Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

Passiamo la vita a collezione successi a guadagnare lodi e soldi, a mendicare stima e approvazione degli altri al punto di perdere di vista ciò che veramente conta: la serenità  e la felicità . La felicità , la vera misura del tuo benessere, non viene da quello che hai ma da quello che sei. Perciò non lasciarti abbagliare dalle cose appariscenti del mondo, ma fissa lo sguardo su Dio. Chi prega col cuore e si abbandona a Dio con fiducia totale, si lancia nel cielo spirituale che è pieno di meraviglie, di fecondità  nascoste, di voli sorprendenti e sublimi ascensioni. Uniti nella preghiera. (Don Nikola Vucic)

Liturgia delle Ore - Letture

Sabato della 5° settimana del tempo di Quaresima

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Marco 10

1Partito di là, si recò nel territorio della Giudea e oltre il Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli l'ammaestrava, come era solito fare.2E avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: "È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?".3Ma egli rispose loro: "Che cosa vi ha ordinato Mosè?".4Dissero: "Mosè ha permesso di 'scrivere un atto di ripudio e di rimandarla'".5Gesù disse loro: "Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma.6Ma all'inizio della creazione 'Dio li creò maschio e femmina';7'per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola'.8Sicché non sono più due, ma una sola carne.9L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto".10Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse:11"Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei;12se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio".

13Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano.14Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse loro: "Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio.15In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso".16E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva.

17Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: "Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?".18Gesù gli disse: "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo.19Tu conosci i comandamenti: 'Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza', non frodare, 'onora il padre e la madre'".
20Egli allora gli disse: "Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza".21Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: "Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi".22Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni.

23Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: "Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!".24I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole; ma Gesù riprese: "Figlioli, com'è difficile entrare nel regno di Dio!25È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio".26Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: "E chi mai si può salvare?".27Ma Gesù, guardandoli, disse: "Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio".

28Pietro allora gli disse: "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito".29Gesù gli rispose: "In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo,30che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna.31E molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi".

32Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore. Prendendo di nuovo in disparte i Dodici, cominciò a dir loro quello che gli sarebbe accaduto:33"Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani,34lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà".

35E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: "Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo".36Egli disse loro: "Cosa volete che io faccia per voi?". Gli risposero:37"Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra".38Gesù disse loro: "Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?". Gli risposero: "Lo possiamo".39E Gesù disse: "Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete.40Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato".

41All'udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni.42Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: "Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere.43Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore,44e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti.45Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti".

46E giunsero a Gèrico. E mentre partiva da Gèrico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare.47Costui, al sentire che c'era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!".48Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!".
49Allora Gesù si fermò e disse: "Chiamatelo!". E chiamarono il cieco dicendogli: "Coraggio! Alzati, ti chiama!".50Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.51Allora Gesù gli disse: "Che vuoi che io ti faccia?". E il cieco a lui: "Rabbunì, che io riabbia la vista!".52E Gesù gli disse: "Va', la tua fede ti ha salvato". E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.


Secondo libro delle Cronache 23

1Nell'anno settimo Ioiadà, sentendosi sicuro, prese i capi di centurie, cioè Azaria, figlio di Ierocam, Ismaele figlio di Giovanni, Azaria figlio di Obed, Maaseia figlio di Adaia, ed Elisafàt figlio di Zicrì, e concluse un'alleanza con loro.2Percorsero Giuda e radunarono i leviti da tutte le città di Giuda e i capi dei casati di Israele; essi vennero in Gerusalemme.3Tutta l'assemblea concluse un'alleanza con il re nel tempio di Dio. Ioiadà disse loro: "Ecco il figlio del re. Deve regnare come ha promesso il Signore ai figli di Davide.4Questo è ciò che dovrete fare: un terzo fra quelli di voi che prendono servizio il sabato, sacerdoti e leviti, monterà la guardia alle porte;5un altro terzo starà nella reggia e un terzo alla porta di Iesod, mentre tutto il popolo starà nei cortili del tempio.6Nessuno entri nel tempio, se non i sacerdoti e i leviti di servizio; costoro vi entreranno, perché essi sono santificati; tutto il popolo osserverà l'ordine del Signore.7I leviti circonderanno il re, ognuno con l'arma in pugno; chiunque tenti di entrare nel tempio sia messo a morte. Essi staranno vicino al re seguendolo in ogni movimento".
8I leviti e tutti quelli di Giuda fecero quanto aveva comandato il sacerdote Ioiadà. Ognuno prese i suoi uomini, quelli che entravano in servizio di sabato come quelli che smontavano di sabato, perché il sacerdote Ioiadà non aveva licenziato le classi uscenti.9Il sacerdote Ioiadà diede ai capi delle centurie lance, scudi grandi e piccoli, già appartenenti al re Davide e allora depositati nel tempio di Dio.10Mise tutto il popolo, ognuno con l'arma in pugno, nel lato meridionale e nel lato settentrionale del tempio, lungo l'altare e l'edificio, in modo da circondare il re.11Si fece uscire il figlio del re e gli si impose il diadema con le insegne. Lo si proclamò re; Ioiadà e i suoi figli lo unsero e poi gridarono: "Viva il re!".
12Quando sentì le grida del popolo che acclamando correva verso il re, Atalia si presentò al popolo nel tempio.13Guardò ed ecco, il re stava sul suo seggio all'ingresso; gli ufficiali e i trombettieri circondavano il re; tutto il popolo del paese gioiva a suon di trombe; i cantori, con gli strumenti musicali, intonavano i canti di lode. Atalia si strappò le vesti e gridò: "Tradimento, tradimento!".
14Il sacerdote Ioiadà ordinò ai capi delle centurie, che comandavano la truppa: "Fatela uscire attraverso le file! Chi la segue sia ucciso di spada". Infatti il sacerdote aveva detto: "Non uccidetela nel tempio".15Le aprirono un passaggio con le mani; essa raggiunse la reggia per l'ingresso della porta dei Cavalli e là essi l'uccisero.
16Ioiadà concluse un'alleanza tra sé, il popolo tutto e il re, che il popolo fosse cioè il popolo del Signore.17Tutti andarono nel tempio di Baal e lo demolirono; fecero a pezzi i suoi altari e le sue statue e uccisero Mattan, sacerdote di Baal, davanti agli altari.
18Ioiadà affidò la sorveglianza del tempio ai sacerdoti e ai leviti, che Davide aveva divisi in classi per il tempio, perché offrissero olocausti al Signore, come sta scritto nella legge di Mosè, fra gioia e canti, secondo le disposizioni di Davide.19Stabilì i portieri alle porte del tempio perché non vi entrasse alcun immondo per nessun motivo.20Prese i capi di centinaia, i notabili e quanti avevano autorità in mezzo al popolo del paese e fece scendere il re dal tempio. Attraverso la porta Superiore lo condussero nella reggia e lo fecero sedere sul trono regale.21Tutto il popolo fu in festa e la città restò tranquilla benché Atalia fosse stata uccisa a fil di spada.


Proverbi 20

1Il vino è rissoso, il liquore è tumultuoso;
chiunque se ne inebria non è saggio.
2La collera del re è simile al ruggito del leone;
chiunque lo eccita rischia la vita.
3È una gloria per l'uomo astenersi dalle contese,
attaccar briga è proprio degli stolti.
4Il pigro non ara d'autunno,
e alla mietitura cerca, ma non trova nulla.
5Come acque profonde sono i consigli nel cuore umano,
l'uomo accorto le sa attingere.
6Molti si proclamano gente per bene,
ma una persona fidata chi la trova?
7Il giusto si regola secondo la sua integrità;
beati i figli che lascia dietro di sé!
8Il re che siede in tribunale
dissipa ogni male con il suo sguardo.
9Chi può dire: "Ho purificato il cuore,
sono mondo dal mio peccato?".
10Doppio peso e doppia misura
sono due cose in abominio al Signore.
11Già con i suoi giochi il fanciullo dimostra
se le sue azioni saranno pure e rette.
12L'orecchio che ascolta e l'occhio che vede:
l'uno e l'altro ha fatto il Signore.
13Non amare il sonno per non diventare povero,
tieni gli occhi aperti e avrai pane a sazietà.
14"Robaccia, robaccia" dice chi compra:
ma mentre se ne va, allora se ne vanta.
15C'è oro e ci sono molte perle,
ma la cosa più preziosa sono le labbra istruite.
16Prendigli il vestito perché si è fatto garante per un altro
e tienilo in pegno per gli estranei.
17È piacevole all'uomo il pane procurato con frode,
ma poi la sua bocca sarà piena di granelli di sabbia.
18Pondera bene i tuoi disegni, consigliandoti,
e fa' la guerra con molta riflessione.
19Chi va in giro sparlando rivela un segreto,
non associarti a chi ha sempre aperte le labbra.
20Chi maledice il padre e la madre
vedrà spegnersi la sua lucerna nel cuore delle tenebre.
21I guadagni accumulati in fretta da principio
non saranno benedetti alla fine.
22Non dire: "Voglio ricambiare il male",
confida nel Signore ed egli ti libererà.
23Il doppio peso è in abominio al Signore
e le bilance false non sono un bene.
24Dal Signore sono diretti i passi dell'uomo
e come può l'uomo comprender la propria via?
25È un laccio per l'uomo esclamare subito: "Sacro!"
e riflettere solo dopo aver fatto il voto.
26Un re saggio passa al vaglio i malvagi
e ritorna su di loro con la ruota.
27Lo spirito dell'uomo è una fiaccola del Signore
che scruta tutti i segreti recessi del cuore.
28Bontà e fedeltà vegliano sul re,
sulla bontà è basato il suo trono.
29Vanto dei giovani è la loro forza,
ornamento dei vecchi è la canizie.
30Le ferite sanguinanti spurgano il male,
le percosse purificano i recessi del cuore.


Salmi 119

1Alleluia.

Alef. Beato l'uomo di integra condotta,
che cammina nella legge del Signore.
2Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti
e lo cerca con tutto il cuore.

3Non commette ingiustizie,
cammina per le sue vie.
4Tu hai dato i tuoi precetti
perché siano osservati fedelmente.

5Siano diritte le mie vie,
nel custodire i tuoi decreti.
6Allora non dovrò arrossire
se avrò obbedito ai tuoi comandi.
7Ti loderò con cuore sincero
quando avrò appreso le tue giuste sentenze.
8Voglio osservare i tuoi decreti:
non abbandonarmi mai.

9Bet. Come potrà un giovane tenere pura la sua via?
Custodendo le tue parole.
10Con tutto il cuore ti cerco:
non farmi deviare dai tuoi precetti.
11Conservo nel cuore le tue parole
per non offenderti con il peccato.
12Benedetto sei tu, Signore;
mostrami il tuo volere.
13Con le mie labbra ho enumerato
tutti i giudizi della tua bocca.
14Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia
più che in ogni altro bene.
15Voglio meditare i tuoi comandamenti,
considerare le tue vie.
16Nella tua volontà è la mia gioia;
mai dimenticherò la tua parola.

17Ghimel. Sii buono con il tuo servo e avrò vita,
custodirò la tua parola.
18Aprimi gli occhi perché io veda
le meraviglie della tua legge.
19Io sono straniero sulla terra,
non nascondermi i tuoi comandi.
20Io mi consumo nel desiderio
dei tuoi precetti in ogni tempo.
21Tu minacci gli orgogliosi;
maledetto chi devìa dai tuoi decreti.
22Allontana da me vergogna e disprezzo,
perché ho osservato le tue leggi.
23Siedono i potenti, mi calunniano,
ma il tuo servo medita i tuoi decreti.
24Anche i tuoi ordini sono la mia gioia,
miei consiglieri i tuoi precetti.

25Dalet. Io sono prostrato nella polvere;
dammi vita secondo la tua parola.
26Ti ho manifestato le mie vie e mi hai risposto;
insegnami i tuoi voleri.
27Fammi conoscere la via dei tuoi precetti
e mediterò i tuoi prodigi.
28Io piango nella tristezza;
sollevami secondo la tua promessa.
29Tieni lontana da me la via della menzogna,
fammi dono della tua legge.
30Ho scelto la via della giustizia,
mi sono proposto i tuoi giudizi.
31Ho aderito ai tuoi insegnamenti, Signore,
che io non resti confuso.
32Corro per la via dei tuoi comandamenti,
perché hai dilatato il mio cuore.

33He. Indicami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la seguirò sino alla fine.
34Dammi intelligenza, perché io osservi la tua legge
e la custodisca con tutto il cuore.
35Dirigimi sul sentiero dei tuoi comandi,
perché in esso è la mia gioia.
36Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti
e non verso la sete del guadagno.
37Distogli i miei occhi dalle cose vane,
fammi vivere sulla tua via.
38Con il tuo servo sii fedele alla parola
che hai data, perché ti si tema.
39Allontana l'insulto che mi sgomenta,
poiché i tuoi giudizi sono buoni.
40Ecco, desidero i tuoi comandamenti;
per la tua giustizia fammi vivere.

41Vau. Venga a me, Signore, la tua grazia,
la tua salvezza secondo la tua promessa;
42a chi mi insulta darò una risposta,
perché ho fiducia nella tua parola.
43Non togliere mai dalla mia bocca la parola vera,
perché confido nei tuoi giudizi.
44Custodirò la tua legge per sempre,
nei secoli, in eterno.
45Sarò sicuro nel mio cammino,
perché ho ricercato i tuoi voleri.
46Davanti ai re parlerò della tua alleanza
senza temere la vergogna.
47Gioirò per i tuoi comandi
che ho amati.
48Alzerò le mani ai tuoi precetti che amo,
mediterò le tue leggi.

49Zain. Ricorda la promessa fatta al tuo servo,
con la quale mi hai dato speranza.
50Questo mi consola nella miseria:
la tua parola mi fa vivere.
51I superbi mi insultano aspramente,
ma non devìo dalla tua legge.
52Ricordo i tuoi giudizi di un tempo, Signore,
e ne sono consolato.
53M'ha preso lo sdegno contro gli empi
che abbandonano la tua legge.
54Sono canti per me i tuoi precetti,
nella terra del mio pellegrinaggio.
55Ricordo il tuo nome lungo la notte
e osservo la tua legge, Signore.
56Tutto questo mi accade
perché ho custodito i tuoi precetti.

57Het. La mia sorte, ho detto, Signore,
è custodire le tue parole.
58Con tutto il cuore ti ho supplicato,
fammi grazia secondo la tua promessa.
59Ho scrutato le mie vie,
ho rivolto i miei passi verso i tuoi comandamenti.
60Sono pronto e non voglio tardare
a custodire i tuoi decreti.
61I lacci degli empi mi hanno avvinto,
ma non ho dimenticato la tua legge.
62Nel cuore della notte mi alzo a renderti lode
per i tuoi giusti decreti.
63Sono amico di coloro che ti sono fedeli
e osservano i tuoi precetti.
64Del tuo amore, Signore, è piena la terra;
insegnami il tuo volere.

65Tet. Hai fatto il bene al tuo servo, Signore,
secondo la tua parola.
66Insegnami il senno e la saggezza,
perché ho fiducia nei tuoi comandamenti.
67Prima di essere umiliato andavo errando,
ma ora osservo la tua parola.
68Tu sei buono e fai il bene,
insegnami i tuoi decreti.
69Mi hanno calunniato gli insolenti,
ma io con tutto il cuore osservo i tuoi precetti.
70Torpido come il grasso è il loro cuore,
ma io mi diletto della tua legge.
71Bene per me se sono stato umiliato,
perché impari ad obbedirti.
72La legge della tua bocca mi è preziosa
più di mille pezzi d'oro e d'argento.

73Iod. Le tue mani mi hanno fatto e plasmato;
fammi capire e imparerò i tuoi comandi.
74I tuoi fedeli al vedermi avranno gioia,
perché ho sperato nella tua parola.
75Signore, so che giusti sono i tuoi giudizi
e con ragione mi hai umiliato.
76Mi consoli la tua grazia,
secondo la tua promessa al tuo servo.
77Venga su di me la tua misericordia e avrò vita,
poiché la tua legge è la mia gioia.
78Siano confusi i superbi che a torto mi opprimono;
io mediterò la tua legge.
79Si volgano a me i tuoi fedeli
e quelli che conoscono i tuoi insegnamenti.
80Sia il mio cuore integro nei tuoi precetti,
perché non resti confuso.

81Caf. Mi consumo nell'attesa della tua salvezza,
spero nella tua parola.
82Si consumano i miei occhi dietro la tua promessa,
mentre dico: "Quando mi darai conforto?".
83Io sono come un otre esposto al fumo,
ma non dimentico i tuoi insegnamenti.
84Quanti saranno i giorni del tuo servo?
Quando farai giustizia dei miei persecutori?

85Mi hanno scavato fosse gli insolenti
che non seguono la tua legge.
86Verità sono tutti i tuoi comandi;
a torto mi perseguitano: vieni in mio aiuto.
87Per poco non mi hanno bandito dalla terra,
ma io non ho abbandonato i tuoi precetti.
88Secondo il tuo amore fammi vivere
e osserverò le parole della tua bocca.

89Lamed. La tua parola, Signore,
è stabile come il cielo.
90La tua fedeltà dura per ogni generazione;
hai fondato la terra ed essa è salda.
91Per tuo decreto tutto sussiste fino ad oggi,
perché ogni cosa è al tuo servizio.
92Se la tua legge non fosse la mia gioia,
sarei perito nella mia miseria.
93Mai dimenticherò i tuoi precetti:
per essi mi fai vivere.
94Io sono tuo: salvami,
perché ho cercato il tuo volere.
95Gli empi mi insidiano per rovinarmi,
ma io medito i tuoi insegnamenti.
96Di ogni cosa perfetta ho visto il limite,
ma la tua legge non ha confini.

97Mem. Quanto amo la tua legge, Signore;
tutto il giorno la vado meditando.
98Il tuo precetto mi fa più saggio dei miei nemici,
perché sempre mi accompagna.
99Sono più saggio di tutti i miei maestri,
perché medito i tuoi insegnamenti.
100Ho più senno degli anziani,
perché osservo i tuoi precetti.
101Tengo lontano i miei passi da ogni via di male,
per custodire la tua parola.
102Non mi allontano dai tuoi giudizi,
perché sei tu ad istruirmi.
103Quanto sono dolci al mio palato le tue parole:
più del miele per la mia bocca.
104Dai tuoi decreti ricevo intelligenza,
per questo odio ogni via di menzogna.

105Nun. Lampada per i miei passi è la tua parola,
luce sul mio cammino.
106Ho giurato, e lo confermo,
di custodire i tuoi precetti di giustizia.
107Sono stanco di soffrire, Signore,
dammi vita secondo la tua parola.
108Signore, gradisci le offerte delle mie labbra,
insegnami i tuoi giudizi.
109La mia vita è sempre in pericolo,
ma non dimentico la tua legge.
110Gli empi mi hanno teso i loro lacci,
ma non ho deviato dai tuoi precetti.
111Mia eredità per sempre sono i tuoi insegnamenti,
sono essi la gioia del mio cuore.
112Ho piegato il mio cuore ai tuoi comandamenti,
in essi è la mia ricompensa per sempre.

113Samech. Detesto gli animi incostanti,
io amo la tua legge.
114Tu sei mio rifugio e mio scudo,
spero nella tua parola.
115Allontanatevi da me o malvagi,
osserverò i precetti del mio Dio.
116Sostienimi secondo la tua parola e avrò vita,
non deludermi nella mia speranza.
117Sii tu il mio aiuto e sarò salvo,
gioirò sempre nei tuoi precetti.
118Tu disprezzi chi abbandona i tuoi decreti,
perché la sua astuzia è fallace.
119Consideri scorie tutti gli empi della terra,
perciò amo i tuoi insegnamenti.
120Tu fai fremere di spavento la mia carne,
io temo i tuoi giudizi.

121Ain. Ho agito secondo diritto e giustizia;
non abbandonarmi ai miei oppressori.
122Assicura il bene al tuo servo;
non mi opprimano i superbi.
123I miei occhi si consumano nell'attesa della tua salvezza
e della tua parola di giustizia.
124Agisci con il tuo servo secondo il tuo amore
e insegnami i tuoi comandamenti.

125Io sono tuo servo, fammi comprendere
e conoscerò i tuoi insegnamenti.
126È tempo che tu agisca, Signore;
hanno violato la tua legge.
127Perciò amo i tuoi comandamenti
più dell'oro, più dell'oro fino.
128Per questo tengo cari i tuoi precetti
e odio ogni via di menzogna.

129Pe. Meravigliosa è la tua alleanza,
per questo le sono fedele.
130La tua parola nel rivelarsi illumina,
dona saggezza ai semplici.
131Apro anelante la bocca,
perché desidero i tuoi comandamenti.
132Volgiti a me e abbi misericordia,
tu che sei giusto per chi ama il tuo nome.
133Rendi saldi i miei passi secondo la tua parola
e su di me non prevalga il male.
134Salvami dall'oppressione dell'uomo
e obbedirò ai tuoi precetti.
135Fa' risplendere il volto sul tuo servo
e insegnami i tuoi comandamenti.
136Fiumi di lacrime mi scendono dagli occhi,
perché non osservano la tua legge.

137Sade. Tu sei giusto, Signore,
e retto nei tuoi giudizi.
138Con giustizia hai ordinato le tue leggi
e con fedeltà grande.
139Mi divora lo zelo della tua casa,
perché i miei nemici dimenticano le tue parole.
140Purissima è la tua parola,
il tuo servo la predilige.
141Io sono piccolo e disprezzato,
ma non trascuro i tuoi precetti.
142La tua giustizia è giustizia eterna
e verità è la tua legge.
143Angoscia e affanno mi hanno colto,
ma i tuoi comandi sono la mia gioia.
144Giusti sono i tuoi insegnamenti per sempre,
fammi comprendere e avrò la vita.

145Kof. T'invoco con tutto il cuore, Signore, rispondimi;
custodirò i tuoi precetti.
146Io ti chiamo, salvami,
e seguirò i tuoi insegnamenti.
147Precedo l'aurora e grido aiuto,
spero sulla tua parola.
148I miei occhi prevengono le veglie
per meditare sulle tue promesse.
149Ascolta la mia voce, secondo la tua grazia;
Signore, fammi vivere secondo il tuo giudizio.
150A tradimento mi assediano i miei persecutori,
sono lontani dalla tua legge.
151Ma tu, Signore, sei vicino,
tutti i tuoi precetti sono veri.
152Da tempo conosco le tue testimonianze
che hai stabilite per sempre.

153Res. Vedi la mia miseria, salvami,
perché non ho dimenticato la tua legge.
154Difendi la mia causa, riscattami,
secondo la tua parola fammi vivere.
155Lontano dagli empi è la salvezza,
perché non cercano il tuo volere.
156Le tue misericordie sono grandi, Signore,
secondo i tuoi giudizi fammi vivere.
157Sono molti i persecutori che mi assalgono,
ma io non abbandono le tue leggi.
158Ho visto i ribelli e ne ho provato ribrezzo,
perché non custodiscono la tua parola.
159Vedi che io amo i tuoi precetti,
Signore, secondo la tua grazia dammi vita.
160La verità è principio della tua parola,
resta per sempre ogni sentenza della tua giustizia.

161Sin. I potenti mi perseguitano senza motivo,
ma il mio cuore teme le tue parole.
162Io gioisco per la tua promessa,
come uno che trova grande tesoro.
163Odio il falso e lo detesto,
amo la tua legge.
164Sette volte al giorno io ti lodo
per le sentenze della tua giustizia.
165Grande pace per chi ama la tua legge,
nel suo cammino non trova inciampo.
166Aspetto da te la salvezza, Signore,
e obbedisco ai tuoi comandi.
167Io custodisco i tuoi insegnamenti
e li amo sopra ogni cosa.
168Osservo i tuoi decreti e i tuoi insegnamenti:
davanti a te sono tutte le mie vie.

169Tau. Giunga il mio grido fino a te, Signore,
fammi comprendere secondo la tua parola.
170Venga al tuo volto la mia supplica,
salvami secondo la tua promessa.
171Scaturisca dalle mie labbra la tua lode,
poiché mi insegni i tuoi voleri.
172La mia lingua canti le tue parole,
perché sono giusti tutti i tuoi comandamenti.
173Mi venga in aiuto la tua mano,
poiché ho scelto i tuoi precetti.
174Desidero la tua salvezza, Signore,
e la tua legge è tutta la mia gioia.
175Possa io vivere e darti lode,
mi aiutino i tuoi giudizi.
176Come pecora smarrita vado errando;
cerca il tuo servo,
perché non ho dimenticato i tuoi comandamenti.


Ezechiele 27

1Mi fu rivolta questa parola del Signore:2"Orsù, figlio dell'uomo, intona un lamento su Tiro.3Di' a Tiro, alla città situata all'approdo del mare, che commercia con i popoli e con le molte isole:

Così dice il Signore Dio:
Tiro, tu dicevi: Io sono una nave di perfetta bellezza.
4In mezzo ai mari è il tuo dominio.
I tuoi costruttori ti hanno reso bellissima:
5con cipressi del Senìr
hanno costruito tutte le tue fiancate,
hanno preso il cedro del Libano
per farti l'albero maestro;
6i tuoi remi li hanno fatti con le querce di Basan;
il ponte te lo hanno fatto d'avorio,
intarsiato nel bòssolo delle isole di Chittim.
7Di lino ricamato d'Egitto
era la tua vela che ti servisse d'insegna;
di giacinto scarlatto delle isole di Elisà
era il tuo padiglione.
8Gli abitanti di Sidòne e d'Arvad erano i tuoi rematori,
gli esperti di Semer erano in te, come tuoi piloti.
9Gli anziani di Biblos e i suoi esperti erano in te
per riparare le tue falle.
Tutte le navi del mare e i loro marinai
erano in te per scambiare merci.
10Guerrieri di Persia, di Lud e di Put
erano nelle tue schiere,
appendevano in te lo scudo e l'elmo,
ti davano splendore.
11I figli di Arvad e il loro esercito
erano intorno alle tue mura
vigilando sui tuoi bastioni,
tutti appendevano intorno alle tue mura gli scudi,
coronando la tua bellezza.

12Tarsìs commerciava con te, per le tue ricchezze d'ogni specie, scambiando le tue merci con argento, ferro, stagno e piombo.13Anche la Grecia, Tubal e Mesech commerciavano con te e scambiavan le tue merci con schiavi e oggetti di bronzo.14Quelli di Togarmà ti fornivano in cambio cavalli da tiro, da corsa e muli.15Gli abitanti di Dedan trafficavano con te; il commercio delle molte isole era nelle tue mani: ti davano in pagamento corni d'avorio ed ebano.16Aram commerciava con te per la moltitudine dei tuoi prodotti e pagava le tue merci con pietre preziose, porpora, ricami, bisso, coralli e rubini.17Con te commerciavano Giuda e il paese d'Israele. Ti davano in cambio grano di Minnìt, profumo, miele, olio e balsamo.18Damasco trafficava con te per i tuoi numerosi prodotti, per i tuoi beni di ogni specie scambiando vino di Chelbòn e lana di Zacar.19Vedàn e Iavàn da Uzàl ti rifornivano ferro lavorato, cassia e canna aromatica in cambio dei tuoi prodotti.20Dedan trafficava con te in coperte di cavalli.21L'Arabia e tutti i prìncipi di Kedàr mercanteggiavano con te: trafficavano con te agnelli, montoni e capri.22I mercanti di Saba e di Raemà trafficavano con te, scambiando le tue merci con i più squisiti aromi, con ogni sorta di pietre preziose e con oro.
23Carran, Cannè, Eden, i mercanti di Saba, Assur, Kilmàd commerciavano con te.24Scambiavano con te vesti di lusso, mantelli di porpora e di broccato, tappeti tessuti a vari colori, funi ritorte e robuste, sul tuo mercato.25Le navi di Tarsìs viaggiavano, portando le tue mercanzie.

Così divenisti ricca e gloriosa
in mezzo ai mari.
26In alto mare ti condussero i tuoi rematori,
ma il vento d'oriente ti ha travolto
in mezzo ai mari.
27Le tue ricchezze, i tuoi beni e il tuo traffico,
i tuoi marinai e i tuoi piloti,
i riparatori delle tue avarie
i trafficanti delle tue merci,
tutti i guerrieri che sono in te
e tutta la turba che è in mezzo a te
piomberanno nel fondo dei mari,
il giorno della tua caduta.
28All'udire il grido dei tuoi nocchieri
tremeranno le spiagge.
29Scenderanno dalle loro navi
quanti maneggiano il remo:
i marinai, e tutti i piloti del mare
resteranno a terra.
30Faranno sentire il lamento su di te
e grideranno amaramente,
si getteranno sulla testa la polvere,
si rotoleranno nella cenere;
31si raderanno i capelli per te
e vestiranno di sacco;
per te piangeranno nell'amarezza dell'anima
con amaro cordoglio.
32Nel loro pianto intoneranno su di te un lamento,
su di te comporranno elegie:
Chi era come Tiro, ora distrutta in mezzo al mare?
33Quando dai mari uscivano le tue mercanzie,
saziavi tanti popoli;
con l'abbondanza delle tue ricchezze
e del tuo commercio
arricchivi i re della terra.
34Ora tu giaci travolta dai flutti
nelle profondità delle acque:
il tuo carico e tutto il tuo equipaggio
sono affondati con te.
35Tutti gli abitanti delle isole
sono rimasti spaventati per te
e i loro re, colpiti dal terrore,
hanno il viso sconvolto.
36I mercanti dei popoli fischiano su di te,
tu sei divenuta oggetto di spavento,
finita per sempre".


Seconda lettera ai Corinzi 3

1Cominciamo forse di nuovo a raccomandare noi stessi? O forse abbiamo bisogno, come altri, di lettere di raccomandazione per voi o da parte vostra?2La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini.3È noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori.
4Questa è la fiducia che abbiamo per mezzo di Cristo, davanti a Dio.5Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio,6che ci ha resi ministri adatti di una Nuova Alleanza, non della lettera ma dello Spirito; perché la lettera uccide, lo Spirito da' vita.
7Se il ministero della morte, inciso in lettere su pietre, fu circonfuso di gloria, al punto che i figli d'Israele non potevano fissare il volto di Mosè a causa dello splendore pure effimero del suo volto,8quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito?9Se già il ministero della condanna fu glorioso, molto di più abbonda di gloria il ministero della giustizia.10Anzi sotto quest'aspetto, quello che era glorioso non lo è più a confronto della sovraeminente gloria della Nuova Alleanza.11Se dunque ciò che era effimero fu glorioso, molto più lo sarà ciò che è duraturo.12Forti di tale speranza, ci comportiamo con molta franchezza13e non facciamo come Mosè che poneva un velo sul suo volto, perché i figli di Israele non vedessero la fine di ciò che era solo effimero.14Ma le loro menti furono accecate; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, alla lettura dell'Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato.15Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore;16'ma quando ci sarà la conversione al Signore, quel velo sarà tolto'.17Il Signore è lo Spirito e dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà.18E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore.


Capitolo XVII: La vita nei monasteri

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1. Se vuoi mantenere pace e concordia con gli altri, devi imparare a vincere decisamente te stesso in molte cose. Non è cosa facile stare in un monastero o in un gruppo, e viverci senza lamento alcuno, mantenendosi fedele sino alla morte. Beato colui che vi avrà vissuto santamente e vi avrà felicemente compiuta la vita. Se vuoi stare saldo al tuo dovere e avanzare nel bene, devi considerarti esule pellegrino su questa terra. Per condurre una vita di pietà, devi farti stolto per amore di Cristo.  

2. Poco contano l'abito e la tonsura; sono la trasformazione della vita e la completa mortificazione delle passioni, che fanno il monaco. Chi tende ad altro che non sia soltanto Dio e la salute dell'anima, non troverà che tribolazione e dolore. Ancora, non avrà pace duratura chi non si sforza di essere il più piccolo, sottoposto a tutti. Qui tu sei venuto per servire, non comandare. Ricordati che sei stato chiamato a sopportare e a faticare, non a passare il tempo in ozio e in chiacchiere. Qui si provano gli uomini, come si prova l'oro nel fuoco (cfr. Sir 27,6). Qui nessuno potrà durevolmente stare, se non si sarà fatto umile dal profondo del cuore, per amore di Dio.


Discorso 272/B augm. DISCORSO DI SANT'AGOSTINO SULLA PENTECOSTE

Discorsi - Sant'Agostino

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La Pentecoste, festa della novità cristiana.

1. Ritengo che voi, carissimi, ben sappiate che oggi la Chiesa celebra la discesa dello Spirito Santo. Il Signore infatti aveva promesso ai suoi apostoli che avrebbe mandato loro lo Spirito 1, e in conformità con la sua attendibilissima parola, egli adempì la promessa. E se la resurrezione del Signore rafforzò nei seguaci la fede nella divinità di colui che si fece uomo per la nostra salvezza, ancor più questo fece la sua ascensione al cielo, e raggiunse la pienezza e la perfezione con il dono dello Spirito Santo, che egli mandò [dal cielo] e riempì i discepoli. Diventati otri nuovi, essi poterono contenere il vino nuovo 2; e per questo motivo, siccome parlavano in [diverse] lingue, si disse che erano ubriachi e pieni di vino nuovo 3. Le parole degli ascoltatori furono testimonianza dell'affermazione del Signore, riferita dalla Scrittura, che aveva detto: Nessuno mette il vino nuovo in otri vecchi 4. Ora per questi otri nuovi egli stava preparando il vino nuovo. Essi furono otri vecchi finché nei riguardi di Cristo ebbero opinioni carnali. Nell'ambito di " otre vecchio " rientrava quell'espressione che l'apostolo Pietro in preda al timore per la morte di Cristo ebbe a pronunciare pensando che egli sarebbe finito come tutti gli altri uomini. A lui però il Signore replicò: Va' lontano da me, satana! Tu mi sei di scandalo 5. Questa riluttanza di Pietro faceva parte della sua condizione di otre vecchio; ma ecco che il Signore risuscitò e si mostrò ai discepoli. Essi toccarono ciò che nel pianto avevano visto pendere dalla croce 6: erano davanti ai loro occhi vive quelle membra che piangendo avevano viste morte e sepolte. Furono fortificati nella fede e credettero in lui. Poi ecco che egli ascende in cielo e comanda loro di riunirsi in un unico luogo e lì aspettare fino a quando non avesse inviato loro quel che aveva promesso 7. Si radunarono dunque in un luogo e pregando attesero il compimento della promessa. In tal modo deposero l'antico e si rivestirono del nuovo 8. Divenuti capaci [del dono divino], essi il giorno della Pentecoste ricevettero lo Spirito Santo. Ecco il motivo per cui noi celebriamo il grande mistero odierno e facciamo festa in questo giorno celeberrimo. Vogliate pertanto considerare, santi fratelli, il grande accordo esistente fra le Scritture del vecchio e del nuovo Testamento. Nel primo la grazia veniva promessa, nel secondo è data; nel primo era simboleggiata, nel secondo raggiunge la completa pienezza. Vien da pensare a un artefice che intende costruire delle figure con un metallo, ad esempio con il bronzo o l'argento. Prima della fusione compone la forma in cera, e questa prima composizione provvisoria diventa un passaggio per la necessaria forma definitiva: l'artista cioè compone quelle prime forme per poi riempirle. Allo stesso modo il Signore disegnò tutto in forme figurative e le diede al popolo nel vecchio Testamento, ma poi svuotò quelle forme e nel darle al nuovo popolo, le riempì con una perfettissima infusione. Vogliate dunque, santi fratelli, considerare con un'attenzione un po' più impegnata quali sono state le antiche forme rappresentative e quale la loro realizzazione nel giorno della Pentecoste. Vale la pena considerarle con attenzione. Si apprende con frutto più abbondante quella parola che si ascolta con attenzione particolare. Siate anche voi, è evidente, degli otri nuovi per poter contenere il vino nuovo a voi servito dal nostro ministero. 9

La Pentecoste dei Giudei e la Pentecoste cristiana.

2. Spesso ci si chiede: " Se noi celebriamo la Pentecoste per la discesa dello Spirito Santo, per qual motivo la celebrano i giudei? ". Infatti anche i giudei celebrano la Pentecoste. Lo avete ascoltato voi che questa mattina eravate presenti alla lettura del libro di Tobia, che vi è stata proclamata nella memoria del beato Teogene. Ivi è detto che nel giorno di Pentecoste [Tobia] si preparò un pranzo invitando alcuni suoi compatrioti che, essendo timorati del Signore, erano degni di partecipare alla sua mensa. Dice: Nel giorno di Pentecoste, che è il più santo della settimana 10. Infatti sette per sette fa quarantanove: al quale numero si aggiunge l'uno per significare l'unità e così poter tornare al principio. L'unità infatti dà coesione a tutta la moltitudine; e mentre la moltitudine se non è cementata dall'unità è un agglomerato di gente rissosa e litigiosa, se invece è concorde forma un'anima sola. Lo afferma la Scrittura, la quale, parlando di coloro che avevano ricevuto lo Spirito Santo, dice che avevano un'anima sola e un cuore solo protesi verso Dio 11. Così essi diventano il cinquanta, cioè il mistero della Pentecoste. Ma allora perché celebrano la Pentecoste i giudei se non perché nella loro celebrazione era contenuta una qualche figura? Statemi attenti! Voi sapete che presso i giudei si uccideva un agnello e così si celebrava la pasqua, come figura della Passione del Signore, che sarebbe avvenuta in seguito. Non c'è cristiano che ignori quanto vi sto dicendo. Sapete anche che fu loro comandato di trovarsi un agnello fra le capre e tra le pecore 12. Ma come si può trovare un agnello tra le capre e tra le pecore? Quel comando però, in se impossibile, stava ad annunziare una possibilità che si sarebbe realizzata nel nostro Signore Gesù Cristo, il quale secondo la carne nacque dalla stirpe di Davide 13, e trae origine da peccatori e da giusti. Nella genealogia del Signore, secondo le generazioni riportate dagli evangelisti 14, trovi molti peccatori e molti giusti. Chiamò infatti anche costoro, cioè i peccatori, essendo venuto servendosi anche di peccatori; e da giusti e da peccatori raduna oggi la sua Chiesa, riservandosi di mandare i giusti nel Regno dei cieli, separando [da loro] i peccatori che si ostinano nel peccato e nella malvagità. Ad ogni modo egli, venuto per caricarsi dei nostri peccati, non ha esitato a trarre origine da peccatori. Ma in questo, cioè riguardo alla sua genealogia, ci son molte cose misteriose, che, se Dio ce ne concederà il tempo, spiegheremo alla santità vostra; adesso dobbiamo tornare all'argomento che ci proponevamo di trattare.

La legge mostra il peccato, la grazia lo cancella.

3. Riguardo al giorno della Pentecoste, stavamo esponendo il motivo per cui lo celebrano anche i giudei. Essi uccidono l'agnello, l'agnello pasquale. E, come loro, così anche noi celebriamo la pasqua nella quale fu ucciso l'Agnello immacolato e senza colpa 15: quell'Agnello al quale Giovanni rese testimonianza dicendo: Ecco, l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo 16. In memoria della sua passione noi celebriamo la pasqua. Ai giudei fu datala legge [che si basa] sul timore, ai cristiani viene dato lo Spirito Santo, fonte di grazia. Spinti dal timore essi non furono in grado di adempiere la legge, anzi proprio a causa della legge divennero trasgressori. La legge è contenuta nei cinque libri, come cinque erano i portici che circondavano la piscina di Salomone 17: i quali potevano, sì, accogliere i malati ma non ne potevano guarire neppure uno. I cinque portici accoglievano gli infermi, che però rimanevano distesi lì dov'erano. Allo stesso modo nessuno veniva risanato mediante quei libri. Perché nessuno? Per la superbia. Convinti di poter adempiere il precetto con le loro sole forze, non riuscirono ad adempirlo, e così la legge divenne loro avversaria: per essa divennero trasgressori, e tali rimasero finché non proruppero nel grido del quale anche questa mattina abbiamo parlato alla vostra santità: Uomo miserabile che altro non sono! Chi mi libererà da questo corpo mortale? La grazia di Dio per l'opera di Gesù Cristo nostro Signore 18. Dunque, la legge smaschera i trasgressori, la grazia li libera dalla colpa; la legge minaccia, la grazia attira; la legge tende a punire, la grazia assicura il perdono. Nondimeno le cose prescritte nella legge sono identiche a quelle prescritte nella grazia; e per questo si dice che la legge fu scritta con il dito di Dio 19. Così infatti troviamo scritto.

Lo Spirito Santo, dito di Dio.

4. Cerchiamo nel Vangelo cosa sia il dito di Dio, e lo troveremo. Che significa " dito di Dio "? Nella verità delle cose infatti Dio non ha questo membro corporale come lo abbiamo noi. Ma per caso egli avrà la vista da una parte e non dall'altra?, o di lui si potrà forse delimitare la forma delle membra, mentre egli è tutto in ogni luogo ed è presente dinanzi a tutti? Cos'è dunque il dito di Dio? Lo Spirito Santo. Statemi attenti! Come lo dimostriamo? Dal Vangelo. C'è infatti un passo in cui quello che un evangelista dice in figura un altro lo dice in forma esplicita. È quel passo del Vangelo dove i giudei affermano che il Signore cacciava i demoni in nome di Beelzebub 20. Rispondendo il Signore disse: Se io scaccio i demoni nel dito di Dio, è certamente giunto a voi il Regno di Dio 21. Un altro evangelista riferisce lo stesso avvenimento dicendo: Se io [faccio questo] nello Spirito Santo, vuol dire che è giunto a voi il Regno di Dio 22. Siccome dunque un evangelista parla di " dito di Dio ", ecco che l'altro chiarisce l'espressione mostrandoci che " dito di Dio " è lo Spirito Santo, per cui in Dio non dobbiamo cercare dita carnali ma comprendere il motivo per cui con il nome " dito " si designa lo Spirito Santo. È perché ad opera dello Spirito Santo gli apostoli ricevettero la diversità dei doni 23, ed è nelle dita che la mano appare in forma diversificata, tant'è vero che con le dita si fa il conto e la spartizione. Ma allora perché i giudei celebrano la Pentecoste? Mistero grande e veramente stupendo, fratelli! Imprimetevi nella mente che nel giorno della Pentecoste i giudei ricevettero la legge, scritta con il dito di Dio, e nello stesso giorno di Pentecoste discese lo Spirito Santo.

Con il dito di Dio fu scritta la legge.

5. Occorre determinare la natura della legge [del Signore]. I giudei la ricevettero in tavole di pietra, e con ciò si raffigurava la durezza del loro cuore, ma essa era scritta con il dito di Dio 24, e pertanto tutte le prescrizioni contenute nella legge obbligano anche i cristiani. Ora però, come dice l'Apostolo, non sono scritte in tavole di pietra ma nelle tavole del cuore che sono di carne 25. Ecco dunque la differenza: la legge finché rimase scritta nei cuori induriti dei giudei, non fu osservata; la stessa legge, data ai cristiani, trova cuori dotati di fede e così diventa facile e dura in eterno. Essi erano pietra; invece i cuori dei cristiani erano terreno fertile, quindi furono in grado di produrre frutti 26. Ci rifacciamo al Vangelo, quando al Signore fu presentata quella donna che era stata sorpresa nell'adulterio. Stando alla legge, i giudei la volevano lapidare 27, il Signore invece voleva solo che non continuasse a peccare, pronto a perdonarle il peccato commesso. E a coloro che volevano colpirla con le pietre, mentre erano loro stessi di pietra, disse: Chi tra voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei 28. Detto questo chinò il capo e con il dito cominciò a scrivere in terra; ma quei tali, esaminando la propria coscienza, se ne andarono uno dopo l'altro, dal più anziano al più giovane, e rimase lì soltanto la donna 29. Il Signore alzò il capo e le disse: Cos'è questo, donna? Nessuno ti ha condannata? Rispose: Nessuno, Signore. E il Signore: Nemmeno io ti condanno. Va' e non peccare più 30. Cosa significava questa larghezza nel perdonare? La grazia. E quella durezza che cosa significava? La legge data su pietre. Per questo il Signore scriveva con il dito 31, ma scriveva in una terra da cui poteva raccogliere frutti! Se al contrario si semina qualcosa sulla pietra, la pianta non viene fuori perché non può mettere le radici 32. Distingui dunque dito di Dio e dito di Dio: il dito di Dio con cui fu scritta la legge e il dito di Dio che è lo Spirito Santo.

Nel giorno di Pentecoste fu data la legge, nel giorno di Pentecoste venne lo Spirito Santo.

6. Nel giorno di Pentecoste fu data la legge, nel giorno di Pentecoste venne lo Spirito Santo. Ma vi avevamo promesso di dimostrarvi come i giudei ricevettero la legge cinquanta giorni dopo la Pasqua, che anche noi celebriamo. Tieni presente al riguardo che ad essi fu ordinato di uccidere l'agnello per la celebrazione della Pasqua il quattordici del primo mese 33. Mettendo nel computo lo stesso giorno quattordici in cui comincia la Pasqua, di quel mese restano diciassette giorni. Si arrivò quindi al deserto, al luogo dove fu data la legge; e la Scrittura si esprime così: Nel terzo mese da quando il popolo era stato condotto fuori dall'Egitto 34 il Signore parlò a Mosè dicendo che quanti avrebbero ricevuto la legge si purificassero in vista del terzo giorno, nel quale sarebbe stata data la legge 35. Dunque all'inizio del terzo mese si ingiunge di purificarsi per il terzo giorno; e comincia la Pasqua... Statemi attenti, perché non succeda che i numeri vi portino, per così dire, fuori pista e addensino nubi sul vostro intelletto. Per quanto ci è possibile, con l'aiuto del Signore vogliamo chiarirvi la cosa. Se mi sosterrete con la vostra attenzione, scorgerete fraternamente quel che intendo dirvi; se questa attenzione mancherà, quanto io vi dirò vi rimarrà oscuro anche se ve lo esponessi nella forma più elementare. Or dunque, ecco che per [celebrare] la Pasqua si fissa il quattordici del mese e si prescrive la purificazione per ricevere la legge, data sul monte e scritta con il dito di Dio 36, quel dito di Dio che è lo Spirito Santo. Ricordatevi di questo. Ve lo abbiamo dimostrato in base al Vangelo. Per la purificazione si fissa il terzo giorno del terzo mese. Al primo mese dunque togli dodici [giorni] per cominciare con il quattordicesimo: ne restano diciassette. Se a questi aggiungi l'intero secondo mese arrivi a quarantasette, e se prosegui contando dal giorno stesso della purificazione per arrivare al terzo giorno, ecco che si ha cinquanta. È quanto mai chiaro, lampante : i giudici ricevettero la legge nel giorno di Pentecoste.

Lo Spirito Santo rende soave il giogo di Cristo.

7. Essendo induriti, [la legge] fu per loro un gravame; essendo induriti, fu per loro un peso. Viene però il Signore arrecando la grazia, e grida: Venite a me, voi che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me che sono mite ed umile di cuore, e troverete riposo per le vostre anime. Poiché il mio giogo è soave e il mio carico leggero 37. Come mai il suo giogo è soave? La legge minaccia, egli attira; la legge dice: " Se non fai questo o quello, io ti punirò "; Cristo dice: " Qualsiasi peccato abbia tu fatto, io te lo perdono; d'ora in avanti guàrdati dal peccare 38 ". Pertanto il suo giogo è soave, il suo peso leggero 39. Occorre però che noi diventiamo otri nuovi 40 e, rivolti con l'animo verso di lui, ne attendiamo la grazia. Saremo copiosamente riempiti di Spirito Santo e attraverso lo Spirito santo verrà in noi la carità. In tal modo saremo riscaldati dal vino nuovo e ci inebrieremo al suo calice scintillante e colmo di ebbrezza 41, al punto che dimenticheremo le cose terrene che prima ci tenevano schiavi. In questo modo se ne dimenticavano i martiri quando si avviavano al supplizio. Dimenticavano i figli e le mogli, dimenticavano i genitori anche quando si cospargevano la testa di polvere e perfino le madri che dinanzi a loro scoprivano il seno e rinfacciando il latte che avevano succhiato, tentavano di distoglierli dal cibo [della vita]. Tutto essi dimenticavano, e non badavano nemmeno ai loro cari. Perché ti stupisci se il martire non si ferma a considerare i propri familiari? È un ubriaco. Ma ubriaco di che? Di carità. E la carità da dove gli è venuta? Dal dito di Dio, dallo Spirito Santo, da colui che discese il giorno di Pentecoste.

La carità, donata dallo Spirito Santo, adempie la legge.

8. Come dimostriamo che si adempie la legge mediante la carità, dono dello Spirito Santo 42? Lo dice l'Apostolo: Pieno adempimento della legge è la carità 43; e in un altro passo: L'amore del prossimo non opera il male 44. Infatti i precetti " Non commettere adulterio ", " non rubare ", " non uccidere ", " non desiderare " e tutti gli altri si compendiano in questa parola: " Amerai il prossimo tuo come te stesso 45 ". Ecco perché la carità adempie la legge 46. E come dimostriamo che la carità proviene dallo Spirito Santo? Ascolta l'Apostolo che dice: Noi ci gloriamo della tribolazione 47. Sottoposti a tribolazione i giudei venivano costretti ad adempiere la legge, ma non vi riuscivano; i cristiani dalle tribolazioni non venivano allontanati dalla legge ma piuttosto sospinti a correre verso la legge. Badate a ciò che dico, fratelli. Ai giudei era irrogata la pena che chiunque avesse offerto sacrifici agli idoli doveva essere lapidato o crocifisso, ed essi si astenevano dal farlo perché erano pressati dal timore, non trattenuti dall'amore. Non temevano [la trasgressione] perché erano sopraffatti dal desiderio illecito ed andavano dietro agli idoli tutte le volte che incombeva su di loro la crocifissione o si minacciava loro la morte o la lapidazione. Tutte queste pene non riuscivano a trattenerli [dal male]. Più tardi, ecco venire l'amore insieme con il timore: sopraggiunse la carità. Il Vangelo fu predicato ai pagani, e per indurli a sacrificare agli idoli si prese a minacciare loro il fuoco, le croci, le belve. Tutte queste pene venivano loro minacciate e gli imperatori le infliggevano, ma i cristiani sopportavano tutto, e il loro cuore non si piegò ad adorare gli idoli. Dalle pene i giudei non ottennero d'essere distolti dagli idoli; dalle stesse pene i cristiani non si lasciarono indurre a venerare gli idoli. Questo perché era in essi la carità, dono dello Spirito Santo. Dice l'Apostolo: Anzi, noi ci gloriamo delle tribolazioni sapendo che la tribolazione produce la pazienza, la pazienza la virtù provata 48 - e noi vogliamo ora dimostrare che la carità con cui si adempie la legge proviene dallo Spirito Santo -. Orbene, eccolo qua: la tribolazione [produce] la pazienza, la pazienza la virtù provata, la virtù provata la speranza; la speranza non resta delusa poiché la carità di Dio è stata riversata nei nostri cuori ad opera dello Spirito Santo, che ci è stato dato 49.

Raccomandazione conclusiva.

9. Noi dunque celebriamo oggi l'annuale festa della discesa dello Spirito Santo; ma lo Spirito Santo dobbiamo averlo nel cuore tutti i giorni. Non dobbiamo pensare che la solennità odierna debba durare soltanto per oggi e non in tutti gli altri giorni. Non celebriamola per un giorno solo ma in ogni tempo, se vogliamo essere non riprovati 50 ma approvati dal Signore nel giorno della sua venuta 51. Avendoci in antecedenza dato il pegno 52, ci voglia condurre al possesso eterno [dei beni]. Cristo infatti ha sposato la sua Chiesa e ha mandato a lei lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo è come l'anello nuziale; e chi le ha dato l'anello le darà anche l'immortalità e il riposo. 

Lui amiamo, in lui speriamo, in lui crediamo.

Nel pomeriggio venite un po' prima per poter cantare inni a Dio. Gli estranei si ubriacano con il vino della vite di questa terra per soddisfare la lussuria; noi inebriamoci dei cantici divini. Lodiamo il Signore con i canti della salvezza 53 e, una buona volta, dimentichiamo la terra, per meritare di essere elevati dalla terra al cielo. Ce lo conceda il nostro Signore Gesù Cristo, che vive e regna con Dio Padre.

 


1 - Cf. Gv 14, 16; 15, 26; 16, 7 (Lc 24, 49).

2 - Cf. Lc 5, 38 (Mt 9, 17; Mc 2, 22).

3 - At 2, 13.

4 - Lc 5, 37 (Mc 2, 22).

5 - Mt 16, 23.

6 - Cf. Lc 24, 39.

7 - Cf. Lc 24, 49 (At 1, 4).

8 - Cf. Col 3, 9-10 (Ef 4, 22-24).

9 - Cf. Lc 5, 38 (Mt 9, 17; Mc 2, 22).

10 - Tb 2, 1 (LXX).

11 - At 4, 32.

12 - Cf. Es 12, 5 (LXX).

13 - Cf. Rm 1, 3.

14 - Cf. Mt 1, 1-17; Lc 3, 23-38.

15 - Cf. Es 12, 5; 1 Pt 1, 19.

16 - Gv 1, 29.

17 - Cf. Gv 5, 2-3.

18 - Rm 7, 24-25a.

19 - Cf. Es 31, 18 (Dt 9, 10).

20 - Cf. Mt 12, 24 (Mc 3, 22; Lc 11, 15).

21 - Lc 11, 20.

22 - Mt 12, 28.

23 - Cf. 1 Cor 12, 4.

24 - Cf. Es 31, 18 (Dt 9, 10).

25 - 2 Cor 3, 3.

26 - Cf. Mt 13, 5. 8 (Mc 4, 5. 8; Lc 8, 6. 8).

27 - Cf. Gv 8, 3-6.

28 - Gv 8, 7.

29 - Cf. Gv 8, 8-9.

30 - Gv 8, 10-11.

31 - Cf. Gv 8, 6. 8.

32 - Cf. Mt 13, 5-6 (Mc 4, 5-6).

33 - Cf. Es 12, 6. 18, etc.

34 - Es 19, 1.

35 - Cf. Es 19, 10-11.

36 - Cf. Es 31, 18 (Dt 9, 10).

37 - Mt 11, 28-30.

38 - Cf. Gv 8, 11.

39 - Cf. Mt 11, 30.

40 - Cf. Lc 5, 38 (Mt 9, 17; Mc 2, 22).

41 - Cf. Sal 22, 5.

42 - Cf. Rm 13, 8c.

43 - Rm 13, 10b.

44 - Rm 13, 10a.

45 - Rm 13, 9.

46 - Cf. Rm 13, 8c.

47 - Rm 5, 3a.

48 - Rm 5, 3-4a.

49 - Rm 5, 3b-5.

50 - Cf. 1 Cor 9, 27 (nel testo di Agostino).

51 - Cf. 1 Th 5, 2; 2 Pt 3, 10.

52 - Cf. 2 Cor 1, 22 (5, 5).

53 - Cf. Ef 5, 18-19.


Vita di San Martino vescovo di Tours

San Giovanni Bosco - San Giovanni Bosco

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Avviso importante

 

            La venerazione a s. Martino si può dire sparsa in tutta la cristianità; nell'Europa poi sarà difficile trovare un paese in cui non sia chiesa, altare o qualche altro monumento religioso che attesti segnalati favori ottenuti da Dio per intercessione di lui a pro delle famiglie e delle campagne; oppure renda gloriosa testimonianza di miracoli pubblicamente riconosciuti ed operati a pro della sofferente umanità. Giova perciò sperare che tornerà cosa gradita ai nostri lettori il vedere qui {III [391]}

compendiate le meraviglie di quel Santo, di cui è così universale la venerazione.

            Ma parlare di miracoli in questi tempi! forse che saranno creduti? Adagio, cristiano lettore, non farti illusione per certi discorsi di alcuni nemici del Cristianesimo. Se tu osservi che leggiamo essersi operati miracoli grandi, siccome vediamo notati ne' sacri libri; se tu osservi che il Salvatore ha detto che i predicatori del Vangelo ne avrebbero fatti dei più strepitosi, cesserà lo stupore, la sorpresa. Notiamone alcuni.

            Un serpente che parla ad Adamo e ad Eva nel Paradiso terrestre; un diluvio universale che copre tutta la terra; una pioggia di fuoco che incendia ed inabissa le città della Pentapoli; la moglie di Lot cangiata in una statua di sale; un Angelo che rattiene il braccio e parla ad Abramo affinchè non uccida il proprio figliuolo; le dieci piaghe dell'Egitto; la verga di Mosè, la quale prima è mutata in serpente e poi divide le acque del Mar {IV [392]} Rosso; la manna che piove dal cielo per quarantanni; l'Arca dell'alleanza che ferma la corrente del fiume Giordano; l'asina di Balaam che parla con voce umana; il sole che si ferma al comando di Giosuè; i corvi che portano regolarmente il pane al profeta Elia; morti risuscitati; l'olio e il pane moltiplicati; queste, dico, ed altre infinite maraviglie, che tu trovi registrate nella storia del mondo, non è egli vero, che mentre ti recano grande sorpresa, ti appariscono però ad un tempo quali fatti i più certi e indubitati, siccome quelli che si trovano registrati in un libro divino qual è la Bibbia?

            Che diremo poi di quanto leggiamo nel Vangelo? Quivi una stella annunzia la nascita del Salvatore; una schiera di Angeli ne dà festevole annunzio ai pastori; l'acqua si cangia in vino; con poco di pane si nutrono abbondantemente più mila uomini; i sordi acquistano l'udito; i ciechi la vista; i muti la parola; i lebbrosi sono mondati; malattie dall'arte umana insanabili {V [393]} instantaneamente guarite; uomini morti da quattro giorni e già incadaveriti e puzzolenti, e che pur risorgono a nuova vita, parlano, camminano. Il Vangelo è ripieno di fatti di simil genere. Pure il Salvatore disse che i suoi seguaci avrebbero operato cose maggiori. Perciò non avvi stupore che tali maraviglie siano state ripetute dagli Apostoli e dai loro successori nella predicazione del Vangelo e segnatamente da s. Martino siccome noi siamo per raccontare.

            Dobbiamo piuttosto dedurne una conseguenza grave; vale a dire, che trovandoci noi in quella religione in cui si compiono le promesse di G. C., abbiamo un certissimo ed evidentissimo argomento che ci assicura che fortunatamente ci troviamo nella sua santa religione, mentre vediamo che le azioni dei Santi sono letteralmente la pratica delle verità proposte dal Divin Salvatore e registrate nel santo Vangelo.

            È bene eziandio di avvisare il lettore che di quanto siamo per dire intorno {VI [394]} alle azioni di s. Martino non vi è fatto che non sia stato scritto e pubblicato da autori contemporanei; autori che per santità e dottrina sono in credito presso ai medesimi protestanti; come sono Sulpizio Severo; s. Gregorio vescovo di Tours; s. Gregorio Magno papa ed altri molti. Inoltre di tutti i fatti prodigiosi che sono in questo racconto riferiti non ce ne è neppur uno che non abbia il suo simile nella Bibbia e in modo anche più luminoso; neppure uno che non abbia sostenuto e possa sostenere la critica più severa. Siccome poi in questi tempi i nemici della cattolica religione studiano di allontanare i cattolici dal culto dei Santi e dalla venerazione delle loro reliquie, si pensò bene di aggiungere in fine una breve appendice in proposito.

            Questo Santo glorioso, che tanto faticò perla predicazione del Vangelo; che operò tanti prodigi per diffondere la fede di Cristo fra gli idolatri e conservarla fra gli eretici mentre era mortale in terra; ora che è Beato in cielo {VII [395]} si degni volgere uno sguardo pietoso sopra di noi, e ci ottenga da Dio perseveranza e coraggio da poter vivere e morire nella santa cattolica religione, unica vera, unica santa, unica confermata da miracoli, unica che in ogni tempo abbia avuto uomini santi, e fuori della quale niùno può salvarsi. Così sia. {VIII [396]}

 

 

Capo I. Prima educazione di s. Martino Vescovo di Tours.

 

            La vita di san Martino è un vero modello di virtù, carita e perfezione cristiana, tessuta di una serie di fatti i più curiosi e piacevoli. La Storia Ecclesiastica parla di questo santo come di un grande luminare del secolo IV. La vita ne fu scritta da Sulpizio Severo scrittore contemporaneo e che visse insieme col santo[1]. {9 [397]}

            Egli era nato l’anno 310 nella città di Sabaria nella Pannonia (oggidì Zombateli nell'Ungheria). I suoi genitori erano onorati e ricchi assai secondo il mondo, ma idolatri, cioè professavano una religione, in cui si adoravano le creature, come sono il sole, la luna, gli animali, le piante ecc. in vece del vero Dio. Perciò i parenti di Martino erano affatto lontani dalla religione di Gesù Cristo. Suo padre era ascritto nella milizia Romana, e giunse a divenir tribuno di una legione; carica che in quel tempo era una delle prime nell'armata poco presso come presentemente i colonnelli. Per circostanze di guerra avendo egli dovuto venire in Italia condusse seco a Pavia Martino ancora bambinello. Quivi Martino ebbe la prima educazione, non già cristiana, ma idolatra, e nulla si risparmiò per affezionarlo al paganesimo ed allontanarlo dal culto del vero Dio. Ma quando Iddio ha qualche disegno {10 [398]} sopra gli uomini, sa guidarli in mezzo a tutti i pericoli e additar loro le vie da seguirsi onde giugnere all'eterna salute.

            Martino era di un'indole buona, e fin da quella età sapeva già affezionarsi i fanciulli ben educati, e schivar destramente coloro che nelle loro azioni, o discorsi si danno a conoscere scostumati. Egli provava un gran piacere quando poteva trattenersi con qualche fervoroso cristiano, e sebbene fosse ancora privo di battesimo, nulladimeno interveniva molto volentieri agli, esercizi di pietà. Si recava sovente alla Chiesa dei cristiani, e in età di dieci anni, contro il volere de' suoi genitori, dimandò con istanza di essere catecumeno, cioè essere inscritto tra quelli che desiderano di farsi istruire nelle verità della fede per ricevere il battesimo. Fu appagato il suo desiderio, e si mostrò ben degno del favore coll'assiduità alle istruzioni che si facevano ai catecumeni.

            Sebbene egli frequentasse le istruzioni e le pratiche di pietà coi Cristiani, tuttavia non tardò a conoscere i gravi pericoli cui vanno soggetti i giovani che vivono nelle grandi città; perciò risolse di ritirarsi in una solitudine per convivere {11 [399]} con alcune persone dabbene, e per attendere unicamente alla salvezza dell'anima. Avrebbe eseguito questo suo progetto, se la tenera età, la proibizione dei parenti non glielo avessero impedito.

            In quel medesimo tempo Costantino era divenuto padrone di tutto il Romano impero, e dopo aver fatto cessare le persecuzioni contro ai Cristiani, egli stesso professava pubblicamente il Cristianesimo. Ma dovette fare una grande leva militare per combattere contro ad alcuni nemici che tentavano d'invadere l’impero. Col decreto di quella leva comandava eziandio che tutti i figliuoli dei tribuni fossero arruolati e condotti a sostenere la guerra.

            Allora il padre diè ordine che si cercasse Martino, il quale toccava appena l'età di quindici anni, e gli fece prendere le divise militari. Come figlio di un Tribuno avrebbe potuto tener seco parecchi famigli, farsi servire lautamente; ma egli conosceva già che il lusso e l'intemperanza sono cose da fuggirsi da tutti gli uomini dabbene. Menò seco solamente un servo, il quale ei trattava come suo uguale. Sobrietà nel mangiare, riservatezza nel discorrere, puntualità nel servizio, erano le virtù che il virtuoso {12 [400]} giovane faceva risplendere nella sua condotta, che perciò merita di essere proposta a modello a chiunque professa il mestiere delle armi. Egli reputava di servire a Dio adempiendo i suoi doveri; era umile cogl'inferiori, affabile e liberale coi poveri, compassionevole e misericordioso con tutti. Seppe egli guardarsi da quei vizi in cui pur troppo è solita a cadere la gente di guerra; si studiava di acquistarsi l'affetto e la stima di tutti quelli che vivevano con lui; era così sobrio e moderato nel vitto che pareva un monaco, non un soldato. Mentre poi mostravasi costantemente sofferente dei difetti altrui, soccorreva alle necessità di ognuno con istraordinaria carità, consolando gli afflitti, assistendo gl'infermi, pascendo i famelici.

            Il maggior suo piacere era di poter coprire i nudi, nella qual opera di pietà è molto memorabile il fatto seguente. Trovavasi l'esercito Romano nelle Gallie (oggidì Francia) e correva un'invernata assai più crudele del solito. Molti uomini morivano agghiacciati nelle case e nelle strade. Or avvenne che l'esercito, in cui era Martino, passando per la città di Amiens, un poverello tremante, quasi {13 [401]} nudo e colle carni esposte alla rigidezza dell'aria chiese qualche soccorso da quei soldati. Il misero non era stato esaudito da veruno di loro. Giunto Martirio davanti a lui si ferma, lo rimira e dice tra sè: bella occasione di coprire un nudo! Intanto mette la mano in tasca e non trova più danaro, perchè già tutto aveato speso a favore dei poveri. Che fare? La carità è industriosa e trova sempre modo di beneficare. Depone il proprio mantello, trae fuori la spada, lo taglia per metà, e dandone una parte al povero, coll'altra alla meglio che può, ricopre se stesso.

            A cotal vista di abito contraffaltto e di panni squarciati alcuni non poterono contenere le risa; ma gli altri più sensati ammirarono la grande azione di Martino. Iddio medesimo dimostrò quanto quell'azione fosse a lui gradita, imperciocchè nella seguente notte gli apparve Gesù Cristo coperto colla metà del mantello che egli aveva donato a quel miserabile, e lo intese a dire ad una schiera di angeli che lo circondavano: Martino ancora catecumeno mi ha ricoperto con questa veste. Colle quali parole il Divin Redentore confermava quanto aveva detto nel Vangelo, e che dirà nel giorno del giudizio: {14 [402]} Tutto quello che fate ad uno dei minimi miei fratelli, lo fate a me. «Quamadiu fecistis uni ex fratribus meis minimis, mihi fecistis» (S. Matteo, c. XXV). Questa consolante visione ben lontano dal fargli prender vanagloria, contribuì invece a fargli vie più ammirare la grande bontà di Dio, e si senti tutto infiammato a servirlo con maggior umiltà e fervore, sicchè senza più indugiare dimandò di ricevere il battesimo; essendo allora in età di anni diciotto.

            Egli desiderava di abbandonare il servizio militare per darsi unicamente a quello di Dio; ma rimase ancora sotto le insegne due anni per amore del suo tribuno, il quale ne lo aveva pregato, e che gli aveva promesso di farsi egli pure Cristiano, e rinunziare al mondo tostochè fosse giunto al termine del suo servizio. In questo intervallo di tempo egli non pensò più ad altro che agli obblighi impostigli dal santo Battesimo. Stava colla persona in campo e col pensiero in coro dove si cantavano le lodi del Signore, cosicchè si poteva chiamare soldato più di nome che di esercizio; sempre impaziente che giugnesse il momento da lui aspettato di vivere unicamente in servizio di Dio. {15 [403]}

 

 

Capo II. Martino lascia il servizio militare, e va a Poitiers.

 

            Iddio non tardò molto ad appagare i desiderii di Martino. L'occasione in cui dimandò di essere sciolto dal servizio militare fu questa. I Germani, popoli barbari che abitavano a mezzanotte dell'Europa, fecero in quel tempo una nuova scorreria nelle Gallie, cagionando gran danno alle provincie governale dall'Imperatore Romano. Giuliano, soprannominato l'Apostata, perchè aveva rinnegato la propria religione, e che divenne di poi imperatore e gran persecutore del Cristianesimo, fu mandato dall'imperatore Costantino a combattere quei nemici dell'impero. Comandava adunque le truppe di spedizione, e quando si trovò a fronte dei nemici, prima di venire a battaglia, pensò d'affezionarsi ed incoraggiare i soldati facendo loro un donativo. Cominciarono secondo il solito ad essere chiamati ad uno ad uno i capi della milizia. Martino stimò quella una buona occasione per chiedere il suo congedo; e venuto {16 [404]} alla presenza di Giuliano con libertà cristiana gli disse: «Cesare, sin qui ho militato sotto le vostre insegne; ora vi domando permesso di poter in avvenire unicamente militare sotto a quelle di Gesù Cristo. Il dono che siete per fare a me datelo ad un altro.»

            A queste parole sdegnato Giuliano lo guardò con mal viso, dicendogli: «Capisco: tu chiedi licenza non per divozione, ma per timor della battaglia di domani. No, rispose Martino con tranquillo sembiante, non ebbi mai timore alcuno ne' pericoli maggiori, neppure presentemente pavento di combattere e dare la vita per l'imperatore: che se volete attribuire a viltà la mia condotta, vi dirò che son pronto ad andar domani al cominciar del combattere incontro ai nemici innanzi alle prime file senza armi di sorta, munito del solo segno della santa croce: con quest'arma sola mi metterò dentro alle più folte squadre dei barbari.»

            Da si animosa risposta acceso dal desiderio di farne la prova, Giuliano lo fece subito mettere in prigione per inviarlo il di seguente disarmato in faccia ai nemici. Questa cosa diede molto a ragionare {17 [405]} all'esercito, e con diversi affetti dell'animo stavano tutti aspettandone la riuscita. Quando al mattino per tempo contro ad ogni aspettazione veggono gli ambasciatori di quella gente feroce venire rispettosi, non solo a chieder pace, ma eziandio a porsi umilmente all'ubbidienza di Giuliano. Questo fatto si reputò un vero favore del cielo, e quelli che in particolar maniera conoscevano la santità di Martino attribuirono ai meriti di lui sì repentina mutazione e sì facile vittoria. È vero che Iddio avrebbe potuto altrimenti salvare là vita del suo servo in mezzo a migliaia di spade e di lancie nemiche, nondimeno fu più conforme alle soavi disposizioni della divina Provvidenza il liberarlo col mezzo di simile accordo senza uccisioni e senza strage.

            Fatto così libero dalle sollecitudini del mondo, dopo cinque anni di servizio militare egli si portò presso san Ilario, personaggio di gran dottrina e santità, vescovo di Poiliers, che è una città considerevole di Francia.

            Questo prelato conobbe tosto il merito del nostro Martino, e i disegni della divina Provvidenza che lo chiamava a lavorare per la salute delle anime; perciò {18 [406]} dopo di averne attentamente considerato la pietà, la purezza di costumi, la scienza non ordinaria, e la grande sua propensione ad occuparsi a vantaggio delle anime, voleva ordinarlo diacono della sua Chiesa. Martino dal canto suo comprese subito la gran virtù e santità del suo maestro, pose in lui tutta la confidenza e nulla faceva senza il suo parere; tuttavia per umilia non acconsenti di ricevere il diaconato, e si lasciò solamente ordinar esorcista, che è uno degli ordini minori ecclesiastici, con cui si riceve l'autorità di esercitare alcuni uffizi al servizio della Chiesa.

 

 

Capo III. Nel passaggio delle Alpi cade nelle mani degli assassini. - Giunge in sua patria e converte sua madre ed altri alla fede di Cristo.

 

            Una cosa doleva grandemente all'animo del nostro santo; ed era il pensare che la sua patria e i suoi genitori medesimi fossero involti negli errori del gentilesimo. Ma Iddio pietoso che chiama tutti gli uomini alla conoscenza della verità, nella {19 [407]} guisa che mandò Pietro a battezzare il Centurione e la sua famiglia, fece altresì conoscere a Martino come era volontà sua che egli si recasse in patria onde lavorare per la conversione de' suoi genitori. Chiese egli pertanto licenza a san Ilario, il quale solo accondiscese per non opporsi ai divini voleri, e a condizione che egli quanto prima ritornasse.

            Partì il Santo da Poitiers, e passando le Alpi si abbattè in una banda di malandrini. Lo assalirono, lo spogliarono, ed uno di essi teneva già alzato il ferro per colpirlo. Ma un suo compagno, meno crudele di lui, gli trattenne il braccio; sicchè si limitò a legargli dietro le mani e affidarlo ad un altro assassino che lo custodisse e lo menasse in parte più remota. Mentre il conduceva, era pieno di stupore rimirando la serenità che traspariva dal volto di Martino, e a poco a poco deposta la solita sua aria feroce, quasi provasse compassione per lui e volesse consolarlo, cominciò a dimandargli chi fosse e dove andasse. Martino rispose: io sono Cristiano. Hai tu paura? soggiunse il ladro. Niente affatto, rispose Martino. Non ebbi mai paura di cosa alcuna in mezzo ai più gravi pericoli, perchè {20 [408]} so esservi la divina Provvidenza che veglia sul destino degli uomini, e nei maggiori pericoli non manca di venire in soccorso di chi confida in Lei. Una cosa però mi duole in questo momento, ed è di veder che ti rendi indegno dei divini favori colla vita che fai. Così ragionando Martino potè poco per volta fargli conoscere le verità del Vangelo. Le sue parole fortificate dalla grazia di Dio commossero quell'animo in guisa che deliberò di mutar costume e mettersi a seguire Gesù Cristo per guadagnarsi la vita eterna. Pertanto egli condusse segretamente Martino fuori di pericolose gli raccomandò che pregasse per lui.

            Il Signore che vuole la conversione e non la morte del peccatore compiè l'opera sua; quel ladrone lasciò i suoi compagni, abbracciò la vita religiosa, e fu egli medesimo che raccontò quanto era avvenuto tra lui e Martino, quando nel trapassar le Alpi cadde tra le mani degli assassini.

            Ammiriamo in questo fatto la grande bontà di Dio che in tante e sì diverse maniere ci chiama a lui. Fortunato quell'assassino che secondò gl'impulsi della divina grazia! Fortunati noi, se ascolteremo {21 [409]} gli avvisi che ogni giorno ci dà il Signore per invitarci a fuggire il male e a praticare il bene!

            Il nostro santo seguendo il suo viaggio traversò il Piemonte, venne a Milano, e valicando quelle montagne, che si chiamano Alpi Giulie, in pochi giorni giunse in Sabaria sua patria, dove i suoi genitori avevano di nuovo stabilita la loro dimora. Egli attese con zelo alla salute de' medesimi e riuscì a guadagnare sua madre che si allontanò dalle tenebre del paganesimo per ricevere il battesimo; ma non potè guadagnare l'anima di suo padre, il quale non curandosi di religione volle vivere e morire nel suo acciecamento: dimostrando così avverato quello che leggiamo nel Vangelo, cioè: di due che ascoltano la parola di Dio uno riporta frutto, si converte a Gesù Cristo e si salva; l'altro la rifiuta, continua nel male e si danna: Unus assumetur et alter relinquetur.

            Questo viaggio di Martino contribuì eziandio alla salvezza di molti, i quali mossi dall'esempio e dalle esortazioni di lui abbracciarono la fede cristiana. In questo medesimo viaggio ebbe occasione di far uso dei talenti da Dio ricevuti, {22 [410]} e dimostrare lo zelo che aveva per la santa fede combattendo gli Ariani, eretici che negavano la divinità di Gesù Cristo, e che si erano sparsi in gran numero nell'Illiria[2]. Quegli eretici vollero provarsi a disputare con lui, ma poichè non potevano resistere allo spirito del Signore che fortificava le parole del Santo, si appigliarono al medesimo partito già posto in opera dai persecutori di s. Stefano primo martire della Chiesa. Lo assalirono, gli soffocarono la voce cogli schiamazzi, e dopo d'averlo aspramente battuto colle sferze il cacciarono fuori della città.

            Contento egli, che ad esempio degli Apostoli era stato degno di patire qualche cosa pel nome di Gesù Cristo, preso il cammino verso la Francia.

 

 

Capo IV. S. Martino in Italia. - Ritorna a Poitiers.

 

            Il Salvatore nell'atto che mandava i suoi discepoli a predicare il Vangelo {23 [411]} disse, che, qualora fossero perseguitati in una città, fuggissero in un'altra, perchè la parola di Dio non è legata; e quando è rifiutata in un paese, andassero a predicarla in un altro.

            Così s. Martino vedendo che l'ingrata sua patria rifiutava la visita che Iddio faceva per mezzo suo, coll'animo addolorato pei grandi mali che vedeva sovrastare a que' popoli, e che sovrastano a tutti quelli che non ascoltano la parola di Dio, partì da quei paesi con animo di ritornarsi in Francia presso all'amato suo maestro s. Ilario. Ma giunto in Italia intese che in Francia le cose di religione erano sossopra, e quello che gli cagionò sensibile afflizione fu che lo stesso s. Ilario era stato perseguitato dagli eretici e per loro arte mandato in esiglio. Allora egli giudicò meglio di fermarsi in un ritiro vicino alla città di Milano dove cominciò a condurre vita austera e penitente, adoperandosi, nel tempo stesso a sostenere la fede cattolica, e combattere gli errori degli ariani.

            Ma la vita de' veri servi di Dio è un tessuto di tribolazioni: perciò anche quivi insorsero persecuzioni contro a Martino. Un furibondo ariano, di nome Ausenzio, {24 [412]} teneva sgraziatamente la sede vescovile in questa città, e informato dello zelo che Martino dimostrava per la religione, si diede a perseguitarlo per modo, che lo costrinse ad uscire dalla sua diocesi.

            Mentre dimorava in Milano, contrasse amicizia con un virtuoso sacerdote, il quale, rapito dalla santità di Martino, eragli divenuto affezìonatissimo e volle accompagnarlo nella partenza da quella città. Andarono entrambi in una piccola isola della Gallinaria sulla costiera della Liguria presso Albenga, ove vissero qualche tempo sconosciuti. Ambidue amanti della virtù, ambidue desiderosi di servire Iddio con tutto l'affetto del cuore, passavano gran parte della notte nella preghiera, pigliavano scarso riposo, si cibavano di radici e di erbe selvatiche. Avvenne qui ciò che il Salvatore disse nel Vangelo, cioè che i suoi credenti, purchè avessero fede, quand'anche avessero bevuto il velino, non avrebbe loro recato alcun danno: et si mortiferum aliquid biberint, non tocebit eis.

            Ecco il fitto. Un di s. Martino senza accorgersene mangiò dell'acconito, ovvero elleboio, pianticella velenosa che anche in poca quantità fa sentire acutissime {25 [413]} doglie e spesso cagiona la morte. Di fatti egli fu per tramandare l’ultimo respiro. Già si rassegnava di fare ciò che Dio avrebbe meglio giudicato di lui, quando pieno di fiducia alza gli occhi al cielo e prega. Le sue preghiere giungono a Dio e meritano pronta guarigione.

            Fin qui la vita di s. Martino fu piena di contrasti e di tribulazioni; ma poichè Dio promette a suoi servi fedeli copiose benedizioni anche nella presente vita, così la Divina Provvidenza in mezzo ai travagli andava preparando a Martino giorni più lieti e più tranquilli. Cominciò esso a provare grande consolazione quando ricevette la notizia che s. Ilario doveva ritornare alla sua diocesi. Quel coraggioso prelato dopo aver tollerati lunghi e gravi patimenti per la fede, aveva sfidato gli Ariani a venir con lui ad una pubblica disputa Essi, ben sapendo che questa sarebbe tornata a loro vergogna, si rifiutarono, e per levarsi d'impaccio s. Ilario, impegnarono l'imperatore Costanzo a rinandarlo da Constanlinopoli, ove dimorava, nelle Gallie. Questo fatto avvenne l’anno 360.

            S. Martino tutto ansioso di rivedere il {26 [414]} suo amico e maestro, portossi a Roma sperando di poterlo quivi trovare: ma il santo vescovo era partito quando egli giunse colà. Martino gli tenne dietro finchè lo raggiunse. Ognuno può facilmente immaginarsi con quale espansione di cuore, e con quali vive dimostrazioni di affetto e di amicizia egli lo abbia accolto. Uno era qual figlio che dopo lunghi sospiri giunge a rivedere suo padre; l'altro era qual padre che appagava i suoi desiderii nel rivedere un figlio amato e adorno di tante virtù.

 

 

Capo V. Risuscita due morti: - È fatto Vescovo di Tours.

 

            S. Martino visse più anni a Poitiers, prestandosi a quelle cose cui il suo vescovo lo destinava, avendo però sempre di mira di santificare se stesso e guadagnare anime a Dio sia cogli esempi, sia colle parole. La sua santità fu confermata per mezzo dei miracoli che cominciò ad operare in gran numero, come appunto riferiscono unanimi gli scrittori della vita di san Martino. Non ci deve {27 [415]} recar maraviglia il numero e la grandezza dei miracoli operati dai Santi. Perciocchè, come abbiamo altrove notato, sebbene il Divin Salvatore abbia operato miracoli i più strepitosi, pure assicurò che i suoi discepoli avrebbero operato miracoli maggiori de' suoi. Ciò noi vediamo perfettamente compirsi nella vita di s. Martino. Ecco pertanto alcuni dei molti miracoli che Dio compiacquesi di operare per mano del servo di Dio, siccome sono riferiti dal citato Sulpizio Severo, stimato dai medesimi protestanti.

            Il primo miracolo fu a favore di un catecumeno, ricevuto da poco tempo tra i suoi discepoli. Mentre Martino per motivo del divin servizio era da tre giorni lontano da casa, quel suo discepolo fu assalito da una febbre violenta, e contro ad ogni aspettazione fu tolto di vita senza che potesse ricevere il battesimo. Martino al suo ritorno trovò ogni cosa apparecchiata per le esequie. Egli ne fu dolentissimo, e con lui tutta la comunità provò gran rincrescimento. Martino nel suo dolore si sentì inspirato a far prova della potenza divina. Pieno di fiducia in Dio si accosta al cadavere del defunto; ravviva il fervore di spirito; fa uscire tutti dalla {28 [416]} stanza, chiude le porte, e come aveva fatto il profeta Eliseo, si stende sopra le fredde membra del caro fratello. Ravviva vie più la fede, fa fervorosa orazione, invocando il nome di Gesù Cristo sopra il defunto. Il miracolo è operato. Quelle membra incadaverite incominciarono a prender moto, palpitare, e aprire gli occhi per ricevere l'uso dei sentimenti. Allora Martino non potè astenersi dal gridare ad alta voce: Deo gratias, grazie a Dio. Quelli che stavano fuori aspettando, mossi a quella voce entrano prestamente in casa, e con infinito stupore vedono vivo e rinvigorito il cadavere cui erano in procinto di dare la sepoltura. Dopo un benefizio sì grande non tardò il catecumeno a ricevere il santo battesimo, cui sopravvisse molti anni.

            Il lettore forse dimanderà, dove sia andata l'anima di quel defunto dopo che fu separata dal corpo. Fu da Dio giudicata, o no? Iddio non ci ha voluto rivelare chiaramente questa verità. Pare certo che il Giudice supremo non avesse ancora proferita la sentenza, perchè questa sarebbe inappellabile. Lazzaro rimase cadavere quattro giorni prima che fosse dal Salvatore richiamato a vila; e il Vangelo {29 [417]} non ci dice dove sia stata l'anima di lui in quello spazio di tempo. In quanto poi al morto risuscitato da s. Martino, ecco quanto il medesimo risuscitato soleva poscia raccontare di sè.

            Come l'anima sua fu separata dal corpo si presentò al tribunale del Giudice supremo, ed era stata condannata ad una spaventevole prigione: ma avendo due angeli detto quell'anima essere appunto quella per cui pregava Martino, egli (il divin Giudice) comandò loro di rimetterla a ravvivare il corpo, e farne un presente al servo di Dio, per cui, con suo contento, videsi tornare in vita. Questo fatto è uno di quelli che dimostra esserci qualche luogo di mezzo tra il paradiso e l'inferno, ovvero il purgatorio[3].

            Di tal guisa Iddio faceva palesi la virtù e la santità del suo servo, dandogli così qualche compenso di quanto aveva dovuto fino allora soffrire: è questo il primo miracolo da lui operato, cui tennero dietro molti altri.

            Qualche tempo dopo passando il Santo vicino all'abitazione di un personaggio assai ragguardevole, di nome Lupicino {30 [418]} sentì il pianto e le strida di una moltitudine di gente. Mosso a compassione ricerca quale ne sia la causa, e gli fu risposto che un servo di quel signore con un laccio si era tolta la vita. Ciò udito entra in quella casa, si porta nella stanza ove giaceva il corpo morto del servo. Colà ravvivando la fede, e invocando il nome di Gesù gli ottenne di ritornare in vita. Presolo poi per mano lo rizzò in piedi, e lo presentò a quelli che già lo piangevano morto, e che ora in vederlo vivo e sano piangevano per allegrezza rendendo grazie al Signore, il quale aveva conceduto un polere così grande agli uomini.

            Questi ed altri strepitosi miracoli di s. Martino resero celebre il suo nome, e siccome la virtù è a guisa di un balsamo odoroso che dilata e sparge il suo odore verso tutti quelli che gli si avvicinano; così la virtù di s. Martino divenne tanto nota che ognuno lo teneva per un gran santo. A segno che essendo rimasta vacante la sede vescovile di Tours, il clero ed il popolo pensarono di eleggerlo per loro pastore. Ma sapendosi che egli avrebbe certamente ricusato di accettare una tale carica, convenne usare {31 [419]} un pio stratagemma per cavarlo dal monastero; e fu di mandargli un uomo a richiederlo che venisse istantemente a benedire un ammalato che dimandava i conforti della religione. Corre egli prontamente per prestar quell'opera di carità; ma giunto sulla porta del convento una folla di gente lo prende e sotto buona guardia lo conduce in città, dove con universale acclamazione fu consacrato vescovo.

            Alcuni di quelli che si trovavano presenti, giudicando le cose umanamente biasimavano una tale elezione, perchè vedevano in Martino una persona povera, mal vestita, di poca presenza, e coi capelli scarmigliati. Ma la loro disapprovazione fu giudicata una pazzia, perchè quanto dicevano in suo discredito era appunto quello che formava il più bello elogio di lui e lo rendeva degno del vescovado. Egli fu posto in possesso della cattedra vescovile con somma contentezza di tutto il clero e del popolo, il 14 luglio 374. {32 [420]}

 

 

Capo VI. Sua sollecitudine pastorale. Fonda il monastero di Marmoutier.

 

            È difficile a comprendersi come egli nell'amministrazione e nel governo della vasta sua diocesi abbia potuto corrispondere a tanti e sì gravi bisogni del suo gregge. Non vi fu pericolo che egli non abbia affrontato; non fatica che egli abbia risparmiato; non industria che egli non abbia usata per promuovere la gloria di Dio ed il vantaggio delle anime. Mutò nulla nel trattamento della persona: il vitto ed il vestito erano quelli di prima: solo per abitazione scelse una camera più vicina alla chiesa cattedrale; dove essendo molto disturbato dalle frequenti visite volle procurarsi un luogo ove poter raccogliere lo spirito e pascere l'animo suo di teneri affetti verso Dio. A tale scopo stabilì un nuovo monastero in luogo deserto posto tra una montagna ed un fiume detto Loira, che passa vicino a quella città. Vi si notarono fino ad ottanta monaci, i quali avevano tutti la loro cella separata e quasi tutte scavate {33 [421]} nel sasso di quel monte. Così cominciò la celebre badia di Marmoutier che vuol dire monastero maggiore, ed è il più antico della Francia. Non vi si poteva giungere se non per un sentiero strettissimo. Martino abitava in una cameretta fatta di legno; ma quasi tutti gli altri abitavano entro a cellette scavale nel sasso. Vi si vede ancora oggidì una di queste celle ove si dice che il nostro Santo abbia abitato per qualche tempo. Quei monaci tutti penetrati del pensiero, che niuno può giungere al cielo se non colla innocenza o colla penitenza, nella loro austerità emulavano il rigore dei più mortificati eremiti, e molti a cagione della loro santità sono venerati come santi; e quando si rendeva vacante qualche sede vescovile in Francia per lo più si ricorreva al monastero di Marmoutier. Fra quei monaci niuno riteneva cosa propria: tutto si metteva in comune: non era permesso nè di comperare, nè di vendere. Tutti erano indistintamente dati all'esercizio della penitenza e della più eminente pietà. Non esercitavano altro mestiere che quello di copiar libri; cosa allora assai necessaria per le scienze, non essendo ancora conosciuta la stampa, {34 [422]} e vi s'impiegavano solamente i giovani, giudicando una tale occupazione utile per loro istruzione e per contenere la vivezza della immaginativa.

            I più attempati attendevano alla contemplazione delle cose celesti. Rare volte alcuno usciva di cella, se non quando si radunavano nell'Oratorio a far preghiera in comune. Mangiavano tutti insieme assai parcamente una volta al giorno e sul tardi. Non si dava vino ad alcuno eccetto agli infermi. La maggior parte portava pungenti cilici intorno alla persona. I panni e le vesti alquanto delicate erano da ognuno abborrite come scandalo manifesto; cosa tanto più da ammirare in quanto che la maggior parte di loro erano nobili appartenenti a famiglie agiate e delicatamente allevati, che solo per amore di Cristo si erano volontariamente sottoposti alla penitenza. San Sulpizio Severo mosso dalle grandi cose che in ogni luogo si pubblicavano intorno al nostro Santo, si partì di lontano paese per andarlo a visitare. Egli asserisce come il nostro Santo soleva accogliere amorosamente e con cortesia i suoi ospiti offrendo alle anime un soave cibo di spirituali ragionamenti, esortandoli {35 [423]} con affetti ad evitare e fuggire i piaceri della vita presente ed a lasciare i pericolosi impacci del secolo, a seguire le pedate del Salvatore ed avviarli per l'arduo sentiero che guida al cielo.

            Un personaggio di nome Paolino andò egli pure a visitare il Santo e fu talmente rapito dalla dottrina e santità di lui, che distribuì ai poveri le molte sue ricchezze ed abbracciando la povertà giunse ai più eminenti gradi di santità. Égli è celebre nella Storia Ecclesiastica, e fu san Paolino vescovo di Nola.

            Tuttociò che egli incontrava gli somministrava occasione di santificare sè stesso o dare agli altri lezione di virtù: esempio bellissimo e ben facile a seguirsi. Vedendo un giorno una pecora di recente tosata, disse piacevolmente a quelli che erano seco: Ecco una pecora che ha osservato il Vangelo: essa aveva due vesti e ne ha data una a quello che ne mancava; imitiamola.

            Altra volta alla vista di un uomo coperto di stracci che guardava i porci, ei disse: ecco Adamo scacciato dal Paradiso, spogliamoci anche noi del vecchio Adamo, cioè del peccato, per rivestirci dell'uomo nuovo, cioè della grazia di Gesù Cristo. {36 [424]}

            Un giorno sulla riva di un fiume gli avvenne di vedere alcuni uccelli che tentavano di pigliare dei pesci: ecco, egli disse, l'immagine dei nemici della nostra salute: essi stanno itn aguato per pigliare le anime nostre e farne loro preda. Quindi ordinò agli uccelli di andarsene, e quegli animali irragionevoli furono immediatamente obbedienti alla voce di quell'uomo, cui la morte medesima era sottomessa, e tutti volarono via.

            Con siffatti paragoni e con precetti cavali dalla sacra Scrittura andava Martino eccitando alla virtù quanti gli si paravano innanzi. Ciò che reca particolar maraviglia si è che mentre il suo cuore era intento a far bene agli altri, egli stesso coi detti e coi fatti dimostrava che non usciva mai dalla presenza di Dio.

 

 

Capo VII. Opera due miracoli e converte molti idolatri.

 

            Lungo sarebbe il voler ripartitamene descrivere tutte le opere di virtù e di zelo di quest'uomo straordinario. La storia {37 [425]} lo chiama l'Apostolo della Francia e ben con ragione, perciocchè egli impiegò la intera sua vita confutando le superstizioni dei gentili, distruggendo i loro idoli, convertendo in chiese del vero Dio quei luoghi dove rendevasi a quelle divinità un culto nefando. Dovunque egli predicava la fede, i suoi passi, le sue parole erano accompagnate da alti eroici di virtù, e confermati con una quanti là di miracoli.

            Andando un giorno nella città di Antrico, che oggidì appellasi Chartres, per esercitare il sacro ministero, gli convenne passare per un villaggio tutto abitato da' Pagani. Costoro alla fama del Santo uscendo dalle loro case correvano in folla per vederlo; era tanta la moltitudine dei contadini, che si vedea una vasta pianura tutta coperta di gente. A tal vista di pecorelle traviate e smarrite, pensando che per quelle era inutile la Passione e morte del Salvatore, il santo Prelato si sentì profondamente commosso, ed animato dallo Spirito del Signore si pose a predicar loro la parola di Dio, esortandoli a non differire di usare i mezzi necessarii per conseguire la loro eterna salute. {38 [426]}

            Mentre stava così ragionando si presentò una donna alla quale poco prima era morto il figliuolo unico. Desolata e piangendo si fa innanzi, e colle proprie mani depone il cadavare dei figlio ai pie' di san Martino, dicendo: sappiamo che tu sei amico di Dio: rendimi il mio figliuolo, questo è l'unico che mi restava. Alle preghiere della madre dolente si aggiunsero i singhiozzi e le preghiere dei circostanti; sicchè vedendo egli che un miracolo sarebbe forse stata la conversione di quelle turbe, alza gli occhi e la niente al cielo, ravvivando la fede, che sempre gli ardeva in cuore, confidando nella divina onnipotenza e volontà, si mette in ginocchioni, prende quel corpo tra le sue braccia, e dopo breve preghiera tutti videro quel giovanetto riprendere il respiro, aprire gli occhi, parlare, alzarsi e camminare. La madre attonita e quasi fuori di sè per allegrezza corre ad abbracciare il figlio risuscitato. Allora si alzò un grido tra quella immensa moltitudine, e tutti confessando Cristo per vero Dio, correvano a schiere e con impeto verso s. Martino, pregando istantemente che li facesse Cristiani. Ed egli pieno di giubilo, imposte sopra di {39 [427]} loro le mani, li benedisse, li fece ascrivere fra i catecumeni adoperandosi che per mezzo suo e coll'aiuto di altri sacerdoti fossero istrutti nelle verità della fede, quindi potessero quanto prima ricevere il Battesimo.

            Il suo zelo si estese fino nella Borgogna, che è un'altra provincia della Francia, e quivi parimenti guadagnò molte anime a Cristo. Niuna cosa vi era che fosse capace di fargli ostacolo; non le fatiche dei viaggi, nè le persecuzioni dei gentili, non le opposizioni dei falsi Cristiani. Trovandosi un giorno in un borgo abitato da gentili, tentò, come aveva fatto altrove, di convertirli a Dio, e indurli ad abbandonare le loro varie superstizioni e specialmente a recidere e gettare a terra un grande albero da loro tenuto in venerazione. Noi lo faremo, risposero i gentili, purchè ti contenti di starvi sotto da quella parte dove pende e dove sarà per cadere. Il santo vescovo pieno di quella fede che, come dice il Salvatore, trasporta le montagne, accetta la condizione. L'albero si taglia; prende il pendìo dalla parte di s. Martino di maniera che tutti lo credono schiacciato. Ma quando vede l'albero cadergli sopra, {40 [428]} egli fa un segno di croce; l'albero si raddrizza e va a cadere dalla parte opposta ove erano i Gentili, molti dei quali sarebbero periti, se non si fossero salvati colla fuga. Iddio si servì di questo miracolo per ammollire la durezza di quegli idolatri e indurli ad abbracciare la cristiana religione.

            Voglio qui farvi notare un rimprovero che fanno i Protestanti ai Cattolici, e in maniera particolare a s. Martino relativamente al segno della croce. Dicono essi essere questa una novità da disapprovarsi perchè di esso nulla si dice nella Bibbia e nei primi tempi della Chiesa. Noi cominciamo a dire che questo segno fatto in forma di croce da tutti i cristiani, dicendo: nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo ha luogo colle medesime parole lasciateci da Gesù Cristo nel Vangelo (Matteo, cap. 28). Perciò sebbene non si facesse alcuna menzione di esso nei primi secoli della Chiesa, nulla ci sarebbe a rimproverare facendosi ciò che è scritto nel Vangelo.

            Possiamo però dire che erra grandemente chi asserisce nei primi tempi della Chiesa non essersi praticato il segno della santa croce. Tertulliano, che viveva nel {41 [429]} secondo secolo, dice precisamente «a «tutte le nostre azioni, allorchè entriamo «od usciamo di casa; allorchè prendiamo i nostri abiti, andiamo ai bagni o «a tavola, o al letto; allorchè prendiamo «una sedia o un lume, noi facciamo il «segno di croce sopra la nostra fronte. «Queste pratiche non sono comandate «da una legge formale della Scrittura; «ma la tradizione le insegna, l'uso le conferma, e la fede le osserva.» De cerona militis, c. IV.

            I cristiani opponevano questo segno venerando a tutte le superstizioni dei pagani. San Cirillo raccomanda questa pratica ai fedeli, e san Basilio dice, che tal pratica è di tradizione apostolica. I santi Padri c'insegnano che l'unzione del Battesimo e quella della Cresima si faceva sulla fronte del battezzato; e attestano che si facevano miracoli per mezzo del segno della croce, e che questo segno potente bastava per mettere in fuga gli spiriti maligni, e sconcertare tutte le loro pratiche nelle malefiche cerimonie[4]. {42 [430]}

            Poichè è tanto manifesta la pratica di questo segno tra i fedeli primitivi, noi dimandiamo ai protestanti perchè vogliono rigettarlo, mentre pretendono di osservare e praticare tutto ciò che osservava e praticava la Chiesa primitiva? È questa una delle solite contraddizioni. Noi pertanto altamente raccomandiamo ai fedeli cristiani di far uso frequente di questo segno di salute, siccome è praticato in tutta la cristianità. La Chiesa poi ripete continuamente questo segno nel santo sacrifizio della messa, nell'amministrazione dei Sacramenti, nelle benedizioni, in tutto il culto esterno, e ciò per ammaestrarci che niuna pratica, nessuna cerimonia può produrre effetto alcuno se non in virtù dei meriti della passione e morte di Gesù Cristo, il quale per salvare il genere umano ha sparso tutto il suo sangue per noi sulla croce.

 

 

Capo VIII. S. Martino alla corte dell'imperatore Valentiniano I, e a quella dell'imperatore Massimo.

 

            Benchè il santo Vescovo evitasse le corti dei principi, nè amasse di trattare {43 [431]} coi grandi del secolo, tuttavia la carità verso del prossimo lo costrinse di portarsi due volte alla corte imperiale. La prima volta fu nell'anno 379, quando andò a Milano ove risiedeva l'imperatore Valentiniano I per intercedere la grazia ad alcuni, che correano pericolo di perdere le sostanze e la vita. Saputosi il suo arrivo a Milano ed il motivo per cui era venuto, l'imperatore, d'indole severa, eccitato da sua moglie che professava l'eresia d'Ario, diede ordine che Martino non fosse ammesso alla sua presenza; e ciò faceva per torgli l'occasione di fargli la grazia che domandava. Il buon servo di Dio tentò più volte di avere udienza, ma sempre invano.

            Martino non perdendosi di animo, nè turbandosi per le ripulse, colla solita sua fede ricorse alle armi già altre volte usate, cioè all'orazione, al cilicio, al digiuno, per ottenere da Dio quello che gli veniva negato dagli uomini. Passò egli sette giorni e sette notti intiere vestito di cilicio, asperso di cenere senza mangiar nulla. Nel settimo giorno gli apparve un angelo, il quale gli disse: Va pure alla corte, troverai le porte aperte, entrerai nella stanza dell'imperatore senza alcuno impedimento. {44 [432]} Così di fatto avvenne. Martino si reca al palazzo imperiale, passa in mezzo alle guardie e senza far parola di sorta va direttamente nella camera dell'imperatore. Questi nel vederlo comparire davanti contro gli ordini dati, e senza che ne fosse avvisato secondo il solito, se ne mostrò sdegnato e si fece a sgridare le guardie che lo avevano introdotto. Le guardie erano sbalordite e non sapevano che cosa rispondere. Mentre l'imperatore stava tuttora immobile senza rispondere, nè fare alcuna sorta di accoglienze, ecco ad un tratto un fuoco improvviso attorniare la sedia imperiale. La fiamma si appicca con veemenza a quella parte ove appoggiavasi il corpo dell'imperatore. Salta esso velocemente in piedi e tutto tremante ed umiliato saluta il servo di Dio e accoglie colla massima cortesia colui che poco prima rifiutava di vedere, e incontanente senza aspettar suppliche gli fece grazia di quanto desiderava. Di poi lo chiamò più volte a ragionamenti famigliari, e al partire gli offerì diversi ricchi presenti, che il sant'uomo, siccome amico della povertà, non volle accettare. Così con grande edificazione {45 [433]} dell'imperatore e di tutta quella corte, Martino ritornò alla sua diocesi.

            La seconda volta che per motivo di carità gli convenne andare alla corte fu nell'anno 383, in cui per intercedere grazie andò a Treveri[5] dall'imperatore Massimo: Costui era stato proclamato imperatore nella Gran Brettagna dalle legioni romane coll'uccisione di Graziano, cui sarebbe toccato l'impero, ed erasi impadronito delle Gallie e di tutta la Spagna. Per tale rivoluzione dell'impero molte persone, che avevano tenuto il partito di Graziano, e si erano opposte con vigore a Massimo, correvano pericolo di essere private dei loro beni e condannale alla morte. Eravi inoltre certo Itacio vescovo spagnuolo, il quale aveva indotto l'imperatore a spedire nelle {46 [434]}

            Spagne parecchi uffiziali, acciocchè privassero di vita gli eretici Priscillianisti, così detti da Priscilliano loro capo[6]. S. Martino che era tutto carità non voleva che si venisse a questa strage, e andò a presentarsi all'imperatore medesimo dimandando perdono pei primi, e facendo vive istanze che non si mandassero in Ispagna gli uffiziali destinati contro ai Priscillianisti, perchè, egli diceva, {47 [435]} sotto a tale pretesto saranno eziandio perseguitati que' buoni cattolici, che menano vita penitente, come se appartenessero a quella setta, ed anche perchè la Chiesa di Gesù Cristo desidera e procura la conversione degli eretici e non la loro morte.

            Sebbene Martino fosse accolto con grande onore da Massimo, nondimeno egli mostrò grandissima ripugnanza a comunicare nei sacri misteri con quel principe, e ricusò anche di assidersi alla sua mensa, dicendo con zelo apostolico che non poteva mangiare con un uomo che aveva spogliato un imperatore de' suoi stati ed aveva privato un altro di vita. Massimo protestò di non avere accettato l'impero se non perchè vi era stato sforzato dall'esercito; che le sue fortunate imprese parevano manifestare la volontà di Dio, e che di tutti i suoi nemici neppure uno era stato ucciso ad eccezione di quelli che avevano perduta la vita in battaglia.

            Infine il Santo si arrese, e Massimo ne fu sì lieto che scelse quel giorno per fare una gran festa. Volle che fossero invitate le persone più ragguardevoli della sua corte, tra cui un suo zio e suo {48 [436]} fratello che coprivano le prime cariche dell'impero. A mensa s. Martino ebbe il primo posto accanto all'imperatore. A mezzo il pranzo un famiglio del Sovrano secondo l'uso presentò la tazza all'imperatore, il quale ordinò di presentarla a Martino dalla cui mano desiderava riceverla. Ma il santo Vescovo dopo aver bevuto, la diede al prete che lo accompagnava, e che sedeva alla stessa mensa, siccome persona più degna di quanti vi erano colà radunati; alla quale azione applaudì grandemente l'imperatore e tutta la corte. Questo fatto ci dimostra come s. Martino, l'imperatore e tutta la sua corte riputassero la dignità ecclesiastica superiore a tutte le cariche del mondo.

            L'imperatrice, donna di gran virtù e pietà, volle conoscere il santo, e udire insieme col marito le parole di virtù che uscivano dalla sua bocca. Egli parlava ad ambidue con libertà apostolica; e i suoi discorsi erano sempre sulla caducità delle cose presenti, sulla premura che si deve avere per le cose eterne, sulla gloria celeste che godono i beati in cielo e sulle pene che i dannati soffrono nell'inferno. Lo invitò pure coll'imperatore {49 [437]} alla sua tavola. Martino osservando che uri rifiuto poteva dar motivo a non conseguire quei favori di cui abbisognava nella corte, vi acconsentì non senza sua ripugnanza; perocchè quantunque egli avesse più di settant'anni non conversava mai con donne, salvochè la necessità o la carità lo obbligasse. Oltremodo contenta l'imperatrice volle ella medesima servirlo a tavola. «Ella «adunque, sono parole di Sulpizio Servero, colle sue stesse mani mette all'ordine un modesto e sobrio pranzo, «imbandisce la mensa; porge l'acqua «alle mani, porta il cibo che ella stessa «aveva preparato. Sedendo poi Martino «a tavola, ella stette in piedi ferma ed «immobile a guisa dei servi con mirabile modestia ed umiltà. Finito il mangiare, ella raccoglie gli avanzi e le bricciole del pane anteponendole alle regie «vivande.

            «Nissuno adunque, soggiunge Sulpizio, si abusi dell'esempio di Martino «per sedere a mensa con donne. Considerino che a Martino già settuagenario serve una sol volta in vita non «una vedova, non una donna sfacciata, «ma una pia regina maritata per cui {50 [438]} «prega lo stesso suo marito. Questa stette «in piedi mentre egli mangiava, non sedette con lui; non ardì partecipare del «convitto, ma si contentò di servire.»

            Intanto il vescovo Itacio, che godeva il favore dell'imperatrice, indispettito perchè Martino faceva andare a vuoto i suoi disegni e mosso eziandio all'invidia dalle accoglienze che egli riceveva alla corte, non poteva soffrire di vedersi co' suoi seguaci separato dalla comunione di sì grande prelato, quale era Martino, e perciò indusse Massimo a negargli le grazie che aveva dimandate se non comunicava con lui e con quelli del suo partito. Il debole Massimo guadagnato da Itacio fece dire a Martino, che se non si trovava la mattina seguente alla consacrazione di Felice, che doveva essere ordinato vescovo di Treveri, con Itacio e con gli altri suoi amici, avrebbe fatto morire tutti coloro pei quali aveva dimandato grazia. Il molivo che lo allontanava dal trattare con Itacio era il sentimento barbaro con cui voleva persuadere l'imperatore ad uccidere gli eretici, e Martino desiderava persuaderli e convertirli secondo ciò che Dio dice nella Bibbia: {51 [439]} non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva.

            S. Martino combattuto per una parte dalla delicatezza della sua coscienza, e per l'altra dalla carità che lo stimolava a salvar la vita a tante persone, infine si lasciò vincere da questa ed intervenne alla consacrazione di Felice. Sebbene in questa condiscendenza non si possa ravvisare colpa alcuna, tuttavia Martino ne provò grave rimorso, perchè le anime pie paventano il peccato e l'ombra medesima del peccato. Finita la funzione il santo Vescovo se ne partì subito, e per la strada andava mesto rimproverando a se stesso la sua troppa condiscendenza. Giunto ad una selva distante quattro miglia dalla città si sentì agitato da mille affannosi pensieri, e, non sapendo più trovar alcun conforto nelle cose terrene, fece quello che il Salvatore dice nel Vangelo: Chi è travagliato dall'afflizione venga a me, ed io lo solleverò. Onde con cuore tutto umiliato si pose a pregare; ed ecco apparirgli un angelo che per confortarlo gli disse: «meritamente ti affliggi, o «Martino, ma non potevi uscire in altro «modo da quell'impaccio; prendi animo {52 [440]} «e fatti coraggio, per non mettere a rischio la tua fama e la tua salute.»

            Questa si può dire l'unica colpa che egli abbia commesso in vita sua, e che egli pianse amaramente. A questo proposito soleva dire che da quel tempo in poi egli provava maggiori difficoltà a far miracoli ed era costretto a fare più lunghe preghiere che non faceva prima per discacciare gli spiriti maligni. Per questo modo avviene che una debolezza è cagione che ci siano sottratte grazie sensibili, insino a che non sia riparata coll'umiltà e col pentimento. Sovente il Signore ce ne priva per mettere alla prova la virtù e mantenerci nell'umiltà.

 

 

Capo IX. Sua pazienza, similitudine del prato. Fa parlare l'ombra d'un morto.

 

            Giunto Martino a Tours, fu accolto dal suo popolo come un angelo di pace. Sebbene fosse assai avanzato negli anni, non diminuì punto le sue austerità, nè le sue apostoliche fatiche. Sopportava tutte le contraddizioni, le molestie, come in penitenza del fatto commesso a Treveri. {53 [441]} Col medesimo spirito tollerò gli insulti che gli fece uno de' suoi per nome Brizio. Costui da giovanetto era stato ricevuto nel monastero di s. Martino ed aveva menato una vita molto edificante. Il santo Prelato nella persuasione che egli avesse perseverato nella virtù, lo fece chierico, di poi lo ordinò sacerdote.

            Ma come spesso avviene che coloro i quali sono di bassa condizione facilmente si lasciano guadagnare dalla superbia quando sono innalzati a qualche onorifica dignità; così quel sacerdote insuperbitosi cominciò a raffreddarsi nelle pratiche di pietà ed a poco a poco si diede ad una vita mondana. S. Martino lo rimproverò più volte. Ma la superbia rende vana ogni correzione, e perciò corrispose al suo benefattore colla massima ingratitudine.

            Un giorno il Santo avendogli fatto quella correzione che giudicò conveniente, acciocchè si emendasse, Brizio montato in furore lo caricò d'ingiurie, e poco mancò che non giungesse fino a percuoterlo. Mentre Brizio così sfogava la furiosa sua collera alla presenza di molti, s. Martino vide due spiriti maligni {54 [442]} che da una rupe vicina attizzavano Brizio, e con festa gli andavano dicendo: a te, Brizio, animo Brizio. Soffrì Martino colla sua solita mansuetudine gli oltraggi e le villanie di quel disgraziato. Vi fu chi lo voleva persuadere a fare il dovuto risentimento, a cui Martino soleva rispondere: Cristo ha tollerato Giuda, e perchè io non tollererò Brizio? Anzi dalla sopraddetta visione avendo conosciuto che Brizio era dai demonii incitato contro la sua persona, non cessava di porgere calde preghiere al Signore per la sua conversione. La carità, le preghiere, la pazienza del Santo riuscirono a far rientrare Brizio in sè stesso e ad emendarsi de' suoi cattivi costumi. Tocco egli dalla grazia divina, entra in se stesso, riflette al male fatto a Dio, e all'ingratitudine usata al suo benefattore, e tutto commosso va a gettarsi ai piedi del Santo; chiede umile perdono de' suoi trasporti, ne fa lunga e penosa penitenza; e giunse a tal grado di virtù che alla morte di s. Martino meritò di succedergli nel vescovato, come egli aveva predetto, e viene dalla Chiesa venerato come santo.

            In questa maniera il Signore con moltiplicati {55 [443]} tratti di bontà compensa la rassegnazione e la pazienza di coloro che soffrono per suo amore.

            Visitando il Santo Prelato la sua Diocesi, gli accadde di passare vicino ad un luogo dove una santa donna viveva ritirata in una sua casa di campagna con fama di gran bontà. Credè il Santo di onorare quella santa religiosa con una sua visita, ed ognuno credeva che ella dovesse molto rallegrarsi nell'essere visitata dal suo vescovo, uomo così illustre ed operatore di tanti miracoli. Ma ella era decisa di evitare non solo i pericoli dell'anima, ma fin l'ombra di pericolo. Perciò erasi fatta una legge di non volere per nissun riguardo trattare con persone di sesso diverso, quindi non volle rallentare il rigore di non ricevere visite, di alcun uomo, neppure di un santo, perchè ella conosceva che tali visite quantunque tra persone dotte e pie racchiudono sempre qualche pericolo. Onde mandò una sua serva a farne scusa al Santo e a ringraziarlo.

            Egli fu molto lieto e contento di avere in sua Diocesi una donna di tale virtù; e la lodò più volte alla presenza di molte persone. Sopra questo fatto Sulpicio Severo {56 [444]} esclamai così: «o Vergine esimia, «che neppure da Martino si lasciò visitare! Oh beato Martino! che non si «ebbe a male questa ripulsa; ma piuttosto celebrando con giubilo la sua «virtù, si consolava di aver trovato in «quei paesi un contegno così modesto «e singolare. Ascoltino le vergini questo «esempio, e tengano le porte loro chiuse «ai buoni, se vogliono tenerne lontani «i cattivi; nè abbiano riguardo di escludere dalla lor casa i sacerdoti ancora, «per impedire più facilmente l'accesso «ai malvagi.»

            Faceva il Santo la visita della sua Diocesi a piedi ed in povero arnese accompagnato sempre da alcuni suoi discepoli. Nel camminare teneva sempre la sua mente sollevata a Dio, e, come già si disse, da tutte le cose prendeva motivo di far discorsi edificanti. Passando un giorno vicino ad un prato vide che una parte di quello era stata pascolata dai buoi, una altra parte era stata scavata e guasta dai porci, e l'altra parte era intatta e coperta di erbe e di fiori vaghissimi. «Quella parte, disse il Santo, che è stata «pasciuta dai buoi, e spogliata della «vaghezza dei fiori è l'immagine dei {57 [445]} «coniugati. La parte poi che gli animali «immondi hanno guasta e scavata rappresenta gli uomini sozzi e dati alla «immodestia. La terza infine, che è intatta ed ornata di odorosi fiori, mostra «la gloria della verginità. Indi continuò: «o bellezza della verginità! quanto sei «felice e degna di Dio, non vi è cosa «da mettersi in paragone con questa «virtù; ella è adorna di fiori, come di «lucidissime stelle. Quanto è beato chi «la possiede e la custodisce!»

            In una di queste visite della diocesi avvenne un fatto che dimostra quanta riserbatezza abbia in ogni tempo usato la Chiesa nel proporre ed approvare il culto dei Santi. In un luogo molto discosto dal suo monastero trovò una chiesa con un altare eretto dai suoi predecessori: vicino a quell'altare era stato sepolto un uomo che taluni o per malizia o per troppa credulità pretendevano che fosse un martire. Il Santo prima di proferire sentenza in affare di tanto rilievo volle fare le dovute indagini, per evitare il pericolo di prestar fede a cose incerte. Ricercò diligentemente il nome del defunto, il genere e il tempo della morte, ma non potè avere alcuna prova nè favorevole, {58 [446]} nè contraria. In questo dubbio egli si astenne dal prestargli culto alcuno.

            Intanto egli prende seco alcuni dei suoi monaci, entra in quella chiesetta, e si mette a pregare il Signore, acciocchè si degni di manifestargli chi sia la persona ivi sepolta. Ed ecco dalla parte sinistra gli appare un'ombra sordida e feroce, che manifesta il suo nome e i suoi misfatti e dice essere stato a' suoi giorni un assassino ucciso per le sue scelleratezze, e non avere alcuna parte coi martiri; questi trovarsi in gloria, lui nell'inferno. Quelli che erano presenti udivano la voce di chi parlava, ma nulla vedevano. Martino espose ciò che aveva veduto, e diede ordine che fossero tosto di là allontanate quelle ossa per liberare quel popolo dal pericolo di superstizione.

            Questo fatto dimostra a quanti gravi pericoli possano andar soggette le pratiche religiose tra quelli che sono fuori della Chiesa, ove ciascuno propone quelle pratiche, le quali tornano più al genio di ciascuno. Dimostra inoltre con quanta venerazione e con qual fede si debbano osservare quelle cose che sono {59 [447]} approvate dalla Chiesa cattolica, la quale oltre la grande sollecitudine, che usa nell'accertarsi dei fatti che riguardano alla religione, in particolar maniera è assistita, illuminata dallo Spirito Santo in tutte le sue decisioni fino alla fine del mondo: ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi.

 

 

Capo X. Altri miracoli ed ultime fatiche di s. Martino.

 

            A riferire tutti i miracoli operati da questo maraviglioso servo di Dio ci vorrebbero parecchi volumi. Oltre a quelli che abbiamo più di sopra riferiti, diremo in generale che, ovunque passava, riportava qualche vittoria sopra il demonio col distruggere l'idolatria, innalzare qualche trofeo a Gesù Cristo sopra le rovine degli idoli. Un giorno avendo veduto una specie di processione di pagani, riputando che essi andassero a sacrificare ai loro dei, con una breve preghiera li fermò tutti ad un tratto. Ma avendo riconosciuto che andavano per seppellire {60 [448]} un morto, fece una seconda preghiera, e loro restituì la libertà di camminare.

            Egli rovinò molti templi degli dei, atterrò parecchi alberi che i pagani adoravano come sacri. Spesso fu esposto al pericolo di perdere la vita; ma egli non si risparmiò mai in alcun rischio. Una volta arrestò la violenza del fuoco, che da un tempio, che egli voleva abbruciare, si era appiccato ad una casa vicina. Egli vi si gettò nel mezzo, fece il segno della santa croce e il fuoco fu spento. Altra volta furono veduti angeli armati che l'aiutavano a demolire un tempio idolatra, difendendolo dagl'insulti dei pagani. Soventi volte fu con miracolo liberato dalle mani degli empii che volevano strangolarlo; i quali guadagnati dalle sue parole e dalla sua carità risolsero di rovesciare eglino stessi i loro templi.

            A Parigi guarì un lebbroso con un bacio; a Treveri donò la sanità ad una giovine paralitica con olio benedetto; liberò dalle mani dello spirito maligno uno schiavo di certo Tetrato, uomo costituito in gran dignità. Le frangie dei suoi abiti, il suo cilicio, le medesime lettere guarivano dalla febbre. S. Paolino, che fu di poi vescovo di Nola, fu guarito dalla {61 [449]} cataratta, malattia che si giudica quasi incurabile da ogni arte umana.

            Egli stesso fu prodigiosamente preservato dall'incendio di sua camera, dove era circondato da fiamme, mentre dormiva. Una volta fu guarito istantaneamente da contusioni cagionate da una caduta, per cui era stato quasi sfracellato. Sovente Iddio gli mandava degli Angeli per assisterlo, istruirlo, o manifestargli i suoi voleri. Egli era divenuto il terrore dei demonii. «Un giorno che pregava nella «sua celletta (così s. Sulpizio Severo) «il demonio gli si fece vedere circondato di luce, vestito di abiti eleganti, «con una corona d'oro e di pietre preziose in testa ed in fine con uno esteriore tutto proprio ad ingannare chiunque non avesse avuto lo spirito del «Signore. Il demonio disse due volte «ch'egli era Gesù Cristo; ma siccome «l'umiltà è un mezzo efficacissimo per «iscoprire gli artifizi dello spirito maligno, il quale è tutto orgoglio, Martino non tardò a persuadersi che quello «era l'angelo delle tenebre: Gesù Cristo, «egli disse, non ha detto che sarebbe «venuto coperto di porpora, nè coronato di prezioso diadema. Perciò io non {62 [450]} «riconoscerò giammai per Gesù Cristo «colui che non mi presenterà i simboli «del Salvatore paziente, e che non porterà sul suo capo i segni della croce. «A queste parole il demonio disparve.»

            Il Santo continuò a guarire malati, a liberare i posseduti dal demonio, ad esercitare l'umiltà, la pazienza, la carità pregando per coloro che lo perseguitavano, e facendo del bene a chi gli faceva del male. Finalmente dopo molti travagli e viaggi intrapresi pel bene della Chiesa e pel sollievo degli infelici, egli ebbe particolare rivelazione da Dio dell'avvicinarsi di sua morte. Per la qual cosa fu pieno di contentezza, perchè ogni sua azione, ogni parola era stata rivolta a quell'ultimo giorno di vita; anzi verso il finire de' suoi giorni pareva impaziente di essere sciolto dai lacci del corpo per unirsi a Gesù e così ricevere quel gran premio che il Salvatore ha promesso a quelli che lo amano e lo servono in vita.

 

 

Capo XI. Preziosa morte di s. Martino.

 

            L'ora della morte per le anime giuste non è spavento, ma consolazione; e certamente {63 [451]} chi ha amato e servito Iddio nella vita non può far a meno che esser pieno di fiducia nelle divine promesse ed aspettarsi l'eterna ricompensa dopo la morte. Tale era Martino. Egli aveva passato tutta la vita nella virtù, nella carità e nella penitenza. Era già pervenuto all'età di ottantaquattro anni quando gli fu da Dio rivelato essere giunto il tempo di partire di questo mondo ed essere terminato l'esilio di questa misera terra. Tuttavia pienamente persuaso che ogni fatica tollerata pel Signore è largamente ricompensata, non tralasciò di continuare l'adempimento de' doveri del suo pastorale ministero colla solita diligenza e carità. Laonde essendo insorta una controversia fra gli ecclesiastici di una città di sua Diocesi detta Condes, egli deliberò di trasferirvisi in persona per acquetarli, stimando non poter meglio finire la sua vita, che lasciando tutte le sue chiese in buona pace. Colà giunto, aggiustò in breve ogni discordia, e già preparavasi per ritornare al monastero quando cominciò a sentirsi sfinito di forze. Si accorse allora essere quello il tempo e il luogo in cui doveva finirei suoi giorni; perciò radunò i suoi discepoli e {64 [452]} loro disse come egli era prossimo al suo fine e doveva lasciarli. Tale notizia fu un colpo di fulmine a' suoi discepoli, i quali ruppero unanimi in lagrime e sospiri; perciocchè riputavano a massima loro sventura l'essere privati di un padre così buono e così santo.

            Allora tra i sospiri e i singhiozzi si levò una voce comune che diceva: e perchè ci abbandonate, o Padre santo? A chi ci lasciate sconsolati ed afflitti? Assaliranno questo vostro gregge i lupi rapaci, e perduto il pastore chi sarà per difenderci dalle loro fauci? Ben sappiamo che voi bramate di andare a Cristo: ma la vostra mercede è certa, ed il vostro premio non scemerà col differire. Abbiate piuttosto misericordia di noi, che restiamo esposti à tanti pericoli.

            A cotali parole intenerito il servo di Dio non si potò contenere dal piangere egli pure con loro, perciocchè se grande era l'affetto dei discepoli verso il loro maestro e padre, assai più grande era quello di Martino verso di loro, che formavano la delizia e la consolazione del suo paterno cuore. Onde rivoltosi con grande affetto al cielo disse: «O signore, «se io sono ancora necessario al vostro {65 [453]} «popolo non ricuso la fatica, facciasi la «vostra santissima volontà.» Colle quali parole dimostrava il vivo desiderio di andare al cielo, ma che avrebbe ancora differito qualora ciò fosse tornato a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime. Iddio voleva dal suo servo questo novello sacrifizio per accrescergli la ricompensa; ma era giunto il tempo che voleva chiamarlo fra beati in cielo.

            Frattanto il male andava crescendo e la febbre ingagliardiva ogni giorno più; contuttociò continuava a passare giorno e notte in meditazioni e vigilie, sostenendo colla veemenza dello spirito la debolezza del corpo. Giaceva egli, come era solito, su la cenere, e sul cilicio; e i discepoli vedendolo nello stato di estrema debolezza lo pregarono con molta istanza che permettesse almeno di essere posto sopra un pagliariccio: «no, egli «disse, non si conviene, o figliuoli, che «il cristiano muoia in altra maniera che «sopra la cenere, e se io non ve ne do «esempio, me ne chiamo in colpa.» Ciò detto ritornò a porsi supino alzando gli occhi e le mani al cielo. In tale posizione immobile soffrendo assai, e i suoi discepoli vedendolo a consumarsi ad ogni {66 [454]} momento lo esortavano a volgersi almeno sopra uno de' lati e prendere alcun riposo, ed egli loro soggiunse: «lasciacitemi piuttosto guardare al cielo, che «alla terra: così io metto l'anima sul «diritto sentiero che or ora deve intraprendere per andare al suo Creatore.»

            Il nemico del genere umano che negli ultimi istanti fa ogni sforzo per guadagnare le anime, non tralasciò di presentarsi anche a Martino per fare l'ultimo sforzo e provare se mai avesse potuto riportare qualche vantaggio in morte contro a colui che era stato il suo flagello in vita. Il Santo, veduto il demonio presso di sè: «che fai, disse, che fai tu qui, bestia «sanguinosa? nulla in me troverai, o «ladrone. Il cielo mi è aperto e mi «attende.» Mentre proferiva queste parole rese lo spirito al Signore. La sua morte avvenne sulla mezzanotte da un sabbato venendo alla domenica, regnando Onorio e Arcadio imperatori, mentre governava la S. Sede san Silverio papa, l'anno 400 dell'era volgare. {67 [455]}

 

 

Capo XII. Sepoltura e tomba di san Martino.

 

            Poichè la santa anima di Martino se ne volò al cielo, il volto, di lui squallido per le penitenze si fe' rilucente; le sue membra e le sue mani maltrattate e mortificate apparvero sì floride e fresche che pareva si andassero già trasformando nello stato di gloria. Sparsasi la nuova della sua morte concorse ad onorare il suo funerale, o piuttosto il suo trionfo, una immensa quantità di popolo venuto da tutte le parti e specialmente un gran numero di monaci. Tutti piangevano il santo Vescovo, benchè lo credessero già salito al cielo. I monaci lamentavano il loro padre, il popolo la perdita di un santo Pastore.

            Innumerevoli miracoli si operarono al suo sepolcro, di modo che il solo san Gregorio, uno de' suoi successori nel vescovato di Tours, ne raccolse quattro interi volumi. «Oh uomo inestimabile, termina Sulpizio Severo la vita del santo, «uomo nè abbattuto dalla fatica, nè vinto «dalla morte: si confronti il suo trionfo {68 [456]} «con quello dei più illustri eroi del secolo e si vedrà quanto sia incomparabilmente maggiore quel di s. Martino. Quelli con evviva confusi sono «esaltati dalla stoltezza dei popoli; Martino con inni celesti è dai fedeli esaltato. Quelli dopo i loro trionfi sono «gettati nei tartarei abissi, Martino pieno «di gioia e di gloria viene accolto fra «i beati. Martino che visse povero ed «umile entra ricco e grande in cielo, «e protegge quelli che a lui ricorrono.»

            Il corpo di lui fu deposto in un cimitero dei cristiani vicino al luogo dove era stato sepolto san Graziano. Ma san Brizio, in segno di gratitudine verso il suo padre spirituale e benefattore, fece trasportare il corpo del santo suo predecessore in una basilica poco distante e vi innalzò la sua tomba. Questa basilica dapprima fu dedicata a s. Stefano, secondo l'uso dei primi secoli di non consacrare chiese se non alla memoria dei martiri. Ma il numero straordinario di miracoli che si operarono alla tomba di Martino gli procacciarono tosto il nome di santo, e i fedeli venivano da tutte le parti per venerarlo. Quindi la basilica divenne ristretta per contenere tal quantità {69 [457]} di gente, e s. Perpetuo, altro vescovo di Tours, ne fece fabbricare una più vasta nello stesso luogo.

            La custodia delle sue reliquie fu affidata ad un numero scelto de' suoi discepoli, i quali soddisfacevano alla pubblica pietà, celebrando la santa Messa e facendo altre sacre funzioni. Non si può esprimere sino a qual punto sia stata portata la divozione a s. Martino in Francia e in tutta l'Europa.

            Le sante sue reliquie restarono in Tours per lo spazio di circa 400 anni, finchè un esercito di barbari, detti Normanni, vennero ad assediare quella città. Prima del loro arrivo si potè levare il corpo del Santo e liberarlo dal loro furore. Ventun'anno dopo fu riportato con gran pompa nel luogo di prima, e vi continuò ad essere straordinariamente onorato da tutto il mondo, finchè nel secolo XVI gli Ugonotti, ovvero Protestanti soliti a non risparmiare cosa alcuna quantunque sacra e veneranda, nel loro furore contro ai cattolici, dopo di aver presa la città di Tours, bruciarono le sacre ossa di s. Martino. Tuttavia si potè salvare l'osso di un braccio ed una parte {70 [458]} del cranio, preziose ed uniche reliquie tolte al furore di quei nemici del culto cristiano.

 

 

Capo XIII. L'invocazione e il culto dei Santi.

 

            La venerazione che i Cristiani in ogni tempo professarono ai Santi ed alle loro Reliquie, e particolarmente la grande divozione che si ebbe verso di s. Martino, e verso le sue reliquie, ci portano a dire qualche, cosa sopra questa materia.

            In principio di questo libretto abbiamo fatto qualche riflesso intorno ai miracoli; qui aggiungeremo ancora qualche cosa sul culto e sull'invocazione dei Santi e sulla venerazione delle loro Reliquie. Ecco quale è la dottrina della Chiesa cattolica su questa materia. I Santi riconosciuti come tali dalla Chiesa si possono venerare, invocare in nostro aiuto.

            I protestanti che non ebbero mai, nè presentemente hanno alcun santo, e nemmeno fu mai tra di loro chi abbia operato alcun miracolo, ricusano di riconoscere i santi della Chiesa cattolica, e di più accusano i cattolici quasi fossero idolatri, prestando {71 [459]} ai santi un culto, di cui, dicono essi, non avvi traccia nella sacra Scrittura e nei primitivi tempi della Chiesa. Poichè i protestanti hanno sempre in bocca la Bibbia, noi faremo vedere quanto male essi leggano la Bibbia, dimostrando come la dottrina della Chiesa cattolica sia chiaramente contenuta nella Bibbia. Ciò faremo con brevità e solo di passaggio, riserbandoci a trattare altrove appositamente tale materia. Leggiamo pertanto (Salmo 38) che fu raccomandato particolare onore all'arca dell'alleanza, in cui erano racchiuse le tavole della divina legge: Adorate scabellum pedum ejus, quoniam sanctum est. So si può prestare un culto all'arca perchè non si potrà prestare agli angeli e ai santi? altrove leggiamo (Numer. 22) come Balaamo avendo veduto un angelo che stava davanti a lui in mezzo alla strada, pieno di rispetto si chinò fino a terra per venerarlo: Balaam vidit angelum stantem in via, adoravitque eum pronus in terram.

            Giosuè essendosi accorto che gli era apparso il principe dell'esercito del Signore, cadde prostrato e lo adorò: Cecidit pronus in terram et adoravit. Jos. 5.

            Il re Saulle appena si accorse che eragli {72 [460]} comparsa l'anima di Samuele, chinò la sua faccia fino a terra per adorarlo. Intellexit Saul, quod Samuel esset, et inclinavit se super faciem suam in terra et adoravit. Reg. 28

            In questi fatti si usa il verbo adorare o adoravit non in senso di Latria, che è il culto dovuto solo a Dio come supremo creatore e padrone di tutte le cose; ma col culto di Dulia, che è quello che si presta ai santi, come creature eccellenti, amici di Dio e gloriosi in cielo.

            Si possono forse avere parole più chiare di queste che dimostrino come l'arca dell'alleanza, gli angeli ed i santi siano stati tenuti in grande venerazione?

            È parimenti dottrina della Chiesa che gli angeli ed i santi non solo si possano onorare, ma eziandio si possono con frutto invocare da coloro che vivono sulla terra, non affinchè da essi medesimi si ottengano le grazie che dimandiamo, ma affinchè preghino Iddio per noi e da lui ci ottengano le cose dimandate. Questa dottrina è pure contenuta nella Bibbia.

            Il Patriarca Giacobbe fu da un angelo liberato da varie sciagure e infine invitò quell'angelo medesimo a benedire i figliuoli di Giuseppe. Quell'angelo, egli diceva, {73 [461]} che mi liberò da tutti i mali, a cui sono stato esposto nella mia vita, benedica ora questi fanciulli: Angelus qui eruit me de cunctis malis, benedicat pueris istis. Gen. 48, 16.

            Mosè per muovere Iddio ad esaudirlo nelle sue preghiere interpose i meriti di Abramo, Isacco e Giacobbe, che erano stati fedeli servi di Dio. Ricordatevi, o o gran Dio, ricordatevi di Àbramo, di Isacco e di Israele vostri servi fedeli: Recordare Abraam, Isaac et Israel servorum tuorum. Ex. 32.

            Gli Israeliti trovandosi in pericolo di cadere nelle mani de' Filistei ricorsero al profeta Samuele con queste parole: Deh! non cessare di pregare il Signor nostro Iddio per noi, affinchè ci salvi dalle mani de' Filistei. Ne cesses pro nobis ad Dominum Deum nostrum clamare, ut solvet nos de manu Philistinorum. 1, Reg. 7.

            Iddio medesimo del santo Giobbe disse: Giobbe mio servo pregherà per voi. Job servus meus orabit pro vobis. Job. 42.

            L'Apostolo s. Paolo, quel grande Apostolo che ha tanto faticato nella predicazione del Vangelo e che per la sua santità meritò che Iddio gli facesse gustare la gloria del cielo mentre viveva ancora {74 [462]} mortale, quel grande Apostolo, dico, chiudeva quasi tutte le sue lettere raccomandandosi alle preghiere dei cristiani a cui scriveva. Vi prego, egli scrive ai Romani, vi prego d'intercedere per me colle vostre preghiere presso al Signore Iddio. Obsecro vos, fratres, ut adjuvetis me in orationibus vestris pro me ad Deum. Rom. 15.

            Ora se è permesso d'invocare gli amici di Dio e interessarli a nostro vantaggio mentre vivono in questa vita mortale; perchè non sarà più permesso di invocarli quando regnano con Dio in cielo? Forsechè quei santi che diedero vita e sostanze per carità, non vorranno più ascoltare chi li supplica ora che sono beati in cielo? Ma la carità di loro è assai più grande di quel che fosse quando vivevano in terra. Forsechè non potranno aiutarci? Ma se potevano aiutare quando erano mortali, perchè non potranno vie più adesso che sono gloriosi ed immortali? Forsechè non possono sapere le nostre preghiere? Se non sanno le nostre preghiere, come possono sapere la penitenza dei peccatori e fare gran festa ogni volta che alcuno si converte a Dio, come dice il Vangelo? Luc. 45.

            Si vorrà forse dire che si faccia ingiuria {75 [463]} a Dio invocando altri fuori di lui solo? Allora nemmeno sarebbe ciò permesso tra i vivi. Potrei addurre molti altri fatti e detti della Bibbia, come pure riferire la tradizione e la pratica costante della Chiesa in tutti i tempi, e l'uso universale di tutti i buoni di raccomandarsi alle preghiere l'un dell'altro. Ma io voglio appellarmi ai protestanti medesimi. Essi mentre rigettano l'invocazione dei santi, leggendo quanto in tal proposito si dice nella Bibbia, non solo invocano la protezione dei santi, ma si raccomandano ai medesimi viventi. Quei protestanti che pretendono di professare maggior pietà sogliono richiedere gli aiuti spirituali degli amici, e nelle loro lettere per lo più si raccomandano sempre alle preghiere di colui, cui scrivono. Una lettera, che mentre scrivo ho avanti agli occhi, scritta da un distinto ministro protestante, conchiude così: Intanto preghiamo l'uno per l'altro acciocchè Iddio ci faccia la grazia di trovarci insieme per tutta l’eternità davanti al divin trono.

            Ecco adunque già due cose provate; cioè il culto e l'invocazione dei santi, basata sopra fatti e sentenze registrate nella Bibbia. Poi non solo basata sopra {76 [464]} la Bibbia la venerazione e l'invocazione dei santi, ma troviamo nei medesimi sacri libri un culto, una venerazione prestata alle reliquie dei santi.

 

 

Capo XIV. Reliquie dei Santi.

 

            Per Reliquie dei santi tra i cristiani s'intendono le ossa, gli abiti o qualche altra parte di un corpo santo. In ogni tempo sono sempre state in venerazione le reliquie; e tutto quello che dissero i nemici della cattolica religione contro a questa pratica dei cristiani non fece che accrescerne il rispetto e la venerazione. Tuttavia per soddisfare alla pietà dei buoni e per far vedere in quanto grande errore siano i protestanti e tutti quelli che sono contrarii al culto delle Reliquie, produrremo alcune delle molte meraviglie da Dio operate in virtù delle Reliquie dei suoi santi; e ciò faremo colla Bibbia alla mano. Apriamo il libro quarto dei Re e troveremo che Elia, mentre sopra un carro di fuoco saliva al cielo, lasciò cadere il suo mantello. Eliseo suo discepolo lo colse. Non avendo alcun mezzo {77 [465]} per traversare il fiume Giordano toccò le acque con quel mantello e queste tosto si divisero per lasciar libero il passo ad Eliseo: Et pallio Eliae, quod deciderat ei, percussit aquam, et divisae sunt huc atque illuc et transiit Elisaeus. 4 Reg., cap. II. Qui vediamo Iddio ad operare un gran miracolo per mezzo di un mantello che appartenne al profeta Elia. Dunque Dio approva che gli abiti de' suoi santi siano venerati e in pari tempo fa conoscere agli uomini che le vesti de' suoi santi sono un mezzo efficace per ottenere i favori celesti.

            Nel medesimo libro dei Re leggiamo pure che alcune persone, mentre portavano un corpo morto a seppellire, incontrarono una banda di ladri, e per timore nascosero quel cadavere nella tomba di Eliseo. Appena quel cadavere toccò le reliquie di Eliseo, subito il cadavere tornò in vita e si pose immediatamente a camminare. Quod cum tetigisset ossa Elisaei, revixit et stetit super pedes suos. Cap. 14.

            Le medesime cose vediamo confermate nel nuovo Testamento. Una donna da dodici anni era travagliata da flusso di sangue. Avendo toccato l'orlo della veste del {78 [466]} Salvatore, ne fu interamente guarita: Et mulier, quae fluxum sanguinis patiebatur, accessit retro et tetigit fimbriam vestimenti ejus, etc. Matth. cap. 11.

            Il Salvatore, ovunque passava, facevasi conoscere colle sue prediche e coi suoi miracoli. La gente stupefatta veniva a Lui da tutte le parti per pregarlo a permettere che gli toccassero le vesti, e ciò bastava perchè tutti ne fossero guariti da qualsiasi infermità: Et rogabant eum ut fimbriam vestimenti ejus tangerent, et quicumque tetigerunt, salvi facti sunt (Matth. XIV).

            Non solamente gli oggetti appartenenti alla persona del Salvatore operavano luminosi prodigi, ma quelli eziandio che appartenevano agli Apostoli. S. Paolo predicava con gran zelo il Vangelo, e confermava la sua predicazione con molti miracoli. Molti di quei prodigi erano operati dal contatto delle sue vesti, che avevano la virtù di guarire da ogni genere d'infermità: Ita ut etiam super languidos deferrentur a corpore ejus sudaria, et semicinctia, et recedebant ab eis languores et spiritus nequam egrediebatur (Act. cap. 19).

            S. Pietro principe degli Apostoli aveva {79 [467]} in ogni luogo acquistata una tale riputazione di santità, che gli infermi erano portati a lui ovunque passava; e la sola ombra di lui faceva guarire ogni sorta di malattia, e cacciava gli spiriti maligni: Ita ut in plateas ejicerent infirmos et ponebant in lectulis, ut veniente Petro, saltem umbra illius obumbraret eos ... qui curabantur omnes (Act. cap. 15).

            In tutti questi fatti abbiamo una serie di prodigi operati in virtù delle sante Reliquie. Il mantello di Elia divide le acque del Giordano; le ossa di Eliseo fanno risuscitare un morto; le Vestimento del Salvatore e di san Paolo operano grandi miracoli; l'ombra di san Pietro fa guarire molte malattie, e caccia gli spiriti maligni. Ora se il Signore non gradisse il culto delle reliquie, confermerebbe la loro venerazione con sì luminosi miracoli e con tanti segnalati favori? Per queste ragioni la Chiesa cattolica fin dai primi tempi ha sempre praticato una venerazione particolare alle Reliquie, e la Storia Ecclesiastica ci assicura tale tradizione derivare dagli Apostoli. Di fatto si vede per gli alti del martirio di sant'Ignazio, che è uno dei più illustri martiri della Chiesa, e che {80 [468]} visse subito dopo gli Apostoli, essersi allora avuto gran rispetto per le Reliquie. Perciocchè appena eseguito il suo martirio, i fedeli corsero a raccogliere con gran rispetto le sue spoglie. La divozione verso quelle di san Cipriano è confermata da tutti gli autori di cose ecclesiastiche. Si legge la medesima cosa di san Policarpo (V. Eusebio, lib. 4).

            Questa venerazione fu così costante nella Chiesa che il Concilio Tridentino condanna come empi quelli che rifiutano di onorare le reliquie dei Santit: Quae viva membra fuerunt Christi, el templum Spiritus Sancti: cioè che noi dobbiamo onorare le Reliquie come oggetti appartenenti a corpi che per la loro virtù e santità furono in parlicolar maniera vivi membri di Gesù Cristo, e templi dello Spirito Santo.

            I protestanti nel leggere queste verità così chiaramente professate dalla Chiesa antica, e appoggiate sopra fatti certi contenuti nella Bibbia, ricorrono ad uno spediente degno di chi segue la menzogna. Dicono che i cattolici sono idolatri perchè adorano i Santi e le loro Reliquie. È questo una vera calunnia, già le mille volte combattuta dai cattolici; ma quelli {81 [469]} senza farci alcun riflesso in proposito dicono sempre lo stesso. Sappiano adunque i protestanti che la Chiesa Cattolica non ha mai insegnato che si debbano adorare le Reliquie. Ecco quale ne è la dollrina su questa materia: 1o Il culto verso le reliquie dei Santi è fondato sopra la Bibbia, e Iddio l'ha confermato con molti miracoli; 2° La Chiesa non ha mai insegnato che si debbano adorare le Reliquie dei santi, ma solamente che si può prestare a quelle una venerazione particolare come oggetti preziosi appartenenti ad amici di Dio, e che ora vivono beati in cielo. Chi dice il contrario proferisce una calunnia contro i cattolici. Nissun papa, nissun concilio, nissun Santo Padre ha mai insegnato che si debbano adorare le Reliquie, ma solo che i fedeli possono loro prestare una venerazione speciale, e che questo è un mezzo efficace per ravvivare in noi la fede, eccitarci a seguire i loro esempi, ma che è in pari tempo un mezzo efficacissimo per ottenerci da Dio celesti favori, siccome ci assicura la Bibbia, e la Storia Ecclesiastica dai primi tempi fino ai nostri giorni. {82 [470]}

 

 

Il martire Geronimo

 

            Negli ultimi mesi del 1853, alcuni artiglieri occupati a demolire un bastione della fortezza detta delle ventiquattr’ore in Algeri, scopersero un sepolcro, ove trovarono delle ossa umane. Lo scheletro conservava la sua forma e la sua posizione; le braccia stavano incrociate dietro le spalle, le gambe riunite, ed una corda che avea servito a legar le mani era aderente al tumulo.

            Si riconobbe ben presto essere quelli gli avanzi preziosi di un martire del sesto secolo, per nome Geronimo, che si sapea giacere sepolto in quel luogo, e le cui spoglie eransi inutilmente ricercate per molti anni addietro. Ecco l'edificante storia di questo martire tramandata fino a noi dai più autentici documenti.

            Geronimo era nativo dell'Arabia. Fu preso ancor fanciullo dagli Spagnuoli padroni in allora della città di Orano in una scorrerìa da essi fatta, in quelle contrade. {83 [471]}

            Un buon sacerdote lo comprò e dopo averlo istruito nella religione cattolica lo battezzò, chiamandolo dal suo nome, Geronimo.

            All'età di nove anni egli fu di nuovo preso dagli Arabi, e, per amore o per forza, ritornò musulmano. Ma la sua mente era sempre occupata dalle memorie della religione cristiana ed all'età di pressochè venticinque anni, vinto dalle attrattive della verità che continuamente l'invitava, fece ritorno ad Orano, abiurò l'islamismo, prese in moglie una donna cristiana e visse varii anni nella pratica della religione cattolica e delle virtù delle quali essa è madre feconda.

            Ma la Provvidenza l'avea scelto per sigillare col proprio sangue la fede che egli avea volonteroso abbracciala e che professava con tale fervore, per cui già il suo nome stava scritto nel catalogo degli eletti.

            Nel mese di maggio 1569 mentre Geronimo stava facendo una corsa sul mare con nove di lui amici, furono sorpresi da pirati arabi e, fattili prigionieri, vennero condotti in Algeri e venduti siccome schiavi. Gli arabi erano in quel tempo padroni di Algeri, ed Alì-Bassà {84 [472]} che ne era il governatore, divenne il padrone di Geronimo.

            Scoprì ben tosto che il suo schiavo era arabo di nascita, e che si era fatto cristiano e cattolico; e tentò tutti i mezzi, adoperando ogni genere di minacce, di castighi e di promesse seducenti per ridurlo ad apostatare dalla fede; ma Geronimo la antepose sempre alla libertà ed alle ricchezze che gli venìano proferte; ed a tutte le seduzioni e minaccie null'altro rispondeva che queste parole: Io sono cristiano.

            Alì-Bassà furioso di questa, da lui così chiamata, ostinazione del suo schiavo, risolvette di prenderne una strepitosa vendetta. Faceva in allora fabbricare una fortezza chiamata al giorno d'oggi il forte delle ventiquattr’ore ed andava spesso a visitarne i lavori.

            Un giorno mentre stava osservando i manovali che pestavano della terra in certi grandi cassoni per formarne dei massi di cemento, gli venne in capo un diabolico pensiero.

            Chiama Michele di Navarra, che era il capo muratore, ed additandogli un cassone già preparato, ma non ancora pieno di terra. Michele, gli dice Alì, lascia {85 [473]} questo cassone vuoto fino a domani, giacchè io voglio far del cemento col corpo di questo cane di Orano, il quale ricusa di far ritorno alla religione di Maometto.

            Ciò detto, egli se ne ritornò a Dar-Soulthan, chiamato al giorno d'oggi Djenina, che era in que' tempi il palazzo dei governatori di Algeri.

            Era prossima la sera; Michele dopo di aver preparato il cassone, raduna tutti gli operai e con essi ritorna alla prigione. Corre subito da Geronimo per raccontargli l'occorso ed esortarlo alla rassegnazione.

            Che Dio sia in ogni cosa benedetto! esclama il futuro martire; che questi infedeli non si lusinghino di farmi inorridire al pensiero dell'orribile supplizio che hanno inventato, nè di farmi rinunziare alla vera religione per paura. Quanto chieggo al Signore si è che si degni di usare misericordia all'anima mia, e mi voglia perdonare i miei peccati.

            Quindi Geronimo si andò preparando alla solenne testimonianza della propria credenza che dovea dare il giorno seguente. Eravi nella galera una cappella, e fra gli schiavi si trovava un prete. {86 [474]} Geronimo si confessò, ricevette la santissima comunione, e passò tutta la notte in preghiere.

            II giorno 18 settembre 1569 quattro sbirri di Alì-Bassà, si portarono di buon mattino alla galera cercando Geronimo, il quale avendoli sentiti, uscì dalla cappella ove stava ancora orando.

            - Appena il videro; ebbene! cane, giudeo, traditore, perchè non vuoi tu dunque ritornar musulmano, gli gridarono tutti.

            Il povero schiavo stette in silenzio, e si diede nelle loro mani. Con questa scorta arriva innanzi alla fortezza delle ventiquattro ore, ove già si trovava Alì-Bassà, accompagnato da numerosa comitiva di turchi, di rinnegati e di mori, gente tutta sitibonda di sangue cristiano.

            - Olà! cane, gridò Ali, non vuoi tu ritornare alla religione musulmana?

            - Giammai, rispose Geronimo. Sono cristiano e tale sarò sempre.

            - Ebbene! urlò inasprito il Bassà, vedi tu questo cassone, vi ti fo pestar dentro e sotterrare vivo.

            - Fa ciò che vuoi, rispose pieno di coraggio il martire di Dio, son pronto a tutto e nulla potrà giammai farmi abbandonare {87 [475]} la fede del mio Signor Gesù Cristo.

            Alì-Bassà avvedendosi che nulla valea a smuoverlo da siffatta energica risoluzione, ordinò che gli venissero legati mani e piedi; in tale stato fu preso dai quattro sbirri e gettato nel fondo del cassone.

            Si vide in questa occasione che i più crudeli fra quella masnada feroce erano gli stranieri. Uno spagnnolo chiamato Tamango, che si era reso musulmano prendendo il nome di Diafar, saltò a piè giunti nel cassone sopra Geronimo, afferrò un pestello gridando a tutta gola che gli si apportasse della terra, locchè fu tantosto eseguito. Quest'indegno cominciò a pestare con quanta forza avea sopra il povero martire, il quale non si lascia sfuggire il più piccolo lamento.

            Altri rinnegati per non esser tenuti meno buoni musulmani di Tamango, presi anch'essi dei pestelli finirono di schiacciare Geronimo sotto gli strati di terra.

            Il cassone era ricolmo di terra, ed il martire rimase per tre secoli nella gloriosa sua tomba. Queste tigri, sazie dalla vista dell'orrido supplizio, ritornarono giulive in Algeri seguitando Alì-Bassà, {88 [476]} il quale andava ripetendo per via: Veramente non mi sarei giammai creduto che questo cristiano subisse la morte con tanto coraggio.»

            Tale è storia della morte del martire Geronimo. Ecco come sanno morire i cristiani: ecco altresì come sanno preferire i supplizi e la morte alla vergogna ed al delitto dell'apostasia, certi che Iddio loro tiene preparati in cielo dei godimenti infiniti ed eterni, in premio delle passeggere avversità da essi sostenute in terra, per amore e gloria del suo santo Nome. {89 [477]}

 

 

Nota

 

            (Citata nella pagina 30.)

 

 

Il purgatorio

 

            (A) I Protestanti e segnatamente il ministro Giorgio Ornio dicono essere stato il primo Tertulliano a parlare del Purgatorio. E nelle note che questo ministro fa a Sulpizio Severo, dice, aver cominciato da questo fatto della vita di san Martino il dogma cattolico sul Purgatorio; di cui, dicono essi, non si fa cenno nella Bibbia, neppure nei primitivi tempi della Chiesa. Costretti a tenerci nei limiti della brevità voluta in questi fascicoli non possiamo tuttavia dispensarci dal far conoscere in forma di nota quanto sia grande l'errore dei Protestanti su questa materia. Diremo dunque brevemente: 1o Quale sia la dottrina della Chiesa Cattolica sul Purgatorio. 2° Che questa dottrina è contenuta nella Bibbia. {90 [478]}

 

            1o Quale sia la dottrina della Chiesa Cattolica sul Purgatorio.

 

            Il Purgatorio è un luogo o meglio uno stato in cui le anime dei giusti, uscite da questo mondo senza aver sufficientemente soddisfatto alla giustizia divina pei loro peccati sono costrette di espiarli prima di essere ammesse a godere la felicità eterna. Questa è la definizione ordinaria che dai teologi si suol dare al Purgatorio. Ora ecco quale ne è la dottrina della Chiesa definita nel concilio Tridentino, sessione 6, de justif. can. 30.

            «Se qualcheduno dice che per la grazia «della giustificazione la colpa e la pena «eterna sono talmente rimesse ai penitenti, «che loro non rimane più alcuna pena temporale a soffrire o in questa vita o nell'altra nel Purgatorio, prima d'entrar nel «Regno de' Cieli, sia scomunicato.»

            Nella sessione 22, can. 3, sta scritto:

            «Se qualcheduno dice che il sacrifizio «della messa non è propiziatorio, che non «deve offerirsi pei vivi o per li defunti, pei «peccati, per le pene, per le soddisfazioni «e per le altre necessita, sia scomunicato. «Anathema sit

            Il medesimo Concilio (Sess. 25) ordina ai dottori ed ai predicatori di non insegnare su questo punto, se non la dottrina dei Padri e dei Concili, di evitare tutte le questioni {91 [479]} di pura curiosità e di evitare colla massima cautela tuttociò che può sembrare favoloso, incerto, capace di fomentare la superstizione e favorire un sordido guadagno. Come ognun vede, il Concilio Tridentino non definisce se il Purgatorio sia un luogo in cui le anime siano rinchiuse, come siano purificate; se ciò sia col fuoco o altrimenti; quale sia l'intensità e la durata delle pene. I teologi possono in ciò seguir le differenti loro opinioni; purchè siano di accordo in ciò che vi è un luogo, ovvero uno stato tra il Paradiso e l'inferno: che in questo stato sono trattenute le anime dei giusti che hanno da soddisfare qualche pena temporale alla divina giustizia; che i vivi possono sollevarli. Noi diciamo che la dottrina sul Purgatorio così intesa è chiaramente e letteralmente contenuta nella Bibbia.

 

            2° II dogma del Purgatorio contenuto nella Bibbia.

 

            Leggiamo nel Vangelo di san Matteo (cap. 5), queste parole del Salvatore: «Sii «tosto accondiscendente al tuo avversario, «mentre sei in via con lui; affinchè per «disgrazia l'avversario non ti dia nelle «mani del giudice, e il giudice ti consegni «al ministro, indi passi in prigione. In verità ti dico che non uscirai di colà finchè «non abbi pagato fin l'ultimo quattrino.»

            Questo avversario è il prossimo a cui {92 [480]} facciamo o da cui riceviamo ingiuria; il giudice è Dio, la carcere è il Purgatorio d'onde non usciremo finchè non abbiamo scontato rigorosamente fin la più piccola delle nostre colpe. - V. Martini, Bergier e i Ss. Padri in questo luogo.

            Al capo 12 del medesimo Vangelo di san Matteo, leggiamo: «Chi dice una bestemmia «contro al figlio di Dio, egli potrà ottenere «il perdono; ma a chi bestemmia contro «allo Spirito Santo non sarà perdonato nè «nel secolo presente, nè nel secolo futuro.»

            Dalle quali parole noi siamo fatti certi, che, ci sono peccati che si possono perdonare nell'altra vita, il che non potendo aver luogo nell'Inferno dove le pene sono eterne, deve necessariamente farsi, dove le pene sono temporali, cioè nel Purgatorio. Che cosa può esserci di più chiaro di quanto leggiamo nel libro secondo de' Maccabei? Giuda Maccabeo credendo che alcuni dei suoi compagni morti in battaglia avessero bisogno di suffragio, ordinò una colletta, raccolse una somma di oltre ventimila franchi e la mandò in Gerusalemme perchè ne fossero fatti sacrifizi per le loro anime. Dopo la narrazione del fatto il sacro testo conchiude: Dunque è santo e salutevole il pensiero di pregare pei defunti, affinchè siano sciolti dai loro peccati (Mach., lib. 2, cap. 12) I Protestanti leggano questi e moltissimi altri testi della Bibbia, ma li leggano {93 [481]} senza prevenzione, e se non vogliono negare la medesima evidenza, dovranno ammettere la dottrina cattolica sul Purgatorio. Moltissime cose sarebbero ancora a dirsi in conferma della medesima verità; epperciò noi ci riserberemo di trattare appositamente in un prossimo fascicolo come il dogma del Purgatorio sia contenuto nella Bibbia, creduto nei primitivi tempi della Chiesa; ammesso da tutte le sette che un tempo si separarono dalla Chiesa; ammesso dai più dotti fra i medesimi protestanti.

 

            FINE. {94 [482]}

 


25 marzo 1945

Maria Valtorta

 Mi lamento con la Mamma dicendole: "Ma a questo modo io non posso più pensare a te. Scrivo, scrivo, scrivo… e poi sono come morta, incapace anche di dirti un'Ave. Tu lo vedi: resto con la corona in mano. Proprio ora che volevo farti maggiore compagnia in questi venerdì di Quaresima e di Passione!".
   Mi giunge nettissima la risposta: "Non importa. Tu canti l'Evangelo della sua Passione e piangi sui suoi dolori e lo accompagni in essi. E così asciughi le mie lacrime molto più che se mi facessi direttamente compagnia. Figlia della celeste Gerusalemme, piangi sui peccati del mondo e benedici il Signore che ti volle sterile, senza gioia umana, per avere la gloria di essere il 'piccolo Giovanni'. Di' con me1: 'Ecco l'ancella del Signore. Si faccia in me come Egli vuole'. Ti benedico e non ti trattengo. Ti aspetto sulla via del Calvario. Va' ".
 

   [Su un altro quaderno sono stati scritti, con date dal 26 al 29 marzo 1945, i capitoli 608, 609, 611 e 612 dell'opera L'EVANGELO]
           


   1 Di' con me, come in Luca 1, 38. Per il ricorrente appellativo di "piccolo Giovanni" valga sempre la nota messa al 1° marzo 1945.