Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

La grandezza di Maria sta nella sua umiltà . Nes­suna meraviglia che Gesù, il quale visse in così stretto contatto con Lei, sembrasse ansioso che noi imparas­simo da Lui e da Lei una lezione solamente: ad essere miti e umili di cuore. (Madre Teresa di Calcutta)

Liturgia delle Ore - Letture

Lunedi della 4° settimana del tempo di Quaresima

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Giovanni 16

1Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi.2Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio.3E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me.4Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato.

Non ve le ho dette dal principio, perché ero con voi.
5Ora però vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: Dove vai?6Anzi, perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore.7Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò.8E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio.9Quanto al peccato, perché non credono in me;10quanto alla giustizia, perché vado dal Padre e non mi vedrete più;11quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato.
12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.13Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future.14Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà.15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà.

16Ancora un poco e non mi vedrete; un po' ancora e mi vedrete".17Dissero allora alcuni dei suoi discepoli tra loro: "Che cos'è questo che ci dice: Ancora un poco e non mi vedrete, e un po' ancora e mi vedrete, e questo: Perché vado al Padre?".18Dicevano perciò: "Che cos'è mai questo "un poco" di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire".19Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: "Andate indagando tra voi perché ho detto: Ancora un poco e non mi vedrete e un po' ancora e mi vedrete?20In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia.
21La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo.22Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e23nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. In quel giorno non mi domanderete più nulla.
In verità, in verità vi dico: Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà.24Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena.
25Queste cose vi ho dette in similitudini; ma verrà l'ora in cui non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente vi parlerò del Padre.26In quel giorno chiederete nel mio nome e io non vi dico che pregherò il Padre per voi:27il Padre stesso vi ama, poiché voi mi avete amato, e avete creduto che io sono venuto da Dio.28Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre".29Gli dicono i suoi discepoli: "Ecco, adesso parli chiaramente e non fai più uso di similitudini.30Ora conosciamo che sai tutto e non hai bisogno che alcuno t'interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio".31Rispose loro Gesù: "Adesso credete?32Ecco, verrà l'ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me.
33Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!".


Esodo 35

1Mosè radunò tutta la comunità degli Israeliti e disse loro: "Queste sono le cose che il Signore ha comandato di fare:2Per sei giorni si lavorerà, ma il settimo sarà per voi un giorno santo, un giorno di riposo assoluto, sacro al Signore. Chiunque in quel giorno farà qualche lavoro sarà messo a morte.3Non accenderete il fuoco in giorno di sabato, in nessuna delle vostre dimore".
4Mosè disse a tutta la comunità degli Israeliti: "Questo il Signore ha comandato:5Prelevate su quanto possedete un contributo per il Signore. Quanti hanno cuore generoso, portino questo contributo volontario per il Signore: oro, argento e rame,6tessuti di porpora viola e rossa, di scarlatto, di bisso e di pelo di capra,7pelli di montone tinte di rosso, pelli di tasso e legno di acacia,8olio per l'illuminazione, balsami per unguenti e per l'incenso aromatico,9pietre di ònice e pietre da incastonare nell''efod' e nel pettorale.10Tutti gli artisti che sono tra di voi vengano ed eseguiscano quanto il Signore ha comandato:11la Dimora, la sua tenda, la sua copertura, le sue fibbie, le sue assi, le sue traverse, le sue colonne e le sue basi,12l'arca e le sue stanghe, il coperchio e il velo che lo nasconde,13la tavola con le sue stanghe e tutti i suoi accessori e i pani dell'offerta,14il candelabro per illuminare con i suoi accessori, le sue lampade e l'olio per l'illuminazione,15l'altare dei profumi con le sue stanghe, l'olio dell'unzione e il profumo aromatico, la cortina d'ingresso alla porta della Dimora,16l'altare degli olocausti con la sua graticola, le sue sbarre e tutti i suoi accessori, la conca con il suo piedestallo,17i tendaggi del recinto, le sue colonne e le sue basi e la cortina alla porta del recinto,18i picchetti della Dimora, i picchetti del recinto e le loro corde,19le vesti liturgiche per officiare nel santuario, le vesti sacre per il sacerdote Aronne e le vesti dei suoi figli per esercitare il sacerdozio".
20Allora tutta la comunità degli Israeliti si ritirò dalla presenza di Mosè.21Poi quanti erano di cuore generoso ed erano mossi dal loro spirito, vennero a portare l'offerta per il Signore, per la costruzione della tenda del convegno, per tutti i suoi oggetti di culto e per le vesti sacre.22Vennero uomini e donne, quanti erano di cuore generoso, e portarono fermagli, pendenti, anelli, collane, ogni sorta di gioielli d'oro: quanti volevano presentare un'offerta di oro al Signore la portarono.23Quanti si trovavano in possesso di tessuti di porpora viola e rossa, di scarlatto, di bisso, di pelo di capra, di pelli di montone tinte di rosso e di pelli di tasso ne portarono.24Quanti potevano offrire un'offerta in argento o rame ne offrirono per il Signore. Così anche quanti si trovavano in possesso di legno di acacia per qualche opera della costruzione, ne portarono.
25Inoltre tutte le donne esperte filarono con le mani e portarono filati di porpora viola e rossa, di scarlatto e di bisso.26Tutte le donne che erano di cuore generoso, secondo la loro abilità, filarono il pelo di capra.27I capi portarono le pietre di ònice e le pietre preziose da incastonare nell''efod' e nel pettorale,28balsami e olio per l'illuminazione, per l'olio dell'unzione e per l'incenso aromatico.29Così tutti, uomini e donne, che erano di cuore generoso a portare qualche cosa per la costruzione che il Signore per mezzo di Mosè aveva comandato di fare, la portarono: gli Israeliti portarono la loro offerta volontaria al Signore.
30Mosè disse agli Israeliti: "Vedete, il Signore ha chiamato per nome Bezaleel, figlio di Uri, figlio di Cur, della tribù di Giuda.31L'ha riempito dello spirito di Dio, perché egli abbia saggezza, intelligenza e scienza in ogni genere di lavoro,32per concepire progetti e realizzarli in oro, argento, rame,33per intagliare le pietre da incastonare, per scolpire il legno e compiere ogni sorta di lavoro ingegnoso.34Gli ha anche messo nel cuore il dono di insegnare e così anche ha fatto con Ooliab, figlio di Achisamach, della tribù di Dan.35Li ha riempiti di saggezza per compiere ogni genere di lavoro d'intagliatore, di disegnatore, di ricamatore in porpora viola, in porpora rossa, in scarlatto e in bisso, e di tessitore: capaci di realizzare ogni sorta di lavoro e ideatori di progetti".


Giobbe 32

1Quando Giobbe ebbe finito di parlare, quei tre uomini cessarono di rispondere a Giobbe, perché egli si riteneva giusto.2Allora si accese lo sdegno di Eliu, figlio di Barachele il Buzita, della tribù di Ram. Si accese di sdegno contro Giobbe, perché pretendeva d'aver ragione di fronte a Dio;3si accese di sdegno anche contro i suoi tre amici, perché non avevano trovato di che rispondere, sebbene avessero dichiarato Giobbe colpevole.4Però Eliu aveva aspettato, mentre essi parlavano con Giobbe, perché erano più vecchi di lui in età.5Quando dunque vide che sulla bocca di questi tre uomini non vi era più alcuna risposta, Eliu si accese di sdegno.
6Presa dunque la parola, Eliu, figlio di Barachele il Buzita, disse:

Giovane io sono di anni
e voi siete già canuti;
per questo ho esitato per rispetto
a manifestare a voi il mio sapere.
7Pensavo: Parlerà l'età
e i canuti insegneranno la sapienza.
8Ma certo essa è un soffio nell'uomo;
l'ispirazione dell'Onnipotente lo fa intelligente.
9Non sono i molti anni a dar la sapienza,
né sempre i vecchi distinguono ciò che è giusto.
10Per questo io oso dire: Ascoltatemi;
anch'io esporrò il mio sapere.
11Ecco, ho atteso le vostre parole,
ho teso l'orecchio ai vostri argomenti.
Finché andavate in cerca di argomenti
12su di voi fissai l'attenzione.
Ma ecco, nessuno ha potuto convincere Giobbe,
nessuno tra di voi risponde ai suoi detti.
13Non dite: Noi abbiamo trovato la sapienza,
ma lo confuti Dio, non l'uomo!
14Egli non mi ha rivolto parole,
e io non gli risponderò con le vostre parole.
15Sono vinti, non rispondono più,
mancano loro le parole.
16Ho atteso, ma poiché non parlano più,
poiché stanno lì senza risposta,
17voglio anch'io dire la mia parte,
anch'io esporrò il mio parere;
18mi sento infatti pieno di parole,
mi preme lo spirito che è dentro di me.
19Ecco, dentro di me c'è come vino senza sfogo,
come vino che squarcia gli otri nuovi.
20Parlerò e mi sfogherò,
aprirò le labbra e risponderò.
21Non guarderò in faccia ad alcuno,
non adulerò nessuno,
22perché io non so adulare:
altrimenti il mio creatore in breve mi eliminerebbe.


Salmi 27

1'Di Davide.'

Il Signore è mia luce e mia salvezza,
di chi avrò paura?
Il Signore è difesa della mia vita,
di chi avrò timore?
2Quando mi assalgono i malvagi
per straziarmi la carne,
sono essi, avversari e nemici,
a inciampare e cadere.

3Se contro di me si accampa un esercito,
il mio cuore non teme;
se contro di me divampa la battaglia,
anche allora ho fiducia.

4Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per gustare la dolcezza del Signore
ed ammirare il suo santuario.

5Egli mi offre un luogo di rifugio
nel giorno della sventura.
Mi nasconde nel segreto della sua dimora,
mi solleva sulla rupe.
6E ora rialzo la testa
sui nemici che mi circondano;
immolerò nella sua casa sacrifici d'esultanza,
inni di gioia canterò al Signore.

7Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me! Rispondimi.
8Di te ha detto il mio cuore: "Cercate il suo volto";
il tuo volto, Signore, io cerco.

9Non nascondermi il tuo volto,
non respingere con ira il tuo servo.
Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi,
non abbandonarmi, Dio della mia salvezza.
10Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato,
ma il Signore mi ha raccolto.

11Mostrami, Signore, la tua via,
guidami sul retto cammino,
a causa dei miei nemici.

12Non espormi alla brama dei miei avversari;
contro di me sono insorti falsi testimoni
che spirano violenza.
13Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
14Spera nel Signore, sii forte,
si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore.


Ezechiele 22

1Mi fu rivolta questa parola del Signore:2"Tu, figlio dell'uomo, forse non giudicherai, non giudicherai tu la città sanguinaria? Mostrale tutti i suoi abomini.3Tu riferirai: Dice il Signore Dio: O città che sparge il sangue in mezzo a se stessa, perché giunga il suo tempo, e fabbrica a suo danno idoli con cui contaminarsi!4Per il sangue che hai sparso, ti sei resa colpevole e ti sei contaminata con gli idoli che hai fabbricato: hai affrettato il tuo giorno, sei giunta al termine dei tuoi anni. Ti renderò perciò l'obbrobrio dei popoli e lo scherno di tutta la terra.5I vicini e i lontani si faran beffe di te o città infamata e piena di disordini.6Ecco in te i prìncipi d'Israele, ognuno secondo il suo potere, intenti a spargere sangue.7In te si disprezza il padre e la madre, in te si maltratta il forestiero, in te si opprime l'orfano e la vedova.8Hai disprezzato i miei santuari, hai profanato i miei sabati.9Vi sono in te calunniatori che versano il sangue. C'è in te chi banchetta sui monti e chi commette scelleratezze.10In te si hanno rapporti col proprio padre, in te si giace con la donna in stato di mestruazione.11Uno reca oltraggio alla donna del prossimo, l'altro contamina con incesto la nuora, altri viola la sorella, figlia del padre.12In te si ricevono doni per spargere il sangue, tu presti a interesse e a usura, spogli con la violenza il tuo prossimo e di me ti dimentichi. Oracolo del Signore Dio.
13Ecco, io batto le mani per le frodi che hai commesse e per il sangue che è versato in mezzo a te.14Reggerà il tuo cuore e saranno forti le mani per i giorni che io ti preparo? Io, il Signore, l'ho detto e lo farò;15ti disperderò fra le nazioni e ti disseminerò in paesi stranieri; ti purificherò della tua immondezza,16poi ti riprenderò in eredità davanti alle nazioni e tu saprai che io sono il Signore".
17Mi fu rivolta questa parola del Signore:18"Figlio dell'uomo, gli Israeliti si son cambiati in scoria per me; sono tutti rame, stagno, ferro e piombo dentro un crogiuolo: sono scoria di argento.19Perciò così dice il Signore: Poiché vi siete tutti cambiati in scoria, io vi radunerò dentro Gerusalemme.20Come si mette insieme argento, rame, ferro, piombo, stagno dentro un crogiuolo e si soffia nel fuoco per fonderli, così io, con ira e con sdegno, vi metterò tutti insieme e vi farò fondere;21vi radunerò, contro di voi soffierò nel fuoco del mio sdegno e vi fonderò in mezzo alla città.22Come si fonde l'argento nel crogiuolo, così sarete fusi in mezzo ad essa: saprete che io, il Signore, ho riversato il mio sdegno contro di voi".
23Mi fu rivolta questa parola del Signore:24"Figlio dell'uomo, di' a Gerusalemme: Tu sei una terra non purificata, non lavata da pioggia in un giorno di tempesta.25Dentro di essa i suoi prìncipi, come un leone ruggente che sbrana la preda, divorano la gente, s'impadroniscono di tesori e ricchezze, moltiplicano le vedove in mezzo ad essa.26I suoi sacerdoti violano la mia legge, profanano le cose sante. Non fanno distinzione fra il sacro e il profano, non insegnano a distinguere fra puro e impuro, non osservano i miei sabati e io sono disonorato in mezzo a loro.27I suoi capi in mezzo ad essa sono come lupi che dilaniano la preda, versano il sangue, fanno perire la gente per turpi guadagni.28I suoi profeti hanno come intonacato tutti questi delitti con false visioni e oracoli fallaci e vanno dicendo: Così parla il Signore Dio, mentre invece il Signore non ha parlato.29Gli abitanti della campagna commettono violenze e si danno alla rapina, calpestano il povero e il bisognoso, maltrattano il forestiero, contro ogni diritto.30Io ho cercato fra loro un uomo che costruisse un muro e si ergesse sulla breccia di fronte a me, per difendere il paese perché io non lo devastassi, ma non l'ho trovato.31Io rovescerò su di essi il mio sdegno: li consumerò con il fuoco della mia collera: la loro condotta farò ricadere sulle loro teste". Oracolo del Signore Dio.


Lettera agli Ebrei 10

1Avendo infatti la legge solo un'ombra dei beni futuri e non la realtà stessa delle cose, non ha il potere di condurre alla perfezione, per mezzo di quei sacrifici che si offrono continuamente di anno in anno, coloro che si accostano a Dio.2Altrimenti non si sarebbe forse cessato di offrirli, dal momento che i fedeli, purificati una volta per tutte, non avrebbero ormai più alcuna coscienza dei peccati?3Invece per mezzo di quei sacrifici si rinnova di anno in anno il ricordo dei peccati,4poiché è impossibile eliminare i peccati con il sangue di tori e di capri.5Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice:

'Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,
un corpo invece mi hai preparato'.
6'Non hai gradito
né olocausti né sacrifici per il peccato'.
7'Allora ho detto: Ecco, io vengo
- poiché di me sta scritto nel rotolo del libro -
per fare, o Dio, la tua volontà'.

8Dopo aver detto prima 'non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato', cose tutte che vengono offerte secondo la legge,9soggiunge: 'Ecco, io vengo a fare la tua volontà'. Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo.10Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre.

11Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e ad offrire molte volte gli stessi sacrifici che non possono mai eliminare i peccati.12Egli al contrario, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati una volta per sempre 'si è assiso alla destra di Dio',13aspettando ormai solo che 'i suoi nemici vengano posti sotto i suoi piedi'.14Poiché con un'unica oblazione egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati.15Questo ce lo attesta anche lo Spirito Santo. Infatti, dopo aver detto:

16'Questa è l'alleanza che io stipulerò' con loro
'dopo quei giorni, dice il Signore:
io porrò le mie leggi nei loro cuori
e le imprimerò nella loro mente',

17dice:
'E non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro
iniquità'.

18Ora, dove c'è il perdono di queste cose, non c'è più bisogno di offerta per il peccato.

19Avendo dunque, fratelli, piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù,20per questa via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne;21avendo noi un sacerdote grande sopra la casa di Dio,22accostiamoci con cuore sincero nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura.23Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso.
24Cerchiamo anche di stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone,25senza disertare le nostre riunioni, come alcuni hanno l'abitudine di fare, ma invece esortandoci a vicenda; tanto più che potete vedere come il giorno si avvicina.

26Infatti, se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati,27ma soltanto una terribile attesa del giudizio e la vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli.28Quando qualcuno ha violato la legge di Mosè, 'viene messo a morte' senza pietà 'sulla parola di due o tre testimoni'.29Di quanto maggior castigo allora pensate che sarà ritenuto degno chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel sangue dell'alleanza dal quale è stato un giorno santificato e avrà disprezzato lo Spirito della grazia?30Conosciamo infatti colui che ha detto: 'A me la vendetta! Io darò la retribuzione!' E ancora: 'Il Signore giudicherà il suo popolo'.31È terribile cadere nelle mani del Dio vivente!

32Richiamate alla memoria quei primi giorni nei quali, dopo essere stati illuminati, avete dovuto sopportare una grande e penosa lotta,33ora esposti pubblicamente a insulti e tribolazioni, ora facendovi solidali con coloro che venivano trattati in questo modo.34Infatti avete preso parte alle sofferenze dei carcerati e avete accettato con gioia di esser spogliati delle vostre sostanze, sapendo di possedere beni migliori e più duraturi.35Non abbandonate dunque la vostra franchezza, alla quale è riservata una grande ricompensa.36Avete solo bisogno di costanza, perché dopo aver fatto la volontà di Dio possiate raggiungere la promessa.

37Ancora 'un poco', infatti, 'un poco appena,
e colui che deve venire, verrà e non tarderà'.
38'Il mio giusto vivrà mediante la fede;
ma se indietreggia, la mia anima non si compiace in lui'.

39Noi però non siamo di quelli che indietreggiano a loro perdizione, bensì uomini di fede per la salvezza della nostra anima.


Capitolo L: Chi è nella desolazione deve mettersi nelle mani di Dio

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1. Signore Dio, Padre santo, che tu sia, ora e sempre, benedetto, perché come tu vuoi così è stato fatto, e quello che fai è buono. Che in te si allieti il tuo servo, non in se stesso o in alcunché d'altro. Tu solo sei letizia vera; tu la mia speranza e il mio premio; tu, o Signore, la mia gioia e la mia gloria. Che cosa ha il tuo servo , se non quello che, pur senza suo merito, ha ricevuto da te? Quello che hai dato e hai fatto a me, tutto è tuo. "Povero io sono, e tribolato, fin dagli anni della mia giovinezza" (Sal 87,16); talvolta l'anima mia è triste fino alle lacrime, talvolta si turba in se stessa sotto l'incombere delle passioni. Desidero il gaudio della pace; domando la pace dei tuoi figli, da te nutriti nello splendore della consolazione. Se tu doni questa pace, se tu infondi questa santa letizia, l'anima del tuo servo sarà tutta un canto nel dar lode a te, devotamente. Se, invece, tu ti ritrai, come fai talvolta, il tuo servo non potrà percorrere lesto la "via dei tuoi comandamenti" (Sal 118,32). Di più, gli si piegheranno le ginocchia, fino a toccargli il petto; per lui non sarà più come prima, ieri o ier l'altro, quando il tuo lume gli splendeva sul capo e l'ombra delle tue ali lo proteggeva dall'irrompere delle tentazioni.

2. Padre giusto e degno di perpetua lode, giunga l'ora in cui il tuo servo deve essere provato. Padre degno di amore, è giusto che in questo momento il tuo servo patisca un poco per te. Padre degno di eterna venerazione, giunge l'ora, che da sempre sapevi sarebbe venuta, l'ora in cui il tuo servo - pur se interiormente sempre vivo in te - deve essere sopraffatto da cose esteriori, vilipeso anche ed umiliato, scomparendo dinanzi agli uomini , afflitto dalle passioni e dalla tiepidezza; e ciò per risorgere di nuovo con te, in una aurora di nuova luce, nello splendore dei cieli. Padre santo, così hai disposto, così hai voluto; e come hai voluto è stato fatto. Giacché questo è il dono che tu fai all'amico tuo, di patire e di essere tribolato in questo mondo, per amor tuo; e ciò quante volte e da chiunque permetterai che sia fatto. Nulla accade quaggiù senza che tu lo abbia provvidenzialmente disposto, e senza una ragione. "Cosa buona è per me, che tu mi abbia umiliato, per farmi conoscere la tua giustizia" (Sal 118,71) e per far sì che io abbandoni ogni orgoglio interiore e ogni temerarietà. Cosa per me vantaggiosa, che la vergogna abbia ricoperto il mio volto, così che, per essere consolato, io abbia a cercare te, piuttosto che gli uomini. In tal modo imparo a temere l'imperscrutabile tuo giudizio, con il quale tu colpisci il giusto insieme con l'empio, ma sempre con imparziale giustizia. Siano rese grazie a te, che non sei stato indulgente verso i miei peccati e mi hai invece scorticato con duri colpi, infliggendomi dolori e dandomi angustie, esterne ed interiori. Nessuno, tra tutti coloro che stanno sotto il cielo, quaggiù, mi può dare consolazione; tu solo lo puoi, o Signore mio Dio, celeste medico delle anime, che colpisci e risani, "cacci all'inferno e da esso ritogli" (Tb 13,2). La rigida tua regola stia sopra di me; essa mi ammaestrerà.

3. Padre diletto, ecco, io sono nelle tue mani; mi curvo sotto la verga, che mi corregge. Percuotimi il dorso e il collo, affinché io indirizzi la mia vita tortuosa secondo la tua volontà. Come tu suoli, e con giustizia, fa' di me un devoto e umile discepolo, pronto a camminare a ogni tuo cenno. A te affido me stesso, e tutto ciò che è mio, per la necessaria correzione. E' preferibile essere aspramente rimproverato quaggiù, che nella vita futura. Tu conosci tutte le cose, nel loro insieme e una per una; nulla rimane a te nascosto dell'animo umano. Tu conosci le cose che devono venire, prima che esse siano, e non hai bisogno che alcuno ti indichi o ti rammenti quello che accade su questa terra. Tu conosci ciò che mi aiuta a progredire, e sai quanto giova la tribolazione per togliere la ruggine dei vizi. Fa' di me quello che ti piace, e che io, appunto, desidero; e non voler giudicare severamente la mia vita di peccato, che nessuno conosce più perfettamente e chiaramente di te. Fa' che io comprenda ciò che è da comprendere; che io ami ciò che è da amare; fa' che io approvi ciò che sommamente piace a te; che io apprezzi ciò che a te pare prezioso; fa' che io disprezzi ciò che è abietto ai tuoi occhi. Non permettere che io giudichi "secondo la veduta degli occhi materiali; che io non mi pronunzi secondo quel che si sente dire" da gente profana (Is 11,3). Fa' che io, invece, discerna le cose esteriori e le cose spirituali in spirito di verità; fa' che, sopra ogni cosa, io vada sempre ricercando il tuo volere. Se il giudizio umano, basato sui sensi, sovente trae in inganno, si ingannano anche coloro che sono attaccati alle cose del mondo, amando soltanto le cose visibili. Forse che uno è migliore perché è considerato qualcosa di più, nel giudizio di un altro? Quando questi lo esalta, è un uomo fallace che inganna un uomo fallace, un essere vano che inganna un essere vano, un cieco che inganna un cieco, un miserabile che inganna un miserabile; quando lo elogia a vuoto, realmente lo fa vergognare ancor più. Invero, secondo il detto dell'umile san Francesco, quanto ciascuno è ai tuoi occhi, tanto egli è; e nulla di più.


Sulla cura dovuta ai morti

Sant'Agostino - Sant'Agostino d'Ippona

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Domanda di Paolino: Quale utilità per uno l’essere sepolto presso la Memoria di un santo?

1. 1. È tanto tempo, o venerando coepiscopo Paolino, che alla tua santità sono in debito di una risposta, da quando mi mandasti quel tuo scritto tramite i messi della nostra religiosissima figlia Flora, e mi chiedevi quale giovamento poteva esserci per uno dal fatto che il suo corpo, dopo la morte, venisse sepolto presso la Memoria di un santo. Era quello che aveva chiesto a te la summenzionata vedova in merito al suo figliolo che era morto in coteste parti e alla quale avevi risposto consolandola e raccontandole della salma del giovane fedele Cinegio, per il quale l’affetto religioso della madre aveva disposto che tutto fosse fatto il meglio possibile, e che venisse tumulato nella basilica del beatissimo confessore Felice. Così hai colto l’occasione che, con gli stessi latori della tua lettera, hai scritto anche a me per coinvolgermi nella medesima questione, chiedendomi che cosa ne pensi io e, da parte tua, manifestando che cosa ne pensi tu. Tu dichiari che non ti sembrano inutili i sentimenti di questi animi religiosi e fedeli che hanno a cuore queste cose per i loro cari. E aggiungi che non può essere senza significato l’antica usanza della Chiesa universale di pregare per i defunti; e che da questa usanza si può dedurre anche che è utile all’uomo, dopo la morte, se la premura affettuosa dei suoi cari nell’inumarne il corpo gli assegna anche un posto che esprima già di per sé il desiderio della protezione dei santi.

Nel comportamento in questa vita si determina ciò che gioverà per l’altra.

1. 2. Però, stando così le cose, tu dici di non capir bene se a questa opinione non contraddica quanto afferma l’Apostolo: Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute mentre era nel corpo, sia in bene sia in male 1. È chiaro che questo detto dell’Apostolo ammonisce che è prima della morte che si deve provvedere a ciò che può essere utile dopo. La questione si risolve così che, vivendo bene quando si vive nel corpo, si raggiunge la possibilità che le suddette cose siano di giovamento quando si sarà morti; e perciò, secondo quello che essi fecero per mezzo del corpo, potranno esser loro di giovamento le cose che devotamente si faranno per loro dopo il tempo del corpo. Quindi ci sono di quelli a cui queste cose non porteranno alcun vantaggio: o che si facciano per coloro che hanno meritato tanto male da non esser degni di avere nessun aiuto, o che si facciano per coloro che hanno meritato tanto bene da non aver bisogno di nessun aiuto. Quindi il modo con cui ciascuno è vissuto mentre era nel corpo fa sì che giovi o non giovi quanto religiosamente si fa per lui quando non sarà più nel corpo. Il merito per cui queste cose potranno giovare, se non si è acquistato in questa vita, invano lo si cercherà dopo questa vita. Ecco perché la Chiesa, o anche il devoto affetto dei propri cari, fa tutto quel che può di bene per i defunti; però ciascuno riceverà la ricompensa delle opere compiute mentre era nel corpo sia in bene che in male, perché il Signore renderà a ciascuno secondo le sue opere. Perché dunque quel che si fa per uno gli possa giovare dopo la vita del corpo dipende da quanto egli ha meritato quando viveva nel corpo.

La Chiesa ha l’antica usanza di pregare per i defunti all’interno della Messa.

1. 3. Per quello che mi hai domandato potrebbe bastare questa mia risposta, per quanto breve, Ma prestami ancora un po’ di attenzione su alcuni problemi che ne derivano e a cui mi par giusto di dare una risposta. Nei libri dei Maccabei si legge che venne offerto un sacrificio per i defunti 2. Ma anche se in nessun luogo delle antiche Scritture si leggesse qualcosa di simile, non poca cosa sarebbe l’autorità della Chiesa universale che si manifesta in questa usanza quando, tra le preghiere che dal sacerdote vengono innalzate al Signore nostro Dio davanti al suo altare, c’è un posto preminente la preghiera per i defunti.

Per i cristiani lo scempio dei corpi e la non sepoltura non ha arrecato nessun vero danno.

2. 3. Però con particolare attenzione vediamo di approfondire se all’anima di un defunto arrechi qualche sollievo il luogo della sepoltura del suo corpo. E prima di tutto chiediamoci se alle anime degli uomini dopo questa vita possa esser motivo di sofferenza, o comunque di maggiore sofferenza, il fatto che i loro corpi non siano stati sepolti: e questo non secondo le idee che per un verso o per l’altro vanno in giro tra la gente, ma secondo i sacri testi della nostra religione. Non si può prestar fede infatti a quanto si legge in [Virgilio]

Marone che a coloro che non sono stati sepolti non è concesso di percorrere e attraversare il fiume infernale, appunto perché né è dato traghettarli tra gli orridi dirupi e il fragore dei flutti prima che riposino le loro ossa nei sepolcri 3.

Chi potrà indurre il cuore di un cristiano a credere a queste stravaganti fantasticherie poetiche, quando il Signore Gesù, perché i Cristiani affrontassero senza paura la morte tra le mani dei loro nemici, che solo sui loro corpi potevano infierire, assicura che neanche un capello del loro capo sarebbe andato perduto 4 e li esorta a non aver paura di quelli che possono, sì, uccidere il corpo, ma dopo non possono fare più nulla 5? Io nel primo libro della Città di Dio ho detto abbastanza, mi pare, per rompere i denti a coloro che, nel tentativo di addebitare ai tempi cristiani le atrocità compiute dai barbari, e particolarmente quelle che di recente ha subito la stessa città di Roma, anche questo portano per argomento che in quel frangente neanche dei suoi è venuto in aiuto Cristo. E avendo loro risposto che egli aveva raccolto le anime dei fedeli come ricompensa della loro fede, essi hanno ritorto l’insulto riferendolo ai cadaveri rimasti insepolti. Ecco il testo intero con cui ho spiegato tutto l’argomento della sepoltura.

Tuttavia il rispetto dei cadaveri, che per i vivi è un conforto, è anche un atto di pietà per i defunti.

2. 4. "Però", dico, "in una strage così immane non si poté dare sepoltura neanche ai cadaveri. Ma una fede autentica non ha paura di questo, fondata com’è sul presupposto che neanche le bestie che li hanno divorati potranno impedire che risorgano quei corpi, dei quali non andrà perduto neanche un capello della testa 6. Se quello che i nemici hanno voluto fare sul corpo degli uccisi avesse potuto pregiudicare anche alla loro vita futura, mai la Verità stessa avrebbe affermato: Non abbiate paura di coloro che uccidono il corpo, ma poi non hanno il potere di uccidere l’anima 7. A meno che non si sia talmente sciocchi da sostenere che quelli che uccidono il corpo non si debbono temere prima di morire che appunto l’uccidano, ma si debbano temere che, dopo la morte, non lo lascino seppellire. Se tanto male potessero fare ancora a dei cadaveri, sarebbe falso quello che dichiara Cristo: Quelli che uccidono il corpo, ma poi non possono fare più nulla 8. Ma Dio ci guardi dal pensare che possa esser falso quello che afferma la Verità stessa. È detto, sì, che qualcosa possono fare nel momento che uccidono, perché nel corpo che viene ucciso c’è ancora sensibilità; ma dopo non possono fare più nulla, perché nel corpo ucciso ogni sensibilità è spenta. È vero, molti corpi dei Cristiani la terra non li ha accolti in sé; però nessuno poté mai buttar fuori uno di loro o dal cielo o dalla terra che tutta riempie con la sua presenza Colui che sa come risuscitare quello che ha creato. Certo, vien detto nel salmo: Hanno abbandonato i cadaveri dei tuoi servi in pasto agli uccelli del cielo, le carni dei tuoi fedeli agli animali selvaggi; hanno versato il loro sangue come acqua intorno a Gerusalemme; e non c’era chi li seppellisse 9. Questo però più per mettere in risalto la ferocia di coloro che fecero queste cose, che la sofferenza di coloro che le subirono. Per quanto infatti agli occhi degli uomini queste cose appaiano orrende, agli occhi di Dio la morte dei suoi santi è preziosa 10. E allora tutte quelle cose, la solennità del funerale, la nobiltà della sepoltura, la grandiosità delle esequie sono più un sollievo per quelli che restano che un vantaggio per quelli che vanno. Se una sepoltura grandiosa a un empio arrecasse qualche vantaggio, a un pio sarebbe di svantaggio una modesta, o addirittura inesistente. Però se a quel ricco che vestiva di porpora la gran turba dei famigli allestì un funerale splendido agli occhi degli uomini, molto più splendido agli occhi di Dio ne fu allestito uno a quel povero pieno di piaghe dal servizio degli Angeli, i quali non lo issarono su un mausoleo di marmo, ma lo innalzarono fino al seno di Abramo 11. Su queste cose ci ridono quelli contro i quali ci siamo presi l’impegno della difesa della città di Dio. Ma anche i loro filosofi non hanno dato troppa importanza alle solennità della sepoltura; e più volte interi eserciti, nell’affrontare la morte per la loro patria terrena, non si son dati il minimo pensiero di come sarebbero andati a finire e quali bestie se li sarebbero mangiati: e i loro poeti li poterono giustamente esaltare con questo elogio:
Dal cielo è coperto chi non ha la sua urna 12.
Tanto meno costoro dovrebbero prendersela contro i Cristiani a motivo dei corpi non sepolti, quando ad essi è promesso che la carne e tutte le membra si riformeranno non solo dalla terra, ma anche dalla più intima struttura degli altri elementi in cui i cadaveri decomposti si sono agglutinati, e in un solo attimo 13 saranno ricostituiti e risuscitati" 14.

Ragioni per cui merita lode la cura dei morti.

3. 5. "Questo non vuol dire che i corpi dei defunti si debbano buttar là o trascurare, specialmente quelli dei giusti e dei fedeli, di cui, come di strumenti o di vasi, si è santamente servito lo spirito per compiere tante opere buone. Se un vestito o un anello o qualunque altro oggetto di questo genere, che era appartenuto al proprio padre, tanto più è caro ai figli quanto maggiore è l’affetto verso i genitori, in nessun modo si può trascurare il corpo, che noi portiamo con un legame ben più stretto e profondo di qualunque altro indumento. Perché esso non è un ornamento o un sostegno che adopriamo come esterno a noi, ma appartiene alla natura stessa dell’uomo. Ecco perché anche per i giusti dell’antichità furono curati i funerali, e celebrate le esequie, e provvedute le sepolture con la dovuta pietà. Anzi essi stessi, mentre erano ancora in vita, diedero ai loro figli disposizioni per la sepoltura o anche per il trasferimento delle loro ossa 15. E Tobia, per testimonianza dell’Angelo, viene elogiato per i meriti acquisiti davanti a Dio per aver seppellito i morti 16. E il Signore stesso, che pur doveva risorgere il terzo giorno, elogia, e consegna agli elogi dei futuri il bel gesto di quella pia donna che versò il suo unguento prezioso sulle sue membra e lo fece come anticipazione della sua sepoltura 17. E ancora nel Vangelo vengono ricordati ed elogiati coloro che, calato il corpo dalla croce, provvidero ad avvolgerlo e a seppellirlo con diligenza e venerazione 18. Ora queste autorevoli testimonianze non è che vogliano far pensare che nei cadaveri ci possa essere una qualche sensibilità, ma vogliono significare che la Provvidenza di Dio, che gradisce anche questi doveri di pietà, si prende cura anche dei corpi dei defunti per confermare la fede nella risurrezione. Inoltre da queste cose un’altra salutare lezione si impara: quanto grande cioè possa essere la ricompensa per le elemosine che facciamo a coloro che sono ancor vivi ed hanno sensibilità, se davanti a Dio non si perdono neanche quei servizi e quelle premure che si fanno alle membra esanimi degli uomini. E ci sarebbero altre cose che i santi Patriarchi intesero dire con spirito profetico nel dar disposizioni sulla sepoltura o sul trasferimento dei loro corpi 19; ma non è questo il luogo per trattarne. Qui è sufficiente quanto abbiamo già detto. Ad ogni modo come la mancanza di ciò che è necessario alla vita, come il vitto o il vestito, per quanto dolorosa, tuttavia non incrina nei buoni la virtù della tolleranza e della sopportazione e non sradica dall’animo la pietà, ma anzi la rende più ricca a motivo dell’esercizio; così e a maggior ragione la mancanza di ciò che si è soliti fare nel curare i funerali e nel tumulare le salme dei defunti non potrà esser di danno per coloro che ormai hanno raggiunto la pace nelle dimore invisibili dei buoni. Perciò quando queste onoranze non vennero fatte per i cadaveri dei Cristiani nella strage della grande Roma o degli altri paesi, questo non fu né colpa dei vivi, perché si trovarono nell’impossibilità di farle, né pena dei morti, perché erano nell’impossibilità di sentirle" 20. Questo è quel che io penso sull’argomento della sepoltura e le sue motivazioni. E io l’ho qui riportato dall’altro mio libro, perché mi era più facile ricopiarlo che trattar di nuovo la medesima cosa in una maniera diversa.

Essere sepolti presso un santo non giova di per se stesso, ma in quanto è un ricordo costante per tenere l’anima del defunto sotto la sua protezione.

4. 6. Se questo è vero, allora anche il desiderio di seppellire i corpi presso le Memorie dei santi fa parte di un legame umano molto bello nei riguardi della tumulazione dei propri cari: perché se il seppellirli è già un atto di religione, non può non contar niente il premurarsi dove saranno seppelliti. Ma siccome è la consolazione dei superstiti a ricercare queste cose in cui si esprime l’affetto del cuore verso i propri cari, non vedo quale utilità ci possa essere per i morti, all’infuori di questo che, mentre i vivi ripensano dove sono stati tumulati quegli amati corpi, li raccomandano nella preghiera a quei santi a cui li hanno affidati come patroni, perché li aiutino davanti a Dio. Certo, questo lo possono fare anche se non li hanno potuti seppellire in quei posti. Ecco allora perché quegli edifici funebri che si fanno particolarmente notare vengono chiamati Memorie o Monumenti appunto perché, ridestando la memoria e ammonendo, risuscitano il ricordo di coloro che la morte ha sottratto agli occhi dei vivi perché l’oblio non li cancelli anche dal cuore. La parola stessa Memoria lo indica chiaramente, e anche Monumento, perché ammonisce, muove la mente. Ecco perché i Greci dicono quello che noi chiamiamo Memoria o Monumento, perché nella loro lingua la facoltà del ricordare si dice . Quando perciò il pensiero ritorna a quel luogo dove è sepolto il corpo di una persona molto cara e viene in mente che quel luogo è venerabile anche per il nome di un martire, l’affetto di colui che sta a ricordare e pregare raccomanda quasi naturalmente a quel martire quell’anima diletta. E questo affetto di persone molto legate verso i loro defunti è senza dubbio di aiuto a coloro che, quando vivevano nel corpo, si meritarono che queste cose gli potessero giovare una volta usciti dal corpo. Se tuttavia per qualunque ragione i corpi non si son potuti seppellire affatto, oppure non si son potuti seppellire nei luoghi predetti, mai si debbono trascurare le suppliche per le anime dei defunti. Cosa che la Chiesa, in una comune commemorazione, ha fatto da sempre per tutti coloro che sono morti nella comunione cristiana e cattolica, anche senza dirne i nomi; e così anche per coloro che non hanno più genitori, o figli, o comunque parenti, o amici che ci pensino, queste cose sono loro apprestate dall’unica pia madre comune. Se invece non ci fossero queste suppliche che con retta fede e pia devozione si fanno per i defunti, io penso che per le loro anime a nulla gioverebbe che le loro salme siano state tumulate anche nei luoghi più santi.

Inoltre il luogo della sepoltura può stimolare un maggiore affetto e devozione nella preghiera.

5. 7. Venendo dunque a quella madre cristiana che ha desiderato che il corpo di suo figlio, cristiano anche lui, venisse tumulato nella basilica del martire, se essa lo ha fatto nella fede che l’anima di lui potesse essere aiutata dai meriti del martire, questa fede è già in qualche modo preghiera, e questo gli fu di giovamento, se di giovamento era capace. Inoltre quel ritornare sempre col pensiero a quel sepolcro e quel raccomandare sempre più accoratamente il figlio alle preghiere del martire aiuta l’anima del defunto non tanto per la vicinanza materiale del corpo morto, quanto per l’affetto materno che si ravviva al pensiero del luogo. Infatti colui che viene raccomandato e colui al quale viene raccomandato tornano insieme, e non senza frutto, al devoto ricordo di lei mentre prega. È come quando uno si mette a pregare, che dispone le membra del suo corpo nel modo più conveniente alla preghiera; e così piega le ginocchia, protende le mani, si prosterna per terra, e tanti altri modi che tutti possono vedere. Ma il suo anelito invisibile e la tensione del cuore sono noti solo a Dio, il quale non ha bisogno di queste esteriorità per conoscere l’animo dell’uomo. Quegli atteggiamenti servono all’uomo per stimolarsi a pregare e a gemere con maggiore umiltà e maggiore fervore. Certo, questi atteggiamenti del corpo non hanno senso se non si prendono dietro l’impulso dell’animo, ma poi, una volta presi esteriormente e visibilmente, ne trae in qualche modo vantaggio quello invisibile e interiore che li aveva determinati; sicché l’affetto del cuore che li aveva fatti assumere dopo cresce perché sono stati assunti. Però se uno trova difficoltà, o addirittura impossibilità, e non è in grado di assumere questi atteggiamenti con le sue membra, non per questo non prega in lui l’uomo interiore e non si prosterna davanti agli occhi di Dio umiliandosi nel più segreto della sua anima. Allo stesso modo quella donna che si è tanto premurata di dove tumulare la salma del suo defunto per meglio supplicare per la sua anima, una volta realizzato il desiderio di quel luogo santo e tumulatavi la salma, è lo stesso luogo santo che le rinnova e le fa crescere quell’affetto che aveva mosso tutto. Ma se anche non fosse riuscita a inumare quel caro corpo dove il suo spirito religioso si era riproposto, in nessun modo deve smettere le necessarie suppliche per raccomandarlo al Signore. Perché dovunque la carne del defunto sia sepolta o non sepolta, è per lo spirito che va ricercata la pace. È esso che, andandosene, si è portato via la capacità di sentire, che è quello che a uno interessa sia per quanto riguarda il bene che il male. Lo spirito non si aspetta di essere aiutato da quella carne a cui esso dava la vita: vita che le tolse quando se ne andò e che le ridarà quando vi rientrerà; perché non la carne allo spirito, ma è lo spirito che appresta alla carne persino il merito per la stessa risurrezione, se cioè si tornerà a vivere per la pena oppure per la gloria.

I martiri di Lione testimoni del superamento di ogni affetto verso la materialità del corpo a favore di una fede suprema e splendida.

6. 8. Nella Storia Ecclesiastica, scritta in greco da Eusebio e tradotta in latino da Rufino, si legge che in Gallia alcuni corpi di martiri furono dati in pasto ai cani, e che gli avanzi dei cani insieme alle ossa di quei morti tutto fu dato al fuoco fino alla totale distruzione, e che poi le ceneri furono sparse nel fiume Rodano, perché nulla restasse che ne richiamasse la memoria 21. Se Dio ha permesso una cosa di questo genere, bisogna pensare che per nessun altro motivo l’ha fatto se non perché imparino i cristiani che, per essere fedeli a Cristo, se debbono non tener conto di questa vita, tanto minor conto debbono avere della sepoltura. Perché se uno scempio perpetrato con sì orrenda ferocia su quei corpi dei martiri avesse potuto portare anche il minimo danno alle loro anime, sì che queste, pur dopo una vittoria così grande, avessero conseguito una pace meno completa, Dio non l’avrebbe potuto permettere. Il fatto stesso dunque è una dimostrazione che quelle parole: Non temete coloro che uccidono il corpo, ma dopo non possono fare più nulla 22 il Signore non le ha dette nel senso che non avrebbe permesso che si facesse qualche cosa contro i corpi dei suoi morti, ma nel senso che, qualunque cosa venisse consentito di fare contro di loro, nulla avrebbero fatto con cui sarebbe diminuita la cristiana felicità dei defunti, nulla che avesse potuto far soffrire la loro sensibilità di vivi al di là della morte, nulla a danno perfino dei corpi che gli impedisse di arrivare integri alla loro risurrezione.

Ma la pietà dell’uomo verso il proprio corpo è una legge di natura. Esempio del profeta e dell’uomo di Dio al tempo del re Geroboamo.

7. 9. E tuttavia per quel sentimento naturale del cuore umano per cui nessuno mai ha avuto in odio la propria carne 23, se uno potesse sapere che dopo la morte al suo corpo dovesse mancare qualcosa di ciò che richiede la solennità della sepoltura in uso tra la propria gente e nella propria patria, se ne addolorerebbe in quanto uomo; e così una cosa che dopo la morte non gli interesserà più per il corpo, prima della morte gli fa paura. Anche nei Libri dei Re troviamo che il Signore, per bocca di un suo profeta, minacciò un uomo di Dio che non aveva obbedito alla sua parola, e gli annunciò che il suo cadavere non sarebbe stato tumulato nel sepolcro dei suoi padri. Ecco come si esprime la Scrittura: Così dice il Signore: Poiché ti sei ribellato all’ordine del Signore, non hai ascoltato il comando che ti ha dato il Signore tuo Dio, sei tornato indietro, hai mangiato e bevuto in questo luogo, sebbene ti fosse stato prescritto di non mangiarvi e bervi nulla, il tuo cadavere non entrerà nel sepolcro dei tuoi padri 24. Se la portata di questa pena la pensiamo alla luce del Vangelo che ci insegna che, una volta ucciso il corpo, non c’è più da temere che possano soffrire delle membra senza vita, non è neanche il caso di chiamarla pena. Ma se consideriamo quell’affezione innata che ognuno ha verso la propria carne, è naturale che quegli, ancor vivo, si sia spaventato e rattristato per una cosa che da morto non avrebbe neanche sentito. E proprio in questo consisteva la pena, che l’anima si rattristasse per quello che sarebbe successo al suo corpo, anche se, quando sarebbe successo, non avrebbe sentito alcun dolore. E infatti il Signore non volle punire oltre questo suo servo che non per sua malizia aveva rifiutato di adempiere il comando del suo Signore ma, ingannato dalla falsità di un altro, credette di obbedire, ma in realtà non obbedì. Tanto meno si può pensare che egli venisse ucciso dal morso della belva perché la sua anima venisse gettata nel supplizio dell’inferno, quando addirittura il leone stesso che aveva ucciso quel corpo se ne pose poi a guardia, lasciando anche indisturbato il giumento che lo aveva portato fin lì e che, insieme a quella belva spaventosa, rimase lì con intrepido coraggio al funerale del suo padrone. Con questo mirabile segno appare chiaro che quell’uomo di Dio fu tormentato temporaneamente fino alla morte per non essere castigato dopo la morte. Su questo argomento l’Apostolo, avendo ricordato le sofferenze e anche la morte di molti, dovute a delle trasgressioni, afferma. Se noi ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati dal Signore. Quando poi siamo giudicati dal Signore, veniamo corretti per non essere castigati insieme con questo mondo 25. Quanto poi a colui che lo aveva ingannato, egli seppellì molto onoratamente quell’uomo di Dio nel suo proprio sepolcro, e diede disposizione di essere sepolto anche lui accanto alle ossa di quello. Sperava in questo modo che si avesse compassione anche delle sue ossa quando fosse arrivato il tempo in cui, secondo la profezia di quell’uomo di Dio, Giosia, re di Giuda, avrebbe dissotterrato in quella regione le ossa di molti morti e con quelle ossa avrebbe profanato gli altari sacrileghi che vi erano stati consacrati agli idoli. E di fatto Giosia risparmiò quel sepolcro dove giaceva l’uomo di Dio che più di trecento anni prima aveva predetto queste cose e in grazia di lui non fu violata neanche la sepoltura di quell’altro che lo aveva ingannato 26. E così per quell’affetto per cui nessuno mai ha avuto in odio la propria carne 27, provvide al suo cadavere lui che con la menzogna ne aveva ucciso l’anima. E sempre per quella legge naturale per cui ognuno è portato ad amare la propria carne, l’uno subì la pena di sapere che non sarebbe stato tumulato nel sepolcro dei suoi padri, l’altro la preoccupazione di provvedere che non si infierisse contro le sue ossa facendosi seppellire accanto a quello di cui nessuno avrebbe violato il sepolcro.

Forza dei martiri e tristezza dei fratelli nel non poter curare i loro corpi martoriati.

8. 10. Questo affetto i martiri di Cristo che combatterono per la verità lo vinsero. E la cosa non stupisce: se non si era riusciti a piegarli con quei supplizi che mentre erano vivi sentivano, e come! in che modo ci si poteva riuscire con cose che, una volta morti, non avrebbero sentito più? Certo, Dio avrebbe potuto, lui che non permise al leone di straziare ulteriormente il corpo di quell’uomo di Dio che aveva ucciso, e anzi da uccisore lo aveva fatto diventare custode, avrebbe potuto, dico, tener lontani dai cadaveri dei suoi fedeli i cani ai quali erano stati gettati. Avrebbe potuto anche con infiniti modi impedire l’efferatezza di quegli uomini perché non arrivassero a bruciare i cadaveri e a disperderne le ceneri. Ma anche questa testimonianza bisognava che ci fosse nella molteplice varietà delle prove, affinché la forza della confessione, che non si piegava di fronte all’immane violenza della persecuzione contro l’integrità del corpo, non mostrasse incertezze neanche di fronte alla mancanza di una onorevole sepoltura; e infine perché la fede nella risurrezione non venisse scalfita neanche di fronte allo sfacelo del corpo. Era perciò necessario che Dio permettesse queste cose affinché, nonostante tali orribili crudeltà, i martiri, così ardimentosi nel confessare Cristo, fossero testimoni anche di quest’altra verità, che cioè coloro che li avevano uccisi nel corpo dopo non avevano più il potere di fargli altro male. Perché qualunque cosa avessero fatto a dei corpi ormai morti, in realtà non facevano più niente in quanto in una carne ormai priva di vita non poteva sentir nulla chi ne era già uscito, e nulla poteva perdere colui che li aveva creati. Però mentre sulle carni di quegli uccisi venivano perpetrate queste sevizie che i martiri avevano affrontato senza paura e con grande fortezza, tra i fratelli si faceva un lutto grandissimo, perché non era loro data nessuna possibilità di prestare le dovute onoranze funebri e neanche, come afferma la medesima Storia 28 di poter trafugare qualcosa alla sorveglianza dei loro crudeli custodi. In tal modo mentre coloro che erano stati uccisi non provavano più nessun dolore per quanto le loro membra fossero scarnificate, le ossa incenerite, le ceneri disperse, questi, che nulla di loro erano riusciti a seppellire, li crucciava una grande tristezza: in un certo senso questi sentivano per quelli che ormai non sentivano più e, mentre per quelli era finito il patire, per questi continuava il doloroso compatire.

Nella Scrittura è lodata la pietà verso i defunti come opera di misericordia.

9. 11. È a motivo di questo doloroso compatire, come l’ho chiamato, che vengono lodati e benedetti dal re Davide coloro che ebbero la pietà di seppellire le povere ossa di Saul e di Gionata 29. Ma se questi nulla ormai più sentivano, che pietà poteva essere? Forse che dovremmo riportarci a quella fantasticheria che coloro che sono ancora insepolti non possono attraversare il fiume infernale 30? Ma lungi questo dalla fede cristiana. Altrimenti molto ingiustamente si sarebbe agito con una sì grande moltitudine di martiri i cui corpi non fu possibile seppellire; e poi la Verità avrebbe affermato il falso nel dire: Non abbiate paura di quelli che possono uccidere il corpo, ma dopo non possono fare più nulla 31 se quei carnefici gli potettero fare tanto male da impedir loro di raggiungere la patria desiderata. Ma questo è indubitatamente falso: nessun danno per i fedeli se ai loro corpi viene negata la sepoltura, e nessun vantaggio se essa viene data a chi non è fedele. Quelli che seppellirono Saul e suo figlio vengono lodati per l’opera di misericordia e benedetti dal pio Re, perché è un sentimento buono l’affliggersi per i maltrattamenti fatti ai cadaveri altrui e, per quell’affetto per cui nessuno mai ha avuto in odio la propria carne 32, nessuno vorrebbe che dopo la morte venisse trattato così il proprio corpo. E quello che si vorrebbe fatto a sé quando non si sentirà più si ha cura, mentre ancora si sente, di farlo a chi ormai non sente più.

Ipotesi su certe apparizioni di morti che rivelavano in sogno dove giaceva insepolto il loro corpo.

10. 12. Si sente dire di certe apparizioni che sembrano fatte apposta per porre interrogativi in questa discussione e che non possiamo trascurare. Si racconta di diversi morti che, o in sogno o in qualche altro modo, apparvero a persone vive che ignoravano assolutamente dove i loro corpi giacevano insepolti. Essi, rivelando il luogo, li pregarono che fosse data loro la sepoltura che ancora non avevano avuto. Se dicessimo che queste sono fandonie, potremmo apparire impudenti nei riguardi di alcuni scritti di fedeli cristiani e della serietà di coloro che attestano che queste cose son loro capitate davvero. Ma la risposta più giusta è che, se sembra che i morti in sogno dicano, o indichino, o chiedano qualche cosa, ciò non vuol dire affatto che essi intervengono di persona in queste cose. Capita che anche delle persone vive appaiono spesso a persone anch’esse vive che stanno dormendo, ma che non sanno che stanno loro apparendo, e solo da quelle vengono poi a sapere che le hanno sognate, e si fanno anche raccontare quello che nel sogno hanno fatto o detto. Potrebbe succedere che uno veda me in sogno e che io gli indichi qualcosa che è successo o che gli preannunci qualcosa che dovrà succedere, ma che di tutto questo, nel momento in cui egli mi vede in sogno, io sia completamente all’oscuro e non mi curi affatto, non solo di ciò che sta sognando, ma neanche se egli sta sveglio mentre io dormo, o se egli dorme mentre io sto sveglio, o se nel medesimo tempo stiamo insieme svegli oppure dormiamo tutti e due. Ma allora che c’è di strano se anche i morti, senza che essi ne sappiano niente e senza che sentano niente, tuttavia sono visti in sogno dai vivi e gli dicono delle cose che, quando questi si svegliano, si accorgono che sono vere? Io sarei propenso a credere che questo può succedere piuttosto per un intervento degli Angeli, permesso oppure voluto dall’alto; così può sembrare che i morti dicano in sogno qualcosa sul seppellimento dei loro corpi, ma senza che coloro a cui appartengono quei corpi ne sappiano assolutamente nulla. Son cose che avvengono talvolta con grande utilità, o perché arrecano un po’ di conforto ai vivi a cui appartengono quei morti che gli sono apparsi in sogno, oppure perché sono avvertimenti per la gente, affinché coltivi quel pio senso di umanità della sepoltura, la quale, anche se ai defunti non arreca alcun vantaggio, tuttavia il trascurarla sarebbe un’ingiustificabile mancanza di religiosità. Talvolta però delle false visioni trascinano gli uomini in grandi errori; e gli sta bene, perché se lo meritano. Come se uno vedesse in sogno quello che, per fantasia poetica, si narra abbia visto Enea nell’inferno: come cioè gli fosse apparsa l’ombra di uno non ancora sepolto e gli avesse detto più o meno quello che avrebbe detto allora Palinuro 33; e poi svegliatosi, ne trovasse il corpo proprio dove in sogno gli era stato detto che giaceva inumato e gli era stato raccomandato e supplicato perché lo seppellisse; e constatando che tutto era vero, si facesse anche la convinzione che i morti vengono sepolti proprio perché le loro anime possano raggiungere il loro destino, dal quale ha sognato che una legge infernale esclude le anime dei non sepolti. Ebbene, se uno si facesse una convinzione di questo genere, non andrebbe del tutto fuori della strada della verità?

Due casi di apparizioni in sogno, in uno dei quali vi è preso di mezzo lo stesso Agostino.

11. 13. È per la sua irragionevolezza che l’uomo si comporta così: se uno sogna di vedere un morto, è convinto che ne vede l’anima: se invece, nelle medesime condizioni, si sogna un vivo, non dubita che non gli è apparsa né l’anima né il corpo, ma solo un’immagine di lui. Come se non fosse possibile che anche i morti, senza che ne sappiano niente, appaiano ai vivi mentre dormono, ma non le anime, bensì una loro immagine. Quando ero a Milano mi fu dato per certo che a un tale fu richiesto di saldare un debito, attestato dalla cauzione di suo padre defunto, il quale però, all’insaputa del figlio, lo aveva saldato. Quell’uomo ne ebbe un grandissimo dispiacere e si stupiva che il padre, morendo, non gli avesse parlato di questo debito, tanto più che aveva fatto anche testamento. Mentre era così in ansia, gli apparve in sogno suo padre che gli indicò il posto dove era custodita la ricevuta con cui quella cauzione risultava estinta. Trovato e mostrato questo documento, il giovane non solo poté respingere la calunnia di quel falso debito, ma anche ricuperare l’autografo di suo padre che questi non aveva ritirato quando aveva consegnato il denaro. Certo, questo potrebbe far pensare che l’anima di quell’uomo si fosse presa cura del figlio e gli fosse apparsa in sogno per tirarlo fuori da un impaccio così increscioso, illuminandolo su una cosa che gli era del tutto ignota. Ma più o meno nello stesso tempo in cui sentii parlare di questa cosa, stando io sempre a Milano, successe che a Cartagine il retore Eulogio, che era stato mio discepolo nella stessa materia, come egli stesso mi raccontò dopo che io fui tornato in Africa, mentre veniva spiegando ai suoi discepoli i libri della Retorica di Cicerone, gli capitò che, nel preparare una lezione che doveva fare il giorno dopo, si trovò di fronte a un passo oscuro. Non essendo riuscito a capirlo bene, il suo sonno fu molto agitato; e in sogno quella notte io gli spiegai quel che non era riuscito a capire. Ma non ero io, bensì la mia immagine, e io non ne sapevo niente, ed ero tanto lontano di là dal mare, e chissà che cosa stavo facendo o sognando, per nulla preoccupato delle sue preoccupazioni. Come queste cose possano accadere io non lo so. Ma qualunque sia il modo in cui avvengono, perché non pensare che avvengono nel medesimo modo, sia che si sogni un morto sia che si sogni un vivo? Che cioè tutti e due sono completamente all’oscuro e non hanno consapevolezza di chi, di dove e di quando uno si sogna le loro immagini?

Visioni di nevrotici o di menti malate.

12. 14. Ai sogni si possono paragonare quelle visioni che hanno certe persone, sveglie certamente, ma che hanno i sensi sconvolti, come succede ai frenetici o a coloro che in ogni modo non hanno la testa a posto. Anche questi parlano dentro di se stessi come se parlassero con persone veramente presenti, sia che queste siano presenti o che siano assenti, che siano vive oppure morte, e di cui vedono soltanto le immagini. Però come quelli che sono ancora vivi non sanno affatto di essere veduti o di stare a parlare con costoro (e realmente né sono presenti né parlano con loro, ma semplicemente quegli uomini dai sensi scossi subiscono tali visioni immaginarie), allo stesso modo quelli che se ne sono andati già da questo mondo sono visti come presenti da questi uomini così malati, ma in realtà sono assenti e non sanno affatto che qualcuno li vede così fantasiosamente.

Visione del curiale Curma.

12. 15. A questo si potrebbe ricondurre il caso di certe persone che perdono ogni sensibilità materiale in una maniera più profonda dello stesso dormire e vengono prese in visioni di questo genere. Anche ad esse appaiono immagini di persone vive e di persone morte; ma poi, quando riprendono i sensi, qualunque morto dicano di aver visto, la gente crede che veramente sia stata con il morto; e chi li sta a sentire non pensa che queste persone affermano di aver visto nella stessa maniera anche immagini di gente viva che non era lì e non ne sapeva niente. Un tale che si chiamava Curma, del municipio Tullio, vicino a Ippona, (era un povero curiale, arrivato a fatica alla carica di duumviro, di quel luogo, un sempliciotto della campagna) si ammalò, perdette i sensi, e per alcuni giorni se ne stette supino come se fosse morto. Solo un filo di fiato che, accostando la mano davanti alle narici, si riusciva in qualche modo a sentire ed era l’unico segno appena percettibile che egli era ancora vivo, non consentiva che lo si seppellisse come morto. Gli arti completamente immobili, non mandava giù il minimo alimento; nessun movimento con gli occhi, nessuna reazione del corpo, per quanto lo si stimolasse. Ma egli vedeva tante cose come in sogno, cose che, quando finalmente dopo molti giorni si risvegliò, poté raccontare di aver visto. E prima di tutto, non appena ebbe aperto gli occhi: "Qualcuno", disse, "vada subito a casa di Curma, il fabbro-ferraio, a vedere che cosa vi sta succedendo". Si andò e si constatò che questi era morto in quello stesso istante in cui l’altro aveva ripreso i sensi ed era come risuscitato da morte. E così con grande stupore dei presenti raccontò che all’altro era stato comandato di presentarsi quando lui fu rilasciato e che, in quel luogo dal quale ora tornava indietro, aveva sentito chiaramente che non il Curma curiale, ma il Curma fabbro-ferraio doveva esser condotto in quel luogo di morti. E in quelle visioni che aveva come in sogno tra quei defunti che vedeva trattati in modo diverso a seconda dei diversi meriti, egli riconobbe anche alcuni che sapeva che erano ancora vivi. E io forse ci avrei creduto davvero se in quella specie di sogni non avesse visto anche alcuni che sono vivi ancora adesso, cioè alcuni chierici della sua regione dal cui vescovo del luogo sentì che sarebbe stato battezzato da me a Ippona, cosa che poi affermava essere avvenuta. Perché in quelle visioni, in cui dopo vide dei morti, aveva visto un vescovo, dei chierici e anche me, gente cioè che non era ancora morta. E allora perché non credere che abbia visto quei morti come ha visto noi, cioè assenti e del tutto ignari gli uni e gli altri, e quindi che abbia visto non proprio loro, ma delle immagini sia di loro come anche dei luoghi? Infatti aveva visto anche il podere dove si trovava quel vescovo con i suoi chierici, e anche Ippona dove io l’avevo, come lui diceva, battezzato; nei quali luoghi, quando egli credeva di esserci, certamente non c’era. Difatti non sapeva che cosa stava succedendo in quei luoghi in quel tempo, e senza dubbio l’avrebbe saputo se veramente si fosse trovato lì. Si tratta dunque di visioni dove le cose non si presentano nella loro realtà oggettiva, ma vengono come adombrate attraverso certe loro somiglianze. E in fine, dopo tutte queste visioni, raccontò che anche in paradiso era stato fatto entrare e, sul punto di essere rilasciato per ritornare tra i suoi, sentì una voce che gli diceva: "Va’, fatti battezzare, se vuoi essere in questo luogo di beati". E, ammonito che si facesse battezzare da me, egli rispose che già era stato fatto. Ma di nuovo quegli che gli parlava replicò: "Va’, fatti battezzare sul serio, perché quello che hai visto era solo una visione". Dopo tutte queste cose egli guarì e venne a Ippona. La Pasqua era ormai vicina. Egli diede il nome tra gli altri Competenti, a noi come tanti altri personalmente sconosciuto. E non pensò di raccontare di quella visione né a me né a qualcun altro dei nostri. Ricevette il battesimo, poi, passati i giorni santi, se ne tornò a casa sua. Due anni dopo, o anche più, io venni a sapere di tutte queste cose prima da un mio amico, che era anche amico suo, a tavola con me e si parlava di questi argomenti. Io poi insistetti e feci in modo che queste cose me le raccontasse lui stesso di persona. Erano presenti alcuni suoi onesti concittadini che attestavano sia della sua strana malattia in cui era rimasto come morto per parecchi giorni, sia di quell’altro Curma fabbro-ferraio di cui ho riferito sopra, come pure di tutte le altre circostanze che, mentre egli raccontava, quelli ricordavano e confermavano che anche allora lo avevano sentito raccontare allo stesso modo. E allora, se egli ha potuto vedere il suo battesimo, e me, e Ippona, e la Basilica, e il Battistero non nella loro realtà fisica ma attraverso certe loro immagini, come anche alcune altre persone vive senza che questi vivi ne sapessero niente,

13. 15. Perché non ha potuto allo stesso modo vedere dei morti senza che questi morti ne sapessero niente?

Le anime dei morti non conoscono quel che succede nel regno dei vivi.

13. 16. E perché non pensare che questi potrebbero essere interventi angelici, che avvengono per una disposizione della divina Provvidenza, che sa ben servirsi tanto dei buoni che dei cattivi secondo l’imperscrutabile sublimità dei suoi giudizi 34, sia che con queste cose le menti umane vengano illuminate oppure oscurate, sia che vengano consolate o anche intimorite, a seconda che a ciascuno debba essere usata misericordia oppure irrogata la pena da colui di cui non senza significato la Chiesa esalta la misericordia e il giudizio 35? Ognuno prenda come vuole quello che sto per dire. Se le anime dei morti si occupassero dei fatti dei vivi, e se, quando le vediamo nei sogni, fossero proprio esse a parlarci, per tacere di altre cose, la mia santa madre neanche una notte mi lascerebbe, lei che per terra e per mare mi è venuta sempre dietro per vivere con me. E come può una vita più felice averla resa crudele a tal punto che, quando il mio cuore è angustiato per qualche cosa, essa non corre a consolare il figlio addolorato che ha tanto amato e che mai ha accettato di vederlo mesto? Sì, è certamente vero quello che afferma il sacro salmo: Mio padre e mia madre mi hanno lasciato, ma il Signore mi ha raccolto 36. Se dunque i nostri genitori ci hanno lasciato, come potranno occuparsi delle nostre preoccupazioni e delle nostre cose? Ma se non se ne occupano i nostri genitori, quali altri morti possono sapere che cosa facciamo e che cosa stiamo soffrendo? Il profeta Isaia dice: Tu sei il padre nostro, perché Abramo non ci riconosce e Israele non si ricorda di noi 37. Se patriarchi così grandi non poterono sapere che cosa avveniva di quel popolo che pure era nato dal loro seme, popolo che era stato loro promesso come continuazione della loro stirpe perché avevano creduto in Dio, come fanno i morti a farsi presenti nel conoscere e nell’aiutare i vivi nelle loro cose e nelle loro azioni? E come possiamo dire che sono nella pace, se essi, per quanto siano morti prima che succedessero le disgrazie capitate dopo la loro morte, tuttavia anche da morti sono toccati da quelle sventure che capitano nella vita degli uomini? O siamo noi a sbagliarci nel pensare così e li crediamo nella pace, mentre invece stanno lì a soffrire per la inquieta vita dei vivi? Ma allora come si spiegherebbe che Dio abbia promesso al piissimo re Giosia come una grande grazia che sarebbe morto prima per non vedere i mali che egli minacciava di mandare su quel luogo e su quel popolo? Ecco le parole che disse Dio: Questo dice il Signore Dio di Israele: Quanto alle parole che hai udito... e ti sei commosso davanti a me mentre ascoltavi le mie parole riguardo a questo luogo e a quelli che vi abitano, che cioè diverranno una desolazione e una maledizione; poiché tu ti sei stracciato le vesti e hai pianto davanti a me; ecco, anche io ho ascoltato, dice il Signore degli eserciti: per te io ti riunirò ai tuoi padri; tu sarai sepolto in pace e i tuoi occhi non vedranno tutte le sventure che io farò cadere su questo luogo e su coloro che vi abitano 38. Egli, spaventato dalle minacce di Dio, aveva pianto e si era stracciato le vesti. Però il pensiero che sarebbe morto prima lo mise al sicuro da tutte quelle disgrazie che stavano per sopraggiungere, certo che avrebbe riposato in pace e non avrebbe visto tutte quelle sventure. Le anime dei defunti perciò sono in uno stato in cui non si vede quel che si fa o succede tra gli uomini in questa vita. Come possono quindi vedere i loro sepolcri o se i loro corpi giacciano insepolti oppure tumulati? Come potrebbero esser partecipi delle miserie dei vivi, quando loro stessi avessero il loro soffrire, se così hanno meritato, oppure, come fu promesso a questo Giosia, riposano in una pace in cui nessun male hanno da sopportare né patendo né compatendo, affrancati ormai da tutti i mali che, o patendo o compatendo, gli toccava di soffrire quando ancora vivevano quaggiù?

Obiezione dalla parabola del ricco epulone.

14. 17. Qualcuno però potrebbe obiettare: Se i morti non si occupano affatto dei vivi, come mai quel ricco che era tormentato nell’inferno scongiurava il padre Abramo che mandasse Lazzaro ai suoi cinque fratelli, i quali non erano ancora morti, e facesse il possibile che non venissero anche loro in quel luogo di tormenti? Ma il fatto che il ricco si espresse in questo modo non dimostra che egli sapesse che cosa stessero facendo o che cosa stessero soffrendo i suoi fratelli in quel momento. Egli si poté occupare di persone vive anche se era del tutto all’oscuro di quel che stavano facendo, allo stesso modo che anche noi ci occupiamo dei morti anche se non sappiamo che cosa stanno facendo. Se non ci occupassimo affatto dei morti, certamente non staremmo a pregare Dio per loro. E del resto Abramo non mandò Lazzaro, ma rispose che quaggiù essi avevano Mosè e i Profeti e che dovevano ascoltar loro per evitare di incorrere in quei tormenti. Ma, si dirà ancora, come mai questo padre Abramo ignorava che cosa si faceva in questo mondo, se sapeva che c’erano Mosè e i Profeti, cioè i loro libri, e che obbedendo a questi gli uomini potevano evitare i tormenti dell’inferno? E dove aveva saputo che quel ricco era vissuto in mezzo alle delizie e il povero Lazzaro in mezzo alle fatiche e alle sofferenze? Perché anche questo gli fece notare: Figlio, ricordati che tu hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro invece i suoi mali 39. Quindi queste cose, che non si erano verificate tra i morti ma tra i vivi, egli le sapeva. Però egli le poté venire a conoscere su indicazione di Lazzaro, non mentre si verificavano tra i vivi, ma dopo che questi erano morti. E così resta valido quanto afferma il Profeta: Abramo non ci riconosce 40.

Ciò che i morti sanno riguardo ai vivi possono averlo appreso o da persone morte dopo di loro, o da Angeli o dallo Spirito di Dio.

15. 18. E allora bisogna convenire che i morti non sanno quel che succede nel momento in cui succede, ma che poi ne possono venire a conoscenza tramite coloro che, morendo, sono passati da qui a loro; e poi non qualunque cosa, ma solo ciò che a questi è consentito indicare, quindi anche di ricordare e, a quelli cui viene indicato sia opportuno sapere. Anche dagli Angeli, che sono presenti alle cose che avvengono quaggiù, i morti possono venire a sapere quanto Colui a cui tutto è soggetto, giudica che ciascuno debba sapere. Infatti se gli Angeli non avessero la possibilità di esser presenti nei luoghi dove si trovano sia i vivi che i morti, il Signore Gesù non avrebbe detto: Successe che il povero morì e fu portato dagli Angeli nel seno di Abramo 41. Se essi portarono da qui a lassù quel poveretto come Dio volle, vuol dire che essi poterono trovarsi sia qui che lassù. Inoltre anche le stesse anime dei defunti possono venire a conoscenza, per rivelazione dello Spirito di Dio, di alcune cose che avvengono quaggiù e che è necessario che esse conoscano, e questo non solo nei riguardi di cose passate o presenti, ma anche future. Come non tutti gli uomini, ma solo i Profeti, mentre vivevano in questo mondo, conoscevano certe cose, e neanche essi conoscevano tutto, ma solo quello che la Provvidenza di Dio considerava di dover loro rivelare. Ed è la Scrittura stessa ad attestare che alcuni morti furono mandati dai vivi, come al contrario Paolo, ancora vivo, era stato rapito fino in paradiso 42. Così il profeta Samuele, già morto, al re Saul, che era ancora vivo, predisse quello che gli stava per capitare 43; anche se alcuni pensano che, con quelle arti magiche, non poteva esser lui, Samuele, ad essere evocato ma semmai, nelle sembianze del profeta, un qualche spirito cattivo, all’altezza della malvagità di quelle arti. Però il libro dell’Ecclesiastico, che si dice scritto da Gesù figlio di Sirach, ma che per certe somiglianze di espressioni viene attribuito a Salomone, tessendo le lodi dei Patriarchi, afferma che Samuele anche da morto continuò a profetare 44. Ché se a questo libro non si vuole prestar fede a motivo del canone degli Ebrei (perché nel loro canone non figura), che cosa diremo di Mosè che con certezza nel Deuteronomio viene dato come morto 45 e nel Vangelo insieme ad Elia (che però morto non è) si legge che è apparso a persone viventi 46?

Così se i martiri intervengono talora nelle cose dei vivi, non è per un loro potere connaturale, ma per un miracolo della potenza di Dio.

16. 19. Con questo esempio si può risolvere la questione di come i martiri, attraverso i tanti benefici che vengono concessi a chi li prega, fanno vedere che si interessano alle cose degli uomini, anche se i morti non sanno quel che succede tra i vivi. Anche noi siamo venuti a conoscenza non da dicerie stravaganti ma da testimoni sicuri che, quando Nola era assediata dai Barbari, il confessore Felice, di cui ami così devotamente la vicinanza, si è fatto sentire non solo concedendo tanti benefici, ma anche apparendo in sembianze umane. Sono cose che manifestano chiaramente un intervento divino, ben diverso da come normalmente si comporta l’ordine naturale disposto per i singoli generi delle creature. Se l’acqua, al comando del Signore, si è cambiata repentinamente in vino 47, noi non possiamo non distinguere quello che è l’acqua nell’ordine naturale delle cose e questo caso raro, anzi unico dell’intervento divino. Né perché Lazzaro è risuscitato 48, ogni morto può risuscitare quando vuole o uno che è spirato può essere rianimato da un vivente allo stesso modo che uno che dorme può essere risvegliato da uno che sta sveglio. Un conto sono i limiti delle cose umane, un conto i segni della potenza di Dio; un conto ciò che avviene per legge naturale, un conto ciò che avviene come miracolo di Dio, anche se Dio è sempre presente nella natura perché essa continui ad essere e non manchi neanche dei segni di Dio. E così per il fatto che dei martiri si son fatti presenti per guarire o per aiutare qualcuno non si deve pensare che qualsiasi defunto si possa interessare delle cose dei vivi. Semmai è più giusto pensare che per potenza divina i martiri intervengono nelle cose degli uomini proprio perché i defunti, nella loro condizione naturale, non possono intervenire nelle cose dei vivi.

In qual modo i martiri sembrano intervenire in favore di chi li invoca, Agostino confessa di non saper.

16. 20. Però se diamo per certo che sono proprio i martiri a venire in aiuto a coloro che aiutano, qui c’è una questione che supera le possibilità della mia intelligenza. Sono essi, i martiri stessi, a presentarsi nel medesimo tempo e nei luoghi più disparati e tanto lontani tra loro, nei pressi delle loro Memorie oppure, indipendentemente da queste, in tutti quei luoghi dove si sente dire che appaiono? Oppure essi se ne stanno nella pace del posto che conviene ai loro meriti, distaccati da ogni preoccupazione per i mortali, anche se intenti a pregare in modo generale per i bisogni di chi li supplica (come del resto anche noi preghiamo per i morti senza essere presenti ad essi e senza sapere dove stanno e che cosa fanno); ma è lo stesso Dio onnipotente, presente dovunque, non mescolato con noi né separato da noi, il quale esaudisce quelle preghiere dei martiri e fa arrivare questi aiuti agli uomini ai quali giudica opportuno mandarli tra le miserie di questa vita e si serve per questo del ministero degli Angeli che si trovano dappertutto? In tal modo con la sua potenza e bontà mirabili e ineffabili egli esalta i meriti dei suoi martiri dove vuole, quando vuole, come vuole; e questo soprattutto tramite le loro Memorie, perché conosce che è un bene per noi, per edificare la fede di Cristo che essi hanno confessato a prezzo della vita. Però questa cosa è troppo alta perché io la possa capire e troppo astrusa perché io la possa districare. Perciò non posso pronunziarmi quale delle due possibilità sia la giusta (o che magari siano giuste tutte e due), che cioè a volte queste cose si verifichino con la presenza stessa dei martiri e a volte con la mediazione degli Angeli che si presentano con le sembianze dei martiri. Mi piacerebbe informarmi presso chi le può sapere. Non è possibile che non le sappia nessuno: non però presso chi presume di saperle e non le sa. Perché questi sono doni di Dio che a uno elargisce una cosa, a un altro un’altra, come afferma l’Apostolo che dice che a ciascuno è data una manifestazione dello Spirito per l’utilità di tutti: A uno, dice, viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza, a un altro invece per mezzo dello stesso Spirito il linguaggio della scienza, a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito, a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell’unico Spirito, a uno il potere dei miracoli, a un altro il dono della profezia, a un altro il dono del discernimento degli spiriti, a un altro la varietà delle lingue, a un altro l’interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose è l’unico e medesimo Spirito che le opera distribuendole a ciascuno come vuole 49. Ora tra tutti questi doni spirituali che ha elencato l’Apostolo colui al quale è dato il discernimento degli spiriti è quello che sa queste cose come bisogna saperle.

Su questo gli piacerebbe poter interrogare il monaco Giovanni, che passa per uno che ha il dono della profezia.

17. 21. Uno di questi dovrebbe essere stato quel Giovanni monaco che l’imperatore Teodosio il Grande consultò sull’esito della guerra civile; perché egli aveva anche il dono della profezia. Io infatti non dubito che dei suddetti doni non ne viene dato solo uno a ciascuno, ma che uno ne può avere anche diversi. Questo Giovanni, dunque, siccome una donna molto religiosa desiderava insistentemente di vederlo e a questo scopo faceva molte pressioni tramite suo marito, e d’altra parte Giovanni non voleva, perché mai aveva permesso una cosa simile a delle donne: "Va’", gli disse, "di’ a tua moglie che mi vedrà questa notte, ma in sogno". E avvenne proprio così; e le fece molte raccomandazioni su come si deve comportare una fedele sposata. Svegliatasi, essa raccontò a suo marito di aver visto l’uomo di Dio tale quale egli lo conosceva e tutto quello che le aveva detto. A me questo l’ha raccontato una persona seria, di alto rango, degnissima di essere creduta, la quale proprio da loro aveva saputo le cose. Io però, se quel santo monaco l’avessi visto di persona, siccome, si dice che si lasciava interrogare con tanta pazienza e con altrettanta sapienza rispondeva, gli avrei chiesto, riguardo alla nostra questione, se proprio lui, personalmente, fosse venuto nel sogno a quella donna (cioè il suo spirito nelle sembianze del suo corpo, come succede quando uno sogna se stesso nelle sembianze del proprio corpo), oppure se, intento ad altre cose o magari dormendo, immerso in altri sogni, la visione di quella donna nel suo sogno si fosse formata per l’intervento di un angelo oppure in qualche altro modo. E se fu per rivelazione dello Spirito di profezia che egli previde e promise quello che sarebbe successo. Perché se di persona le si fece presente in sogno, questo poté avvenire per una grazia speciale e non per un fatto naturale, per un intervento di Dio e non per possibilità umane. Se invece la donna lo sognò mentre egli stava facendo tutt’altra cosa o dormiva ed era occupato in altri sogni, allora è successo qualcosa di simile a quel che si legge negli Atti degli Apostoli, dove il Signore Gesù parla di Saulo con Anania e gli dice che Saulo ha visto Anania che veniva da lui, mentre Anania non ne sapeva niente 50. Ma qualunque cosa mi avesse risposto quell’uomo di Dio sull’argomento, io anche riguardo ai martiri avrei insistito per chiedere se sono proprio loro a presentarsi nella figura che vogliono a chi li sogna o comunque li vede (e soprattutto quando ci sono di mezzo dei demoni costretti a confessare di essere da essi straziati negli uomini e li supplicano di essere lasciati in pace), oppure son cose che avvengono per disposizione di Dio che si serve di potenze angeliche per onorare e glorificare i suoi santi ad utilità degli uomini, mentre invece essi, ormai fissi nella suprema pace, nella contemplazione di ben altre visioni, sono lontani da noi, anche se pregano per noi. A Milano presso i santi martiri Protasio e Gervasio i demoni erano costretti a lodare il vescovo Ambrogio, ancor vivo, dicendone espressamente il nome nel modo come dicevano quello di altri morti, e lo scongiuravano che non li tormentasse; e intanto lui chissà cosa faceva e certamente era all’oscuro di queste cose. In conclusione, se queste cose avvengano a volte con la presenza dei martiri e a volte con quella degli Angeli; se sia possibile per noi distinguere questi due casi e in base a quali segni; oppure se non sia possibile sentirli e giudicarli se non da chi possiede quel dono per mezzo dello Spirito di Dio che distribuisce a ciascuno come egli vuole; questi argomenti avrebbe trattato con me quel Giovanni per lungo e per largo, ne son sicuro: e così alla sua scuola o avrei imparato e riconosciuto come vere e certe le cose che diceva, oppure avrei creduto cose che non sapevo per il fatto che me le diceva lui che le sapeva. Oppure se, prendendo dalla Sacra Scrittura, mi avesse risposto dicendo: Non cercare le cose troppo difficili per te, non indagare le cose per te tropo grandi, ma le cose che ti ha comandato il Signore quelle considera sempre 51, anche questo lo avrei accolto con gratitudine. Perché non sarebbe piccolo frutto se, di tante cose oscure e incerte che non riusciamo a capire, ci diventa chiaro e certo che non è bene indagare; e di tante cose che uno vorrebbe imparare pensando quanto gli sarebbe utile saperle, impari almeno che non è un danno ignorarle.

Epilogo: Per aiutare i defunti nulla c’è di meglio che le Messe, le preghiere e le elemosine. Senza trascurare anche le onoranze funebri.

18. 22. In conclusione non pensiamo di poter essere di aiuto ai morti che ci stanno a cuore, se non suffragandoli devotamente con i sacrifici delle Messe, delle preghiere e delle elemosine, anche se non giovano a tutti coloro per i quali si fanno, ma solo a quelli che durante la vita si son meritati che gli giovassero. Però siccome non possiamo sapere quali siano costoro, bisogna che siano fatti per tutti i battezzati, perché non sia trascurato nessuno di coloro a cui questi aiuti possono e debbono arrivare. Perché è meglio che sovrabbondino a quelli a cui non fanno né male né bene, anziché manchino a quelli a cui farebbero bene. Certo queste cose uno le fa con maggiore diligenza per i suoi cari, meritando che poi si faccia così anche per lui. Riguardo poi alle onoranze del corpo qualunque cosa si faccia, non porta un vantaggio alla sua salvezza, ma è un dovere di umanità per quell’affetto naturale per cui nessuno mai ha avuto in odio la propria carne 52. Perciò bisogna che ognuno quanto meglio può si prenda cura della carne del prossimo quando ormai quello che la portava non c’è più. E se questo lo fanno coloro che non credono alla risurrezione della carne, quanto più debbono farlo coloro che ci credono, cosicché questo religioso dovere, compiuto per un corpo già morto ma che risusciterà e che rimarrà vivo in eterno, sia anch’esso in qualche modo una testimonianza di questa fede. Che poi uno venga sepolto presso i sepolcri dei martiri, a me pare che al defunto porti questo solo vantaggio che, raccomandandolo così al patrocinio dei martiri, aumenti anche il desiderio che si preghi per lui.

Saluti e convenevoli.

18. 23.Ai quesiti che hai creduto sottopormi questa è la mia risposta, come ho potuto dartela. Se essa è più prolissa di quanto occorreva, mi scuserai: ciò è dovuto alla gioia che avevo di parlare più a lungo con te. Ti chiedo di farmi sapere con un tuo scritto come la tua venerabile carità abbia accolto questo libro, che certamente ti renderà ancor più gradito colui che te lo porterà, cioè il nostro fratello e compresbitero Candidiano che, conosciuto attraverso la tua lettera, ho accolto con tutto il cuore e ora mi dispiace farlo partire. La sua presenza nella carità di Cristo è stata per noi di grande gioia e, bisogna che te lo dica, anche per le sue insistenze ti ho accontentato. Perché il mio spirito è pressato da tante occupazioni che, se le sue continue sollecitazioni non me le avessero fatte dimenticare, di certo alla tua domanda la risposta non sarebbe arrivata.


Note:




1 - 2 Cor 5, 10.

2 - Cf. 2 Mac 12, 43.

3 - VERGILIUS, Aen. 6, 327-328.

4 - Cf. Mt 10, 28-30.

5 - Cf. Lc 12, 4.

6 - Cf. Lc 12, 17.

7 - Mt 10, 28.

8 - Lc 12, 4.

9 - Sal 78, 2-3.

10 - Sal 115, 15.

11 - Cf. Lc 16, 19-22.

12 - LUCANUS, Phars. 7, 819.

13 - Cf. 1 Cor 15, 52.

14 - De civ. Dei, 1.

15 - Gn 23, 3; 25, 9-10; 47, 30.

16 - Cf. Tb 2, 9; 12, 12.

17 - Cf. Mt 26, 7-13.

18 - Cf. Gv 19, 38.

19 - Cf. Gn 47, 30; 50, 25.

20 - De civ. Dei, 1, 13.

21 - Cf. RUFINUS, Patrol. 21 ss.; EUSEBIUS, Hist. Eccl. lib. 5, 1.

22 - Lc 12, 4; cf. Mt 10, 28.

23 - Ef 5, 29.

24 - 1 Re 13, 21-22.

25 - 1 Cor 11, 31-32.

26 - Cf. 1 Re 24-32; 2 Re 23, 16-18.

27 - Cf. Ef 5, 29.

28 - Cf. EUSEBIUS, Hist. Eccl. lib. 5, 1.

29 - Cf. 2 Sam 2, 5.

30 - Cf. VERGILIUS, Aen. 6, 326-328.

31 - Lc 12, 4.

32 - Cf. Ef 5, 29.

33 - Cf. VERGILIUS, Aen. 6, 337-383.

34 - Cf. Rm 11, 33.

35 - Cf. Sal 100, 1.

36 - Sal 26, 10.

37 - Is 63, 16.

38 - 2 Re 22, 18-20; 2 Cr 34, 22 s.

39 - Cf. Lc 16, 22 ss.

40 - Cf. Is 63, 16.

41 - Lc 16, 22-29.

42 - Cf. 2 Cor 12, 2.

43 - Cf. 1 Sam 28, 7-19.

44 - Cf. Sir 46, 23.

45 - Cf. Dt 34, 5.

46 - Cf. Mt 17, 3.

47 - Cf. Gv 2, 9.

48 - Cf. Gv 11, 44.

49 - 1 Cor 12, 7-11.

50 - Cf. At 9, 10-15.

51 - Sir 3, 22.

52 - Cf. Ef 5, 29.








Vita del giovanetto Savio Domenico allievo dell'oratorio di San Francesco di Sales

San Giovanni Bosco - San Giovanni Bosco

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Estratto di lettera pastorale di mons. Gioanni Antonio Gianotti Arcivescovo e Vescovo di Saluzzo

Ai venerandi paroci della sua diocesi in favore delle Letture Cattoliche.

 

Prima di chiudere questa nostra Lettera, non possiamo a meno di eccitare il vostro zelo per la propagazione di un libretto periodico, la cui lettura, attese le circostanze dei tempi, crediamo sommamente utile alle famiglie cristiane.

            Voi lo sapete, Ven. Fr., che alcuni anni sono, con apposita Lettera pastorale, diretta ai fedeli di Nostra Diocesi abbiamo loro dimostrato i {3 [153]} gravissimi danni che cagionano alla fede ed al buon costume tanti libri e fogli empi e licenziosi, di cui sono inondate le nostre contrade. Ora vedendo che questi danni si hanno pur troppo tuttavia a deplorare, vi suggeriamo a voler unire la vostra alla nostra sollecitudine, e vegliare non solo per impedire che il nemico delle anime semini di nascosto la zizzania nel campo evangelico, ma adoperarvi colla più industriosa carità per ispargere dovunque la buona semenza della parola di Dio e delle cattoliche dottrine. La qual cosa si potrà da voi eseguire non solo colle apposite istruzioni che farete in Chiesa, ma ancora col disseminare nelle famiglie l'accennato libretto intitolato Letture Cattoliche, che già altra volta vi abbiamo raccomandato. Sia per la scelta degli {4 [154]} argomenti, sia per la chiarezza dell'esposizione e dello stile, sia finalmente per la modicità della spesa[1], ci parve il più adattato all'intelligenza, come ai bisogni del popolo. E tanto più caldamente potrete raccomandarne la lettura, in quanto che il medesimo supremo Gerarca della Chiesa Pio IX degnavasi d'incoraggiare i collaboratori della pia impresa a continuarvi, e di più, per mezzo di Circolare di S. Em. il Cardinale Vicario, eccitava tutti gli Arcivescovi e Vescovi dello Stato Pontificio a diffondere il più che fosse possibile queste Letture Cattoliche per tutte le città e castelli soggetti alla spirituale loro giurisdizione. {5 [155]} Preghiamo, Ven. Fr., il Dio delle misericordie, affinchè riguardi con occhio pietoso le afflizioni della sua Chiesa, e faccia risplendere sopra la nostra cara patria giorni più sereni e tranquilli per la santa nostra cattolica Religione, e che intanto ci accordi la pazienza, il coraggio e lo zelo di cui, come suoi fedeli Ministri, abbisogniamo per combattere le sue guerre, trionfare de' suoi nemici, e condurre le anime affidate alla nostra cura spirituale al sospirato porto della beata eternità.

 

            Saluzzo il 9 ottobre 1858.

 

GIOANNI ARCIV. VESCOVO.

 

G. GARNERI Segretario. {6 [156]}

 

 

Giovani carissimi:

 

Voi mi avete più volte dimandato, Giovani carissimi, di scrivervi qualche cosa intorno al vostro compagno Savio Domenico: ed io ho fatto quello che ho potuto per appagare questo vostro pio desiderio. Eccovi la vita di lui descritta con quella brevità e semplicità che so tornare a voi di gradimento.

            Due difficoltà si opponevano alla pubblicazione di questo lavoro; la prima è la critica cui per lo più va soggetto chi scrive cose delle quali avvi moltitudine di testimonii viventi. Questa difficoltà credo di aver superato col farmi uno studio di narrare unicamente le cose che da voi o da me {7 [157]} furono vedute, e che quasi tutte conservo scritte e segnate di vostra mano medesima.

            Altro ostacolo era il dover più volte parlare di me, perciocchè essendo questo giovane vissuto circa tre anni in questa casa mi tocca sovente riferire cose, di cui ho avuto parte. Questo ostacolo credo pur di aver superato tenendomi al dovere dello storico, che e di scrivere la verità dei fatti, senza badare alle persone. Tuttavia se troverete qualche fatto, ove io parli di me con qualche compiacenza, attribuitela al grande affetto che io portava all'amico defunto e che porto a tutti voi; il quale affetto mi fa aprire a voi l'intimo del mio cuore, come farebbe un padre che parla a' suoi amati figliuoli.

            Taluno di voi dimanderà, perchè io abbia scritto la vita di Savio Domenico e non quella di altri giovani che vissero tra di noi con fama di specchiata, virtù. È vero, miei cari, la {8 [158]} Divina Provvidenza si degnò di mandarci parecchi modelli di virtù; tali furono Fascio Gabriele, Rua Luigi, Gavio Camillo, Massaglia Giovanni ed altri; ma le azioni di costoro non sono state egualmente note e speciose come quelle del Savio, il cui tenor di vita fu notoriamente maraviglioso. Però, se Dio mi darà sanità e grazia, ho in animo di raccogliere le azioni di questi vostri virtuosi compagni, per essere in grado di appagar i vostri e i miei desiderii col darvele a leggere e ad imitare in quello che è compatibile col vostro stato.

            Intanto cominciate a trar profitto di quanto qui vi verrò descrivendo; e dite in cuor vostro quanto diceva S. Agostino: Si ille, cur non ego? Se un mio compagno, della stessa mia età, nel medesimo luogo, esposto ai medesimi e forse maggiori pericoli, tuttavia trovò tempo e modo di mantenersi fedele seguace di Gesù Cristo, perchè non posso fare anche io lo {9 [159]} stesso? Ricordatevi però bene che la religione vera non consiste in sole parole; bisogna venir alle opere; quindi, trovando qualche cosa degna di ammirazione, non contentatevi di dire: questo è bello, questo mi piace: dite piuttosto: voglio adoperarmi per fare quelle cose che, lette di altri, mi eccitano alla maraviglia.

            Dio doni a voi e a tutti i lettori di questo libretto sanità e grazia per trar profitto di quanto ivi andranno leggendo, e la Vergine Santissima, di cui il giovane Savio era fervoroso divoto, ci ottenga di poter fare un cuor solo ed un'anima sola per amare il nostro Creatore, che è il solo degno di essere amato sopra ogni cosa, e fedelmente servito in tutti i giorni di nostra vita. {10 [160]}

 

 

Capo Primo. Patria - indole di questo giovine suoi primi atti di virtù.

 

            I genitori del giovane, di cui intraprendiamo a scrivere la vita, furono Savio Carlo e Brigida di lui consorte, poveri, ma onesti contadini di Castelnuovo d'Asti, paese distante dieci miglia da Torino. L'anno 1841 il Carlo Savio, trovandosi in gravi strettezze e privo di lavoro, andò con sua moglie a dimorare in Riva, paese distante due miglia da Chieri, e si diede a fare il fabbro-ferraio, mestiere in cui erasi nella sua giovinezza esercitato. Mentre dimoravano in questo paese Dio benedisse il loro matrimonio concedendo un figliuolo che doveva essere la loro consolazione. La nascita di lui avvenne il 2 di aprile 1842. Quando lo portarono ad essere rigenerato nelle acque battesimali, gl'imposero il nome {11 [161]} di Domenico, la qual cosa, sebben per se sia indifferente, tuttavia fu soggetto di alta considerazione pel nostro fanciullo, siccome vedremo.

            Compieva Domenico il secondo anno di sua età, quando, per alcune convenienze di famiglia, i suoi genitori deliberarono di ritornare in patria, e andarono a fissare la loro dimora in Murialdo, borgata di Castelnuovo d'Asti.

            Le sollecitudini de' buoni genitori erano tutte rivolte a dare una cristiana educazione al loro fanciullo, che fin d' allora formava l'oggetto delle loro compiacenze. Egli aveva sortito dalla natura un'indole buona, un cuore propriamente nato per la pietà. Apprese con maravigliosa facilità le preghiere del mattino e della sera ed all' età di soli quattro anni già recitavate da sè. Anche in quell'età di naturale divagazione egli dipendeva in tutto e per tutto dalla sua genitrice: e se qualche volta da lei si allontanava era solamente per mettersi in qualche cantuccio della casa e fare con maggior libertà preghiere lungo il giorno.

            «Fin dalla più tenera età, affermano i suoi genitori, nella quale per mancanza di {12 [162]} riflessione i ragazzi sono un disturbo ed un cruccio continuo per le madri; età in cui tutto vogliono vedere, toccare e per lo più guastare, il nostro Domenico non ci diede mai il minimo dispiacere. Non solo era ubbidiente, pronto a qualsiasi nostro comando, ma studiava di prevenire le cose, che egli scorgeva tornar a noi di gradimento.» Erano poi curiose e nel tempo stesso piacevoli le accoglienze che faceva al padre quando il vedeva giungere a casa, dopo i suoi ordinari lavori. Correva ad incontrarlo e presolo per mano e talor saltandogli al collo, caro papà, gli diceva, quanto siete stanco! non è vero? voi lavorate tanto per me ed io non sono buono ad altro che a darvi fastidio; io pregherò il buon Dio che doni a voi la sanità, e che mi faccia buono. Così dicendo lo accompagnava in casa, gli presentava la sedia o lo scanno perchè vi si sedesse; gli teneva compagnia e gli faceva mille carezze. Questo, dice il padre, era per me un dolce conforto nelle mie fatiche, ed io era come impaziente di giungere a casa per imprimere un tenero bacio al mio Domenico, che possedeva tutti gli affetti del mio cuore.

            La sua divozione cresceva più dell'età, {13 [163]} ed a' soli quattro anni non occorreva più di avvisarlo di recitare le preghiere del mattino e della sera, prima e dopo il cibo, dell'angelus; che anzi era egli che invitava gli altri di casa a recitarle qualora se ne fossero dimenticati.

 

 

Capo II. Morale condotta tenuta in Murialdo - Bei tratti di virtù - Frequenza della scuola di quella borgata.

 

            Qui ci sono cose che appena si crederebbero se chi le asserisce non escludesse i nostri dubbi. Io mi tengo alla relazione che il Cappellano di quella Borgata[2] ebbe la cortesia di farmi intorno a quel suo caro alunno.

            «Nei primi giorni, egli dice, che io sono venuto a questa borgata di Murialdo, vedeva spesse volte un ragazzino di forse cinque anni venire alla chiesa in compagnia di sua madre. La serenità del suo {14 [164]} sembiante, la compostezza della persona, l' atteggiamento divolo trassero sopra di lui gli sguardi miei e gli sguardi degli altri. Che se giunto alla chiesa l'avesse trovata chiusa, allor succedeva un ameno spettacolo. Ben lungi dallo scorrazzare o schiamazzare da se o con altri, come sogliono fare i ragazzi di tale età, egli recavasi sul limitare della porta, si metteva in ginocchio e col capolino chinato e colle innocenti manine giunte dinanzi al petto fervorosamente pregava finchè venisse aperta la chiesa. Si noti che talvolta il terreno era coperto di tango, oppure cadeva neve o pioggia, ma egli a nulla badava e mettevasi colà per pregare. Maravigliato e mosso da pia curiosità ho voluto sapere chi fosse quel fanciullo, che era divenuto l'oggetto della mia ammirazione, e seppi essere il figliuolo del ferraio Carlo Savio.

            Quando poi m'incontrava per la strada cominciava di lontano a dar segni di compiacenza, e con un'aria veramente angelica preveniva rispettosamente il mio saluto. Cominciò egli pure a venire alla scuola, e poichè era fornito d'ingegno ed era assai diligente nell' adempimento de' suoi doveri {15 [165]} fece in breve tempo notevole progresso nello studio. Egli era costretto a conversare con giovani discoli e divagali, ma non mi è mai accaduto di vederlo in contesa. Che se fosse avvenuto qualche alterco, egli, sopportando con pazienza gl' insulti dei compagni, tosto da loro si allontanava. Nè mi ricordo di averlo veduto a prendere parte a divertimenti pericolosi, a dare il minimo disturbo nella scuola. Anzi molti compagni lo invitavano ad andare seco loro a far delle burle a persone di età avanzata, a scagliar sassi, a rubar frutta altrui o a cagionar guasti nelle campagne; ma egli destramente sapeva disapprovare la loro condotta e rifiutavasi dal prendervi parte.

            La pietà già dimostrata pregando sul limitare della Chiesa non venne meno col crescere degli anni. Di cinque anni egli aveva già imparato a servire la santa Messa e la serviva divotissimamente. Ogni giorno vi andava, e se altri voleva servirla, egli la sentiva, altrimenti vi si prestava con un contegno il più edificante. Siccome era giovane di età e piccolo di statura, non poteva trasportare il messale; ed era cosa curiosa il vederlo avvicinarsi ansioso all'altare, levarsi sulla punta dei piedi, {16 [166]} tendere quanto poteva le piccole braccia, fare ogni sforzo per toccare il leggìo. Se il sacerdote od altri avesse voluto fargli la cosa più cara del mondo, doveva, non già trasportare il messale, ma solo avvicinargli il leggìo tanto che lo potesse raggiungere, ed allora egli con gioia lo portava all'altro lato dell'altare.

            Si confessava con frequenza e come fu capace di distinguere il pane celeste dal pane terreno venne ammesso alla santa Comunione, che egli riceveva con una divozione veramente ammirabile. Alla vista di que' belli lavori, che la grazia Divina compieva in quell' anima innocente ho più volte detto tra me: ecco un giovanetto di ottime speranze. Dio voglia che gli si apra una strada per condurre a maturità frutti cosi preziosi.» Fin qui il Cappellano di Murialdo.

 

 

Capo III. È ammesso alla prima comunione - Apparecchio - Raccoglimento e ricordi di quel giorno.

 

            Nulla mancava a Domenico per essere ammesso alla prima comunione. Sapeva a {17 [167]} memoria tutto il piccolo catechismo; aveva chiara cognizione di questo augusto sacramento, e ardeva del desiderio di accostarvisi; soltanto l'età se gli opponeva, perciocchè ne' villaggi ordinariamente non si ammettono fanciulli a fare la prima comunione se non agli undici o dodici anni compiuti. Il Savio correva solo il settimo anno di sua età. Oltre la fanciullesca età aveva un corpicciuolo che lo faceva parere ancor più giovane; sicchè il Cappellano esitava a promuoverlo. Ne dimandò anche consiglio ad altri sacerdoti, e ponderata bene la cognizione precoce, l'istruzione ed i vivi desiderii di Domenico, si lasciarono da parte tutte le difficoltà e fu ammesso a partecipare per la prima volta del cibo degli Angeli.

            È assai difficile esprimere gli affetti di santa gioia, di cui gli riempi il cuore un tale annunzio. Corse a casa, lo disse con trasporto alla madre; ora pregava, ora leggeva, passava molto tempo in chiesa prima e dopo la messa, e pareva che l'anima sua abitasse già cogli angeli del Cielo. La vigilia del giorno fissato per la comunione chiamò la sua genitrice: mamma, le disse, domani vo a fare la mia {18 [168]} comunione; perdonatemi tutti i dispiaceri che vi diedi pel passato: per l'avvenire vi prometto di essere molto più buono; sarò attento alla scuola, ubbidiente, docile rispettoso a quanto sarete per comandarmi. Ciò detto fu commosso e si mise a piangere. La madre che non aveva ricevuto da lui altro che consolazioni ne fu ella pure commossa e rattenendo a stento le lagrime lo consolò dicendogli: va pure tranquillo, caro Domenico, tutto è perdonato: prega Iddio che ti conservi sempre buono, pregalo anche per me e per tuo padre. -

            Al mattino di quel memorando giorno si levò per tempo e, vestitosi de' suoi abiti più belli, andò alla chiesa, che trovò ancor chiusa. S'inginocchiò, come già aveva fatto altre volte, sul limitare di quella e pregò finchè giungendo altri fanciulli ne fu aperta la porta. Tra le confessioni, preparazione e ringraziamento della comunione la funzione durò cinque ore. Domenico entrò il primo in chiesa e ne uscì l'ultimo. In tutto quel tempo egli non sapeva più se fosse in cielo o in terra.

            Quel giorno fu per lui sempre memorabile e si può chiamare vero principio o piuttosto continuazione di una vita, che {19 [169]} può servire di modello a qualsiasi fedel cristiano. Parecchi anni dopo facendolo parlare della sua prima comunione gli si vedeva ancora trasparire la più viva gioia sul volto: oh! quello, soleva dire, fu per me un bel giorno ed un gran giorno. Si scrisse alcuni ricordi che conservava gelosamente in un libro di divozione e che spesso leggeva. Io ho potuto averli tra le mani e li inserisco qui nella sua originale semplicità. Erano di questo tenore: «Ricordi fatti da me Savio Domenico l'anno 1849 quando ho fatta la prima comunione essendo di 7 anni.-

            1° Mi confesserò molto sovente e farò la comunione tutte le volte che il confessore mi dà licenza. -

            2° Voglio santificare i giorni festivi. -

            3° I miei amici saranno Gesù e Maria. -

            4° La morte ma non peccati.» -

            Questi ricordi, che spesso andava ripetendo, furono come la guida delle sue azioni sino alla fine della vita.

            Se tra quelli che leggeranno questo libretto vi fosse mai chi avesse ancora da fare la prima comunione, io vorrei caldamente raccomandargli di farsi modello il giovane Savio. Ma raccomando poi quanto {20 [170]} e posso ai padri, alle madri di famiglia e a tutti quelli che esercitano qualche autorità sulla gioventù, di dare la più granile importanza a questo atto religioso. Siate persuasi, che la prima comunione è l'elemento di tutta la vita; e sarà cosa strana che si trovi alcuno che abbia compiuto bene quel solenne dovere, e non ne sia succeduta una vita buona e virtuosa. Al contrario si accennano a migliaia i giovani discoli, che sono la desolazione dei genitori e di chi si occupa di loro; ma se si va alla radice del male si conosce, che la loro condotta cominciò ad apparire tale nella poca o nessuna preparazione alla prima comunione. È meglio differirla, anzi è meglio non farla che farla male.

 

 

Capo IV. Scuola di Castelnuovo d'Asti, - Episodio edificante. - Savia risposta ad un cattivo consiglio.-

 

            Compiute le prime scuole, Domenico avrebbe già dovuto molto prima essere inviato altrove per proseguire i suoi studi, il che non polea fare in una cappellania di campagna. Ciò desiderava Domenico, ciò pure {21 [171]} stava molto a cuore a' genitori di lui. Ma come effettuarlo mancando affatto i mezzi pecuniari? Iddio, padrone supremo di tutte le cose, provvedera i mezzi necessari affinchè questo fanciullo possa camminare per quella carriera a cui lo chiama.

            Se io fossi un uccello, diceva talvolta Domenico, vorrei volare mattina e sera a Castelnuovo e cosi continuare le mie scuole.

            Il suo vivo desiderio di studiare gli fece superare ogni difficoltà e si risolse di recarsi alla scuola municipale del paese, sebbene vi fosse la distanza di quasi due miglia. Ed ecco un fanciullo appena di dieci anni intraprendere un cammino di sei miglia al dì tra andata e ritorno dalla scuola. Talvolta vi è un vento molesto, un sole che cuoce, un fango, una pioggia che opprimono; non importa, si tollerano tutti i disagi e si superano tutte le difficoltà; egli vi trova l'ubbidienza a' suoi genitori, un mezzo per imparare la scienza della salute, e questo basta per fargli tollerare con piacere ogni incomodo. Una persona alquanto attempata vedendo un giorno Domenico solo andare a scuola alle due pomeridiane, mentre sferzava un cocente sole, quasi per sollevarlo gli si avvicinò e gli tenne questo discorso: {22 [172]}

            - Caro mio, non temi di camminar tutto solo per queste strade?

            - Io non sono solo, ho l'angelo custode che mi accompagra in tutti i passi.

            - Almeno ti sarà penosa la strada per questo caldo dovendola fare quattro volte al giorno!

            - Niente è penoso, niente è fatica quando si lavora per un padrone che paga molto bene.

            - Chi è questo padrone?

            - E Dio creatore, che paga un bicchier d'acqua dato per amor suo.

            Quella medesima persona raccontò tale episodio ad alcuni suoi amici, e finiva sempre il tuo discorso dicendo: un giovinetto di così tenera età che già nutrisce tali pensieri farà certamente parlare molto di sè in quella, carriera che sara per intraprendere.

            Nell'andare e venire da scuola egli corse un grave pericolo per l'anima a motivo di alcuni compagni.

            Sogliono molti giovanetti nei caldi estivi andarsi a bagnare ora nei fossi, ora nei ruscelli, ora negli stagni e simili. Il trovarsi più fanciulli insieme, svestiti e talvolta in luoghi pubblici a bagnarsi, riesce cosa pericolosa {23 [173]} pel corpo, e noi pur troppo in tale stagione dobbiamo tristamente spesse volle lamentare annegamenti di ragazzi e di altre persone che terminano la loro vita affogati nell'acqua; ma il pericolo è assai maggiore per l' anima. Quanti giovanetti deplorano la perdita della loro innocenza ripetendone la cagione dall'essere andati a' bagni con que' compagni in que' luoghi malaugurati!

            Parecchi condiscepoli del Savio avevano l'abitudine di andarvi; e non paghi di andarvi eglino stessi volevano condurre secoloro anch'esso. Due dei più disinvolti e ciarlieri un giorno gli dissero:

            - Domenico, vuoi venire con noi a fare una partita?

            - Che partita?

            - Una partita a nuotare. -

            - Oh no! io non ci vado, non sono pratico, temo di morire nell' acqua.

            - Vieni, fa molto piacere. Quelli che vanno a nuotare non sentono più il caldo, hanno molto buon appetito, ed acquistano molta sanità. -

            - Ma io temo di morire nell'acqua. -

            - Oibò, non temere: noi ti insegneremo quanto è necessario; comincierai a vedere, {24 [174]} come facciamo noi e poi farai tu altrettanto. Tu ci vedrai a camminare nell'acqua come pesci, e faremo salti da gigante.

            - Ma non è peccato l'andare in quei luoghi?

            - Niente affatto; anzi ci vanno tutti. -

            - L'andarvi tutti non dimostra che non sia peccato.

            - Se non vuoi tuffarti nell' acqua, comincerai a vedere gli altri.

            - Se è male andare, credo che sia anche male il vedere gli altri. - Basta; io sono imbrogliato, e non so che dire.

            - Vieni, vieni: sta sulla nostra parola; non c' è male e noi ti libereremo da ogni pericolo.

            - Prima di fare quanto mi dite, voglio dimandar licenza a mia madre: se ella mi dice di si, ci andrò; altrimenti non ci vado.

            - Sta zitto, minchione, por carità non dirlo a tua madre; essa non ti lascierà certamente venire, anzi lo dirà ai nostri genitori e saremo tutti castigati.

            - Oh! se mia madre non mi lascia andare, è segno, che è cosa malfatta; perciò non ci vado, nè statemi più a parlare {25 [175]} di nuoto, poichè se tal cosa dispiace ai vrostri genitori, voi non dovreste più farla; perchè il Signore castiga quei figliuoli che fanno cose contrarie ai voleri del padre e della madre. -

            Così il nostro Domenico dando una savia risposta a quei cattivi consiglieri evitava pure un gran pericolo, in cui, se si fosse precipitato, avrebbe forse perduto l'inestimabile tesoro dell'innocenza a cui tengono dietro mille triste conseguenze.

 

 

Capo V. Sua condotta nella scuola di Castelnuovo d'Asti. - Parole del suo maestro.

 

            Nel frequentare questa scuola egli cominciò ad imparare il modo di regolarsi co' suoi compagni. Se egli vedeva un compagno attento nella scuola, docile, rispettoso, che sapesse bene le lezioni, che facesse i suoi lavori, e che fosse lodato dal maestro, questi diveniva tosto l'amico di Domenico. Eravi un discolo, un insolente, che trascurasse i suoi doveri, e parlasse male o bestemmiasse? Domenico lo fuggiva come la peste. Quelli poi che erano {26 [176]} un po' indolenti ei li salutava, loro rendeva qualche servizio, qualora ne fosse il caso, ma non contraeva seco loro alcuna famigliarità.

            La condotta tenuta nella scuola di Castelnuovo d'Asti può servire di modello a qualsiasi giovane studente, che desideri progredire nella scienza e nella pietà. Su tal proposito io trascrivo la giudiciosa relazione scritta dal proprio maestro, D. Allora sac. Alessandro, tuttora maestro comunale di questo capo luogo di mandamento. - Eccone il tenore: -

            «Molto mi compiaccio di esporre il mio giudicio intorno al giovinetto Savio Domenico, che in breve tempo seppe acquistarsi tutta la mia benevolenza, sicchè io l' ho amato colla tenerezza di padre. Aderisco di buon grado a questo invito perchè conservo ancora viva, distinta è piena memoria del suo studio, della sua condotta e delle sue virtù.

            Non posso dire molte cose della sua condotta religiosa, perchè dimorando assai distante dal paese era dispensato dalla congregazione, a cui se fosse intervenuto avrebbe certamente fatto risplendere la sua pietà e divozione. {27 [177]}

            Compiuti gli studi di 1a elementare in Murialdo questo buon fanciullo chiese ed ottenne distintamente l'ammissione alla mia scuola di 2a elementare, propriamente il 21 di giugno 1852; giorno dagli scolari dedicato a S. Luigi protettore della gioventù. Egli era di una complessione alquanto debole e gracile, di aspetto grave misto al dolce con un non so che di grande e piacevole. Era d'indole mitissima e dolcissima, di un umore sempre uguale. Aveva costantemente tale contegno nella scuola e fuori, in chiesa ed ovunque, che quando l'occhio, il pensiero od il parlare del maestro volgevasi a lui, vi lasciava la più bella e gioconda impressione. La qual cosa per un maestro si può chiamare uno de' cari compensi delle dure fatiche, che spesso gli tocca di sostenere indarno nella coltura di aridi e mal disposti animi di certi allievi. Laonde posso dire che egli fu Savio di nome e tale pur sempre si mostrò col fatto, vale a dire nello studio, nella pietà, nel conversare co' suoi compagni ed in ogni sua azione. Dal primo giorno che entrò nella mia scuola sino al fine di quell' anno scolastico e ne' quattro mesi dell'anno successivo ei progredì nello studio {28 [178]} in modo straordinario. Egli si meritò costantemente il primo posto di suo periodo e le altre onorificenze della scuola e quasi sempre tutti i voti in ciascuna materia, che di mano in mano si andava insegnando. Tal felice risultato del suo avanzamento nella scienza non è solo da attribuirsi all'ingegno non comune, di cui egli era fornito; ma eziandio al grandissimo suo amore allo studio ed alla sua virtù.

            «E poi degna di speciale ammirazione la diligenza con cui procurava di adempiere i più minuti doveri di scolaro-cristiano e segnatamente l' assiduità e la costanza mirabile nella frequenza della scuola. Di modo che, debole quale egli fu sempre di salute, percorreva ogni giorno oltre 4 chilometri di strada il che ripeteva pur quattro fiate tra l'andata ed il ritorno. E ciò faceva con maravigliosa tranquillità d'animo e serenità di aspetto anche sotto l'intemperie della stagione invernale, per crudo freddo, per pioggia o neve; il che non poteva a meno di essere riconosciuto dal proprio maestro per prova ed esempio di raro merito. Ammalando frattanto sì degno alunno nel corso dello stesso anno 1852-53 ed i parenti di {29 [179]} lui mutando successivamente domicilio fa cagione che con mio vero rincrescimento non ho più potuto continuare l'insegnamento ad un sì caro allievo, le cui grandi e bellissime speranze andavano scemando col crescer de' timori, ch'io aveva che non potesse più proseguire gli studii per mancanza di salute o di mezzi di fortuna.

            Mi riusci poi di grande consolazione quando seppi che egli era stato accolto fra i giovani dell'Oratorio di S. Francesco di Sales; essendogli così aperta la via alla coltura del raro suo ingegno e della sua luminosa pietà.»

            Fin qui il mentovato suo maestro, il quale continua esprimendo il dolore grande da lui provato quando ricevette la notizia dell'immatura sua morte.

 

 

Capo VI. Scuola di Mondonio Sopporta una grave calunnia.

 

            Pare che la divina Provvidenza abbia voluto far vedere a questo giovanetto che questo mondo è un vero esilio ove andiamo di luogo in luogo pellegrinando; o {30 [180]} meglio abbia voluto che questo maraviglioso giovinetto andasse a farsi conoscere in diversi paesi e cosi mostrarsi in più luoghi esimio specchio di virtù.

            Sul finir dell'anno 1852 i genitori di Domenico da Murialdo andarono a fissar la loro dimora in Mondonio che è un piccolo paese confinante con Castelnuovo. Egli continuò colà nel tenor di vita tenuta in Murialdo ed a Castelnuovo, perciò dovrei ripetere le cose che di lui scrissero gli antecedenti suoi maestri; giacchè il signor D. Cugliero[3] che l'ebbe a scolaro, fa una relazione quasi simile. Io trascelgo da essa solamente alcuni fatti speciali ommettendo il rimanente per non fare ripetizioni.

            «Io posso dire, egli scrive, che in venti anni da che attendo ad istruire ragazzi non ne ebbi mai alcuno che abbia pareggiato il Savio nella pietà. Egli era giovane di età, ma assennato al pari di un uomo perfetto. La sua diligenza, assiduità allo studio, e l'affabilità si cattivavano l'affetto del maestro e lo rendevano la delizia dei {31 [181]} compagni. Quando lo rimirava in chiesa, io era compreso da alla maraviglia al vedere tanto raccoglimento in un giovanetto di cosi tenera età. Più volte ho detto tra me stesso: ecco un'anima innocente cui si aprono le delizie del paradiso, e che co' suoi affetti va ad abitare cogli angeli del cielo.»

            Tra i fatti speciali il suo maestro annovera il seguente:

            «Un giorno fu fatta una mancanza tra i miei allievi e la cosa era tale che il colpevole meritava l'espulsione dalla scuola: I delinquenti prevengono il colpo e portandosi dal maestro si accordano di gettare tutta la colpa sopra il buon Domenico. Io non poteva risolvermi a crederlo capace di tale mancanza; ma gli accusatori seppero dare tale colore di verità alla calunnia, che vi dovetti credere. Entro adunque nella scuola giustamente sdegnato pel disordine avvenuto; parlo del colpevole in genere; poi mi volgo al Savio, e tal fallo, gli dico, bisognava che fosse commesso da te? non meriteresti di essere sull' istante cacciato dalla scuola? Buon per te che è la prima che mi fai di questo genere, altrimenti ... fa che sia pur {32 [182]} l'ultima.» Domenico avrebbe potuto dire una sola parola in discolpa, e la sua innocenza sarebbe stata conosciuta. Ma egli si tacque: chinò il capo, e a guisa di chi è con ragione rimproverato, più non alzo gli occhi.

            Ma Dio protegge gli innocenti; e il dì seguente furono scoperti i veri colpevoli e così palesata l'innocenza di Domenico. Pieno di rincrescimento pei rimproveri fatti al supposto colpevole il presi da parte, e, Domenico, gli dissi, perchè non mi hai subito detto che tu eri innocente? Domenico rispose: perchè quel tale essendo già colpevole di altri falli sarebbe forse stato cacciato di scuola, dal canto mio sperava di essere perdonato essendo la prima mancanza di cui era accusato nella scuola; d'altronde pensava anche al nostro Divin Salvatore, il quale fu ingiustamente calunniato.

            Tacqui allora, ma tutti ammirarono la pazienza del Savio, che aveva saputo render bene per male, disposto a tollerare anche un grave castigo a favore del medesimo calunniatore.» {33 [183]}

 

 

Capo VII. Prima conoscenza fatta di lui - Curiosi episodi in questa congiuntura.

 

            Le cose, che sono per raccontare, posso esporle con maggior corredo di circostanze, perchè sono quasi tutte avvenute sotto gli occhi miei e per lo più alla presenza di una moltitudine di giovani che tutti vanno d'accordo nell' asserirle. Era l'anno 1854 quando il nominato D. Cugliero venne a parlarmi di un suo allievo per ingegno e per pietà degno di particolare riguardo. Qui in sua casa, egli diceva, può aver giovani uguali, ma difficilmente avrà chi lo superi in talento e virtù. Ne faccia la prova e troverà un S. Luigi. Fummo intesi che me lo avrebbe mandato a Murialdo all'occasione che sono solito di trovarmi colà coi giovani di questa casa a fine di far loro godere un po' di campagna e nel tempo stesso fare la novena e celebrare la solennità del Rosario di Maria Santissima.

 Il primo lunedi d'ottobre di buon mattino vedo un fanciullo accompagnato da suo padre che si avvicina per parlarmi. - Il {34 [184]} volto suo ilare, l'aria ridente, ma rispettosa, trassero verso di lui i miei sguardi.

            Chi sei, gli dissi, onde vieni?

            Io sono, rispose, Savio Domenico, di cui le ha parlato D. Cugliero mio maestro, e veniamo da Mondonio.

            Allora lo chiamai da parte, e messici a ragionare dello studio fatto, del tenor di vita fino allora praticato, siamo tosto entrati in piena confidenza egli con me, io con lui.

            Conobbi in lui un animo tutto secondo lo spirito del Signore, e rimasi non poco stupito considerando i lavori che la Grazia divina aveva già operato in quel tenero cuore.

            Dopo un ragionamento alquanto prolungato, prima che io chiamassi il padre, mi disse queste precise parole: ebbene che glie ne pare? mi condurrà a Torino per istudiare?

            - Eh! mi pare che ci sia buona stoffa.

            - A che può servire questa stoffa?

            - A fare un bell'abito da regalare al Signore.

            - Dunque io sono la stoffa: ella ne sia il sarto; dunque mi prenda con lei e farà un bell'abito pel Signore.

            - Io temo che la tua gracilità non regga per lo studio. {35 [185]}

            - Non tema questo; quel Signore che mi ha dato finora sanità e grazia, mi aiuterà anche per l'avvenire.

            - Ma quando tu abbia terminato lo studio del latino, che cosa vorrai fare?

            - Se il Signore mi concederà tanta grazia, desidero ardentemente di abbracciare lo stato ecclesiastico.

            Bene: ora voglio provare se hai bastante capacità per lo studio: prendi questo libretto (era un fascicolo delle letture cattoliche), di quest'oggi studia questa pagina, domani ritornerai per recitarmela.

            Ciò detto lo lasciai in libertà perchè andasse a trastullarsi con altri giovani, indi mi posi a parlare col padre. Passarono non più di otto minuti quando ridendo si avanza Domenico e mi dice: se vuole, recito adesso la mia pagina. Presi il libro e con mia sorpresa conobbi che non solo aveva letteralmente studiato la pagina assegnata, ma che comprendeva benissimo il senso delle cose in essa contenute.

            Bravo, gli dissi, tu hai anticipato lo studio della tua lezione ed io anticipo la risposta. Si; ti condurrò a Torino e fin d'ora sei annoverato tra i miei cari figliuoli; comincia anche tu fin d'ora a pregare Iddio {36 [186]} affinchè aiuti me e te a fare la sua santa volontà.

            Non sapendo egli come esprimere meglio la sua contentezza e la sua gratitudine mi prese la mano, la strinse, la baciò più volte e infine disse: l'assicuro che non avrà a lagnarsi della mia condotta.

 

 

Capo VIII. Viene all'Oratorio di S. Francesco di Sales. Suo primo tenore di vita ivi cominciato.

 

            Egli è proprio dell'età volubile della gioventù di cangiar sovente proposito intorno a ciò che si vuole; perciò non di rado avviene che oggi si delibera una cosa, dimani un'altra; oggi una virtù praticata in grado eminente, domani l'opposto, e qui se non avvi chi attento vigili, spesso va a terminare con mal esito un'educazione che forse poteva riuscire delle più fortunate. Del nostro Domenico non fu così. Tutte quelle virtù, che noi abbiamo veduto nascere e crescere ne vari stadi di sua età, crebbero ognora maravigliosamente e crebberò insieme senza che una fosse di nocumento all'altra. {37 [187]}

            Venuto nella casa dell' oratorio si recò in mia camera, per darsi, come egli diceva, intieramente nelle mani de' suoi, superiori. Il suo sguardo si portò subito su di un cartello sopra cui a grossi caratteri sono scritte le seguenti parole che soleva ripetere S. Francesco di Sales: da mihi animas, caetera tolle. Fecesi a leggerle attentamente; ed io desiderava che ne capisse il significato; perciò l'invitai, anzi l'aiutai a tradurle e cavar questo senso: O Signore, datemi anime e prendetevi tutte le altre cose. Egli pensò un momento e poi soggiunse: ho capito: qui non avvi negozio di danaro, ma negozio di anime: ho capito: spero che l'anima mia farà anche parte di questo commercio.

            Il suo tenor di vita per qualche tempo fu tutto ordinario. Nè altro in esso ammiravasi, che un' esatta osservanza delle regole della casa. Si applicò con impegno allo studio. Attendeva con ardore a tutti i suoi doveri. Ascoltava con delizia le prediche. Aveva radicato nel cuore che la parola di Dio è la guida dell'uomo per la strada del cielo; perciò ogni massima udita in una predica era per lui un ricordo invariabile cui più non dimenticava. {38 [188]}

            Ogni discorso morale, ogni catechismo, ogni predica, quantunque prolungata, era sempre per lui una delizia. Udendo qualche cosa che non avesse ben intesa tosto facevasi a dimandarne la spiegazione. Di qui ebbe cominciamento quell' esemplare tenore di vita, quel continuo progredire di virtù in virtù, quell' esattezza nell'adempimento de' suoi doveri, oltre cui non si può andare.

            Avvicinandosi la festa dell' Immacolata Concezione di Maria il direttore diceva tutte le sere qualche parola d'incoraggiamento ai giovani della casa, affinchè ciascuno si desse sollecitudine a celebrarla in modo degno della gran madre di Dio, ma insistette specialmente a voler chiedere a questa celeste protettrice quelle grazie di cui ciascuno avesse conosciuto maggior bisogno. Era l'anno 1854 in cui i cristiani di tutto il mondo erano in una specie di spirituale agitazione perchè trattatasi a Roma della definizione dogmatica dell'Immacolato concepimento di Maria. Anche tra di noi si faceva quanto la nostra condizione comportava per celebrare quella solennità con decoro e con frutto spirituale de' nostri giovani. {39 [189]}

            Il Savio era uno di quelli che sentivansi ardere dal desiderio di celebrarla santamente. Scrisse egli nove fioretti ovvero nove atti di virtù da praticarsi estraendone a sorte uno per giorno. Si preparò e fece con gran piacere dell'animo suo la confessione generale, e si accostò ai santi sacramenti col massimo raccoglimento.

            La sera di quel giorno, 8 dicembre, compiute le sacre funzioni di chiesa, col consiglio del confessore, Domenico andò avanti l'altare di Maria, rinnovò le promesse fatte nella prima comunione, di poi disse più e più volte queste precise parole: Maria, vi dono il mio cuore; fate che sia sempre vostro. Gesù e Maria siate voi sempre gli amici miei; ma per pietà fatemi morir piuttosto che mi accada la disgrazia di commettere un solo peccato.

            Presa così Maria per sostegno della sua divozione, la morale di lui condotta apparve cosi edificante e congiunta a tali atti di virtù, che ho cominciato fin d'allora a notarli per non dimenticarmene.

            Giunto a questo punto a descrivere le azioni del giovine Savio, io mi veggo davanti un complesso di fatti e di virtù che meritano speciale attenzione e in chi scrive {40 [190]} ed in chi legge. Onde per maggior chiarezza giudico bene di esporre le cose non secondo l'ordine dei tempi, ma secondo l'analogia dei fatti che hanno tra di loro special relazione od hanno rapporto colla medesima materia. Dividerò pertanto le cose in altrettanti capitoli cominciando dallo studio del latino, che fu motivo principale per cui venne e fu accolto in questa casa.

 

 

Capo IX. Studio di latinità. - Curiosi incidenti. - Contegno nella scuola. - Impedisce una rissa.

 

            Egli aveva studiato i principii di latinità a Mondonio; e perciò colla sua grande assiduità nello studio e colla non ordinaria sua capacità ottenne in breve di essere classificato nella quarta o come dicono oggidì nella seconda gramatica latina. Fece egli questo corso presso il professore Bonzanino Giuseppe. Io dovrei anche qui esprimere il suo contegno, e profitto e la sua esemplarità colle stesse parole degli antecedenti suoi maestri. Laonde noterò solamente {41 [191]} alcune cose che in quest'anno di latinità e ne' due susseguenti trassero l'ammirazione di coloro che lo conobbero. Il professore Bonzanino ebbe più volte a dire che non ricordavasi di aver avuto alunno più attento, più docile, più rispettoso, quale era il giovane Savio. Egli compariva modello in tutte le cose. Nel vestito e nella capigliatura non era punto ricercato; ma in quella modestia di abiti e nella umile sua condizione egli appariva pulito, ben educato, cortese, in guisa che i suoi compagni di civile ed anche nobile condizione, i quali in buon numero intervenivano alla detta scuola, godevano assai di potersi trattener con Domenico non solo per la sua scienza e pietà, ma anche per le sue civili e piacevoli maniere di trattare. Se poi fosse avvenuto al Professore di ravvisare qualche scolaro un po' ciarliero, mettevagli Domenico a' fianchi, ed egli con destrezza studiavasi di indurlo al silenzio, allo studio, all' adempimento de' suoi doveri.

            Egli è nel decorso di quest'anno, che la vita di Domenico ci somministra un fatto che ha dell' eroismo, e che è appena credibile in quella giovanile sua età. Esso {42 [192]} riguarda a due suoi compagni di scuola che vennero tra di loro ad una rissa pericolosa. Il litigio cominciò da alcune parole dettesi scambievolmente in dispregio della loro famiglia. Dopo alcuni insulti si dissero villanie e si sfidarono a far valere le loro ragioni a colpi di pietra. Domenico giunse a scoprire tale discordia: ma come impedirla essendo i due rivali maggiori di forze e di età? Si provò di persuaderli a desistere da quel progetto facendo ad ambidue osservare che la vendetta è contraria alla ragione ed alla santa legge di Dio; scrisse lettere all'uno e all'altro; li minacciò di riferire la cosa al Professore, ed anche ai loro parenti; ma tutto invano, i loro animi erano così inaspriti, che tornava inutile ogni parola. Oltre il pericolo di farsi grave male nella persona commettevasi grande offesa contro Dio. Domenico era oltremodo cruciato; desiderava di opporsi, e non sapeva come. Dio lo inspirò di fare cosi. Li attese dopo la scuola e come potè parlare ad ambidue da parte, disse: poichè voi persistete nel bestiale vostro divisamento, vi prego almeno di voler accettare una condizione. L'accettiamo, risposero, purchè non impedisca la nostra {43 [193]} sfida. Egli è un birbante, replicò tosto un di loro; ed io non sarò in pace con lui, soggiungeva l'altro, finchè egli od io non abbiamo rotta la testa. Savio tremava a quel brutale diverbio, tuttavia nel desiderio d'impedire maggior male si frenò e disse: la condizione che sono per mettervi non impedisce la sfida.

            Comp. Qual è questa condizione?

            Sav. Vorrei soltanto dirvela al luogo dove volete misurarvi a sassate.

            Comp. Tu ci minchioni o studierai di metterci qualche incaglio.

            Sav. Sarò con voi, e non vi minchionerò: state tranquilli.

            Comp. Forse tu vorrai andare a chiamare qualcheduno.

            Sav. Dovrei farlo, ma nol farò: andiamo io sarò con voi. Mantenetemi soltanto la parola. Glielo promisero. Andarono nei così delti prati della Cittadella fuori di Porta Susa.

            Tanto era l'odio dei due contendenti che a stento il Savio potè impedire che non venissero alle mani nel breve tratto di strada che era a farsi.

            Giunti al luogo stabilito, il Savio fece una cosa che certamente niuno sarebbesi immaginato. {44 [194]} Lasciò che si ponessero in una tale distanza; già avevano le pietre in mano, cinque caduno, quando Domenico parlò così: prima di effettuare la vostra sfida voglio che adempiate la condizione accettata. Ciò dicendo trasse fuori il piccolo Crocifisso, che aveva al collo, e tenendolo alto in una mano, voglio, disse, che ciascheduno fissi lo sguardo in questo Crocifisso, di poi gettando una pietra contro di me, pronunzi a chiara voce queste parole: Gesù Cristo innocente morì perdonando i suoi crocifissori, io peccatore voglio offenderlo e fare solenne vendetta.

            Ciò detto andò ad inginocchiarsi davanti a colui che mostravasi più infuriato dicendo: fa il primo colpo sopra di me; tira una forte sassata sul mio capo. Costui, che non si aspettava simile proposta, comincio a tremare. No, disse, e mai no. Io non ho alcuna cosa contro di te e vorrei difenderti se qualcheduno ti volesse oltraggiare.

            Domenico, ciò udito, corse dall'altro dicendo le stesse parole. Egli pure ne fu sconcertato e tremando diceva, che essendo egli suo amico, non gli avrebbe mai fatto alcun male. {45 [195]}

            Allora Domenico si rizzò in piedi, e prendendo un aspetto severo e commosso: come, loro disse, voi siete ambidue disposti ad affrontare anche un grave pericolo per difendere me, che sono una miserabile creatura, e non siete capaci di perdonarvi un insulto ed una derisione fattavi nella scuola per salvare l'anima vostra, che costò il sangue del Salvatore, e che voi andate a perdere con questo peccato? Ciò detto si tacque tenendo sempre il Crocifisso alto colla mano.

            A tale spettacolo di carità e di coraggio i compagni furono vinti. «In quel momento, asserisce uno di loro, io fui intenerito, un freddo mi corse per le membra, e mi sentii pieno di vergogna per aver costretto un amico si buono, come era Savio, ad usare misure estreme per impedire l'empio nostro divisamento. Volendogli almeno dare un segno dì compiacenza perdonai di cuore chi mi aveva offeso, e pregai Domenico di suggerirmi qualche paziente e caritatevole Sacerdote per andarmi a confessare. Egli mi appagò ed alcuni giorni dopo andai col mio rivale a fare la confessione. In questa guisa dopo di essermi novellamente fatto suo amico {46 [196]} fui riconciliato col Signore che coll' odio e col desiderio di vendetta aveva di certo gravemente offeso.»

            Esempio è questo ben degno di essere imitato da ogni giovane cristiano qualora gli avvenga di vedere il suo simile in atto di far vendetta od essere da altri in qualche maniera offeso od ingiuriato.

            Quello poi che in questo fatto onora singolarmente la condotta e la carità del Savio si è il silenzio in cui seppe tenere quanto era accaduto. Ed ogni cosa sarebbe stata totalmente ignorata se coloro stessi, che vi ebbero parte, non l'avessero ripetutamente raccontata.

            L'andata poi ed il ritorno da scuola, che è tanto pericoloso pei giovanetti che da' villaggi vengono nelle grandi città, pel nostro Domenico fu un vero esercizio di virtù. Costante nell'eseguire gli ordini de' suoi superiori, andava a scuola, ritornava a casa, senza neppure dare un' occhiata o porre ascolto a cosa che ad un giovane cristiano non convenisse. Se avesse veduto alcuno a fermarsi, correre, saltellare, tirar pietre, o andar a passare in luoghi non permessi; egli tosto da costui si allontanava. Che anzi un giorno fu invitato ad andare a far {47 [197]} una passeggiata senza permesso; un'altra volta venne consigliato ad ommettere la scuola per andarsi a divertire, ma egli seppe sempre rispondere con un rifiuto. Il mio divertimento più bello, loro rispondeva, è l'adempimento de' miei doveri: e se voi siete veri amici, dovete consigliarmi ad adempirli con esattezza e non mai a trasgredirli. Nulladimeno ebbe la sventura di aver alcuni compagni che lo molestarono a segno, che il Savio si trovò sul punto di cadere nei loro lacci. E già risolvevasi di andare con loro e così per quel giorno lasciare la scuola. Ma fatto breve tratto di cammino si accorse che seguiva un cattivo consiglio, ne provò gran rimorso, chiamò i tristi consiglieri, e loro disse: miei cari, il dovere mi comanda di andare a scuola ed io vi voglio andare: noi facciamo cosa che dispiace a Dio ed ai nostri superiori. Sono pentito di quello che ho fatto; se mi darete altra volta simiglianti consigli, voi cesserete di essere miei amici.

            Quei giovani accolsero l'avviso del loro vero amico: andarono seco lui a scuola, e per l'avvenire non cercarono più distoglierlo da' suoi doveri. Nel fine dell'anno, {48 [198]} mediante la sua buona condotta, e la sua costante sollecitudine allo studio, meritò di essere promòsso fra gli ottimi alla classe superiore. Ma sul principio del terzo anno di gramatica la sanità di Domenico apparendo alquanto deteriorata si giudicò bene di lasciargli fare il corso privato qui nella casa dell'oratorio a fine di potergli usare i dovuti riguardi nel riposo, nello studio e nella ricreazione,

            L'anno di umanità o di 1a Retorica sembrando meglio in salute fu mandato dal signor Professore D. Picco Matteo. Esso aveva già più volte udito a parlare delle belle doti che adornavano il Savio, sicchè di buon grado l'accolse gratuitamente nella sua scuola che passa fra le migliori approvate in questa nostra capitale.

            Molte sono le cose edificanti o dette o fatte dal Savio nell'anno di terza grammatica e di prima Retorica; ma noi le andremo esponendo di mano in mano che racconteremo i fatti che con quelle sono collegati. {49 [199]}

 

 

Capo X. Sua deliberazione di farsi santo.

 

            Dato così un cenno sullo studio fatto nelle classi di latinità, parleremo ora della grande sua deliberazione di farsi santo.

            Erano sei mesi che il Savio dimorava all'Oratorio quando fu ivi fatta una predica sul modo facile di farsi santo. Il predicatore si fermò specialmente a sviluppare tre pensieri che fecero profonda impressione sull'animo di Domenico, vale a dire: è volontà di Dio che ci facciamo tutti santi; è assai facile di riuscirvi; è un gran premio preparato in cielo a chi si fa santo. Quella predica per Domenico fu come una scintilla che gl' infiammò tutto il cuore d'amor di Dio. Per qualche giorno disse nulla, ma era meno allegro del solito, sicchè se ne accorsero i compagni e me ne accorsi anch'io. Giudicando che tal cosa provenisse da novello incomodo di sanità gli chiesi se pativa qualche male. Anzi, mi rispose, patisco qualche bene. - Che vorresti dire? Voglio dire che mi sento un desiderio ed un bisogno di farmi santo; io non pensava {50 [200]} di potermi far santo con tanta facilità; ma ora che ho capito potersi ciò effettuare anche stando allegro, io voglio assolutamente, ed ho assolutamente bisogno di farmi santo. Mi dica adunque come debbo regolarmi per incominciare tale impresa.

            Io lodai il proposito, ma lo esortai a non inquietarsi, perchè nelle commozioni dell'animo non si conosce la voce del Signore; che anzi io voleva per prima cosa una costante e moderata allegria, e consigliandolo ad essere perseverante nell' adempimento de' suoi doveri di pietà e di studio, gli raccomandai che non mancasse di prendere sempre parte alla ricreazione coi suoi compagni.

            Un giorno gli dissi di volergli fare un regalo di suo gusto; ma esser mio volere che la scelta fosse fatta da lui. Il regalo che dimando, prontamente egli soggiunse, è che mi faccia santo. Io mi sento un bisogno di farmi santo, e se non mi fo santo io fo niente. Iddio mi vuole santo ed io debbo farmi tale.

            In una congiuntura il direttore voleva dare un segno di speciale affetto ai giovani della casa e fece loro facoltà di chiedere con un biglietto qualunque cosa fosse {51 [201]} a lui possibile, promettendo che l'avrebbe concessa. Quivi può ognuno facilmente immaginarsi le ridicole e le stravaganti dimande fatte dagli uni e dagli altri. Il Savio, preso un pezzetto di carta, scrisse queste sole parole: Dimando che mi faccia santo.

            Un giorno si andavano spiegando alcune parole secondo la etimologia. E Domenico, egli disse, che cosa vuol dire? Fu risposto: Domenico vuol dire del Signore. Veda, tosto soggiunse, se non ho ragione di chiedergli che mi faccia santo: fino il nome dice che io sono del Signore. Dunque io debbo e voglio essere tutto del Signore e voglio farmi santo e sarò infelice finchè non sarò santo.

            La smania che egli dimostrava di volersi far santo non derivava dal non tenere una vita veramente da santo, ma ciò diceva, perchè egli voleva far rigide penitenze, passar lunghe ore nella preghiera, le quali cose erangli dal direttore proibite, perchè non compatibili colla sua età e sanità e colle sue occupazioni. {52 [202]}

 

 

Capo XI. Suo zelo per la salute delle anime.

 

            La prima cosa che gli venne consigliata per farsi santo fu di adoprarsi per guadagnar anime a Dio; perciocchè non avvi cosa più santa al mondo, che cooperare al bene delle anime, per la cui salvezza Gesù Cristo sparse fin l'ultima goccia del prezioso suo sangue. Egli conobbe tosto l' importanza di tale pratica, e fu più volte sentito a dire: Se io potessi guadagnare a Dio tutti i miei compagni, quanto sarei felice! Intanto non lasciava sfuggire alcuna occasione per dare buoni consigli, avvisar chi avesse detto o fatto cosa contraria alla santa legge di Dio.

            Un giorno avvenne che un fanciullo di forse nove anni si pose ad altercare con un compagno in vicinanza della porta della casa, e nella rissa proferi l'adoràbile nome di Gesù Cristo. Domenico a tal parola, sebbene sentisse un giusto sdegno in cuor suo, tuttavia con animo pacato si intromise tra i due contendenti e li acquetò; poi disse a chi aveva nominato il nome di {53 [203]} Dio invano: vieni meco e sarai contento. I suoi bei modi indussero il fanciullo ad accondiscendere. Lo prese per mano, lo condusse in chiesa avanti all'altare, di poi lo fece inginocchiare vicino a lui dicendogli: dimanda al Signore perdono dell'offesa che gli hai fatta col nominarlo invano. E poichè il ragazzo non sapeva l'atto di contrizione, lo recitò egli seco lui. Dopo soggiunse: Di con me queste parole per riparare l'ingiuria fatta a Gesù Cristo: sia lodato Gesù Cristo, e il suo santo e adorabile nome sia sempre lodato.

            Leggeva di preferenza la vita di quei santi che avevano lavorato in modo speciale per la salute delle anime. Parlava volentieri dei missionari che faticano tanto in lontani paesi pel bene delle anime e non potendo mandar loro soccorsi materiali offeriva ogni giorno al Signore qualche preghiera, e almeno una volta alla settimana faceva per loro la santa comunione.

            Più volte l'ho udito esclamare: quante anime aspettano il nostro aiuto nell' Inghilterra; oh se avessi forza e virtù vorrei andarvi sul momento, e colle prediche e col buon esempio vorrei guadagnarle tutte al Signore. Si lagnava spesso con se medesimo, {54 [204]} e spesso ne parlava ai compagni del poco zelo che molti hanno per istruire i fanciulli nelle verità della fede. Appena sarò chierico, diceva, voglio andare a Mondonio, e voglio radunare tutti i ragazzi sotto di una tettoia e voglio far loro il catechismo, raccontare tanti esempi e farli tutti santi. Quanti poveri fanciulli forse andranno alla perdizione per mancanza di chi li istruisca nella fede! Ciò che diceva con parole lo confermava coi fatti, poichè per quanto comportava la sua età ed istruzione faceva con piacere il catechismo nella chiesa dell' Oratorio, e se qualcheduno avesse avuto bisogno gli faceva scuola e lo ammaestrava nel catechismo a qualunque ora del giorno ed in qualunque giorno della settimana, ad unico scopo di poter parlare di cose spirituali e far loro conoscere l'importanza di salvar l'anima.

            Un giorno un compagno indiscreto voleva interromperlo mentre raccontava un esempio in tempo di ricreazione; che te ne fa di queste cose? gli disse. Che me ne fa? rispose; me ne fa perchè l'anima de' miei compagni è redenta col sangue di Gesù Cristo; me ne fa perchè siamo tutti fratelli, e come tali dobbiamo amare vicendevolmente {55 [205]} l'anima nostra; me ne fa perchè Iddio raccomanda di aiutarci l'un altro a salvarci; me ne fa perchè se riesco a salvare un'anima metterò anche in sicuro la salvezza della mia.

            Nè questa sollecitudine pel bene delle anime in Domenico si rallentava nel breve tempo di vacanza che passava nella casa paterna. Oltre l'esattezza nell'adempimento di ogni più minuto suo dovere egli prendevasi cura di due fratellini, cui insegnava a leggere, scrivere, recitare il catechismo e li assisteva nella preghiera del mattino e della sera. Li conduceva in chiesa, porgeva loro l'acqua benedetta, mostrava loro il vero modo di far il segno della santa croce. Il medesimo tempo che altri avrebbe passato qua e là trastullandosi egli passava raccontando esempi ai parenti, o ad altri compagni che l'avessero voluto ascoltare. Anche in patria era solito a fare ogni giorno una visita al Santissimo Sacramento, ed era per lui un vero guadagno quando poteva indurre qualche compagno ad andargli a tenere compagnia. Onde si può dire che non presentavasi a lui occassione di far opera buona, di dare un buon consiglio, che tendesse al bene dell'anima, che egli la lasciasse sfuggire. {56 [206]}

 

 

Capo XII. Episodii e belle maniere di conversare coi compagni.

 

            Il pensiero di guadagnar anime a Dio lo accompagnava ovunque. In tempo libero era l'anima della ricreazione; ma quanto diceva o faceva tendeva sempre al bene morale o di sè o d'altri. Aveva ognor presenti que' bei principii di educazione di non interrompere gli altri quando parlano: se però i compagni facevano silenzio egli tosto metteva fuori questioni di scuola, di storia, di aritmetica, ed aveva sempre alla mano mille storielle, che rendevano amabile la sua compagnia. Se mai taluno avesse rivolto il discorso intorno a cose che fossero mormorazioni o simili, egli lo interrompeva e metteva fuori qualche facezia od anche una favola o altra cosa per far ridere, e intanto distoglieva il discorso dalla mormorazione ed impediva l'offesa di Dio tra' suoi compagni.

            La sua aria allegra, l'indole vivace lo rendevano caro anche ai compagni meno amanti della pietà, per modo che ognuno {57 [207]} godeva di potersi trattenere con lui, e prendevano in buona parte quegli avvisi che di quando in quando suggeriva.

            Un suo compagno desiderava andarsi a mascherare ed egli non voleva. Saresti contento, gli diceva, di venir realmente quale vuoi vestirti, con due corna sulla fronte, con un naso lungo un palmo, con un abito da ciarlatano? Mai no, rispose l'altro. Dunque, soggiunse Domenico, se non desideri avere questo sembiante, perchè vuoi comparir tale e deturpare le belle fattezze che Dìo ti ha donato?

            Un'altra volta alcuni volevano andarsi a bagnare, la qual cosa, se è altrove pericolosa, lo è assai più nel circondario di Torino, ove, senza parlare dei pericoli d'immoralità, trovansi spesso de' giovani che restano vittima infelice del nuoto. Se ne accorse Domenico e cercava di trattenersi con loro raccontando or questa or quell'altra favoletta. Ma quando li vide decisi di volersene assolutamente andare, allora si pose a parlare risoluto: no, disse, io non voglio che andiate.

            - Noi non facciamo alcun male.

            - Voi disubbidite, voi vi esponete al pericolo di dare o ricevere scandalo e di {58 [208]} rimaner morti nell'acqua, e questo non è male?

            - Ma noi abbiamo un caldo che non ne possiamo più.

            - Se non potete più tollerare il caldo di questo mondo, potrete poi tollerare il caldo terribile dell'inferno che voi vi andate a meritare?

            Mossi da tali parole cangiarono divisamento e si posero secolui a fare ricreazione, e all'ora dovuta andarono in chiesa ad assistere alle sacre funzioni.

            Alcuni altri giovani dell'Oratorio amanti del bene de' loro compagni si unirono in una specie di società per darsi alla coltura de' più discoli. Savio vi apparteneva ed era de' più zelanti: se avesse avuto un confetto, un frutto, una croce, una medaglia, un'immagine o simili, le riserbava per questo scopo. Chi lo vuole, chi lo vuole, andava dicendo. Io, io, andavasi da tutti gridando e correndo verso di lui. Adagio, egli diceva, voglio darlo a chi meglio mi risponderà ad una dimanda di catechismo. Intanto egli interrogava solo i più discoli ed appena essi davano risposta alquanto soddisfacente faceva loro quel piccolo regalo. {59 [209]}

            Altri poi erano guadagnati in altre maniere: li prendeva, li invitava a passeggiargli insieme, li faceva discorrere, e sè occorreva giocava con loro. Fu talvolta veduto con un grosso bastone sulle spalle, che sembrava Ercole colla clava, giuocare alla rana, volgarmente cirimella, e mostrarsi perdutamente affezionato a quel giuoco. Ma ad un tratto sospendeva la partita e diceva al compagno: vuoi che sabato ci andiamo a confessare? L'altro e per la distanza del tempo e per ripigliare presto la partita e anche per compiacerlo rispondeva di si. Domenico ne aveva abbastanza e continuava il giuoco. Ma nol perdeva più di vista: ogni giorno o per un motivo o per l'altro gli richiamava sempre quel si alla memoria, e gli andava insinuando il modo di confessarsi bene. Venuto il sabato, qual cacciatore che ha colto buona preda, l'accompagnava in chiesa, lo precedeva nel confessarsi, per lo più preveniva il confessore, si tratteneva seco dopo a fare il ringraziamento. Questi fatti, che pur erano frequenti, erano per lui della più grande consolazione, e di grande vantaggio ai compagni, perciocchè spesso avveniva che taluno non riportasse alcun frutto da una {60 [210]} predica udita in chiesa, e che poi arrendevasi alle pie insinuazioni di Domenico.

            Avveniva qualche volta che alcuno il lusingava tutta la settimana e poi al sabato non lasciavasi più vedere per l'ora di confessarsi. Come poi lo vedeva di nuovo quasi scherzandogli dicea; eh! biricchino! me l'hai fatta. Ma vedi, diceva l'altro, non era disposto, non mi sentiva... Poverino, soggiungeva Domenico, hai ceduto al demonio che era assai ben disposto a riceverti; ma ora ancor più sei indisposto, anzi ti vedo tutto di mal umore. Orsù fa la prova di andarti a confessare, fa uno sforzo e procura di confessarti bene e vedrai di quanta gioia sarà ripieno il tuo cuore. Per lo più dopo che quel tale erasi confessato andava poi da Domenico col cuore pieno di contentezza: è vero, diceva, sono veramente contento; per l'avvenire voglio andarmi a confessare più sovente.

            Nelle comunità di giovani sogliono esservene alcuni che o per essere alquanto rozzi, ignoranti, meno educati, o cruciati da qualche dispiacere, sono per lo più lasciati da parte dai loro compagni. Costoro soffrono il peso dell' abbandono quando avrebbero maggior bisogno del conforto di un amico.

            Questi tali erano gli amici di Domenico. {61 [211]} Loro si avvicinava, li ricreava con qualche buon discorso, loro dava buoni consigli, e spesso è avvenuto che giovani decisi di darsi in preda al disordine, animati dalle caritatevoli parole del Savio, ritornarono a buoni sentimenti.

            Questo era il motivo che tutti quelli che avevano qualche incomodo di salute dimandavano Domenico per infermiere, e quelli che avevano delle pene provavano conforto esponendole a lui. In questa guisa egli aveva la strada aperta ad esercitare continuamente la carità verso il prossimo e accrescersi il merito davanti a Dio.

 

 

Capo XIII. Suo spirito di preghiera. - Divozione verso la Madre di Dio. - Il mese di Maria.

 

            Fra i doni, di cui Dio lo arricchì, era eminente quello del fervore nella preghiera. Il suo spirito era cosi abituato a conversare con Dio che in qualsiasi luogo, anche in mezzo ai più clamorosi trambusti, raccoglieva i suoi pensieri e con pii affetti sollevava il cuore a Dio. {62 [212]}

            Quando poi si metteva a pregare in comune pareva veramente un angioletto: immobile e composto a divozione in tutta la persona, senza appoggiarsi altrove, fuorchè sopra le ginocchia, colla faccia ridente, col capo alquanto chino, cogli occhi bassi; l'avresti detto un altro S. Luigi.

            Bastava vederlo per esserne edificati. L'anno 1854 fu eletto il signor Conte Cays priore della compagnia di S. Luigi eretta in quest'Oratorio. La prima volta che prese parte alle nostre funzioni vide egli un giovanetto che pregava con tale atteggiamento, che ne fu pieno di stupore. Terminate le sacre funzioni volle informarsi e sapere chi fosse quel fanciullo che era stato il soggetto della sua ammirazione: quel fanciullo era Domenico Savio.

            La stessa sua ricreazione era quasi sempre dimezzata; una parte per lo più era passata in pia lettura o in qualche preghiera che egli andava a fare in chiesa con alcuni compagni in suffragio delle anime del purgatorio o in onore di Maria Santissima.

            La divozione verso la Madre di Dio in Domenico era grande assai. In onore di lei faceva ogni giorno qualche mortificazione. {63 [213]} Non rimirava mai in faccia persone di sesso diverso: andando a scuola non alzava mai gli occhi. Talvolta passava vicino a pubblici spettacoli, che dai compagni rimiravansi con tale ansietà da non saper più dove passassero. Interrogato il Savio se tali spettacoli gli fossero piaciuti, rispondeva, che nulla aveva veduto. Di che quasi indispettito un compagno lo rimproverò dicendo: che vuoi dunque fare degli occhi se non te ne servi a rimirare tali cose? Io servirmene, rispondeva, per rimirare la faccia della nostra celeste Madre Maria, quando, se coll'aiuto di Dio ne sarò degno, andrò a trovarla in paradiso.

            Aveva una special divozione all' immacolato cuore di Maria. Tutte le volte che portavasi in chiesa andava avanti all'altare di lei per pregarla ad ottenergli la grazia di conservare il suo cuore sempre lontano da ogni affetto impuro. Maria, diceva, io voglio essere sempre vostro figliuolo: ottenetemi di morire prima che io commetta un peccato contrario alla virtù della modestia.

            Ogni venerdì poi sceglieva un tempo di ricreazione, si portava in chiesa con altri compagni e con essi recitava la corona {64 [214]} de' sette dolori di Maria o almeno le litanie di Maria addolorata.

            Non solo era egli divoto di Maria SS., ma godeva assai, quando poteva condurre un compagno a prestarle pratiche di pietà. Un giorno di sabato aveva invitato un compagno a recarsi con lui in chiesa per recitare il vespro della B. Vergine. Questi si arrendeva di mala voglia, adducendo aver freddo alle mani. Domenico si levò i guanti dalle mani, e glieli diede e cosi andarono ambidue in chiesa. Altra volta si tolse il mantelletto dalle proprie spalle per imprestarlo ad un altro affinchè andasse volentieri con lui in chiesa a pregare. Chi non sentesi compreso d'ammirazione a tali alti di generosa pietà?

            In nessun tempo Domenico appariva maggiormente infervorato verso la celeste nostra protettrice Maria quanto nel mese di Maggio. Si accordava con altri per fare ogni giorno di tal mese qualche pràtica particolare oltre a quanto facevasi in pubblico nella chiesa. Preparavasì una serie d'esempi edificanti, che egli andava con gran piacere raccontando per animare altri ad essere divoti di Maria. Ne parlava spesso in ricreazione; animava tutti a confessarsi {65 [215]} e frequentare la santa comunione specialmente in tal mese. Egli ne dava l'esempio accostandosi ogni giorno alla mensa eucaristica con tale raccoglimento che maggiore non si può desiderare.

            Un curioso episodio fa vedere la tenerezza del suo cuore per la divozione di Maria. Gli alunni della camera, ove egli dormiva, deliberarono di fare a spese proprie un elegante altarino, che servisse a solennizzare la chiusa del mese di Maria. Domenico era tutto in faccende per questo affare; ma venendosi alla quota che ciascuno avrebbe dovuto sborsare: ohimè! esclamò, sì che stiamo bene; per questi affari ci vogliono danari, ed io non ho un quattrino in tasca. Pure voglio fare qualche cosa a qualunque costo. Andò, prese un libro, che eragli stato donato in premio, e chiestone il permesso dal superiore ritornò pien di gioia dicendo: compagni, eccomi in grado di concorrere anch'io per onorar Maria: prendete questo libro, cavatene quell'utilità che potete; questa è la mia oblazione.

            Alla vista di tale atto spontaneo e così generoso s'intenerirono i compagni, e vollero essi pure offerir libri ed altri oggetti: {66 [216]} con essi fu fatta una piccola lotteria, il cui prodotto fu abbondante per sopperire alle spese che occorrevano.

            Terminato l'altare i giovani desideravano di celebrare la loro festa colla massima sontuosità. Ognuno se ne dava grande sollecitudine, ma non essendosi potuto totalmente terminare l'apparato era mestieri lavorare la notte precedente alla festa. Io, disse il Savio, io passerò volentieri la notte lavorando. Ma i suoi compagni, perchè aveva poco prima fatto una malattia, l'obbligarono di andarsi a coricare. Non voleva arrendersi, e solo andò a letto per ubbidienza. Almeno, disse ad uno de' compagni, appena sia tutto terminato vienmi tosto a risvegliare, affinchè io possa essere de' primi a rimirare l'altare addobbato in onore della cara nostra madre.

 

 

Capo XIV. Sua frequenza ai santi sacramenti della confessione e comunione.

 

            Egli è comprovato dall'esperienza che i più validi sostegni della gioventù sono il sacramento della confessione e della comunione. {67 [217]} Datemi un giovanetto, che frequenti questi sacramenti, voi lo vedrete crescere nella giovanile, giungere alla virile età e arrivare, se cosi piace a Dio, fino alla più tarda vecchiaia con una condotta, che è l'esempio di tutti quelli che lo conoscono. Questa massima la comprendano i giovanetti per praticarla; la comprendano tutti quelli che si occupano dell'educazione dei medesimi per insinuarla.

            Prima che il Savio venisse a dimorare all'Oratorio frequentava questi due sacramenti una volta al mese secondo l'uso delle scuole. Di poi li frequentò con assai maggior assiduità. Un giorno udì dal pulpito questa massima: giovani, se volete perseverare nella via del cielo, vi si raccomandano tre cose: accostatevi spesso al sacramento della confessione, frequentate la santa comunione, sceglietevi un confessore cui osiate aprire il vostro cuore, ma non cangiatelo senza necessità. Comprese Domenico l'importanza di questi consigli. Cominciò egli a scegliersi un confessore che tenne regolarmente tutto il tempo che dimorò tra noi. Affinchè questi potesse poi formarsi un giusto giudicio di sua coscienza volle, come si disse, fare la confessione {68 [218]} generale. Cominciò a confessarsi ogni quindici giorni, poi ogni otto giorni, comunicandosi colla medesima frequenza. Il confessore osservando il grande profitto, che faceva nelle cose di spirito, lo consigliò a comunicarsi tre volte per settimana, e nel termine di un anno gli permise la comunione quotidiana.

            Il Savio godeva di sè medesimo. Se ho qualche pena in cuore, egli diceva, vo dal confessore, che mi consiglia secondo la volontà di Dio; giacchè Gesù Cristo ha detto che la voce del confessore per noi è come la voce di Dio. Se poi voglio qualche cosa di grande, vo a ricevere l'Ostia santa in cui trovasi corpus quod prò nobis traditum est, cioè quello stesso corpo, sangue anima e divinità, che Gesù Cristo offerse a Dio per noi sopra la croce. Che cosa mi manca per essere felice? nulla in questo mondo: mi manca solo il poter godere svelato in cielo colui che ora con occhio di fede miro e adoro sull'altare.

            Con questi pensieri Domenico traeva i suoi giorni veramente felici. Di qui nasceva quella ilarità, quella gioia celeste che traspariva in tutte le sue azioni. Nè pensiamoci che egli non comprendesse l'importanza {69 [219]} di quanto faceva e non avesse un tenor di vita cristiana, quale si conviene a chi desidera di far la comunione quotidiana. Perciocchè la sua condotta era per ogni lato irreprensibile. Io ho invitato i suoi compagni a dirmi se ne' tre anni, che dimorò fra noi, avevano notato nel Savio qualche difetto da correggere o qualche virtù da suggerire; ma tutti furono d'accordo che in lui non trovarono mai cosa che meritasse correzione; nè avrebbero saputo quale virtù aggiungere in lui.

            Il suo apparecchio alla comunione era il più edificante. La sera che precedeva la comunione prima di coricarsi egli faceva una preghiera a questo scopo, e conchiudeva sempre cosi: Sia lodato e ringraziato ogni momento il santissimo e divinissimo Sacramento. Al mattino poi faceva una sufficiente preparazione; ma il ringraziamento era senza limite. Per lo più, se non era chiamato, dimenticava la colezione, la ricreazione, e talvolta fino la scuola, standosi in orazione, o meglio in contemplazione della divina bontà che in modo ineffabile comunica agli uomini i tesori della sua infinita misericordia. {70 [220]}

            Era per lui una vera delizia il poter passare qualche ora dinanzi a Gesù sacramentato. Almeno una volta al giorno andava invariabilmente a fargli visita, invitando altri a fargli compagnia. La sua preghiera prediletta era una coroncina al sacro cuore di Gesù per compensare le ingiurie che riceve dagli eretici, dagli infedeli e dai cattivi cristiani.

            Affinchè le sue comunioni fossero più fruttuose e nel tempo stesso avessero ogni giorno novello eccitamento a farle con fervore egli si era prefisso ogni giorno uno scopo speciale.

            Ècco come distribuiva le comunioni in ciascun giorno della settimana.

            Domenica. In onore della Santissima Trinità.

            Lunedì. Pe' miei benefattori spirituali e temporali.

            Martedì. In onore di S. Domenico e del mio Angelo custode.

            Mercoledì. Per la conversione dei peccatori.

            Giovedì. In suffragio delle anime del purgatorio.

            Venerdì. In onore della passione di Gesù Cristo. {71 [221]}

            Sabato. Ad onore di Maria SS. per ottenere la sua protezione in vita ed in morte.

            Prendeva parte con trasporto di gioia a tutte le pratiche, le quali riguardassero al santissimo Sacramento. Se gli fosse capitato d'incontrare il Viatico portato a qualche infermo, egli s'inginocchiava tosto ovunque fosse; e se il tempo glielo permetteva, l'accompagnava finchè fosse terminata la funzione.

            Alla festa del Corpus Domini fu vestito da cherico, e mandato alla processione della parrochia. Egli vi andò con sommo piacere, ed ebbe tal cosa come prezioso regalo, che maggiore niuno gli avrebbe potuto fare.

 

 

Capo XV. Sue penitente.

 

            La sua età, la sanità cagionevole, l'innocenza di sua vita l'avrebbero certamente dispensato da ogni sorta di penitenza; ma egli sapeva che difficilmente un giovane può conservare l'innocenza senza la penitenza, e questo pensiero faceva si che la {72 [222]} via dei patimenti per lui sembrava coperta di rose. Per penitenza non parlo del sopportare pazientemente le ingiurie e i dispiaceri, non parlo della continua mortificazione e compostezza di tutti i suoi sensi nel pregare, nella scuola, nello studio, nella ricreazione. Queste penitenze in lui erano continue.

            Io parto solamente delle penitenze afflittive del corpo. Nel suo fervore aveva stabilito di digiunare ogni sabato a pane ed acqua in onore della Beata Vergine, ma il confessore glielo proibì; voleva digiunare la quaresima, ma dopo una settimana venne tale cosa a notizia del Direttore della casa, e tosto gli fu vietata. Voleva almeno lasciar la colezione, ed anche tal cosa gli venne proibita. La ragione per cui non gli si permettevano tali penitenze era per impedire che la sua cagionevole sanità non venisse rovinata intieramente. Che fare adunque? Proibito di fare astinenza nel cibo, prese ad affliggere il corpo in altre maniere. Cominciò a mettersi scheggie di legno e pezzi dì mattone in letto per rendersi molesto il medesimo riposo; voleva portare una specie di cilicio; le quali cose gli vennero tutte proibite. {73 [223]} Egli si appigliò ad un novello mezzo. In tempo di autunno e d'inverno lascio inoltrare la stagione senza accrescere coperte al letto, sicchè eravamo a gennaio, ed egli era tuttora coperto da estate. Un mattino rimasto a letto per qualche incomodo, il Direttore l'andò a visitare. Al vederlo tutto aggomitolato gli si avvicinò, e si accorse che non aveva altro addosso che una sottile copertura. Perchè hai fatto questo, gli disse? Vuoi morire di freddo? No, rispose, non morrò di freddo. Gesù nella capanna di Betlemme e quando era in croce, era meno coperto di me.

            Allora gli fu assolutamente proibito d'intraprendere penitenze di qualsiasi genere, senza prima dimandarne espressa licenza; al quale comando, sebbene con pena, si sottomise. Una volta lo incontrai tutto afflitto, che andava esclamando: povero me, io sono veramente imbrogliato. Il Salvatore dice, che se non fo penitenza, non andrò in paradiso; ed a me è proibito di farne; quale adunque sarà il mio paradiso?

            La penitenza, che il Signore vuole da te, gli dissi, è l'ubbidienza. Ubbidisci, e a te basta. {74 [224]}

            - Non potrebbe permettermi qualche altra penitenza?

            - Si: ti si permettono le penitenze di sopportare pazientemente le ingiurie qualora te ne venissero fatte; tollerare con rassegnazione il caldo, il freddo, il vento, la pioggia, la stanchezza, e tutti gli incomodi di salute che a Dio piacerà di mandarti.

            - Ma questo si soffre per necessità?

            - Ciò che dovresti soffrire per necessità offrilo a Dio, e diventa virtù e merito per l'anima tua.

            Contento e rassegnato a questi consigli se ne andò tranquillo.

 

 

Capo XVI. La Compagnia dell Immacolata Concezione.

 

            Tutta la vita di Domenico si può dire essere un esercizio di divozione verso Maria Santissima. Nè lasciava sfuggire occasione alcuna affine di tributarla qualche omaggio. L'anno 1854 il supremo Gerarca della Chiesa definiva dogma di fede l'immacolato concepimento di Maria. Il Savio desiderava ardentemente di rendere tra di noi vivo e {75 [225]} durevole il pensiero di questo augusto titolo dalla Chiesa dato alla regina del cielo. Io desidererei, soleva dire, di fare qualche cosa in onore di Maria, ma di farlo presto, perchè temo che mi manchi il tempo.

            Guidato egli adunque dalla solita industriosa sua carità scelse alcuni de' suoi fidi compagni, e li invitò ad unirsi insieme con lui per formare una compagnia detta dell'Immacolata Concezione.

            Lo scopo era di assicurarsi la protezione della gran Madre di Dio in vita e specialmente in punto di morte. Due mezzi proponeva il Savio a tal fine: esercitare e promuovere pratiche di pietà in onore di Maria Immacolata, e la frequente Comunione. D'accordo co' suoi più fidi amici compilò un regolamento, e dopo molte sollecitudini nel giorno 8 di giugno 1856, nove mesi prima di sua morte, leggevate con loro dinanzi all'altare di Maria SS. Io lo trascrivo di buon grado nel pensiero che possa servire ad altri di norma a fare altrettanto. Eccone adunque il tenore:

            Noi Savio Domenico, ecc., (segue il nome di altri compagni) per assicurarci in vita ed in morte il patrocinio della Beatissima Vergine Immacolata, e per dedicarci {76 [226]} intieramente al suo santo servizio, nel giorno 8 del mese di giugno, muniti tutti dei Ss. Sacramenti della confessione e comunione, e risoluti di professar verso la Madre nostra una filiale e costante divozione, protestiamo davanti all' altare di Lei e col consenso del nostro Spiritual Direttore, di voler imitare per quanto lo pernotteranno le nostre forze LUIGI COMOLLO[4]. Onde ci obblighiamo

            1° Di osservare rigorosamente le regole della casa:

            2° Di edificare i compagni ammonendoli caritatevolmente, ed eccitandoli al bene colle parole, ma molto più col buon esempio;

            3° Di occupare esattamente il tempo. A fine poi di assicurarci della perseveranza nel tenor di vita cui intendiamo di obbligarci, sottomettiamo il seguente regolamento al nostro Direttore. {77 [227]}

            N. 1. A regola primaria adotteremo una rigorosa obbedienza ai nostri superiori cui ci sottomettiamo con una illimitata confidenza.

            N. 2. L'adempimento dei proprii doveri sia la nostra prima e speciale occupazione.

            N. 3. Carità reciproca unirà i nostri animi, ci farà amare indistintamente i nostri fratelli, i quali con dolcezza ammoniremo, quando apparisse utile una correzione.

            N. 4. Si sceglierà una mezz' ora nella settimana per convocarci, e dopo l'invocazione del S. Spirito, fatta breve spiritual lettura, si tratteranno i progressi della Compagnia nella divozione e nelle virtù.

            N. 5. Separatamente però ci ammoniremo di quei difetti di cui dobbiamo emendarci.

            N. 6. Procureremo di evitare fra noi qualunque minimo dispiacere, sopportando con pazienza i compagni, e le altre persone moleste.

            N.7. Non è fissata alcuna preghiera, giacchè il tempo, che rimane dopo compiuto il dover nostro, sarà consacrato a quello scopo che parrà più utile all'anima nostra.

            N. 8. Ammettiamo però queste poche pratiche: {78 [228]}

                        § 1° La frequenza ai Ss.mi Sacramenti, quanto più sovente ci verrà permesso.

                        § 2º Ci accosteremo alla mensa Eucaristica tutte le domeniche, le feste di precetto, tutte le novene e solennità di Maria SS. e dei Ss. Protettori dell'Oratorio.

                        § 3° Nella settimana procureremo di aceostarvici al giovedì, eccetto che ne siamo distolti da qualche grave occupazione.

            N. 9. Ogni giorno, specialmente nella recita del Rosario, raccomanderemo a Maria la nostra società, pregandola di ottenerci la grazia della perseveranza.

            N. 10. Procureremo di consacrare ogni sabato in onor di Maria qualche pratica speciale od atto di cristiana pietà in onor dell'Immacolato suo concepimento.

            N. 11. Useremo quindi un contegno vie maggiormente edificante nella preghiera, nelle divote letture, durante i divini uffizi, nello studio e nella scuola.

            N. 12. Custodiremo colla massima gelosia la santa parola di Dio, e ne rianderemo le verità ascoltate.

            N. 13. Eviteremo qualunque perdita di tempo per assicurar l'animo nostro dalle tentazioni che sogliono fortemente assalirci nell'ozio; epperciò {79 [229]}

            N. 14. Dopo aver soddisfatto agli obblighi che incombono a ciascuno di noi, consacreremo le ore rimaste libere in utili occupazioni come in divote ed istruttive letture o nella preghiera.

            N. 15. La ricreazione è voluta o almeno permessa dopo il cibo, dopo la scuola e dopo lo studio.

            N. 16. Procureremo di manifestare ai nostri superiori qualunque cosa possa riguardare la nostra morale condotta.

            N. 17. Procureremo eziandio di fare gran risparmio di quei permessi che ci vengono largiti dalla bontà dei nostri superiori, imperciocchè una delle nostre mire speciali è certamente un'esatta osservanza delle regole della casa, troppo spesso offesa dall'abuso di tali permessi.

            N. 18. Accetteremo dai nostri superiori quello che verrà destinato a nostro alimento senza mai movere lagnanza intorno agli apprestamenti di tavola, e distoglieremo anche gli altri dal farlo.

            N. 19. Chi bramerà far parte di questa società, dovrà anzi tutto purgarsi la coscienza col Sacramento della Confessione, e cibarsi alla mensa Eucaristica, dar quindi saggio di sua condotta con una settimana {80 [230]} di prova, leggere attentamente queste regole e prometterne esatta osservanza a Dio ed a Maria SS. Immacolata.

            N. 20. Nel giorno di sua ammessione i fratelli si accosteranno alla santa comunione, pregando Sua Divina Maestà di accordare al compagno le virtù della perseveranza, dell'ubbidienza, il vero amore di Dio.

            N. 21. La società è posta sotto gli auspizii dell' Immacolata Concezione, di cui avremo il titolo, e porteremo una divota medaglia. Una sincera, filiale, illimitata fiducia in Maria, una tenerezza singolare verso di lei; una devozione costante ci renderanno superiori ad ogni ostacolo, tenaci nelle risoluzioni, rigidi verso di noi, amorevoli col nostro prossimo, ed esatti in tutto.

            Consigliamo inoltre i fratelli a scrivere i SS. nomi di Gesù e di Maria prima nel cuore e nella mente, poi sui libri e sopra gli oggetti che ci possono cadere sott'occhio.

            Il nostro Direttore è pregato di esaminare queste regole, e di manifestarci intorno ad esse il suo giudizio assicurandolo che noi tutti intieramente dipendiamo dalla sua volontà. Egli potrà far subire a questo regolamento quelle modificazioni, che gli parranno convenienti. {81 [231]}

            E Maria? Benedica essa i nostri sforzi, giacchè l'inspirazione di dar vita a questa pia società fu tutta sua. Ella arrida alle nostre speranze, esaudisca i nostri voti, e noi coperti dal suo manto, forti del suo patrocinio, sfideremo le procelle di questo mare infido, supereremo gli assalti del nemico infernale. In simil guisa da lei confortati speriamo d'essere l'edificazione dei compagni, la consolazione dei superiori, diletti figliuoli di Lei. E se Dio ci concederà grazia e vita per servirlo nel sacerdotal Ministero, noi ci adopreremo con tutte le nostre forze per farlo col massimo zelo, e diffidando di nostre forze, illimitatamente fidando nel divino soccorso, potremo sperare che dopo questa valle di pianto consolati dalla presenza di Maria, raggiungeremo sicuri in quell'ultima ora quel guiderdone eterno, che Iddio tien serbato a chi lo serve in ispirito e verità.

            Il Direttore dell' Oratorio lesse di fatto il sopra esposto regolamento di vita e dopo di averlo attentamente esaminato, lo approvò colle seguenti condizioni:

            1. Le mentovate promesse non hanno forza di voto.

            2. Nemmeno obbligano sotto pena di colpa alcuna. {82 [232]}

            3. Nelle conferenze si stabilisca qualche opera di carità esterna, come la nettezza della Chiesa, l'assistenza od il catechismo di qualche fanciullo più ignorante.

            4. Si dividano i giorni della settimana in modo che in ciascun giorno vi siano alcune comunioni.

            5. Non si aggiunga alcuna pratica religiosa senza speciale permesso dei superiori.

            6. Si proponga per iscopo fondamentale di promuovere la divozióne verso Maria SS. Immacolata, e verso il SS. Sacramento.

            7. Prima di accettare qualcheduno, gli si faccia leggere la vita di Luigi Comollo.

 

 

Capo XVII. Sue amicizie particolari - Sue relazioni col giovane Gavio Camillo.

 

            Ognuno era amico con Domenico; chi non lo amava lo rispettava per le sue virtù. Egli sapeva poi passarsela bene con tutti. Era cosi rassodato nella virtù che fu consigliato di trattenersi anche con alcuni {83 [233]} giovani alquanto discoli per far prova di guadagnarli al Signore. Ed egli approffittava della ricreazione, dei trastulli, dei discorsi anche indifferenti per trarne vantaggio spirituale. Tuttavia aveva i suoi amici particolari, coi quali, come si è detto, si radunava ora in conferenze spirituali, ora per compiere esercizi di cristiana pietà. Queste conferenze tenevansi con licenza dei superiori; ma erano assistite e regolate dagli stessi giovani. In esse trattavano del modo di celebrare le novene delle maggiori solennità, si ripartivano le comunioni, che ciascuno avrebbe avuto cura di fare in giorni determinati della settimana, si assegnavano a vicenda quei giovani che avevano maggior bisogno di assistenza morale e ciascuno lo faceva suo cliente, ovvero protetto, ed adoperavano tutti i mezzi che suggerisce la carità cristiana per avviarlo alla virtù.

            Il Savio era dei più animati, e si può dire che in queste conferenze la faceva da dottore.

            Si potrebbe parlare di parecchi compagni del Savio che prendevano parte a queste conferenze, e che trattarono molto con lui, ma essendo essi ancor tra' vivi, pare {84 [234]} prudenza non parlarne. Ne accennerò solamente due, che sono già stati da Dio chiamati alla patria celeste. Questi sono Gavio Camillo di Tortona, e Massaglia Giovanni di Marmorito. Il Gavio dimorò solamente due mesi tra noi, e questo tempo bastò per lasciare santa rimembranza di sè presso i suoi compagni. La sua luminosa pietà e il suo gran genio per la pittura e scultura, avevano risolto il municipio di quella città ad aiutarlo affinchè potesse venire a Torino a proseguire gli studii per l'arte sua. Egli aveva fatto una grave malattia in patria; e come venne all'Oratorio sia per essere convalescente, sia per trovarsi lontano dalla patria e dai parenti, sia anche per la compagnia di giovanetti tutti sconosciuti, se ne stava osservando gli altri a trastullarsi, ma assorto in gravi pensieri. Lo vide il Savio, e tosto si avvicinò per confortarlo, e tenne secolui questo preciso discorso:

            Il Savio cominciò: ebbene, mio caro, non conosci ancora alcuno, non è vero?

            Gavio: è vero, ma mi ricreo rimirando gli altri a trastullarsi.

            - Come ti chiami?

            - Gavio Camillo di Tortona. {85 [235]}

            - Quanti anni hai?

            - Ne ho quindici compiuti.

            - Da che deriva quella malinconia che ti traspira in volto, sei forse stato ammalato?

            - Si, sono veramente stato ammalato: ho fatto una malattia di palpitazione, che mi portò sull'orlo della tomba, ed ora non ne sono ancora ben guarito.

            - Desideri di guarire, non è vero?

            - Non tanto; desidero di fare la volontà di Dio.

            Queste ultime parole fecero conoscere il Gavio per un giovane di non ordinaria pietà, e cagionarono nel cuore del Savio una vera consolazione; sicchè con tutta confidenza continuò così: chi desidera di fare la volontà di Dio, desidera di santificare se stesso; hai dunque volontà di farti santo?

            - Questa volontà in me è grande.

            - Bene: accresceremo il numero dei nostri amici, e tu sarai uno di quelli che prenderai parte a quanto facciamo noi per farci santi. Ma sappi che noi qui facciamo consistere la santità nello star molto allegri. Noi procureremo soltanto di evitare il peccato, come un gran nemico che ci ruba la grazia di Dio e la pace del cuore, {86 [236]} di adempiere esattamente i nostri doveri, e frequentare le cose di pietà. Comincia fin d'oggi a scriverti per ricordo: servite Domino in laetitia, serviamo il Signore in santa allegria.

            Questo discorso fu come un balsamo alle afflizioni del Gavio, che ne provò un vero conforto. Che anzi da quel giorno in poi egli divenne fido amico del Savio, e costante seguace delle sue virtù. Ma la malattia che lo aveva portato sull'orlo della tomba, e che non era stata sradicata, in capo a due mesi ricomparve, e malgrado le sollecitudini dei medici e degli amici, non le si potè più trovare rimedio. Dopo alcuni giorni di peggioramento, dopo di aver con grande edificazione ricevuti gli ultimi sacramenti mandava l'anima al Creatore il 30 dicembre 1856.

            Domenico andò più volte a visitarlo nel corso della malattia e si offeriva di passare le notti vegliando presso di lui, sebbene non siagli stato permesso. Quando seppe, che era spirato, volle andarlo a vedere per l'ultima volta, e mirandolo estinto, commosso gli diceva: addio, o Gavio, tu sei volato al cielo; prepara anche un posto per me. Io ti sarò sempre amico, e finchè il {87 [237]} Signore mi lascerà in vita, pregherò pel riposo dell'anima tua.

            Dopo andò con altri compagni a recitare l'uffizio dei morti nella camera del defunto, si fecero altre preghiere lungo il giorno; quindi invitò alcuni dei più buoni compagni a fare la santa comunione, ed egli stesso la fece più volte in suffragio dell'anima dell'amico defunto.

            Fra le altre cose egli disse a' suoi amici: miei cari, non dimentichiamo l'anima del nostro amico, tutto quello che ora facciamo per lui, Dio disporrà che altri lo faccia un giorno per noi.

 

 

Capo XVIII. Sue relazioni col giovane Massaglia Giovanni.

 

            Più lunghe e più intime furono le relazioni del Savio con Massaglia di Marmorito, paese poco distante da Mondonio.

            Vennero ambidue contemporaneamente nella casa dell'Oratorio, erano confinanti di patria; avevano ambidue la stessa volontà di abbracciare lo stato ecclesiastico, con vero desiderio di farsi santi. {88 [238]}

            - Non basta, un giorno Domenico diceva al suo amico, non basta il dire che vogliamo farci ecclesiastici, ma bisogna che ci adoperiamo per acquistare le virtù che a tale stato sono necessarie.

            - È vero, rispondeva l'amico, ma, se facciamo quello che possiamo dal canto nostro, Dio non mancherà di darci grazia e forza per meritarci un favore così grande quale si è diventar ministri di Gesù Cristo.

            Venuto il tempo pasquale fecero cogli altri giovani gli spirituali esercizi con molta esemplarità. Terminati gli esercizi, Domenico disse al compagno: voglio che noi siamo veri amici; veri amici per le cose dell'anima, perciò vorrei che d'ora in avanti fossimo l'uno monitore dell'altro in tutto ciò che può contribuire al bene spirituale. Quindi se tu scorgerai in me qualche difetto, dimmelo tosto, affinchè me ne possa emendare, oppure se vedrai qualche cosa di bene che io possa fare, non mancare di suggerirmelo.

            - Lo farò volentieri per te, sebbene non ne abbisogni; ma tu lo devi fare assai più verso di me, che, come ben sai, per la mia età mi trovo esposto a maggiori pericoli. {89 [239]}

            - Lasciamo i complimenti da parte ed aiutiamoci vicendevolmente a farci del bene per l'anima.

            Da quel tempo il Savio, ed il Massaglia divennero veri amici, e la loro amicizia fu durevole, perchè fondata sulla virtù; giacchè andavano a gara coll'esempio e coi consigli per aiutarsi a fuggire il male, e praticare il bene.

            Alla fine dell'anno scolastico subiti gli esami fu a ciascun giovane della casa data licenza di andar a passare le vacanze o coi genitori o con qualche altro parente.

            Alcuni preferirono rimanere all'oratorio, e tra questi furono Savio e Massaglia. Sapendo io quanto fossero ansiosamente aspettati dai parenti, e quanto essi medesimi avessero bisogno di ristorare la loro stanchezza, dissi ad ambidue: perchè non andate a passar qualche giorno in vacanza? Essi invece di rispondere si misero a ridere. - Che cosa volete dirmi con questo ridere?

            Domenico rispose: noi sappiamo che i nostri parenti ci attendono con piacere; noi pure li amiamo e ci andremmo volentieri; ma sappiamo che l'uccello finchè trovasi in gabbia non gode libertà, è vero, {90 [240]} però è sicuro dal falcone. Al contrario se è fuori di gabbia, vola dove vuole, ma da un momento all'altro può cadere negli artigli di quell'uccello di rapina. La nostra gabbia è l'Oratorio; qui stiamo sicuri; se usciamo di qui temiamo di cadere negli artigli del falcone infernale.

            Io però ho giudicato bene di mandarli qualche tempo a casa pel bene della loro sanità, e si arresero alla mia volontà soltanto per ubbidienza, restandovi quei soli giorni che erano stati strettamente loro comandati.

            Se volessi scrivere i bei tratti di virtù del giovane Massaglia, dovrei ripetere in gran parte le cose dette del Savio, di cui fu fedele seguace finchè visse. Egli godeva buona salute, e dava ottima speranza di sè nella carriera degli studii. Compiuto il corso di Retorica subì con esito felice l'esame per la vestizione chericale. Ma questo abito da lui tanto amato e tanto rispettato, potè soltanto portarlo alcuni mesi. Colpito da una costipazione, che aveva aspetto di semplice raffreddore, non voleva nemmeno interrompere i suoi studii. Pel desiderio di fargli fare una cura radicale, e per toglierlo dall'occasione di studiare i {91 [241]} genitori lo condussero a casa. La malattia sembrava leggiera; più volte parve perfettamente vinta, più volte ricadde, finchè quasi inaspettatamente venne all'estremo della vita.

            «Egli ebbe tempo, scrive il suo paroco, di ricevere colla massima esemplarità tutti i conforti di nostra santa religione; moriva della morte del giusto che lascia il mondo per volare al cielo.»

            Alla perdita di tale amico il Savio fu profondamente addolorato, e sebbene rassegnato ai divini voleri lo pianse per più giorni, e questa è la prima volta che vidi quel volto angelico a rattristarsi e piangere di dolore. L'unico conforto fu di pregare e far pregare per l'amico defunto. Fu udito talvolta ad esclamare: caro Massaglia, tu sei morto, e spero che sarai gia in compagnia di Gavio in paradiso, ed io quando andrò a raggiungervi nell'immensa felicità del cielo?

            Per tutto il tempo che Domenico sopravvisse al suo amico l'ebbe ognor presente nelle pratiche di pietà, e soleva dire, che non poteva andar ad ascoltar la santa messa, od assistere a qualche esercizio divoto senza raccomandare a Dio l'anima di {92 [242]} colui che in vita erasi cotanto adoperato pel suo bene. Questa perdita fu assai dolorosa al tenero cuore di Domenico, e la medesima sanità di lui fu notevolmente alterata.

 

 

Capo XIX. Grazie speciali e fatti particolari.

 

            Finora ho raccontato cose che presentano nulla di straordinario, se non vogliamo chiamare straordinaria una condotta costantemente buona, che si andò sempre perfezionando coll'innocenza della vita, con le opere di penitenza e coll’esercizio della pietà. Potrebbesi pur chiamare cosa straordinaria la vivezza di sua fede, la ferma sua speranza e l'infiammata sua carità e la perseveranza nel bene fino all' ultimo respiro. Qui però io voglio esporre grazie speciali ed alcuni fatti non comuni, che forse andranno soggetti a qualche critica. Per la qual cosa io stimo bene di avvisarne il lettore, che quanto ivi riferisco, ha piena somiglianza con fatti registrati nella Bibbia e nella vita dei santi; riferisco cose che ho vedute cogli occhi miei, assicuro {93 [243]} che scrivo scrupolosamente la verità, rimettendomi però interamente ai riflessi del discreto lettore: eccone il racconto.

            Avvenne più volte, che andando in chiesa, specialmente nel giorno che Domenico faceva la santa comunione, oppure vi era esposto il santissimo Sacramento egli restava come rapito dai sensi, sicchè lasciava passare tempo anche troppo lungo, se non era chiamato per compiere i suoi ordinarii doveri. Accadde un giorno che mancò dalla colezione, dalla scuola, e dal medesimo pranzo, e niuno sapeva dove fosse; nello studio non c'era, a letto nemmeno. Riferita al Direttore tal cosa, gli nacque sospetto di quello che era realmente, che fosse in chiesa, siccome già altre volte era accaduto. Entra in chiesa, va in coro e io vede là fermo come un sasso. Egli teneva un piede sull'altro, una mano appoggiata sul leggìo dell'antifonario, l'altra sul petto colla faccia fissa e rivolta verso il tabernacolo. Non moveva palpebra. Lo chiama, nulla risponde. Lo scuote, e allora gli volge lo sguardo, e dice: oh è già finita la messa? Vedi, soggiunse il Direttore mostrandogli l'orologio, sono le due. Egli dimandò {94 [244]} umile perdono della trasgressione delle regole di casa, ed il direttore lo mandò a pranzo, dicendogli: se taluno ti dirà: onde vieni? Risponderai che vieni dall'eseguire un mio comando. Fu detto questo per evitare le dimande inopportune, che forse i compagni gli avrebbero fatte.

            Un altro giorno terminato l'ordinario ringraziamento della messa io era per uscire dalla sacrestia, quando sento in coro una voce come di una persona che disputava. Vado a vedere e trovo il Savio che parlava e poi si arrestava, come chi dà campo alla risposta. Fra le altre cose intesi chiaramente queste parole: Sì, mio Dio, ve l'ho già detto e ve lo dico di nuovo, io vi amo e vi voglio amare fino alla morte. Se voi vedete che io sia per offendervi, mandatemi la morte: sì, prima la morte, ma non peccare.

            Gli ho talvolta dimandato che cosa facesse in quei suoi ritardi, ed egli con tutta semplicità rispondeva: povero me, mi salta una distrazione, e in quel momento perdo il filo delle mie preghiere, e parmi di vedere cose tanto belle, che le ore fuggono come un momento.

            Un giorno entrò nella mia camera dicendo: {95 [245]} presto, venga con me, c'è una bell'opera da fere. Dove vuoi condurmi? gli chiesi. Faccia presto, soggiunse, faccia presto. Io esitava tuttora, ma instando egli, ed avendo già provato altre volte l'importanza di tali inviti, accondiscesi. Lo seguo. Esce di casa, passa una contrada poi un'altra, ed un'altra ancora, ma non si arresta nè fa parola; prende infine un' altra contrada, io lo accompagno di porta in porta, finchè si ferma, sale una scala, monta al terzo piano e suona una forte scampanellata. E qua, che deve entrare, egli dice, e tosto se ne parte.

            Mi si apre; oh presto, mi vien detto, presto, altrimenti non è più a tempo. Mio marito ebbe la disgrazia di farsi protestante; adesso è in punto di morte e dimanda per pietà di poter morire da buon cattolico.

            Io mi recai tosto al letto di quell'infermo, che mostrava viva ansietà di dar sesto alle cose della sua coscienza. Aggiustate colla massima prestezza le cose di quell'anima, giunge il Curato, che già prima si era fatto chiamare. Esso potè appena amministrargli il sacramento dell'Olio Santo con una sola unzione, che l'ammalato era già cadavere. {96 [246]}

            Un giorno ho voluto chiedere al Savio come egli avesse potuto sapere che colà eravi un ammalato, ed egli mi guardò con aria di dolore, di poi si mise a piangere. Io non gli ho più fatto ulteriore dimanda.

            L'innocenza della vita, l'amor verso Dio, il desiderio delle cose celesti avevano portato la mente di Domenico a tale stato che si poteva dire abitualmente assorto in Dio. Talvolta sospendeva la ricreazione, voltava altrove lo sguardo e si metteva a passeggiare da solo. Interrogato perchè lasciasse cosi i compagni, rispondeva: mi assalgono le solite distrazioni, e mi pare che il paradiso mi si apra sopra del capo, ed io debbo allontanarmi dai compagni per non dir loro cose che forse essi metterebbero in ridicolo. Tal cosa gli succedeva nello studio, nell'andata e ritorno da scuola, e nella scuola medesima.

            Parlava assai volentieri del Romano Pontefice, ed esprimeva il suo vivo desiderio di poterlo vedere prima di morire, asserendo ripetutamente che aveva cosa di grande importanza da dirgli.

            Ripetendo spesso le medesime cose, volli chiedergli qual fosse quella gran cosa che avrebbe voluto dire al Papa. {97 [247]}

            - Se potessi parlare al Papa, vorrei dirgli che si occupi assai dell'Inghilterra; Dio prepara un gran trionfo al cattolicismo in quel Regno.

            - Sopra quali cose appoggi tu queste tue parole?

            - Lo dico, ma non vorrei che ne facesse parola con altri, per non espormi forse allo burle. Se però andrà a Roma, lo dica a Pio IX. Ecco adunque. Un mattino mentre faceva il ringraziamento della comunione, fui sorpreso da una forte distrazione, e mi parve di vedere una vastissima pianura piena di gente avvolta in densa nebbia. Camminavano, ma come uomini, che smarrita la via non vedono più ove mettano il piede. Questo paese, mi disse uno che mi era vicino, è l'Inghilterra. Mentre voleva dimandare altre cose vedo il sommo Pontefice Pio IX, tale quale aveva veduto dipinto in alcuni quadri. Egli maestosamente vestito, portando una luminosissima fiaccola tra le mani, si avanzava verso quella immensa turba di gente. Di mano in mano che si avvicinava, al chiarore di questa fiaccola, scompariva la nebbia, e gli uomini restavano nella luce come di mezzogiorno. Quella fiaccola, mi {98 [248]} disse l'amico, è la religione cattolica che deve illuminare gl'Inglesi.

            L'anno scorso (1858) essendo andato a Roma, ho voluto raccontare tale cosa al Sommo Pontefice, che la sentì con bontà e con piacere. Questo, disse il Papa, mi conferma nel mio proposito di lavorare energicamente a favore dell' Inghilterra, a cui ho già rivolto le mie più grandi sollecitudini. Tal racconto, se non altro, mi' è come un consiglio di un'anima buona.

            Ommetto molti altri fatti simiglianti, contento di scriverli, lasciando che altri li pubblichi, quando si giudicherà che possano tornare a maggior gloria di Dio.

 

 

Capo XX. Suoi pensieri sopra la morte, e sua preparazione a morir santamente.

 

            Chi ha letto quanto abbiamo fin' ora scritto intorno al giovane Savio Domenico, conoscerà di leggieri che la vita di lui fu una continua preparazione alla morte. Ma egli reputava la compagnia dell'Immacolata Concezione come un mezzo efficace per assicurarsi la protezione di Maria in punto {99 [249]} di morte, che ognuno presagiva non essergli lontana.

            Malgrado tutti i riguardi che gli si usavano per moderarlo nelle cose di studio e di pietà; tuttavia e per la naturale sua gracilità, e per alcuni incomodi personali ed anche per la continua tensione di spirito, gli si andavano ogni giorno diminuendo le forze. Egli stesso se ne accorgeva, e talvolta andava dicendo: bisogna che io corra, altrimenti la notte mi sorprende per istrada. Volendo dire che gli restava poco tempo di vita, e che doveva essere sollecito in fare opere buone prima che giungesse la morte.

            Avvi l'uso in questa casa che i nostri giovani facciano l'esercizio della buona morte una volta al mese. Consiste questo esercizio nel prepararci a fare una confessione e comunione come se fosse l'ultima della vita. Il regnante Pio IX nella sua grande bontà arricchì questo esercizio di pietà di varie indulgenze. Domenico lo faceva con un raccoglimento che non si può dire maggiore. In fine della sacra funzione si suole recitare un Pater ed Ave per colui che tra gli astanti sarà il primo a morire. Un giorno scherzando egli disse: in luogo di dire per {100 [250]} colui che sarà il primo a morire dica così: un Pater ed Ave per Savio Domenico che di noi sarà il primo a morire. Questo disse più volte.

            Sul finire di aprile del 1856, egli si presentò al Direttore e gli dimandò come avrebbe dovuto fare per celebrare santamente il mese di Maria.

            - Lo celebrerai, rispose, coll'esalto adempimento de' tuoi doveri. raccontando ogni dì un esempio in onore di Maria, e procurando di regolarti in modo da poter fare in ciascun giorno la santa comunione.

            - Ciò procurerò di fare puntualmente; ma qual grazia dovrò dimandare?

            - Dimanderai alla santa Vergine che ti ottenga da Dio sanità e grazia, per farti santo.

            - Che mi aiuti a farmi santo, che mi aiuti a fare una santa morte, e che negli ultimi momenti di mia vita mi assista e mi conduca al cielo.

            Per usare tutti i mezzi atti a fargli riacquistare la sanità, ho fatto fare un consulto di medici. Tutti ammirarono la giovialità, la prontezza di spirito, e l'assennatezza delle risposte di Domenico. Il dottor Vallauri, di felice memoria, che era uno {101 [251]} dei benemeriti consulenti, pieno di ammirazione: che perla preziosa, disse, è mai questo giovinetto!

            - Qual è l'origine del malore che gli fa diminuire la sanità ogni giorno più, gli dimandai?

            - La sua gracile complessione, la cognizione precoce, la continua tensione di spirito, sono come lime che gli rodono insensibilmente le forze vitali.

            - Qual rimedio potrebbe tornargli maggiormente utile?

            - Il rimedio più utile sarebbe lasciarlo andare al paradiso, per cui mi pare assai preparato. L'unica cosa che potrebbe protrargli la vita, si è l'allontanarlo intieramente qualche tempo dallo studio e trattenerlo in occupazioni materiali adattate alle sue forze.

 

 

Capo XXI. Sua sollecitudine per gli ammalati - Lascia l'Oratorio- Sue parole in tale occasione.

 

            Lo sfinimento di forze in cui si trovava non era tale da tenerlo a letto continuamente; {102 [252]} perciò talvolta andava a scuola, allo studio; oppure si occupava in cose di casa. Fra le cose in cui si occupava con gran piacere era il servire i compagni infermi qualora ve ne fossero stati nella casa.

            Io non ho alcun merito avanti a Dio, diceva, nell'assistere o visitare gli infermi perchè lo fo con troppo gusto; anzi mi è un caro divertimento.

            Mentre poi loro faceva de' servizi temporali, era accortissimo nel suggerire sempre qualche cosa di spirituale. Questa carcassa, diceva ad un compagno incomodato, non vuol durare in eterno, non è vero? Bisogna lasciare che si logori poco per volta, finchè vada alla tomba; ma allora, caro mio, l'anima nostra sciolta dagli impacci del corpo volerà gloriosa al cielo e godrà una sanità ed una felicità interminabile.

            Avvenne che un compagno rifiutavasi di bere una medicina perchè amara. Caro mio, dicevagli Domenico, noi dobbiamo prendere qualsiasi rimedio, perchè cosi, facendo obbediamo a Dio, che ha stabilito medici e medicine, perchè sono necessarii a riacquistare la perduta sanità: che se proviamo qualche ripugnanza pel gusto, sarà un mezzo per guadagnare maggior merito {103 [253]} per l'anima. Del resto credi che questa tua bevanda sia tanto amara ed aspra quanto era amaro il fiele misto con aceto di cui fu abbeverato l'innocentissimo Gesù sopra la croce? Queste parole dette colla maravigliosa sua schiettezza facevano si che niuno osava più opporre difficoltà.

            Sebbene la sanità del Savio fosse divenuta assai cagionevole, tuttavia l'andare a casa era cosa per lui la più disgustosa, perciocchè gli rincresceva interrompere gli studii e le solite sue pratiche di pietà. Alcuni mesi prima io ve l'aveva già mandato, ed egli vi dimorò solo pochi giorni e tosto mel vidi ricomparire all'Oratorio. Io debbo dirlo; il rincrescimento era reciproco: io l'avrei tenuto in questa casa a qualunque costo, il mio affetto per lui era quello di un padre verso di un figliuolo il più degno di sua affezione. Pure il consiglio de' medici era tale ed io voleva eseguirlo; tanto più che da alcuni giorni erasi in lui manifestata una ostinata tosse.

            Si previene adunque il padre, e si stabilisce la partenza pel primo di marzo 1857.

            Si arrese Domenico a tale deliberazione, ma solo per farne un sacrifizio a Dio. Perchè, gli si domandò, vai a casa cosi di {104 [254]} mal animo; mentre dovresti andarvi con gioia per godervi la compagnia de' tuoi amati genitori? Perchè, rispose, desidero di terminare i miei giorni all'Oratorio.

            - Andrai a casa, e, dopo che ti sarai alquanto ristabilito in salute, ritornerai.

            - Oh! questo poi no, no, io ci vo e non ritornerò più.

            La sera precedente alla partenza non poteva levarmelo d'attorno, sempre aveva cose da dimandare. Fra le altre diceva: Qual è la cosa migliore che possa fare un ammalato per acquistar merito davanti a Dio?

            - Offerire spesso a Dio quanto soffre.

            - Quale altra cosa potrebbe ancor fare?

            - Offrire la sua vita al Signore.

            - Posso essere certo che i miei peccati mi siano stati perdonati?

            - Ti assicuro a nome di Dio che i tuoi peccati ti sono stati tutti perdonati.

            - Posso essere certo di essere salvo?

            - Sì, mediante la divina misericordia, la quale non ti manca, tu sei certo di salvarti.

            - Se il demonio venisse a tentarmi, che cosa gli dovrei rispondere?

            - Gli risponderai che hai venduta l'anima {105 [255]} a Gesù Cristo, e che egli l'ha comperata col prezzo del suo sangue; se il demonio ti facesse ancora altra difficoltà gli chiederai qual cosa abbia egli fatto per l'anima tua. Al contrario Gesù Cristo ha sparso tutto il suo sangue per liberarla dall'inferno e condurla seco lui al paradiso.

            - Dal paradiso potrò vedere i miei compagni dell'Oratorio, ed i miei genitori?

            - Si dal paradiso vedrai tutte le vicende dell' Oratorio, vedrai i tuoi genitori, le cose che li riguardano, ed altre cose mille volte più belle.

            - Potrò venire a far loro qualche visita?

            - Potrai venire purchè tal cosa torni a maggior gloria di Dio.

            Queste e moltissime dimande andava facendo e sembrava una persona che avesse già un piede sulle porte del paradiso, e che prima di entrarvi volesse bene informarsi delle cose che entro vi erano.

 

 

Capo XXII. Dà l' addio a' suoi compagni.

 

            Il mattino di sua partenza fece co' suoi compagni l'esercizio della buona morte con tale trasporto di divozione nel confessarsi {106 [256]} e nel comunicarsi, che io che ne fui testimonio, non so come esprimerlo. Bisogna, egli diceva, che faccia bene questo esercizio perchè spero che sarà per me veramente quello della mia buona morte. Che se mi accadesse di morire per la strada sono già comunicato. Il rimanente della mattinata lo impiegò tutto per mettere in sesto le cose sue. Aggiustò il baule mettendo ogni oggetto come se non dovesse toccarlo mai più. Dopo andava visitando un per uno i suoi compagni, a chi dava un consiglio, avvisava questo ad emendarsi di un difetto, incoraggiva quell' altro a perseverare nel bene. Ad uno cui doveva rimettere due soldi, il chiamò e gli disse: Vien qua, aggiustiamo i nostri conti, altrimenti tal cosa mi cagionerà imbrogli nell' aggiustamento de' conti col Signore. Parlò ai confratelli della società dell' Immacolata Concezione e colle più animate espressioni li incoraggiva ad essere costanti nell'osservanza delle promesse fatte a Maria SS., ed a riporre in lei la più viva confidenza. Al momento di partire mi chiamò e dissemi queste precise parole: Ella adunque non vuole questa mia carcassa (carcame ovvero scheletro) ed io sono costretto a portarlo a Mondonio. {107 [257]} Il disturbo sarebbe di pochi giorni ... poi sarebbe tutto finito, tuttavia sia fatta la volontà di Dio. Se va a Roma, si ricordi della commissione dell'Inghilterra presso il Papa, preghi affinchè io possa fare una buona morte e a rivederci in paradiso. Addio, amati compagni, loro disse, addio tutti: pregate per me e a rivederci colà dove saremo sempre col Signore. Era già sulla porta del cortile quando lo vedo tornare indietro per dirmi:

            - Mi faccia un regalo da conservare per sua memoria.

            - Dimmi che regalo ti aggrada e te lo farò sull'istante. Vuoi un libro?

            - No: qualche cosa di meglio.

            - Vuoi danaro pel viaggio?

            - Si appunto: danaro pel viaggio dell'eternità; ella ha detto che ha ottenuto dal Papa alcune indulgenze plenarie in articolo di morte, metta anche me nel numero di quelli che ne possono partecipare.

            - Si, mio figlio, tu puoi ancora essere compreso in quel numero e vo subito a scrivere il tuo nome in quella carta.

            Dopo di che egli lasciava l'Oratorio dove era stato circa tre anni con tanto piacere {108 [258]} per sè, con tanta edificazione de' suoi compagni e de' medesimi suoi superiori e lo lasciava per non ritornarvi mai più.

            Noi eravamo tutti maravigliati di quei suoi insoliti saluti. Sapevamo che egli pativa molti incomodi di salute, ma poichè si teneva quasi sempre fuori di letto non facevamo gran caso della sua malattia. Di più avendo un'aria costantemente allegra, niuno dal volto poteva scorgere, che egli patisse malori di corpo o di spirito. Onde sebbene quegli insoliti saluti ci avessero posti in afflizione, avevamo però speranza di vederlo presto a ritornare fra noi. Ma non era così, egli era maturo pel cielo; nel breve corso di vita erasì già guadagnata la mercede dei giusti, come se fosse vissuto a molto avanzata età, ed il Signore lo voleva sul fiore degli anni chiamare a se per liberarlo da' pericoli in cui spesso fanno naufragio anche le anime più buone. {109 [259]}

 

 

Capo XXIII. Andamento di sua malattia. - Ultima confessione, riceve il Viatico. - Fatti edificanti.

 

            Partiva il nostro Domenico da Torino il primo di marzo alle due pomeridiane in compagnia di suo padre, e il suo viaggio fu buono, anzi pareva che la vettura, la varietà de' paesi, la compagnia de' parenti gli avessero fatto del bene. Onde giunto a casa per quattro giorni non si pose a letto. Ma veduto che gli si diminuivano le forze e l'appetito, e che la tosse si mostrava ognor più forte fu giudicato bene di mandarlo a farsi visitare dal medico. Questi trovò il male assai più grave che non appariva. Comandò che andasse a casa e si mettesse tosto a letto e giudicando che fosse malattia d'infiammazione fece uso dei salassi.

            È proprio dell' età giovanile il provar grande apprensione pei salassi. Perciò il chirurgo nell'atto di cominciare l'operazione esortava Domenico alla pazienza ed al coraggio. Egli si pose a ridere e disse: {110 [260]} che è mai una piccola puntura in confronto dei chiodi piantati nelle mani e nei piedi dell'innocentissimo nostro Salvatore? Quindi con tutta pacatezza d'animo faceziando e senza dar segno del minimo turbamento mirava il sangue ad uscire dalle vene in tutto il tempo dell' operazione. Fatti alcuni salassi, la malattia sembrava volgere in meglio, cosi assicuravi il medico, cosi credevano i parenti: ma Domenico giudicava altrimenti. Guidate dal pensiero che e meglio prevenire i sacramenti, che perdere i sacramenti, chiamò suo padre: papà! gli disse, è bene che facciamo un consulto col Medico Celeste. Io desidero di confessarmi e di ricevere la santa comunione.

            I genitori che eziandio giudicavano la malattia in istato di miglioramento sentirono con pena tale proposta, e solo per compiacerlo fu mandato a chiamare il Prevosto, che lo venisse a confessare. Venne questi prontamente per la confessione, poscia, sempre per compiacerlo, gli portò il Santo Viatico. Ognuno può immaginarsi con quale divozione e raccoglimento siasi comunicato. Tutte le volte che nel corso della vita si accostava ai santi sacramenti {111 [261]} sembrava sempre un S. Luigi. Ora che egli giudicava essere realmente quella l'ultima comunione della sua vita, chi potrebbe esprimere il fervore, gli slanci di teneri affetti che da quell'innocente cuore uscirono verso l'amato suo Gesù!

            Richiamò allora alla memoria le promesse fatte nella prima comunione. Disse più volte: si, sì, o Gesù, o Maria, voi sarete ora e sempre gli amici dell'anima mia. Ripeto e lo dico mille volle: morire, ma non peccati. Terminato il ringraziamento, tutto tranquillo disse: Ora sono contento, è vero che debbo fare il lungo viaggio dell' eternità, ma con Gesù in mia compagnia ho nulla a temere. Oh! dite pur sempre, ditelo a tutti: chi ha Gesù per suo amico e compagno non teme più alcun male, nemmeno la morte.

            La sua pazienza fu esemplare in tutti gl'incomodi sofferti nel corso della vita; ma in questa ultima malattia egli apparve un vero modello di santità.

            Non voleva che alcuno lo aiutasse negli ordinarii bisogni. Finchè potrò, diceva, voglio diminuire il disturbo a' miei cari genitori; essi hanno già tollerati tanti incomodi e tante fatiche per me, potessi almeno in {112 [262]} qualche modo ricompensarli! Prendeva con indifferenza i rimedi anche i più disgustosi; si sottomise a dieci salassi senza dimostrare il minimo risentimento.

            Dopo quattro giorni di malattia il medico si rallegrò coll'infermo, e disse ai parenti: ringraziamo la divina Provvidenza, siamo a buon punto, il male è vinto, abbiamo soltanto bisogno di fare una giudiziosa convalescenza. Godevano di tali parole i buoni genitori. Domenico però si pose a ridere e soggiunse: il mondo e vinto, ho soltanto bisogno di fare una giudiziosa comparsa davanti a Dio. Partito il medico, senza lusingarsi di quanto eragli stato detto, chiese che gli fosse amministrato il sacramento dell'Olio Santo. Anche quivi i parenti accondiscesero per compiacerlo, perciocchè nè essi nè il prevosto scorgevano in lui alcun pericolo prossimo di morte, anzi la serenità del sembiante e la giovialità delle parole il facevano realmente giudicare in istato di miglioramento. Ma egli o fosse mosso da sentimenti di devozione, oppure fosse così inspirato da voce divina che gli parlasse al cuore, fatto sta che contava i giorni e le ore di vita come si calcolano colle operazioni dell' aritmetica, {113 [263]} ed ogni momento era da lui impiegato a prepararsi a comparire dinanzi a Dio. Prima di ricevere l'Olio Santo fece questa preghiera: Oh Signore, perdonate i miei peccati, io vi amo, vi voglio amare in eterno. Questo sacramento, che nella vostra infinita misericordia permettete che io riceva, scancelli dall'anima mia tutti i peccati commessi coll'udito, colla vista, colla bocca, colle mani o co' piedi, sia il mio corpo e l'anima mia santificata dai meriti della vostra passione: cosi sia.

            Egli rispondeva a ciascuna occorrenza, ma con tale chiarezza di voce e giustezza di concetti, che noi 1' avremmo detto in perfetto stato di salute.

            Eravamo al 9 di marzo, quarto di sua malattia, ultimo di sua vita. Gli erano già stati praticati dieci salassi con altri rimedii e le sue forze erano intieramente prostrate, perciò gli fu data la benedizione papale. Disse egli stesso il confìteor, rispondeva a quanto diceva il sacerdote. Quando senti a dirsi che con quell'alto religioso il Papa gli compartiva la benedizione apostolica coll'indulgenza plenaria, provò la più grande consolazione. Deo gratias andava dicendo, et semper Deo gratias. Quindi si volse al {114 [264]} crocifisso e recitò questi versi che gli erano molto famigliari nel corso della vita.

 

            Signor, la libertà tutta vi dono,

            Ecco le mie potenze, il corpo mio,

            Tutto vi do, che tutto è vostro, o Dio;

            E nel vostro voler io m' abbandono.

 

 

Capo XXIV. Suoi ultimi momenti e sua preziosa morte.

 

            È verità di fede che l'uomo raccoglie in punto di morte il frutto delle opere sue. Quae seminaverit homo, haec et metet. Se in vita sua ha seminato opere buone, egli raccoglierà in quegli ultimi momenti frutti di consolazione; se ha seminato opere cattive, allora raccoglierà desolazione sopra desolazione. Avviene però talvolta che anime buone dopo una santa vita provino terrore e spavento all'avvicinarsi l'ora della morte. Questo accade secondo gli adorabili decreti di Dio, che vuole purgare quelle anime dalle piccole macchie che forse hanno contratto in vita e così assicurare e rendere loro più bella la corona di gloria in cielo. Del nostro Savio non fu così. Io credo che {115 [265]} Iddio abbia voluto dargli tutto quel centuplo che alle anime dei giusti egli fa precedere alla gloria del paradiso. Difatto l'innocenza conservata fino all' ultimo momento di vita, la sua viva fede, le continue preghiere, le lunghe sue penitenze e la vita tutta seminata di tribolazioni gli meritarono certamente tal conforto in punto di morte.

            Egli adunque vedeva appressarsi la morte colla tranquillità dell'anima innocente, anzi sembrava che nemmeno il suo corpo provasse gli affanni e le oppressioni che sono inseparabili dagli sforzi che naturalmente l'anima deve fare nel rompere i legami del corpo. Insomma la morte del Savio si può chiamare piuttosto riposo, che morte.

            Era la sera del nove marzo, egli aveva già ricevuto tutti i conforti di nostra santa cattolica religione. Chi l'udiva soltanto a parlare e mirava la serenità del volto avrebbe in lui ravvisato chi giace a letto per riposo. L'aria allegra, gli sguardi tuttora vivaci, piena cognizione di se stesso, erano cose che facevano tutti maravigliare e ninno fuori di lui poteva persuadersi che egli si trovasse in punto di morte.

            Un'ora e mezzo prima che tramandasse {116 [266]} l'ultimo respiro il prevosto l'andò a visitare, e al vederne la tranquillità lo stava con istupore ascoltando a raccomandarsi l'anima. Egli faceva frequenti e prolungate giaculatorie, che tendevano tutte a manifestare il vivo di lui desiderio di andare presto al cielo. Quale cosa suggerire per raccomandar l'anima ad agonizzanti di questa fatta? Dopo aver recitato con lui alcune preghiere il parroco era per uscire, quando Savio lo chiamò dicendo: Signor prevosto, prima di partire mi lasci qualche ricordo. - Per me, rispose, non saprei più che ricordo lasciarti. - Qualche ricordo, che mi conforti. - Non saprei dirti altro se non che ti ricordi della passione del Signore. Deogratias, rispose, la passione di nostro Signor Gesù Cristo sia sempre nella mia mente, nella mia bocca, nel mio cuore. Gesù, Giuseppe e Maria assistetemi in questa ultima agonìa; Gesù Giuseppe e Maria spiri in pace con voi l'anima mia. Dopo tali parole si addormentò e prese mezz' ora di riposo. Indi svegliatosi volse uno sguardo a' suoi parenti: papà, disse, ci siamo.

            - Eccomi, figliuol mio, che ti abbisogna?

            - Mio caro papà, è tempo; prendete {117 [267]} il mio Giovine provveduto[5] e leggetemi le preghiere della buona morte.

            A queste parole la madre ruppe in pianto e si allontanò dalla camera dell'infermo. Al padre pure scoppiava il cuore di dolore, e le lagrime gli soffocavano le parole; tuttavia si fece coraggio e si mise a leggere quella preghiera. Egli ripeteva attentamente e distintamente ogni parola, ma in fine di ciascuna parte voleva dire da solo: Misericordioso Gesù, abbiate pietà di me. Giunto alle parole: Quando finalmente l'anima mia comparirà davanti a voi, e vedrà per la prima volta lo splendore immortale della vostra maestà; non la rigettate dal vostro cospetto; ma degnatevi di ricevermi nel seno amoroso della vostra misericordia, affinchè io canti eternamente le vostre lodi. Ebbene, soggiunse, questo è appunto quello che io desidero. Oh caro papà, cantare eternamente le lodi del Signore! Poscia parve prendere di nuovo {118 [268]} un po' di sonno a guisa di chi riflette profondamente a cosa di grande importanza. Di li a poco si risvegliò e con voce chiara e ridente: addio, caro papà, addio: il prevosto voleva ancora dirmi altro, ed io non posso più ricordarmi ... Oh! che bella cosa io vedo mai ... Così dicendo e ridendo con aria di paradiso spirò colle mani giunte innanzi al petto in forma di croce senza fare il minimo movimento. Va pure, anima fedele al tuo Creatore. Il cielo ti è aperto, gli angioli ed i santi ti hanno preparata una gran festa; quel Gesù che tanto amasti t' invita e ti chiama dicendo: Vieni, servo buono e fedele, vieni, tu hai combattuto, hai riportato vittoria, ora vieni al possesso di un gaudio che non ti mancherà mai più: intra in gaudium Domini tui.

 

 

Capo XXV. Annunzio di sua morte. Parole del prof. D. Picco a' suoi allievi.

 

            Quando il padre di Domenico il vide proferir parole nel modo che abbiamo riferito, e poi piegare il capo come per riposare, {119 [269]} pensavasi realmente che avesse di nuovo preso sonno. Lo lasciò alcuni istanti in quella posizione, ma testo volle chiamarlo, e si accorse ch'egli era già fatto cadavere. Lascio ad ognuno immaginare la desolazione de' genitori per la perdita di un figliuolo sì caro, di un figliuolo che alla innocenza, alla pietà univa i modi più graziosi e più atti a farsi amare!

            Noi pure quivi nella casa dell'Oratorio eravamo ansiosi di avere notizie di questo venerato amico e compagno, quando ricevo dal padre di lui una lettera che incominciava così: Colle lacrime agli occhi le annunzio la più trista novella: il mio caro figliuolo Domenico, di lei discepolo, qual candido giglio, qual Luigi Gonzaga, rese l'anima al Signore ieri sera 9 del corrente mese di marzo dopo di aver nel modo più consolante ricevuto i santi sacramenti e la benedizione papale.

            Tal notizia pose in costernazione i suoi compagni. Chi piangeva in lui la perdita di un amico, di un consigliere fedele; chi sospirava d'aver perduto un modello di vera pietà. Alcuni si radunarono a pregare pel riposo dell'anima di lui. Ma il maggior numero andavano dicendo: egli era {120 [270]} santo, ora è già in paradiso. Altri cominciarono a raccomandarsi a lui come ad un protettore presso Dio. Tutti poi andarono a gara per avere qualche oggetto che avesse appartenuto a lui.

            Recata tale notizia al prof. D. Picco, ne fu profondamente addolorato. Come furono radunati i suoi alunni tutto commosso partecipava loro tale tristo annunzio con queste parole:

            «Non è molto tempo, o giovani carissimi, che parlandovi a caso della caducità della vita umana, vi faceva osservare come la morte non risparmia talvolta anche la vostra florida età, e per esempio vi adduceva, come or sono due anni, in questi medesimi giorni frequentava questa medesima scuola, sedeva qui presente ad ascoltarmi un giovane pieno di vita e di vigore, il quale dopo l'assenza di pochi giorni passava da questa vita dai parenti e dagli amici compianto[6]. Quando tal deplorabile caso io vi rammentava era ben lungi dal pensare che il presente anno {121 [271]} avesse ad essere funestato da un somigliante duolo, e che tale esempio si avesse a rinnovare si presto in uno di quelli stessi che mi ascoltavano. Sì, miei cari; io debbo amareggiarvi con una dolorosa nuova. La falce della morte mieteva ieri l' altro la vita di uno tra i più virtuosi vostri compagni, del buon giovinetto Domenico Savio. Voi forse vi ricorderete, come negli ultimi giorni, in cui frequentò la scuola, si mostrasse tormentato da una tosse maligna, che già mi faceva presagire una seria malattia, onde nessuno di noi si stupì quando udimmo, che era stato da quella obbligato ad assentarsi dalla scuola. Per meglio curare il suo morbo, e già prevedendo, come replicatamente disse ad alcuni, il suo prossimo fine, egli secondò il consiglio de' medici e de' suoi superiori e andò in seno della famiglia. Quivi la violenza del male si sviluppò oltremodo e dopo soli quattro giorni di malattia reso l'innocente suo spirito al Creatore.

            Io lessi ieri la lettera, con cui il desolato genitore dava la dolorosa nuova, e questa nella sua semplicità faceva tale pittura della santa morte di quell' angolo, che mi commosse fino alle lacrime. Egli {122 [272]} non trova espressioni più acconcie a lodare l'amato suo figliuolo che col chiamarlo un altro S. Luigi Gonzaga, sì nella santità della vita come nella beata rassegnazione della morte. Io vi assicuro che assai mi duole, che egli abbia frequentato si poco la mia scuola, e che in questo breve tempo la sua poca sanità non mi abbia permesso di conoscerlo e praticarlo più che si può fare in una scuola alquanto numerosa. Perciò io lascio a' suoi superiori il dirvi quale fosse la santità dei suoi sentimenti, quale il suo fervore nella divozione e nella pietà, lascio a' suoi compagni ed amici, che quotidianamente lo avevano seco e con lui domesticamente conversavano, il dirvi la modestia de' suoi costumi e di ogni suo portamento, la severità de' suoi discorsi; lascio a' suoi parenti il dirvi quale fosse la sua obbedienza, il suo rispetto, la sua docilità. E che potrò io ricordarvi che a tutti voi non sia già noto? Io altro non dirò se non che sempre si rese commendevole pel suo contegno e per la sua tranquillità nella scuola, per la sua diligenza ed esattezza nell'adempimento di ogni suo dovere, e per la sua continua attenzione a' miei insegnamenti, che io sarei {123 [273]} beato se ognuno di voi si proponesse di seguirne il santo esempio.

            Prima ancora che l'età e gli stadi gli permettessero di frequentare la nostra scuola, essendo egli da tre anni annoverato tra quelli che hanno ricetto ed istruzione presso l'Oratorio di S. Francesco di Sales, io ne aveva più volte udito a fare parola dal direttore di quell'Oratorio, e lo aveva udito ad encomiare come uno tra i più studiosi e virtuosi giovani di quella casa; tale era il suo ardore nello studio, tale il rapido progresso che aveva fatto nelle primo scuole di latinità; onde sommo era il mio desiderio di porlo nel numero de' miei allievi e grande era l'aspettazione che io aveva della felicità del suo ingegno. E prima di averlo in iscuola già l'aveva annunziato ad alcuno de' miei allievi come un emulo con cui bello sarebbe il gareggiare non meno nello studio che nella virtù. E nelle frequenti mie visite all'Oratorio scorgendo in lui una fisonomia sì dolce, quale voi sapete essere stata la sua, scorgendo quel suo sguardo sì innocenta, mai nol vedeva che non mi sentissi tratto ad amarlo e ad ammirarlo. Alle belle speranze, che io ne aveva concepite, certamente egli non {124 [274]} venne meno allorchè nel presente anno scolastico prese a frequentare la mia scuola. A voi mi appello, giovani dilettissimi, che siete stati testimonii del suo raccoglimento e della sua applicazione non solamente nel tempo che il dovere lo chiamava ad ascoltarmi, ma in quello eziandio, il quale per lo più non si fanno scrupolo di perdere molti giovanetti che non sono privi di docilità e diligenza. A voi mi appello, che gli eravate compagni non solo nella scuola, ma pur anche negli usi domestici della vita, se mai lo avete veduto a far cosa che lo mostrasse dimentico di alcuno de' suoi doveri.

            Parmi ancora di vederlo, quando con quella modestia, che era tutta sua propria, entrava nella scuola, prendeva il suo luogo e in tutto il tempo dell'ingresso lungi dal vano cicaleccio consueto dei giovani della sua età, ripeteva la sua lezione, scriveva annotazioni, oppure si tratteneva in qualche utile lettura; e quindi cominciata la scuola con quale applicazione io vedeva quel suo angelico volto pendere dalle mie parole! Eppercio non fa maraviglia se non ostante la sua tenera età e la sua poca salute fosse grandissimo il profitto {125 [275]} che col suo ingegno dagli studi ricavava. E prova ne sia che in un considerevole numero di giovani, la maggior parte di più che mediocre ingegno, benchè già covasse in seno la malattia, che alfine lo trasse alla tomba, e fosse perciò obbligato a frequenti assenze, tuttavia egli tenne quasi sempre i primi posti della sua classe. Ma una cosa destava in modo affatto particolare la mia attenzione, e traeva a sè la mia ammirazione, ed era il vedere, come quella giovanetta sua mente si mostrasse unita con Dio, ed affettuosa e fervida nelle preghiere. Ella è cosa consueta anche nei giovani meno dissipati, che tratti dalla naturale vivacità e dalle distrazioni, a cui va soggetta questa fervida vostra età, pochissima riflessione facciano al senso delle orazioni, cui sono invitati a recitare e quasi con nessuno affetto del cuore li accompagnino. Onde avviene che in gran parte di essi niente altro vi ha che le labbra e la voce. Ora se così abituale è la distrazione della gioventù anche nelle preghiere che indirizzano al Signore nel silenzio e nella tranquillità delle chiese, oppure nella solitudine delle proprie celle, nelle quotidiane orazioni, voi, o giovani, {126 [276]} lo sapete quanto questo avvenga più facilmente in quelle brevissime preghiere che sogliono dirsi prima e dopo le lezioni della scuola. Ed è appunto in queste che mi fu dato di ammirare il fervore del nostro Domenico alla pietà, e 1' unione dell' anima sua con Dio. Quante volte io l'osservai con quel suo sguardo rivolto al cielo, al cielo che sì presto doveva essere la sua dimora, raccogliere tutti i suoi sentimenti, e con quell'atto offrirli al Signore ed alla Beatissima sua madre, con quella pienezza di affetti, che appunto richiedono le recitate preghiere! E questi sentimenti, o amatissimi giovani, erano poi quelli, che animavano i suoi pensieri nel compiere ogni suo dovere, erano quelli, che ogni suo atto, ogni sua parola santificavano, che tutta la sua vita interamente dirigevano alla gloria di Dio. O beati quei giovani che a tali concetti s'inspirano! Faranno la loro felicità in questa vita e nell'altra, e beati renderanno i parenti, che li educano, i maestri, che li istruiscono, tutte le persone che si occupano del loro bene.

            Dilettissimi giovani, la vita è un dono preziosissimo, che Iddio ci fece, per darci il mezzo di acquistarci dei meriti pel cielo, {127 [277]} e cosi sarà se tutto quello che noi facciamo è tale, che offerirsi possa a quel supremo Donatore, come appunto faceva il nostro Domenico. Ma che direm noi di quel giovane, che passa tutta intera la vita dimentico affatto del fine a cui Dio lo ha destinato, che mai non trova un momento, in cui pensi a dedicare i suoi affetti al Creatore, che pel suo cuore non dà mai luogo ad alcuna aspirazione che lo sollevi verso il suo Dio? Inoltre che diremo di quel giovane che fa quanto sta in lui per tenere da sè lontani simili sentimenti, o per combatterli e soffocarli, se li sente vicini a penetrare nel suo cuore? Deh riflettete alquanto sulla santa vita e sul santo fine del carissimo vostro compagno sulla invidiabile sorte, di cui possiamo avere fiducia che egli goda; e quindi ritornando col pensiero su di voi stessi esaminate che cosa ancora vi manchi per somigliargli e quali voi essere vorreste, se al par di lui vi trovaste sul punto di dovervi presentare a quel tribunale ove Dio chiederà a tutti stretto conto di ogni più leggiero mancamento. Quindi se a tale confronto voi ritrovate che grande sia la differenza, proponetevelo per esempio, imitatene le cristiane virtù, disponete l'anima vostra ad essere come {128 [278]} la sua, pura e monda agli occhi di Dio, acciocchè all'improvvisa chiamata, la quale immancabilmente o tosto o tardi dovrà udirsi da tutti noi, le possiamo rispondere coll'ilarità sul volto, col sorriso sulle labbra, come fece l'angelico vostro condiscepolo. Ascoltate ancora un mio voto, con cui io conchiudo queste mie parole. Se io mi accorgerò che i miei allievi diano luogo nella loro condotta ad un notevole miglioramento, se li vedrò d'or innanzi più esalti nei loro doveri, e più compresi dell'importanza di una vera pietà, lo crederò effetto del santo esempio del nostro Domenico e lo riguarderò quale grazia di lassù impetrata dalle sue preghiere in premio di essergli stati per breve tempo voi compagni ed io maestro.»

            Così il professore D. Picco esponeva ai suoi allievi la profonda e dolorosa sensazione provata all'annunzio della morte del caro suo alunno Savio Domenico. {129 [279]}

 

 

Capo XXVI. Emulazione per le virtù del Savio - Molti si raccomandano a lui per ottenere celesti fàvori e ne sono esauditi - Un ricordo per tutti.

 

            Chiunque ha letto le cose che abbiamo scritto intorno al giovinetto Savio Domenico, non si maraviglierà che Dio siasi degnato di favorirlo di doni speciali, facendo risplendere le virtù di lui in molte guise. Mentre egli ancora viveva, molti si davano sollecitudine per seguirne i consigli, gli esempì ed imitarne le virtù; molti anche mossi dalla specchiata condotta, dalla santità della vita, dall'innocenza de' suoi costumi, si raccomandavano alle sue preghiere. E si raccontano non poche grazie ottenute per le preghiere fatte a Dio dal giovane Savio mentre egli era ancora nella vita mortale. Ma dopo morte crebbe assai verso di lui la confidenza e la venerazione.

            Appena giunse tra di noi la notizia di sua morte, parecchi suoi compagni lo andavano proclamando per santo. Si radunarono {130 [280]} essi per recitare le Litanie per un defunto; ma invece di rispondere ora prò eo, cioè Santa Maria, pregate pel riposo dell'anima di lui, non pochi rispondeano: ora pro nobis: Santa Maria, pregate per noi. Perchè, dicevano, a quest'ora Savio gode già la gloria del Paradiso, e non ha più bisogno delle nostre preghiere.

            Altri poi soggiungevano; se non è andato direttamente al Paradiso Domenico Savio che tenne una vita così pura e cosi santa, chi potrà mai dirsi che ci possa andare? Laonde fin d'allora diversi amici e compagni, che ammirarono le sue virtù in vita, studiavano di farselo modello nel bene operare e cominciarono a raccomandarsi a lui come a celeste protettore.

            Quivi ogni giorno si raccontavano grazie ricevute ora pel corpo ora per l'anima. Io ho veduto un giovane che pativa un mal di dente che lo faceva smaniare. Raccomandatosi al suo compagno Savio con breve preghiera, ebbe calma sull'istante, e finora non andò più soggetto a questo desolante malore. Molti si raccomandarono per essere liberati dalle febbri e ne furono esauditi. Io fui testimonio di uno che istantaneamente ottenne la grazia di essere {131 [281]} liberato di gagliarda febbre[7]. Ho sott'occhio molte relazioni di persone che espongono celesti favori da Dio ottenuti per intercessione del Savio. Ma sebbene il carattere e l'autorità delle persone che depongono tali fatti siano per ogni lato {132 [282]} degne di fede, tuttavia essendo esse ancora viventi, stimo meglio di ommetterli per ora e contentarmi di riferire, una grazia speciale ottenuta pochi giorni sono da uno studente di filosofia, compagno di scuola di Domenico. L'anno passato questo giovane incontrò gravi incomodi di salute. La sua sanità fu così alterata che dovette interrompere il corso di filosofia, soggettarsi a molte cure, e in fine dell'anno non gli fu più possibile di subire l'esame. Stavagli molto a cuore di potersi almeno preparare per l'esame di Tutti i Santi, perciocchè in tal guisa avrebbe impedito la perdita di un anno di studio. Ma, aumentandosi i suoi incomodi, le sue speranze andavano ognor più scemande. Andò a passare il tempo autunnale ora coi parenti in patria, ora {133 [283]} con amici in campagna, e già parevagli di avere alquanto migliorato nella sanità. Ma giunto in Torino e postosi per poco tempo a studiare egli ricadde peggio di prima. «Io era vicino agli esami, egli depone, e la mia salute trovavasi in deplorabile stato. I malori di stomaco e di capo mi toglievano ogni speranza di poter subire il desiderato esame, che per me era cosa della massima importanza. Animato da quanto udiva raccontare del mio amato compagno Domenico, volli anch'io a lui raccomandarmi facendo a Dio una novena in onore di questo mio collega. Fra le preghiere che mi era prefisso di fare era questa: Caro compagno, tu che a somma mia consolazione e fortuna mi fosti condiscepolo più di un anno, tu che santamente meco gareggiavi per primeggiare nella nostra classe, tu sai quanto io abbia bisogno di subire il mio esame. Impetrami adunque, ti prego, dal Signore un po' di salute, affinchè io mi possa preparare.

            Non era ancora compiuto il quinto giorno della novena, quando la mia salute cominciò a fare così notevole e rapido miglioramento, che tosto potei mettermi a studiare e con insolita facilità imparare le materie {134 [284]} prescritte e prendere benissimo il desiderato esame. La grazia poi non fu di un momento: imperciocchè attualmente io mi trovo in uno stato regolare di salute, che da oltre un anno non ho più goduto. Riconosco questa grazia ottenuta da Dio per intercessione di questo mio compagno, mio familiare in vita, mio aiuto e conforto ora che gode la gloria del cielo. Sono oltre due mesi che tale grazie fu ottenuta, e la mia sanità continua ad essere la medesima con grande mia consolazione e vantaggio.»

            Con questo fatto io pongo termine alla vita del giovane Savio, riservandomi a stampare altri fatti quando il tempo farà conoscere che possano tornare a maggior gloria di Dio e vantaggio delle anime. Ora, o amico lettore, giacchè fosti benevolo di leggero quanto fu scritto di questo virtuoso giovanetto, vorrei che venissi meco ad una conclusione che possa apportar vera utilità a me, a te e a tutti quelli cui accadrà di leggere questo libretto; vorrei cioè che ci adoperassimo con animo risoluto ad imitare il giovane Savio in quelle virtù che sono compatibili col nostro stato. Nella povera sua condizione egli visse una vita la più lieta, virtuosa ed innocente, cui fu {135 [285]} corona una santa morte. Imitiamolo nel modo di vivere ed avremo non dubbia caparra di essergli simile nella preziosa morte.

            Ma non manchiamo d'imitare il Savio nella frequenza del Sacramento della confessione che fu il suo sostegno nella pratica costante della virtù, e fu guida sicura che lo condusse ad un termine di vita cotanto glorioso. Accostiamoci con frequenza e colle dovute disposizioni a questo bagno di salute nel corso della vita; ma tutte le volte che ci accosteremo al medesimo non manchiamo di volger un pensiero sulle confessioni passate per assicurarci che siano state ben fatte, e se ne scorgiam il bisogno, rimediamo ai difetti che per avventura ci fossero occorsi. A me sembra che questo sia il mezzo più sicuro per vivere giorni felici in mezzo alle afflizioni della vita, in fine della quale vedremo anche noi con calma avvicinarsi il momento della morte. E allora colla ilarità sul volto, colla pace nel cuore andremo incontro al nostro Signore Gesù Cristo, che benigno ci accoglierà per giudicarci secondo la sua grande misericordia e condurci siccome spero per me e per te, o lettore, dalle tribolazioni della vita alla beata eternità per lodarlo e benedirlo per tutti i secoli. Cosi sia. {136 [286]}

 

 

Protestatio auctoris.

 

            Cum SS. D. N. Urbanus VIII. l'ontifex die 13 martii 1625 decretum ediderit, illudque die 15 julii 1634 confirmaverit, quo prohibuit imprimi libros hominum, qui sanctitatis vel martyrii fama celebres e vita migraverint, gesta, miracula, revelationes, seu quæumque beneficia, tanquam eorum intercessionibus a Deo accepia continentes, sine recognitione atque approbatione Ordinarii, et quae hactenus sine ea impressa sunt, nullo modo vult censeri approbata; et cum idem SS. D. N. Urbanus Papa VIII {137 [287]} die 5 junii anno 1641 ila explicaverit, ut nimirum non admittantur elogia Sancti, vel Beati absolute, et quæ ad viros spectant tantummodo; sed ea, quæ ad mores et opiniones spectant cum protestatione, iis nullam adesse auctoritatem ab Ecclesia Romana; sed fidem tantum esse penes Auctorem: huic decreto, eiusque confìrmationi et declarationi observantia ed reverentia, qua par est, insistendo, profiteor me haud alio sensu, quidquid in hoc parvo volumine refero, accipere aut accipi ab ullo velle, quam quo ea solent, quæ humana dumtaxat auctoritate, non autem divina catholicæ Romana; Ecclesiæ, aut Sanctæ Sedis Apostolicæ nituntur. {138 [288]}


Rubbio (Vicenza), 9 aprile 1993. Venerdì Santo. Si rinnova la sua dolorosa passione.

Don Stefano Gobbi

«Figli prediletti, venite con Me sul Calvario, per vivere l'ora dolorosa della passione e della morte di mio figlio Gesù. Con quanta fatica percorre il cammino verso il Golgota, portando sulle spalle piagate il peso del suo patibolo. Come sono lontane le voci del suo trionfo: "Osanna al Figlio di David. Benedetto Colui che viene nel nome del Signore". Al posto dei rami di palme e di olivi, vi sono le lance dei soldati di Roma; al clamore osannante della folla, le grida e gli oltraggi dei carnefici; al canto di gioia dei bimbi, il pianto delle donne fedeli; all'incedere maestoso e regale, il lento procedere portando sulle spalle la Croce.

Non vi sono le folle nutrite da Gesù con il suo pane; gli ammalati portati a guarigione; i peccatori condotti sulla strada del bene; gli apostoli scelti per essere i suoi testimoni. Vi è però sua Madre, con accanto l'amato Giovanni che tutti vi rappresenta, miei figli prediletti. Assieme baciamo le sue piaghe; raccogliamo il suo sangue; chiudiamo le sue ferite profonde; ravviviamo i suoi capelli intrisi di sangue; asciughiamo il suo volto da sputi e percosse;ripuliamo il suo corpo martoriato, ricoperto da ingiurie; beviamo il sangue e l'acqua che escono dal suo Cuore trafitto. E viviamo per sempre nell'anima la sua passione dolorosa. Questa sua dolorosa passione si rinnova in questi ultimi tempi, in cui la grande prova è giunta per tutti.

Si rinnova la sua dolorosa passione per la Chiesa suo mistico Corpo. Anch'essa è chiamata ad entrare nel Getsemani della sua agonia; anch'essa conosce il bacio del tradimento, il rinnegamento e l'abbandono da parte dei suoi; anch'essa deve assaporare tutta l'amarezza del suo calice; pure essa viene vilipesa, flagellata e coronata di spine; pure essa conosce la condanna ed il vituperio di molti; pure essa viene crocifissa ed immolata, perché il disegno del Padre Celeste si compia.

Si rinnova la sua dolorosa passione per voi, miei figli prediletti. Per questo da tanto vi ho chiamati ad entrare, con la vostra consacrazione, nel Getsemani del mio Cuore Immacolato. Per formarvi alla vostra sacerdotale immolazione e donarvi la forza di procedere senza paura verso il Calvario del vostro martirio, accanto a me Madre addolorata, che vi ho generati sotto la Croce su cui è stato ucciso mio figlio Gesù.

Il tempo della vostra dolorosa passione è ormai giunto. Anche voi sarete perseguitati e percossi, respinti e condannati, imprigionati ed uccisi. Ma non lasciatevi prendere da timore o da paura. Io vi sono vicina come lo sono stata sotto la Croce. Vi sono accanto nell'ora della dolorosa passione che si rinnova per voi, miei prediletti, perché anche oggi è sotto la vostra Croce che Io adempio alla mia funzione di Madre dei tempi nuovi, che nascono dal vostro doloroso patire».