Sotto il Tuo Manto

Giovedi, 5 giugno 2025 - San Bonifacio (Letture di oggi)

Ricordiamoci che il Cuore di Gesù ci ha chiamati non solo per la nostra santificazione, ma anche per quella delle altre anime. Egli vuol essere aiutato nella salvezza delle anime. (San Pio da Pietrelcina)

Liturgia delle Ore - Letture

Mercoledi della 2° settimana del tempo di Quaresima (San Giuseppe)

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Giovanni 13

1Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.2Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo,3Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava,4si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita.5Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto.6Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: "Signore, tu lavi i piedi a me?".7Rispose Gesù: "Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo".8Gli disse Simon Pietro: "Non mi laverai mai i piedi!". Gli rispose Gesù: "Se non ti laverò, non avrai parte con me".9Gli disse Simon Pietro: "Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!".10Soggiunse Gesù: "Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti".11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: "Non tutti siete mondi".
12Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: "Sapete ciò che vi ho fatto?13Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono.14Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri.15Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi.16In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato.17Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica.18Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma si deve adempiere la Scrittura: 'Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno'.19Ve lo dico fin d'ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono.20In verità, in verità vi dico: Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato".
21Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: "In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà".22I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse.23Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù.24Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: "Di', chi è colui a cui si riferisce?".25Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: "Signore, chi è?".26Rispose allora Gesù: "È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò". E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone.27E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: "Quello che devi fare fallo al più presto".28Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo;29alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: "Compra quello che ci occorre per la festa", oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri.30Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte.

31Quand'egli fu uscito, Gesù disse: "Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui.32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire.34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri".
36Simon Pietro gli dice: "Signore, dove vai?". Gli rispose Gesù: "Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi".37Pietro disse: "Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!".38Rispose Gesù: "Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m'abbia rinnegato tre volte".


Secondo libro dei Maccabei 12

1Conclusi questi accordi, Lisia ritornò presso il re; i Giudei invece si diedero a coltivare la terra.2Ma alcuni dei comandanti dei distretti e precisamente Timòteo e Apollonio, figlio di Gennèo, Ierònimo e Demofonte e, oltre questi, Nicànore, il comandante dei mercenari di Cipro, non li lasciavano vivere tranquilli né procedere in pace.3Gli abitanti di Giaffa perpetrarono un'empietà di questo genere: invitarono i Giudei che abitavano con loro a salire con le mogli e con i figli su barche allestite da loro, come se non ci fosse alcuna cattiva intenzione a loro riguardo,4ma fosse un'iniziativa di tutta la cittadinanza. Essi accettarono, desiderosi di rinsaldare la pace, e lontani da ogni sospetto. Ma quando furono al largo, li fecero affondare in numero non inferiore a duecento.5Quando Giuda fu informato di questa crudeltà compiuta contro i suoi connazionali, diede ordine ai suoi uomini6e, invocando Dio, giusto giudice, mosse contro gli assassini dei suoi fratelli e nella notte incendiò il porto, bruciò le navi e uccise di spada quanti vi si erano rifugiati.7Poi, dato che il luogo era sbarrato, abbandonò l'impresa con l'idea di tornare un'altra volta e sradicare tutta la cittadinanza di Giaffa.8Avendo poi appreso che anche i cittadini di Iamnia volevano usare lo stesso sistema con i Giudei che abitavano con loro,9piombando di notte sui cittadini di Iamnia, incendiò il porto con la flotta, così che si vedeva il bagliore delle fiamme fino a Gerusalemme, che è distante duecentoquaranta stadi.
10Quando si furono allontanati di là per nove stadi, dirigendosi contro Timòteo, non meno di cinquemila Arabi con cinquecento cavalieri irruppero contro Giuda.11Ne nacque una zuffa furiosa, ma gli uomini di Giuda con l'aiuto di Dio ebbero la meglio. I nomadi invece, sopraffatti, supplicarono Giuda che stendesse loro la destra promettendo di cedergli bestiame e di aiutarlo in tutto il resto.12Giuda, prevedendo che realmente gli sarebbero stati utili in molte cose, acconsentì a far la pace con loro ed essi, strette le destre, tornarono alle loro tende.13Attaccò anche una città difesa da contrafforti, circondata da mura e abitata da gente d'ogni stirpe, chiamata Casfin.14Quelli di dentro, sicuri della solidità delle mura e delle riserve di viveri, si mostravano insolenti con gli uomini di Giuda, insultandoli, aggiungendo bestemmie e pronunciando frasi che non è lecito riferire.15Ma gli uomini di Giuda, dopo aver invocato il grande Signore del mondo, il quale senza arieti e senza macchine ingegnose aveva fatto cadere Gèrico al tempo di Giosuè, assalirono furiosamente le mura.16Presa la città per volere di Dio, fecero innumerevoli stragi, cosicché il lago adiacente, largo due stadi, sembrava pieno del sangue che vi colava dentro.
17Allontanatisi di là settecentocinquanta stadi giunsero a Caraca, presso i Giudei chiamati Tubiani;18ma da quelle parti non trovarono Timòteo, il quale era già partito dalla zona, senza aver intrapreso alcuna azione, ma lasciando in un certo luogo un presidio molto forte.19Dosìteo e Sosìpatro, due capitani del Maccabeo, in una sortita sterminarono gli uomini di Timòteo lasciati nella fortezza, che erano più di diecimila.20Intanto il Maccabeo ordinò il suo esercito dividendolo in reparti, nominò questi al comando dei reparti e mosse contro Timòteo, il quale aveva con sé centoventimila fanti e duemilacinquecento cavalieri.21Quando Timòteo seppe dell'arrivo di Giuda, mandò avanti le donne, i fanciulli e tutto il bagaglio nel luogo chiamato Carnion: era questa una posizione inespugnabile e inaccessibile per la strettezza di tutti i passaggi.22All'apparire del primo reparto di Giuda, si diffuse tra i nemici il panico e il terrore perché si verificò contro di loro l'apparizione di colui che dall'alto tutto vede, e perciò cominciarono a fuggire precipitandosi chi da una parte chi dall'altra, cosicché spesso erano colpiti dai propri compagni e trafitti dalle punte delle loro spade.23Giuda dirigeva l'inseguimento con ogni energia, trafiggendo quegli empi: ne sterminò circa trentamila.24Lo stesso Timòteo, caduto in mano agli uomini di Dosìteo e Sosìpatro, supplicava con molta astuzia di essere lasciato sano e salvo, perché tratteneva come ostaggi i genitori di molti di loro e di alcuni i fratelli ai quali sarebbe capitato di essere trattati senza riguardo.25Avendo egli con molti discorsi prestato solenne promessa di restituire incolumi gli ostaggi, lo lasciarono libero per la salvezza dei propri fratelli.
26Giuda mosse poi contro Carnion e l'Atergatéo e uccise venticinquemila uomini.
27Dopo la sconfitta e lo sterminio di questi, marciò contro la fortezza di Efron, nella quale era stanziato Lisia con una moltitudine di gente di ogni razza; davanti alle mura erano schierati i giovani più forti e combattevano vigorosamente, mentre nella città stavano pronte molte riserve di macchine e di proiettili.28Avendo invocato il Signore che distrugge con la sua potenza le forze dei nemici, i Giudei fecero cadere la città nelle proprie mani e uccisero venticinquemila di coloro che vi stavano dentro.29Ritornati di là, mossero verso Beisan, che dista seicento stadi da Gerusalemme.30Ma i Giudei che vi abitavano testimoniarono che i cittadini di Beisan avevano dimostrato loro benevolenza e buona comprensione nel tempo della sventura31e questi li ringraziarono e li esortarono ad essere ben disposti anche in seguito verso il loro popolo. Poi si recarono a Gerusalemme nell'imminenza della festa delle settimane.
32Dopo questa festa, chiamata Pentecoste, mossero contro Gorgia, stratega dell'Idumea.33Questi avanzò con tremila fanti e quattrocento cavalieri.34Schieratisi in combattimento, caddero un piccolo numero di Giudei.35Un certo Dosìteo, degli uomini di Bacènore, abile nel cavalcare e valoroso, si attaccò a Gorgia e, afferratolo per la clamide, lo trascinava a gran forza volendo prendere vivo quello scellerato; ma uno dei cavalieri traci si gettò su di lui tagliandogli la spalla e Gorgia poté fuggire a Maresa.36Poiché gli uomini di Esdrin combattevano da lungo tempo ed erano stanchi, Giuda supplicò il Signore che si mostrasse loro alleato e guida nella battaglia.37Poi, intonato nella lingua paterna il grido di guerra che si accompagnava agli inni, diede un assalto improvviso alle truppe di Gorgia e le mise in fuga.
38Giuda poi radunò l'esercito e venne alla città di Odollam; poiché si compiva la settimana, si purificarono secondo l'uso e vi passarono il sabato.39Il giorno dopo, quando ormai la cosa era diventata necessaria, gli uomini di Giuda andarono a raccogliere i cadaveri per deporli con i loro parenti nei sepolcri di famiglia.40Ma trovarono sotto la tunica di ciascun morto oggetti sacri agli idoli di Iamnia, che la legge proibisce ai Giudei; fu perciò a tutti chiaro il motivo per cui costoro erano caduti.41Perciò tutti, benedicendo l'operato di Dio, giusto giudice che rende palesi le cose occulte,42ricorsero alla preghiera, supplicando che il peccato commesso fosse pienamente perdonato. Il nobile Giuda esortò tutti quelli del popolo a conservarsi senza peccati, avendo visto con i propri occhi quanto era avvenuto per il peccato dei caduti.43Poi fatta una colletta, con tanto a testa, per circa duemila dramme d'argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio, agendo così in modo molto buono e nobile, suggerito dal pensiero della risurrezione.44Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti.45Ma se egli considerava la magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato.


Siracide 49

1Il ricordo di Giosia è una mistura di incenso,
preparata dall'arte del profumiere.
In ogni bocca è dolce come il miele,
come musica in un banchetto.
2Egli si dedicò alla riforma del popolo
e sradicò i segni abominevoli dell'empietà.
3Diresse il suo cuore verso il Signore,
in un'epoca di iniqui riaffermò la pietà.

4Se si eccettuano Davide, Ezechia e Giosia,
tutti commisero peccati;
poiché avevano abbandonato la legge dell'Altissimo,
i re di Giuda scomparvero.
5Lasciarono infatti la loro potenza ad altri,
la loro gloria a una nazione straniera.
6I nemici incendiarono l'eletta città del santuario,
resero deserte le sue strade,
7secondo la parola di Geremia, che essi maltrattarono
benché fosse stato consacrato profeta nel seno materno,
per estirpare, distruggere e mandare in rovina,
ma anche per costruire e piantare.
8Ezechiele contemplò una visione di gloria,
che Dio gli mostrò sul carro dei cherubini.
9Si ricordò dei nemici nel vaticinio dell'uragano,
beneficò quanti camminavano nella retta via.
10Le ossa dei dodici profeti rifioriscano dalle loro
tombe,
poiché essi consolarono Giacobbe,
lo riscattarono con una speranza fiduciosa.

11Come elogiare Zorobabele?
Egli è come un sigillo nella mano destra.
12Così anche Giosuè figlio di Iozedèk;
essi nei loro giorni riedificarono il tempio
ed elevarono al Signore un tempio santo,
destinato a una gloria eterna.

13Anche la memoria di Neemia durerà a lungo;
egli rialzò le nostre mura demolite
e vi pose porte e sbarre; fece risorgere le nostre case.

14Nessuno fu creato sulla terra eguale a Enoch;
difatti egli fu rapito dalla terra.
15Non nacque un altro uomo come Giuseppe,
capo dei fratelli, sostegno del popolo;
perfino le sue ossa furono onorate.
16Sem e Set furono glorificati fra gli uomini,
ma superiore a ogni creatura vivente è Adamo.


Salmi 107

1Alleluia.

Celebrate il Signore perché è buono,
perché eterna è la sua misericordia.
2Lo dicano i riscattati del Signore,
che egli liberò dalla mano del nemico
3e radunò da tutti i paesi,
dall'oriente e dall'occidente,
dal settentrione e dal mezzogiorno.

4Vagavano nel deserto, nella steppa,
non trovavano il cammino per una città dove abitare.
5Erano affamati e assetati,
veniva meno la loro vita.
6Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.
7Li condusse sulla via retta,
perché camminassero verso una città dove abitare.
8Ringrazino il Signore per la sua misericordia,
per i suoi prodigi a favore degli uomini;
9poiché saziò il desiderio dell'assetato,
e l'affamato ricolmò di beni.

10Abitavano nelle tenebre e nell'ombra di morte,
prigionieri della miseria e dei ceppi,
11perché si erano ribellati alla parola di Dio
e avevano disprezzato il disegno dell'Altissimo.
12Egli piegò il loro cuore sotto le sventure;
cadevano e nessuno li aiutava.

13Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.
14Li fece uscire dalle tenebre e dall'ombra di morte
e spezzò le loro catene.
15Ringrazino il Signore per la sua misericordia,
per i suoi prodigi a favore degli uomini;
16perché ha infranto le porte di bronzo
e ha spezzato le barre di ferro.

17Stolti per la loro iniqua condotta,
soffrivano per i loro misfatti;
18rifiutavano ogni nutrimento
e già toccavano le soglie della morte.
19Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.

20Mandò la sua parola e li fece guarire,
li salvò dalla distruzione.
21Ringrazino il Signore per la sua misericordia
e per i suoi prodigi a favore degli uomini.
22Offrano a lui sacrifici di lode,
narrino con giubilo le sue opere.

23Coloro che solcavano il mare sulle navi
e commerciavano sulle grandi acque,
24videro le opere del Signore,
i suoi prodigi nel mare profondo.
25Egli parlò e fece levare
un vento burrascoso che sollevò i suoi flutti.
26Salivano fino al cielo,
scendevano negli abissi;
la loro anima languiva nell'affanno.
27Ondeggiavano e barcollavano come ubriachi,
tutta la loro perizia era svanita.
28Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.

29Ridusse la tempesta alla calma,
tacquero i flutti del mare.
30Si rallegrarono nel vedere la bonaccia
ed egli li condusse al porto sospirato.

31Ringrazino il Signore per la sua misericordia
e per i suoi prodigi a favore degli uomini.
32Lo esaltino nell'assemblea del popolo,
lo lodino nel consesso degli anziani.

33Ridusse i fiumi a deserto,
a luoghi aridi le fonti d'acqua
34e la terra fertile a palude
per la malizia dei suoi abitanti.
35Ma poi cambiò il deserto in lago,
e la terra arida in sorgenti d'acqua.

36Là fece dimorare gli affamati
ed essi fondarono una città dove abitare.
37Seminarono campi e piantarono vigne,
e ne raccolsero frutti abbondanti.
38Li benedisse e si moltiplicarono,
non lasciò diminuire il loro bestiame.
39Ma poi, ridotti a pochi, furono abbattuti,
perché oppressi dalle sventure e dal dolore.
40Colui che getta il disprezzo sui potenti,
li fece vagare in un deserto senza strade.

41Ma risollevò il povero dalla miseria
e rese le famiglie numerose come greggi.
42Vedono i giusti e ne gioiscono
e ogni iniquo chiude la sua bocca.
43Chi è saggio osservi queste cose
e comprenderà la bontà del Signore.


Ezechiele 34

1Mi fu rivolta questa parola del Signore:2"Figlio dell'uomo, profetizza contro i pastori d'Israele, predici e riferisci ai pastori: Dice il Signore Dio: Guai ai pastori d'Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge?3Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge.4Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza.5Per colpa del pastore si sono disperse e son preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate.6Vanno errando tutte le mie pecore in tutto il paese e nessuno va in cerca di loro e se ne cura.7Perciò, pastori, ascoltate la parola del Signore:8Com'è vero ch'io vivo, - parla il Signore Dio - poiché il mio gregge è diventato una preda e le mie pecore il pasto d'ogni bestia selvatica per colpa del pastore e poiché i miei pastori non sono andati in cerca del mio gregge - hanno pasciuto se stessi senza aver cura del mio gregge -9udite quindi, pastori, la parola del Signore:10Dice il Signore Dio: Eccomi contro i pastori: chiederò loro conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così i pastori non pasceranno più se stessi, ma strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto.11Perché dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura.12Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine.13Le ritirerò dai popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro terra e le farò pascolare sui monti d'Israele, nelle valli e in tutte le praterie della regione.14Le condurrò in ottime pasture e il loro ovile sarà sui monti alti d'Israele; là riposeranno in un buon ovile e avranno rigogliosi pascoli sui monti d'Israele.15Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio.16Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia.
17A te, mio gregge, dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri.18Non vi basta pascolare in buone pasture, volete calpestare con i piedi il resto della vostra pastura; non vi basta bere acqua chiara, volete intorbidare con i piedi quella che resta.19Le mie pecore devono brucare ciò che i vostri piedi hanno calpestato e bere ciò che i vostri piedi hanno intorbidato.20Perciò dice il Signore Dio a loro riguardo: Ecco, io giudicherò fra pecora grassa e pecora magra.21Poiché voi avete spinto con il fianco e con le spalle e cozzato con le corna le più deboli fino a cacciarle e disperderle,22io salverò le mie pecore e non saranno più oggetto di preda: farò giustizia fra pecora e pecora.
23Susciterò per loro un pastore che le pascerà, Davide mio servo. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore;24io, il Signore, sarò il loro Dio e Davide mio servo sarà principe in mezzo a loro: io, il Signore, ho parlato.25Stringerò con esse un'alleanza di pace e farò sparire dal paese le bestie nocive, cosicché potranno dimorare tranquille anche nel deserto e riposare nelle selve.
26Farò di loro e delle regioni attorno al mio colle una benedizione: manderò la pioggia a tempo opportuno e sarà pioggia di benedizione.27Gli alberi del campo daranno i loro frutti e la terra i suoi prodotti; essi abiteranno in piena sicurezza nella loro terra. Sapranno che io sono il Signore, quando avrò spezzato le spranghe del loro giogo e li avrò liberati dalle mani di coloro che li tiranneggiano.28Non saranno più preda delle genti, né li divoreranno le fiere selvatiche, ma saranno al sicuro e nessuno li spaventerà.
29Farò germogliare per loro una florida vegetazione; non saranno più consumati dalla fame nel paese e non soffriranno più il disprezzo delle genti.30Sapranno che io, il Signore, sono il loro Dio e loro, la gente d'Israele, sono il mio popolo. Parola del Signore Dio.
31Voi, mie pecore, siete il gregge del mio pascolo e io sono il vostro Dio". Oracolo del Signore Dio.


Atti degli Apostoli 23

1Con lo sguardo fisso al sinedrio Paolo disse: "Fratelli, io ho agito fino ad oggi davanti a Dio in perfetta rettitudine di coscienza".2Ma il sommo sacerdote Ananìa ordinò ai suoi assistenti di percuoterlo sulla bocca.3Paolo allora gli disse: "Dio percuoterà te, muro imbiancato! Tu siedi a giudicarmi secondo la legge e contro la legge comandi di percuotermi?".4E i presenti dissero: "Osi insultare il sommo sacerdote di Dio?".5Rispose Paolo: "Non sapevo, fratelli, che è il sommo sacerdote; sta scritto infatti: 'Non insulterai il capo del tuo popolo'".
6Paolo sapeva che nel sinedrio una parte era di sadducei e una parte di farisei; disse a gran voce: "Fratelli, io sono un fariseo, figlio di farisei; io sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti".7Appena egli ebbe detto ciò, scoppiò una disputa tra i farisei e i sadducei e l'assemblea si divise.8I sadducei infatti affermano che non c'è risurrezione, né angeli, né spiriti; i farisei invece professano tutte queste cose.9Ne nacque allora un grande clamore e alcuni scribi del partito dei farisei, alzatisi in piedi, protestavano dicendo: "Non troviamo nulla di male in quest'uomo. E se uno spirito o un angelo gli avesse parlato davvero?".10La disputa si accese a tal punto che il tribuno, temendo che Paolo venisse linciato da costoro, ordinò che scendesse la truppa a portarlo via di mezzo a loro e ricondurlo nella fortezza.11La notte seguente gli venne accanto il Signore e gli disse: "Coraggio! Come hai testimoniato per me a Gerusalemme, così è necessario che tu mi renda testimonianza anche a Roma".

12Fattosi giorno, i Giudei ordirono una congiura e fecero voto con giuramento esecratorio di non toccare né cibo né bevanda, sino a che non avessero ucciso Paolo.13Erano più di quaranta quelli che fecero questa congiura.14Si presentarono ai sommi sacerdoti e agli anziani e dissero: "Ci siamo obbligati con giuramento esecratorio di non assaggiare nulla sino a che non avremo ucciso Paolo.15Voi dunque ora, insieme al sinedrio, fate dire al tribuno che ve lo riporti, col pretesto di esaminare più attentamente il suo caso; noi intanto ci teniamo pronti a ucciderlo prima che arrivi".
16Ma il figlio della sorella di Paolo venne a sapere del complotto; si recò alla fortezza, entrò e ne informò Paolo.17Questi allora chiamò uno dei centurioni e gli disse: "Conduci questo giovane dal tribuno, perché ha qualche cosa da riferirgli".18Il centurione lo prese e lo condusse dal tribuno dicendo: "Il prigioniero Paolo mi ha fatto chiamare e mi ha detto di condurre da te questo giovanetto, perché ha da dirti qualche cosa".19Il tribuno lo prese per mano, lo condusse in disparte e gli chiese: "Che cosa è quello che hai da riferirmi?".20Rispose: "I Giudei si sono messi d'accordo per chiederti di condurre domani Paolo nel sinedrio, col pretesto di informarsi più accuratamente nei suoi riguardi.21Tu però non lasciarti convincere da loro, poiché più di quaranta dei loro uomini hanno ordito un complotto, facendo voto con giuramento esecratorio di non prendere cibo né bevanda finché non l'abbiano ucciso; e ora stanno pronti, aspettando che tu dia il tuo consenso".
22Il tribuno congedò il giovanetto con questa raccomandazione: "Non dire a nessuno che mi hai dato queste informazioni".

23Fece poi chiamare due dei centurioni e disse: "Preparate duecento soldati per andare a Cesarèa insieme con settanta cavalieri e duecento lancieri, tre ore dopo il tramonto.24Siano pronte anche delle cavalcature e fatevi montare Paolo, perché sia condotto sano e salvo dal governatore Felice".25Scrisse anche una lettera in questi termini:26"Claudio Lisia all'eccellentissimo governatore Felice, salute.27Quest'uomo è stato assalito dai Giudei e stava per essere ucciso da loro; ma sono intervenuto con i soldati e l'ho liberato, perché ho saputo che è cittadino romano.28Desideroso di conoscere il motivo per cui lo accusavano, lo condussi nel loro sinedrio.29Ho trovato che lo si accusava per questioni relative alla loro legge, ma che in realtà non c'erano a suo carico imputazioni meritevoli di morte o di prigionia.30Sono stato però informato di un complotto contro quest'uomo da parte loro, e così l'ho mandato da te, avvertendo gli accusatori di deporre davanti a te quello che hanno contro di lui. Sta' bene".
31Secondo gli ordini ricevuti, i soldati presero Paolo e lo condussero di notte ad Antipàtride.32Il mattino dopo, lasciato ai cavalieri il compito di proseguire con lui, se ne tornarono alla fortezza.33I cavalieri, giunti a Cesarèa, consegnarono la lettera al governatore e gli presentarono Paolo.34Dopo averla letta, domandò a Paolo di quale provincia fosse e, saputo che era della Cilicia, disse:35"Ti ascolterò quando saranno qui anche i tuoi accusatori". E diede ordine di custodirlo nel pretorio di Erode.


Capitolo XVIII: L’uomo non si ponga ad indagare, con animo curioso, intorno al Sacramento, ma si faccia umile imitatore di Cristo e sottometta i suoi sensi alla santa fede

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Parola del Diletto

1. Se non vuoi essere sommerso nell'abisso del dubbio, devi guardarti dall'indagare, con inutile curiosità intorno a questo altissimo Sacramento. "Colui che pretende di conoscere la maestà di Dio, sarà schiacciato dalla grandezza di lui" (Pro 25,27). Dio può fare cose più grandi di quanto l'uomo possa capire All'uomo è consentita soltanto una pia ed umile ricerca della verità, sempre pronta ad essere illuminata, e desiderosa di muoversi entro i salutari insegnamenti dei Padri. Beata la semplicità, che tralascia le ardue strade delle disquisizioni e prosegue nel sentiero piano e sicuro dei comandamenti di Dio. Sono molti quelli che, volendo indagare cose troppo sublimi, perdettero la fede. Da te si esigono fede e schiettezza di vita, non altezza d'intelletto e capacità di penetrare nei misteri di Dio. Tu, che non riesci a conoscere e a comprendere ciò che sta più in basso di te, come potresti capire ciò che sta sopra di te? Sottomettiti a Dio, sottometti i tuoi sensi alla fede, e ti sarà dato lume di conoscenza, quale e quanto potrà esserti utile e necessario. Taluni subiscono forti tentazioni circa la fede e il Sacramento; sennonché, non a loro se ne deve fare carico, bensì al nemico. Non soffermarti su queste cose; non voler discutere con i tuoi stessi pensieri, né rispondere ai dubbi insinuati dal diavolo. Credi, invece alle parole di Dio; affidati ai santi e ai profeti (2Cor 20,20), e fuggirà da te l'infame nemico. Che il servo di Dio sopporti tali cose, talora è utile assai. Il diavolo non sottopone alle tentazioni quelli che non hanno fede, né i peccatori, che ha già sicuramente in sua mano; egli tenta, invece, tormenta, in vario modo, le persone credenti e devote.

2.  Procedi, dunque, con schietta e ferma fede; accostati al Sacramento con umile venerazione. Rimetti tranquillamente a Dio, che tutto può, quanto non riesci a comprendere: Iddio non ti inganna; mentre si inganna colui che confida troppo in se stesso. Dio cammina accanto ai semplici, si rivela agli umili, "dà lume d'intelletto ai piccoli" (Sal 118,130), apre la mente ai puri di cuore; e ritira la grazia ai curiosi e ai superbi. La ragione umana è debole e può sbagliare, mentre la fede vera non può ingannarsi. Ogni ragionamento, ogni nostra ricerca deve andare dietro alla fede; non precederla, né indebolirla. Ecco, predominano allora la fede e l'amore, misteriosamente operanti in questo santissimo ed eccellentissimo Sacramento. Il Dio eterno, immenso ed onnipotente, fa cose grandi e imperscrutabili, in cielo e in terra; e a noi non è dato investigare le meravigliose sue opere. Ché, se le opere di Dio fossero tali da poter essere facilmente comprese dalla ragione umana, non si potrebbero dire meravigliose e ineffabili.


Protreptico ai Greci

San Clemente Alessandrino - San Clemente Alessandrino

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Capitolo 1


Amfione tebano e Arione di Metimna furono, tutti e due, abili nel canto, e, tutti. e due, mito e ancora questo loro canto è... argomento di canto per il coro degli Elleni - a causa dell'arte musicale per la quale l'uno adescò un pesce, l'altro cinse di mura Tebe. Un altro cantore, un trace (altro mito ellenico, questo), ammansiva le fiere col semplice canto e trapiantava da un posto all'altro gli alberi, i faggi, per mezzo della musica. Potrei narrarti anche un altro mito, fratello di questi, e parlarti di un altro cantore, Eunomo locrese, e della cicala Pitica. Era raccolta a Pito una solenne adunanza di Elleni, per celebrare la morte del serpente, ed era Eunomo che cantava il canto funebre del rettile; se questo canto fosse un inno o un lamento funebre sul serpente non saprei dire: quello che è certo è che vi era una gara, ed Eunomo suonava la cetra nell'ora della calura, quando le cicale, scaldate dal sole, cantavano sotto le foglie, su per i monti. Esse cantavano certamente, non in onore del serpente morto, del Pitico, ma del Dio sapientissimo un canto sciolto da ogni legge, migliore dei canti di Eunomo, regolati da leggi. Ed ecco si spezza una corda al Locrese, la cicala vola sul giogo della cetra, trillava sopra lo strumento musicale come su di un ramo: e il cantore, adattato il suo al canto della cicala, suppl in tal modo la corda mancante. Non fu dunque la cicala a essere attirata dal canto di Eunomo, come vuole il mito, che innalzò a Pito una statua di bronzo raffigurante Eunomo con la sua cetra, e la alleata del Locrese nella gara: ma spontaneamente essa vola sulla cetra, e canta spontaneamente, mentre agli Elleni, invece, sembra che essa non abbia fatto che rispondere alla musica di quello. Come dunque avete potuto prestar fede a vane favole, fino a supporre che gli animali siano affascinati dalla musica? Invece, solo il volto luminoso della verità (a quanto pare) vi sembra imbellettato, ed è guardato da voi con diffidenza. E cosi, il Citerone e l'Elicona e i monti degli Odrisi e dei Traci, luoghi di iniziazione all'errore, a causa dei misteri sono stati consacrati e celebrati con inni. Io, sebbene non si tratti che di favole, mi commuovo alle tante sventure, che sogliono essere argomento di tragedie: per voi invece le storie luttuose sono diventate drammi, e gli attori dei drammi spettacolo di gioia. Ma i drammi, e i poeti concorrenti alle Lenee, e già completamente ebbri, recingiamoli magari di edera, mentre essi delirano stranamente nel celebrare il bacchico rito, ma... rinchiudiamoli, insieme coi satiri e il tiaso furente e col restante coro di demoni, nei già invecchiati Elicona e Citerone. E facciamo scendere, invece, dall'alto, dal cielo, la Verità, insieme con la splendidissima Sapienza, verso il monte sacro di Dio e il coro sacro dei profeti. Ed essa, brillando di una luce che splende quanto più lontano è possibile, illumini dappertutto coloro che si rotolano nelle tenebre, e liberi gli uomini dall'errore, tendendo la sua altissima mano, cioè l'intelligenza, verso la salvezza. Ed essi, rialzate le loro teste, e levati gli occhi verso l'alto, lascino il Citerone e l'Elicona ed abitino Sion: "Da Sion infatti uscirà la Legge e il Verbo del Signore da Gerusalemme", cioè il Verbo celeste, il genuino competitore, incoronato nel teatro di tutto il mondo. E il mio Eunomo canta, non sul modo di Terpandro Nè su quello di Capione, e neppure su quello frigio o lidio o dorico, ma sull'eterno modo della nuova armonia, che ha nome da Dio, "il canto nuovo", il canto levitico: che duolo ed ira lenisce e dà l'oblio d'ogni male. Dolce e verace farmaco contro il dolore è stato infuso in questo canto. Mi sembra perciò che quel Trace e il Tebano e il Metimneo siano stati una sorta di uomini che non sono uomini, degli impostori, e che col pretesto della musica avendo corrotto la vita umana, per mezzo di qualche abile incantesimo essendo invasati dal demone, per condurre gli uomini alla rovina, celebrando delle efferatezze nei riti dei misteri e facendo dei lutti l'oggetto di onori divini, per primi abbiano tratto gli uomini al culto degli idoli: e con pietre e con tavole, cioè con statue e pitture, abbiano posto le fondamenta alla balordaggine della consuetudine, aggiogando alla estrema schiavitù, coi loro canti e i loro incantamenti, quella libertà veramente bella, di coloro che sono liberi cittadini sotto il cielo. Ma non tale è il mio cantore, Nè è giunto per sciogliere in lungo tempo l'amara schiavitù dei demoni che ci tiranneggiano: ma facendoci passare dal giogo dei demoni al giogo mite e filantropico della pietà, di nuovo richiama verso il cielo quelli che sono stati scagliati sulla terra. Solo lui infatti, fra quanti mai furono, mansuefaceva le fiere più selvagge di tutte, cioè gli uomini: mansuefaceva volatili, cioè gli uomini leggeri, rettili, cioè gli ingannatori, leoni, cioè gli iracondi, porci, cioè gli uomini dediti ai piaceri, lupi, cioè gli uomini rapaci. Pietre e legno sono gli inintelligenti, ma anche più insensibile delle pietre è l'uomo immerso nell'ignoranza. Testimone venga a noi la voce profetica, che s'accorda col canto della verità, voce che compiange coloro che si son consumati nell'ignoranza e nella follia: "Dio è capace di far sorgere da queste pietre dei figli ad Abramo ": Dio, il quale, avendo commiserato la grande stupidità e la durezza di cuore di quelli che sono diventati pietre rispetto alla verità, destò il seme della pietà, dotato del sentimento della virtù, da quelle pietre, cioè, dalle genti che hanno creduto nelle pietre. Un'altra volta, in un certo punto ha chiamato "prole di vipere" certi ipocriti velenosi e versipelle, che tendono insidie alla giustizia. Ma anche di questi serpenti, se qualcuno di sua volontà si penta, seguendo il Verbo, diventa "uomo di Dio ". Altri chiama allegoricamente "lupi", vestiti di pelli di pecore, intendendo significare i rapaci in forme di uomini. E tutte queste selvaggissime fiere, e le consimili pietre, lo stesso canto celeste le trasformò in uomini mansueti. "Eravamo infatti, eravamo una volta anche noi dissennati, disobbedienti, erranti, schiavi di piaceri e desideri vani, viventi nella malizia e nell'invidia, odiosi e odiantici l'un l'altro", come dice la Scrittura Apostolica, "ma quando apparve la bontà e la filantropia di Dio, nostro Salvatore, essa ci salvò, non per effetto delle opere che noi compiemmo in giustizia, ma secondo la sua misericordia". Vedi quanto potè il nuovo canto! Esso ha fatto uomini dalle pietre e uomini dalle fiere. Quelli che erano altrimenti morti, perchè non erano partecipi di quella che è veramente vita, solo ch'ebbero ascoltato il canto, rivissero. Questo canto anche ordinò armoniosamente l'universo, e accordò la dissonanza degli elementi in un ordine di consonanza, affinchè l'intero cosmo si armonizzasse con esso: e lasciò andare libero il mare, ma gli imped di invadere la terra, e rese ferma, al contrario, la terra, che prima era mobile, e la fissò come confine del mare. E calmò l'impeto del fuoco con l'aria, quasi che temperasse l'armonia dorica con la lidia; e mitigò il rigido freddo dell'aria con la mescolanza del fuoco, temperando armonicamente queste estreme note dell'universo. E questo canto incorrotto - sostegno del tutto e armonia dell'universo - che si estese dal centro alle estremità e dai vertici al centro, armonizzò questo tutto, non secondo la musica tracia, che è simile a quella di Iubal, ma secondo la paterna volontà di Dio, che David emulò. Il Verbo di Dio, nato da David ed esistente prima di lui, disprezzò la lira e la cetra, strumenti inanimati, e, avendo armonizzato collo Spirito Santo questo mondo, ed il piccolo mondo, cioè l'uomo, la sua anima come il suo corpo, suona a Dio per mezzo di questo strumento di molte voci, e canta con questo strumento che è l'uomo: " Giacchè tu sei per me cetra e flauto e tempio ": cetra, per l'armonia, flauto, per lo spirito, tempio, per il Verbo, affinchè l'una risuoni, l'altro spiri, e l'altro comprenda il Signore. Appunto David, il re, il citarista, di cui poco fa abbiamo fatto menzione, esortava alla verità, distoglieva dagli idoli, e molto era lontano dal celebrare i demoni, i quali anzi erano scacciati da lui con la musica verace, con la quale egli col solo canto guar Saul, quando questi era posseduto da essi. Il Signore fece l'uomo bello, spirante strumento, fatto a sua immagine: e certamente Egli stesso è uno strumento di Dio: strumento in tutto armonico, ben accordato e santo, sapienza che è sopra questo mondo, Verbo celeste. Che cosa vuole dunque questo strumento, il Verbo di Dio, il Signore, e il Nuovo Canto? Schiudere gli occhi dei ciechi e aprire le orecchie dei sordi e guidare verso il cammino della giustizia quelli che zoppicano o errano, mostrare Dio agli uomini dissennati, far cessare la corruzione, vincere la morte, riconciliare col Padre i figli disobbedienti. Lo strumento di Dio è filantropico: il Signore compassiona, castiga, esorta, ammonisce, salva, custodisce, e, per di più, come ricompensa della nostra istruzione, promette il regno dei cieli, questo solo guadagno traendo di noi, cioè la nostra salvezza. Il vizio infatti si nutre della rovina degli uomini, la verità, invece, come l'ape, senza guastare nessuna delle cose esistenti, non si allieta che della salvezza degli uomini. Tu hai dunque la promessa di Dio, hai la sua filantropia: partecipa della grazia. E il mio canto salutare non crederlo nuovo nello stesso senso in cui si dice nuovo un utensile o una casa: giacchè esso era "prima della stella del mattino" e "nel principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo ". Ma antico l'errore, e cosa nuova la verità sembra essere. Sia dunque che l'antichità dei Frigi sia dimostrata da mitiche capre, o, al contrario, che quella degli Arcadi sia dimostrata dai poeti che li dichiarano anteriori alla luna, o ancora, che quella degli Egiziani sia dimostrata da coloro che sognano che la terra di costoro sia stata la prima a produrre dei ed uomini: ma nessuno di costoro è anteriore a questo mondo, noi, invece, siamo anteriori alla fondazione del cosmo, in quanto a che, per il fatto di essere destinati ad essere in Lui, siamo stati generati anteriormente da Dio, noi, le creature razionali del Verbo di Dio, per il quale esistiamo dal principio, perchè il "Verbo era nel principio". Ma in quanto il Verbo era dall'origine, era ed è principio divino di ogni cosa, ma in quanto ora prese il nome - anticamente santificato, e degno della potenza: Cristo - il Verbo è stato da me chiamato Nuovo Canto. Il Verbo dunque, cioè Cristo, è la causa, e del nostro essere anticamente (era infatti in Dio) e del nostro esser bene, ed ora è apparso personalmente agli uomini questo Verbo, il solo che è tutte e due le cose, Dio e uomo, causa per noi di tutti i beni, dal quale imparando il vivere rettamente, siamo avviati verso la vita eterna. Infatti, secondo quel divino Apostolo del Signore, "la grazia salutare di Dio apparve a tutti gli uomini istruendoci, affinchè, rifiutata l'empietà e i desideri mondani, vivessimo sobriamente e giustamente e piamente nel mondo di ora, aspettando la beata speranza e l'apparizione della gloria del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo ". Questo è il Canto Nuovo, cioè l'apparizione, che fra di noi ha brillato soltanto ora, del Verbo che era nel principio, e perciò preesisteva: apparve sulla terra da poco il preesistente Salvatore, apparve Colui che esiste in Colui che esiste (perchè " il Verbo era presso Dio "), come Maestro; apparve il Verbo dal quale sono state create tutte le cose, e dopo averci dato nel principio il vivere, mediante la creazione, come Demiurgo, ci insegnò il ben vivere, apparsoci come Maestro; per poterci procurare dopo, come Dio, il vivere eternamente. Egli però non ora per la prima volta ebbe compassione di noi, per il nostro errore, ma già prima, dal principio, ne aveva avuto compassione, ed ora Egli, essendo apparso, ci ha salvati mentre eravamo già sul punto di perire. Giacchè ancora la maligna e strisciante fiera, con le sue arti magiche rende schiavi gli uomini e li supplizia, vendicandosi su di essi, come a me pare, al modo dei barbari, che si dice leghino gli schiavi di guerra ai cadaveri, finchè insieme putrefacciano. Questo maligno tiranno, infatti, questo serpente, avvinti a pietre e tavole e statue e altrettali idoli, mediante l'infelice vincolo della superstizione, quegli uomini che riesce a far suoi finì dalla nascita, li porta, proprio secondo il detto, a seppellire vivi insieme con quelli, finchè insieme con quelli periscano. Perciò (Poichè uno solo è l'ingannatore, che nel principio trasse Eva verso la morte, e ora vi trae anche gli altri uomini), uno anche è il soccorritore e ausiliatore nostro, il Signore, che dal principio preannunziava profeticamente e ora già anche chiaramente ci invita alla salvezza. Fuggiamo dunque, ubbidendo al precetto dell'Apostolo, "il principe della potestà dell'aria, dello spirito che ora opera nei figli della disobbedienza ", e accorriamo presso il Salvatore, il Signore, che ora e sempre esortava gli uomini alla salvezza, per mezzo dei prodigi e dei segni in Egitto, e nel deserto per mezzo del rovo e della nuvola che in grazia della Sua filantropia seguiva, come una ancella, gli Ebrei. Col timore destato da queste cose egli incitava gli uomini dal cuore indurito, ma in seguito anche per mezzo del sapientissimo Mosè e dell'amante della verità, Isaia, e di tutto il coro profetico, Egli converte al Verbo in modo più razionale quelli che hanno orecchie per udire; e qualche volta insulta, qualche volta anche minaccia, su alcuni degli uomini anche piange, per altri canta: e fa come un buon medico, che cura i corpi ammalati, applicando ad alcuni cataplasmi, per altri ricorrendo a frizioni, e per altri a lavaggi, e alcuni aprendo col ferro, altri bruciando, qualche volta anche amputando, se mai sia possibile che l'uomo, anche a costo di perdere qualche parte o membro, ricuperi la salute. Di molte voci è il Salvatore, e di molti modi, per ottenere la salvezza degli uomini: minacciando ammonisce, insultando converte, lamentando compassiona, suonando esorta, per mezzo del rogo parla (perchè quelli avevano bisogno di segni e di prodigi) e col fuoco spaventa gli uomini, facendo suscitare in cima a una colonna la fiamma, segno insieme di grazia e di terrore: per gli obbedienti, luce, per i disobbedienti, fuoco. Ma Poichè la carne è più pregevole della colonna e del rovo, dopo quelle cose parlano i profeti, il Signore stesso che parla in Isaia, Egli stesso in Elia, Egli stesso nella bocca dei profeti. Ma se tu non credi nei profeti e ritieni una favola così gli uomini come il fuoco, ti parlerà il Signore stesso, " il quale, essendo nella forma di Dio, non fece sua proprietà della sua uguaglianza con Dio: ma vuotò se stesso ", il Dio misericordioso che desidera salvare l'uomo. E lo stesso Verbo ormai ti parla chiaramente, riempiendo di vergogna la vostra incredulità, s, dico, il Verbo di Dio diventato uomo, affinchè anche tu da un uomo possa imparare come un uomo diventi Dio. Quindi non è assurdo, o amici, che, mentre Dio sempre ci esorta alla virtù, noi, invece, rifiutiamo l'aiuto e rimandiamo la salvezza? Non ci esorta dunque alla salvezza anche Giovanni e non è egli interamente una voce esortatrice? Interroghiamo dunque lui stesso: " Chi sei? di quale paese?" Non dirà di essere Elia, negherà di essere Cristo, ma confesserà di essere voce gridante nel deserto. Chi è dunque Giovanni? Per abbracciarlo in una immagine, sia lecito dirlo "una voce del Verbo esortatrice, gridante nel deserto". Che cosa gridi, o voce? " Dillo anche a noi". " Fate diritte le vie del Signore ". Precursore è Giovanni e la sua voce è precorritrice del Verbo, voce incitatrice, che prepara alla salvezza, voce esortatrice alla eredità dei cieli, voce per la quale la terra sterile e deserta finisce di essere infeconda. Questa fertilità secondo me la predisse la voce dell'Angelo; precorritrice del Signore era anche quella, la quale dava la buona novella alla donna sterile, come Giovanni al deserto. Per questa voce del Verbo, dunque, la donna sterile diventa feconda di figli e la terra deserta produce frutti. Le due voci precorritrici del Signore, quella dell'Angelo e quella di Giovanni, vogliono significare, secondo me, la salvezza riposta in serbo per noi, cosicchè, dopo l'apparizione di questo Verbo, noi riportiamo il frutto della fecondità, cioè la vita eterna. La Scrittura, infatti, col mettere insieme le due voci, chiarisce il tutto: " Ascolti, colei che non partorisce; parli, colei che non ha i dolori del parto, Poichè più numerosi saranno i figli della derelitta, che di colei che ha il marito " . E a noi che l'Angelo recava la buona novella, noi che Giovanni esortava a conoscere l'agricoltore, a cercare l'uomo. Il marito della sterile e il coltivatore della terra deserta sono infatti una stessa persona, la quale riemp della divina potenza così la donna sterile come la terra deserta. Poichè molti erano i figli della donna di nobile nascita, ma era in seguito senza figli a causa della sua incredulità (cioè, la donna ebrea, che in origine aveva avuto molti figli), la donna sterile riceve il marito, la terra deserta l'agricoltore; quindi ambedue diventarono madri l'una di frutti, l'altra di figli credenti, in virtù del Verbo; ma ancora per gli increduli rimane sterile e deserta. Giovanni, l'araldo del Verbo, in questo modo esortava ad essere preparati per la venuta di Dio, cioè di Cristo: e questo era ciò che voleva significare il silenzio di Zacharia: silenzio, che aspettava il frutto precursore di Cristo, affinchè la luce della verità, cioè il Verbo, rompesse, divenuto buona novella, il mistico silenziò dei profetici enigmi. Ma tu, se desideri vedere veramente Dio, ricorri a purificazioni, che si addicono a Dio, non a foglie di alloro e a bende adornate di lana e di porpora, ma incoronato di giustizia e cinto delle foglie della temperanza, cerca con ogni cura Cristo. "Giacchè io sono la porta", dice in un luogo, la quale bisogna che imparino coloro che vogliono conoscere Dio, affinchè egli ci apra tutte le porte dei cieli; giacchè sono razionali le porte del Verbo, e non le apre che la chiave della fede. " Nessuno conobbe Dio se non il Figlio e colui al quale l'abbia rivelato il Figlio ". Io so bene che Colui che apre questa porta, sinora chiusa, dopo rivela le cose che son dentro e ci mostra quelle cose che non era possibile prima conoscere, se non da coloro che siano entrati per mezzo di Cristo, ch’è il solo per mezzo del quale si possa contemplare Dio.

Capitolo 2


Non state dunque a cercare i penetrali dei templi, dove non è Dio, e le bocche dei baratri, piene di ciurmeria, o il lebete Thesprotio o il tripode Cirrheo o il vaso di bronzo di Dodona. La "vecchia quercia" venerata dalle sabbie deserte e l'oracolo ch’è ivi, marcito insieme con la quercia, abbandonateli alle leggende che hanno fatto già il loro tempo. Ha taciuto così la fonte di Castalia, e l'altra fonte di Colofone e le altre acque profetiche ugualmente son morte: e, benchè tardi, si sono tuttavia rivelate finalmente vuote del loro vano orgoglio, dopochè si dispersero insieme colle leggende che loro erano proprie. Esponici, anche, della restante vaticinazione o piuttosto farneticazione, i responsi... che non rispondono: l'oracolo Clario, il Pitico, il Didimeo, Amfiarao, Apollo, e Amfiloco; e, se vuoi, consacra insieme con essi gli osservatori dei prodigi, e gli auguri e gli interpreti dei sogni. Va' a porre nello stesso tempo presso il Pitio gli aleuromanti e i crithomanti e i ventriloqui, che son tenuti tuttora in grande onore presso il popolo. E i santuari degli Egiziani e le necromanzie dei Tirreni siano abbandonati alle tenebre. Vere scuole di inganno degli uomini non credenti, e bische di pretto errore, sono queste, in tutto piene di follia. Compagni di questo genere di ciurmeria sono le capre, esercitate alla vaticinazione, e i corvi educati dagli uomini a dare responsi. E che diresti se ti esponessi i misteri? Non ne farò la parodia, come dicono abbia fatto Alcibiade, ma metterò a nudo assai bene, fondandomi sulla verità, la ciurmeria che è nascosta sotto di essi, e, come sulla scena della vita, presenterò per mezzo dell'encyclema agli spettatori della verità gli stessi vostri così detti dei, ai quali appartengono le mistiche iniziazioni. Dioniso furente i Baccanti lo adorano col rito della pazzia sacra, la quale consiste nel divoramento di carni crude, per il quale essi compiono la distribuzione rituale delle carni delle vittime, incoronati di serpenti, invocando col nome di Evan quella Eva, a causa della quale l'errore tenne dietro da presso; e simbolo dei riti bacchici è un serpente consacrato. Ora, va notato che, secondo l'esatta voce degli Ebrei, il nome Evia, con lo spirito aspro, significa serpente femina; Demetra e Core sono diventate già l'argomento di un dramma mistico, e l'errare e il ratto e il lutto delle due li celebra Eleusi alla luce delle fiaccole. Ora, mi sembra che l'etimologia delle parole orgia e mysteria sia, per la prima, da org‚ (= ira) - dall'ira, cioè, che Demetra concep contro Zeus -, per l'altra da mysos - dalla contaminazione cioè, che si verificò nei riguardi di Dioniso -. Ma se anche derivi da un certo Myunte attico, che Apollodoro dice essere perito in una caccia, io non ho alcuna difficoltà: vuol dire che i vostri misteri sono stati glorificati con onori sepolcrali. Puoi seguire altra via, e intendere mysteria - Poichè le lettere si corrispondono - come mytheria: giacchè, se mai altri, proprio questi tali miti vanno a caccia dei più barbari dei Traci, dei più insensati dei Frigi, dei superstiziosi tra gli Elleni. Perisca dunque colui che fu l'iniziatore di questo inganno per gli uomini: sia esso Dardano, che introdusse i misteri della Madre degli dei, sia Eetione, che fondò le cerimonie e i riti dei Samotraci, sia quel Frigio, Mida, che imparò dall'Odrisio, e quindi diffuse tra i suoi sudditi, l'abile inganno. Giacchè, quanto a me, non mi potrebbe mai persuadere coi suoi inganni il ciprio isolano, Cinyra, il quale, nell'ambizione di divinizzare una meretrice del suo paese, osò portare dalla notte alla luce del giorno gli osceni riti di Afrodite. Melampo, il figlio di Amythaone, fu, secondo altri, quegli che trasportò dall'Egitto nell'Ellade le feste di Demetra, cioè un lutto celebrato con inni. Per conto mio, questi uomini, padri di empi miti e di perniciosa superstizione, io li chiamerei originatori di mali, Poichè furono essi che piantarono nella vita umana quel seme di male e di rovina che sono i misteri. Ma ormai, giacchè è giunto il momento, dimostrerò che piene di inganno e di ciurmeria sono le vostre stesse cerimonie: e se voi siete stati iniziati, ancora di più riderete di queste vostre venerate leggende. Parlerò apertamente delle cose che voi tenete nascoste, senza vergognarmi di dire quello che voi non vi vergognate di adorare. Quella aphrogenes (0= nata dalle spume), dunque, e kyprogenes (= nata a Cipro), l'amante di Cinyra (dico Afrodite, la " philomedes, perchè nacque dai medea ", da quei genitali amputati di Urano, da quei genitali libidinosi, che dopo il taglio fecero violenza all'onda), in quanto è per voi degno frutto delle parti salaci, nei riti in cui si celebra questa voluttà marina un grano di sale, come simbolo della sua nascita, e un fallo sono dati in regalo a coloro che si iniziano nell'arte della fornicazione; e questi nell'essere iniziati, pagano ad essa il tributo di una moneta, come gli amanti all'amica. I misteri di Deo non sono altro che gli amorosi amplessi di Zeus con la madre Demetra, e l'ira di Deo (che non so se in seguito debba chiamare ancora madre o moglie) a causa delfa quale si dice sia stata chiamata Brimo, e le supplicazioni di Zeus, e la bevanda di fiele e lo strappamento del cuore delle vittime e le altre operazioni nefande. I medesimi riti compiono i Frigi in onore di Attis e di Cibele e dei Coribanti. Essi hanno diffuso la storia di Zeus, come egli, strappati i testicoli di un montone, sia andato a gettarli in mezzo al seno di Deo, pagando così una finta pena dell'amplesso violento, col simulare di aver mutilato se stesso. I simboli di questa iniziazione, quando io ve li abbia, per soprappiù, esposti, vi muoveranno certamente il riso, anche se non ne abbiate voglia per la condanna che loro ne deriva. " Mangiai dal timpano, bevvi dal cembalo, portai il cerno, mi introdussi nella camera nuziale". Questi simboli non sono un obbrobrio? non sono una beffa i misteri? E che diresti se aggiungessi il resto? Diventa incinta Demetra, cresce Core e di nuovo questo Zeus, che l'aveva generata, si unisce con Persefone, con la propria figlia, dopo essersi unito con la madre Deo, dimentico della precedente contaminazione (padre e corruttore della vergine, Zeus), e si unisce in forma di serpente e così si rivelò per quello che era in realtà. è certo almeno che simbolo dei misteri Sabazii per coloro che si iniziano è il " dio che si avvolge attraverso il seno"; questo è un serpente che è fatto svolgere attraverso il seno di coloro che vengono iniziati, una prova della intemperanza di Zeus. Persefone diviene incinta di un bimbo in forma di toro; certo, dice un poeta cultore degli idoli: Padre al serpente un toro e padre al toro un serpente, sopra il monte un bifolco è il suo nascosto stimolo, con stimolo di bifolco indicando, io credo, la ferula che incoronano i Baccanti. Vuoi che ti racconti anche la raccolta dei fiori fatta da Persefone, e il suo canestro, e il ratto compiuto da Aidoneo, e la voragine apertasi nella terra, e le troie di Eubuleo, inghiottite insieme con le due dee, ch’è la ragione per la quale nelle Tesmoforie, nel visitare le sacre caverne della dea, sogliono cacciarvi dentro delle porchette?. Questo è il mito che le donne festeggiano variamente nelle città, nelle Tesmoforie, nelle Sciroforie, nelle Arretoforie, rappresentando drammaticamente in molti modi, come in una tragedia, il ratto di Persefone. I misteri di Dioniso sono addirittura inumani. Egli era ancora piccolo, e, mentre i Cureti danzavano intorno a lui una danza guerriera, i Titani essendosi introdotti con inganno, e avendolo allettato con giocattoli infantili, questi Titani dunque lo fecero a brani, che ancora era un bambino, come dice il poeta della Iniziazione, il tracio Orfeo: il turbo, il rombo, e i pupattoli dalle flessibili membra ed i begli aurei pomi delle canore Esperidi. E non è inutile, allo scopo di condannarli, esporre gli inutili simboli di questa vostra iniziazione: l'astragalo, la palla, la trottola, le mele, il rombo, lo specchio, il vello. Atena dunque, per avere sottratto il cuore di Dioniso, fu chiamata Pallade dal palpitare (p llein) del cuore. Ma i Titani che lo avevano sbranato, posto un lebete su di un tripode e gettatevi le membra di Dioniso, prima le facevano cuocere e poi, conficcatele negli spiedi, "le tenevano sopra il fuoco ". Zeus, apparso dopo (forse, Poichè era dio, per avere sentito l'odore delle carni che stavano cuocendo, che è " l'onore dovuto", che i vostri dei riconoscono " di avere avuto in sorte") fa scempio dei Titani col fulmine, e le membra di Dioniso le affida al figlio suo Apollo perchè le seppellisca. Questi, giacchè non disobbed a Zeus, le trasporta sul Parnaso e qui depone il cadavere fatto a brani. Se vuoi contemplare anche i riti dei Coribanti, sappi che questi erano tre fratelli, due dei quali, avendo ucciso il terzo, avvolsero in un drappo di porpora il capo del morto e, dopo averlo incoronato, lo seppellirono, portandolo su uno scudo di bronzo ai piedi dell'Olimpo. E questo sono i misteri, per dirla in breve, niente altro che stragi e seppellimenti; i sacerdoti di questi misteri, chiamati Anactotelesti da coloro ai quali interessa chiamarli, aggiungono altri strani portenti a questo fatto luttuoso, quando proibiscono di porre sulla tavola apio con tutte le radici; giacchè credono che l'apio appunto sia nato dal sangue coribantico versato: alla stessa guisa precisamente che le donne che festeggiano le Tesmoforie evitano di mangiare i frutti del melograno che siano caduti a terra, perchè ritengono che i melograni siano nati dalle gocce del sangue di Dioniso. Chiamando poi col nome di Cabiri i Coribanti proclamano anche il rito dei Cabiri: giacchè questi due fratricidi, presa, quasi spoglia del combattimento la cesta, nella quale erano posti i genitali di Dioniso, la portarono nella Tirrenia, mercanti di merce gloriosa; e qui prendevano dimora, essendo esuli, e trasmisero ai Tirreni il loro prezioso insegnamento di pietà, consistente nella venerazione di genitali e di una cesta. E questa fu non senza verosimiglianza la ragione per la quale alcuni vogliono dare a Dioniso il nome di Attis, perchè privato dei genitali. E che meraviglia che i Tirreni, che sono dei barbari, siano così iniziati ai misteri di vergognose passioni, quando gli Ateniesi e il resto dell'Ellade, mi vergogno perfino a dirlo, hanno miti pieni di vergogna come quelli che si riferiscono a Deo? Deo infatti, errando alla ricerca della figlia Core, presso Eleusi (questa è una località dell'Attica) è vinta dalla stanchezza, e si siede su un pozzo, in preda al dolore. Questo è proibito anche ora a coloro che vengono iniziati, affinchè non sembri che gli iniziati imitino la dea nel suo dolore. Abitavano in quel tempo Eleusi degli indigeni i cui nomi erano Baubò, Dysaules, Triptolemo, e inoltre Eumolpo ed Eubuleo. Bifolco era Triptolemo, pastore Eumolpo, porcaro Eubuleo; è da essi che fior in Atene questa ierofantica stirpe degli Eumolpidi e dei Keryci. Ordunque (giacchè non mi tratterrò dal dirlo) Baubò, avendo ospitato Deo, le porge un beverone, e Poichè questa rifiutava di prenderlo e non voleva bere (Poichè era in lutto), Baubò dispiaciutasi fortemente della cosa, ritenendo il rifiuto come un'offesa fatta a lei, alzate le vesti, scopre le sue vergogue, e le mostra alla dea. Essa invece, Deo, si diletta di quella vista e a stento finalmente accetta la pozione, rallegrata da quello spettacolo. Questi sono i secreti misteri degli Ateniesi. Questi misteri riferisce anche Orfeo, e io ti citerò i versi stessi di Orfeo, affinchè tu abbia nel mistagogo un testimone della loro svergognatezza: Così dicendo, i pepli si tirò in alto e mostrò un'immagine oscena del corpo; era quella di Iacco fanciullo, ridente (Poichè l'agitava) di sotto al sen di Baubò; e allora la dea, Poichè vide, sorrise dentro il suo cuore, e accettò il lucido vaso con entro la mista bevanda. E il motto dei misteri eleusinii è: " digiunai, bevvi il cyceone, presi dalla cesta, avendo fatto quello che dovevo fare, riposi nel canestro e dal canestro nella cesta ". Begli spettacoli davvero, e che si addicono a una dea! Questi riti di iniziazione sono dunque degni della notte e del fuoco e del " magnanimo", o piuttosto insensato, popolo degli Erettidi, e, inoltre, anche degli altri Elleni, cui " dopo morte attendono cose che neppure si aspettano". A chi vaticina Eraclito di Efeso? Ai " nottivaghi, ai maghi, ai baccanti, alle baccanti, ai mysti ", a costoro egli minaccia le pene dopo la morte, a costoro vaticina il fuoco; " giacchè empiamente essi si iniziano ai misteri che sono in uso fra gli uomini " . Consuetudine dunque e vana credenza sono i misteri, e cioè un inganno teso dal serpente, inganno che gli uomini venerano, allorchè con falsa pietà coltivano queste iniziazioni che non sono in realta iniziazioni e questi riti pieni di empietà. E quali sono anche le ceste mistiche! Bisogna infatti rivelare le cose sacre che si contengono in esse, e denunziare le cose non dicibili. Queste cose non sono dolci di sesamo, e piramidi e dolci in forma di gomitoli e focacce dai molti ombelichi e grani di sale e un serpente, il mistico simbolo di Dioniso Bassareo? Non sono melagrane, oltre a ciò, e rami di fico, e ferule, e tralci di edera, e oltre a ciò, focacce rotonde e papaveri? Sono queste le loro cose sacre! E, inoltre, gli ineffabili simboli di GE Temide (cioè Demetra): l'origano, la lucerna, la spada, il pettine femminile, che è, in linguaggio eufemistico e mistico, l'organo femminile. O che sfacciata impudenza! Una volta la notte, che copriva il piacere per gli uomini temperanti, era silenziosa: ora, divenuta una tentazione all'intemperanza per coloro che si iniziano, la notte è piena di voci; e il fuoco con la luce delle fiaccole rivela le oscene passioni. Spegni, o ierofante, il fuoco. Risparmia, o daduco, le lampade; la luce accusa il tuo Iacco; lascia che la notte nasconda i misteri; i riti siano onorati dalle tenebre; il fuoco non rappresenta una parte da teatro: il suo compito è di convincere e di punire. Questi, i misteri degli atei: atei giustamente io chiamo costoro, che non hanno conosciuto Colui che è veramente Dio, e venerano un bambino sbranato dai Titani e una donnetta in lutto, e le parti che veramente ma soltanto per pudore non si possono nominare. Duplice è la forma di ateismo di cui essi sono affetti, la prima consistente nel fatto che ignorano Dio, in quanto a che non riconoscono come Dio quegli che è veramente Dio; l'altra, la seconda, la quale consiste in questo errore, di credere che esistano coloro che non esistono, e di chiamare dei questi che in realtà non sono dei o piuttosto che neppure esistono, ma che non sono che semplici nomi. Per questo l'Apostolo ci biasima dicendo: " Ed eravate stranieri ai patti della promessa, non avendo la speranza, ed essendo atei nel mondo". Molti beni ricadano sul capo del re degli Sciti, chiunque mai egli sia stato! Questi trafisse con un dardo un suo concittadino, che presso gli Sciti imitava il rito della Madre degli dei, in uso presso i Ciziceni, battendo un timpano e facendo risuonare un cembalo e tenendo appese al collo immagini della dea, come un menagyrte: per la considerazione che questi, che era divenuto lui stesso effeminato presso i Greci, si faceva maestro anche agli altri Sciti di quella morbosa effeminatezza. Perciò (giacchè non bisogna affatto nasconderlo) mi vien fatto di meravigliarmi come mai abbiano chiamato atei Evemero di Agrigento e Nicanore di Cipro e Diagora e Ippone, tutti e due di Melo, e inoltre quello di Cirene (chiamato Teodoro) e molti altri, che sono vissuti saggiamente e hanno scorto più acutamente, credo, degli altri uomini l'errore riguardante questi dei. Essi, è vero, non hanno conosciuto la verità stessa, ma almeno hanno sospettato l'errore, il che non è piccola scintilla di saggezza, la quale cresce, come seme, verso la verità. Uno di essi prescrive agli Egiziani: " Se li stimate dei, non piangeteli Nè battetevi; ma se li piangete, non stimateli più dei "; un altro, avendo preso un Eracle, fatto d'un pezzo di legno (stava a cuocere qualche cosa in casa, come è verosimile), " Su dunque, o Eracle disse - ora è tempo che come ad Euristeo, così anche a noi compia questa tredicesima fatica, e a Diagora appresti il desinare! ", e quindi lo pose nel fuoco come un pezzo di legno. Punti estremi dell'ignoranza sono dunque l'ateismo e l'adorazione dei demoni, al di qua dei quali bisogna cercare in tutti i modi di mantenersi. Non vedi il santo interprete della verità, Mosè, che vieta all'eunuco e al mutilato dei genitali e inoltre al figlio della meretrice di prender parte all'assemblea?. Vuol significare oscuramente, coi due primi, il costume ateo, che è stato privato della divina e generativa potenza, con l'altro, col terzo, colui che si attribuisce molti falsi dei, invece di colui che solo è Dio, come il figlio della cortigiana si attribuisce molti padri, per ignoranza del suo vero padre. Ma vi era negli uomini una certa innata, originaria comunanza col cielo, la quale si è ottenebrata per l'ignoranza, ma improvvisamente balza fuori dalle tenebre e torna a risplendere, come mostrano, per esempio, quei versi nei quali da qualcuno è stato detto: Vedi questo infinito etere in alto che circonda la terra nel suo molle abbraccio... E questi altri: Della terra veicolo, che hai sede sopra la terra, chiunque sia, a vedere incomprensibile... E quante altre cose di tal natura cantano i figli dei poeti. Ma opinioni errate e condotte fuori dalla retta via, opinioni veramente perniciose, volsero " la pianta celeste ", l'uomo, fuori dalla vita celeste e lo piegarono sulla terra, a figure fatte di terra avendolo indotto ad attaccarsi. Alcuni infatti, facilmente ingannandosi riguardo allo spettacolo del cielo, e fidando nella sola vista, nell'osservare i movimenti degli astri, furono presi da meraviglia e divinizzarono gli astri chiamandoli dei da thein (= correre), e adorarono il sole, come gli Indi, e la luna, come i Frigi. Altri, nel cogliere i frutti coltivati delle piante, chiamarono Deo il grano, come gli Ateniesi, e Dioniso la vite, come i Tebani. Altri, avendo considerato il contraccambio che suole avere il male, divinizzano le punizioni, adorando perfino le sventure. Da qui i poeti drammatici hanno inventato le Erinni e le Eumenidi, e dei Palamnei e Prostropei e, inoltre, Alastori. Anche alcuni filosofi, seguendo l'esempio dei poeti, rappresentano, anche loro, come divinità le varie forme delle vostre passioni, il Timore, e l'Amore, e la Gioia, e la Speranza, come fece appunto anche l'antico Epimenide, che innalzò in Atene altari alla Hybris e alla Anaideia. Altri dei, derivati dagli stessi avvenimenti della vita, sono creati dagli uomini e sono rappresentati corporeamente tali sono le divinità attiche Dike e Clotho e Lachesi e Atropo, e Eimarmène, e Auxò e Thallò. Vi è una sesta maniera di introdurre l'inganno e di fornire nuovi dei, quella, in base alla quale gli uomini annoverano i dodici d‚i, dei quali Esiodo canta quella sua teogonia, e ai quali si riferisce tutto ciò che Omero dice intorno agli dei. Ne resta un'ultima (Poichè sette sono tutte queste maniere), quella che ha origine dai benefici divini che vengono agli uomini. Non conoscendo infatti il dio che li beneficava inventarono certi Dioscuri salvatori, ed Eracle allontanatore di mali e Asclepio medico. Sono queste le sdrucciolevoli e dannose trasgressioni della verità, che trascinano giù dal cielo l'uomo e lo volgono verso il baratro. Voglio ora mostrarvi da vicino gli stessi dei, perchè vediate quali siano e se veramente esistano, affinchè una buona volta cessiate dall'errore e di nuovo accorriate al cielo. " Giacchè eravamo anche noi figli dell'ira, come anche gli altri; ma Dio, che è ricco in misericordia, per il grande suo amore, col quale ci amò, quando eravamo già morti nel peccato ci fece rivivere insieme con Cristo". " Giacchè il Verbo è vivente ", e quegli che è stato sepolto insieme con Cristo è elevato insieme con Dio. Ma quelli che sono ancora non credenti, sono chiamati " figli dell'ira", allevati, cioè, per l'ira. Ma noi non siamo più creature dell'ira, perchè ci siamo staccati dall'errore, e balziamo verso la verità. In questo modo noi, che una volta eravamo figli della licenza, siamo diventati ora, grazie all'amore del Verbo per l'uomo, figli di Dio; ma è a voi che si riferisce il vostro poeta, l'agrigentino Empedocle: è per questo che voi, da gravi mali crucciati non mai dagli acerbi dolori l'animo alleggerirete. Orbene, la maggior parte delle cose riguardanti i vostri dei non sono che favole e invenzioni; ma le altre, quelle che si è creduto che siano realmente avvenute, non sono che delle notizie riferentisi a degli uomini turpi e che sono vissuti dissolutamente: Con folle orgoglio voi andate, e il dritto e giusto sentiero abbandonato, per quello partiste di rovi e di spini. A che andate errando, mortali? Cessate, o stolti, Lasciate l'oscuritd della notte, e conquistate la luce! Questo ci prescrive la profetica e poetica Sibilla, ce lo prescrive anche la Verità, la quale, spogliando da queste spaventevoli e terrificanti maschere la turba degli dei, dimostra con alcune somiglianze di nome la falsità delle vostre credenze. Così, per esempio: vi son di quelli i quali riferiscono che vi furono tre dei chiamati Zeus, uno, nato dall'Etere, in Arcadia, gli altri due, figli di Crono; di questi due, l'uno nato in Creta, l'altro, invece, in Arcadia. Vi sono di quelli che suppongono esseri state cinque dee chiamate Atena, l'una figlia di Efesto, la Ateniese, l'altra di Nilo, l'Egiziana, la terza di Crono, la inventrice della guerra, la quarta di Zeus, che i Messeni hanno chiamato Coryphasia dalla madre, e infine la figlia di Pallante e di Titanide figlia dell'Oceano, la quale, avendo ucciso empiamente il padre, si è adornata della pelle paterna come di un vello. Inoltre, di divinità chiamate Apollo, Aristotele ne elenca una prima, il figlio di Efesto e di Atena (qui non è più vergine Atena), una seconda in Creta, il figlio di Cyrbante, una terza, il figlio di Zeus, e una quarta, l'Arcade, il figlio di Sileno; questo è chiamato Nomio presso gli Arcadi; oltre a questi il libico, il figlio di Ammone. E il grammatico Didimo aggiunse a questi anche un sesto, il figlio di Magnete. Ma quanti Apolli vi sono anche attualmente, uomini innumerevoli, mortali e destinati a perire, i quali sono stati chiamati in modo simile a quello con cui furono chiamate le divinità sopradette? E se ti dicessi i molti Asclepii o gli Ermes che si annoverano o gli Efesti della mitologia? Non vi parrà che io faccia opera superflua, sommergendo i vostri orecchi con tutti questi nomi? Ma le patrie e le arti e le vite e, oltre a ciò, le tombe, dimostrano che essi sono stati uomini. Ares, per esempio, il quale è quanto più è possibile onorato anche presso i poeti, Ares, degli uomini peste, omicida, eversore di mura. questo " voltafaccia" e " implacabile" era, come dice Epicarmo, spartano, ma Sofocle lo sa trace ed altri arcade. Omero dice che fu tenuto incatenato per tredici mesi: Tollerò Ares, allora che Oto ed il forte Efialte, d'Aloeo figli, legaronlo in saldi nodi gagliardi; ed in prigione di bronzo fu legato per tredici mesi. Molti beni ricadano sulla testa dei Cari, i quali gli fanno sacrifizi di cani. E gli Sciti non cessino di sacrificargli gli asini, come dice Apollodoro, e Callimaco: Febo di tra iperborei sacrifizi d'asini sorge. E lo stesso poeta, altrove: Dilettan Febo le splendide immolazioni di asini. Efesto, che Zeus scagliò dall'Olimpo, " dalla soglia divina ", caduto a Lemno, faceva il fabbro ferraio, essendo storpio di tutti e due i piedi, " ma sotto, le gambe sottili movevansi agili ". Hai anche il medico, non solo il fabbro tra gli dei; e il medico era avaro, si chiamava Asclepio. E ti citerò il tuo poeta, il beota Pindaro: Indusse anche quello con grande mercede nelle mani apparsogli, l'oro; ma con le mani il Cronide lanciata la folgore traverso il petto di entrambi, lor tolse il respiro rapidamente, ed il fulmine ardente inflisse loro la morte; ed Euripide: Fu Zeus la causa, che mi uccise il figlio Asclepio, col lanciargli in cuor la folgore. Questo dunque giace fulminato nei confini di Cynosuride. Filocoro poi, dice che in Teno è onorato come medico Poseidone; e che la Sicilia è posta sopra Crono e che qui egli giace sepolto. Patrocle di Thuri e Sofocle il giovane in alcune tragedie narravano la storia dei due Dioscuri. Questi Dioscuri furono degli uomini mortali, se la testimonianza di Omero è attendibile quando dice: ormai li teneva la terra datrice di vita là in Lacedemone, nella patria terra diletta. Venga innanzi anche l'autore dei poemi Ciprii: Mortale Castore, e a lui è stato assegnato un destino di morte: immortale è invece, il rampollo d'Ares, Polluce. Questa è una menzogna poetica, ma Omero è più degno di fede di lui, quando parla di ambedue i Dioscuri, e, oltre a ciò, quando mostra che Eracle era un fantasma: " l'eroe" - dice infatti - " Eracle, di grandi opere esperto". Eracle dunque anche lo stesso Omero sa che fu uomo mortale. Il filosofo Ieronimo descrive anche la conformazione del suo corpo: piccolo, dai capelli ricci, forzuto. E Dicearco lo dice magro, muscoloso, nero, dal naso aquilino, dagli occhi cilestrini, dai capelli lunghi. Questo Eracle dunque, dopo essere vissuto cinquantadue anni, finì la vita, ed ebbe gli onori funebri per mezzo della pira dell'Eta. E le Muse, che Alcmane fa nascere da Zeus e da Mnemosyne, e gli altri poeti e prosatori divinizzano e venerano, e già anche intere città consacrano musei in loro onore, - queste non erano che delle servette Mysie, comprate da Megaclo, la figlia di Macar. Macar era re dei Lesbii, ed era sempre in lite con la moglie. Se n'affliggeva Megaclo per la madre; e che cosa non era disposta a fare? E così essa compra queste ancellette Myse, tante di numero (quante le Muse), e le chiama Moisai secondo il dialetto eolico. E insegnò loro a cantare le antiche imprese, e ad accompagnarsi con la cetra armoniosamente. Ed esse, citareggiando continuamente e bellamente affascinandolo coi loro canti, placavano l'animo di Macar e lo facevano cessare dall'ira. A ricordo di questo beneficio, Megaclo, come ringraziamento per conto della madre, innalzò statue di bronzo raffiguranti le fanciulle e ordinò che fossero onorate in tutti i templi. E tali sono le Muse; il racconto si trova presso Myrsilo di Lesbo. Udite ora gli amori dei vostri dei, le straordinarie storie della loro intemperanza e le loro ferite e le catene e le risa e le battaglie e le schiavitù e i simposi e gli amplessi e le lacrime e le passioni e le lascive voluttà. Chiamami Poseidone e lo stuolo delle fanciulle da lui corrotte, Amfitrite, Amymone, Alope, Melanippe, Alcyone, Ippothoe, Chione e le altre innumerevoli, nelle quali, pur essendo tante, non si saziavano ancora i desideri del vostro Poseidone. Chiamami anche Apollo: egli è Febo, tanto vate sacro che buon consigliere. Ma non dice così Sterope Nè Aethusa Nè Arsinoe Nè Zeuxippe, Nè Prothoe Nè Marpessa Nè Hypsipyle; giacchè Dafne riusc, solo lei, a sfuggire al vate e alla sua violenza. E venga infine lo stesso Zeus, "il padre " - secondo voi - " degli uomini e degli dei ". Tanto egli era dato ai piaceri venerei da desiderare tutte le donne e saziare in tutte il suo desiderio. Si saziava infatti di donne, non meno che di capre il becco dei Thmuiti. E io ammiro, o Omero, i tuoi versi: Disse, e col cenno delle c‹anee ciglia il Cronide assentì: le chiome divine ondeggiaron sul capo immortale del nume, e scrollò il grande Olimpo... Pieno di maestà, o Omero, tu rappresenti Zeus, e gli attribuisci un cenno del capo che è stato molto pregiato. Ma se per poco gli mostri, o uomo, il cinto (di Venere), Zeus si rivela per quello che è, e la sua chioma si copre di disonore. A qual punto di intemperanza si è spinto quello Zeus, che tante notti godette con Alcmena! Neppure, infatti, le nove notti furon lunghe per l'intemperante (ma l'intera vita, al contrario, era breve per la sua incontinenza) perchè ci procreasse il dio allontanatore di mali. Figlio di Zeus era Eracle, di Zeus veramente, egli che fu generato da una lunga notte e che compì pazientemente le dodici fatiche in lungo tempo, ma le cinquanta figlie di Thestio in una lunga notte violò, nello stesso tempo divenuto adultero e sposo di tante vergini. Non senza ragione dunque i poeti lo chiamano " infelice " e " scellerato ". Lungo sarebbe riferire i suoi adulterii d'ogni sorta e le sue corruzioni di fanciulli. Neppure, infatti, neppure dai fanciulli si astennero i vostri dei: uno amò Ila, un altro Iacintho, un altro Pelope, un altro Chrysippo, un altro Ganimede. Questi sono gli dei che le vostre donne debbono adorare, tali essi si augurino che siano i loro mariti, altrettanto temperanti, affinchè siano simili agli dei, col mostrarsi pieni di uno zelo uguale al loro. Questi dei i vostri figli si abituino a venerare, perchè diventino uomini, prendendo gli dei come un chiaro esempio di fornicazione. Ma forse, degli dei, soltanto i maschi sono infrenabili riguardo ai piaceri venerei; ma le dee, come donne, restarono in casa, ciascuna, per pudore - dice Omero, - vergognandosi, le dee, nella loro gravità, di vedere Afrodite sorpresa in adulterio. Ma esse sono più ardentemente licenziose, essendo legate in adulterio - Eos con Tithono, Selene con Endymione, Nereide con Eaco, Teti con Peleo, Demetra con Iasione, Persefone con Adoni. Afrodite, copertasi di vergogna con Ares, passò a Cinyra e sposò Anchise e insidiava Fetonte e amava Adoni, gareggiava con la boopide, e le dee, svestitesi, a causa del pomo, stavano nude, intente al pastore, per vedere quale di esse gli sembrasse bella. Su dunque, esaminiamo brevemente anche gli agoni e disperdiamo queste solenni adunanze sepolcrali, i giuochi istimici, nemei, pitici e soprattutto olimpici. A Pito dunque si venera il serpente pitico e l'adunanza tenuta in onore del serpente prende il nome di giuochi Pitici. Nell'istmo il mare sputò un miserevole rifiuto, e i giuochi Istmici piangono Melicerte. A Nemea giace sepolto un altro ragazzo, Archemoro, e la celebrazione fatta sulla tomba di questo ragazzo prende il nome di giuochi Nemei. La vostra Pisa, o Panelleni, è la tomba di un auriga frigio, e le libazioni che si fanno in onore di Pelope, cioè i giuochi Olimpici, lo Zeus di Fidia se le fa proprie. Misteri erano dunque, in origine, come sembra, gli agoni, Poichè si tenevano in onore di morti, come anche gli oracoli, e ambedue, dopo, sono divenuti pubblici. Ma i misteri che si tengono ad Agra e quelli che si tengono ad Alimunte dell'Attica sono stati limitati ad Atene; ma gli agoni e i falli che si consacrano a Dioniso, i quali hanno infestato la vita umana, sono, invece, una infamia mondiale. Bacchus enim descendendi ad Inferos desiderio flagrabat, sed viam ignorabat: hanc Prosymnus quidam promittit se monstraturum, verum non sine mercede. Merces ea in se quidem parum erat honesta, attamen honesta satis Baccho. Erat autem gratia Venerea, quam Bacchus postulabatur. Deo igitur non repugnanti petitio statim explicatur: isque iureiurando promittit, si redierit, se, quod vellet, facturum. Cum viam didicisset, abiit, rursusque rediit, nec offendit Prosymnum erat enim mortuus. Tum vero amatori ut debitum solveret, ad monumentum eius se confert, et muliebria patiendi desiderio flagrat. Cum ergo ficulneum excidisset ramum, instar virilis membri efformat; et ei insidens, promissum persolvit mortuo. Atque hoc facinus mystico ritu commemorant, qui Baccho Phallos fere per universas Graeciae urbes erigunt. " Giacchè, se non fosse in onore di Dioniso che fanno il corteo solenne e cantano l'inno alle vergogne, sarebbe vergognosissimo quello che compiono " - dice Eraclito -, " Ade è lo stesso che Dioniso, in onore del quale folleggiano e baccheggiano ", non tanto, come io credo, per l'ubbriachezza del corpo, quanto per la vergognosa rivelazione sacra della licenza. A ragione perciò questi vostri dei sono schiavi, perchè si sono resi schiavi delle passioni, chè anzi, anche prima dei così detti iloti presso i Lacedemoni, subiva il giogo servile Apollo sotto Admeto in Fere, Eracle in Sardi, sotto Omfale; Poseidone e Apollo erano servi di Laomedonte, quest'ultimo come un servo inutile, che evidentemente non aveva nemmeno potuto ottenere la libertà dal precedente padrone; in quel tempo essi anche edificarono le mura di Ilio al Frigio. Omero non si vergogna di dire che Atena faceva luce ad Ulisse, "tenendo un'aurea lucerna " nelle mani. E leggemmo di Afrodite, che, come una serviciattola impudica, portò ad Elena lo sgabello e lo pose di fronte al suo amante perche lo attirasse all'amplesso. Paniasi, inoltre, racconta che, oltre questi, moltissimi altri dei servirono ad uomini, così scrivendo: Soffrì Demetra, e il famoso dai piedi storpiati soffrì e soffrì Poseidone, soffrì Apollo dall'arco d'argento, di servir presso un uomo mortale per la durata di un anno: soffrì, costretto dal padre, anche Ares dall'animo ardente, e quello che segue. è naturale, per conseguenza, che qucsti vostri dei - dediti agli amori e soggetti alle passioni - ci siano presentati anche soggetti in tutto agli accidenti propri dell'umana natura. "Giacchè certamente ad essi mortale è la carne". Lo testimonia con molta precisione Omero, quando introduce Afrodite a lanciare alte e acute grida per la ferita, e narra che lo stesso bellicosissimo Ares fu ferito da Diomede nel fianco. Polemone poi dice che anche Atena fu ferita da Ornyto; e Omero dice inoltre che anche Aidoneo fu ferito di saetta da Eracle, e la stessa cosa narra Paniasi di Elios. Questo stesso Paniasi racconta che anche Era, la pronuba, fu ferita "in Pylo sabbiosa" dallo stesso Eracle. E Sosibio dice che anche Eracle fu ferito dagli Ippocoontidi nella mano. Se vi sono ferite, vi è anche sangue; il poetico icore infatti è anche più schifoso del sangue, giacchè per icore non si intende altro che la putrefazione del sangue. è necessario dunque offrir loro cure e cibi, di cui hanno bisogno. Per questo, banchetti e sbornie e risate e amplessi, mentre, se fossero immortali e bisognosi di niente ed esenti da vecchiaia, non godrebbero dei piaceri umani dell'amore Nè metterebbero al mondo figliuoli Nè si addormenterebbero. Lo Stesso Zeus partecipò ad una mensa umana presso gli Etiopi, e a una inumana e nefanda, invitato presso Lycaone l'arcade. Certo è che, senza volerlo, egli si riempiva di carni umane; giacchè il dio ignorava che Lycaone l'arcade, il suo ospite, aveva sgozzato il proprio figlio (si chiamava Nyctimo) e l'aveva imbandito, come piatto prelibato, a Zeus. Bello, questo Zeus, l'indovino, l'ospitale, il protettore dei supplici, il clemente, il panompheo, il vendicatore delle colpe: o, piuttosto, l'ingiusto, l'iniquo, il senza legge, l'empio, l'inumano, il violento, l'adultero, il lascivo. Ma allora egli esisteva, quando era tale, quando cioè era un uomo: ora, invece, mi pare che i anche vostri miti siano già invecchiati. Zeus non è più serpente, non cigno, non aquila, non uomo lascivo, non vola come dio, non è dato all'amore di fanciulli, non ama, non fa violenza: eppure vi sono ancora molte e belle donne, anche più belle di Leda e più floride di Semele, e giovanetti più freschi e più eleganti del frigio bifolco. Dov'èra quell'aquila? dove il cigno? dove lo stesso Zeus? Egli è invecchiato insieme con l'ala; non però si pente dei trascorsi amorosi Nè impara a essere temperante. Il mito vi è svelato nella sua nudità; morì Leda, morì il cigno, morì l'aquila. Cerchi il tuo Zeus? Non frugare il cielo, ma la terra. Te lo dirà il Cretese, nella cui terra è seppellito, come dice Callimaco nei suoi inni: ... chè il tuo sepolcro, o sovrano, l'hanno innalzato i Cretesi... è morto dunque Zeus (non dolertene, o Leda), come il cigno, come l'aquila, come l'uomo lascivo, come il serpente. Ma mi sembra che ormai anche gli stessi adoratori dei demoni, benchè a malincuore, comprendano tuttavia il loro errore riguardo agli dei: chè non son nati da antica quercia, e neppure da pietra, ma "sono della stirpe degli uomini", benchè fra poco si troverà che essi non sono che quercie e pietre. Stafilo, per esempio, racconta che a Sparta era venerato uno Zeus Agamennone. Fanocle nel libro intitolato " Gli amori o i belli" racconta che Agamennone, il re degli Elleni, è quegli che innalzò un tempio ad Argynno Afrodite, in memoria del suo amasio Argynno. Gli Arcadi, come dice Callimaco negli "Aitia", venerano una Artemide Apanchomene (strangolata). E un'altra Artemide, detta Condylitis, è onorata in Metimna. Vi è anche, nella Laconia, il tempio di un'altra Artemide, detta Podagra, come dice Sosibio. Polemone conosce una statua di Apollo "con la bocca aperta", e un'altra ancora, onorata nell'Elide, di Apollo "goloso". Qui, nell'Elide, gli Elei sacrificano a Zeus "scacciatore di mosche"; e i Romani sacrificano ad Eracle scacciatore di mosche e alla Febbre e allo Spavento, che essi mettono, anche questi, tra i compagni di Eracle. Lascio andare gli Argivi e i Laconi: gli Argivi rendono culto ad Afrodite Tymborychos (= scavatrice di sepolcri), e gli Spartani venerano Artemide Chelytis (= che tossisce), Poichè nel loro dialetto si dice chelyttein il tossire. Credi che le notizie che ti presentiamo siano desunte da noi da qualche fonte non autentica? Sembra che tu non riconosca neppure i tuoi scrittori - che io chiamo a testimoni contro la tua incredulità -, quali hanno riempito di empio ludibrio - poveri voi! tutta la vostra vita, che non merita, in realtà, di essere chiamata vita. Non sono invero onorati uno Zeus calvo, in Argo, e un altro, vendicatore, in Cipro? Non sacrificano ad Afrodite Peribaso (= divaricatrix) gli Argivi, e ad Afrodite etera gli Ateniesi, e ad Afrodite callipigia i Siracusani, quella che il poeta Nicandro ha in un punto chiamato " calliglutea"?. Taccio, infine, di Dioniso choiropsalas: adorano i Sicioni questo Dioniso, avendolo posto a presiedere agli organi femminili, venerando in questo modo, come ispettore della vergogna, il fondatore della licenza. Tali sono per gli stessi loro adoratori gli dei, e tali sono gli adoratori stessi che si fan giuoco degli dei o piuttosto beffeggiano ed oltraggiano se stessi. E quanto migliori dei Greci, che adorano tali dei, non sono gli Egiziani, che per villaggi e città venerano i bruti animali? Infatti queste divinità degli Egiziani, sebbene siano degli animali, non sono però adultere, non sono lascive e neppure una di esse va in caccia di piaceri che siano contro natura. Ma di quale natura siano invece le divinità dei Greci, che bisogno c’è ancora di dirlo, quando esse sono state già smascherate a sufficienza? Ordunque, gli Egiziani, dei quali poco fa ho fatto menzione, sono divisi secondo i loro culti. Di essi, i Syeniti venerano il pesce fagro, quelli che abitano Elefantina, il meote (altro pesce, questo), gli Oxyrynchiti, ugualmente, il pesce che prende il nome dalla loro regione; ancora, gli Eracleopolitani l'ichneumone, i Saiti e i Tebani la pecora, i Lycopolitani il lupo, i Cynopolitani il cane, il bue Api quelli di Memfi, i Mendesi il capro. Ma voi, che siete in tutto migliori degli Egiziani - esito a dirvi peggiori -, che non cessate di deridere ogni giorno gli Egiziani, come vi comportate nei riguardi degli animali irragionevoli? Tra voi, i Tessali onorano le cicogne a causa della costumanza, i Tebani le donnole a causa dalla nascita di Eracle. E che dire, per tornare ad essi, dei Tessali? Si racconta che essi venerano le formiche Poichè hanno appreso che Zeus, presa la forma di una formica, si mescolò con Eurymedusa, la figlia di Cletore, e generò Myrmidone. Polemone racconta che gli abitanti della Troade venerano i topi indigeni, che chiamano sminthi, perchè rosero le corde degli archi nemici, e da quei topi diedero ad Apollo il nome di Sminthio. Eraclide nelle sue " Fondazioni dei templi dell'Acarnania" dice che dove è il promontorio di Actio e il tempio di Apollo Actio si sacrifica prima un bue alle mosche. Nè mi dimenticherò dei Sami (i Sami, come dice Euforione, venerano la pecora) Nè dei Siri che abitano la Fenicia, dei quali alcuni venerano le colombe, altri i pesci, così esageratamente come gli Elei venerano Zeus. Ebbene dunque, dal momento che non sono dei quelli ai quali rendete culto, mi sembra opportuno esaminare quindi se essi siano in realtà demoni, iscritti, come voi dite, in questa seconda categoria. Giacchè, se essi sono realmente demoni, sono ingordi e impuri. è possibile trovare demoni indigeni, che raccolgono onore nelle varie città anche apertamente (come gli dei): presso i Cythni Menedemo, presso i Teni, Callistagora, presso i Delii, Anio, presso i Laconi, Astrabaco. è onorato anche un certo eroe a Falero " sulla poppa della nave", e la Pitia ordinò ai Plateesi di sacrificare ad Androcrate e a Democrate e a Cycleo e a Leucone nel tempo in cui le guerre mediche erano nel loro pieno. E chi è capace di fare anche un piccolo esame può abbracciare di un solo sguardo anche altri numerosissimi demoni: tre miriadi sono sulla terra nutrice di molti i demoni immortali, custodi di umani mortali. Chi siano questi custodi, o Beota, non rifiutarti di dirci. O è chiaro che essi sono questi, e quelli più onorati di essi, i grandi demoni, Apollo, Artemide, Leto, Demetra, Core, Plutone, Eracle, e lo stesso Zeus. Ma essi, o Ascreo, non ci custodiscono per impedirci di fuggire, ma forse per impedirci di peccare: essi, che certamente di peccati sono inesperti. Qui è il caso di dire il proverbio: " il padre che non si emenda, emenda il figlio". Se anche, dunque, essi sono custodi, lo fanno, non perchè si ispirino a sentimenti di benevolenza verso di voi, ma perchè, tutti intesi alla vostra rovina, a guisa di adulatori, si gettano sulla vita umana, adescati dal fumo dei sacrifizi. E i demoni stessi riconoscono in un certo punto la loro ghiottoneria quando dicono: La libazione e il fumo: è questo l'onor che sortimmo. Quali altre parole, se acquistassero la parola, direbbero gli dei degli Egiziani, quali i gatti e le donnole, se non queste parole omeriche e poetiche, e amiche dell'odore del grasso, e dell'arte della cucina? Tali sono dunque presso di voi gli dei e i demoni, e se vi sono anche altri chiamati semidei, alla stessa maniera dei semiasini. Nè infatti avete penuria di nomi per formare i composti necessari alla vostra empietà.

Capitolo 3


Orbene dunque, aggiungiamo anche questo, che i vostri dei sono demoni inumani e odiatori degli uomini, che non solo sono lieti della follia degli uomini, ma, oltre a ciò, anche godono delle umane uccisioni. Essi forniscono a se stessi occasioni di godimento, ora nelle lotte armate degli stadi, ora nelle innumerevoli contese delle guerre, per avere al massimo grado di che rimpinzarsi a sazietà di sangue umano; e già essi, piombando come flagelli per città e popoli, chiesero l'offerta di libagioni crudeli. Aristomene di Messene, per esempio, sgozzò trecento uomini a Zeus di Ithome, credendo di avere buoni auspici, sacrificando tante e, insieme, tali ecatombi tra gli altri era Teopompo, il re dei Lacedemoni, nobile vittima. I popoli Tauri, che abitano intorno alla penisola taurica, sacrificano senz'altro ad Artemide Taurica quelli degli stranieri che abbiano catturati nel loro territorio, di quelli cioè che hanno fatto naufragio. Questi tuoi sacrifizi li presenta sulla scena in una tragedia Euripide. Monimo nella sua " Raccolta delle cose mirabili " racconta di un uomo, di un Acheo, sacrificato a Peleo e a Chirone in Pelle, città della Tessaglia; Anticleide nei " Ritorni " ci fa sapere che i Lyctii (sono questi una tribù di Cretesi) immolano uomini a Zeus, e Dosida dice che i Lesbi offrono un simile sacrifizio a Dioniso. Quanto ai Focesi (non tralascerò infatti neppure questi), Pitocle nel terzo libro dell'opera " Sulla Concordia ", racconta che questi offrono l'olocausto di un uomo ad Artemide Taurica. L'attico Eretteo e il romano Mario sacrificarono le loro proprie figlie, l'uno a Persefone, come narra Demarato nel primo libro della sua opera " Argomenti di tragedie ", e l'altro, Mario, agli dei allontanatori di mali, come narra Doroteo nel quarto libro della sua " Storia italica ". Filantropici davvero appaiono da questi esempi i vostri demoni: e come non dovrebbero, analogamente, apparire pii i loro adoratori? Gli uni, che sono invocati come salvatori, gli altri, che chiedono la salvezza agli insidiatori della loro salvezza. Certamente, mentre suppongono di fare a quelli un sacrifizio favorevole, non s'accorgono di sgozzare, intanto, degli uomini. Infatti un'uccisione non diventa sacrifizio in ragione del luogo in cui essa è stata consumata, neppure se uno sgozzi un uomo ad Artemide e a Zeus in un luogo in apparenza - sacro, piuttosto che per ira e cupidigia, altri demoni dello stesso genere, sugli altari piuttosto che nelle strade, e lo consacri come vittima; ma uccisione e omicidio è un tale sacrificio. Perchè dunque, o uomini sapientissimi tra tutti gli esseri viventi, fuggiamo le fiere selvagge, e se ci imbattiamo in un orso o in un leone, ci volgiamo fuori della nostra strada come chi ha visto un serpente, s'arresta ed arretra di scatto nelle gole di un monte, e trema per tutte le membra, e si ritira indietro..., e quanto ai demoni invece, pur sentendo già prima e comprendendo che essi sono esiziali e nefasti insidiatori e odiatori degli uomini e sterminatori, non cambiate strada di fronte ad essi, e non tornate indietro? Che cosa di vero potrebbero dire i malvagi o a chi potrebhero giovare? Comunque, io posso dimostrarti che l'uomo è migliore di questi vostri dei - i quali, poi, non sono che demoni - e che Ciro e Solone sono migliori di Apollo, il dio della vaticinazione. Amante dei doni è il vostro Febo, ma non amante degli uomini. Trad il suo amico Creso, e dimenticatosi della mercede che aveva ricevuto (così era amante dell'ambiguità) trasse Creso attraverso l'Aly sulla pira. Amando in questo modo, i demoni guidano verso il fuoco. Ma tu, o uomo, più filantropico e più veritiero di Apollo, abbi compassione di colui che sta legato sulla pira. E tu, o Solone, vaticina la verità, e tu, o Ciro, fa' spegnere la pira. Impara finalmente, o Creso, a essere saggio, ora che la sventura ti ha insegnato la vera saggezza. Ingrato è quello che tu adori, prende la mercede, e, dopo aver preso l'oro, in cambio, mentisce. " Vedi la fine " non è il demone a dirtelo, ma l'uomo. Non ambiguamente vaticina Solone. Questo solo oracolo troverai veritiero, o barbaro; questo tu metterai alla prova sulla pira. Da ciò mi vien fatto di domandarmi maravigliato, da quali mai fantasie siano stati indotti coloro che per primi, essendo stati essi stessi


20 - Alcuni benefici che Maria santissima fece a casa di Zaccaria.

La mistica Città di Dio - Libro terzo - Suor Maria d'Agreda

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254. È proprietà ben nota dell'amore l'essere ardente ed attivo come il fuoco, se trova materia su cui operare; il fuoco spirituale lo è anche maggiormente, tanto che, se non ha materia, la cerca. Questo maestro ha trasmesso tanti consigli e tante arti virtuose a coloro che amano Cristo che non li lascia affatto stare oziosi. Poiché non è cieco né insano, ma conosce bene la natura del suo nobilissimo oggetto e la sua unica gelosia è quella che non sia amato da tutti, procura di comunicarlo senza invidia. Ora, l'amore che tutti portano a Dio, per quanto fervoroso e santo, è certamente limitato rispetto a quello di Maria santissima, eppure nei santi ha dato luogo ad un ammirabile e potente zelo delle anime, come appare da ciò che hanno compiuto per la loro salvezza; che mai sarà stato, allora, quello che operò in beneficio del prossimo questa grande Regina che era madre dell'amore divino e portava con sé il fuoco vivo e vero che veniva ad incendiare il mondo? In tutto il corso di quest'Opera i mortali conosceranno quanto devono a questa Signora. Anche se sarebbe impossibile riferire i casi particolari ed i benefici che fece a molte anime, tuttavia, affinché da alcuni si argomentino gli altri, in questo capitolo narrerò qualcosa di quanto successe riguardo a ciò mentre la Regina stava in casa di sua cugina santa Elisabetta.

255. Vi era una donna di servizio di sinistre inclinazioni, inquieta, iraconda e che era solita giurare e maledire. Con questi vizi ed altri disordini, mentre avrebbe voluto sopraffare i suoi padroni, stava tanto soggetta al demonio che questo tiranno con estrema facilità la muoveva a qualunque miseria e sregolatezza. Per questo, per lo spazio di quattordici anni fu assistita ed accompagnata da molti demoni, senza che la lasciassero un istante, per assicurarsi il possesso della sua anima. Solamente quando si trovava alla presenza della signora del cielo Maria santissima, i nemici si ritiravano, perché, come altre volte ho detto, la virtù della nostra regina li tormentava, e tanto più ora che racchiudeva nel suo reliquiario verginale il Signore onnipotente e Dio delle virtù; così, la serva non sentiva i cattivi effetti della loro compagnia. D'altra parte, la dolce vista e la conversazione della Regina andavano operando in lei un rinnòvamento tale che cominciò ad affezionarsi molto alla sua riparatrice. Per questo, procurava di assisterla con molto affetto e di offrirsi per servirla, guadagnando tutto il tempo che poteva per andare a starsene con sua Altezza, che guardava con riverenza, poiché tra le sue sregolate inclinazioni ne aveva una buona, cioè una certa naturale pietà e compassione per i bisognosi e gli umili, verso i quali si chinava volentieri facendo loro del bene.

256. La santissima Principessa, che conosceva profondamente le inclinazioni di quella donna, lo stato della sua coscienza, il pericolo della sua anima e la malizia dei demoni nei suoi confronti, rivolse a lei gli occhi della sua misericordia e la guardò con pietoso affetto di madre. Anche se sua Maestà sapeva che quell'assedio e dominio dei demoni era giusta pena dei suoi peccati, pregò per lei e le ottenne il perdono, il rimedio e la salvezza. Con la potestà che aveva su di loro, comandò ben presto ai demoni che lasciassero libera quella creatura e non tornassero più a turbarla e molestarla. Allora essi, non potendo resistere al comando della nostra grande Regina, si sottomisero e sbigottiti fuggirono, senza conoscere la causa di quel suo potere. Parlavano tra sé con meraviglia e sdegno, dicendo: «Chi è mai questa donna che ha su di noi una così straordinaria autorità? Da dove mai le viene un così irresistibile potere che opera tutto ciò che vuole?». Per questo, i nemici concepirono nuovo sdegno e nuova rabbia contro colei che con tanta forza schiacciava loro la testa. Intanto, però, quella felice peccatrice restò libera dalle loro grinfie; Maria santissima la ammonì, la corresse, le insegnò il cammino della salvezza e la mutò in tutt'altra donna, mansueta di cuore e senza alterigia. Ella perseverò, poi, in tale rinnovamento per tutta la sua vita, confessando che tutto il suo bene le era venuto dalla mano della nostra Regina, anche se non conobbe né penetrò il segreto della sua dignità. Tuttavia, continuò ad essere umile e riconoscente e finì la sua vita santamente.

257. Non era di qualità migliori un'altra donna vicina di casa a Zaccaria, la quale, come tale, soleva entrare e conversare con quelli della famiglia di santa Elisabetta. Viveva licenziosamente e, quando intese l'arrivo della nostra Regina a quella città e la modestia e serietà di lei, disse con leggerezza e curiosità: «Chi è questa forestiera tanto santa e ritirata che ci è capitata come ospite e vicina?». Per il desiderio vano e curioso di novità, come sogliono fare simili persone, procurò di vedere la santissima Signora per osservare il garbo e l'aspetto che aveva. Impertinente ed ozioso era questo fine, ma tale non fu il suo effetto, perché, avendo conseguito il suo intento, questa donna restò talmente ferita nel cuore alla vista di Maria santissima e per la sua presenza che si cambiò in tutt'altra e si trasformò in un nuovo essere. Mutò le proprie inclinazioni e, senza conoscere la virtù di quell'efficace strumento, la sentì così viva che le fece versare torrenti di lacrime per intimo dolore dei suoi peccati. Così, solo per avere posto gli occhi con attenzione curiosa sulla Madre della purezza verginale, questa felice donna ottenne in cambio la virtù della castità, restando libera dai vizi e dalle inclinazioni sensuali. Si ritirò per piangere la sua vita dissipata, ma poi fece in modo di vedere nuovamente la Madre della grazia e di parlare con lei. Sua Altezza acconsentì per confermarla, come colei che ben conosceva l'accaduto, portando nel suo seno l'Autore della grazia che fa santi e giustifica, poiché era in virtù di lui che l'avvocata dei peccatori operava. Perciò, la accolse con un materno sentimento di pietà, la ammonì e la istruì nelle virtù, lasciandola migliore e forte per perseverare.

258. In questo modo la nostra grande Signora operò conversioni ammirabili di un grande numero di anime, benché sempre in silenzio e nel segreto. Tutta la famiglia di santa Elisabetta e di san Zaccaria venne santificata dal suo comportamento e dalla sua conversazione. Migliorò ed arricchì di nuovi doni e favori i giusti, rese tali ed illuminò mediante la sua intercessione quelli che non lo erano. Con il suo riverenziale amore soggiogò tutti con tanta forza che ciascuno a gara le ubbidiva e la riconosceva come Madre, rifugio e conforto in tutte le necessità. Causavano questi effetti il solo vederla o poche parole, sebbene non negasse mai quelle necessarie per tali opere. Siccome, poi, di tutti penetrava l'intimo del cuore e conosceva lo stato della coscienza, applicava a ciascuno la medicina più opportuna. Alcune volte, benché non sempre, il Signore le manifestava se quelli che vedeva erano del numero degli eletti o dei reprobi, dei predestinati o dei dannati. Sia l'una che l'altra cosa produceva nel suo cuore ammirabili effetti di virtù perfettissima. A quelli che conosceva giusti e predestinati, infatti, dava molte benedizioni, come fa ancora dal cielo, ed il Signore se ne congratulava con lei; ella, intanto, intercedeva perché li conservasse nella sua grazia ed amicizia, intento per il quale faceva incomparabili sforzi e richieste. Quando vedeva qualcuno nel peccato, supplicava con intimo affetto per la sua giustificazione e di solito la otteneva. Se poi era reprobo, piangeva con amarezza e si umiliava alla presenza dell'Altissimo per la perdita di quella immagine ed opera della Divinità; faceva 'profonde orazioni, offerte ed umiliazioni perché altri non si dannassero, essendo ella in tutto una fiamma di amore divino, che non riposava né si quietava nell'operare cose grandi.

Insegnamento che mi diede la Regina del cielo

259. Figlia mia carissima, su due punti, come su due poli, si deve muovere tutta l'armonia delle tue facoltà e delle tue attenzioni: questi devono essere il conservarti nell'amicizia e nella grazia dell'Altissimo ed il procurarle ad altre anime. In questo si risolvano tutta la tua vita e tutte le tue occupazioni. Per conseguire fini così alti, quando occorra, non voglio che tu ti risparmi alcuna fatica, supplicando il Signore, offrendoti di patire persino la morte e sopportando realmente tutte le tribolazioni che ti saranno date ed a cui arriveranno le tue forze. Anche se per ottenere il bene delle anime non devi fare dispute con le creature, perché al tuo sesso non sono convenienti, devi cercare ed applicare con prudenza tutti i mezzi nascosti e più efficaci che conoscerai adatti allo scopo. Se tu sei figlia mia e sposa del mio Figlio santissimo, considera che le ricchezze della nostra casa sono le creature razionali, le quali, come ricchi gioielli, egli acquistò a prezzo della sua vita, della sua morte e di tutto il suo sangue, essendogli state tolte per la loro disubbidienza, mentre le aveva create da sé e per sé.

260. Perciò, quando il Signore ti manderà qualche anima bisognosa e ti farà conoscere il suo stato, affaticati con fedeltà per la sua redenzione; piangi e grida con affetto intimo e fervoroso per conseguire da Dio la riparazione di tanto danno e pericolo, non trascurando alcun mezzo né divino né umano, nel modo che ti è proprio, per ottenere la salvezza e la vita dell'anima che ti sarà consegnata. Con quella prudenza e misura che ti ho insegnato, non tralasciare di ammonirla e di pregare per tutto ciò che comprenderai esserle utile e con ogni segretezza affaticati per beneficarla. Similmente voglio che, quando sarà necessario, comandi ai demoni con tutto l'imperio, in nome dell'onnipotente Dio e mio, di allontanarsi e separarsi dalle anime che saprai da loro oppresse; poiché ciò succede in segreto, puoi spiegare tutta la franchezza e l'ardire per eseguirlo. Considera che il Signore ti ha posta e ti porrà in occasioni in cui tu possa praticare questo insegnamento; non dimenticarlo e non farlo rimanere sterile, poiché sei tenuta, come figlia di sua Maestà, a prenderti cura dei beni della casa di tuo padre. Non devi trovare riposo, quando non lo fai con ogni diligenza. Non temere, perché tutto potrai in colui che ti dà la forza; il suo potere divino corroborerà il tuo braccio per opere grandi.


20 luglio 1941

Madre Pierina Micheli

Oggi alla meditazione del pomeriggio il nemico, passava sotto la sedia e la fece cadere due volte. Ieri sera sbuffava imprecando contro il Padre e S. Silvestro.

- La Confessione è il Sacramento dove Gesù ha manifestato il più grande amore alle sue creature. Mi sono sentita fortemente commos­sa, e spinta a riparare per tutti gli oltraggi che Gesù riceve in questo Sacramento e per tutte le mie infedeltà, freddezze, ripugnanze. Gesù vivente nel Confessore! se fossi sempre profondamente animata da questa grande verità, con quale amore e unzione mi accosterei a que­sto Sacramento.

Prima della Confessione considererò la sconfinata bontà di Gesù nel­l'istituire questo Sacramento e andrò con una gran fede, un grande amore a ricevere da Gesù il perdono. Parlare con Gesù manifestarGli le mie miserie e ascoltare le sue parole di perdono. Quale conforto!