Sotto il Tuo Manto

Martedi, 9 settembre 2025 - San Pietro Claver Sacerdote (Letture di oggi)

Anche oggi il Signore manda l'angelo custode sul tuo cammino, per venirti in aiuto e provvedere in tutto, per liberarti dai pericoli e consolarti negli affanni. Accoglilo e pregalo con la fiducia e confidenza di un bambino e non resterai deluso. Pregare l'angelo custode significa pregare nel nome del Signore, in comunione coi sentimenti e desideri del Suo Cuore. Stai attento alla sua presenza; prestagli l'ascolto e lui ti illuminerà , ti guiderà , ti proteggerà . Ti mostrerà  la strada da seguire e ti darà  luce sufficiente su ciò che devi dire o fare, su ciò che ti preoccupa e opprime. Donagli il tuo tempo e Lui darà  in cambio sé stesso. Angelo di Dio, che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me, che ti fui affidato dalla pietà  celeste. Amen (Don Nikola Vucic)

Liturgia delle Ore - Letture

Venerdi della 3° settimana del tempo di Quaresima

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Matteo 5

1Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli.2Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:

3"Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
4Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
5Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
7Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
8Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
9Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
10Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.

11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.

13Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte,15né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa.16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.

17Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento.18In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto.19Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.

20Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
21Avete inteso che fu detto agli antichi: 'Non uccidere'; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio.22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna.
23Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te,24lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.
25Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione.26In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all'ultimo spicciolo!
27Avete inteso che fu detto: 'Non commettere adulterio';28ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.
29Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna.30E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna.
31Fu pure detto: 'Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto di ripudio';32ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all'adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
33Avete anche inteso che fu detto agli antichi: 'Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti';34ma io vi dico: non giurate affatto: né per 'il cielo', perché è 'il trono di Dio';35né per 'la terra', perché è 'lo sgabello per i suoi piedi'; né per 'Gerusalemme', perché è 'la città del gran re'.36Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello.37Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.
38Avete inteso che fu detto: 'Occhio per occhio e dente per dente';39ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra;40e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello.41E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due.42Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.
43Avete inteso che fu detto: 'Amerai il tuo prossimo' e odierai il tuo nemico;44ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori,45perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.46Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?47E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?48Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.


Levitico 2

1Se qualcuno presenterà al Signore un'oblazione, la sua offerta sarà di fior di farina, sulla quale verserà olio e porrà incenso.2La porterà ai figli di Aronne, i sacerdoti; il sacerdote prenderà da essa una manciata di fior di farina e d'olio, con tutto l'incenso, e lo brucerà sull'altare come memoriale: è un sacrificio consumato dal fuoco, profumo soave per il Signore.3Il resto dell'offerta di oblazione sarà per Aronne e per i suoi figli, cosa santissima, proveniente dai sacrifici consumati dal fuoco in onore del Signore.4Quando offrirai una oblazione cotta nel forno, essa consisterà in focacce azzime di fior di farina impastata con olio e anche di schiacciate azzime spalmate di olio.5Se la tua offerta sarà un'oblazione cotta sulla teglia, sarà di fior di farina, azzima e impastata con olio;6la farai a pezzi e sopra vi verserai olio: è un'oblazione.7Se la tua offerta sarà una oblazione cotta nella pentola, sarà fatta con fior di farina nell'olio:8porterai al Signore l'oblazione così preparata e la presenterai al sacerdote, che la offrirà sull'altare.9Il sacerdote preleverà dall'oblazione il memoriale e lo brucerà sull'altare: sacrificio consumato dal fuoco, profumo soave per il Signore.10Il resto dell'oblazione sarà per Aronne e per i suoi figli, cosa santissima, proveniente dai sacrifici consumati dal fuoco per il Signore.
11Nessuna delle oblazioni che offrirete al Signore sarà lievitata: non brucerete né lievito, né miele come sacrificio consumato dal fuoco in onore del Signore;12potrete offrire queste cose al Signore come offerta di primizie, ma non saliranno sull'altare a titolo di profumo soave.13Dovrai salare ogni tua offerta di oblazione: nella tua oblazione non lascerai mancare il sale dell'alleanza del tuo Dio; sopra ogni tua offerta offrirai del sale.
14Se offrirai al Signore una oblazione di primizie, offrirai come tua oblazione di primizie spighe di grano fresche abbrustolite sul fuoco e chicchi pestati di grano nuovo.15Verserai olio sopra di essa, vi metterai incenso: è una oblazione.16Il sacerdote brucerà come memoriale una parte dei chicchi e dell'olio insieme con tutto l'incenso: è un sacrificio consumato dal fuoco per il Signore.


Salmi 118

1Alleluia.

Celebrate il Signore, perché è buono;
perché eterna è la sua misericordia.

2Dica Israele che egli è buono:
eterna è la sua misericordia.
3Lo dica la casa di Aronne:
eterna è la sua misericordia.
4Lo dica chi teme Dio:
eterna è la sua misericordia.

5Nell'angoscia ho gridato al Signore,
mi ha risposto, il Signore, e mi ha tratto in salvo.
6Il Signore è con me, non ho timore;
che cosa può farmi l'uomo?
7Il Signore è con me, è mio aiuto,
sfiderò i miei nemici.

8È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nell'uomo.
9È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nei potenti.

10Tutti i popoli mi hanno circondato,
ma nel nome del Signore li ho sconfitti.
11Mi hanno circondato, mi hanno accerchiato,
ma nel nome del Signore li ho sconfitti.
12Mi hanno circondato come api,
come fuoco che divampa tra le spine,
ma nel nome del Signore li ho sconfitti.
13Mi avevano spinto con forza per farmi cadere,
ma il Signore è stato mio aiuto.

14Mia forza e mio canto è il Signore,
egli è stato la mia salvezza.
15Grida di giubilo e di vittoria,
nelle tende dei giusti:
la destra del Signore ha fatto meraviglie,
16la destra del Signore si è innalzata,
la destra del Signore ha fatto meraviglie.
17Non morirò, resterò in vita
e annunzierò le opere del Signore.

18Il Signore mi ha provato duramente,
ma non mi ha consegnato alla morte.

19Apritemi le porte della giustizia:
voglio entrarvi e rendere grazie al Signore.
20 È questa la porta del Signore,
per essa entrano i giusti.

21Ti rendo grazie, perché mi hai esaudito,
perché sei stato la mia salvezza.
22La pietra scartata dai costruttori
è divenuta testata d'angolo;
23ecco l'opera del Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
24Questo è il giorno fatto dal Signore:
rallegriamoci ed esultiamo in esso.

25Dona, Signore, la tua salvezza,
dona, Signore, la vittoria!
26Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore;
27Dio, il Signore è nostra luce.
Ordinate il corteo con rami frondosi
fino ai lati dell'altare.

28Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie,
sei il mio Dio e ti esalto.
29Celebrate il Signore, perché è buono:
perché eterna è la sua misericordia.


Salmi 42

1'Al maestro del coro. Maskil. Dei figli di Core.'

2Come la cerva anela ai corsi d'acqua,
così l'anima mia anela a te, o Dio.
3L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente:
quando verrò e vedrò il volto di Dio?

4Le lacrime sono mio pane giorno e notte,
mentre mi dicono sempre: "Dov'è il tuo Dio?".
5Questo io ricordo, e il mio cuore si strugge:
attraverso la folla avanzavo tra i primi
fino alla casa di Dio,
in mezzo ai canti di gioia
di una moltitudine in festa.

6Perché ti rattristi, anima mia,
perché su di me gemi?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio.
7In me si abbatte l'anima mia;
perciò di te mi ricordo
dal paese del Giordano e dell'Ermon, dal monte Misar.
8Un abisso chiama l'abisso al fragore delle tue cascate;
tutti i tuoi flutti e le tue onde
sopra di me sono passati.

9Di giorno il Signore mi dona la sua grazia
di notte per lui innalzo il mio canto:
la mia preghiera al Dio vivente.
10Dirò a Dio, mia difesa:
"Perché mi hai dimenticato?
Perché triste me ne vado, oppresso dal nemico?".
11Per l'insulto dei miei avversari
sono infrante le mie ossa;
essi dicono a me tutto il giorno: "Dov'è il tuo Dio?".

12Perché ti rattristi, anima mia,
perché su di me gemi?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio.


Ezechiele 40

1Al principio dell'anno venticinquesimo della nostra deportazione, il dieci del mese, quattordici anni da quando era stata presa la città, in quel medesimo giorno, la mano del Signore fu sopra di me ed egli mi condusse là.2In visione divina mi condusse nella terra d'Israele e mi pose sopra un monte altissimo sul quale sembrava costruita una città, dal lato di mezzogiorno.3Egli mi condusse là: ed ecco un uomo, il cui aspetto era come di bronzo, in piedi sulla porta, con una cordicella di lino in mano e una canna per misurare.4Quell'uomo mi disse: "Figlio dell'uomo: osserva e ascolta attentamente e fa' attenzione a quanto io sto per mostrarti, perché tu sei stato condotto qui perché io te lo mostri e tu manifesti alla casa d'Israele quello che avrai visto".

5Ed ecco il tempio era tutto recinto da un muro. La canna per misurare che l'uomo teneva in mano era di sei cubiti, d'un cubito e un palmo ciascuno. Egli misurò lo spessore del muro: era una canna, e l'altezza una canna.

6Poi andò alla porta che guarda a oriente, salì i gradini e misurò la soglia della porta; era una canna di larghezza.7Ogni stanza misurava una canna di lunghezza e una di larghezza, da una stanza all'altra vi erano cinque cubiti: anche la soglia del portico dal lato dell'atrio della porta stessa, verso l'interno, era di una canna.8Misurò l'atrio della porta: era di otto cubiti;9i pilastri di due cubiti. L'atrio della porta era verso l'interno.
10Le stanze della porta a oriente erano tre da una parte e tre dall'altra, tutt'e tre della stessa grandezza, come di una stessa misura erano i pilastri da una parte e dall'altra.11Misurò la larghezza dell'apertura del portico: era di dieci cubiti; l'ampiezza della porta era di tredici cubiti.12Davanti alle stanze vi era un parapetto di un cubito, da un lato e dall'altro; ogni stanza misurava sei cubiti per lato.13Misurò poi il portico dal tetto di una stanza al suo opposto; la larghezza era di venticinque cubiti; da un'apertura all'altra;14i pilastri li calcolò alti sessanta cubiti, dai pilastri cominciava il cortile che circondava la porta.15Dalla facciata della porta d'ingresso alla facciata dell'atrio della porta interna vi era uno spazio di cinquanta cubiti.16Le stanze e i pilastri avevano finestre con grate verso l'interno, intorno alla porta, come anche vi erano finestre intorno che davano sull'interno dell'atrio. Sui pilastri erano disegnate palme.

17Poi mi condusse nel cortile esterno e vidi delle stanze e un lastricato costruito intorno al cortile; trenta erano le stanze lungo il lastricato.18Il lastricato si estendeva ai lati delle porte per una estensione uguale alla larghezza delle porte stesse: era il lastricato inferiore.19Misurò lo spazio dalla facciata della porta inferiore da oriente a settentrione alla facciata della porta interna, erano cento cubiti.

20Poi misurò la lunghezza e la larghezza della porta che guarda a settentrione e conduce al cortile esterno.21Le sue stanze, tre da una parte e tre dall'altra, i pilastri, l'atrio avevano le stesse dimensioni della prima porta: cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.22Le finestre, l'atrio e le palme avevano le stesse dimensioni di quelle della porta che guarda a oriente. Vi si accedeva per sette scalini: l'atrio era davanti.23Di fronte al portico di settentrione vi era la porta, come di fronte a quello di oriente; misurò la distanza fra portico e portico: vi erano cento cubiti.

24Mi condusse poi verso mezzogiorno: ecco un portico rivolto a mezzogiorno. Ne misurò i pilastri e l'atrio; avevano le stesse dimensioni.25Intorno al portico, come intorno all'atrio, vi erano finestre uguali alle altre finestre. Esso misurava cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.26Vi si accedeva per sette gradini: il vestibolo stava verso l'interno. Sui pilastri, da una parte e dall'altra, vi erano ornamenti di palme.27Il cortile interno aveva un portico verso mezzogiorno; egli misurò la distanza fra porta e porta in direzione del mezzogiorno; erano cento cubiti.

28Allora mi introdusse nell'atrio interno, per il portico meridionale, e misurò questo portico; aveva le stesse dimensioni.29Le stanze, i pilastri e l'atrio avevano le medesime misure. Intorno al portico, come intorno all'atrio, vi erano finestre. Esso misurava cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.
30Intorno vi erano vestiboli di venticinque cubiti di lunghezza per cinque di larghezza.
31Il suo vestibolo era rivolto verso l'atrio esterno; sui pilastri c'erano ornamenti di palme; i gradini per i quali si accedeva erano otto.

32Poi mi condusse al portico dell'atrio interno che guarda a oriente e lo misurò: aveva le solite dimensioni.33Le stanze, i pilastri e l'atrio avevano le stesse dimensioni. Intorno al portico, come intorno all'atrio, vi erano finestre. Esso misurava cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.34Il suo vestibolo dava sull'atrio esterno: sui pilastri, da una parte e dall'altra vi erano ornamenti di palme: i gradini per i quali si accedeva erano otto.

35Poi mi condusse al portico settentrionale e lo misurò: aveva le solite dimensioni,36come le stanze, i pilastri e l'atrio. Intorno vi erano finestre. Esso misurava cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.37Il suo vestibolo dava sull'atrio esterno; sui pilastri, da una parte e dall'altra, c'erano ornamenti di palme: i gradini per cui vi si accedeva erano otto.

38C'era anche una stanza con la porta vicino ai pilastri dei portici; là venivano lavati gli olocausti.39Nell'atrio del portico vi erano due tavole da una parte e due dall'altra, sulle quali venivano sgozzati gli olocausti e i sacrifici espiatori e di riparazione.40Altre due tavole erano sul lato esterno, a settentrione di chi entra nel portico, e due tavole all'altro lato presso l'atrio del portico.41Così a ciascun lato del portico c'erano quattro tavole da una parte e quattro tavole dall'altra: otto tavole in tutto. Su di esse si sgozzavano le vittime.42C'erano poi altre quattro tavole di pietre squadrate, per gli olocausti, lunghe un cubito e mezzo, larghe un cubito e mezzo e alte un cubito: su di esse venivano deposti gli strumenti con i quali si immolavano gli olocausti e gli altri sacrifici.43Uncini d'un palmo erano attaccati all'interno tutt'intorno; sulle tavole si mettevano le carni delle offerte.
44Fuori del portico interno, nell'atrio interno, vi erano due stanze: quella accanto al portico settentrionale guardava a mezzogiorno, l'altra accanto al portico meridionale guardava a settentrione.45Egli mi disse: "La stanza che guarda a mezzogiorno è per i sacerdoti che hanno cura del tempio,46mentre la stanza che guarda a settentrione è per i sacerdoti che hanno cura dell'altare: sono essi i figli di Zadòk che, tra i figli di Levi, si avvicinano al Signore per il suo servizio".

47Misurò quindi l'atrio: era un quadrato di cento cubiti di larghezza per cento di lunghezza. L'altare era di fronte al tempio.

48Mi condusse poi nell'atrio del tempio e ne misurò i pilastri: erano ognuno cinque cubiti da una parte e cinque cubiti dall'altra; la larghezza del portico: tre cubiti da una parte e tre cubiti dall'altra.49La lunghezza del vestibolo era di venti cubiti e la larghezza di dodici cubiti. Vi si accedeva per mezzo di dieci gradini; accanto ai pilastri c'erano due colonne, una da una parte e una dall'altra.


Lettera ai Romani 10

1Fratelli, il desiderio del mio cuore e la mia preghiera sale a Dio per la loro salvezza.2Rendo infatti loro testimonianza che hanno zelo per Dio, ma non secondo una retta conoscenza;3poiché, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio.4Ora, il termine della legge è Cristo, perché sia data la giustizia a chiunque crede.

5Mosè infatti descrive la giustizia che viene dalla legge così: 'L'uomo che la pratica vivrà per essa'.6Invece la giustizia che viene dalla fede parla così: 'Non dire nel tuo cuore: Chi salirà al cielo'? Questo significa farne discendere Cristo;7oppure: 'Chi discenderà nell'abisso'? Questo significa far risalire Cristo dai morti.8Che dice dunque? 'Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore': cioè la parola della fede che noi predichiamo.9Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo.10Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza.11Dice infatti la Scrittura: 'Chiunque crede in lui non sarà deluso'.12Poiché non c'è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che l'invocano.13Infatti: 'Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato'.

14Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi?15E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati? Come sta scritto: 'Quanto son belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene'!
16Ma non tutti hanno obbedito al vangelo. Lo dice Isaia: Signore, 'chi ha creduto alla nostra predicazione'?17La fede dipende dunque dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo.18Ora io dico: Non hanno forse udito? Tutt'altro:

'per tutta la terra è corsa la loro voce,
e fino ai confini del mondo le loro parole'.

19E dico ancora: Forse Israele non ha compreso? Già per primo Mosè dice:

'Io vi renderò gelosi di un popolo che non è popolo;
contro una nazione senza intelligenza
susciterò il vostro sdegno'.

20Isaia poi arriva fino ad affermare:

'Sono stato trovato da quelli che non mi cercavano,
mi sono manifestato a quelli che non si rivolgevano a
me',

21mentre di Israele dice: 'Tutto il giorno ho steso le mani verso un popolo disobbediente e ribelle'!


Capitolo V: Mirabili effetti dell’amore vero Dio

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1. Ti benedico, o Padre celeste, padre del mio Signore Gesù Cristo, perché ti sei degnato di ricordarti della mia miseria. Ti ringrazio, o Padre delle misericordie, Dio di ogni consolazione (2Cor 1,3), che, con il tuo conforto, talora mi ritempri, quantunque io ne sia totalmente indegno. In ogni momento ti benedico e do gloria a te, con l'unigenito tuo Figlio e con lo Spirito Santo Paraclito, per tutti i secoli. Oh!, mio Signore, che sei santo e mi ami, come esulteranno tutte le mie viscere, quando verrai nel mio cuore! "In te è la mia gloria, la gioia del mio cuore, la mia speranza e il mio rifugio nel giorno della tribolazione" (Sal 3,4; 118; 111; 58,17). Poiché, però, il mio amore per te è ancora fiacco, e deboli sono le mie forze, ho bisogno del tuo aiuto e del tuo conforto. Vieni a me, dunque, il più spesso, e istruiscimi nella via della santità; liberami dalle passioni malvage e risana il mio cuore da tutti gli affetti sregolati, cosicché, interiormente risanato e del tutto purificato, io diventi pronto nell'amarti, forte nel patire, fermo nel perseverare.  

2. Grande cosa è l'amore. Un bene grande, veramente. Un bene che, solo, rende leggera ogni cosa pesante e sopporta tranquillamente ogni cosa difficile; porta il peso, senza fatica, e rende dolce e gustosa ogni cosa amara. Il nobile amore di Gesù spinge ad operare grandi cose e suscita desideri di sempre maggiore perfezione. L'amore aspira a salire in alto, senza essere trattenuto da alcunché di terreno. Esige di essere libero e staccato da ogni affetto umano, cosicché non abbia ostacoli a scrutare nell'intimo, non subisca impacci per interessi temporali, non sia sopraffatto da alcuna difficoltà. Niente è più dolce dell'amore; niente è più forte, più alto o più grande: niente, né in cielo né in terra, è più colmo di gioia, più completo o più buono: perché l'amore nasce da Dio e soltanto in Dio, al di sopra di tutte le cose create, può trovare riposo. Chi ama vola, corre lietamente; è libero, e non trattenuto da nulla; dà ogni cosa per il tutto, e ha il tutto in ogni cosa, perché trova la sua pace in quell'uno supremo, dal quale discende e proviene tutto ciò che è buono; non guarda a ciò che gli viene donato, ma, al di là dei doni, guarda a colui che dona. Spesso l'amore non consce misura, in un fervore che oltrepassa ogni confine. L'amore non sente gravezza, non tiene conto della fatica, anela a più di quanto non possa raggiungere, non adduce a scusa la sua insufficienza, perché ritiene che ogni cosa gli sia possibile e facile. Colui che ama può fare ogni cosa, e molte cose compie e manda ad effetto; mentre colui che non ama viene meno e cade. L'amore vigila; anche nel sonno, non s'abbandona; affaticato, non è prostrato; legato, non si lascia costringere; atterrito, non si turba: erompe verso l'alto e procede sicuro, come fiamma viva, come fiaccola ardente.  

3. Questo mio grido l'intende appieno colui che possiede amore. Un grande grido agli orecchi di Dio è lo slancio stesso ardente dell'anima, che esclama: Dio mio, mio amore, tu sei interamente mio ed io sono interamente tua. Accrescimi nell'amore, affinché io impari a gustare nell'intimo quanto l'amore è soave; impari a sciogliermi nell'amore e ad immergermi in esso. Che io sia tutto preso dall'amore, che mi elevi sopra me stesso, in estasi appassionata, che io canti il canto dell'amore e che mi innalzi con te, o mio diletto; venga meno, nel lodarti, l'anima mia, nella gioia dell'amore. Che io ti ami più che me stesso, e me stesso soltanto per te; che in te io ami tutti coloro che ti amano veramente, come comanda la legge dell'amore, luce che da te proviene.  

4. L'amore è sollecito, sincero e devoto; lieto e sereno; forte e paziente; fedele e prudente; longanime; virile e sempre dimentico di sé: ché, se uno cerca se stesso, esce fuori dall'amore. L'amore è attento, umile e sicuro; non fiacco, non leggero, né intento a cose vuote; sobrio, casto, costante, quieto e vigilante nei sensi. L'amore è sottomesso, basso e disprezzato ai suoi propri occhi; devoto e grato a Dio. In Dio confida e spera sempre, anche quando non lo sente vicino, perché non si vive nell'amore senza dolore. Colui che non è pronto a soffrire ogni cosa e ad ubbidire al suo Diletto, non è degno di essere chiamato uomo d'amore; questi deve abbracciare con slancio tutte le avversità e le amarezze per il suo Diletto, senza da ciò deflettere, qualsiasi evidenza si frapponga.


La Genesi difesa contro i Manichei - Libro primo

La Genesi difesa contro i Manichei - Sant'Agostino

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Occorre confutare i manichei con argomenti chiari e linguaggio comune.

1. 1. Se i manichei scegliessero le persone per ingannarle, sceglieremmo anche noi le parole per confutarli. Ma poiché essi, al contrario, da una parte raggiungono i dotti con i loro scritti e dall'altra i non istruiti con il loro errore, e anzi, quando promettono la verità, fanno ogni sforzo per allontanare [la gente] da essa, i loro errori devono essere confutati non già con un linguaggio adorno e forbito ma con argomenti del tutto evidenti. Mi è parso infatti giusto il parere espresso da alcuni uomini che sono degli autentici cristiani; essi, pur essendo versati nelle arti liberali, tuttavia, dopo aver letto gli altri nostri libri da noi pubblicati contro i manichei, hanno osservato che non sarebbero stati compresi affatto o solo difficilmente dalle persone non istruite. Essi quindi, con molta benevolenza, mi hanno consigliato di non abbandonare il modo di parlare comune se mi stava a cuore di estirpare dalla mente degli ignoranti quegli errori tanto funesti. Questo linguaggio comune e semplice è infatti capito da tutti, mentre quell'altro non è compreso dalle persone incolte.

Perché sono da confutare le critiche dei manichei all'Antico Testamento.

1. 2. I manichei dunque sono soliti criticare le Scritture dell'Antico Testamento anche senza conoscerle e con le loro critiche prendere in giro e ingannare i nostri fedeli deboli e semplici che non sanno come controbatterli, in quanto non c'è alcuna Scrittura che non possa essere facilmente criticata presso coloro che non la conoscono. Ma la divina provvidenza permette che esistano molti eretici con errori diversi affinché, quando ci scherniscono e c'interrogano su argomenti che non conosciamo, almeno in questo modo ci scrolliamo di dosso l'indolenza e desideriamo di conoscere le Sacre Scritture. Ecco perché anche l'Apostolo dice: È necessario che vi siano delle eresie, affinché si riconoscano tra voi quelli che sono di provata virtù 1. Agli occhi di Dio sono infatti persone di provata virtù coloro che sono in grado d'insegnare in modo retto, ma non possono essere riconosciuti dagli uomini se non quando insegnano, e non desiderano insegnare se non a coloro che lo richiedono. Molti però sono pigri a ricercare [la verità] se dalle difficoltà che provano nelle discussioni con gli eretici e dagli scherni che ne ricevono non venissero - per così dire - destati dal sonno e non si vergognassero della loro ignoranza e non si rendessero conto di correre pericolo proprio a causa della loro ignoranza. Se tali persone hanno una fede salda, non si arrendono agli eretici ma cercano accuratamente di sapere che cosa ribattere ad essi. Dio però non abbandona queste persone facendo in modo che chiedendo ottengano, cercando trovino e bussando venga loro aperto 2. Coloro invece che non hanno speranza di trovare nella dottrina cattolica la verità che cercano di conoscere, rimangono schiacciati dagli errori; se però continueranno a cercare con perseveranza, dopo gravi fatiche stanchi ed assetati, anzi quasi morti, torneranno alle stesse sorgenti da cui s'erano allontanati.

Prima critica, al versetto 1 della Genesi: Che faceva Dio prima della creazione?

2. 3. I manichei dunque sono soliti fare le seguenti critiche al primo libro dell'Antico Testamento intitolato La Genesi. Quanto a ciò che sta scritto: Nel principio Dio creò il cielo e la terra 3, essi ci rivolgono questa domanda: "In quale principio?", e ci fanno anche la seguente obiezione: "Se Dio creò il cielo e la terra al principio del tempo, che cosa faceva prima di creare il cielo e la terra? E perché decise all'improvviso di fare ciò che non aveva fatto mai in precedenza nel corso dei tempi eterni?". A costoro noi rispondiamo che fu Dio a creare il cielo e la terra nel principio ma non al principio del tempo, ma in Cristo, essendo Egli col Padre il Verbo per mezzo del quale e nel quale è stata creata ogni cosa 4. Nostro Signore Gesù Cristo infatti, ai Giudei che gli chiedevano chi egli fosse, rispose: Io sono il Principio, lo stesso che sto parlando a voi 5. Ma anche se credessimo che Dio creò il cielo e la terra all'inizio del tempo, dobbiamo in ogni modo capire che prima dell'inizio del tempo il tempo non esisteva. Fu infatti Dio che creò i tempi e perciò, prima che creasse i tempi, i tempi non esistevano. Non possiamo dunque affermare che esistesse alcun tempo quando Dio non aveva creato ancor nulla. In qual modo infatti poteva esserci un tempo che Dio non aveva creato, dal momento che è lui l'artefice di tutti i tempi? Se inoltre il tempo cominciò ad esistere insieme col cielo e con la terra, non si può trovare un tempo in cui Dio non aveva ancora creato il cielo e la terra. Quando poi si obietta: "Perché mai Dio decise all'improvviso?", si fa un'obiezione come se [prima] fossero passati dei tempi in cui Dio non aveva creato nulla. Non poteva infatti passare il tempo che Dio non aveva ancora creato, dal momento che non può essere creatore dei tempi se non Colui che esiste prima della successione dei tempi. Certamente gli stessi manichei leggono, lodano e onorano l'apostolo Paolo ma, interpretando male le sue lettere, traggono in inganno molte persone. Ci dicano dunque che cosa vuol dire l'apostolo Paolo quando parla della conoscenza della verità conforme alla pietà verso Dio e in vista della speranza della vita eterna, che il Dio che non mentisce ha promessa prima dei tempi eterni 6. Ora che cosa avrebbero potuto avere prima di loro i secoli eterni? Questo dovrebbero essere costretti a spiegarci costoro perché capiscano di non capire, quando a vanvera criticano ciò che avrebbero dovuto indagare con diligenza.

Si contesta che Dio stabilì all'improvviso di creare il mondo.

2. 4. Supponiamo però che non dicano: "Come mai Dio decise all'improvviso di creare il cielo e la terra?", ma tolgano dalla frase l'avverbio "all'improvviso" e dicano soltanto: "Perché Dio decise di creare il cielo e la terra?". Noi infatti non diciamo che questo mondo è coevo a Dio, poiché l'eternità di questo mondo non è la medesima di quella di Dio; certamente Dio fece il mondo e così, con la stessa creatura che Dio fece, i tempi iniziarono ad essere, e perciò sono detti tempi eterni. I tempi tuttavia non sono eterni com'è eterno Dio, per il fatto che Dio esiste prima della successione dei tempi essendo lui l'artefice dei tempi; allo stesso modo che sono buone tutte le cose create da Dio, ma non sono buone com'è buono Dio poiché è stato lui a crearle, mentre quelle sono state create. Dio però non le ha generate dal proprio essere affinché fossero ciò che è lui, ma le ha create dal nulla affinché non fossero uguali né a lui, dal quale sono state create, né al proprio Figlio per mezzo del quale sono state create, poiché ciò è giusto. Se dunque costoro domanderanno: "Per qual motivo Dio decise di creare il cielo e la terra?" si deve rispondere loro ch'essi, i quali desiderano conoscere la volontà di Dio, imparino prima a conoscere il potere della volontà umana. Essi infatti desiderano conoscere le cause della volontà di Dio mentre la stessa volontà di Dio è la causa [efficiente] di tutto ciò che esiste. Poiché, se la volontà di Dio ha una causa, questa è qualcosa di antecedente alla sua volontà, ma è un'empietà credere una simile cosa. A chi dice: "Perché Dio creò il cielo e la terra?" occorre rispondere: "Perché lo volle". La volontà di Dio è infatti la causa della creazione del cielo e della terra, e perciò la volontà di Dio è maggiore del cielo e della terra. Chi poi chiede: "Perché volle fare il cielo e la terra?" cerca qualcosa di più grande della volontà di Dio; nulla di più grande può infatti trovarsi. La temerità umana dunque si freni e non indaghi ciò che non esiste, per evitare il pericolo di non trovare ciò che esiste. Se per altro uno desidera conoscere la volontà di Dio, deve diventare amico di lui poiché, se uno volesse conoscere la volontà di un altro, di cui non fosse amico, tutti si befferebbero della sua impudenza e stoltezza. Ma nessuno può diventare amico di Dio se non mediante la purezza cristallina dei costumi [e la speciale virtù] ch'è il fine del precetto, di cui l'Apostolo dice: Lo scopo del precetto è però la carità che nasce da un cuore puro, da una buona coscienza e dalla fede senza finzione 7; se costoro avessero questa virtù, non sarebbero eretici.

Si difende Gen 1, 2: La terra era invisibile, ecc.

3. 5. Quanto poi al secondo versetto del libro della Genesi: Ma la terra era invisibile e confusa 8, i manichei lo criticano dicendo: "In qual modo Iddio creò nel principio il cielo e la terra, se la terra era appunto invisibile e confusa?". In questo modo costoro, volendo criticare le Scritture divine prima di conoscerle, non comprendono neppure le cose più evidenti. Che cosa infatti poteva dirsi di più evidente di questa affermazione: Nel principio Dio creò il cielo e la terra, la terra però era invisibile e confusa? Essa vuol dire: "Nel principio Dio creò il cielo e la terra ma la terra stessa, creata da Dio, era invisibile e confusa, prima che Dio, con ordinata distinzione, disponesse le forme di tutte le cose al proprio posto e nelle sedi loro proprie, prima che ordinasse: Vi sia la luce, e: Vi sia il firmamento, e: Si radunino le acque, e: Appaia la terraferma 9, e tutto il resto che nel medesimo libro viene esposto per ordine nel modo che possano capirlo anche i bambini". Tutte queste cose contengono misteri si grandi che chiunque è giunto a capirli compiange la spudoratezza di tutti gli eretici, poiché sono uomini, o se ne fa beffe poiché sono superbi.

La luce del sole e la luce di Dio.

3. 6. Nel medesimo libro subito dopo è detto: E le tenebre erano sopra l'abisso 10. I manichei criticano questa frase col dire: "Era dunque nelle tenebre Dio prima di creare la luce?". Veramente nelle tenebre dell'ignoranza sono proprio essi, e perciò non hanno un'idea della luce in cui regnava Dio prima di creare la luce di questa terra! Costoro infatti conoscono soltanto la luce che vedono con gli occhi del corpo. Ecco perché il sole di questa terra, che noi ugualmente vediamo non solo con gli animali più grandi ma anche insieme con le mosche e con i vermiciattoli, essi lo adorano fino al punto di affermare ch'esso è una particella della luce in cui abita Dio. Noi al contrario dobbiamo comprendere ch'esiste un'altra luce in cui abita Dio, dalla quale deriva la luce di cui nel Vangelo si legge: Era la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo 11. La luce del sole di quaggiù infatti non illumina l'uomo tutto intero, ma solo il corpo e gli occhi mortali dell'uomo, rispetto ai quali ci superano gli occhi delle aquile che si dice guardano il sole di questo mondo molto meglio di noi. Quell'altra luce invece non diletta gli occhi degli uccelli, i quali sono privi di ragione, ma il cuore puro di tutti coloro che credono in Dio e si staccano dall'amore delle cose visibili e temporali e si applicano ad adempiere i suoi comandamenti. Questa possibilità l'hanno tutti gli uomini purché lo vogliano, poiché quella luce illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Le tenebre dunque erano sopra l'abisso prima che fosse creata la luce di questo mondo, della quale si parla in questo passo subito dopo.

Si dimostra che le tenebre (Gen 1, 3) non sono nulla.

4. 7. Dio allora ordinò: Vi sia la luce 12, poiché ove non è la luce vi sono le tenebre; non che le tenebre siano qualcosa di reale, ma è chiamata "tenebra" la stessa assenza della luce. Allo stesso modo il silenzio non è qualcosa di reale, ma si chiama "silenzio" la mancanza di rumore. Così pure la "nudità" non è qualcosa di reale, ma si chiama nudità lo stato d'un corpo non coperto da un vestito. Neanche il "vuoto" è una cosa concreta, ma si chiama vuoto un luogo in cui non c'è alcun oggetto materiale. Così le tenebre non sono una cosa reale, ma viene chiamata "tenebra" la mancanza di luce. Noi diciamo questo perché i manichei dicono sovente: "Come mai sull'abisso potevano regnare le tenebre prima che Dio creasse la luce? Chi le aveva create o generate? Oppure, se non le aveva create o generate nessuno, le tenebre erano eterne", come se le tenebre fossero qualche realtà concreta, mentre - come è stato detto - ha ricevuto questo nome l'assenza della luce. Ma poiché i manichei, tratti in inganno dalle loro favole, credevano ci fosse una regione delle tenebre, in cui dimorano corpi con forme materiali e dotati d'anima, per questo pensano che le tenebre siano qualcosa di concreto, ma senza capire che noi abbiamo la sensazione delle tenebre solo quando non vediamo, allo stesso modo che non abbiamo la percezione del silenzio se non quando non avvertiamo dei suoni. Orbene, le tenebre non sono nulla come non è nulla il silenzio. Come però costoro dicono che il popolo delle tenebre combattè contro la luce di Dio, così anche un altro stolto potrebbe dire ugualmente che il popolo dei silenzi combattè contro la voce di Dio. Ma adesso noi non ci siamo assunti il compito di confutare e smentire tali menzogne. Per ora abbiamo stabilito, nella misura delle forze che il Signore si degnerà di accordarci, di difendere le affermazioni dell'Antico Testamento criticate da costoro e, a proposito di esse, dimostrare che contro la volontà di Dio non ha alcun potere la cecità degli uomini.

In che senso lo Spirito si portava sulle acque (Gen 1, 2).

4. 8. I manichei inoltre sono soliti criticare l'asserzione della Scrittura che dice: e lo Spirito di Dio si portava al di sopra delle acque 13, dicendo: "Era dunque forse l'acqua la dimora dello Spirito di Dio e conteneva forse lo Spirito di Dio?". Costoro tentano di stravolgere tutto con il loro spirito perverso, ma restano accecati dalla loro malizia. Quando infatti noi diciamo: "E sole si porta sopra la terra", vogliamo forse intendere con ciò che il sole abita sulla terra e la terra contiene il sole? Tuttavia lo Spirito di Dio non si portava al di sopra delle acque allo stesso modo che il sole si porta sopra la terra, ma in modo diverso, compreso solo da pochi. Lo Spirito infatti non si portava al di sopra delle acque attraverso lo spazio come si porta il sole, bensì mediante la potenza della sua invisibile, eccelsa superiorità. Ci dicano allora questi individui in qual modo sugli oggetti da costruire si porta la volontà dell'artefice. Se però non comprendono queste cose umane e quotidiane, cerchino d'avere sentimenti di religioso rispetto verso Dio e di capire con animo sincero ciò che non capiscono affinché, mentre desiderano di abbattere con discorsi sacrileghi la verità che non sono capaci di vedere, la scure non torni indietro sulle loro gambe. La verità infatti non può essere distrutta poiché resta immutabile, ma i colpi di qualsiasi specie diretti contro di essa ricadono con violenza maggiore contro coloro che ardiscono abbattere ciò che dovrebbero credere per meritare di capirlo.

"Acqua" in questo passo indica la materia informe.

5. 9. Costoro poi sollevano quest'altra questione e con tono sprezzante ci domandano: "Donde proveniva l'acqua, al di sopra della quale si portava lo Spirito di Dio? Nelle righe precedenti dice forse la Scrittura che Dio aveva creato l'acqua"? Se costoro cercassero di comprendere la frase con spirito di fede, scoprirebbero come dev'essere intesa. Poiché in questo passo l'acqua non è chiamata così in modo che sia intesa nel senso di quella che possiamo vedere e toccare adesso; allo stesso modo neppure la terra che nella Scrittura è detta confusa e invisibile era tale e quale questa che ora può vedersi e toccarsi. Quanto invece all'affermazione della Scrittura: Nel principio Dio creò il cielo e la terra 14, con l'espressione "cielo e terra" viene indicato tutto l'universo creato e ordinato da Dio. Queste realtà sono denotate con un termine proprio di quelle visibili a causa della debolezza dei piccoli, che sono meno capaci di comprendere le realtà invisibili. Da principio fu dunque creata la materia confusa e disordinata, affinché a partire da essa fossero fatte le cose ora distinte e formate; credo che ciò i greci lo chiamino . Così infatti anche in un altro passo della Scrittura, tra le lodi di Dio, leggiamo la frase: Tu che hai creato il mondo da una materia senza forma 15, o, come hanno altri manoscritti: da una materia invisibile.

Con la materia informe, da lui creata, Dio creò l'universo.

6. 10. Ecco perché è assolutamente conforme alla ragione credere che Dio creò tutto dal nulla poiché, anche se tutte le cose con le loro forme particolari furono create a partire da questa materia, tuttavia questa stessa materia fu creata dal nulla assoluto. Noi infatti non dobbiamo assomigliare a siffatti individui i quali non credono che Dio onnipotente potesse creare qualcosa dal nulla in quanto vedono che gli artefici e gli operai di qualsiasi specie non possono costruire alcun oggetto se non hanno una materia con cui foggiare o fabbricare qualcosa. In realtà, perché possa compiere la sua opera, al carpentiere occorre il legname, all'argentiere l'argento, all'orefice l'oro, al vasaio l'argilla. Se infatti essi non si servono della materia con cui fanno un oggetto, non possono far nulla, in quanto non sono essi a creare la materia. Non è certamente il carpentiere che crea il legno e così dicasi di tutti gli altri di simil genere. Dio onnipotente, al contrario, non aveva bisogno di servirsi d'alcuna cosa non creata da lui per compiere ciò che voleva. Poiché, se per le cose che voleva creare gli fosse servita qualcosa ch'egli non aveva creato, non era onnipotente; ma credere una simile cosa è un sacrilegio.

Perché la materie informe è chiamata terra invisibile, acqua, ecc.

7. 11. La materia informe che Dio aveva creata dal nulla fu dunque chiamata dapprima "cielo e terra" e [la Scrittura] dice: Nel principio Dio creò il cielo e la terra 16, non perché ciò esistesse già, ma perché poteva esistere, dato che [la Scrittura] dice pure che il cielo fu creato in seguito. Allo stesso modo che, se consideriamo il germe di un albero, potremmo dire che in esso sono le radici, il tronco, i rami, i frutti e le foglie, non perché vi siano già, ma perché nasceranno da esso; così [la Scrittura] dice: Nel principio Dio creò il cielo e la terra, creò cioè come una specie di seme dei cielo e della terra, essendo ancora confusa la materia del cielo e della terra. Ma poiché era certo che da quel seme doveva aver origine il cielo e la terra, la stessa materia è chiamata precisamente "cielo e terra". Questo modo d'esprimersi lo usa anche il Signore allorché dice: Non vi chiamerò più servi, poiché il servo non sa che cosa fa il suo padrone. Io invece vi ho chiamati amici, poiché tutto ciò ch'io ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi 17; non perché ciò fosse già avvenuto, ma perché sarebbe avvenuto con assoluta certezza. Infatti poco dopo dice loro: Ho ancora da dirvi molte cose, ma per ora non siete in grado di portarne il peso 18. Perché dunque aveva detto: Tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi, se non perché sapeva che avrebbe fatto così? Allo stesso modo poté essere chiamata "cielo e terra" la materia con cui ancora non era stato fatto il cielo e la terra, ma che tuttavia non doveva esser fatto con alcun altro elemento. Innumerevoli sono le espressioni di tal genere che si trovano nelle Sacre Scritture. Allo stesso modo avviene nel nostro parlare ordinario quando d'una cosa che speriamo si avvererà con assoluta certezza noi diciamo: "Fa' conto che sia già fatta".

7. 12. Oltre a ciò questa materia ancora informe [la Scrittura] volle chiamarla anche "terra invisibile e caotica" perché, tra tutti gli elementi del mondo, la terra pare meno bella di tutti gli altri. La chiamò, inoltre, "invisibile" per la sua oscurità e "caotica" per il suo stato informe. La stessa materia la chiama altresì "acqua", al di sopra della quale si portava lo Spirito di Dio allo stesso modo che la volontà dell'artefice si porta sugli oggetti da foggiare. Sebbene solo l'intelligenza di pochi sia capace d'intendere questo concetto, non so tuttavia se anche solo pochi possano esprimerlo con termini del linguaggio umano. Per conseguenza senza dubbio questa materia fu chiamata non illogicamente anche "acqua" poiché tutte le cose che nascono sulla terra, sia gli animali che gli alberi o le erbe e cose dello stesso genere, cominciano a formarsi e a nutrirsi con sostanze liquide. Tutti i suddetti nomi, dunque, sia "cielo e terra", sia "terra invisibile e caotica", sia "abisso con le tenebre", sia "acqua al di sopra della quale si portava lo Spirito di Dio" son termini denotanti la materia informe, per far capire agli ignoranti una realtà sconosciuta con vocaboli noti, e non già con un solo vocabolo ma con molti perché, se fosse stato uno solo, non si credesse che si trattasse d'una cosa che si era soliti intendere con quel termine. Fu dunque chiamata "cielo e terra" perché da essa sarebbe derivato il cielo e la terra. Fu chiamata "terra invisibile e caotica", e "tenebre sopra l'abisso" per il fatto di essere informe, poiché, essendo priva di forma, non poteva né vedersi né toccarsi neanche se ci fosse stato uno che vedesse e toccasse. Fu chiamata "acqua" perché si prestava facilmente e docilmente al potere dell'Artefice che lavorava, affinché mediante essa fossero formate tutte le cose. Con quei nomi dunque veniva denotata la materia invisibile e informe, a partire dalla quale Dio creò l'universo.

Si confuta la calunnia dei manichei circa Gen 1, 4.

8. 13. Dio poi ordinò: Vi sia la luce. E la luce fu fatta 19. I manichei son soliti criticare non questa frase ma quella seguente: E Dio vide che la luce è buona 20. Essi infatti dicono: "Dio dunque non sapeva che cosa fosse la luce e non sapeva che cosa il bene". Sciagurati individui, ai quali dispiace che Dio si compiacque delle sue opere, sebbene vedano che cosa fa anche un artigiano - per esempio un falegname - per quanto a paragone della sapienza e potenza di Dio egli sia quasi un nulla, tuttavia sta lungamente a tagliare e a lavorare il legno, sgrossandolo con l'accetta e con l'ascia, o tornendolo e levigandolo sino a quando non sia condotto a perfezione nella misura di cui è capace secondo le regole dell'arte e nella misura che piace all'artefice che lo lavora. Da ciò si dovrebbe forse dedurre ch'egli non conoscesse che cos'è il bene per il fatto che gli piace l'opera da lui fatta? Tutt'altro! Lo conosceva ottimamente nell'intimo della sua anima, ove l'arte stessa è più bella degli oggetti costruiti con l'arte. Ma ciò che l'artista vede interiormente rispetto all'arte lo manifesta esteriormente nell'opera, e un oggetto è perfetto se piace all'artista che lo ha fatto. Vide dunque Dio che la luce è buona. Con questa frase non si vuol far vedere che a Dio si rivelò all'improvviso nel suo splendore un bene fino allora ignoto, ma che egli piacque in quanto perfetto.

Che cosa volle insegnarci Cristo coi meravigliarsi e con altri simili sentimenti.

8. 14. Che sarebbe, se la Scrittura avesse detto: "Dio si meravigliò che la luce è buona"? Chissà quanto protesterebbero, quante discussioni rissose farebbero costoro! In realtà la meraviglia suol derivare da fatti inattesi; eppure costoro leggono nel Vangelo - e lo lodano - che Gesù Cristo si meravigliò della fede di coloro che credevano 21. Ma chi mai aveva fatto nascere in quei tali la stessa fede, se non proprio lui che se ne meravigliava? Ma anche supposto che l'avesse suscitata un altro, perché mai si sarebbe meravigliato lui che ne aveva la prescienza? Se i manichei risolvono questo problema, potrebbero vedere che può risolversi anche quell'altro. Se, al contrario, non lo risolvono, per qual motivo censurano queste cose ch'essi rifiutano come cose che non li riguardano, mentre non conoscono quelle che dovrebbero riguardarli? Orbene, il fatto che nostro Signore si meraviglia, sta a significare che siamo noi quelli che dobbiamo meravigliarci, poiché siamo noi che abbiamo ancora bisogno di commuoverci come lui. Tutti i sentimenti consimili dei Signore sono dunque indizi non d'un animo turbato ma del Maestro che ci dà un insegnamento. Di tal genere sono anche le espressioni dell'Antico Testamento che non mostrano la debolezza di Dio ma la sua condiscendenza alla nostra debolezza. In realtà, di Dio non può dirsi nulla in modo adeguato. La Scrittura tuttavia dice le verità che noi possiamo capire affinché veniamo educati [spiritualmente] e possiamo raggiungere le realtà che non si possono esprimere con alcun linguaggio umano.

In che senso Dio "separò la luce dalle tenebre" (Gen 1, 4-5).

9. 15. Dio poi separò la luce dalle tenebre e chiamò giorno la luce e notte le tenebre 22. Qui la Scrittura non dice: "Dio fece le tenebre", poiché le tenebre, come abbiamo detto più sopra, sono l'assenza della luce; cionondimeno fu fatta la separazione tra la luce e le tenebre. Noi produciamo rumore col gridare, mentre produciamo silenzio non facendo rumore, poiché il silenzio è assenza di rumore e tuttavia distinguiamo con un senso speciale il rumore dal silenzio e chiamiamo rumore la prima cosa e silenzio la seconda. Allo stesso modo dunque che si ha ragione di dire che produciamo il silenzio, così in molti passi delle Sacre Scritture si dice con ragione che Dio produce le tenebre per il fatto che non concede o sottrae la luce nei momenti e nei luoghi che vuole. Ora, tutto ciò è stato detto per aiutarci a capire. In quale lingua infatti Dio chiamò giorno la luce e notte le tenebre? In quella ebraica o nella greca, nella lingua latina o in qualche altra? E così, riguardo a tutte le cose alle quali diede un nome, si può chiedere quale lingua usò per denominarle. In Dio però c'è solo pura intelligenza senza emissione di suoni né diversità di lingue. La Scrittura cionondimeno dice: chiamò, cioè "fece chiamare", perché distinse e ordinò tutte le cose in modo che si potessero discernere e ricevere un nome. Ma solo in seguito e a suo luogo esamineremo se veramente si deve intendere così l'espressione "Dio chiamò", poiché quanto più riusciremo a penetrare le Scritture e ci familiarizziamo con esse, tanto più diventano chiari i loro vari modi di esprimersi. Noi infatti ci esprimiamo dicendo così: "Questa casa la costruì quel padre di famiglia", cioè "la fece costruire", e molte altre simili espressioni si trovano in tutti i libri delle Sacre Scritture.

I giorni della creazione computati da un mattino all'altro (Gen 1, 5).

10. 16. E fu sera e fu mattina: il primo giorno 23. Anche a questo punto i manichei fanno una critica ingiusta poiché pensano che la Scrittura si esprima in questo modo come se il giorno cominciasse dalla sera. Essi non capiscono che l'opera creatrice - l'opera cioè con cui fu fatta la luce e la luce fu divisa dalle tenebre e la luce fu chiamata giorno e le tenebre notte - non capiscono dunque che tutta quanta quest'opera creatrice si riferisce al giorno; in seguito, dopo quest'opera, come se il giorno fosse finito, si fece sera. Ma siccome anche la notte fa parte del proprio giorno, la Scrittura non dice ch'era passato il primo giorno se non quando, passata anche la notte, spuntò il mattino. Così in seguito i restanti giorni vengono computati da un mattino all'altro. Ora, quando è spuntato il mattino ed è passato il primo giorno, la seguente opera creatrice comincia dal mattino già spuntato e, dopo la stessa opera, si fa sera e di poi mattina e passa il secondo giorno e così di seguito passano tutti gli altri giorni.

Come le acque furono divise dal firmamento (Gen 1, 6-8).

11. 17. Dio inoltre disse: Vi sia il firmamento nel mezzo delle acque e ci sia separazione tra le acque, e così fu. E Dio fece il firmamento e separò le acque che sono al di sopra del firmamento e Dio vide che è una cosa buona 24. Per quel ch'io ricordo, i manichei non hanno l'abitudine di criticare queste frasi. Tuttavia, per il fatto che le acque furono separate affinché le une fossero al di sopra del firmamento e le altre al di sotto del firmamento, poiché dicevamo che la materia informe fu denotata col nome di acqua, credo che la materia corporea delle realtà visibili fu separata da quella incorporea delle realtà invisibili per mezzo del firmamento del cielo. Poiché, pur essendo il cielo una realtà materiale bellissima, tuttavia qualsiasi creatura invisibile supera perfino la stessa bellezza del cielo; pochi però capiscono che le creature invisibili sono al di sopra del cielo non per il posto che occupano, ma per la superiorità della loro natura; quantunque su questo argomento non si debba affermare nulla senza ragione perché è oscuro e lontano dalla percezione sensibile dell'uomo, ma comunque stia la cosa la si deve credere prima di comprenderla. E fu sera e fu mattina: secondo giorno 25. D'ora in poi queste formule, che s'intervallano come un ritornello, sono da intendere e spiegare nel senso esposto più sopra.

L'ammassamento delle acque è la stessa formazione delle acque (Gen 1, 9-10).

12. 18. E Dio disse: le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un sol luogo e appaia l'asciutto. E così avvenne. E le acque ch'erano sotto il cielo si raccolsero in un sol luogo e apparve l'asciutto e Dio chiamò terra l'asciutto e mare l'ammasso delle acque. E Dio vide ch'è una cosa buona 26. A proposito di questo passo i manichei obiettano: "Se il tutto era pieno di acque, in qual modo queste potevano raccogliersi in un sol luogo?" Ma, come è stato già detto più sopra, col nome di acqua è denotata la materia, sulla quale si portava lo Spirito di Dio e con la quale Dio avrebbe formato tutte le cose. Ora, al contrario, quando vien detto: L'acqua che è sotto il cielo si raccolga in un sol luogo, viene detto affinché la materia corporale riceva la forma specifica propria delle acque visibili di questo nostro mondo. Proprio questo ammassarsi delle acque in un sol luogo è la formazione delle acque di quaggiù che noi tocchiamo e vediamo. Ogni forma infatti si dispone secondo la norma dell'unità. Inoltre, in qual senso deve intendersi l'espressione: Appaia l'asciutto, se non nel senso "che la materia riceva la sua forma visibile" che adesso possiede questa terra che noi vediamo e tocchiamo? Ciò dunque ch'era chiamato "terra invisibile e caotica" denotava la confusione e l'oscurità della materia, e ciò ch'è chiamato "acqua", al di sopra della quale si portava lo Spirito di Dio, denotava a sua volta la medesima materia. Adesso, al contrario, Dio forma l'acqua e la terra del nostro mondo servendosi della materia ch'era chiamata con i medesimi nomi prima che ricevesse le forme che attualmente noi vediamo. Certamente si dice che nella lingua ebraica viene chiamata "mare" ogni massa di acque, siano esse salate che dolci.

Perché la terra produce alberi infruttiferi ed erbe velenose (Gen 1, 11).

13. 19. E Dio ordinò: la terra produca erbe commestibili dei campi che portino seme secondo la propria specie e la propria somiglianza, e alberi da frutto che producano frutti e abbiano in sé il seme, ciascuno a propria somiglianza. E così avvenne. La terra allora fece spuntare erbe commestibili aventi seme ciascuna secondo la propria specie, e alberi fruttiferi producenti frutti e aventi in sé il seme ciascuno secondo la propria somiglianza e la propria specie sulla terra. E Dio vide che è cosa buona. E fu sera e fu mattina: terzo giorno 27. A questo punto i manichei sono soliti obiettare: "Se Dio fece nascere dalla terra l'erba commestibile e gli alberi fruttiferi, chi fece nascere tante piante erbacee spinose o velenose che non servono di nutrimento e tanti alberi che non producono alcun frutto?". A costoro si deve rispondere in modo che agli indegni non sia svelato alcun mistero e non sia mostrato loro per quale prefigurazione di realtà future sono state dette tali espressioni. Si deve dire dunque che, a causa del peccato dell'uomo, la terra fu maledetta perché producesse spine e non perché a soffrire il castigo fosse essa che è priva di sensazione, ma perché ponesse ognora sotto gli occhi degli uomini la colpa del peccato dell'uomo, affinché fossero ammoniti di allontanarsi una buona volta dai peccati e tornare ad osservare i precetti di Dio. Le piante erbacee velenose invece sono state create per castigare o mettere alla prova i mortali, e tutto ciò a causa del peccato, poiché proprio dopo il peccato originale siamo diventati mortali. In verità gli uomini vengono scherniti mediante gli alberi infruttuosi affinché intendano quanto è vergognoso stare nel campo di Dio, cioè nella Chiesa, senza produrre il frutto di opere buone, e abbiano inoltre paura d'essere abbandonati da Dio per lo stesso motivo che anch'essi nei loro campi abbandonarono gli alberi infruttiferi e non li coltivano più. La Scrittura dunque non dice che prima del peccato dell'uomo la terra producesse unicamente erbe nutritive e alberi fruttiferi; dopo il peccato invece noi vediamo nascere dalla terra molti vegetali irti di spine e infruttuosi, credo per il motivo già detto. Ecco infatti le parole rivolte al primo uomo dopo che aveva peccato: Maledetto sia per te il suolo riguardo a tutte le tue opere, con dolore e con gemiti ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita, spine e rovi esso produrrà per te e tu mangerai l'erba commestibile del tuo campo, col sudore del tuo volto mangerai il tuo pane fin a quando non tornerai nella terra da cui sei stato tratto, poiché tu sei terra e in terra tornerai 28.

Si risolvono le obiezioni a Gen 1, 14-19.

14. 20. Dio inoltre ordinò: Siano astri nel firmamento, affinché splendano sopra la terra e distinguano il giorno dalla notte e servano da segnali per le stagioni, per i giorni e per gli anni e servano da luci nel firmamento per illuminare la terra. E così avvenne. E Dio creò due luminari: quello maggiore per iniziare il giorno e quello minore per iniziare la notte, e le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per regolare il giorno e la notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che è una cosa buona. E fu sera e mattina: quarto giorno 29. A questo punto [i manichei] sollevano anzitutto la seguente questione: "In qual modo furono creati gli astri, ossia il sole, la luna e le stelle al quarto giorno? In qual modo i tre giorni precedenti poterono essere privi del sole, dal momento che noi adesso vediamo che il giorno si svolge dal sorgere del sole al suo tramonto, mentre per noi la notte risulta dall'assenza del sole quando questo dall'altra parte dei mondo torna verso Oriente?". A costoro rispondiamo: "Può darsi che la durata di ciascuno dei tre giorni precedenti fosse compiuta come corrispondente a quella che impiega il sole nel suo giro, da quando spunta a Oriente fino a quando torna di nuovo ad Oriente. Questo lungo periodo di tempo potrebbero percepirlo gli uomini anche se abitassero nelle spelonche, ove non potrebbero vedere il sole al suo sorgere e al suo tramonto. E così si comprende che in tal modo ci sarebbe potuta essere questa durata di tempo anche senza il sole prima che il sole fosse creato e questo periodo si fosse compiuto in quei tre giorni durante ciascuno di essi". Noi risponderemmo dunque così, se non fossimo dissuasi dalle parole del passo citato: E fu sera e fu mattina, cosa che ora non può accadere senza il corso del giorno. Non ci resta dunque se non intendere che, almeno per ciò che riguarda la stessa durata del tempo, la distinzione tra le opere fu denominata "sera" a causa della fine dell'opera portata a termine, e "mattina" a causa dell'inizio dell'opera avvenire, a somiglianza cioè delle opere umane poiché esse, per la maggior parte, cominciano la mattina e finiscono la sera. È infatti abitudine delle Sacre Scritture di esprimere le realtà divine con termini propri delle realtà umane.

Che significa: servono da segni per i tempi.

14. 21. In secondo luogo [i manichei] sollevano la questione del perché mai Dio, parlando degli astri, disse: Servano da segni per i tempi 30. " Forse perché - dicono essi - quei tre giorni poterono essere senza determinati periodi di tempo oppure non fanno parte di spazi particolari di tempo?" Ma la Scrittura dice: Servano da segni per i tempi, affinché mediante questi astri siano distinti i periodi di tempo e siano riconosciuti dagli uomini; e ciò per la ragione che, se i tempi scorressero senz'essere distinti da nessuno dei momenti precisi che si osservano durante il moto degli astri, i tempi potrebbero, sì, scorrere e passare, ma gli uomini non potrebbero accorgersene e distinguerli. Allo stesso modo, quando il giorno è nuvoloso, scorrono bensì le ore e compiono la loro durata ma non possono essere distinte ed osservate da noi.

Che significa: fece il sole per dar inizio al giorno, ecc.

14. 22. Quanto all'altra frase: E Dio fece i due luminari: il maggiore per l'inizio del giorno e il minore per l'inizio della notte 31, la Scrittura la proferisce come se dicesse: "perché fosse a capo del giorno e a capo della notte". Il sole infatti non solo dà inizio al giorno, ma lo fa anche trascorrere e lo conduce a termine; la luna, al contrario, ci si presenta talvolta a metà o alla fine della notte; se dunque le notti, in cui si presenta, così non hanno inizio da essa, in qual senso fu creata per dare inizio alla notte? Se invece con inchoatio s'intende "il principio" e con "principio" s'intende "il dominio", è chiaro che il sole ha il dominio durante il giorno, la luna lo ha durante la notte, poiché anche allora appaiono le stelle, ma ciononostante essa le supera tutte in splendore e perciò con tutta ragione si chiama loro sovrana.

Si spiega la frase: e separino il giorno dalla notte.

14. 23. Quanto poi all'altra frase: E separino il giorno dalla notte 32, uno potrebbe fare una critica ingiusta dicendo: "In qual modo aveva Dio già separato il giorno dalla notte, se quest'opera è fatta dalle stelle il quarto giorno?", poiché l'espressione: Separino il giorno dalla notte corrisponde press'a poco a quest'altra: "separino il giorno dalla notte in modo che il giorno sia posto sotto il potere del sole e la notte sotto il potere della luna e di tutte le altre stelle". C'era già stata la separazione del sole e della luna, ma non ancora quella tra questi astri e le altre stelle in modo che ci fosse la certezza sul numero degli astri, quale di essi cioè apparisse agli uomini durante il giorno e quale durante la notte.

Col nome di "acqua" in Gen 1, 20-23 si denota l'aria umida e caliginosa.

15. 24. Dio inoltre ordinò: Le acque producano rettili dotati d'anima vivente e uccelli che volino sopra la terra sotto il firmamento del cielo. E così avvenne. Dio allora creò i grandi mostri marini e tutti gli animali e i rettili prodotti dalle acque secondo la specie di ciascuno di essi e ogni genere di volatili alati secondo la specie di ciascuno di essi. E Dio vide che sono cose buone e li benedisse dicendo: Crescete e moltiplicatevi e riempite le acque del mare, e gli uccelli si moltiplichino sulla terra. E fu sera e mattina: quinto giorno 33. Queste affermazioni i manichei sono soliti criticarle domandando - o piuttosto facendo un'obiezione maliziosa -: "Per qual motivo la Scrittura dice che sono nati dalle acque non solo gli animali che vivono nell'acqua ma anche quelli che volano nell'aria e tutti gli animali alati?". Ma tutti coloro che si sentono turbati da queste obiezioni devono sapere che la nostra aria nuvolosa ed umida, in cui volano gli uccelli, suole essere assimilata alle acque da persone assai dotte che si applicano diligentemente allo studio di questi fenomeni. L'aria infatti si condensa e diventa spessa a causa delle esalazioni e, per così dire, delle evaporazioni del mare e della terra e acquista in certo qual modo consistenza mediante la stessa umidità si da poter sostenere il volo degli uccelli. Ecco perché nelle notti serene cade anche la rugiada, le cui gocce al mattino si trovano sull'erba. Si dice per esempio che un monte della Macedonia, chiamato Olimpo, è tanto alto che sulla vetta non si sente neppure il vento né si addensano le nubi, poiché con la sua altitudine sovrasta tutta la massa della nostra atmosfera umida, in cui volano gli uccelli, e si dice che non ci volano nemmeno gli uccelli. Si dice che ciò è stato riferito da coloro che ogni anno avevano l'abitudine di salire sulla vetta del monte suddetto per farvi non so quali sacrifici e di tracciare nella polvere dei segni che l'anno successivo trovavano intatti. Ciò non potrebbe accadere se quel posto fosse esposto al vento o alla pioggia. Siccome poi l'aria lassù è tanto rarefatta che non li faceva respirare, non potevano restarvi a lungo senza applicarsi delle spugne bagnate alle narici; costoro dunque dichiararono pure che non vi scorsero mai alcun uccello. Non senza ragione quindi la Scrittura del tutto veridica ricorda che dalle acque nacquero non solo i pesci e tutti gli altri animali acquatici, ma anche gli uccelli, poiché questi possono volare attraverso questa nostra aria che si forma dalle evaporazioni del mare e della terra.

Perché furono creati gli animali dannosi (Gen 1, 24 s.).

16. 25. Dio inoltre ordinò: La terra produca animali viventi secondo ciascuna specie di quadrupedi, di serpenti, di bestie selvatiche della terra. E così avvenne. Dio fece allora le bestie selvatiche della terra e animali da pascolo secondo la loro specie e tutti i rettili della terra secondo la loro specie. E Dio vide che sono una cosa buona 34. Anche qui i manichei sono soliti sollevare la seguente questione, dicendo: "Che bisogno c'era che Dio creasse tanti animali non solo nelle acque ma anche sulla terra, i quali non sono necessari agli uomini? Molti anzi sono dannosi e spaventosi". Quando però fanno queste obiezioni, non capiscono che tutte le cose sono belle per il loro creatore e artefice, che si serve di tutte per governare l'universo ch'egli domina con legge sovrana. Se per esempio nell'officina di un artigiano entra un incompetente, vi scorge molti strumenti di cui ignora l'uso e, se è molto stupido, li giudica inutili. Se poi cadrà distrattamente nella fucina o si ferirà con uno strumento accuminato di ferro, maneggiandolo maldestramente, penserà anche che vi sono arnesi pericolosi e dannosi. Cionondimeno l'artigiano, che ne conosce bene l'utilità, si burla dell'ignoranza di quell'individuo e, senza curarsi delle sue parole insulse, prosegue senza sosta a lavorare assiduamente nella propria officina. Gli uomini tuttavia sono tanto stolti che, di fronte a una creatura mortale qual è un artigiano, non osano criticare gli strumenti che non conoscono ma, appena li vedono, li stimano necessari e costruiti per determinati usi, mentre al contrario, a proposito di questo mondo di cui è proclamato creatore e governatore Dio, osano criticare molte cose di cui ignorano la ragione e, a proposito delle opere e degli strumenti dell'Artefice onnipotente, desiderano apparire come esperti di ciò che non sanno.

Ogni cosa è bella nella sua specie; gli animali so o utili o dannosi o inutili.

16. 26. Io, al contrario, confesso di non sapere perché sono stati creati i topi e le rane, ma capisco tuttavia che tutte le cose sono belle nella loro specie anche se, a causa dei nostri peccati, esse ci sembrano avverse. In verità io non posso considerare il corpo e le membra d'un essere vivente senza scoprirvi delle misure, delle proporzioni e un ordine che concorrono all'armonia dell'unità. Io non capisco d'onde derivino tutte queste proprietà se non dalla suprema misura e proporzione e dal supremo ordine, che sussistono nella perfettissima, immutabile ed eterna essenza di Dio. Se cotesti individui assai loquaci ma assai stupidi la pensassero così, non verrebbero a dar fastidio a noi ma, considerando da se stessi tutte le bellezze, sia le più eccelse che le infime, darebbero lode a Dio creatore in ogni caso; siccome inoltre la ragione non si sente offesa per nulla se talora, per caso, si sente offeso il senso carnale, attribuirebbero ciò non a un difetto delle cose stesse, ma ai difetti della nostra condizione mortale. Certamente tutti gli esseri viventi ci sono o utili o dannosi oppure sono inutili. Contro quelli utili i manichei non hanno nulla da dire. Quanto invece a quelli dannosi o servono per punirci o per mettere a prova la nostra virtù o per incuterci paura, affinché cerchiamo di amare e desiderare non la vita presente, soggetta a molti pericoli e fatiche, ma un'altra migliore ov'è perfetta sicurezza, e affinché ce la procuriamo con i meriti delle opere ispirate dalla fede. Al contrario, riguardo agli animali inutili, perché metterci a discutere? Se ti dispiace che non siano vantaggiosi, ti piaccia che non siano dannosi poiché, anche se non sono necessari per la nostra casa, servono a completare la totalità dell'universo in cui viviamo, ch'è molto più grande della nostra casa e molto migliore. Dio infatti governa l'universo molto meglio che non ciascuno di noi la propria casa. Sèrviti dunque di quelli utili, evita quelli dannosi, lascia da parte quelli inutili. Cionondimeno, quando vedi in tutti gli esseri le misure, le proporzioni e l'ordine, cercane il Creatore, poiché non ne troverai alcun altro se non Colui nel quale è somma misura somma proporzione e sommo ordine, cioè Dio, di cui la Scrittura dice con assoluta verità: Ha disposto ogni cosa con misura, calcolo e peso 35. In tal modo troverai forse maggior vantaggio quando lodi Dio riguardo alla piccolezza di una formica anziché quando attraversi un fiume in groppa a un'alta bestia da soma.

In che senso l'uomo è stato creato a immagine di Dio secondo Gen 1, 26.

17. 27. E Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza e abbia il dominio sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su tutte le bestie domestiche su tutta la terra e su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra 36, con tutto il resto che dice la Scrittura fino alla sera e al mattino in cui si compie il sesto giorno 37. I manichei sono soliti polemizzare in modo particolare su questo tema, da chiacchieroni e ci scherniscono perché noi crediamo che l'uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. Essi infatti considerano solo la forma esteriore del nostro corpo e disgraziatamente ci domandano se Dio ha narici, denti, barba oltre gli organi interni e tutte le altre parti del corpo che sono necessarie a noi. Ma credere che Dio abbia tali cose è ridicolo, anzi empio, e per questo negano che l'uomo è fatto a immagine di Dio. A costoro rispondiamo che tali membra sono, per la verità, nominate non solo nei libri del Vecchio, ma anche del Nuovo Testamento, per lo più quando si vuole dare un'idea di Dio ai semplici che ascoltano. In realtà sono ricordati non solo gli occhi di Dio ma anche le orecchie, le labbra e i piedi; viene inoltre proclamato che il Figlio siede alla destra del Padre. Lo stesso Signore dice: Non giurate nel nome del cielo, poiché è la dimora di Dio, né per la terra, poiché è lo sgabello dei suoi piedi 38. Egli stesso parimenti diceva di scacciare i demoni col dito di Dio 39. Ma tutti coloro che intendono le Scritture nel senso spirituale, hanno imparato a intendere che questi termini non indicano membra corporee, ma potenze spirituali, come anche le corazze lo scudo, la spada e molte altre simili cose 40. Anzitutto dunque a cotesti eretici si deve dire con quale impudenza fanno empie insinuazioni a proposito di quelle parole del Vecchio Testamento quando le medesime parole le vedono usate anche nel Nuovo, o forse essi non le vedono rimanendo accecati mentre discutono in modo litigioso.

L'uomo è immagine di Dio per l'anima, per cui supera tutti gli altri animali.

17. 28. Costoro tuttavia sappiano che in base alla dottrina cattolica i fedeli spirituali credono che Dio non è circoscritto dalla forma del corpo e che quando la Scrittura afferma che l'uomo è stato fatto ad immagine di Dio, lo afferma riguardo all'interiorità dell'uomo ov'è la ragione e l'intelligenza. Grazie a queste facoltà l'uomo esercita anche il suo dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, su tutte le bestie domestiche e su tutte le fiere, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. Ecco qui, dopo aver detto: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza, Dio soggiunge immediatamente: e abbia il dominio sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo 41, ecc. per farci comprendere che la Scrittura afferma che l'uomo è fatto a immagine di Dio non a causa del corpo, ma del potere per il quale è superiore a tutte le bestie. Effettivamente tutti gli altri animali sono soggetti all'uomo non per via del corpo ma dell'intelligenza che noi abbiamo e di cui essi sono privi, sebbene anche il nostro corpo sia stato formato in modo da mostrare che noi siamo superiori alle bestie e perciò simili a Dio; poiché il corpo di tutti gli animali che vivono sia nell'acqua sia sulla terra o che volano nell'aria, è proclive verso la terra e non eretto come il corpo dell'uomo. Questa caratteristica ci fa intendere che anche la nostra anima dev'essere protesa in alto verso le realtà celesti, che sono soltanto un bene suo, cioè quelle eterne, spirituali. Per conseguenza si capisce che l'uomo è fatto ad immagine di Dio soprattutto per via dell'anima, come lo attesta anche la forma eretta del corpo.

Anche dopo la condanna l'uomo può soggiogare quasi tutte le bestie.

18. 29. Talvolta i manichei sono soliti dire anche: "In qual modo l'uomo ricevette il dominio sui pesci del mare e su gli uccelli del cielo, su tutte le bestie domestiche e su le belve, quando vediamo che gli uomini vengono uccisi da molte fiere e riceviamo danni dai volatili che vorremmo schivare o catturare e il più delle volte non ci riusciamo? In qual modo abbiamo dunque ricevuto il dominio sugli animali?". A questo proposito bisogna anzitutto dir loro che sbagliano di molto coloro i quali considerano l'uomo com'era dopo il peccato, allorché fu condannato alla mortalità della vita terrena e perse la perfezione con cui era stato creato a immagine di Dio. Ma anche dopo la condanna l'uomo ha tanta potenza da esercitare il dominio su un così gran numero di animali poiché, sebbene possa venire ucciso da molte belve per la fragilità del suo corpo, non può essere soggiogato da nessuna di esse, mentre invece ne sottomette al suo dominio tante o, per dir meglio, quasi tutte. Se dunque l'uomo, anche dopo la condanna, conserva tanta potenza, che cosa dobbiamo pensare del regno promessogli dalla parola di Dio una volta che sarà rinnovato e liberato?

Come intendere in senso spirituale Gen 1, 28.

19. 30. Quanto a quest'altra frase della Scrittura: Li creò maschio e femmina e Dio li benedisse dicendo: Crescete, moltiplicatevi, procreate e riempite la terra 42, si pone del tutto giustamente la questione in qual senso debba intendersi l'unione del maschio e della femmina prima del peccato e prima di questa benedizione con cui Dio disse: Crescete, moltiplicatevi, procreate e riempite la terra. È da intendersi in senso carnale o in senso spirituale? Senza dubbio ci è lecito intenderla anche in senso spirituale in modo da ritenere che dopo il peccato fu, molto verosimilmente, trasformata in fecondità carnale. In precedenza infatti l'unione del maschio e della femmina era casta, corrispondente al fine dell'uomo che è quello di dirigere, e a quello della donna ch'è quello di ubbidire; oltre a ciò la procreazione spirituale di gioie intelligibili e immortali riempiva la terra, cioè dava vita al corpo e lo dominava, lo teneva talmente sottomesso che l'uomo non aveva a soffrire da parte di esso alcuna opposizione e alcuna molestia. Si deve credere così per il fatto che non erano ancora nati i figli di questo mondo prima che i progenitori peccassero. In effetti i figli in questo mondo generano e sono generati come dice il Signore quando insegna che la generazione carnale dev'essere disprezzata in confronto della vita futura che a noi è promessa 43.

Che cos'è, allegoricamente, dominare sulle bestie (Gen 1, 28).

20. 31. Quando poi al comando rivolto ai progenitori: Dominate i pesci del mare, gli uccelli del cielo e tutti i rettili che strisciano sulla terra 44, senza parlare della interpretazione secondo la quale è chiaro che l'uomo può dominare tutti questi animali con la ragione, lo si può interpretare convenientemente anche in senso figurato, quello cioè di tenere sotto il nostro dominio tutte le passioni e i moti dell'anima, che abbiamo simili a quelli di questi animali e di dominarli con la temperanza e la moderazione. Quando infatti questi moti non vengono dominati, insorgono e arrivano fino a divenire abitudini assai vergognose e ci trascinano attraverso piaceri diversi e funesti e ci rendono simili a ogni specie di bestie. Quando, al contrario, vengono regolati e assoggettati, diventano completamente mansueti e vivono in concordia con noi. Essi si nutrono insieme a noi della conoscenza dei più salutari principi razionali, delle più utili norme di morale e così pure della vita eterna, come se si nutrissero d'erbe portanti il seme d'alberi fruttiferi e di piante verdeggianti. L'uomo inoltre vive felice e tranquillo quando tutti i suoi sentimenti vanno d'accordo con la ragione e con la verità, e allora si chiamano gioie, affetti santi, casti e buoni. Se al contrario non vanno d'accordo e non sono regolati accuratamente, lacerano l'anima, ne provocano l'intimo dissidio e rendono infelice la vita, e allora si chiamano turbamenti, capricci dei sensi e passioni funeste. Orbene, a proposito di tali sentimenti sregolati ci viene comandato di mortificarli in noi con ogni sforzo possibile fin a quando la morte non sarà inghiottita per la vittoria 45. L'Apostolo infatti afferma: Ora, quelli che appartengono a Cristo, hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri 46. Ecco dunque che anche solo da questo fatto a ognuno dev'essere rammentato che le suddette cose non bisogna intenderle in senso materiale, dal fatto cioè che nel libro della Genesi le verzure dei campi e gli alberi fruttiferi sono dati per nutrimento a ogni specie di bestie, a tutti gli uccelli e a tutti gli animali striscianti, mentre vediamo che i leoni, gli avvoltoi, gli sparvieri e le aquile si nutrono solo di carni e di cadaveri di altri animali uccisi da essi. La stessa cosa penso di alcuni animali che strisciano sulla terra, viventi in luoghi coperti di sabbia e deserti, dove non nascono né alberi né erbe.

Perché in Gen 1, 31 si dice: molto buone.

21. 32. Non si deve però tralasciare con indifferenza di considerare attentamente la frase della Scrittura che dice: E Dio vide che tutte quante le cose che aveva fatte sono una cosa molto buona 47. Poiché la Scrittura, trattando d'ogni singola opera, diceva soltanto: E Dio vide ch'è una cosa buona, mentre parlando di tutte le opere, non le bastò dire buone, ma aggiunte altresì molto. Se infatti si riscontra che ciascuna delle opere di Dio, quando vengono considerate dai saggi nella specie propria di ognuna di esse, ha delle misure, delle proporzioni e un ordine eccellenti, quanto più eccellenti avranno queste proprietà tutte le opere insieme, vale a dire tutto l'universo che, nel suo complesso, è costituito da ciascuna di esse riunite in unità? Infatti ogni cosa bella, che risulta composta di parti, è molto più eccellente nella sua interezza che non nelle sue parti. Così, se nel corpo umano lodiamo solo gli occhi, solo il naso, solo le guance o solo il capo, o solo le mani o solo i piedi (e così dicasi di tutte le altre membra se sono belle e lodiamo ciascun membro in particolare), quanto più è da lodare l'intero corpo, al quale tutte le membra che, prese singolarmente sono tutte belle, conferiscono la propria bellezza? Per conseguenza una bella mano che veniva lodata anche separatamente non solo perderebbe anch'essa la sua bellezza, ma senza di essa sarebbero brutte tutte le altre membra. Tanto grande è la forza e la potenza dell'integrità e dell'unità che anche molte cose, che sono buone, piacciono solo quando si riuniscono insieme e si compongono armoniosamente a formare un qualcosa di unitario. Il termine "universo" infatti deriva da quello di "unità". Se i manichei riflettessero a ciò, esalterebbero Dio quale autore e creatore dell'universo, e ciò che in una parte li urta per la condizione naturale della nostra mortalità, lo ricondurrebbero alla bellezza di tutto l'insieme della creazione e vedrebbero che Dio ha fatto tutte le cose non solo buone, ma anche molto buone. Poiché anche un discorso ornato e ben ordinato, se consideriamo ognuna delle sillabe o delle lettere, che passano subito appena pronunciate, non vi troviamo che cosa piaccia o sia da lodare. Un discorso in effetti è bello non a causa di ciascuna sillaba ma di tutte quante le sillabe.

Il riposo di Dio al settimo giorno spiegato allegoricamente (Gen 2, 2).

22. 33. Vediamo ormai anche il passo della Scrittura che i manichei di solito scherniscono con un'impudenza maggiore della loro ignoranza, che cioè Dio, dopo aver terminato la creazione del cielo e della terra e di tutte le altre cose che aveva fatte, nel settimo giorno cessò da ogni sua opera e benedisse il settimo giorno e lo consacrò, poiché in esso aveva cessato da tutte le sue opere 48. Essi infatti dicono: "Che bisogno aveva Dio di riposarsi? Si era forse affaticato e stancato nel far le opere compiute nei sei giorni?". Aggiungono anche la testimonianza del Signore che dice: Il Padre mio opera fino al presente 49. Con ciò ingannano molti ignoranti ch'essi si sforzano di convincere che il Nuovo Testamento è contrario all'Antico. Coloro però ai quali il Signore dice: Il Padre mio opera fino al presente, immaginavano il riposo di Dio in modo carnale, e, osservando il sabato in modo carnale, non capivano cosa volesse simboleggiare la realtà indicata da quel giorno; allo stesso modo anche costoro, sebbene con disposizioni d'animo diversa, tuttavia ugualmente come quelli non capiscono il significato simbolico del sabato. Il sabato infatti non l'hanno compreso non solo quelli osservandolo materialmente ma altresì costoro detestandolo grossolanamente. Ciascuno dunque deve accostarsi a Cristo perché gli venga rimosso il velo [dagli occhi], come dice l'Apostolo 50. Il velo in effetti viene rimosso allorché, tolto via il velame della similitudine e dell'allegoria, si manifesta la verità nella sua schiettezza, perché possa essere vista.

Che cosa vuol dire: Dio riposò.

22. 34. Innanzitutto dunque riguardo a molti passi delle Sacre Scritture bisogna osservare e riconoscere la regola di detto modo di esprimersi. Che cos'altro infatti vuol simboleggiare la Sacra Scrittura, allorché dice che Dio si riposò da tutte le sue opere molto buone che aveva fatte, se non il nostro riposo ch'egli ci darà da tutte le opere buone, se anche noi avremo fatte delle opere buone? Conforme al medesimo modo di parlare anche l'Apostolo dice: Poiché noi non sappiamo che cosa è conveniente chiedere nella preghiera, ma lo stesso Spirito intercede per noi con gemiti ineffabili 51. In realtà non è che lo Spirito Santo gema come se avesse bisogno o si trovasse in qualche difficoltà, lui che presso Dio intercede per i fedeli servi di Dio, ma è lui che ci eccita a pregare quando gemiamo, e perciò diciamo ch'è lui a fare ciò che facciamo noi per suo impulso. Così la Scrittura dice anche: Il Signore vostro Dio vi mette alla prova per sapere se lo amate 52. Ora, egli permette che noi siamo messi alla prova non affinché sappia lui, al quale non è nascosto nulla, ma per fare in modo che sappiamo noi quali progressi abbiamo fatti nell'amarlo. Conforme a questo stesso modo di esprimerci anche nostro Signore dice d'ignorare il giorno e l'ora della fine del mondo 53. Ora, che cosa può esserci ch'egli ignori? Ma poiché egli nascondeva ai suoi discepoli quel particolare per la loro utilità, disse d'ignorarlo poiché, nascondendolo, faceva in modo che lo ignorassero essi. Seguendo questa figura retorica il Signore disse anche che quel giorno era noto solo al Padre poiché lo faceva conoscere al medesimo Figlio. Tenendo presente questa figura retorica molte questioni riguardanti le Sacre Scritture vengono risolte senz'alcuna difficoltà da coloro i quali conoscono già il genere di questo modo di parlare. Di tali modi di parlare abbonda anche il nostro linguaggio ordinario quando diciamo "lieto" il giorno per il fatto che ci rende lieti, e "pigro" il freddo 54 perché ci rende pigri, e "cieca" una fossa perché non la vediamo, e "forbita" la lingua che produce parole forbite; infine diciamo "tranquillo e senza alcuna molestia" il tempo in cui noi siamo tranquilli senza alcuna molestia. La Scrittura dunque dice che Dio si riposò da tutte le opere che aveva fatte molto buone, perché in lui riposeremo noi da tutte le nostre opere se ne avremo fatte di buone, poiché le stesse nostre opere buone sono da attribuire a lui che chiama, comanda e mostra la via della verità, a lui che c'invita anche affinché abbiamo la volontà e ci somministra le forze per compiere ciò che ci comanda.

L'infanzia del mondo, la prima delle sei età corrispondenti ai giorni genesiaci: da Adamo a Noè.

23. 35. 1a ETÀ. Ma per qual ragione questo riposo è assegnato al settimo giorno? Io penso che questo fatto debba considerarsi più attentamente. Infatti percorrendo tutto il testo delle Sacre Scritture io vi scorgo in certo qual modo sei età destinate alle opere, età distinte tra loro, per così dire, da limiti determinati, di modo che nella settimana si spera il riposo. Io vedo inoltre che queste medesime sei età assomigliano a questi sei giorni in cui furono compiute le opere che la Scrittura ricorda essere state fatte da Dio. Orbene, i primordi del genere umano, nei quali esso cominciò a godere questa luce, sono con ragione paragonati al primo giorno, in cui Dio creò la luce. Quest'età può essere considerata come l'infanzia di tutto lo stesso mondo che, in proporzione della sua grandezza, dobbiamo immaginare come un sol uomo, poiché anche ciascun uomo, appena nasce ed esce alla luce, trascorre come sua prima età l'infanzia. Questa si estende da Adamo a Noè per dieci generazioni. Alla sera - diciamo così - di questo giorno avviene il diluvio, poiché anche la nostra infanzia viene cancellata dal diluvio della dimenticanza.

La seconda età del mondo, simile alla fanciullezza: da Noè ad Abramo.

23. 36. 2a ETÀ. E al mattino comincia la seconda età, paragonabile alla fanciullezza, e si estende dai tempi di Noè fino ad Abramo per altre dieci generazioni. Essa inoltre a ragione si paragona al secondo giorno, in cui fu creato il firmamento in mezzo alle acque superiori e a quelle inferiori, poiché anche l'arca in cui era Noè con i suoi familiari, era come un firmamento tra le acque sottostanti sulle quali stava a galla e quelle sovrastanti dalle quali veniva bagnata. Quest'età non viene cancellata dal diluvio poiché neppure la nostra fanciullezza viene eliminata dalla memoria per via della dimenticanza. Noi infatti ci ricordiamo d'essere stati ragazzi, ma non ci ricordiamo d'essere stati bambini. La sera di questa età è la confusione delle lingue avveratasi in coloro che costruivano la torre, la mattina seguente invece comincia da Adamo. Ma neppure questa seconda età generò il popolo di Dio, perché nemmeno la fanciullezza è adatta a generare.

La terza età dei mondo, simile all'adolescenza: da Abramo a Davide.

23. 37. 3a ETÀ. Il mattino dunque comincia da Abramo e succede la terza epoca, paragonabile all'adolescenza. Essa può inoltre esser paragonata al terzo giorno, in cui la terra fu separata dalle acque. Il popolo di Dio infatti fu separato da tutti i Gentili, i cui errori variabili e sballottati dalle vane dottrine dell'idolatria come da ogni sorta di venti sono bene denotati con il nome di "mare"; da questi errori dei Gentili, e da questi flutti del mondo fu dunque separato il popolo di Dio per opera di Abramo, come la terra apparve arida, assetata cioè della pioggia dei comandamenti divini. Quel popolo, adorando l'unico Dio, come una terra irrigata, perché potesse produrre utili frutti, ricevette le Sacre Scritture e le profezie. Orbene quest'epoca era ormai in grado di generare il popolo di Dio, poiché anche la terza età dell'uomo, cioè l'adolescenza, può aver già dei figli. Ecco perché ad Abramo fu detto: Ti ho costituito padre di molti popoli e ti moltiplicherò in modo straordinario e ti renderò padre di una moltitudine di nazioni e da te usciranno dei re. Io stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione, come un'alleanza eterna per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te. A te alla tua discendenza dopo di te io darò in possesso perenne il paese in cui abiti, tutto il paese di Canaan, e sarò il loro Dio 55. Questa età si estende da Abramo fino a Davide per quattordici generazioni. La sera di essa è rappresentata dai peccati del popolo con cui trasgredivano i comandamenti di Dio fino alla malvagità del pessimo re Saul.

Quarta età, simile alla giovinezza: da Davide alla deportazione babilonese.

23. 38. 4a ETÀ. Nel mattino seguente sorge il regno di Davide. Questa età è simile alla giovinezza. In realtà fra tutte le età regna sovrana la giovinezza ed è il sicuro ornamento di tutte le età. Ecco perché è giustamente paragonata al quarto giorno in cui furono creati gli astri nel firmamento del cielo. Ora, che cosa può simboleggiare in modo più evidente lo splendore d'un regno che la superiorità del sole? Lo splendore della luna invece rappresenta il popolo che ubbidisce al regno come la stessa sinagoga, e le stelle sono come i maggiorenti di essa e tutte queste realtà hanno il loro fondamento nella stabilità del regno come nel firmamento. La sera, per così dire, di questa età è rappresentata dai peccati dei re, per causa dei quali quel popolo meritò di vivere in cattività ed essere ridotto in servitù.

Quinta età simile all'età matura: dalla cattività babilonese a Gesù Cristo.

23. 39. 5a ETÀ. La mattina seguente raffigura la deportazione a Babilonia, quando il popolo [giudaico] fu messo nella condizione di vivere agiatamente nel riposo della cattività straniera. Quest'età si estende fino alla venuta di nostro Signore Gesù Cristo: questa è la quinta età, che è il declinare della giovinezza, verso la vecchiaia; non ancora vecchiaia, ma non più giovinezza; è l'età dell'anziano chiamato dai greci , poiché da questi il "vecchio" non è chiamato , ma . In realtà quest'epoca andò calando e spezzandosi per quanto riguarda il popolo giudaico dopo la solidità del regno, allo stesso modo che l'uomo dopo la giovinezza diventa vecchio. Quest'epoca poi viene giustamente paragonata al quinto giorno, in cui furono creati gli esseri viventi nelle acque e gli uccelli del cielo, dopo che quegli uomini cominciarono a vivere tra i pagani come in un mare e ad avere una sede insicura e instabile come gli uccelli che volano. Senza dubbio però c'erano lì anche grandi cetacei, vale a dire quei grandi uomini che furono più capaci di dominare le tempeste del mondo anziché essere servi in quella cattività, poiché nessuna paura poté farli uscire dalla via retta per seguire il culto idolatrico. A questo proposito si deve tenere presente che Dio benedisse quegli animali dicendo: Crescete e moltiplicatevi e riempite le acque del mare e gli uccelli si moltiplichino sopra la terra 56 poiché in realtà il popolo giudaico, da quando fu disperso tra i popoli pagani, si moltiplicò grandemente. Quella che possiamo chiamare la sera di questo giorno, cioè di questa età, è la moltiplicazione dei peccati tra il popolo dei Giudei, poiché questi diventarono tanto ciechi da non esser capaci nemmeno di riconoscere il Signore Gesù Cristo.

La sesta età, in cui nasce l'uomo nuovo, è simile alla vecchiaia.

23. 40. 6a ETÀ. Il mattino seguente comincia dalla predicazione del Vangelo per opera di nostro Signore Gesù Cristo e così ha termine il quinto giorno; comincia il sesto, nel quale appare la senilità dell'uomo vecchio. In quest'età infatti s'indebolì assai quel regno carnale allorché non solo fu abbattuto il tempio ma cessarono finanche gli stessi sacrifici, e adesso quel popolo, per quanto riguarda la potenza del proprio regno, trascina - per così dire - lo stremo della propria vita. Tuttavia in questa età, come nella vecchiaia dell'uomo vecchio, nasce l'uomo nuovo che vive ormai in modo spirituale. Difatti nel sesto giorno Dio disse: Produca la terra esseri viventi 57; nel quinto invece aveva detto: Le acque producano, non già esseri viventi, ma rettili dì anime viventi 58; poiché i rettili sono corpi, e quel popolo, come se si trovasse nel mare dei pagani, era ancora soggetto alla Legge a causa della circoncisione corporale e dei sacrifici. Dio, al contrario, chiama "viventi" queste anime in virtù della vita per cui si comincia a desiderare le realtà eterne. I serpenti dunque e il bestiame minuto prodotti dalla terra sono simbolo dei popoli che avrebbero creduto nel Vangelo. Di tali popoli Dio, a proposito di quel vassoio mostrato a Pietro negli Atti degli Apostoli, dice: Uccidi e mangia 59. Ma siccome Pietro aveva detto ch'erano cose immonde, gli fu risposto: Ciò che è stato purificato da Dio, tu non devi chiamarlo impuro 60. È allora che viene creato l'uomo a immagine e somiglianza di Dio, allo stesso modo che in questa sesta età nasce nella carne nostro Signore, di cui il Profeta dice: Egli è anche uomo ma chi lo riconoscerà? 61. Inoltre, come quel giorno furono creati il maschio e la femmina, così in questa età lo furono Cristo e la Chiesa. Oltre a ciò in quel giorno l'uomo viene messo a dominare le bestie, i serpenti e gli uccelli del cielo allo stesso modo che in questa età Cristo governa le anime che gli ubbidiscono, perché da lui fossero resi domestici e mansueti gli uomini dediti alle passioni carnali come le bestie o accecati dalla tenebrosa cecità come i serpenti o altezzosi per la superbia come gli uccelli. Inoltre, allo stesso modo che da quel giorno l'uomo e gli animali, che sono con lui, si nutrono di erbe aventi il seme, di alberi fruttiferi e d'erbe verdeggianti, così in questa età l'uomo spirituale, chiunque è buon servo di Cristo e lo imita meglio che può, si nutre spiritualmente assieme allo stesso popolo con l'alimento delle Sacre Scritture e della legge di Dio, non solo per concepire la fecondità delle ragioni e degli insegnamenti, come se si cibasse d'erbe aventi il seme, ma anche per apprendere l'utilità dei costumi propri della vita umana, come se si cibasse di alberi fruttiferi, e anche per irrobustire la fede, la speranza e la carità, come se si cibasse d'erbe verdeggianti, vale a dire talmente rigogliose da non poter seccarsi a causa di alcuna cocente tribolazione. Ma l'uomo spirituale si nutre di questi alimenti per capire molte cose; l'uomo carnale invece, quello cioè che è ancora piccolo in Cristo, come un piccolo animale di Dio, se ne alimenta per credere molte cose che non è ancora capace di capire; tutti però hanno i medesimi cibi.

La sera della sesta età coincide col ritorno del Figlio dell'uomo sulla terra.

23. 41. 7a ETÀ. Quella che potrebbe chiamarsi la sera di questa età - che Dio non voglia ci colga - se pur non è già cominciata, è quella di cui il Signore dice: Quando verrà il Figlio dell'uomo, troverà forse la fede sulla terra? 62 A questa sera succederà il mattino, in cui verrà il Signore nello splendore della sua eterna gloria. Allora con Cristo riposeranno da tutte le opere coloro ai quali è stato detto: Siate perfetti come il Padre vostro celeste 63. Siffatte persone infatti compiono opere molto buone. Ebbene, dopo tali opere deve sperarsi il riposo nel settimo giorno, il quale non ha sera. Non si può dunque affatto spiegare a parole in qual modo Dio fece e creò il cielo e la terra e tutte le creature da lui create. Ma questa esposizione che segue la successione dei giorni ci fa capire, per così dire, la storia delle realtà create in modo da tenere presente allo sguardo soprattutto la predicazione di quelle future.

Perché le sei età del mondo sono disuguali.

24. 42. Qualcuno però potrebbe stupirsi che tra queste età del mondo noi notiamo che le prime due si estendono per dieci generazioni, mentre le tre seguenti risultano di quattordici generazioni ciascuna, la sesta al contrario non ha alcun determinato numero di generazioni 64. P, però facile vedere che anche in ciascun uomo le prime due età: l'infanzia e la fanciullezza, sono legate ai sensi del corpo i quali sono cinque: vista, udito, odorato, gusto e tatto. Il numero cinque poi può venire raddoppiato, poiché i sessi umani, da cui derivano quelle generazioni, sono due: il maschile e il femminile; se quindi - come ho detto - il numero cinque viene raddoppiato, forma il numero dieci. Orbene, a partire dall'adolescenza in poi, quando ormai la ragione comincia a dominare nell'uomo, si aggiunge ai cinque sensi la conoscenza e l'attività con cui si governa e si dirige la vita e così si arriva al numero sette. Questo numero, raddoppiato ugualmente a causa dei due sessi, risalta e si mostra evidente nelle quattordici generazioni delle tre età seguenti, quali sono quelle dell'adolescenza, della giovinezza e dell'età matura. L'età della vecchiaia, al contrario, allo stesso modo che in noi non è circoscritta da nessun numero determinato di anni, ma tutto il tempo che ciascuno vivrà dopo le precedenti cinque età viene attribuito alla vecchiaia, così in quest'età del mondo non appaiono le generazioni perché rimanga occulto l'ultimo giorno, che il Signore mostrò essere utile dovesse restare nascosto 65.

Interpretazione anagogica dei sei giorni.

25. 43. Anche ciascuno di noi ha, per così dire - rispetto alle opere buone e alla vita - questi sei giorni distinti, dopo i quali deve sperare il riposo. Nel primo giorno la luce della fede, allorché crede prima alle realtà visibili, fede per la quale il Signore degnò di mostrarsi materialmente. Nel secondo giorno egli ha, per così dire, il solido fondamento della dottrina, per cui distingue le realtà carnali da quelle spirituali come tra le acque inferiori e quelle superiori. Nel terzo, per poter produrre i frutti delle opere buone, separa il proprio spirito dai flutti funesti delle tentazioni carnali come la terraferma dal mare agitato affinché possa ormai dire: Con lo spirito mi assoggetto alla legge di Dio, ma con la carne mi assoggetto alla legge del peccato 66. Nel quarto giorno, in cui grazie al detto, saldo fondamento della dottrina produce e distingue le conoscenze spirituali, vede qual è la verità immutabile che brilla nell'anima come il sole, e in qual modo l'anima diventa partecipe della medesima verità e comunica ordine e bellezza al corpo allo stesso modo della luna che illumina la notte, e con tutti gli astri, vale a dire le conoscenze spirituali, sfavillano e risplendono nelle tenebre di questa vita come nella notte. Al quinto giorno l'uomo, divenuto più forte grazie alla conoscenza di queste realtà deve cominciare ad operare a vantaggio della comunità fraterna mediante le attività di questo mondo oltremodo agitato, come nelle acque del mare; inoltre, con azioni pertinenti allo stesso mare, ossia alla vita terrena, deve produrre rettili di esseri viventi, vale a dire opere utili agli esseri viventi, e grandi cetacei, vale a dire azioni assai valide con cui si riesce a infrangere e a non temere i marosi del mondo, e deve produrre gli uccelli del cielo, vale a dire parole che proclamino le verità celesti. Nel sesto giorno poi deve produrre dalla terra animali viventi, deve cioè con la stabilità del proprio spirito, in cui possiede i frutti spirituali, ossia i buoni pensieri, dirigere tutti i moti del proprio spirito affinché l'anima sia viva, cioè soggetta alla ragione e alla giustizia e non alla temerità e al peccato. In tal modo deve diventare a immagine e a somiglianza di Dio anche l'uomo, maschio e femmina, cioè intelligenza e azione, mediante l'unione dei quali riempia la terra di frutti spirituali, assoggetti cioè la carne e tutto il resto ch'è stato già detto più sopra a proposito della perfezione morale dell'uomo. A proposito poi di questi, diciamoli così, "giorni" la sera consiste nello stesso compimento di ciascun'opera, e la mattina nell'inizio di quelle seguenti. Dopo le opere molto buone di questi così detti sei "giorni" l'uomo deve sperare il riposo eterno e comprendere che cosa vuol dire: Dio si riposò da tutte le sue opere al settimo giorno 67, poiché non solo a compiere in noi queste opere buone è proprio lui che ci comanda di compierle, ma anche la Scrittura dice giustamente ch'egli si riposò perché sarà proprio lui a darci il riposo dopo tutte queste opere. in realtà, allo stesso modo che a ragione si dice ch'è il padre di famiglia a costruire la casa, benché non lo faccia con il proprio lavoro ma con quello dei servi, così a ragione si dice che si riposa dai lavori quando, dopo aver ultimata la costruzione, a coloro, cui dava ordini, permette di starsene in ozio a godere d'un gradito riposo.

 


 

1 - 1 Cor 11, 9.

2 - Cf. Mt 7, 7.

3 - Gn 1, 1.

4 - Cf. Gv 1, 1. 3.

5 - Gv 8, 25.

6 - Tt 1, 1-2.

7 - 1 Tm 1, 5.

8 - Gn 1, 2.

9 - Gn 1, 3. 6. 9.

10 - Gn 1, 2.

11 - Gv 1, 9.

12 - Gn 1, 3.

13 - Gn 1, 2.

14 - Gn 1, 1.

15 - Sap 11, 18.

16 - Gn 1, 1.

17 - Gv 15, 15.

18 - Gv 16, 12.

19 - Gn 1, 3.

20 - Gn 1, 4.

21 - Cf. Mt 8, 10.

22 - Gn 1, 4-5.

23 - Gn 1, 5.

24 - Gn 1, 6.

25 - Gn 1, 8.

26 - Gn 1, 9-10.

27 - Gn 1, 11-13.

28 - Gn 1, 17-19.

29 - Gn 1, 14-19.

30 - Gn 1, 14.

31 - Gn 1, 16.

32 - Gn 1, 18.

33 - Gn 1, 20-23.

34 - Gn 1, 24-25.

35 - Cf. Sap 11, 21.

36 - Gn 1, 26.

37 - Cf. Gn 1, 27-30.

38 - Mt 5, 34-35.

39 - Cf. Lc 11, 20.

40 - Cf. Ef 6, 16-17.

41 - Gn 1, 26.

42 - Gn 1, 27-28.

43 - Cf. Lc 20, 34-36.

44 - Gn 1, 28.

45 - Cf. 1 Cor 15, 54.

46 - Gal 5, 24.

47 - Gn 1, 31.

48 - Cf. Gn 2, 3.

49 - Gv 5, 17.

50 - Cf. 2 Cor 3, 16.

51 - Rm 8, 26.

52 - Dt 13, 3.

53 - Cf. Mt 24, 36.

54 - Cf. TIBULLO, Eleg. 1, 2, 28.

55 - Gn 17, 5-8.

56 - Gn 1, 22.

57 - Gn 1, 24.

58 - Gn 1, 20.

59 - At 10, 13.

60 - At 10, 15.

61 - Eb 2, 6.

62 - Lc 18, 8.

63 - Mt 5, 48.

64 - Mt 1, 1.

65 - Cf. Mt 24, 36.

66 - Rm 7, 25.

67 - Gn 2, 2.


12 - Quello che venne nascosto al demonio nel mistero della nascita del nostro Salvatore, e ciò che avvenne sino alla circoncisione.

La mistica Città di Dio - Libro quarto - Suor Maria d'Agreda

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500. Per tutti i mortali fu una grande fortuna e felicità la venuta nel mondo del Verbo eterno fatto uomo, mandato da Dio Padre, perché egli venne per dar vita e luce a tutti noi che vivevamo nelle tenebre e nell'ombra della morte. Se i reprobi e gli increduli inciamparono e inciampano in questa pietra angolare, cercando la loro rovina dove potevano e dovevano trovare la risurrezione alla vita eterna, ciò non fu colpa di questa pietra, ma di chi la rese pietra di scandalo inciampando in essa. Solo per l'inferno fu terribile la nascita del bambino Gesù, l'invincibile che con potenza veniva a spogliare del suo tirannico impero colui che, facendosi forte della menzogna, custodiva il suo castello con indisturbato, ma ingiusto possesso da così lungo tempo. Per detronizzare il principe del mondo e delle tenebre, fu giusto che gli venisse nascosto il mistero di questa venuta del Verbo, poiché non solo era indegno per la sua malizia di conoscere i misteri della Sapienza infinita, ma anche conveniva che la divina provvidenza facesse in modo che l'astuzia perversa di questo nemico lo accecasse e ottenebrasse, perché egli con essa aveva introdotto nel mondo l'inganno e la cecità della colpa, rovesciando tutto il genere umano di Adamo nella sua caduta.

501. Per questa disposizione divina vennero nascoste a Lucifero ed ai suoi ministri molte cose che naturalmente avrebbero potuto conoscere alla nascita di Gesù e nel corso della sua vita santissima. Infatti, se avesse conosciuto con certezza che Cristo era vero Dio, è chiaro che non gli avrebbe procurato la morte, anzi l'avrebbe impedita, come dirò a suo tempo. Del mistero della nascita, egli conobbe solo che Maria santissima, non avendo trovato alloggio da nessuna parte, aveva partorito un figlio in povertà e in una grotta abbandonata. Dopo ebbe conoscenza della circoncisione di Gesù e di altre cose, che, considerata la sua superbia, potevano più oscurargli la verità che rivelargliela. Non seppe però in che modo avvenne la nascita, né che la felice Madre restò vergine dopo il parto così come lo era prima. Ignorò gli annunci degli angeli ai giusti ed ai pastori, i loro discorsi, ed anche l'adorazione che prestarono al divino bambino. Non vide neanche la stella, né comprese la causa della venuta dei Magi e, anche se li vide mentre erano in viaggio, giudicò che ciò fosse per altri fini temporali. Nemmeno i demoni conobbero la causa del mutamento avvenuto negli elementi, negli astri e nei pianeti, anche se videro i cambiamenti che subirono. Nonostante ciò, il fine rimase loro nascosto, come anche il colloquio che i Magi ebbero con Erode, il loro ingresso nella capanna, l'adorazione che resero al bambino Gesù e i doni che offrirono. Sebbene conobbero il furore di Erode, che ancor più cercarono di aizzare, contro i bambini, non compresero allora il suo depravato intento, e perciò fomentarono la sua crudeltà. Anche se Lucifero immaginò che egli intendesse prendere di mira il Messia, ciò gli parve comunque una pazzia e si burlava di Erode, perché nel suo superbo giudizio era follia pensare che il Verbo venuto ad assoggettare il mondo, avesse fatto ciò in modo nascosto ed umile; anzi, supponeva che dovesse eseguire ciò con grandiosa potenza e maestà, dalla quale invece era lontano il divino bambino, nato da madre povera e disprezzata dagli uomini.

502. Trovandosi Lucifero in tale inganno, e avendo saputo alcune notizie riguardanti la nascita di Gesù, riunì i suoi ministri nell'inferno, e disse loro: «Non trovo ci sia da temere per ciò che abbiamo visto nel mondo, perché la donna che abbiamo tanto perseguitato ha sì partorito un figlio, ma questi è nato in condizioni di estrema povertà ed è così sconosciuto, che non hanno trovato alloggio nell'albergo. Noi ben conosciamo quanto sia distante dal potere che ha Dio e dalla sua grandezza. Se deve venire contro di noi, come ci è stato mostrato ed abbiamo compreso, non sono forze, quelle che costui ha, tali da resistere alla nostra potenza. Non vi è dunque da temere che questi sia il Messia, tanto più che vedo che lo si dovrà circoncidere come gli altri uomini, cosa che non spetta a colui che deve essere il Salvatore del mondo, mentre questi ha bisogno del rimedio per la colpa. Tutti questi segni sono contrari all'intento di una venuta di Dio nel mondo, per cui mi pare che possiamo essere sicuri che egli non è ancora venuto». I ministri del male approvarono tale giudizio del loro capo dannato, e restarono persuasi che non fosse venuto il Messia, perché tutti erano complici nella loro malizia che offuscava le loro menti. Non entrava nella vanità e superbia implacabile di Lucifero l'idea che la maestà e grandezza divina potesse umiliarsi. Dato che egli ambiva l'applauso, l'ostentazione, la venerazione e la magnificenza e che, se avesse potuto ottenere che tutte le creature lo adorassero le avrebbe obbligate a farlo, non entrava nel suo modo di ragionare il pensiero che Dio, avendo il potere di costringerle a ciò, permettesse che avvenisse l'opposto, e si assoggettasse all'umiltà che egli, satana, tanto aborriva.

503. O figli della vanità, che esempi sono questi per il nostro disinganno! Molto ci deve attirare e spronare l'umiltà di Cristo nostro bene e maestro. Se però questa non ci muove, almeno ci trattenga ed impaurisca la superbia di Lucifero. O vizio e peccato formidabile sopra ogni ponderazione umana, che accecasti in tal maniera un angelo pieno di scienza, che perfino della stessa bontà infinita di Dio non poté formarsi altro giudizio, se non quello che fece di se stesso e della sua propria malizia! Or dunque, come ragionerà l'uomo che per se stesso è ignorante, se gli si aggiungono la superbia e la colpa? O infelice e stoltissimo Lucifero! Come potesti ingannarti in una cosa tanto piena di ragione e di bellezza? Che cosa vi è di più amabile dell'umiltà e della mansuetudine unita alla maestà ed al potere? Come ignori, o vile creatura, che il non sapersi umiliare è debolezza di giudizio, e nasce da un cuore meschino? Colui che è magnanimo e veramente grande non si appaga della vanità, né sa desiderare ciò che è vile, né lo può soddisfare ciò che è apparente e fallace. È evidente che sei tenebroso e cieco di fronte alla verità e guida oscurissima dei ciechi", poiché non giungesti a conoscere che la grandezza e la bontà dell'amore divino' si manifestava ed esaltava con l'umiltà e con l'ubbidienza, sino alla morte di croce.

504. La Madre della sapienza e signora nostra osservava tutti gli abbagli e la pazzia di Lucifero nonché dei suoi ministri, e con degna ponderazione di misteri così profondi magnificava e benediceva il Signore, perché li nascondeva ai superbi e agli arroganti, e li rivelava agli umili e ai poveri, cominciando a vincere la tirannia del demonio. La pietosa Madre faceva fervorose orazioni per tutti i mortali, che per le loro colpe erano indegni di conoscere subito la luce, che era apparsa nel mondo per la loro salvezza, e presentava tutto al suo Figlio santissimo con incomparabile amore e compassione verso i peccatori. Ella trascorse in tali opere la maggior parte del tempo in cui dimorò nella grotta di Betlemme. Poiché quel luogo era scomodo e tanto esposto alle inclemenze del tempo, la grande Signora stava ancora più attenta a riparare il suo tenero e dolce bambino e, previdentissima, aveva portato con sé una mantellina, oltre alle fasce ordinarie, e con essa lo ricopriva, tenendolo continuamente sotto la sacra protezione delle sue braccia, tranne quando lo porgeva al suo sposo Giuseppe. Per renderlo più felice, volle infatti che anch'egli la aiutasse in ciò, servendo il loro Dio fatto uomo nel ruolo di padre.

505. La prima volta che il santo sposo ricevette il bambino divino nelle braccia, Maria santissima gli disse: «Sposo e rifugio mio, ricevete nelle vostre braccia il Creatore del cielo e della terra, e godete della sua amabile compagnia e dolcezza, affinché il mio Signore e Dio trovi nella vostra deferenza le sue compiacenze e delizie. Prendete il tesoro dell'eterno Padre, e partecipate del beneficio del genere umano». Parlando poi interiormente col divino bambino, gli disse: «Amore dolcissimo dell'anima mia, luce dei miei occhi, riposate nelle braccia del vostro servo ed amico Giuseppe mio sposo: scambiate con lui le vostre delizie, e per esse perdonate le mie indelicatezze. Sento vivamente la vostra mancanza anche per un solo istante, ma a chi ne è degno, desidero comunicare senza invidia il bene che con cuore sincero ricevo». Il fedelissimo sposo, riconoscendo la sua nuova fortuna, si umiliò sino a terra, e rispose: «Signora e regina del mondo, sposa mia, come io, indegno, avrò l'ardire di tenere nelle mie braccia quello stesso Dio, alla cui presenza tremano le colonne del cielo? Come questo vile verme avrà animo di accettare un favore tanto raro? Io sono polvere e cenere, ma voi, o Signora, supplite alla mia scarsezza, e chiedete all'Altezza sua che mi guardi con clemenza, e mi assista con la sua grazia».

506. Il santo sposo, fra il desiderio di ricevere il bambino Gesù ed il timore reverenziale che lo tratteneva, fece atti eroici di amore, fede, umiltà e profonda venerazione. Poi, con questo animo e con un prudentissimo tremore, s'inginocchiò e lo ricevette dalle mani della sua Madre santissima, spargendo dolcissime e copiose lacrime di gioia, tanto nuova per il fortunato santo, quanto nuovo era il favore. Il bambinello lo guardò affettuosamente e, nello stesso tempo, lo rinnovò tutto interiormente con effetti così divini che non è possibile esprimerli a parole. Il santo sposo formò nuovi cantici di lode, vedendosi arricchito con così magnifici favori e benefici. Avendo dunque il suo spirito goduto per qualche tempo degli effetti dolcissimi che provò tenendo nelle sue braccia quel medesimo Signore che nelle sue racchiude i cieli e la terra, lo restituì alla felice e fortunata madre, mentre entrambi, Maria e Giuseppe, stavano in ginocchio per darlo e per riceverlo. Con grande riverenza la prudentissima Signora lo prendeva sempre tra le braccia e lo porgeva al suo sposo, e altrettanto egli faceva, quando toccava a lui questa felice sorte. Prima di avvicinarsi a sua Maestà, la gran Regina e san Giuseppe facevano tre genuflessioni, baciando la terra con atti eroici di umiltà, culto e venerazione, ogni volta che lo ricevevano l'uno dalle braccia dell'altra.

507. Quando la divina Madre giudicò che fosse giunto il tempo di dargli il latte, con umile riverenza ne domandò il permesso al suo stesso Figlio, e ciò perché, anche se lo doveva alimentare come figlio e vero uomo, guardava a lui sia come vero Dio sia come Signore, e conosceva la distanza tra l'essere divino infinito del Figlio e il suo di semplice creatura. Poiché tale conoscenza nella prudentissima Vergine era indefettibile e continua, non avvenne mai che incorresse neppure in una minima inavvertenza. Era sempre attenta in tutto, e comprendeva ed operava con pienezza ciò che era in sommo grado sublime e perfetto. Era diligente nell'alimentare, servire e custodire il suo bambino non con affannosa sollecitudine, ma con incessante attenzione, riverenza e prudenza, al punto di suscitare nuova ammirazione negli stessi angeli, la cui conoscenza non giungeva a comprendere le opere eroiche di una così giovane donna. Come le offrirono sempre la loro assistenza in tutto il tempo in cui dimorò nella grotta della natività, così la servivano ed aiutavano in tutte le cose, che erano necessarie per onorare il bambino Gesù e la sua stessa Madre. Tutti quanti questi misteri sono così dolci ed ammirabili e talmente degni della nostra attenzione e del nostro ricordo, che non possiamo negare che la nostra stoltezza di dimenticarceli sia molto riprovevole, e che noi siamo nemici di noi stessi quando ci priviamo del loro ricordo, nonché degli effetti divini che da esso ricevono i figli fedeli e riconoscenti.

508. Tale è l'intelligenza che mi fu data della grande venerazione con cui Maria santissima e il glorioso san Giuseppe trattavano il divino bambino, e della riverenza dei cori angelici, che potrei prolungare molto questo discorso. Ma anche se così non faccio, voglio almeno confessare che, in mezzo a questa luce, mi ritrovo assai turbata e rimproverata, conoscendo la poca venerazione con la quale audacemente ho finora trattato con Dio, e le molte colpe, che quanto a questo ho commesso, mi sono state palesate. Tutti i santi angeli, che accompagnavano la Regina per assisterla in queste opere, rimasero in forma umana visibile dalla nascita di Gesù sino a quando la santa famiglia fuggì in Egitto, come poi dirò. La cura dell'umile ed amorosa Madre verso il suo bambino divino era così incessante, che soltanto quando doveva prendere qualche sostentamento lo passava dalle sue braccia alcune volte in quelle di san Giuseppe ed altre in quelle dei santi principi Michele e Gabriele, perché questi due arcangeli l'avevano pregata che, mentre essi mangiavano o san Giuseppe lavorava, lo consegnasse loro. Così, deponendolo nelle mani degli angeli, si adempiva mirabilmente ciò che disse Davide: «Sulle loro mani ti porteranno». La diligentissima Madre non dormiva, per custodire il suo figlio santissimo, sino a che era egli stesso a dirle di dormire e riposare, ed egli, in premio della sua vigilanza, le concesse un genere di sonno nuovo e più miracoloso di quello che ella sino allora aveva avuto. Pertanto, se in passato nel tempo in cui dormiva il suo cuore vegliava, senza che cessassero le rivelazioni interiori e la contemplazione divina, da questo giorno in poi il Signore aggiunse a questo un altro miracolo. La grande Signora infatti, dormendo quanto le era necessario, conservava un tale vigore nelle braccia da sostenere il bambino come se fosse stata nella veglia, e lo guardava con l'intelletto, come se lo avesse guardato con gli occhi del corpo, conoscendo così intellettualmente tutto quello che ella ed il bambino esteriormente facevano. Con questa meraviglia si compì ciò che si legge nel Cantico: Io dormo, ma il mio cuore veglia.

509. Ora, come potrei, con così brevi espressioni e così limitati termini, spiegare gli inni di lode e di gloria che la nostra celeste Regina faceva al suo Dio fatto bambino, alternandone il canto con i santi angeli, ed anche col suo sposo Giuseppe? Anche solo di questo vi sarebbe molto da scrivere, perché tali inni erano assai frequenti, ed il loro canto infatti è riservato al godimento speciale degli eletti. Solo fra i mortali fortunatissimo e privilegiato fu in ciò il fedelissimo san Giuseppe, il quale molte volte ne era reso partecipe e li intendeva. Né questo era l'unico favore, ma godeva di un altro di singolare pregio e consolazione per l'anima sua, che la prudentissima sposa gli procurava, poiché ella molte volte, parlando con lui del bambino, lo chiamava loro figlio, non perché fosse figlio naturale di Giuseppe, colui che solo era Figlio dell'eterno Padre e della sola sua Madre vergine, ma perché, nel giudizio degli uomini, era ritenuto figlio di Giuseppe. Questo favore e privilegio era per il santo d'incomparabile stima e godimento, e perciò la divina Signora sua sposaglielo rinnovava frequentemente.

 

Insegnamento che mi diede la Regina dei cielo

 

510. Figlia mia, ti vedo santamente invidiosa della felicità delle mie opere, nonché di quelle del mio sposo e dei miei angeli, stando in compagnia del mio Figlio santissimo, perché noi l'avevamo sotto gli occhi come tu vorresti averlo, se fosse possibile. Ora voglio consolarti, indirizzando il tuo affetto a ciò che devi e puoi operare secondo la tua condizione, per conseguire nel grado possibile la felicità che vai considerando in noi e che ti rapisce il cuore. Considera dunque, o carissima, quel tanto che ti fu dato di conoscere delle differenti vie, per cui Dio conduce nella sua Chiesa le anime, che egli ama e cerca con paterno affetto. Tu hai potuto acquistare questa conoscenza mediante l'esperienza di tante chiamate e della luce particolare che hai ricevuto, poiché sempre alle porte del tuo cuore hai trovato il Signore, che bussava ed aspettava tanto tempo, sollecitandoti con replicati favori e altissima dottrina, sia per insegnarti ed assicurarti che la sua benignità ti ha disposta e destinata allo stretto vincolo del suo amore e dei suoi intimi colloqui, sia perché tu con attentissima cura acquisti la grande purezza che si richiede per questa vocazione.

511. Tu non ignori affatto, poiché te lo insegna la fede, che Dio si trova in ogni luogo per essenza, presenza e potenza della sua divinità, e che a lui sono manifesti tutti i tuoi pensieri, nonché i tuoi desideri e gemiti, senza che gliene resti nascosto alcuno. Oltre ad essere ciò tanto vero, se tu t'impegnerai, da serva fedele, per conservare la grazia che ricevi per mezzo dei santi sacramenti e per altri canali divinamente disposti, il Signore starà con te in un altro modo di speciale assistenza, con la quale ti amerà e accarezzerà come sua sposa diletta. Ora, conoscendo tutto questo, se pur lo comprendi, dimmi che ti resta ancora da invidiare e desiderare, mentre ottieni il compimento dei tuoi desideri e dei tuoi sospiri? Ciò che ti rimane da fare, e che io voglio da te, è che così, santamente invidiosa, ti adoperi ad imitare la conversazione e le qualità degli angeli, nonché la purezza del mio sposo ed a copiare in te la forma della mia vita per quanto ti sarà possibile, affinché tu ti renda degna abitazione dell'Altissimo. Nel mettere in pratica questo insegnamento devi esercitare tutto quello sforzo, quella brama o santa invidia per cui avresti voluto ritrovarti con noi a vedere e adorare il mio Figlio santissimo nella sua nascita ed infanzia, perché se mi imiterai, puoi stare sicura che avrai me per tua maestra e rifugio, ed il Signore nell'anima tua con stabile possesso. In tal modo rassicurata, gli puoi parlare deliziandoti con lui e abbracciandolo come colei che lo ha con sé, poiché appunto per comunicare queste delizie alle anime pure egli prese carne umana e si fece bambino. Sebbene bambino però, sempre lo devi considerare come grande e come Dio, in modo che le carezze siano accompagnate da rispetto e l'amore dal timore santo, perché l'uno gli è dovuto e dell'altro egli si compiace per la sua immensa bontà e magnifica misericordia.

512. Devi mantenerti continuamente in questa conversazione col Signore e senza intervalli di tiepidezza che lo disgustino, perché la tua occupazione legittima e perenne deve consistere nell'amare e lodare il suo essere infinito. Quanto a tutto il rimanente, voglio che tu ne usi molto di sfuggita, così che le cose visibili e terrene ti trovino per trattenerti solo un momento in esse. Tu devi considerarti sempre di passaggio, e che non hai altra cosa a cui attendere di cuore, fuori del sommo e vero Bene che cerchi. Devi imitare solamente me, e solo per Dio devi vivere; tutto il resto non deve esistere per te, né tu per esso. Voglio però che i beni e i doni che ricevi, tu li dispensi e comunichi a beneficio dei tuoi prossimi con l'ordine della carità perfetta, poiché essa non si estingue per questo, anzi ancor più cresce. In ciò devi osservare il modo che si addice alla tua condizione e al tuo stato, come altre volte ti ho detto ed insegnato.


II mondo non è risuscitato ha sempre nuove invenzioni di peccato

Beata Alexandrina Maria da Costa


... Gesù è risuscitato [Pasqua]. E in me niente è risusci­tato: sono rimasta morta alla vita, alla grazia, a tutto quanto è del Signore. In me nascono e risuscitano da un istante all'altro solo il peccato, le malvagità. Pare che io abbia sempre in me nuove invenzioni per peccare e calpestare ogni legge santa di Gesù. La mia malizia, da me si comunica anche al mondo intero. - Non sono soltanto io veleno e odio, ma faccio che lo siano tutta la terra e tutti i cuori. Potesse parlare la mia ignoranza! È orribile e spaventoso questo sentimento di malvagità. Sulla terra e nell'atmosfera tutto è invenzione per offendere il Signore. Io uso verso di Lui ogni maltrattamento; Lo cro­cifiggo, Gli causo la morte nel mio cuore. Mi pare che il grido accorato e doloroso di Gesù stia nel mio udito e che il suo dolore infinito stia nel mio cuore. Il dolore è Suo perché l'offendo molto, non è mio per averlo offeso. I miei istinti sono peggiori di quelli delle belve; il cuore è più duro della roccia; in esso regna il demonio. Non posso, non so dire più nulla, ma avrei una infinità di cose da dire. La vigna di cui ho parlato è fiorita ed è cresciuta tanto; ha formato un pergolato. Ma la tempesta continua a volere abbatterla, distruggerla insieme alla messe bionda e agli arbu­sti fioriti. Oh, se la mia anima sapesse mostrare la cura che ha nel sostenerla e non consentire che cada a terra e, toccandola, si macchi! Gli occhi interiori non possono guardare il pericolo in cui si trova tutto questo. Tutto il mio essere fu segregato; sta carcerato nelle nere torri. Il mondo alzò muri, con forti manette [catene], attorno a me; non consente che in questa abitazione vi sia luce né entri un piccolo raggio di sole. Posso gemere, posso urlare: non sono udita. Nel piano superiore che tocca il cielo vi è una sapienza infinita, vi sono sguardi che tutto penetrano: penetrano e scru­tano nel più intimo di tutti i cuori; penetrano in tutti i luoghi della terra, del mare, dell'atmosfera e dei cieli. [Questa sapienza] ha una grandezza superiore a tutte le grandezze, un amore infinitamente superiore all'amore di tutti i cuori umani. Non so dire nulla di questa grandezza: io non sono neppure un verme al suo confronto; è superiore a tutto ciò che è esistito ed esisterà. ...Ieri, giovedì,... era già notte: il mio cuore si è trasfor­mato come in una colomba e il mondo in un piccolo globo. Questo globo entrò tutto nel cuore. E la Colomba con il becco confitto nella terra putrefatta incominciò a rimuoverla e a ta­gliare alla radice ogni albero cattivo e velenoso.

Il globo del mondo è tanto amato ed abbracciato in un abbraccio eterno. Però certi alberi non si lasciarono distruggere completa­mente; le loro radici velenose crebbero e si estesero. Di qui vennero per Gesù il sudore di sangue, i flagelli, la corona di spine e la morte. Più ancora: Gesù avrebbe avuto il calvario non di un giorno soltanto ma di molti e molti secoli. Tutto ciò avvenne in me e tutto soffersi con Gesù. Questa mattina ho percorso il Calvario: portavo la croce sulle spalle; il viaggio è stato molto spinoso, triste e silenzioso. La Colombina volava dolcemente e sopra di me batteva le ali, accompagnandomi sino alla cima della montagna: da lei rice­vevo tutta la forza...

Io vedevo ciò che il mondo era, ciò che verrebbe ad essere... Sono spirata... Poco dopo è venuto Gesù: - Figlia mia,... la tua vita non è inutile... Io vivo per darmi alle anime e tu vivi per condurle a Me ... Abbi sempre sempre presente la parola « vittima », la tua consegna totale al Signore. Assomigli in tutto alla vera Vittima del Golgota. Ti faccio sapere e comprendere solo una parte delle numerose e gravi offese a Me fatte: il tuo cuore, così fragile, così sen­sibile, non resisterebbe a tanto dolore. Non sopporteresti il sentimento e la visione totale delle offese fatte al tuo Gesù che ami tanto... - ... (diario, 18-4-1952).