronte al marito, perché ha un padre che è il peggiore debitore. Ma ora tralascio tutto questo.
4. Anche se questa preoccupazione svanisce, subito subentrano la paura della sterilità e, in aggiunta, quella di una prole molto numerosa; se nessuna di queste due eventualità è ancora chiara, le spose fin dall'inizio del matrimonio sono agitate da entrambi i pensieri. Se la sposa diventa subito incinta, la gioia si mescola alla paura, perché da quest'ultima nulla nel matrimonio è disgiunto; si teme che il feto concepito vada distrutto in un aborto, e che la donna incinta corra l’estremo pericolo. Se invece prima del concepimento intercorre un lungo periodo di tempo, la donna si perde d'animo, come se il generare dipendesse da lei. Quando poi giunge il momento del parto, il ventre, già messo a dura prova per tanto tempo, è colpito e tirato dai dolori, che da soli bastano ad oscurare tutte le gioie del matrimonio. Oltre a questo, altri pensieri la turbano. La povera e sfortunata ragazza, pur essendo torturata da così forti dolori, teme non meno di questi di dare alla luce un figlio mutilato e storpio in luogo di un figlio integro e sano, o di avere una femmina invece di un maschio. Quest’angoscia, in effetti, non tormenta in quel momento le partorienti meno dei dolori del parto: hanno paura dei mariti non solo nelle cose di cui sono responsabili, ma anche — e in misura non minore — in quelle in cui sono esenti da qualsiasi responsabilità. Trascurando la propria sicurezza in un momento di così grave pericolo, si preoccupano di non far succedere nulla che sia sgradito al marito. E dopo che il bambino è caduto a terra ed ha emesso il primo vagito, si affacciano altre preoccupazioni, quelle relative alla sua incolumità ed al suo allevamento.
5. Ed anche se il bambino generato ha una buona natura ed è portato alla virtù, i genitori temono che gli capiti qualcosa di male, che sia vittima di una morte prematura, che si lasci prendere da qualche vizio. Non è vero soltanto che da cattivi si può diventare buoni: anche da buoni si può diventare vili e cattivi. E se si verifica qualcuno di questi eventi esecrabili, il dolore che ne deriva è più insopportabile di quello che si sarebbe provato se la stessa cosa fosse avvenuta all’inizio. Se poi tutte le qualità buone restano salde, la paura di un cambiamento continua sempre a scuotere l’animo dei genitori e ad eliminare una buona parte del piacere. "Ma non a tutte le persone sposate capita di avere figli". Ammetti dunque un altro motivo di tristezza? Quando gli sposi sono presi da differenti dolori e preoccupazioni, ci siano o no i figli, o siano essi buoni o cattivi, come possiamo chiamare piacevole la vita matrimoniale?
6. Se poi gli sposi vivono d'amore e d'accordo, si affaccia il timore che la morte venga a recidere il piacere. E' più esatto dire che in tal caso non si ha a che fare con una semplice paura: il male non consiste soltanto nella sua attesa, ma fatalmente si realizza modo concreto. Nessuno è stato mai in grado d’indicare due persone sposate che siano morte entrambe nello stesso giorno: non essendo ciò possibile, resta solo l'obbligo di sopportare una vita molto più dolorosa della morte, si sia vissuti insieme per molto tempo o per poco. Chi ha infatti sperimentato una lunga convivenza, riceve un dolore in proporzione più grande, giacché la lunga dimestichezza rende insopportabile la separazione e chi, quando il suo desiderio è ancora veemente, si vede privato dell'amore che non ha potuto gustare e di cui non ha ancora potuto saziarsi, piange per questo ancora più dell'altro: per cause opposte, entrambi sono vittime di uguali dolori.
7. E perché ricordare le separazioni che nel frattempo si verificano, le lunghe assenze, le ansie che le accompagnano, e le malattie? "Ma che cosa ha a che fare questo con il matrimonio?" mi si obietta. Spesso, molte donne si ammalano soprattutto per colpa sua. Quando sono vittime di violenza e d’ira, si produce in loro una febbre dovuta ora alla rabbia, ora allo scoraggiamento. Se invece, quando il marito è presente, non solo non soffrono nulla di tutto questo, ma godono delle sue continue gentilezze, quando egli si allontana incappano negli stessi dolori. Ma anche se lasciassimo andare tutto questo e non muovessimo più accuse al matrimonio, non potremmo scagionarlo anche di un'altra colpa. Di quale? Il matrimonio non permette all'uomo sano di stare meglio del malato, ma lo fa piombare nello stesso scoraggiamento che prova l'uomo allettato.
LVIII. Il matrimonio, anche se sfugge ad ogni dolore, non ha in sé nulla di grande
Vuoi che, prescindendo da tutto ciò, supponiamo nel nostro ragionamento l'impossibile ed ammettiamo l'esistenza di un matrimonio in cui sono presenti tutti i beni, vale a dire la prole numerosa e buona, la ricchezza, una moglie saggia, bella ed intelligente, la concordia ed una lunga vecchiaia? Aggiungiamo pure il lustro della stirpe e la grande potenza, e supponiamo che un matrimonio simile non venga disturbato dal timore di un cambiamento, la malattia che è propria della nostra natura; sia bandito ogni motivo di tristezza, ogni pretesto che possa dar adito a preoccupazioni ed angustie; nessuna ragione, nessuna morte prematura sciolga tale matrimonio; tutti e due i coniugi muoiano nello stesso giorno; oppure — e questa sembra la più grande felicità — i figli restino gli eredi, ed accompagnino alla tomba i genitori morti dopo una lunga vecchiaia. Ma qual è la conclusione? Quale guadagno traggono i coniugi da questo piacere, nel momento in cui partono per l'altra vita? Il lasciare molti figli, l'avere goduto di una bella moglie, delle ricchezze e di tutte le altre cose che ho appena enumerato, l'avere trascorso una lunga vecchiaia, di quale aiuto potranno mai essere di fronte a quel tribunale, nella sfera delle cose eterne e vere? Di nessun aiuto. Tutto questo non è forse un'ombra ed un sogno? Che cosa accade dunque, se mio marito è portato a cadere in basso ed io voglio essere continente? Devi seguirlo. La catena che il matrimonio ti ha messo intorno ti trascina e ti tira tuo malgrado verso colui che fin dall’inizio è legato assieme a te; se opponi resistenza e cerchi di romperla, non solo non ti liberi dai suoi legami, ma vai incontro alla più grave punizione.LIX. La verginità è una cosa facile
La vergine non è costretta a prendere informazioni sul suo sposo, né teme d'essere vittima di un inganno. Lo sposo è infatti Dio, non un uomo; e il Signore, non un compagno di schiavitù: tanto grande è la differenza tra i due sposi. Esamina anche le condizioni dell'unione. I doni nuziali offerti a tale fidanzata non sono rappresentati dagli schiavi, dalle misure di terreno e da un certo numero di talenti d'oro, ma dai cieli e dai beni celesti. Per di più, la donna sposata teme la morte oltre che per altri motivi anche perché la separa dal consorte. La vergine, invece, desidera la morte e considera la vita come un peso, ansiosa com'è di vedere il suo sposo "faccia a faccia" e di godere della sua gloria.LX. La verginità non ha bisogno di nessuna delle cose che non dipendono da noi
1. Neanche una vita da miseria può danneggiare la vergine, come accade invece nel matrimonio; anzi, essa rende ancora più gradita allo sposo colei che la sopporta di buon grado. Lo stesso vale per i bassi natali, per l'assenza di una bellezza fisica risplendente e per le altre cose dello stesso genere. Ma perché parlarne? Neanche il non essere libera nuoce al suo fidanzamento: le basta mostrare un'anima bella e raggiungere il primo posto. In tale stato, non c'è motivo di temere la gelosia o di provare una dolorosa invidia nei confronti di un'altra donna che si è unita ad un uomo più illustre. Nessun uomo è infatti simile o uguale al suo sposo, nessuno gli si avvicina neanche un po'; nel matrimonio, invece, la donna sposata, anche se ha un marito molto ricco e potente, può sempre trovarne un'altra con un marito di condizione molto più alta.2. L'essere superati da persone più importanti non diminuisce in lieve misura il piacere che si prova quando si superano gl'inferiori. Ma il grande sfarzo negli ori, nelle vesti, nella tavola e nelle altre comodità basta da solo ad incantare l'anima e ad attrarla. Ma quante donne ne godono? La maggior parte uomini vive nella povertà, nelle ristrettezze e nelle fatiche. Se ci sono donne che possono godere di tali beni, sono molto poche, e si possono facilmente contare; esse agiscono però contro il volere di Dio. Come abbiamo mostrato in precedenza nel nostro discorso, a nessuno è consentito vivere in questi piaceri.
LXI. I1 portare addosso gli ori produce più paura che piacere
Ma supponiamo pure nel nostro ragionamento che questo lusso sia permesso, e che né il profeta né Paolo si dichiarino contrari alle donne che amano troppo lo sfarzo. Ma di quale utilità sono i molti ori? Non producono altro che invidie, preoccupazioni e timori non indifferenti. Le donne che li possiedono si agitano non solo quando li ripongono nello scrigno al sopraggiungere della notte, ma anche quando li indossano: quando è giorno, provano la stessa ansia, o piuttosto un'ansia ancora più forte, giacché i bagni e le chiese sono frequentate da donne che li rubano. Ma anche non tenendo conto di queste ultime, accade spesso che le donne che portano gli ori, spinte e premute dalla folla, non si accorgono che qualche oggetto d'oro è caduto. Così pure, molte perdono non solo questi ori, ma collane di valore ancora maggiore, fatte di pietre preziose che, strappate, finiscono con il cadere. Ma ammettiamo pure che non sussista neanche questa paura, e che tale preoccupazione venga bandita.LXII. I1 portare addosso gli ori nuoce alla bellezza e mette in risalto la bruttezza
1. Si dice: "Altri vedono ed ammirano". Ammirano però non la donna che indossa gli ori, ma gli oggetti indossati, e spesso la disprezzano per colpa loro, come se se ne fosse adornata senza esserne degna. Se infatti la donna è bella, gli ori danneggiano la bellezza naturale, perché i molti ornamenti non le permettono di mostrarsi così com'è, e ne eliminano la maggior parte; se invece è brutta e di aspetto sgradevole, essi la fanno apparire ancora più repellente: la bruttezza, quando appare da sola, si rivela unicamente per quello che è; ma quando si riveste di pietre risplendenti e di altri materiali belli, il suo aspetto sgradevole risalta ancora di più.2. I1 colore nero di un corpo è fatto risaltare maggiormente dalla luce di una perla posta su di esso, che risplende come nell'oscurità; allo stesso modo, gli ornamenti delle vesti, non permettendo all'impressione visiva di affrontare da sola il giudizio degli spettatori, peggiorano la deformità dell'aspetto: di fronte a quella bellezza artificiale e straordinaria, la sconfitta diviene ancora più netta. L'oro disseminato sulle vesti, la varietà dei lavori eseguiti in questo campo, e tutti gli altri ornamenti - al pari di un atleta valente, in buone condizioni e vigoroso, che respinge un avversario coperto di scabbia, brutto ed affamato - annullano lo splendore del viso di colei che l'indossa ed attirano su di sé l'attenzione degli spettatori: di conseguenza, mentre la donna viene derisa, essi vengono ammirati oltre misura.
LXIII. Quali sono gli ornamenti e qual è la bellezza della verginità
1. Gli ornamenti della verginità non sono però di tale natura. Non danneggiano colei che l'indossa, giacché non sono corporei, ma appartengono interamente all'anima. Per questo, anche se la vergine è brutta, subito ne trasformano la bruttezza, rivestendola di una bellezza straordinaria; se invece essa è bella e risplendente, ne accrescono lo splendore. Le anime delle vergini non sono infatti adornate dalle pietre, dagli ori, dalle vesti sfarzose, dai vari e ricchi ricami colorati, o da qualcun'altra di queste cose caduche, ma, in loro vece, dai digiuni, dalle veglie sacre, dalla mitezza, dalla bontà, dalla povertà, dal coraggio, dall'umiltà, dalla perseveranza - in una parola, dal disprezzo di tutte le cose della vita presente.2. L'occhio della vergine è così bello ed incantevole che fa innamorare, in luogo degli uomini, le potenze incorporee ed il loro padrone; è così puro e limpido, che è in grado di vedere in luogo delle bellezze corporee quelle incorporee, e così mite e tranquillo che non si adira mai e non si rivolta neppure contro chi le fa del male e le procura continuamente dei dolori; al contrario, guarda costoro in modo dolce e soave. Tale modestia la riveste, che anche gl'intemperanti, guardandola bene, si vergognano, arrossiscono e mitigano la propria follia. Come l'ancella che serve una padrona modesta deve assumere anch'essa questo carattere anche se non lo vuole, così anche la carne della persona che pratica tale filosofia deve uniformarsi ai suoi movimenti ed impulsi. Lo sguardo, la lingua, l'aspetto, l'andatura ed in una parola tutto ricevono un'impronta dall'ordine interiore. Come un profumo prezioso, anche se è racchiuso in un vaso, impregna l'aria della propria fragranza ed inebria non solo quelli che si trovano in casa o che sono vicini, ma anche quelli che sono fuori; allo stesso modo la fragranza dell'anima della vergine, diffondendosi nei sensi, rivela la virtù interiore, mette a tutti i cavalli le auree redini dell'ordine ed assicura il perfetto ritmo di ciascuno di loro; non permette alla lingua di pronunziare nessuna parola stonata e disarmonica, né all'occhio di guardare senza pudore e con sospetto, né all'orecchio di ascoltare qualche canto sconveniente. La vergine bada anche ai piedi, in modo da avere non un'andatura disordinata e molle, ma un passo privo di affettazione e di ricercatezza. Eliminato ogni ornamento dalle vesti, raccomanda continuamente al volto di non distendersi nelle risa, di non sorridere neanche di nascosto, di mostrare al contrario sempre una fronte vereconda e seria, e di essere sempre pronto al pianto e mai al riso.
LXIV. Ciò che soffriamo per Cristo, anche se è fastidioso, è fonte di piacere
Quando senti parlare di pianto, non nutrire dei cupi sospetti: queste lacrime procurano un piacere che neanche il riso di questo mondo riesce a procurare. Se non ci credi, ascolta le parole di Luca: "Frustati, gli apostoli si ritirarono dal cospetto del sinedrio pieni di gioia". Eppure, non è questa la natura della frusta: di solito, essa non procura né piacere né gioia, ma dolore e sofferenza. Ma se la natura della frusta non riesce a procurare gioia, la fede in Cristo è invece così forte, che domina la natura delle cose. Se è vero che le fruste producono piacere a causa di Cristo, perché ti meravigli, quando le lacrime producono lo stesso effetto, sempre a causa di Cristo? Per questo Egli chiama "giogo soave e carico leggero" quella che prima aveva chiamato "strada stretta e piena di tormenti". Per sua natura, la cosa è dolorosa ma diventa leggera grazie alla scelta compiuta da chi realizza la virtù ed alla buona speranza. Per questo è possibile vedere che chi ha scelto la strada stretta e piena di tormenti in luogo di quella larga e pianeggiante vi cammina con maggiore impegno, non perché non venga tormentato, ma perché è superiore ai tormenti e non ne risente, com'è invece naturale che risentano gli altri. Anche la vita verginale ha i suoi tormenti; ma quando li paragoniamo a quelli del matrimonio, non possiamo più dare loro questo appellativo.LXV. Tutte le fatiche richieste dalla verginità non equivalgono ai soli dolori del parto, conseguenza del matrimonio
Dimmi: la vergine, in tutta la sua vita, sopporta forse quello che si può dire ogni anno deve sopportare la donna sposata, vittima dei dolori e dei gemiti causati dal parto? Così forte è la tirannia di questo dolore, che anche la Scrittura divina, quando vuole alludere alla prigionia, alla fame, alla pestilenza ed ai mali più insopportabili, chiama tutto questo "dolori del parto". Anche Dio li ha imposti alla donna come un castigo ed una maledizione: non parlo della generazione pura e semplice, ma della generazione in queste condizioni, di quella cioè accompagnata da fatiche e da dolori. "Nei dolori - è detto infatti - genererai i tuoi figli". La vergine, invece, si trova al di sopra di questi dolori e di questa maledizione. Chi ha abolito la maledizione della legge, assieme ad essa ha abolito anche quest'altra maledizione.LXVI. E' più piacevole camminare che lasciarsi portare in giro dai muli
1. "Ma è piacevole farsi portare in giro dai muli per la piazza". Si tratta soltanto di un lusso inutile, privo di qualsiasi piacere. Come la tenebra non è migliore della luce, come l'essere rinchiusi non è preferibile all'essere liberi, come l'aver bisogno di molte cose non si può anteporre al non aver bisogno di niente, così non si trova meglio neanche colei che non usa i propri piedi. Tralascio tutti i fastidi che quest'abitudine costringe a sopportare. Questa donna non può uscire da casa quando vuole, ma spesso è costretta a rimanervi, anche se una ragione seria la spinge ad andar fuori: si trova nello stesso stato dei mendicanti che, avendo i piedi mutilati, non hanno modo di spostarsi. Se per caso il marito tiene impegnati i muli, ecco affacciarsi i meschini egoismi, le liti, i lunghi silenzi; se invece è lei ad agire così senza pensare alle conseguenze, finisce con il rivolgere la propria rabbia contro se stessa per aver trascurato il marito, e con l'essere continuamente rosa dal rimorso prodotto dalla sua insolenza. Come sarebbe stato meglio per lei se avesse usato i piedi - per questo Dio ce li ha fatti - evitando tutti questi fastidi, piuttosto che esporsi agl'inevitabili effetti di così forti crucci ed egoismi per amore della comodità! Non sono però solo questi i motivi che la trattengono in casa: accade la stessa cosa se i muli hanno male ai piedi - si tratti di uno solo di essi o di tutti e due. Anche quando vengono condotti al pascolo - e questo capita ogni anno e per più giorni - è costretta a rimanere a casa come una prigioniera: non può uscire neanche se la chiama fuori un bisogno impellente.2. Chi poi dicesse che in tal modo essa evita gl'incontri con la folla e non è costretta a subire gli sguardi di ogni suo conoscente e ad arrossire, mostra d'ignorare totalmente ciò che difende la natura femminile e ciò che invece la ricopre di vergogna. A queste due cose sono estranee sia il mostrarsi che il nascondersi, giacché il secondo effetto è prodotto dalla sfacciataggine interiore che non è in grado di tenere a freno l'anima, mentre il primo è prodotto dalla saggezza e dal pudore. Per questo molte donne che pure non conoscono la prigionia di cui si è parlato e che camminano in piazza in mezzo alla folla non solo non si attirano il biasimo dei detrattori, ma grazie alla loro saggezza finiscono con l'avere molti ammiratori: attraverso il loro aspetto, il loro incedere, le loro vesti poco ricercate, fanno trapelare il raggio risplendente della loro compostezza interiore. Al contrario, non poche di quelle che se ne stanno sedute in casa si fanno una cattiva fama. La donna che rimane chiusa, più di quella che appare in pubblico, può infatti mostrarsi a chi vuole vederla in tutta la sua sfacciataggine e sfrontatezza.
LXVII. E' fastidioso avere molte serve
"Ma forse il gran numero di ancelle fa piacere". Questo è il piacere peggiore, giacché comporta un numero di preoccupazioni uguale a quello delle serve: quando una di loro si ammala e muore, l'agitazione e lo scoraggiamento sono inevitabili. Ma forse sono sopportabili questi inconvenienti ed altri ancora, come ad esempio il darsi ogni giorno da fare per reprimere la pigrizia, eliminare le frodi, far cessare ogni forma d'inciviltà, correggere tutti gli altri vizi. Ma la cosa più brutta - suole capitare specialmente nel caso in cui le serve sono molte - si verifica quando nella loro schiera se ne trova una bella. E' inevitabile che questo si verifichi quando se ne ha un gran numero, giacché i ricchi vogliono che le ancelle di loro proprietà siano non solo numerose, ma anche belle. Quando una di loro risplende tra le altre, sia che catturi il padrone con un incantesimo, sia che non riesca a produrre nulla in più di un’ammirazione nei propri riguardi, la padrona si addolora ugualmente, vedendosi superata, se non sul piano dell'amore, per lo meno su quello della bellezza fisica e dell'ammirazione. Quando le cose che nel matrimonio sembrano splendide ed invidiabili comportano tanti tormenti, che cosa si può dire a proposito di quelle dolorose?LXVIII. Della tranquillità offerta dalla verginità
1. La vergine, al contrario, non sopporta nulla di tutto ciò. La sua modesta casa non conosce agitazione, ogni grido è bandito da essa: come in un porto calmo il silenzio domina su tutto ciò che vi si trova dentro. Un'altra tranquillità, superiore allo stesso silenzio, permea poi la sua anima, giacché essa non ha a che fare con nessuna cosa umana, ma discorre continuamente con Dio e tiene sempre fisso il suo sguardo su di Lui. Chi potrebbe misurare questo piacere? Quale discorso sarebbe mai in grado di esprimere la gioia dell'anima che si trova in questo stato? Nessuno. Coloro che gioiscono del Signore sono i soli a conoscere la grandezza di tale gioia e a rendersi conto di come essa superi di gran lunga ogni possibile raffronto.2. "Ma la vista di una gran quantità d'argento procura sempre un gran piacere agli occhi". Quant'è meglio invece guardare il cielo e raccogliere da esso un piacere molto più grande! Come l'oro è molto più risplendente e luccicante dello stagno e del piombo, così lo è il cielo rispetto all'oro, all'argento e ad ogni altra materia. E mentre la contemplazione del cielo non causa preoccupazioni, l'altra contemplazione è legata a molte ansie, che guastano sempre i nostri desideri. Non vuoi guardare il cielo? Almeno, potresti guardare l'argento esposto in piazza. Come dice il beato Paolo, "vi parlo per farvi vergognare", giacché vi mostrate così sensibili all'amore per le ricchezze. Non so che cosa dire. A tal proposito, mi prende un grande imbarazzo: non riesco a capire come mai quasi tutto il genere umano non consideri fonte di piacere la possibilità di un godimento facile e rilassato, e provi al contrario piacere soprattutto nelle preoccupazioni, nelle tensioni e nelle inquietudini.
3. Come mai l'argento esposto in piazza non li rallegra come quello che si trova in casa? Eppure il primo è più risplendente e lascia l'anima libera da ogni inquietudine. "Perché - si risponde - il primo non è mio, mentre il secondo lo è". Ciò che produce il piacere è dunque la cupidigia, non la natura dell'argento: se così fosse, anche l'argento esposto in piazza dovrebbe procurare un piacere simile. Se poi tu volessi richiamarti all'uso, allora ti farei notare che il vetro è molto migliore: potrebbero dirtelo gli stessi ricchi, che fanno fabbricare per lo più i loro bicchieri con quest'altro materiale. Se poi il loro orgoglio li costringe a far fare anche dei bicchieri d'argento, fanno prima mettere dentro il vetro, e poi fanno rivestire d'argento la parte esterna, mostrando in tal modo che, quando si beve, il vetro è più gradevole e più adatto, mentre l'argento serve solo all'orgoglio ed alla millanteria. E che cosa significa la frase "Mio e non mio"? Se l'esamino bene, vedo che si tratta solo di semplici parole.
4. Molti durante la loro vita non riescono ad impedire che l'argento sfugga loro di mano. Chi riesce a conservarlo fino alla fine, al momento della morte non ne è più padrone, lo voglia o no. Si può constatare che non solo nel caso dell'argento e dell'oro, ma anche nel caso dei bagni, dei giardini e di tutto ciò che riguarda la casa l'idea del "mio e non mio" non è che una semplice parola. Mentre tutti possono usare gli oggetti preziosi, i loro presenti proprietari hanno in più di chi non li possiede soltanto le preoccupazioni che essi producono. Gli uni si limitano a goderseli; gli altri, pur preoccupandosi tanto, raccolgono gli stessi frutti che i primi raccolgono senza darsi alcuna pena.
LXIX. Le mense sontuose sono fonti di molti disturbi
1. Chi poi ammira il gran lusso della tavola, di cui sono prova la moltitudine delle carni tagliate, i vini troppo dispendiosi, i manicaretti ricercati, le arti dei camerieri, dei pasticcieri e dei cuochi, e la folla dei parassiti e dei convitati, sappia che i ricchi, in tali circostanze, non stanno meglio dei loro cuochi. Come infatti questi ultimi hanno paura dei loro padroni, così essi hanno paura degl'invitati, nel timore che qualcuno di essi critichi le cose che sono state preparate per loro con tanta fatica e tante spese. In questo i padroni sono uguali ai servi; sotto un altro punto di vista, però, i servi si trovano avvantaggiati rispetto a loro: i padroni devono infatti temere non solo i critici, ma anche gl'invidiosi. Da tali banchetti nascono spesso delle invidie che cessano solo dopo aver fatto correre i pericoli più gravi. "Ma il potersi cibare spesso di molte cose è piacevole". Per carità!2. Quale piacere possiamo mai provare, quando da questi lussi spuntano il mal di testa, le dilatazioni del ventre, le depressioni psichiche, i capogiri, le vertigini, gli annebbiamenti della vista ed altri disturbi ancora più strani? Sarebbe augurabile che i danni prodotti da queste sregolatezze si fermassero ai disturbi di un solo giorno. Invece, proprio da tali mense si originano per lo più le malattie più incurabili: la gotta, la tisi, l'epilessia, la paralisi, le convulsioni, assediano il corpo fino all'ultimo respiro. Potremmo indicare un piacere capace di controbilanciare questi mali? E quale regime austero non saremmo disposti a seguire, pur di liberarci da essi?
LXX. La semplicità è più utile e più piacevole del lusso
1. La semplicità, invece, è ben diversa: estranea a tutti questi inconvenienti, produce solo salute e benessere. Che essa è preferibile al lusso, lo puoi constatare tu stesso: innanzitutto, resti sano e non sei disturbato da quelle malattie, ciascuna delle quali basta da sola a spegnere e a distruggere le fondamenta di ogni piacere; in secondo luogo, puoi gustare meglio gli stessi cibi. Come mai? Perché il piacere è prodotto dal desiderio, e a sua volta il desiderio è prodotto non dalla sazietà e dalla pienezza, ma dal bisogno e dall'indigenza. Queste due cose non si trovano mai nei banchetti dei ricchi, mentre compaiono sempre nei pasti dei poveri: meglio di qualsiasi cameriere e cuoco, fanno gocciolare in abbondanza il miele sui cibi messi sulla tavola. I ricchi mangiano senza aver fame, bevono senza aver sete, e si mettono a dormire prima che sopravvenga un forte bisogno di sonno. I poveri, invece, prima devono aver bisogno di tutte le varie cose, e solo successivamente le possono gustare: è proprio questo, più di ogni altra cosa, ad accrescere il piacere.2. Perché mai, dimmi, Salomone chiama dolce il sonno del servo, dicendo: "Dolce è il sonno per il servo, sia che mangi molto sia che mangi poco"? Forse perché il suo letto è molle? Ma per lo più dormono su di un pavimento o su di un pagliericcio. Forse per la libertà di cui godono? Ma non possono disporre neanche di un istante. Forse per la loro vita facile? Non c'è un momento in cui non siano battuti dalle pene e dalle miserie. Che cosa rende allora dolce il loro sonno? Le fatiche, ed il poter prendere sonno solo dopo averne sentito il bisogno. I ricchi invece, se la notte non li sorprende immersi nell'ubriachezza, sono condannati a rimanere sempre svegli, e a rivoltarsi e ad agitarsi sui loro molli letti.
LXXI. I1 lusso guasta anche l'anima
Si potrebbe fare anche un'altra descrizione dei fastidi, dei danni e dell'indecenza del lusso, enumerando le malattie che imprime sull'anima, di gran lunga più numerose e pericolose di quelle corporee. Esso, in effetti, rende molli, deboli, insolenti, millantatori, lascivi, violenti, intemperanti, irascibili, crudeli, ignobili, cupidi, servili, inetti in quasi tutte le cose utili e necessarie; tutti gli effetti opposti sono invece prodotti dalla frugalità. Ma ora dobbiamo passare ad un altro argomento: fatta questa semplice aggiunta, ritorniamo alle parole dell'apostolo. Se le cose che sembrano invidiabili sono così piene di mali e fanno cadere sull'anima e sul corpo una così fitta pioggia di malattie, come possiamo parlare delle cose dolorose? Mi riferisco alla paura dei magistrati, ai movimenti popolari, alle insidie dei delatori e degl'invidiosi, mali tutti che assediano soprattutto i ricchi e che anche le donne sono destinate a sperimentare in maggior misura, data la loro incapacità di sopportare virilmente le relative vicissitudini.LXXII. I1 lusso, oltre a causare gli altri mali di cui si è parlato, rende intollerabili le vicissitudini della vita
Ma perché parlare delle donne? Anche gli uomini diventano infatti infelice preda di tali vicissitudini. Chi vive nella semplicità non teme i cambiamenti; chi invece si consuma nella vita molle e dissoluta, se per caso o per fatalità piomba nell'indigenza, muore prima ancora di poter sopportare tale cambiamento, non essendovi né abituato né preparato. Per questo il beato Paolo dice "Costoro soffriranno i tormenti della carne; io cerco di risparmiarvi", ed aggiunge subito dopo "Il tempo che resta è breve".LXXIII. I1 momento presente non si addice al matrimonio
1. "Ma cos'ha a che fare tutto questo con il matrimonio?" qualcuno potrebbe forse chiedere. Ha molto a che fare. Se infatti il matrimonio è richiuso nella vita presente, mentre in quella futura gli uomini "nè sposano nè vengono sposati"; se il tempo presente volge al termine e la resurrezione è alle porte, questo non è il momento dei matrimoni e dei beni materiali, ma dell'indigenza e di tutta quella rimanente saggezza che ci può giovare nell'al di là. La vergine, finché resta a casa con la madre, si dà molto pensiero dei suoi giuochi infantili; una volta messo lo scrigno nella sua stanza, tiene con sè la chiave che racchiude tutti i giocattoli che vi sono riposti, e ne può disporre pienamente: si preoccupa di custodire quei piccoli e stupidi oggetti nella stessa misura in cui i sovrintendenti delle grandi case si preoccupano di amministrarle. Quando però si fidanza ed il momento delle nozze la costringe a lasciare la casa paterna, allora, staccatasi da quei vili ed umili balocchi, non può non pensare al governo della casa, al gran numero dei beni e degli schiavi, alla cura del marito, ed a tutte le altre incombenze più gravi ancora di queste, che pure sono numerose. Così dobbiamo fare anche noi: quando siamo condotti alla vita perfetta, degna degli uomini adulti, dobbiamo lasciare tutte le cose di questa terra - veri e propri giocattoli infantili - e pensare al cielo, ed allo splendore e alla gloria della vita celeste.2. In effetti, siamo uniti ad uno sposo che esige di essere amato da noi a tal punto, che non dobbiamo esitare a separarci per amor suo non solo dalle cose di questa terra, piccola e di scarso valore, ma anche dalla vita stessa, qualora fosse necessario. Poiché dunque dobbiamo passare all'altra vita, stacchiamoci dai pensieri meschini. Se dovessimo lasciare una povera casa per trasferirci in una reggia, non penseremmo agli oggetti d’argilla, ai mobili, ed alle altre povere suppellettili domestiche. Neanche ora dobbiamo quindi preoccuparci delle cose terrene; il momento presente ci chiama ormai in cielo, come dice Paolo scrivendo ai Romani: "La salvezza è adesso più vicina di quanto non lo fosse nel momento in cui ricevemmo la fede: la notte è avanzata, il giorno è prossimo". Altrove dice: "Il tempo che ci resta qui è breve: chi ha la moglie si comporti come se non l'avesse ".
3. Perché dunque dovrebbero aver bisogno del matrimonio coloro che non ne usufruiranno più e che si troveranno nelle stesse condizioni di chi non è sposato? E perché dovrebbero pensare alle ricchezze, ai beni, alle cose della vita materiale, se il loro io è ormai fuori stagione ed inopportuno? Se chi è in procinto di presentarsi ad un tribunale terreno per rendere conto dei suoi misfatti, quando il giorno fatidico si avvicina non pensa più non solo alla moglie ma neppure a mangiare ed a bere e concentra il proprio pensiero unicamente sulla propria difesa, a maggior ragione noi, quando siamo sul punto di presentarci non ad un tribunale terreno, ma alla tribuna celeste per rendere conto delle nostre parole, delle nostre azioni e dei nostri pensieri, dobbiamo staccarci da tutte le gioie e da tutti i dolori relativi alle cose presenti e preoccuparci solo di quel terribile giorno. "Chi viene da me - dice il Signore - ma non è capace di odiare il padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e la propria anima, non può essere mio discepolo. E non può essere mio discepolo neanche chi non carica su di sè la propria croce e non mi segue".
4. E tu continui a perdere il tuo tempo desiderando tua moglie e pensando alle risa, alla dissolutezza ed al lusso? "Il Signore è vicino". Tu ti preoccupi e ti assilli per le ricchezze? "Il regno dei cieli è prossimo". Tu badi alla casa, al lusso ed agli altri piaceri? "Passa l'aspetto di questo mondo". Perché allora ti tormenti per le cose di quaggiù che non rimangono ma si consumano, e trascuri invece quelle che restano e sono durature? Non ci saranno più nè matrimoni, nè parti, nè piaceri, nè accoppiamenti, nè ricchezze abbondanti, nè cure dei beni materiali, nè nutrimenti, nè vesti, nè coltivazioni, nè viaggi per mare, nè arti, nè costruzioni, nè città, nè case: ci saranno invece un’altra condizione ed un altro modo di vivere. Tutte le cose di quaggiù scompariranno tra breve. Questo significa la frase: "Passa l'aspetto di questo mondo". Perché dunque mostriamo tanto zelo nel preoccuparci di cose da cui spesso ci separiamo prima di sera, come se dovessimo rimanere quaggiù per tutta l’eternità? Perché scegliamo questa vita penosa, mentre Cristo ci chiama a una vita tranquilla? "Voglio - dice infatti l'apostolo - che non abbiate preoccupazioni. Chi non è sposato pensa alle cose del Signore".
LXXIV. Come mai Paolo, pur volendoci liberi da ansie, ci comanda di preoccuparci
1. Come puoi allora volerci liberi da ansie, se poi ci getti in un’altra preoccupazione? Perché questa non è una vera preoccupazione, così come il provare tormenti per amore di Cristo non è un vero tormento: non perché la natura delle cose cambi, ma perché la volontà di chi sopporta con gioia questi dolori riesce a dominare anche la natura. E' giusto dire che prova ansie chi si preoccupa di cose di cui non potrà godere a lungo, e spesso neanche per poco tempo; ma è anche del tutto logico mettere nella schiera di coloro che se ne restano tranquilli chi dalle proprie preoccupazioni raccoglie dei frutti maggiori. Ma a parte questo, la differenza tra la prima e la seconda preoccupazione è così grande, che la seconda, paragonata alla prima, non può più essere ritenuta tale: tanto più leggera e sopportabile è rispetto all’altra. Tutto questo l'abbiamo dimostrato nel nostro discorso precedente. "L'uomo celibe si preoccupa delle cose del Signore, l’uomo sposato di quelle del mondo"; ma quest’ultimo passa, mentre il Signore resta.2. Non basta forse questo a dimostrare il valore della verginità? La differenza che c’è tra Dio ed il mondo corrisponde alla superiorità della seconda preoccupazione rispetto alla prima. Come puoi dunque permettere il matrimonio, se esso c'inchioda alle preoccupazioni e ci allontana dalle cose dello spirito? "Per questo - risponde l’apostolo - ho detto "chi ha la moglie si comporti come se non l'avesse"; chi è già legato o sta per legarsi renda più lento questo legame in un altro modo". Giacchè non puoi romperlo una volta che te ne sei cinto, rendilo almeno più sopportabile. Se vogliamo, possiamo eliminare tutte le cose superflue ed evitare di aggiungere alle preoccupazioni insite nella natura del matrimonio altre maggiori, prodotte dalla nostra indolenza.
LXXV. Com’è possibile non avere la moglie pur avendola
1. Chi poi volesse sapere con maggiore chiarezza che cosa significa la frase "Non avere la moglie pur avendola", pensi allo stato in cui si trovano i "crocifissi" che non l’hanno. Qual à la loro condizione? Non sono costretti a comprare un gran numero di ancelle, di oggetti d'oro e di collane, case splendide e grandi, e tante misure di terreno: lasciate tutte queste cose, si preoccupano di un’unica veste e del nutrimento. Si può giungere a praticare questa filosofia anche se si ha una moglie. Le parole dette prima "Non negatevi l’uno all’altro" riguardano solo l'unione carnale: in questo caso specifico l'apostolo prescrive che l’uno deve seguire l'altro, e non lascia nessuno dei due sposi padrone di sè; ma quando si tratta della pratica della filosofia riguardante le vesti, il modo di vita e tutte le altre cose, i coniugi non sono più soggetti l’uno all'altro. I mariti possono, anche se le mogli non vogliono, eliminare ogni lusso e scacciare la folla delle preoccupazioni che li sommerge; ed analogamente le mogli, da parte loro, se non vogliono non possono essere costrette a truccarsi, ad essere vanagloriose ed a preoccuparsi delle cose superflue. E' giusto che sia così. Il desiderio carnale è infatti naturale: per questo è degno di molta commiserazione, e per questo nessuno dei due sposi può negarsi all’altro contro la sua volontà. Al contrario, il desiderio del lusso, della servitù superflua, delle preoccupazioni inutili non proviene dalla natura, ma nasce dall’indolenza e dalla grande tracotanza. Per questo l’apostolo non costringe le persone sposate ad essere soggette l'una all'altra in tali casi, come avviene invece nell'altro.2. Non abbiamo la moglie pur avendola quando non diamo ascolto ai pensieri superflui delle donne, dettati dalla loro leziosità e dalla loro mollezza, e quando ci limitiamo ad accogliere solo quella preoccupazione aggiuntiva che riguarda l'anima della donna che ci è stata affidata e che ha scelto una vita basata sulla saggezza e la semplicità. Che intende dire proprio questo, l’apostolo lo mostra nelle parole seguenti: "Chi piange si comporti come chi non piange, chi gioisce dei beni come chi non gioisce". Chi non gioisce non si preoccupa dei beni, e chi non piange non sopporta a malincuore la povertà nè respinge la frugalità. Questo significa "non avere la moglie pur avendola", questo significa fare uso del mondo senza abusarne.
3. "Chi è sposato si preoccupa delle cose del mondo". Se dunque in entrambi i casi ci sono le preoccupazioni - nel primo però sono vane ed inutili, anzi dolorose, giacchè, come dice l’apostolo, "costoro soffriranno i tormenti nella carne", mentre nel secondo producono dei beni ineffabili - perchè non scegliamo questo secondo tipo di ansie, che non solo ci procurano così belle e numerose ricompense, ma sono anche meno forti delle altre? A che cosa pensa la donna non sposata? Forse alle ricchezze, ai servi, agli amministratori, ai terreni ed al resto? Deve forse sorvegliare i cuochi, i tessitori e la rimanente servitù? Per carità! Non pensa a nulla di tutto ciò ma soltanto ad edificare la propria anima e ad adornare il suo santo tempio non con trecce, ori o perle, non con cosmetici e belletti, non con altre cose fastidiose e misere, ma con la santità di corpo e di spirito.
4. "La donna sposata - dice Paolo - si preoccupa invece di piacere al marito". Sagace com’è, non si mette ad esaminare i particolari, e non ricorda le sofferenze fisiche e psichiche a cui vanno incontro le mogli per piacere ai mariti - il loro corpo è torturato, imbellettato e tormentato con altre punizioni, mentre la loro anima è riempita di bassezze, adulazioni, ipocrisie, meschinità e pensieri superflui ed inutili. Alludendo a tutto ciò con una sola parola, lascia riflettere sull'argomento la coscienza degli ascoltatori; e dopo aver mostrato in tal modo l'eccellenza della verginità ed averla sollevata fimo al cielo, passa di nuovo a parlare della liceità del matrimonio, sempre nel timore che qualcuno scambi la verginità per un precetto. Non si contenta quindi delle esortazioni fatte in precedenza: dopo aver detto "Non ho un ordine del Signore" e "La vergine se si sposa non pecca", aggiunge qui "Non perché voglia gettare su di voi un laccio".
LXXVI. Il "laccio" non è rappresentato dalla verginità, ma dalla nostra mancanza di entusiasmo
1. A tal proposito, ci si potrebbe chiedere a buon diritto come mai l'apostolo dica qui "Non perché voglia gettare su di voi un laccio": eppure, in precedenza aveva chiamato la verginità "liberazione dai legami", aveva detto che ci consigliava per il nostro bene per evitarci tormenti e preoccupazioni e per risparmiarci, ed aveva in tal modo mostrato che questa pratica era leggera e sopportabile. Di che cosa si tratta? A dire il vero egli ha chiamato "laccio" non la verginità - non sia mai! - ma la scelta di questo bene compiuta sotto la spinta della violenza e della costrizione. In effetti, le cose stanno proprio così. Tutto ciò che si accetta sotto la spinta della violenza e contro la propria volontà, anche se è molto leggero, diventa la cosa più insopportabile e soffoca la nostra anima più di un laccio. Per questo Paolo ha detto "Non perché voglia gettare su di voi un laccio". Queste parole significano: vi ho enumerato e mostrato tutti i beni della verginità; pur tuttavia, dopo aver fatto questo, lascio a voi la scelta e non voglio condurvi alla virtù contro la vostra volontà. Vi ho dato questi consigli non perché volessi tormentarvi, ma perché la vostra bella assiduità non venisse distrutta dalle occupazioni materiali.2. Osserva anche qui la sagacia di Paolo: alla preghiera aggiunge di nuovo l'esortazione, e attraverso la concessione fa trapelare il consiglio. Le sue parole "Non vi costringo ma vi esorto", e le altre che ha aggiunto "A causa del decoro e dell’assiduità", mostrano il carattere meraviglioso della verginità, ed i grandi vantaggi che da essa si ricavano nella vita conforme ai voleri di Dio. La donna non può essere assidua se è prigioniera di preoccupazioni materiali e se si lascia trascinare da ogni parte, perché in tal caso il suo impegno ed il suo tempo libero si disperdono in più direzioni: verso il marito, verso la cura della casa e verso tutte le cose che il matrimonio è solito trascinare con sè.
LXXVII. La donna che si affanna per le cose materiali non può essere vergine
Che cosa dice dunque Paolo quando scaccia dal coro delle vergini quella vergine che - non sia mai! - ha varie occupazioni ed è alle prese con i problemi materiali? Per essere vergini non basta infatti non sposarsi: occorre anche la purezza dell'anima, e per purezza io intendo non solo la lontananza dai desideri cattivi e turpi, dai belletti e dalle occupazioni, ma anche l'assenza di pensieri relativi a cose materiali. Se ciò non si verifica, di quale utilità può essere la purezza fisica? Come non c’è nulla di più vergognoso di un soldato che getta le armi e passa il suo tempo nelle bettole, cosi non c’è nulla di più indecoroso delle vergini prigioniere di preoccupazioni materiali. Anche le cinque vergini avevano le lampade, ed avevano praticato la verginità, ma non ne avevano ricavato alcun frutto: le porte si chiusero, ed esse rimasero fuori e perirono. La verginità è bella proprio perché elimina ogni motivo di preoccupazioni superflue e perché permette di consacrare tutto il tempo libero alle opere gradite a Dio: se questo non si verifica, diventa di gran lunga peggiore del matrimonio, giacchè ricopre di spine l’anima e soffoca tutti i semi puri e celesti.LXXVIII. Perché Paolo non condanna aspramente colui che pensa di comportarsi in modo sconveniente nei riguardi della figlia vergine
1. "Chi - dice Paolo - pensa di comportarsi in modo non conveniente nei riguardi della figlia vergine se lascia passare l’età giusta per il matrimonio, faccia pure ciò che vuole, se così deve essere; non pecca: ci si sposi pure". Perché dici "faccia pure ciò che vuole"? Perché non correggi quest'opinione sbagliata, ma autorizzi il matrimonio? Perché non hai detto "Se pensa di comportarsi in modo sconveniente nei riguardi della figlia vergine è un povero ed un infelice, giacchè ritiene biasimevole una cosa degna di ammirazione"? Perché - risponderebbe Paolo - si tratta di anime di uomini molto deboli, che ancora si trascinano per terra: non è possibile fare accostare subito al discorso sulla verginità le anime che si trovano in questo stato. Chi infatti è attaccato in modo così passionale alle cose del mondo ed ammira la vita presente a tal punto da ritenere vergognoso, nonostante tali esortazioni, ciò che invece è degno dei cieli e vicino al tipo di vita degli angeli, come potrebbe tollerare un consiglio in tal senso? E perché ci si deve meravigliare del fatto che Paolo si comporta così a proposito di una cosa consentita, quando adotta lo stesso atteggiamento nei confronti di cose proibite e contrarie alla legge?2. Faccio un esempio: la scrupolosa osservanza dell’alimentazione, in base alla quale alcuni cibi si possono accettare, mentre altri vanno respinti, era una debolezza giudaica. Pur tuttavia, c’era tra i Romani chi ne era ancora vittima. Eppure, Paolo non solo non rimprovera severamente costoro, ma fa di più: lasciati andare i peccatori, critica chi vuole reprimere questa pratica, dicendo: "Perché giudichi il tuo fratello?". Non si comporta però così quando scrive ai Colossesi: con molta libertà li rimprovera e li istruisce, dicendo "Che nessuno vi giudichi in base ai cibi ed alle bevande". Ed aggiunge: "Se siete morti in Cristo per quanto riguarda gli elementi del mondo, perché decretate ancora, come se foste ancora vivi nel mondo: non prendere, non gustare, non toccare? Tutto ciò è destinato a distruggersi con l'uso".
3. Perché dunque si comporta così? Perché i Colossesi erano già forti, mentre i Romani avevano bisogno di molta comprensione. Egli aspettava che la fede si rafforzasse nelle loro anime: temeva che, se fosse andato a strappare il loglio prima del momento giusto, anche le piante del retto insegnamento sarebbero state estirpate dalla radice. Per questo non li riprende aspramente, anche se non li lascia andare senza avvertirli: li rimprovera, ma in modo velato e nascosto, nel momento in cui critica altri. Le parole "Il fatto che stia in piedi o cada, riguarda il suo Signore " sembrano infatti chiudere la bocca ai detrattori, ma in realtà mordono l'anima dell’interessato, giacchè mostrano che così si comportano non le persone sicure che stanno bene in piedi, ma quelle che ancora vacillano, che non sanno stare dritte e che rischiano di cadere.
4. Anche nel nostro caso Paolo osserva la stessa regola a causa della grande debolezza di colui che si vergogna della verginità. Non gli si rivolge apertamente, ma lodando chi sa conservare vergine la propria figlia gli assesta un forte colpo. Che cosa dice? "Chi resta saldo nel suo cuore ". Queste parole sono state dette per porre in risalto il contrasto con colui che si lascia portare in giro con troppa facilità ed a caso, e che non sa camminare con passo sicuro nè rimanere fermo coraggiosamente. Osserva quindi come Paolo, accortosi che le sue parole riescono a far presa sull’anima dell’interlocutore, cerchi di temperarle adducendo un motivo che non merita biasimo. Dopo aver detto "Chi resta saldo nel suo cuore", aggiunge "non essendo sottoposto a costrizioni ed avendo piena libertà". Eppure, sarebbe stato più logico dire: "Chi resta saldo e non considera la verità una vergogna". Ma queste parole sarebbero state troppo forti. Per questo ne usa al loro posto altre, cercando di consolare l’interlocutore e dandogli la possibilità di ricorrere a quest'altro motivo. Impedire la verginità quando si è sotto costrizione non è così grave come impedirla per un senso di vergogna: la prima eventualità dipende da un'anima debole e misera, la seconda da un’anima depravata, che non è in grado di giudicare rettamente la natura delle cose.
5. Ma non era ancora giusto il momento di usare parole troppo severe, che pure sarebbero state giuste, giacchè neanche quando si è sottoposti ad una costrizione è lecito frapporre ostacoli alla figlia che ha deciso di rimanere vergine: occorre, al contrario, opporsi nobilmente a tutto ciò che mira ad annullare questo bell’impulso. Ascolta ciò che dice a tal proposito Cristo: "Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me". Quando facciamo una cosa gradita a Dio, chi ci vuole ostacolare va considerato un nemico, sia egli il padre, la madre o chiunque altro. Ma Paolo, che doveva ancora sostenere il peso dell’imperfezione degli ascoltatori, ha scritto le parole: "Chi resta saldo senza essere sottoposto a costrizioni". Non si è però fermato ad esse, anche se le frasi "senza essere sottoposto a costrizioni" ed "avendo piena libertà" significano la stessa cosa. Allungando il discorso ed abbondando nelle concessioni, cerca di consolare le anime semplici e mediocri; per di più, aggiunge un’altra condizione: "Chi giura nel suo cuore". Non è infatti sufficiente essere soltanto liberi, nè si è pienamente responsabili solo grazie a questa libertà: la buona azione si verifica quando si decide e si giudica. Quindi, per fugare il rispetto che la sua grande condiscendenza annulli la differenza tra i due stati, egli la ricorda di nuovo, anche se timidamente: Di conseguenza, chi fa sposare la figlia agisce bene, e chi non la fa sposare agisce ancora meglio. Qui, sempre per lo stesso motivo, non indica la misura di questo è meglio; ma se vuoi rendertene conto, ascolta le parole di Cristo: "Non sposano nè vengono sposati, ma sono come gli angeli in cielo". Vedi qual è la differenza, e come la verginità, quand’è vera, eleva l'essere mortale?
LXXIX. I seguaci di Elia non differivano in nulla dagli angeli; fu la verginità a renderli tali
1. In che cosa, dimmi, differivamo dagli angeli Elia, Eliseo e Giovanni, questi sinceri amanti della verginità? In nulla, a parte il fatto di essere legati alla natura mortale. Se però si esaminano bene gli altri aspetti, si vede che non erano affatto inferiori a loro; e quello che sembra uno svantaggio, torna a loro grande lode. Considera infatti quanto coraggio e quanta saggezza abbia richiesto loro - che pure vivevano sulla terra ed erano soggetti alle necessità della natura mortale - il raggiungimento della virtù angelica. Che fu proprio la verginità a renderli tali, risulta evidente dalla loro vita: se avessero avuto moglie e figli non avrebbero potuto abitare con tanta facilità nel deserto, nè disprezzare le loro case e le altre comodità della vita. Staccati da tutti questi legami, vivevamo sulla terra come se si trovassero in cielo. Non avevano bisogno di muri, di tetti, di letti, di tavole, e di nessun’altra di queste cose: il loro tetto era il cielo, il loro letto la terra, la loro tavola il deserto.2. La sterilità del deserto, che agli altri uomini sembra causa di fame, per questi santi era fonte di una grande abbondanza: non avevano bisogno nè di viti, nè di torchi, nè di campi coltivati, nè di campi mietuti. Abbondanti e dolci bevande erano fornite dalle fonti, dai fiumi e dagli stagni; per quanto riguardava poi la tavola, al primo di loro un angelo ne apparecchiò una meravigliosa, straordinaria e più sontuosa di quelle a cui sono abituati gli uomini: "Un unico pane - è detto - è sufficiente per una carestia di quaranta giorni. Il secondo fu spesso nutrito, mentre operava dei miracoli, dalla grazia dello spirito, che non nutrì solo lui, ma anche altri tramite lui. E Giovanni, che era più di un profeta ed il più grande degli uomini nati da una donna, non aveva neppure e bisogno di un nutrimento umano: non il grano, o il vino, o l’olio, ma le cavallette ed il miele selvatico conservavano la vita del suo corpo. Vedi la forza della verginità? Essa ha messo in condizione di comportarsi come se non avessero più il corpo, come se avessero già raggiunto il cielo, come se fossero già immortali, degli uomini che erano ancora legati al sangue ed alla carne, che camminavano ancora per terra, e che erano ancora soggetti alle necessità della natura mortale.
LXXX. In che cosa consistono il decoro e assiduità
1. Tutto era superfluo per loro: non solo le cose veramente superflue quali il lusso, le ricchezze, la potenza, la gloria e tutta la schiera delle chimere, ma anche le cose che sembrano necessarie, quali le case, le città e le arti. In questo consiste l'essere "decorosi ed assidui", in questo consiste la virtù della verginità. Sono certo cose ammirevoli e degne di molte corone l'avere la meglio sulla furia dei desideri ed il saper frenare l'anima impazzita; ma la verginità diventa veramente ammirevole quando le si accompagna una vita di questo tipo, perché da sola essa è debole e non basta a salvare chi la possiede. Lo potrebbero testimoniare le donne che, pur praticando ancor oggi la verginità, sono così lontane da Elia, Eliseo e Giovanni quanto lo è la terra dal cielo.2. Come, se si eliminano il decoro e l’assiduità, si recidono anche i nervi della verginità, allo stesso modo, se la si possiede insieme alla migliore condotta di vita, si possiedono anche la radice e la fonte dei beni. Come la terra grassa e feconda nutre la radice, così la migliore condotta di vita nutre i frutti della verginità: per meglio dire, la vita "crocifissa" è la radice ed il frutto della verginità. Fu essa infatti ad ungere per la corsa meravigliosa quelle persone generose, recidendo tutti i loro legami e mettendole in condizione di volare verso il cielo con piedi agili e leggeri, come se fossero degli esseri alati. Se non si deve pensare nè alla moglie nè ai figli, la povertà è molto facile; essa avvicina al cielo e libera non solo dalle paure, dalle preoccupazioni e dai pericoli, ma anche da tutte le altre difficoltà
LXXXI. Della grande bellezza della povertà
1. Chi non ha nulla disprezza tutto come se possedesse tutto, ed ostenta una grande sicurezza nei confronti dei magistrati, dei principi ed anche di colui che è cinto di un diadema. Chi disprezza le ricchezze, proseguendo per la sua strada, giunge facilmente a disprezzare anche la morte. Elevatosi al di sopra di queste cose, parla a tutti con grande sicurezza, senza aver paura di nessuno e senza tremare. Chi invece si occupa delle ricchezze, è schiavo non solo di esse, ma anche della gloria, degli onori, della vita presente ed in una parola di tutte le cose materiali. Per questo Paolo chiama l'amore per le ricchezze "radice di tutti i mali". La verginità è pero in grado di essiccare questa radice e di piantarne in noi un’altra - la migliore - che fa germogliare tutti i beni: la libertà, la sicurezza, il coraggio, lo zelo ardente, il caldo amore per le cose celesti, il disprezzo per tutte le cose terrene. Così si realizzano "il decoro e assiduità".LXXXII. Critiche mosse a coloro che affermano che chi pratica la verginità si augura di poter andare nel seno di Abramo
1. Ma qual è il sapiente discorso che fanno molti? "Il patriarca Abramo - si dice - aveva moglie, figli, beni, greggi e mandrie; ciò nonostante, sia Giovanni battista che Giovanni evangelista - che erano entrambi vergini -, sia Paolo che Pietro - che rifulgevano per la loro continenza - si auguravano di poter andare nel suo seno". Ma chi ti ha detto questo, o mio caro? Quale profeta? Quale evangelista? "Cristo in persona - mi si risponde -. Vista infatti la grande fede del centurione, Cristo disse: "E molti verranno dall'oriente e dall'occidente, e si sdraieranno con Abramo, Isacco e Giacobbe". Anche Lazzaro è visto dal ricco nell'atto di godere assieme a lui". Ma cos’ha a che fare tutto questo con Paolo, Pietro e Giovanni? Paolo e Giovanni non erano Lazzaro, nè "i molti che verranno dall'oriente e dall’occidente" rappresentano il coro degli apostoli. Il vostro discorso è quindi superfluo e vano.2. Se invece vuoi conoscere esattamente i premi degli apostoli, ascolta le parole di chi li assegna: "Quando il figlio dell'uomo siederà sul trono della sua gloria, anche voi che mi avete seguito sederete su dodici troni, per giudicare le dodici tribù d’Israele". Qui non si parla affatto nè di Abramo, nè di suo figlio, nè del figlio di suo figlio, nè del seno che li accoglierà, ma di una dignità molto più grande: essi sederanno a giudicare i loro discendenti. La differenza non risulta solo da questo, ma anche dal fatto che molti otterranno ciò che ha ottenuto Abramo: "molti - dice il Signore - verranno dall’oriente e dall'occidente e si sederanno con Abramo, Isacco e Giacobbe"; nessuno invece prenderà posto sui troni, con la sola eccezione del coro dei santi apostoli.
3. Dimmi: pensate ancora ai greggi, alle mandrie, ai matrimoni ed ai figli? Perché non dovremmo - mi si risponderebbe - se molti di coloro che sono rimasti vergini, dopo avere tanto faticato, si augurano di giungere lì?". Ed io ricorderò una cosa ancora più importante: molti di coloro che sono rimasti vergini non giungeranno nè nel seno di Abramo nè in una sede inferiore, ma nella Geenna, come stanno a dimostrare le vergini chiuse fuori della camera nuziale. Ma allora la verginità non è uguale, o addirittura inferiore al matrimonio? Il tuo esempio la rende inferiore. Questo solo infatti rimane da sospettare in base al vostro discorso, se è vero che Abramo, che pure era sposato, ora riposa e gode, mentre chi è rimasto vergine si trova nella Geenna. Ma le cose non stanno affatto così: la verginità non solo non è peggiore, ma è di gran lunga migliore del matrimonio. Come mai? Perché non fu il matrimonio a rendere cosi virtuoso Abramo, ne la verginità a perdere quelle sciagurate vergini: le virtù dell'anima fecero rifulgere il patriarca, mentre la vita viziosa consegnò al fuoco le vergini. Abramo infatti, pur vivendo nel matrimonio, si preoccupava di realizzare i pregi propri della verginità, vale a dure il decoro e l’assiduità.
4. Le vergini invece, pur avendo scelto la verginità, caddero nel vortice della vita e nelle preoccupazioni proprie del matrimonio. "Che cosa ci può dunque impedire - mi si obietta - di salvare l’assiduità anche ora, rimanendo sposati ed avendo i figli, i beni e tutte le altre cose?". Innanzi tutto, nessuno è ora come Abramo, e non gli si avvicina neanche un po'. Egli infatti pur essendo ricco, disprezzava i beni più dei poveri, e pur avendo una moglie sapeva dominare i piaceri più delle persone vergini; mentre quest'ultime sono ogni giorno bruciate dal desiderio, egli spense la fiamma e non si legò a nessuna affezione: non solo lasciò la concubina, ma la scacciò anche dalla sua casa, per eliminare ogni motivo di rissa e di discordia. Ora non sarebbe facile trovare qualcosa di simile.
LXXXIII. A noi non viene proposto lo stesso metro di virtù che era stato proposto agli uomini del Vecchio Testamento
1. Ma a parte questo, ripeto ciò che avevo detto al principio: non ci è richiesto lo stesso metro di virtù che veniva richiesto ai patriarchi. Ora infatti non si può essere perfetti se non si vende tutto e se non si rinunzia a tutto - non solo ai beni ed alla casa, ma anche alla propria anima; in quei tempi, invece, non si conoscevano ancora esempi di una moralità così severa. "E allora? - mi si chiede -. Adesso conduciamo una vita più severa di quella del patriarca?". Lo dovremmo e ci è stato ordinato, ma non la conduciamo, e per questo siamo molto inferiori a quel giusto: che a noi vengano richieste prove più difficili, è evidente a tutti. Per questo la Scrittura non esprime la sua ammirazione per Noè in modo assoluto, ma con un’aggiunta limitativa. Dice infatti: "Noè, che era giusto e perfetto nella sua generazione, piaceva a Dio". Non dice semplicemente "perfetto", ma aggiunge "in quel periodo": molti sono i tipi di perfezione che si determinano a seconda delle differenti epoche, e con il passare del tempo ciò che prima era perfetto diventa imperfetto.2. Faccio un esempio: allora la perfezione consisteva nel vivere secondo la legge. "Chi mette in pratica le prescrizioni - è detto - vivrà in esse". Cristo però, una volta giunto tra noi, ha mostrato che questa perfezione era in realtà imperfetta. Dice infatti: "Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli". Allora soltanto l'omicidio era ritenuto un misfatto; adesso, l’ira e le offese possono da sole mandare nella Geenna. Allora era punito solo l'adulterio; ora, neanche lo sguardo cupido gettato su di una donna resta impunito. Allora era considerato proveniente dal Maligno solo lo spergiuro; adesso, è considerato tale anche il giuramento. "Ciò che si aggiunge - dice il Signore - proviene dal Maligno". Allora, agli uomini era richiesto solo di riamare chi li amava; adesso, questa cosa così importante ed ammirevole appare così imperfetta, che noi, anche dopo averla realizzata, non possediamo nulla in più dei pubblicani.
LXXXIV. E' giusto che per gli stessi atti virtuosi a noi ed agli uomini dell'Antico Testamento non venga accordata la stessa ricompensa
1. Perché mai dunque per gli stessi atti virtuosi non viene accordata a noi ed agli uomini dell'Antico Testamento la stessa ricompensa, e perché noi, se vogliamo ottenere lo stesso trattamento che è riservato loro, dobbiamo dar prova di una virtù più grande? Perché ora si riversa su di noi in abbondanza la grazia dello spirito, e perché grande è il dono rappresentato dalla venuta di Cristo, che da bambini che eravamo ci ha resi uomini perfetti. Quando i nostri figli arrivano all’adolescenza, noi pretendiamo da loro degli atti virtuosi molto più impegnativi: una volta che sono divenuti adulti, non ammiriamo più allo stesso modo gli atti che lodavamo all'epoca della loro prima infanzia, ma ingiungiamo loro di dar prova di altre virtù, d'importanza ben maggiore. Allo stesso modo, Dio ai primi tempi non pretese dei grandi atti virtuosi dalla natura umana, perché era ancora bambina Dopo avere fatto ascoltare agli uomini i profeti e gli apostoli ed aver concesso loro la grazia dello spirito, Egli accrebbe però l'importanza delle azioni virtuose da compiere: era giusto, giacchè assegnò anche dei premi maggiori e delle ricompense molto più fulgide A chi realizza queste virtù non sono infatti riservate la terra e le cose della terra, ma il cielo ed i beni che superano ogni capacità di comprensione.2. Non è dunque assurdo, dopo che si è divenuti uomini, continuare a rimanere piccoli come prima? Allora la natura umana era lacerata nel suo intimo e vittima di una guerra implacabile. Spiegando questa situazione, Paolo così parlò: "Vedo nelle mie membra un’altra legge che combatte contro la legge della mia mente e che mi cattura con la legge del peccato che si trova nelle mie membra". Ma ora le cose non stanno più così. "Ciò che era impossibile alla legge perché era debole a causa della carne, Dio l’ha reso possibile mandando a causa del peccato il proprio figlio rivestito di una carne simile a quella del peccato e condannando il peccato della carne". Ringraziando Dio di questo, Paolo disse: "O me misero, chi mi libererà da questo corpo di morte? Rendo grazie a Dio tramite Gesù Cristo".
3. La punizione che ci tocca è quindi giusta: pur essendo liberi, non vogliamo correre come le persone legate; ma neanche se corressimo come loro potremmo sfuggire alla punizione. Chi infatti gode di una pace più sicura deve innalzare dei trofei molto più grandi e splendenti di quelli che può innalzare chi è tanto oppresso dalla guerra. Se ci volgiamo verso le ricchezze, il lusso, le donne e la cura degli affari, quando mai potremo diventare uomini, quando mai potremo vivere secondo lo spirito, quando mai potremo pensare alle cose del Signore? Forse quando ce ne andremo via di qui? Allora però non sarà più il momento delle fatiche e delle gare, ma delle corone e dei castighi. Allora anche la vergine se non avrà l'olio nella sua lampada, non potrà farselo dare dalle altre vergini, e dovrà rimanere fuori; e chi si presenterà con indosso un vestito sudicio, non potrà uscire per cambiarlo, ma sarà gettato nel fuoco della Geenna: anche se invocherà Abramo, non otterrà nulla. Quando il giorno del giudizio è giunto, quando la tribuna è pronta, quando il giudice è già seduto, quando il fiume di fiamme già scorre ed ha luogo l’esame delle nostre azioni, non ci è più consentito di deporre i nostri peccati, ma siamo, volenti o nolenti, trascinati al castigo che essi meritano. Nessuno potrà più intercedere per noi, neanche chi possiede la stessa sicurezza di quei grandi e straordinari uomini di allora, neanche un Noè, un Giobbe o un Daniele, neanche chi prega per i propri figli e le proprie figlie: sarà tutto inutile.
4. I peccatori dovranno essere puniti in eterno, così come i virtuosi dovranno essere onorati in eterno. Che non ci sarà fine nè per i premi nè per i castighi l'ha mostrato Cristo, là dove ha detto che sia la vita che la punizione saranno eterne. Quando accoglierà quelli alla sua destra e condannerà quelli alla sua sinistra, Egli aggiungerà: "Questi ultimi andranno al castigo eterno, mentre i giusti andranno alla vita eterna". Dobbiamo quindi sforzarci mentre siamo ancora qui: chi ha la moglie si comporti come se non l'avesse , e chi non l'ha veramente pratichi assieme alla verginità tutte le altre virtù; solo così non avremo modo di lamentarci inutilmente dopo la nostra dipartita da qui.
Parte 4
Quaderno I - Santa Faustina Kowalska
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I° Quaderno - Parte 4
DIO E LE ANIME. ATTO DI OFFERTA. Di fronte al cielo ed alla terra, di fronte a tutti i Cori degli Angeli, di fronte alla SS.ma Vergine Maria, di fronte a tutte le Potenze celesti, dichiaro a Dio, Uno e Trino, che oggi in unione con Gesù Cristo, Redentore delle anime, faccio volontariamente l'offerta di me stessa per la conversione dei peccatori e specialmente per le anime che hanno perso la speranza nella Misericordia Divina. Detta offerta consiste in questo, che prendo, con totale sottomissione alla volontà di Dio, tutte le sofferenze, i timori e le paure da cui sono tormentati i peccatori ed in cambio cedo loro tutte le consolazioni che ho nell'anima, che provengono dal rapporto intimo con Dio. In una parola offro per loro tutto: le sante Messe, le sante Comunioni, le penitenze, le mortificazioni, le preghiere. Non temo i colpi, i colpi della giustizia di Dio, perché sono unita a Gesù. O mio Dio, desidero in tal modo ripagarTi per le anime che non hanno fiducia nella Tua bontà. Confido contro ogni speranza nell'oceano della Tua Misericordia. O Signore e Dio mio, porzione, mia porzione per l'eternità, non formulo questo atto di offerta basandomi sulle mie forze, ma sulla potenza che deriva dai meriti di Gesù Cristo. Ripeterò ogni giorno questo atto di offerta con la seguente preghiera, che Tu stesso mi hai insegnato, o Gesù: O Sangue e Acqua che scaturisti dal Cuore di Gesù, comesorgente di Misericordia per noi, confido in Te. Sr. M. Faustina del Santissimo Sacramento.
Giovedi Santo durante la Santa Messa, giorno 29 anno 1934.
« Ti do una piccola parte nella Redenzione del genere umano. Tu sei il refrigerio nel momento della Mia agonia ». Ottenuto il permesso dal mio confessore di fare questo atto di offerta, conobbi che tale atto era gradito a Dio, infatti cominciai subito a sentirne le conseguenze. In un attimo la mia anima divenne come una roccia: arida, piena di tormenti e d'inquietudine. Diverse bestemmie ed imprecazioni rintronavano nelle mie orecchie. La diffidenza e la disperazione albergarono nel mio cuore. Ecco qual era la condizione dei miseri, che avevo preso su di me. In un primo momento mi spaventai molto per questi orrori, ma con la prima confessione che feci, fui tranquillizzata.Una volta che andai a confessarmi fuori del convento, capitai che il mio confessore stava celebrando la santa Messa. Dopo un momento vidi sull'altare Gesù Bambino che allungava soavemente e con gioia le sue manine verso di lui. Ma quel sacerdote, un momento dopo, prese quel bel Bambino nelle mani, lo spezzò e lo mangiò vivo. In un primo momento provai avversione per quel sacerdote, a causa di un tale comportamento nei confronti di Gesù, ma ben presto venni illuminata in questa questione e capii che quel sacerdote era molto caro al Signore.Una volta che andai dal pittore che stava dipingendo l'immagine e m'accorsi che non era così bella come è Gesù, mi rattristai molto per questo, ma lo nascosi nel profondo del cuore. Quando uscimmo da casa del pittore, la Madre Superiora rimase in città a sbrigare varie faccende ed io tornai a casa da sola. Andai subito in cappella e mi sfogai piangendo a dirotto. Dissi al Signore: « Chi può dipingerTi bello come sei? ». All'improvviso udii queste parole: « Non nella bellezza dei colori né del pennello sta la grandezza di questa immagine, ma nella Mia grazia ».
Una volta che ero andata nell'orto di pomeriggio, l'Angelo
Custode mi disse: « Prega per gli agonizzanti ». Incominciai subito
il rosario per gli agonizzanti assieme alle ragazze addette
all'orto. Terminato il rosario, recitammo diverse invocazioni per
gli agonizzanti. Finite le preghiere, le educande si misero a
chiacchierare allegramente fra loro. Nonostante il chiasso che facevano,
udii nel mio intimo queste parole: « Prega per me ». Dato che non
avevo potuto capire bene quelle parole, mi allontanai di qualche
passo dalle educande, riflettendo su chi poteva essere che mi
ordinava di pregare. D'un tratto udìi queste parole: « Sono Suor...
». Questa suora stava a Varsavia, mentre io allora ero a Wilno. «
Prega per me fino a quando ti dirò di smettere. Sto agonizzando ».
Cominciai subito a pregare con fervore per lei il Cuore agonizzante
di Gesù e, senza darmi respiro, pregai così dalle tre alle cinque
del pomeriggio. Alle cinque udii questa parola: « Grazie ». Compresi
che era già morta. Tuttavia il giorno dopo, durante la santa Messa,
pregai fervorosamente per la sua anima. Nel pomeriggio giunse una
cartolina che annunciava che Suor... alla tale ora era morta. Mi
resi conto che era la stessa ora, nella quale mi aveva detto: « Prega
per me! ».
O Madre di Dio, la Tua anima è stata immersa in un mare di
amarezze: guarda alla Tua bambina ed insegnale a soffrire e ad amare
nella sofferenza. Fortifica la mia anima, in modo che il dolore non
la spezzi. O Madre della grazia, insegnami a vivere con Dio. Una
volta mi venne a trovare la Madonna. Era triste, aveva gli occhi
abbassati verso il suolo, mi fece capire che aveva qualche cosa da
dirmi, ma nello stesso tempo si comportava come se non volesse
parlarmene. Quando lo compresi, cominciai a pregare la Madonna che
me lo dicesse e volgesse lo sguardo verso di me. In un attimo Maria
si rivolse a me sorridendo cordialmente e disse: « Dovrai soffrire a
causa di una malattia e dei medici. Inoltre avrai sofferenze per
quell'immagine. Ma non aver paura di nulla». Il giorno dopo mi
ammalai e soffrii molto, proprio come mi aveva detto la Madonna, ma la
mia anima è preparata alle sofferenze. La sofferenza è la compagna
costante della mia vita. O mio Dio, mia unica speranza, in Te ho
posto tutta la mia fiducia e so che non rimarrò delusa. Talvolta,
dopo la santa Comunione, sento la presenza di Dio in modo
particolare, sensibile. Sento che c'è Iddio nel mio cuore. Ed il
fatto che sento Dio nell'anima, non m'impedisce affatto di compiere i
miei doveri, anche quando sbrigo le più importanti questioni, che
richiedono attenzione, non perdo la presenza di Dio nell'anima e
resto strettamente unita a Lui. Con Lui vado al lavoro, con Lui vado
a ricreazione, con Lui soffro, con Lui gioisco, vivo in Lui ed Egli
in me. Non sono mai sola, poiché Egli è il mio compagno stabile; in
ogni momento sono consapevole della Sua presenza. La nostra familiarità
è stretta a causa dell'unione del sangue e della vita...
9.VIII.1934.
Adorazione notturna del giovedì.
Ho fatto l'adorazione dalle undici alle dodici. Questa adorazione
l'ho fatta per la conversione dei peccatori induriti, ma specialmente
per quelli che hanno perduto la speranza nella Misericordia di Dio. Ho
considerato quanto ha sofferto Dio e quanto è grande l'amore che ci
ha dimostrato e noi non crediamo che Dio ci ama cosi. O Gesù, chi
comprende questo? Che dolore per il nostro Salvatore e con che cosa
può convincerci del suo amore, se la Sua stessa morte non riesce a
convincerci? Ho pregato tutto il cielo ad unirsi a me per compensare
il Signore dell'ingratitudine di certe anime. Gesù mi ha fatto
conoscere quanto Gli è gradita la preghiera riparatrice. Mi ha detto: « La pregbìera di un'anima umile ed amante placa l'ira del Padre Mio ed attira un mare di benedizioni ».
Finita l'adorazione, a metà strada verso la cella, fui circondata
da un gran branco di cani neri, alti, che saltavano ed ululavano,
mostrando chiaramente l'intenzione di sbranarmi. M'accorsi però che non
erano cani, ma demoni. Uno di loro disse con rabbiosa malvagità: «
Dato che questa notte ci hai portato via tante anime, ora noi ti
facciamo a pezzi ». Risposi: « Se questa è la volontà di Dio
misericordiosissimo, fatemi pure a pezzi, poiché l'ho giustamente
meritato, essendo la più misera delle peccatrici, ma Dio è sempre
santo, giusto ed infinitamente misericordioso ». A queste parole
risposero tutti insieme i demoni: « Fuggiamo, perché non è sola, ma
c'è con lei l'Onnipotente ». E scomparvero come la polvere, come un
rumore che giunge dalla strada, mentre io tranquillamente,
continuando il Te Deum, andai in cella riflettendo sull'infinita ed
insondabile Misericordia divina.
12.VIII.1934.
Svenimento improvviso.
Sofferenze preagoniche. Non era la morte, cioè il passaggio alla
vera vita, ma un pregustarne le sofferenze. Pur donandoci la vita
eterna, la morte è spaventosa. Mi sentii improvvisamente male:
mancanza di respiro, buio davanti agli occhi, sensazione di
mancamento nelle membra. Questo soffocamento è atroce. Un istante di
tale soffocamento è infinitamente lungo... Nonostante la fiducia,
sopravviene pure uno strano senso di paura. Desiderai ricevere gli
ultimi S. Sacramenti. Ma, in quello stato la santa Confessione riesce
assai difficoltosa, malgrado il desiderio di confessarsi. Non si sa
quel che si dice: si comincia una cosa, senza finire l'altra. Iddio
preservi ciascun anima dal rinviare la confessione all'ultima ora.
Ho sperimentato la potenza delle parole del sacerdote, che scendono
benefiche sull'anima dell'ammalato. Quando chiesi al Padre
spirituale se ero pronta a presentarmi davanti a Dio e se potevo stare
tranquilla, ottenni questa risposta: « Può essere pienamente
tranquilla, non solo adesso, ma dopo ogni confessione settimanale ».
La grazia di Dio che accompagna queste parole del sacerdote è
grande. L'anima sente la forza ed il coraggio per la battaglia. O
Congregazione, o madre mia, come è dolce vivere sotto le tue ali, ma
è ancora meglio morirvi! Ricevuti gli ultimi S. Sacramenti, sopravvenne
un miglioramento totale. Rimasi sola. Il miglioramento durò circa
mezz'ora, poi si ripeté l'attacco, ma non più cosi violento, perché
le cure mediche lo contrastavano. Unii le mie sofferenze a quelle di
Gesù e le offrii per me e per la conversione delle anime che non
credono nella bontà di Dio. All'improvviso la mia cella si riempi di
ceffi neri pieni di malvagità e di odio contro di me. Uno di essi
disse: « Maledetta tu e Colui che è in te, perché già cominci a
tormentarci nell'inferno ». Appena dissi: « Ed il Verbo si fece carne ed
abitò in mezzo a noi », subito quei ceffi scomparvero
rumorosamente. L'indomani mi sentivo debolissima, ma non provavo più
nessuna sofferenza. Dopo la santa Comunione vidi Gesù nell'aspetto
che avevo già visto durante un'ora di adorazione. Lo sguardo del
Signore trapassò la mia anima da parte a parte e nemmeno il più
minuscolo pulviscolo sfugge alla Sua attenzione. E dissi a Gesù: «
Pensavo che mi prendessi ». E Gesù mi rispose: « Ancora non
si è adempiuta completamente la Mia volontà in te; rimarrai ancora
sulla terra, ma non per molto tempo. Mi piace molto la tua fiducia,
ma l'amore sia più ardente. Un amore puro dà forza all'anima
nell'agonia stessa. Quando agonizzavo sulla croce non pensavo a Me,
ma ai poveri peccatori e pregavo il Padre per loro. Voglio che anche i
tuoi ultimi momenti siano completamente simili ai Miei sulla croce.
Uno solo è il prezzo col quale si riscattano le anime e questo
prezzo è la sofferenza unita alla Mia sofferenza sulla croce.
L'amore puro comprende queste parole; l'amore carnale non le
comprenderà mai ».
Anno 1934.
Il giorno dell'Assunzione
della SS.ma Vergine, non andai alla santa Messa, la dottoressa non
me lo permise, ma pregai fervorosamente in cella. Dopo poco vidi la
Madonna, che era di una bellezza indescrivibile e che mi disse: «
Figlia Mia, voglio da te preghiera, preghiera e ancora una volta
preghiera per il mondo e specialmente per la tua Patria. Fa' la
comunione riparatrice per nove giorni, unisciti strettamente al
sacrificio della Santa Messa. Per questi nove giorni starai davanti a
Dio come vittima, ovunque, continuamente, in ogni luogo e in ogni
momento giorno e notte; ogni volta che ti svegli, prega
interiormente. Pregare di continuo interiormente è possibile ». Una
volta Gesù mi disse: « Il Mio sguardo da quest'immagine è tale e quale al Mio sguardo dalla croce».
Una volta il confessore mi chiese come doveva essere collocata la
scritta, dato che non c'era posto sull'immagine. Risposi che avrei
pregato ed avrei dato una risposta la settimana seguente. Mentre mi
allontanavo dal confessionale, passando accanto al SS.mo Sacramento,
mi fu fatto capire interiormente come doveva essere quella scritta.
Gesù mi ricordò quello che mi aveva detto la prima volta e cioè che
queste tre parole dovevano essere messe in evidenza. Le parole sono
queste: « Jezu, ufam Tobie ». Gesù, confido in Te. Capii che Gesù
desiderava che venisse messa questa frase, ma all'infuori di queste
parole, non dava altri ordini precisi. « Porgo agli uomini
il recipiente, col quale debbono venire ad attingere le grazie alla
sorgente della Misericordia. Il recipiente è quest'immagine con la
scritta: Gesù, confido in Te».
O Amore purissimo, regna
totalmente nel mio cuore ed aiutami a compiere nella maniera più fedele
la Tua santa volontà. Verso la fine di un ritiro spirituale di tre
giorni, mi accorsi che camminavo lungo una strada accidentata ed
inciampavo ogni momento e vedevo che dietro di me veniva un altra
figura che mi sosteneva continuamente e io non ero contenta di
questo e chiesi che quella figura si scostasse da me, perché volevo
camminare da sola. Tuttavia quella figura, che non riuscii a
riconoscere, non mi abbandonò nemmeno per un istante. La cosa
m'innervosì e mi rivoltai contro di lei e la respinsi da me. In quel
momento conobbi che quella figura era la Madre Superiora e nello
stesso momento vidi che non era più la Madre Superiora ma Gesù, che
m'inviò uno sguardo profondo e mi fece conoscere quanto Gli sarebbe
dispiaciuto se, anche nella più piccola cosa, non avessi cercato di fare
la volontà della Superiora « che è la Mia volontà». Chiesi vivamente perdono al Signore e presi seriamente a cuore quell'avvertimento.
Una volta il confessore mi chiese di pregare secondo la sua
intenzione e cominciai una novena alla Madonna. Questa novena
consisteva nel recitare nove volte la « Salve Regina ». Verso la
fine della novena vidi la Madonna col Bambino Gesù in braccio e vidi
anche il mio confessore che era inginocchiato ai Suoi piedi e
parlava con Lei. Non compresi di che cosa parlasse con la Madonna,
poiché ero impegnata a parlare col Bambino Gesù, che era sceso dalle
braccia della Madonna e si era avvicinato a me. Non mi stancavo di
ammirare la Sua bellezza. Sentii alcune parole che gli diceva la
Madonna, ma non sentii tutto. Le parole sono queste: « Io sono non solo la Regina del Cielo, ma anche la Madre della Misericordia e la Madre tua ».
In quel momento stese la mano destra con cui reggeva il mantello e
copri con esso quel sacerdote. In quell'istante la visione
scomparve. Oh! che grazia grande è quella di avere un direttore
spirituale! Si progredisce più in fretta nelle virtù, si conosce più
chiaramente la volontà di Dio, la si adempie più fedelmente, si
procede su una strada certa e sicura. il direttore spirituale sa
evitare gli scogli contro i quali essa potrebbe andare in frantumi.
Iddio mi ha dato questa grazia piuttosto tardi, ma sono molto lieta
vedendo come Iddio accondiscende ai desideri del direttore spirituale.
Cito un solo fatto fra le migliaia che mi capitano. Come al solito
una sera avevo pregato il Signore di darmi i punti per la
meditazione del giorno dopo. Ricevetti questa risposta: « Medita sul profeta Giona e sulla sua missione ».
Ringraziai il Signore, ma dentro di me cominciai a pensare: che
meditazione diversa dalle altre! Ciò nonostante, con tutta
l'applicazione possibile, m'impegnai a riflettere e in quel profeta
scoprii me stessa, nel senso che anch'io spesso mi rifiuto davanti a
Dio, dicendo che qualcun altro potrebbe compiere meglio la santa
volontà di Dio, non comprendendo che Dio può tutto e tanto più si
rivela la Sua potenza, quanto più è misero lo strumento che adopera.
Dio mi ha fatto capire questo. Nel pomeriggio ci fu la confessione
della comunità. Quando feci presente al direttore spirituale il
timore che mi attanaglia l'anima a causa di questa missione, per la
quale Dio mi usa come strumento non idoneo, il padre spirituale mi
rispose che, volenti o nolenti, dobbiamo compiere la volontà di Dio e
mi fece l'esempio del profeta Giona. Finita la confessione pensavo
tra me, come mai il confessore sapesse ché Dio mi aveva ordinato di
fare la meditazione su Giona; io non gliene avevo parlato. Ad un
tratto udii queste parole: « Il sacerdote, quando Mi
sostituisce, non è Iui che opera, ma sono io per suo tramite. I suoi
desideri sono i Miei desideri ». Vedo come Gesù difende i Suoi sostituti. Egli stesso entra nel loro operare.
Giovedì.
Quando ho cominciato l'ora santa,
avrei voluto immergermi nell'agonia di Gesù nell'Orto degli Ulivi.
Ad un tratto sentii nel mio intimo una voce: « Medita i misteri dell'Incarnazione ».
Ed all'improvviso mi apparve il Bambino Gesù di una splendente
bellezza. Mi disse quanto era gradita a Dio la semplicità
dell'anima. « Sebbene la Mia grandezza sia inconcepibile, ho
rapporti di intimità soltanto con i piccoli. Voglio da te l'infanzia
dello spirito ». Ora vedo chiaramente come Iddio opera
attraverso il confessore e come è fedele nelle sue promesse. Due
settimane fa il confessore mi aveva ordinato di riflettere
sull'infanzia dello spirito. Sulle prime la cosa m'era riuscita un po'
difficile, ma il confessore, non badando alle mie difficoltà, aveva
insistito perché meditassi sull'infanzia dello spirito. « In pratica
quest'infanzia si manifesta così: un bambino non si preoccupa né
del passato né del futuro, ma approfitta dei momento presente. In
lei, sorella, desidero che emerga questa infanzia dello spinto ed
attribuisco a ciò una grande importanza ». Vedo come il Signore si
presti ad accogliere i desideri del confessore, dato che in questo
periodo non mi si mostra come Maestro nel pieno delle forze e della
sua matura umanità, ma mi appare come un Bambino.
Questo Dio
infinito si abbassa fino a me nelle sembianze di un Bambinello. Ma
lo sguardo della mia anima non si ferma alla superficie. Benché tu
prenda le sembianze di un Bambinello, io vedo in Te l'Immortale,
l'infinito Signore dei signori, che i puri spiriti adorano giorno e
notte, per il quale ardono i cuori dei Serafini col fuoco dell'amore
più puro. O Cristo, o Gesù, io desidero superarli nell'amore verso
di Te. Vi chiedo perdono, o puri spiriti, per aver osato paragonarmi
a Voi. Io sono un abisso di miseria, una voragine di miseria, ma
Tu, o Dio, che sei un abisso insondabile di Misericordia, assorbimi
come l'ardore del sole assorbe una goccia di rugiada. Un Tuo sguardo
amorevole conferisce lo stesso livello ad ogni abisso. Sono
immensamente felice per la grandezza di Dio. Nel modo più assoluto
mi basta vedere la grandezza di Dio, per essere felice per tutta
l'eternità. Una volta che vidi Gesù sotto l'aspetto di un Bambino,
domandai: « Come mai, Gesù, ora tratti intimamente con me prendendo
l'aspetto di un Bambino? Del resto io in Te, anche se sei così, vedo
Dio infinito, il mio Creatore e Signore ». Gesù mi rispose che fino a
quando non avessi imparato la semplicità e l'umiltà, avrebbe
trattato con me come un bimbo.
1934. Durante la santa Messa, nella quale Gesù venne esposto nel
SS.mo Sacramento, prima della santa Comunione, vidi due raggi che
uscivano dall'Ostia Santissima, così come sono dipinti in questa
immagine: uno rosso e l'altro pallido. Si riflettevano su ciascuna
delle Suore e sulle educande, ma non su tutte allo stesso modo. Su
alcune erano appena tratteggiati. Era il giorno in cui terminavano gli
esercizi spirituali delle figliole.
22.XI.1934.
Una volta il padre spirituale mi ordinò di riflettere
attentamente su di me e di indagare per vedere se avevo qualche
attaccamento a qualche oggetto o creatura od a me stessa o se vi era
in me una propensione a chiacchierare inutilmente. « Poiché tutto
ciò, mi disse, impedisce al Signore Gesù di amministrare a suo
gradimento la tua anima. Dio è geloso del nostro cuore e vuole che
amiamo Lui solo ». Quando cominciai a riflettere profondamente su me
stessa, non notai di essere attaccata a qualche cosa. Tuttavia,
come in tutte le mie cose, così anche in questa avevo paura di me
stessa e non credevo a me stessa. Stanca per questa indagine
minuziosa, andai davanti al SS.mo Sacramento e pregai Gesù con tutta
la forza della mia anima: «Gesù, mio Sposo, Tesoro del mio cuore, Tu
sai che conosco soltanto Te e non conosco altro amore tranne Te, ma
Gesù, se dovessi affezionarmi a qualunque cosa all'infuori di Te, Ti
prego e Ti scongiuro, Gesù, per la potenza della Tua Misericordia,
fammi morire immediatamente, poiché preferisco mille volte morire,
piuttosto che ingannarTi una sola volta nella più piccola cosa ». In
quel momento Gesù si presentò all'improvviso davanti a me, non so
da dove, splendente di una bellezza indicibile, in una veste bianca, con
le braccia alzate e mi disse queste parole: « Figlia Mia,
il tuo cuore è il Mio riposo ed il Mio compiacimento. In esso trovo
tutto quello che un gran numero di anime Mi rifiuta. Dillo al Mio
sostituto». Ed all'improvviso non vidi più nulla, ma una
gioia immensa entrò nella mia anima. Ora comprendo che nulla può
essermi d'impedimento all'amore che ho per Te, o Gesù: non la
sofferenza, né le contrarietà, né il fuoco, né la spada, né la morte
stessa. Mi sento più forte, al di sopra di tutto questo. Nulla è
paragonabile all'amore. Vedo che le cose più insignificanti,
compiute da un'anima che ama sinceramente Dio, hanno un valore
inestimabile agli occhi dei Suoi santi.
5.XII.1934.
Una mattina, dopo aver aperto la
porta del convento per fare uscire i nostri operai addetti alla
distribuzione del pane, entrai un momentino nella piccola
cappellina, per fare una breve visita a Gesù e rinnovare le intenzioni
del giorno. « Ecco, Gesù, oggi tutte le sofferenze, le
mortificazioni, le preghiere, le offro per il Santo Padre, affinché
approvi la festa della Misericordia. Ma Gesù, debbo dirTi ancora una
parola. Sono molto stupita per il fatto che mi ordini di parlare di
questa festa della Misericordia, quando tale festa, a quanto mi
dicono, esiste già. Quindi, perché dovrei parlarne? E Gesù mi rispose: «
Chi mai ne è informato tra la gente? Nessuno. E perfino coloro che
debbono proclamare e dare delle istruzioni alla gente su questa
Misericordia, spesso essi stessi non lo sanno. Per questo desidero
che questa immagine venga solennemente benedetta la prima domenica
dopo Pasqua e che riceva culto pubblico, in modo che tutti possano
esserne informati. Fa' una novena secondo l'intenzione del Santo Padre,
che deve essere composta di trentatré invocazioni, ripetendo cioè
altrettante volte la breve preghiera alla Misericordia, che ti ho
insegnato ».
La sofferenza è il tesoro più grande che ci
sia sulla terra. Essa purifica l'anima. Nella sofferenza conosciamo
chi ci è veramente amico. Il vero amore si misura col termometro
della sofferenza. Gesù, Ti ringrazio per le piccole croci quotidiane,
per le contrarietà che incontro nelle mie iniziative, per il peso
della vita comunitaria, per l'interpretazione distorta delle mie
intenzioni, per le umiliazioni che provengono dagli altri, per il
comportamento aspro verso di noi, per i sospetti ingiusti, per la
salute cagionevole e per le forze che vengono meno, per il ripudio
della mia volontà, per l'annientamento del proprio io, per il mancato
riconoscimento in tutto, per gli impedimenti posti a tutti i miei
progetti. Ti ringrazio, Gesù, per le sofferenze interiori, per
l'aridità dello spirito, per le paure, i timori e i dubbi, per il
buio fitto e le tenebre interiori, per le tentazioni e le diverse
prove, per le angosce che è difficile descrivere, e soprattutto per
quelle in cui nessuno ci capisce, per l'ora della morte, per la dura
lotta che la precede e per tutta la sua amarezza. Ti ringrazio, Gesù,
che hai bevuto il calice dell'amarezza, prima di porgerlo a me
raddolcito. Ecco, ho accostato le mie labbra al calice della Tua
santa volontà. Avvenga di me secondo il Tuo volere; avvenga di me
ciò che ha stabilito la Tua sapienza fin dall'eternità. Desidero
bere fino all'ultima stilla il calice della predestinazione, non
voglio indagare su questa predestinazione, nell'amarezza c'è la mia
gioia, nella disperazione la mia fiducia. In Te, o Signore, quello
che ci dà il Tuo Cuore paterno è tutto buono; non preferisco le
gioie alle amarezze, né le amarezze alle gioie, ma Ti ringrazio di
tutto, o Gesù. La mia delizia consiste nello stare a contemplarTi, o
Dio incomprensibile. È in un'esistenza misteriosa che si aggira il
mio spirito, poiché è là che sento di essere a casa mia. Conosco
bene la dimora del mio Sposo. Sento che in me non c'è nemmeno una goccia
di sangue che non arda d'amore per Te. Bellezza eterna, chi Ti
conosce una sola volta, non può più amare nessun'altra cosa. Sento
la voragine insondabile della mia anima, e che niente può colmarla,
all'infuori di Dio. Sento che sprofondo in Lui, come un granellino
di sabbia in un oceano senza fondo.
20.XII.1934.
Una sera entrando nella cella,
vidi Gesù esposto nell'ostensorio, come se fosse stato fuori
all'aperto. Al piedi di Gesù vidi il mio confessore e dietro di lui
un gran numero di ecclesiastici di altissimo rango, con indumenti che
non avevo mai visto, eccetto allora in visione. E dietro a loro
varie classi di ecclesiastici. Più in là vidi una folla così vasta
di gente che non riuscii ad abbracciarla con lo sguardo. Vidi che
dall'Ostia uscivano due raggi, come sono nell'immagine, che si
unirono strettamente fra di loro, ma non si confusero e passarono
nelle mani del mio confessore e poi nelle mani degli ecclesiastici e
dalle loro mani passarono alla gente e tornarono nell'Ostia. E in quel
momento mi vidi in cella mentre entravo.
22.XII.1934.
Quando mi toccò in settimana
d'andare a confessarmi, capitai che il mio confessore stava
celebrando la S. Messa. Nella terza parte della S. Messa vidi il Bambino
Gesù, un po' più piccolo del solito e con la differenza che aveva
una piccola fascia di colore violetto, mentre di solito l'aveva
bianca.
24.XII.1934.
Vigilia di Natale. La mattina
durante la S. Messa ho sentito la vicinanza di Dio; il mio spirito
inavvertitamente si è immerso in Lui. Improvvisamente udii queste
parole: « Tu sei una gradevole dimora per Me; in te il Mio Spirito riposa ».
Dopo queste parole sentII io sguardo del Signore nel profondo del
mio cuore e vedendo la mia miseria, mi umiliai in ispirito ed ammirai la
grande Misericordia di Dio, considerando che l'altissimo Signore si
accosta ad una tale miseria. Durante la santa Comunione la gioia
inondò la mia anima; sentii che ero strettamente unita alla
Divinità; la Sua onnipotenza assorbì tutto il mio essere. Per tutta
la giornata avvertii in modo particolare la vicinanza di Dio e,
sebbene gli impegni non mi permettessero per tutta la giornata di
andare nemmeno per un momento in cappella, tuttavia non ci fu un solo
istante in cui non fossi unita a Dio. Lo sentii in me in una maniera
più sensibile di qualunque altra volta. Salutai senza posa la
Madonna, immedesimandomi nel Suo spirito e La pregai, affinché
m'insegnasse il vero amore di Dio. Ad un tratto udii queste parole: « Durante la S. Messa di mezzanotte ti comunicherò il segreto della Mia felicità ».
La cena fu prima delle sei; nonostante la letizia ed il chiasso
esterno che c'è quando ci si scambia l'oplatek, durante lo scambio
vicendevole degli auguri non venni privata nemmeno per un istante
della presenza di Dio. Dopo cena ci affrettammo col lavoro ed alle nove
potei andare all'adorazione in cappella. Avevo ottenuto il permesso
di non andare a riposare, ma di attendere la Messa di mezzanotte. Ne
gioii enormemente; dalle nove alle dodici avevo tempo libero. Dalle
nove alle dieci feci l'adorazione per i miei genitori e per tutta
la mia famiglia. Dalle dieci alle undici feci l'adorazione per il
mio direttore spirituale, ringraziando anzitutto Dio, che si era
degnato di darmi qui in terra questo grande aiuto visibile, come mi
aveva promesso e, in secondo luogo, per impetrargli luce, affinché
potesse conoscere la mia anima e guidarmi come piaceva a Dio. Dalle
undici alle dodici ho pregato per la santa Chiesa e per il clero,
per i peccatori, per le missioni, per le nostre case. Le indulgenze
le ho offerte per le anime del purgatorio.
Ore dodici. 25.XII.1934.
Messa di mezzanotte. Appena usci la santa Messa, il raccoglimento
interiore s'impadronì di me, la gioia inondò la mia anima. Durante
l'offertorio vidi Gesù sull'altare; era di una bellezza incomparabile.
Il Bambinello per tutto il tempo guardò verso tutti, tendendo le
manine. Quando ci fu l'elevazione il Bambinello non guardò verso la
cappella, ma verso il cielo; dopo l'elevazione si rivolse di nuovo
verso di noi, ma per poco tempo, poiché come al solito venne
spezzato e mangiato dal sacerdote. La fascia l'aveva bianca. Il
giorno dopo vidi la stessa cosa e lo stesso vidi il terzo giorno. E
difficile esprimere la gioia che avevo nell'anima. Questa visione si
ripeté durante tre sante Messe, esattamente come nelle prime.
Anno 1934.
Primo giovedì dopo Natale.
Avevo dimenticato completamente che oggi era giovedì, perciò non ho
fatto l'adorazione. Sono andata assieme alle consorelle in
dormitorio alle ore nove. Stranamente non riuscivo a dormire. Mi
sembrava che avessi ancora qualche cosa da fare. Ripassai
mentalmente i miei impegni, ma non riuscii a ricordarmi niente del
genere; la ricerca andò avanti fino alle dieci. Alle ore dieci vidi
il Volto martoriato di Gesù. Ad un tratto Gesù mi disse queste
parole: « Ti ho attesa per dividere con te le Mie sofferenze; chi infatti comprende le Mie sofferenze meglio della Mia sposa? ».
Chiesi perdono a Gesù per la mia tiepidezza, piena di rossore e
confusa, non osando rivolgere lo sguardo a Gesù, ma col cuore
contrito chiesi a Gesù che si degnasse di darmi una spina della Sua
corona. Gesù mi rispose che mi avrebbe concesso questa grazia, ma
l'indomani, e subito la visione scomparve. Al mattino, durante la
meditazione, sentii una spina dolorosa dalla parte sinistra del capo; il
dolore mi durò per tutto il giorno e pensai continuamente a come
Gesù avesse potuto resistere al dolore di tutte quelle spine che
sono nella Sua corona.
Unii le mie sofferenze alla sofferenza di
Gesù e le offrii per i peccatori. Alle quattro, quando sono andata
per l'adorazione, ho visto una delle nostre allieve che offendeva
Dio terribilmente con dei peccati impuri di pensiero. Ho visto pure
una certa persona a causa della quale peccava. Un fremito di spavento
ha attraversato l'anima mia ed ho pregato Dio, per i dolori di Gesù,
che si degnasse strapparla da quell'orribile miseria. Gesù mi
rispose che le avrebbe concesso la grazia, non per suo merito, ma
per la mia preghiera. Allora compresi quanto dovremmo pregare per i
peccatori e specialmente per le nostre educande. La nostra è una
vita veramente apostolica; non so immaginare una religiosa che viva
nelle nostre case, cioè nella nostra Congregazione, che non abbia
spirito apostolico; lo zelo per la salvezza delle anime dovrebbe
ardere nei nostri cuori. O mio Dio, come è dolce soffrire per Te,
soffrire nel più segreto del cuore, nel più grande nascondimento,
immolandosi come vittima non notata da alcuno, pura come il
cristallo, senza alcuna soddisfazione nè partecipazione affettiva.
Il mio spirito arde per un amore attivo, non perdo tempo per nessuna
fantasticheria, prendo singolarmente ogni istante, poiché questo è
in mio potere; il passato non mi appartiene più, il futuro non è
ancora mio, procuro di utilizzare con tutta l'anima il tempo
presente.
4.I.1935.
Primo capitolo di Madre Borgia. In
questo capitolo la Madre ha messo in evidenza la vita di fede e la
fedeltà nelle piccole cose. A metà del capitolo ho udito queste
parole: « Desidero che nel momento presente ci sia in voi più
fede. Che grande gioia Mi procura la fedeltà della Mia sposa nelle
piccole cose! ». Ad un tratto rivolsi lo sguardo sul
crocifisso e vidi che Gesù aveva il capo rivolto verso il refettorio
e che le Sue labbra si muovevano. Quando ne parlai alla Madre
Superiora, mi rispose: « Vede, sorella, come Gesù esige che la nostra
sia una vita di fede ». Quando la Madre se n'era andata in cappella ed
io ero rimasta a mettere in ordine la stanza, tutto ad un tratto
sentii queste parole: « Dì questo a tutte le Suore, che esigo che vivano con spirito di fede nei confronti delle Superiore nel momento attuale ».
Chiesi al confessore di sciogliermi da questo impegno. Quando
parlai con una persona che avrebbe dovuto dipingere l'immagine, ma
per certi motivi non la dipinse, durante il colloquio con lei sentii
nel mio intimo questa voce: « Desidero che essa sia più obbediente ».
Compresi che anche i più grandi sforzi, se non hanno il sigillo
dell'obbedienza, non sono graditi a Dio; parlo di un anima
consacrata a Dio. O Dio, come è facile conoscere la Tua volontà in
un ordine religioso! Noi, anime consacrate, dal mattino fino a notte
abbiamo chiaramente indicata la volontà divina e nei momenti di
incertezza abbiamo i Superiori, attraverso i quali paria Iddio.
1934-1935.
Ultimo giorno dell'anno. Ho avuto
il permesso di non andare a dormire, ma di pregare in cappella. Una
delle nostre suore mi ha pregato di offrire per lei un'ora di
adorazione. Le ho risposto di si ed ho pregato per lei un'ora intera.
Durante la preghiera Dio mi ha fatto conoscere quanto Gli è cara
quella piccola anima. La seconda ora di adorazione l'ho offerta per
la conversione dei peccatori e specialmente in riparazione delle
offese che nel momento presente vengono fatte a Dio. Quanto viene
offeso Iddio! La terza ora l'ho offerta secondo l'intenzione del mio
padre spirituale, ho pregato fervorosamente perché venga illuminato
in merito ad una questione particolare. Suonano infine le dodici,
l'ultima ora dell'anno, che ho finito nel nome della SS.ma Trinità,
come del resto nel nome della SS.ma Trinità ho cominciato la prima
ora dell'Anno Nuovo. Ho chiesto la benedizione ad ognuna delle
Persone ed ho guardato con grande fiducia all'Anno Nuovo, che non
sarà certamente avaro di sofferenze. O Ostia Santa, in cui è
contenuto il testamento della Divina Misericordia per noi e specialmente
per i poveri peccatori. O Ostia Santa, in cui è contenuto il Corpo
ed il Sangue del Signore Gesù, come dimostrazione dell'infinita
Misericordia verso di noi, ma specialmente verso i peccatori. O
Ostia Santa, in cui è contenuta la vita eterna e l'infinita
Misericordia elargita in abbondanza a noi, ma specialmente ai poveri
peccatori. O Ostia Santa, in cui è contenuta la Misericordia del Padre,
del Figlio e dello Spirito Santo verso di noi, ma specialmente
verso i poveri peccatori. O Ostia Santa, in cui è contenuto il
prezzo infinito della Misericordia, che ripagherà tutti i nostri
debiti, ma specialmente quelli dei poveri peccatori. O Ostia Santa,
in cui è contenuta la sorgente di acqua viva, che scaturisce dalla
Misericordia infinita per noi, ma specialmente per i poveri peccatori.
O Ostia Santa, in cui è contenuto il fuoco dell'amore più puro, che
arde dal seno dell'Eterno Padre, come da un abisso di Misericordia
infinita per noi, ma specialmente per i poveri peccatori. O Ostia
Santa, in cui è contenuta la medicina per tutte le nostre debolezze,
che sgorga dalla Misericordia infinita come da una sorgente, per
noi e specialmente per i poveri peccatori. O Ostia Santa, in cui è
contenuto il vincolo di unione fra Dio e noi, grazie all'infinita
Misericordia per noi e specialmente per i poveri peccatori. O Ostia
Santa, in cui sono contenuti tutti i sentimenti del Cuore dolcissimo
di Gesù verso di noi e specialmente per i poveri peccatori. O Ostia
Santa, nostra unica speranza in tutte le sofferenze e contrarietà
della vita. O Ostia Santa, nostra unica speranza fra le tenebre e le
tempeste interiori ed esteriori. O Ostia Santa, nostra unica
speranza in vita e nell'ora della morte. O Ostia Santa, nostra unica
speranza fra gli insuccessi e nell'abisso della disperazione. O Ostia
Santa, nostra unica speranza in mezzo alle menzogne ed ai tradimenti.
Ostia Santa, nostra unica speranza fra le tenebre e le empietà che
sommergono la terra. O Ostia Santa, nostra unica speranza in mezzo
alla nostalgia e al dolore, per il quale nessuno ci comprende. O
Ostia Santa, nostra unica speranza in mezzo alle fatiche ed al
grigiore della vita di ogni giorno. O Ostia Santa, nostra unica
speranza quando le nostre aspirazionie e le nostre fatiche vanno in
fumo. O Ostia Santa, nostra unica speranza fra i colpi dei nemici e
gli assalti dell'inferno. O Ostia Santa, confiderò in Te quando le
difficoltà della vita supereranno le mie forze ed i miei sforzi
risulteranno inutili. O Ostia Santa, confiderò in Te quando le
tempeste sconvolgeranno il mio cuore ed il mio spirito atterrito
comincerà a piegarsi verso il dubbio che corrode. O Ostia Santa,
confiderò in Te quando il mio cuore comincerà a tremare ed un sudore
mortale mi bagnerà la fronte. O Ostia Santa, confiderò in Te quando
tutto si rivolgerà contro di me e la nera disperazione s'insinuerà
nella mia anima. O Ostia Santa, confiderò in Te quando il mio
sguardo si spegnerà per tutto ciò che è terreno, ed il mio spirito
vedrà per la prima volta mondi sconosciuti. O Ostia Santa, confiderò
in Te quando i miei impegni saranno al di sopra delle mie forze e
l'insuccesso sarà per me la sorte abituale. O Ostia Santa, confiderò
in Te quando l'osservanza delle virtù mi apparirà difficile e la
mia natura si ribellerà. O Ostia Santa, confiderò in Te quando i
colpi dei nemici saranno diretti contro di me. O Ostia Santa,
confiderò in Te quando le mie fatiche ed i miei sforzi non verranno
approvati dalla gente. O Ostia Santa, confiderò in Te quando sopra
di me risuonerà il Tuo giudizio; in quel momento confiderò
nell'oceano della Tua Misericordia.
O Santissima Trinità, confido nella Tua infinita Misericordia.
Iddio è mio Padre, quindi io, come Sua figliola, ho ogni diritto sul
Suo Cuore divino e quanto più grandi sono le tenebre, tanto più
decisa dev'essere la nostra fiducia. Non riesco a comprendere come
si possa non aver fiducia in Colui che può tutto. Con Lui tutto,
senza di Lui nulla. Egli, il Signore, non permetterà né lascerà che
restino confusi coloro che hanno posto in Lui tutta la loro fiducia.
10.1.1935.
Giovedì. La sera durante la benedizione, cominciai ad essere
tormentata da pensieri di questo genere: tutto quello che dico della
grande Misericordia di Dio, non è per caso una menzogna od
un'illusione?.., e volevo riflettere per un po' su questo argomento,
quando all'improvviso sentii nel mio intimo una voce forte e
chiara: «Tutto quello che dici della Mia bontà è vero e non ci sono espressioni sufficienti per esaltare la Mia bontà ».
Queste parole furono così piene di forza e così chiare, che darei
la vita per esse, per confermare che provenivano dal Signore. Le
riconosco dalla profonda serenità che in quei momenti mi viene
trasmessa e che mi rimane anche in seguito. Tale serenità mi dà una
forza ed un'energia così grandi, che nulla sono le difficoltà, le
contrarietà, le sofferenze e la morte stessa. Questa luce mi ha
sollevato un lembo di mistero, cioè mi ha fatto capire che tutti gli
sforzi che intraprendo perché le anime conoscano la Misericordia
dei Signore, sono molto graditi a Dio e da ciò è venuta alla mia
anima una tale gioia, che non so se in paradiso ce ne possa essere
una maggiore. Oh! se le anime volessero ascoltare almeno un po' la voce
della coscienza e la voce, cioè l'ispirazione dello Spirito Santo!
Dico « almeno un po' », dato che una volta che ci consegnamo
all'influsso dello Spirito di Dio, Egli stesso completerà quello che
manca a noi.
Capodanno 1935. A Gesù piace partecipare alle più piccole
circostanze della nostra vita e soddisfa talvolta i miei desideri
segreti, quelli che certe volte nascondo anche a Lui, sebbene lo
sappia che per Lui non ci può essere nulla di segreto. A Capodanno da
noi c'è l'usanza di estrarre il Patrono particolare per tutto
l'anno. La mattina, durante la meditazione, mi venne uno di questi
segreti desideri, e cioè che Gesù Eucaristico fosse il mio Patrono
particolare anche per quest'anno, come per il passato. Nascosi però
questo mio desiderio al mio Diletto; parlai con Lui di tutto, ad
eccezione del fatto che Lo volevo come Patrono. Quando andammo in
refettorio per la colazione, dopo aver fatto il segno della croce, ebbe
inizio l'estrazione dei Patroni. Appena mi avvicinai alle
immaginette sulle quali erano scritti i Patroni, ne presi una senza
pensarci e non la lessi subito. Volevo mortificarmi per qualche
minuto. All'improvviso sento nel mio intimo una voce: « Sono il tuo Patrono, leggi ». Allora guardai subito quello che c'era scritto e lessi: « Patrono per il 1935 la Santissima Eucaristia ».
il cuore mi sobbalzò dalla gioia e mi allontanai alla chetichella
dal gruppo delle suore ed andai almeno per un momento davanti al
SS.mo Sacramento e là diedi sfogo ai sentimenti del mio cuore. Gesù
però mi fece osservare in modo delicato che in quel momento avrei
dovuto essere con le consorelle. Andai immediatamente, attenendomi
alla regola. O Santa Trinità, Unico Dio, insondabile nella grandezza
della Misericordia verso le creature e specialmente verso i poveri
peccatori. Hai mostrato l'abisso insondabile della Tua Misericordia,
che nessuna mente, né umana né angelica, è riuscita mai a
scandagliare. Il nostro nulla e la nostra miseria sprofondano nella
Tua grandezza. O Bontà infinita, chi può adorarti degnamente? Si
trova un'anima che possa comprendere il Tuo amore? O Gesù, tali
anime esistono, ma non sono molte.
Un giorno, durante la meditazione del mattino, sentii questa voce: «
Io Stesso sono la tua guida, sono stato, sono e sarò; ma dato che
Mi hai chiesto un aiuto visibile, te l'ho dato. L'ho scelto Io Stesso
ancor prima che Me lo chiedessi, poiché l'esige la Mia causa. Sappi
che le mancanze che commetti contro di lui, feriscono il Mio Cuore.
Guardati bene in modo particolare dall'agire di testa tua; in ogni
più piccola cosa ci sia il sigillo dell'obbedienza». Col cuore
contrito ed annientato chiesi perdono al Signore Gesù per quelle
mancanze. Chiesi perdono anche al padre spirituale e feci il
proposito di non far nulla, piuttosto che fare molto e male. O Gesù
buono, Ti ringrazio per questa grande grazia, cioè per avermi fatto
conoscere quello che sono per me stessa: miseria e peccato,
nient'altro. Da me stessa posso fare una cosa soltanto, cioè offenderTi,
o mio Dio, poiché la miseria non può fare nient'altro da se stessa
che offendere Te, o Bontà infinita.
Una volta mi venne chiesto di pregare per una certa amma.
Decisi di fare subito una novena alla Misericordia del Signore ed alla
novena aggiunsi una mortificazione, che consisteva nel tenere in
entrambe le gambe una catenella di ferro per la durata della santa
Messa. Erano tre giorni che facevo quella penitenza, quando andai a
confessarmi e dissi al padre spirituale che avevo intrapreso quella
mortificazione col suo permesso presunto. Pensavo infatti che il
Padre spirituale non avrebbe avuto nulla contro di ciò. Invece la
risposta che ascoltai fu il contrario, cioè che non dovevo far nulla di
mia iniziativa, senza il permesso. O mio Gesù, ecco ho agito di
nuovo a mio arbitrio, ma non perdo il coraggio a causa delle mie
mancanze; so bene che sono miseria. A motivo della salute non
ottenni il permesso, ed il Padre spirituale si meravigliò che avessi
potuto sottopormi a maggiori mortificazioni senza il suo permesso.
Chiesi perdono per il mio comportamento arbitrario, o meglio per aver
agito con un permesso presunto e chiesi che mi venisse cambiata
quella penitenza in un'altra. il Padre spirituale me la cambiò in
una mortificazione interiore, invitandomi a riflettere, durante la
santa Messa, al motivo per cui Gesù volle essere battezzato. Quella
meditazione non fu una mortificazione per me, dato che pensare a Dio
è una delizia, e non una mortificazione; ma in quello c'era la
mortificazione della volontà, dato che facevo non quello che piaceva a
me, ma quello che mi era stato indicato ed appunto in questo
consiste la mortificazione interiore. Dopo che mi fui allontanata
dal confessionale e cominciai a fare la penitenza, udii queste
parole: « Ho concesso la grazia all'anima, per la quale Mi
hai pregato, ma non per la tua mortificazione, quella che ti eri
scelta da sola, bensì solo per l'atto di obbedienza totale verso il Mio
Sostituto ho fatto grazia all'anima, per la quale hai interceduto
presso di Me e per la quale hai mendicato la Misericordia. Sappi che
quando annienti in te la tua propria volontà, allora la Mia regna
in Te ». O mio Gesù, abbi pazienza con me. Ora starò più
attenta per l'avvenire. Questo proposito non lo baso su me stessa,
ma sulla Tua grazia e bontà, che è così grande verso di me tanto
misera.
Una volta Gesù mi fece conoscere che quando Lo prego per qualche
intenzione, che talvolta mi viene raccomandata, è sempre pronto a
concedere le Sue grazie, solo che non sempre le anime le vogliono
accettare: « Il Mio Cuore è stracolmo di tanta Misericordia
per le anime e soprattutto per i poveri peccatori. Oh! se
riuscissero a capire che Io sono per loro il migliore dei Padri; che per
loro è scaturito dal Mio Cuore Sangue ed Acqua, come da una
sorgente strapiena di Misericordia; che per loro dimoro nel
tabernacolo e come Re di Misericordia desidero colmare le anime di
grazie, ma non vogliono accettarle. Vieni almeno tu il più spesso
possibile a prendere le grazie che essi non vogliono accettare e con
ciò consolerai il Mio Cuore. Oh! quanto è grande l'indifferenza delle
anime per tanta bontà, per tante prove d'amore! Il Mio Cuore è
ripagato solo con ingratitudine e trascuratezza da parte delle anime che
vivono nel mondo. Hanno tempo per ogni cosa; per venire da Me a
prendere le grazie non hanno tempo. E perciò Mi rivolgo a voi, a
voi, anime elette! Anche voi non comprendete l'amore del Mio Cuore? E
anche qui è rimasto deluso il Mio Cuore. Non trovo il completo
abbandono al Mio amore. Tante riserve! Tanta diffidenza! Tanta cautela!
Per tua consolazione ti dirò che ci sono anime che vivono nel mondo,
che Mi amano sinceramente; dimoro nei loro cuori con delizia. Ma
non sono molte. Anche nei conventi ci sono tali anime che riempiono
di gioia il Mio Cuore; in esse sono impressi i Miei lineamenti e per
questo il Padre Celeste guarda a loro con un compiacimento
particolare. Esse saranno la meraviglia degli angeli e degli uomini.
Il loro numero è molto piccolo. Esse costituiscono una difesa di
fronte alla giustizia del Padre Celeste ed impetrano la Misericordia per
il mondo. L'amore di queste anime ed il loro sacrificio mantengono
l'esistenza del mondo. Quello che ferisce più dolorosamente il Mio
Cuore è l'infedeltà di un anima che Io ho scelto in modo
particolare. Quelle infedeltà sono come lame taglienti che
trafiggono il Mio Cuore ».
29.1.1935.
Questo martedì mattina, durante la
meditazione, ho visto interiormente il Santo Padre che celebrava la
santa Messa. Dopo il « Pater noster » si è messo a parlare con Gesù
della causa, di cui Gesù aveva ordinato a me di parlarGli. Benché io
non abbia parlato di ciò personalmente col Santo Padre, dato che
l'argomento è stato trattato da qualcun altro, in questo momento
però io so, per conoscenza interiore, che il Santo Padre sta
riflettendo su tale questione, che in breve tempo si evolverà
secondo i desideri di Gesù. Prima degli esercizi spirituali di otto
giorni, andai dal mio direttore spirituale, a chiedergli il permesso
per certe mortificazioni da fare durante gli esercizi, tuttavia non
ottenni il permesso per tutto quello che avevo chiesto, ma solo per
alcune. Ottenni l'autorizzazione per un ora di meditazione sulla
Passione del Signore Gesù e per certi atti di umiliazione. Ero
rimasta però un po' insoddisfatta, per non aver ottenuto il permesso
per tutto quello che avevo chiesto. Quando tornammo a casa, entrai
un momento in cappella e subito udii nel mio intimo una voce: «
Un'ora di meditazione sulla Mia dolorosa Passione ha un merito maggiore
di un anno intero di flagellazioni a sangue. La meditazione sulle
Mie Piaghe dolorose è di grande profitto per te ed a Me procura una
grande gioia. Mi stupisce che tu non abbia ancora rinunciato
completamente alla tua volontà, ma gioisco enormemente pensando che
tale cambiamento avverrà durante gli esercizi spirituali ».
Questo stesso giorno, mentre ero in chiesa ed aspettavo di confessarmi,
vidi gli stessi raggi che uscivano dall'ostensorio e si propagavano
per tutta la chiesa. Questo durò per tutto il tempo della funzione.
Dopo la benedizione si proiettarono su entrambi i lati e poi
rientrarono nell'ostensorio. Ad osservarli erano chiari e limpidi
come il cristallo. Chiesi a Gesù che si degnasse di accendere il
fuoco del Suo amore in tutte le anime indifferenti. Sotto questi raggi
il cuore si riscalda, anche se fosse freddo come un pezzo di
ghiaccio; se fosse duro come la roccia, si ridurrebbe in polvere.
G.M.G. Wilno, 4.11.1933 ESERCIZI SPIRITUALI DI OTTO GIORNI.
O
Gesù, Re di Misericordia, ecco di nuovo un momento in cui rimango
faccia a faccia con Te. Per questo T'imploro per tutto l'amore di
cui arde il Tuo Cuore Divino, annienta in me completamente l'amor
proprio ed in cambio infiamma il mio cuore del fuoco del Tuo amore
purissimo. Verso sera, finita la predica, udii queste parole: «
Io sono con te. Durante questi esercizi spirituali consoliderò la tua
pace e il tuo coraggio, in modo che non vengano meno le tue forze
nel dare attuazione ai Miei propositi. Pertanto durante questi
esercizi annullerai completamente la tua volontà, mentre si compirà
in te tutta la Mia volontà. Sappi che ciò ti verrà a costare molto.
Pertanto scrivi su una pagina bianca queste parole: Da oggi in me
non esiste la volontà propria, e depennala. Su un'altra pagina
scrivi queste parole: Da oggi faccio la volontà di Dio ovunque, sempre,
in tutto. Non spaventarti di nulla, l'amore ti darà forza e te ne
faciliterà l'esecuzione ». Nella meditazione fondamentale
sullo scopo, cioè sulla scelta dell'amore, l'anima deve amare, ha
bisogno di amare; l'anima deve riversare il suo amore, non nel
fango, non nel vuoto, ma in Dio. Come gioisco quando rifletto su questo,
poiché sento che nel mio cuore c’è soltanto Lui. Gesù solo ed
unico; e amo le creature in quanto mi aiutano ad unirmi a Dio. Amo
tutti gli uomini per questo, poiché vedo in essi l'immagine di Dio.
G.M.G. Wilno, 4.11.1935 DA OGGI NON ESISTE LA VOLONTA’ PROPRIA.
Nel momento in cui m'inginocchiai per depennare la volontà come mi
aveva ordinato il Signore, udii nel mio intimo questa voce: «Da oggi non temere il giudizio di Dio, poiché non sarai giudicata ». Da oggi, faccio la Volontà di Dio, ovunque, sempre, in tutto.
G.M.G. Wilno, 8.11.1935.
Lavoro interiore
particolare, cioè esame di coscienza. Sul rinnegamento di se
stessa, della propria volontà. I. Rinnegamento dell'intelletto, cioè
sua sottomissione all'intelletto di coloro che per me qui in terra
sostituiscono Dio. Il. Rinnegamento della volontà, cioè fare la
volontà di Dio, che a me si manifesta nella volontà di coloro che
per me sostituiscono Dio e che è contenuta nelle regole del nostro
ordine. III. Rinnegamento del giudizio, cioè accettare
immediatamente senza pensarci su, senza analizzarlo, senza discuterlo,
ogni ordine che mi viene dato da coloro che per me sostituiscono
Dio. IV. Rinnegamento della lingua. Non le darò la più piccola
libertà; in un solo caso gliela darò completa, cioè quando si tratta
di proclamare la gloria di Dio. Ogni volta che mi accosto alla
santa Comunione, prego che Gesù rafforzi e purifichi la mia lingua,
in modo che io non ferisca il prossimo con essa. Per lo stesso motivo
tengo nella massima considerazione la regola che mi parla del
silenzio. O Gesù mio, ho fiducia che la Tua grazia mi aiuti a
mettere in pratica questi propositi. Benché i punti suddetti siano
compresi nel voto di obbedienza, tuttavia desidero esercitarmi in
essi in modo del tutto particolare, in quanto costituiscono l'essenza
della vita religiosa. Gesù Misericordioso, Ti prego ardentemente,
illumina il mio intelletto, perché possa conoscere meglio Te, che
sei l'Essere Infinito, e possa conoscere meglio me stessa, che sono
il niente personificato. Della santa confessione.
Dalla santa
confessione dovremmo ricavare due benefici. Alla confessione
andiamo: primo, per essere guariti; secondo, per essere educati. La
nostra anima ha bisogno di essere educata continuamente, come un
bambino. O mio Gesù, comprendo profondamente queste parole e so per
esperienza che un'anima con le proprie forze non arriva lontano, si
affatica molto, non fa nulla per la gloria di Dio; sbaglia
continuamente, poiché la nostra mente è ottenebrata e non riesce a
distinguere i fatti suoi. Avrò un'attenzione particolare per due
cose: la prima è quella di scegliere per la confessione quello che mi
umilia di più, anche se si tratta di una piccola cosa, che però mi
costa e per questo ne parlerò; la seconda è quella di esercitarmi
nella contrizione; non solo prima di confessarmi, ma in ogni esame
di coscienza cercherò di suscitare in me il dolore perfetto e ciò
soprattutto prima di mettermi a riposare. Ed una parola ancora:
l'anima che desidera veramente progredire sulla via della perfezione,
deve attenersi scrupolosamente ai consigli che le vengono dati dal
direttore spirituale. Tanta è la santità, quanta la dipendenza.
Una
volta, mentre parlavo col direttore della mia anima, in un lampo più
veloce di quello di un fuimine, vidi interiormente la sua anima in
una grande tribolazione, in un tale tormento, che sono poche le
anime che Iddio prova con tale fuoco. Tali sofferenze gli provengono
da quest'opera. Verrà un momento nel quale quest'opera, che pure
Dio raccomanda tanto, sembrerà in completo sfacelo ed all'improvviso
seguirà l'azione di Dio con grande energia, la quale darà
testimonianza alla verità. Essa, l'opera, sarà un nuovo splendore
per la Chiesa, sebbene esistesse già da molto tempo in essa. Che Dio
sia infinitamente misericordioso, nessuno può negarlo. Egli
desidera che questo lo sappiano tutti, prima che torni come Giudice;
vuole che le anime Lo conoscano prima come Re di Misericordia. Quando
si verificherà questo trionfo, noi saremo già nella nuova vita, dove
non ci sono sofferenze. Ma prima la tua anima sarà saziata
d'amarezze al vedere la distruzione dei tuoi sforzi.
Questa
distruzione però sarà soltanto apparente, poiché Iddio non cambia
quello che ha stabilito una volta. Ma anche se la distruzione sarà
apparente, le sofferenze invece saranno reali. Quando ciò avverrà,
non lo so; quanto durerà, non lo so. Ma Dio ha promesso una grande
grazia specialmente a te e a tutti « quelli che proclameranno la
Mia grande Misericordia. Io Stesso li difenderò nell'ora della
morte, come Mia gloria ed anche se i peccati delle anime fossero
neri come la notte, quando un peccatore si rivolge alla Mia
Misericordia, Mi rende la gloria più grande ed è un vanto della Mia
Passione. Quando un'anima esalta la Mia bontà, allora satana ne
trema e fugge nel profondo dell'inferno ». Durante un'adorazione, Gesù mi promise: «
Con le anime che ricorreranno alla Mia Misericordia e con le anime
che esalteranno e faranno conoscere ad altre la Mia grande
Misericordia, nell'ora della loro morte Mi comporterò secondo la Mia
Misericordia infinita. Il Mio Cuore è addolorato - ha detto Gesù
- perché anche le anime elette non comprendono quanto sia grande la Mia
Misericordia. I loro rapporti con Me sono in un certo modo
espressione di diffidenza. Oh! quanto questo ferisce il Mio Cuore!
Ricordatevi della Mia Passione e, se non credete alle Mie parole,
credete almeno alle Mie Piaghe».
Non faccio alcun
movimento, alcun gesto perché piace a me, perché sono vincolata dalla
grazia; continuamente attendo a ciò che è più gradito a Gesù.
Durante una meditazione sull'obbedienza udii queste parole: « In questa meditazione il sacerdote in via eccezionale parla per te. Sappi che Io prendo in prestito la sua bocca ».
Cercai di ascoltare con la massima attenzione ed applicai tutto al mio
cuore, come faccio per ogni meditazione. Quando il sacerdote
pronunciò queste parole, che un anima obbediente si riempie della
forza di Dio, udii quanto segue: “Si, quando sei obbediente, mi
prendo la tua debolezza ed al suo posto ti do la Mia forza. Sono
molto stupito che le anime non vogliano fare questo scambio con Me.”
Io dissi al Signore: « Gesù, illumina Tu la mia anima, poiché
diversamente capirò ben poco di queste parole ». So che non vivo per
me, ma per un gran numero di anime. So che le grazie date a me, non
sono soltanto per me, ma anche per le anime. O Gesù, l'abisso della
Tua Misericordia si è riversato nella mia anima, che è l'abisso
stesso della miseria. Ti ringrazio, Gesù, per le grazie e le piccole
croci che mi dai in ogni momento della vita. All'inizio degli esercizi
spirituali sul soffitto della cappella vidi Gesù crocifisso che
guardava alle suore con tanto amore, ma non a tutte. C'erano tre
suore, alle quali il Signore guardò con uno sguardo severo. Non so,
non so per quali motivi, so soltanto che è una cosa terribile vedere
uno sguardo simile che è lo sguardo del Giudice severo.
Quello
sguardo non riguardava me, eppure allibii per lo spavento, mentre
scrivo tremo ancora tutta. Non ebbi il coraggio di dire una sola parola a
Gesù, mi vennero a mancare le forze fisiche e pensavo che non avrei
resistito fino alla fine della predica. Un giorno dopo vidi la
stessa cosa, come la prima volta, e osai proferire queste parole: «
Gesù, quanto è grande la Tua Misericordia! ». Il terzo giorno si
ripeté ancora lo stesso sguardo su tutte le suore con grande
amabilità, ad eccezione di quelle tre suore. Allora presi il coraggio
che proveniva dall'impulso verso l'amore del prossimo e dissi al
Signore: « Tu sei la Misericordia personificata, come Tu stesso mi
hai detto, Ti scongiuro quindi per la potenza della Tua
Misericordia, rivolgi il Tuo sguardo benigno anche su quelle tre
suore, e se ciò non s'accorda con la Tua sapienza, Ti prego di fare
uno scambio: il Tuo sguardo benevolo verso la mia anima, sia per loro,
e il Tuo sguardo severo verso le loro anime, sia per me.
All'istante
Gesù mi disse queste parole: « Figlia Mia, per il tuo amore
sincero e generoso concedo loro molte grazie, benché esse non le
chiedano, ma per la promessa che ho fatto a te ». E subito
avvolse le tre suore con uno sguardo misericordioso. Alla vista
della bontà di Dio, il cuore mi cominciò a battere per la grande gioia.
Quando feci l'adorazione dalle 9 alle 10 erano rimaste anche altre
quattro suore. Mentre mi avvicinavo all'altare e meditavo sulla
Passione del Signore Gesù, in quello stesso momento un dolore
tremendo inondò la mia anima, a causa dell'ingratitudine di un gran
numero di anime che vivono nel mondo, ma mi addolorava specialmente
l'ingratitudine delle anime scelte in modo particolare da Dio. Non c'è
modo di esprimerla, né di confrontarla. Alla vista di quella
ingratitudine, che è la più nera, sentii come se il cuore mi si
schiantasse, mi vennero a mancare completamente le forze fisiche e
caddi con la faccia a terra, senza nascondere un pianto dirotto.
Ogni volta che rievocavo la grande Misericordia di Dio e
l'ingratitudine delle anime, il dolore trafiggeva il mio cuore e
comprendevo quanto ciò ferisse il Cuore dolcissimo di Gesù.
Con
cuore ardente rinnovai il mio atto di offerta per i peccatori. Con
gioia e desiderio ho accostato le mie labbra al calice
dell'amarezza, che prendo ogni giorno dalla S. Messa. La piccola
porzione, che Gesù mi ha assegnato per ogni momento, anche quella non la
cederò a nessuno. Conforterò continuamente il dolcissimo Cuore
Eucaristico; suonerò canti di riconoscenza sulle corde del mio
cuore; la sofferenza è il tono più armonioso. Cercherò con cura di
capire con che cosa posso rallegrare oggi il Tuo Cuore. I giorni
della vita non sono uniformi; quando le nuvole nere mi copriranno il
sole, cercherò come l'aquila di attraversare la loro barriera, per far
conoscere agli altri che il sole non si spegne. Sento che Iddio mi
permette di scostare i veli, affinché la terra non abbia dubbi sulla
Sua bontà. Iddio non va soggetto ad eclissi, né a cambiamenti;
rimane per l'eternità Uno e sempre lo Stesso. Niente può opporsi
alla Sua volontà. Sento in me una forza sovrumana, sento il coraggio
e l'energia che mi viene attraverso la grazia che dimora in me.
Comprendo le anime che soffrono perché prive di speranza, poiché ho
provato su di me questo tormento. Iddio però non dà prove al di
sopra delle forze. Spesso ho vissuto di speranza contro ogni
speranza ed ho spinto la mia speranza fino alla totale fiducia in
Dio. Avvenga di me quello che ha stabilito dall'eternità.
MASSIME GENERALI.
Sarebbe molto brutto,
se una suora cercasse sollievo nella sofferenza. Ecco quello che ha
fatto la grazia e la meditazione del più grande criminale. Colui che
muore, ha un grande amore. Ricordati di me quando sarai in paradiso.
Il pentimento sincero trasforma immediatamente un'anima. La vita
spirituale va praticata con serietà e sincerità. L'amore dev'essere
reciproco. Dato che il Signore Gesù per me ha bevuto il fiele fino
in fondo, io Sua sposa, per dimostrargli il mio amore, accetterò
tutte le amarezze. Chi sa perdonare si prepara molte grazie da parte
del Signore. Ogni volta che guarderò la croce, perdonerò sinceramente.
L'unione con le anime l'abbiamo ottenuta nel santo battesimo. La
morte rafforza l'amore. Devo essere sempre d'aiuto per gli altri. Se
sarò una buona religiosa sarò utile non solo alla Congregazione, ma
anche a tutta la Patria. Il Signore Dio concede le grazie in due
modi: con le ispirazioni e con le illuminazioni.
Se chiediamo una
grazia, Iddio ce la dà, ma dobbiamo volerla accettare, ma per
accettarla occorre abnegazione. L'amore non è fatto di parole, né di
sentimenti, ma di azioni. E un atto della volontà, è un dono, cioè
una donazione; l'intelletto, la volontà ed il cuore, ecco le tre
facoltà che dobbiamo esercitare durante la preghiera. Risorgerò in
Gesù, ma prima debbo vivere in Lui. Se non mi distacco dalla croce,
allora si manifesterà in me il Vangelo. Tutte le mie insufficienze
le colma in me Gesù con la Sua grazia, che agisce incessantemente. La
SS.ma Trinità mi trasmette la Sua vita abbondantemente col dono
dello Spirito Santo. Le Tre Persone divine dimorano in me. Se Iddio
ama, lo fa con tutto Se stesso, con tutta la potenza del Suo Essere.
Se Iddio mi ha amato a questo modo, come debbo corrispondere io a
questo, io, la Sua sposa? Durante una predica Gesù mi disse: «Nel
piccolo grappolo scelto tu sei il dolce acino; desidero che il
succo che circola in te venga trasmesso alle altre anime».
Durante la rinnovazione dei voti vidi Gesù dal lato dell'epistola,
con una veste bianca ed una cintura d'oro ed in mano teneva una
spada terribile.
Durò fino al momento in cui le suore cominciarono a
rinnovare i voti. All'improvviso vidi un bagliore inimmaginabile.
Davanti a quel bagliore vidi un piano formato da una nuvola bianca a
forma di bilancia. In quel momento Gesù si avvicinò e pose la spada
su di un piatto e questo con tutto quel peso si abbassò fino a terra,
per poco non la toccò completamente. Proprio allora le suore
finirono di rinnovare i voti. E subito vidi degli angeli che
prendevano qualche cosa da ogni suora dentro un vaso d'oro, vaso che
aveva la forma come di un incensiere Dopo che ebbero terminata la
raccolta da tutte le suore e posto il vaso sull'altro piatto della
bilancia, questo immediatamente prevalse sul primo, sul quale era stata
posta la spada. All'istante dall'incensiere si sprigionò una fiamma,
che raggiunse il bagliore della luce. Inaspettatamente udii una
voce proveniente da quel bagliore: «Rimettete la spada al suo posto, l'offerta è maggiore».
In quel momento Gesù ci diede la benedizione e tutto quello che
avevo visto scomparve. Le suore avevano già cominciato ad accostarsi
alla santa Comunione. Quando anch'io mi comunicai, la mia anima fu
inondata da una gioia così grande, che non riesco proprio a
descrivere.
15.II.35.
Partenza per la casa paterna per
alcuni giorni, in visita a mia madre morente. Quando venni a sapere
che mia madre era gravemente malata, ormai prossima alla morte e mi
chiedeva di andare a trovarla, perché desiderava incontrarsi con me
ancora una volta prima di morire, in quel momento mi si risvegliarono
tutti i sentimenti del cuore. Come figlia sinceramente affezionata
alla propria madre, desideravo ardentemente esaudire il suo
desiderio, ma lasciai a Dio la decisione e mi rimisi completamente
alla Sua volontà. Non tenendo conto del dolore del mio cuore, mi
affidai alla volontà di Dio. La mattina del giorno del mio onomastico,
il 15 febbraio, la Madre Superiora mi consegnò un'altra lettera della
mia famiglia e mi diede il permesso di andare a casa, per esaudire
il desiderio della madre morente. Cominciai subito a prepararmi per
il viaggio e la sera partii da Wilno. Offrii tutta la notte per mia
madre gravemente ammalata, affinché Dio le concedesse la grazia che
le sofferenze che stava attraversando non perdessero nulla del loro
merito. Durante il viaggio ebbi una compagnia molto piacevole, infatti
nello stesso scompartimento viaggiavano alcune signore appartenenti
ad un sodalizio. Mi resi conto che una di esse soffriva molto e che
nella sua anima si stava svolgendo una lotta accanita. Cominciai a
pregare mentalmente per quell’anima. Alle undici quelle signore
passarono in un altro scompartimento per fare conversazione e nel
frattempo nello scompartimento rimanemmo solo in due.
Sentii che la mia
preghiera aveva provocato in quell'anima una lotta ancora più
accesa. Non cercai di confortarla, ma pregai con fervore ancora
maggiore. Finalmente quell'anima si rivolse a me e mi chiese di
dirle se era obbligata a mantenere una certa promessa che aveva
fatto a Dio. In quello stesso momento conobbi interiormente quale
era quella promessa e le risposi che era assolutamente obbligata a
mantenere quell'impegno, diversamente sarebbe stata infelice per
tutta la vita. Questo pensiero non le darà pace. Stupita da questa
risposta, mi apri tutta la sua anima. Si trattava di una maestra
che, prima di affrontare gli esami, aveva promesso a Dio che, se
fosse stata promossa si sarebbe dedicata al Suo servizio, cioè
sarebbe entrata in un convento. Però, dopo aver dato gli esami con esito
molto favorevole, «ora mi sono lasciata prendere dal vortice del
mondo e non voglio entrare in convento, ma la coscienza non mi dà
pace e, nonostante i divertimenti, sono sempre scontenta». Dopo una
lunga conversazione, quella persona era cambiata completamente e
dichiarò che si sarebbe subito interessata, per entrare in convento.
Mi chiese di pregare per lei ed io sentii che Dio non le avrebbe
lesinato le grazie. La mattina arrivai a Varsavia ed alle otto di
sera ero già a casa. È difficile descrivere quale grande gioia fu
per i miei genitori e per tutta la famiglia.
La salute di mia madre
migliorò un po', ma il medico non diede alcuna speranza di una
completa guarigione. Subito dopo esserci salutati, ci inginocchiammo
tutti, per ringraziare Dio per esserci potuti incontrare ancora una
volta tutti in questa vita. Quando osservai come pregava mio padre,
mi vergognai molto, dato che io che ero vissuta tanti anni in
convento non sapevo pregare con tanta sincerità e tanto fervore.
Perciò ringrazio continuamente Iddio di tali genitori. Oh, come
tutto è cambiato in questi dieci anni! Non mi ci oriento più. L'orto
è molto più grande, è irriconoscibile, come non riconosco più i
fratelli e le sorelle, che erano così piccoli ed ora sono tutti
cresciuti e sono rimasta stupita di non averli trovati come quando
ci siamo separati. Stasio mi accompagnava ogni giorno in chiesa.
Sentivo che quella cara anima era molto gradita a Dio. L'ultimo
giorno, quando non c'era più nessuno in chiesa, andai con lui davanti
al Santissimo Sacramento e recitammo insieme il Te Deum. Dopo un
momento di silenzio offrii quella cara anima al Cuore dolcissimo di
Gesù. Quanto ho potuto pregare in quella chiesetta! Mi sono tornate
in mente tutte le grazie che avevo ricevuto in quel luogo e che
allora non comprendevo e di cui così spesso avevo abusato e mi sono
meravigliata io stessa di essere stata tanto cieca.
Mentre
riflettevo su queste cose e mi rammaricavo per la mia cecità,
improvvisamente ho visto Gesù nello splendore di una bellezza
indicibile, che mi ha detto amabilmente: «O Mia eletta, ti
concederò ancora maggiori grazie, affinché tu sia testimone per
tutta l'eternità della Mia Misericordia infinita». Quei giorni a
casa li ho passati in mezzo a tanta compagnia, poiché ognuno voleva
vedermi e scambiare qualche parola con me. Spesso ho contato fino a
25 persone. Erano incuriositi dai miei racconti sulla vita dei
santi. Immaginavo che la nostra casa appartenesse veramente a Dio,
dato che ogni sera vi si parlava soltanto di Dio. Quando, stanca di
raccontare e desiderosa di un po' di solitudine e di silenzio, la sera
mi appartavo nel giardino per poter parlare un po' a tu per tu con
Dio, anche questo non mi riusciva, poiché venivano subito i fratelli
e le sorelle e mi riportavano a casa, dove dovevo continuare a
parlare e con tanti occhi fissati su di me. Per fortuna riuscii a
trovare il modo per riprendere fiato. Pregai i fratelli che
cantassero per me, dato che avevano magnifiche voci e per di più uno
suonava il violino ed un altro il mandolino. Allora potei dedicarmi
alla preghiera mentale senza allontanarmi dalla loro compagnia.
Un'altra cosa che mi costò molto, fu quella di dover baciare i
bambini. Venivano le conoscenti coi loro bambini e mi pregavano di
prenderli almeno un momento in braccio e di baciarli. Lo consideravano
un gran favore e per me era un'occasione per esercitarmi nella virtù,
poiché più di uno era abbastanza sporco ed allora per vincermi e
non mostrare avversione, se il bambino era sporco lo baciavo due
volte. Una conoscente mi portò il suo bambino malato agli occhi, che
aveva pieni di pus e mi disse: «Sorella, prendilo un momentino in
braccio».
La natura provava un senso di ripugnanza, ma senza badare a
nulla, lo presi in braccio e lo baciai due volte proprio sugli occhi
infiammati e pieni di pus e pregai Dio che io facesse guarire. Ebbi
molte occasioni di esercitarmi nelle virtù. Ascoltai tutti quelli
che mi vollero raccontare i loro guai e notai che non c'era un solo
cuore gioioso, perché non c'era un cuore che amasse sinceramente
Iddio e non me ne meravigliai affatto. Mi dispiacque immensamente
che non potei incontrarmi con due delle mie sorelle. Sentivo nel mio
intimo in che grande pericolo erano le loro anime. Mi si stringeva il
cuore dal dolore al solo pensare a loro. In un momento in cui mi
sentii molto vicina a Dio, chiesi fervorosamente al Signore la sua
grazia per loro ed il Signore mi rispose: “Concedo loro non solo le grazie necessarie, ma anche grazie particolari“.
Compresi che il Signore le avrebbe chiamate ad una più stretta
unione con Sé. Godo enormemente al pensiero che nella nostra famiglia
regna un così grande amore. Quando salutai i genitori e li pregai di
benedirmi, sentii la potenza della grazia di Dio che scendeva nella
mia anima. Mio padre, mia madre e la madrina del battesimo, mi
diedero la loro benedizione piangendo e mi augurarono la massima
fedeltà alla grazia di Dio e mi dissero di non dimenticare mai le
tante grazie che Dio mi aveva concesso, chiamandomi alla vita religiosa.
Mi chiesero di pregare per loro. Nonostante che piangessero tutti,
io non versai neppure una piccola lacrima. Cercai di essere forte e
li consolai tutti come potei, ricordando loro il paradiso, dove non
ci saranno più separazioni. Stasio mi accompagnò all'auto. Gli dissi
quanto Dio ami le anime pure e l'assicurai che Dio era contento di
lui. Quando gli parlai della bontà di Dio e di quanto si preoccupi
per noi, si mise a piangere come un bambino e non ne fui sorpresa
per lui, perché è un'anima pura, perciò conosce facilmente Dio.
Quando
presi posto nell'auto, diedi sfogo al mio cuore e piansi anch'io di
gioia come una bambina, per le tante grazie che Dio aveva concesso
alla nostra famiglia e poi m immersi in una preghiera di
ringraziamento. La sera ero già a Varsavia. Prima di tutti salutai
il Padrone di Casa e poi salutai tutta la comunità. Quando, prima di
andare a riposare, entrai dal Signore per la buonanotte e chiesi
perdono al Signore per aver parlato tanto poco con Lui durante il
mio soggiorno a casa, ad un tratto nel mio intimo sentii una voce: «Sono
molto contento di questo, che tu non abbia parlato con Me, ma che
tu abbia fatto conoscere la Mia bontà alle anime e le abbia
sollecitate ad amarMi». La Madre Superiora mi disse che
l'indomani saremmo andate entrambe a Jozefinek «E così lei, sorella,
avrà la possibilità di parlare con la Madre Generale. Mi rallegrai
enormemente per questo. La Madre Generale è sempre la stessa, piena
di bontà, di serenità e di spirito di Dio. Parlai a lungo con lei.
Andammo alla funzione pomeridiana. Vennero cantate le litanie al
Cuore dolcissimo di Gesù. il Signore Gesù venne esposto
nell'ostensorio. Un momento dopo vidi Gesù Bambino, che usciva
dall'Ostia e venne a riposare proprio Lui fra le mie braccia. Questo
durò un attimo. Una gioia immensa inondò la mia anima. Il Bambino
Gesù aveva lo stesso aspetto di quando entrai nella cappellina
assieme alla Madre Superiora, e già mia Maestra di noviziato, Maria
Giuseppina. Il giorno dopo ero già nell'amata Wilno. Oh, com'ero
felice d'essere già tornata nel nostro convento! Mi sembrava quasi
d'essermi fatta religiosa una seconda volta; non finivo di gustarmi
la quiete ed il silenzio, in cui l'anima s'immerge così facilmente
in Dio, tutti l'aiutano in questo e nessuno la disturba.
10 dicembre 1978 - " POTERE " SOPRANNATURALE CIOE' NON DOVUTO
Mons. Ottavio Michelini
Scrivi figlio mio sono sempre Io Gesù che busso alla porta del tuo cuore e desidero proseguire il messaggio di quest'oggi; vedo che sei stanco ma mi fa piacere e mi reca gioia che tu abbia scelto di restare con Me per ascoltare quanto sto per dirti.
Dunque la Mia Chiesa è dotata di un potere che nessun altra società umana possiede; è un potere soprannaturale cioè non dovuto alla natura umana e dato solo a Lei perché è Sacramento di salvezza dove l'umano e il Divino s'incontrano e si fondano...;
ma non è tutto; in questo dono vi è un " alcunché " di così grande, sublime e di così stupendo da far rimanere estatici gli Angeli del Cielo!
Che Io, Dio Uno e Trino, poiché sono l'Amore e Amore infinito, fossi arrivato a dare Me Stesso in mano agli uomini perché potessero fare di Me tutto quello che volevano in bene o in male e che l'abbia fatto non " una volta sola " ma lo continui a fare senza interruzione fino alla fine del tempi, è cosa tanto straordinaria e superiore ad ogni più alto volo della più vivida e accesa fantasia che nessuno poteva pensare e tale da lasciare veramente estasiati gli Angeli del Cielo!
A questo è giunto il Mio Amore!
Sono giunto a questo nonostante " sapessi e conoscessi " il comportamento umano nei Miei confronti!
Solo per amore Mi son dato nelle loro mani
Quando nell'Orto degli Ulivi sudavo Sangue sotto il peso di tutti i peccati dell'umanità consumati e da consumarsi fino alla fine dei tempi, vedevo che per molti tutto sarebbe stato (p. 147) inutile ma vedevo anche fino a che punto sarebbe arrivata l'ingratitudine umana dinnanzi al Mio Amore infinito... eppure non esitai a donarmi ai miei nemici non senza aver prima dimostrato loro che mi davo nelle loro mani " solo per amore " ma che ero Dio Onnipotente.
Dopo il " bacio " di Giuda mi assalirono: " Chi cercate? " dissi e loro: " Gesù di Nazareth " " Ego sum " e in questa mia risposta fu la dimostrazione della Mia Onnipotenza, caddero tutti a terra tramortiti infatti e " solo " quando ingiunsi loro di alzarsi lo poterono fare!
Quanti miracoli compii anche durante la Mia stessa Passione perché volevo far capire agli uomini di tutte le generazioni che fu sempre e solo l'influsso del Mio Amore a muovermi!
Volevo che in Me, più che gli altri Attributi Divini, vedessero sempre e solo l'Amore!
Eppure dinnanzi agli occhi Miei nell'Orto degli Ulivi e in tutto il tempo della Mia dolorosissima Passione non vedevo solo i miei crocifissori ma anche tutte le Messe sacrileghe, le Messe nere... vedevo gli insulti e le derisioni dei presenti e dei futuri nemici del Mio Amore....
Vi è forse qualcuno nel mondo universo che abbia fatto quello che Io ho fatto e faccio?
No! eppure figlio mio nonostante tutto Io Dio, ho dato agli uomini " potere " sopra di Me sul Mio Corpo... e agli uomini della Mia Chiesa lascerò questo potere fino alla consumazione dei tempi!
Questo non è un mistero così grande tale da richiedere la fiducia più totale, l'ammirazione e l'adorazione più intima dei miei Pastori, Sacerdoti e Consacrati in genere?
Figlio mio, volgi attorno il tuo sguardo e, salve sempre le eccezioni, giudica tu come vengo trattato!
Che altro avrei potuto fare e non ho fatto?
Nella Mia Chiesa vi è il potere di transustanziare il pane e il vino nel Mio Corpo Sangue Anima e Divinità; (p. 148)
vi è il potere di rimettere i peccati " chi può rimettere I peccati se non Dio? " eppure con la partecipazione del Mio Sacerdozio fatta agli Apostoli e ai Sacerdoti ho dato loro anche questo grande potere che non hanno i Cherubini e i Serafini del Paradiso;
ho pure partecipato alla Mia Chiesa il potere di amministrare i Sacramenti che sono il prezzo del Mio Sangue e della Mia Passione e Morte.
Nel Matrimonio i genitori hanno il potere partecipato loro da Dio unico e solo Autore della vita, di generare la vita fisica dei loro figli, ma il potere di generare la vita soprannaturale della Grazia nei figli degli uomini Dio l'ha partecipato alla Sua Chiesa mediante un Sacramento, l'Ordine.
Quale altra società al mondo può disporre dl tanti ineguagliabili tesori quali ne dispone la Chiesa?
Non ricerchiamo le cause del gelido grigiore, della nebulosità e dell'indifferenza che riscontriamo nella Mia Chiesa perchè le abbiamo più e più volte individuate, ma dopo la purificazione le cose cambieranno;
non sono valsi i richiami purtroppo venuti dall'Alto, né i miracoli compiuti per confermare queste realtà divine;
non sono valse le validissime conferme dei Santi che non sono mai mancati, non mancano né mai mancheranno, come non sono neppure mancate le testimonianze dei Martiri, non si butta la vita per una chimera, e tale testimonianza è stata continua.
Che altro avrei potuto fare e non ho fatto per manifestare il Mio Amore per gli uomini?
Tu stesso figlio mio puoi misurare e il Mio Amore e la perfidia e ingratitudine umana.
Ti benedico figlio e con te benedico tutte le persone che ti sono care, voglimi bene prega e ancora una volta chiedo le tue sofferenze per riparare il tanto male che c'è nel mondo. (p. 149)