Sotto il Tuo Manto

Giovedi, 5 giugno 2025 - San Bonifacio (Letture di oggi)

Molti, ingannati dal demonio, con la scusa di voler sapere per fare del bene al prossimo, non temono suffi­cientemente i pericoli di una indiscre­ta curiosità , e così restano intrappola­ti nel laccio per essi preparato, donde derivano deplorevoli cadute. (Massime di perfezione cristiana)

Liturgia delle Ore - Letture

Venerdi della 1° settimana del tempo di Quaresima

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Giovanni 8

1Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi.2Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava.3Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo,4gli dicono: "Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio.5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?".6Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.7E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei".8E chinatosi di nuovo, scriveva per terra.9Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo.10Alzatosi allora Gesù le disse: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?".11Ed essa rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù le disse: "Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più".

12Di nuovo Gesù parlò loro: "Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita".

13Gli dissero allora i farisei: "Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera".14Gesù rispose: "Anche se io rendo testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove vengo e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado.15Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno.16E anche se giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato.17Nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera:18orbene, sono io che do testimonianza di me stesso, ma anche il Padre, che mi ha mandato, mi dà testimonianza".19Gli dissero allora: "Dov'è tuo padre?". Rispose Gesù: "Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio".20Queste parole Gesù le pronunziò nel luogo del tesoro mentre insegnava nel tempio. E nessuno lo arrestò, perché non era ancora giunta la sua ora.
21Di nuovo Gesù disse loro: "Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire".22Dicevano allora i Giudei: "Forse si ucciderà, dal momento che dice: Dove vado io, voi non potete venire?".23E diceva loro: "Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo.24Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che io sono, morirete nei vostri peccati".25Gli dissero allora: "Tu chi sei?". Gesù disse loro: "Proprio ciò che vi dico.26Avrei molte cose da dire e da giudicare sul vostro conto; ma colui che mi ha mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui".27Non capirono che egli parlava loro del Padre.28Disse allora Gesù: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo.29Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite".30A queste sue parole, molti credettero in lui.

31Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: "Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli;32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi".33Gli risposero: "Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?".34Gesù rispose: "In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato.35Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre;36se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero.37So che siete discendenza di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova posto in voi.38Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro!".39Gli risposero: "Il nostro padre è Abramo". Rispose Gesù: "Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo!40Ora invece cercate di uccidere me, che vi ho detto la verità udita da Dio; questo, Abramo non l'ha fatto.41Voi fate le opere del padre vostro". Gli risposero: "Noi non siamo nati da prostituzione, noi abbiamo un solo Padre, Dio!".42Disse loro Gesù: "Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato.43Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole,44voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna.45A me, invece, voi non credete, perché dico la verità.46Chi di voi può convincermi di peccato? Se dico la verità, perché non mi credete?47Chi è da Dio ascolta le parole di Dio: per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio".
48Gli risposero i Giudei: "Non diciamo con ragione noi che sei un Samaritano e hai un demonio?".49Rispose Gesù: "Io non ho un demonio, ma onoro il Padre mio e voi mi disonorate.50Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca e giudica.51In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte".52Gli dissero i Giudei: "Ora sappiamo che hai un demonio. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: "Chi osserva la mia parola non conoscerà mai la morte".53Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti; chi pretendi di essere?".54Rispose Gesù: "Se io glorificassi me stesso, la mia gloria non sarebbe nulla; chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: "È nostro Dio!",55e non lo conoscete. Io invece lo conosco. E se dicessi che non lo conosco, sarei come voi, un mentitore; ma lo conosco e osservo la sua parola.56Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò".57Gli dissero allora i Giudei: "Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?".58Rispose loro Gesù: "In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono".59Allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.


Giosuè 13

1Quando Giosuè fu vecchio e avanti negli anni, il Signore gli disse: "Tu sei diventato vecchio, avanti negli anni e rimane molto territorio da occupare.2Questo è il paese rimasto: tutti i distretti dei Filistei e tutto il territorio dei Ghesuriti,3dal Sicor, che è sulla frontiera dell'Egitto, fino al territorio di Ekron, al nord, che è ritenuto cananeo, i cinque principati dei Filistei: quello di Gaza, di Asdod, di Ascalon, di Gat e di Ekron; gli Avviti4al mezzogiorno; tutto il paese dei Cananei, da Ara che è di quelli di Sidòne, fino ad Afek, sino al confine degli Amorrei;5il paese di quelli di Biblos e tutto il Libano ad oriente, da Baal-Gad sotto il monte Ermon fino all'ingresso di Amat.6Tutti gli abitanti delle montagne dal Libano a Misrefot-Maim, tutti quelli di Sidòne, io li scaccerò davanti agli Israeliti. Però tu assegna questo paese in possesso agli Israeliti, come ti ho comandato.7Ora dividi questo paese a sorte alle nove tribù e a metà della tribù di Manàsse".
8Insieme con l'altra metà di Manàsse, i Rubeniti e i Gaditi avevano ricevuto la loro parte di eredità, che Mosè aveva data loro oltre il Giordano, ad oriente, come aveva concesso loro Mosè, servo del Signore.9Da Aroer, che è sulla riva del fiume Arnon, e dalla città, che è in mezzo alla valle, tutta la pianura di Madaba fino a Dibon;10tutte le città di Sicon, re degli Amorrei, che regnava in Chesbon, sino al confine degli Ammoniti.11Inoltre Gàlaad, il territorio dei Ghesuriti e dei Maacatiti, tutte le montagne dell'Ermon e tutto Basan fino a Salca;12tutto il regno di Og, in Basan, il quale aveva regnato in Astarot e in Edrei ed era l'ultimo superstite dei Refaim, Mosè li aveva debellati e spodestati.13Però gli Israeliti non avevano scacciato i Ghesuriti e i Maacatiti; così Ghesur e Maaca abitano in mezzo ad Israele fino ad oggi.14Soltanto alla tribù di Levi non aveva assegnato eredità: i sacrifici consumati dal fuoco per il Signore, Dio di Israele, sono la sua eredità, secondo quanto gli aveva detto il Signore.
15Mosè aveva dato alla tribù dei figli di Ruben una parte secondo le loro famiglie16ed essi ebbero il territorio da Aroer, che è sulla riva del fiume Arnon, e la città che è a metà della valle e tutta la pianura presso Madaba;17Chesbon e tutte le sue città che sono nella pianura, Dibon, Bamot-Baal, Bet-Baal-Meon,18Iaaz, Kedemot, Mefaat,19Kiriataim, Sibma e Zeret-Sacar sulle montagne che dominano la valle;20Bet-Peor, i declivi del Pisga, Bet-Iesimot,21tutte le città della pianura, tutto il regno di Sicon, re degli Amorrei, che aveva regnato in Chesbon e che Mosè aveva sconfitto insieme con i capi dei Madianiti, Evi, Rekem, Zur, Cur e Reba, vassalli di Sicon, che abitavano nella regione.22Quanto a Balaam, figlio di Beor, l'indovino, gli Israeliti lo uccisero di spada insieme a quelli che avevano trafitto.23Il confine per i figli di Ruben fu dunque il Giordano e il territorio limitrofo. Questa fu l'eredità dei figli di Ruben secondo le loro famiglie: le città con i loro villaggi.
24Mosè poi aveva dato una parte alla tribù di Gad, ai figli di Gad secondo le loro famiglie25ed essi ebbero il territorio di Iazer e tutte le città di Gàlaad e metà del paese degli Ammoniti fino ad Aroer, che è di fronte a Rabba,26e da Chesbon fino a Ramat-Mizpe e Betonim e da Macanaim fino al territorio di Lodebar;27nella valle: Bet-Aram e Bet-Nimra, Succot e Zafon, il resto del regno di Sicon, re di Chesbon. Il Giordano era il confine sino all'estremità del mare di Genèsaret oltre il Giordano, ad oriente.28Questa è l'eredità dei figli di Gad secondo le loro famiglie: le città con i loro villaggi.
29Mosè aveva dato una parte a metà della tribù dei figli di Manàsse, secondo le loro famiglie30ed essi ebbero il territorio da Macanaim, tutto il Basan, tutto il regno di Og, re di Basan, e tutti gli attendamenti di Iair, che sono in Basan: sessanta città.31La metà di Gàlaad, Astarot e Edrei, città del regno di Og in Basan furono dati ai figli di Machir, figlio di Manàsse, anzi alla metà dei figli di Machir, secondo le loro famiglie.
32Questo distribuì Mosè nelle steppe di Moab, oltre il Giordano di Gèrico, ad oriente.33Alla tribù di Levi però Mosè non aveva assegnato alcuna eredità: il Signore, Dio di Israele, è la loro eredità, come aveva loro detto.


Salmi 66

1'Al maestro del coro. Canto. Salmo.'

Acclamate a Dio da tutta la terra,
2cantate alla gloria del suo nome,
date a lui splendida lode.
3Dite a Dio: "Stupende sono le tue opere!
Per la grandezza della tua potenza
a te si piegano i tuoi nemici.
4A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome".

5Venite e vedete le opere di Dio,
mirabile nel suo agire sugli uomini.
6Egli cambiò il mare in terra ferma,
passarono a piedi il fiume;
per questo in lui esultiamo di gioia.
7Con la sua forza domina in eterno,
il suo occhio scruta le nazioni;
i ribelli non rialzino la fronte.

8Benedite, popoli, il nostro Dio,
fate risuonare la sua lode;
9è lui che salvò la nostra vita
e non lasciò vacillare i nostri passi.

10Dio, tu ci hai messi alla prova;
ci hai passati al crogiuolo, come l'argento.
11Ci hai fatti cadere in un agguato,
hai messo un peso ai nostri fianchi.
12Hai fatto cavalcare uomini sulle nostre teste;
ci hai fatto passare per il fuoco e l'acqua,
ma poi ci hai dato sollievo.

13Entrerò nella tua casa con olocausti,
a te scioglierò i miei voti,
14i voti pronunziati dalle mie labbra,
promessi nel momento dell'angoscia.
15Ti offrirò pingui olocausti
con fragranza di montoni,
immolerò a te buoi e capri.

16Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
17A lui ho rivolto il mio grido,
la mia lingua cantò la sua lode.
18Se nel mio cuore avessi cercato il male,
il Signore non mi avrebbe ascoltato.
19Ma Dio ha ascoltato,
si è fatto attento alla voce della mia preghiera.

20Sia benedetto Dio che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia.


Salmi 69

1'Al maestro del coro. Su "I gigli". Di Davide.'

2Salvami, o Dio:
l'acqua mi giunge alla gola.
3Affondo nel fango e non ho sostegno;
sono caduto in acque profonde
e l'onda mi travolge.
4Sono sfinito dal gridare,
riarse sono le mie fauci;
i miei occhi si consumano
nell'attesa del mio Dio.
5Più numerosi dei capelli del mio capo
sono coloro che mi odiano senza ragione.
Sono potenti i nemici che mi calunniano:
quanto non ho rubato, lo dovrei restituire?

6Dio, tu conosci la mia stoltezza
e le mie colpe non ti sono nascoste.
7Chi spera in te, a causa mia non sia confuso,
Signore, Dio degli eserciti;
per me non si vergogni
chi ti cerca, Dio d'Israele.

8Per te io sopporto l'insulto
e la vergogna mi copre la faccia;
9sono un estraneo per i miei fratelli,
un forestiero per i figli di mia madre.

10Poiché mi divora lo zelo per la tua casa,
ricadono su di me gli oltraggi di chi ti insulta.
11Mi sono estenuato nel digiuno
ed è stata per me un'infamia.

12Ho indossato come vestito un sacco
e sono diventato il loro scherno.
13Sparlavano di me quanti sedevano alla porta,
gli ubriachi mi dileggiavano.

14Ma io innalzo a te la mia preghiera,
Signore, nel tempo della benevolenza;
per la grandezza della tua bontà, rispondimi,
per la fedeltà della tua salvezza, o Dio.
15Salvami dal fango, che io non affondi,
liberami dai miei nemici
e dalle acque profonde.
16Non mi sommergano i flutti delle acque
e il vortice non mi travolga,
l'abisso non chiuda su di me la sua bocca.

17Rispondimi, Signore, benefica è la tua grazia;
volgiti a me nella tua grande tenerezza.
18Non nascondere il volto al tuo servo,
sono in pericolo: presto, rispondimi.

19Avvicinati a me, riscattami,
salvami dai miei nemici.
20Tu conosci la mia infamia,
la mia vergogna e il mio disonore;
davanti a te sono tutti i miei nemici.
21L'insulto ha spezzato il mio cuore e vengo meno.
Ho atteso compassione, ma invano,
consolatori, ma non ne ho trovati.
22Hanno messo nel mio cibo veleno
e quando avevo sete mi hanno dato aceto.

23La loro tavola sia per essi un laccio,
una insidia i loro banchetti.
24Si offuschino i loro occhi, non vedano;
sfibra per sempre i loro fianchi.

25Riversa su di loro il tuo sdegno,
li raggiunga la tua ira ardente.
26La loro casa sia desolata,
senza abitanti la loro tenda;
27perché inseguono colui che hai percosso,
aggiungono dolore a chi tu hai ferito.
28Imputa loro colpa su colpa
e non ottengano la tua giustizia.
29Siano cancellati dal libro dei viventi
e tra i giusti non siano iscritti.

30Io sono infelice e sofferente;
la tua salvezza, Dio, mi ponga al sicuro.
31Loderò il nome di Dio con il canto,
lo esalterò con azioni di grazie,
32che il Signore gradirà più dei tori,
più dei giovenchi con corna e unghie.

33Vedano gli umili e si rallegrino;
si ravvivi il cuore di chi cerca Dio,
34poiché il Signore ascolta i poveri
e non disprezza i suoi che sono prigionieri.
35A lui acclamino i cieli e la terra,
i mari e quanto in essi si muove.

36Perché Dio salverà Sion,
ricostruirà le città di Giuda:
vi abiteranno e ne avranno il possesso.
37La stirpe dei suoi servi ne sarà erede,
e chi ama il suo nome vi porrà dimora.


Isaia 56

1Così dice il Signore:
"Osservate il diritto e praticate la giustizia,
perché prossima a venire è la mia salvezza;
la mia giustizia sta per rivelarsi".
2Beato l'uomo che così agisce
e il figlio dell'uomo che a questo si attiene,
che osserva il sabato senza profanarlo,
che preserva la sua mano da ogni male.
3Non dica lo straniero
che ha aderito al Signore:
"Certo mi escluderà
il Signore dal suo popolo!".
Non dica l'eunuco:"Ecco, io sono un albero secco!".
4Poiché così dice il Signore:
"Agli eunuchi, che osservano i miei sabati,
preferiscono le cose di mio gradimento
e restan fermi nella mia alleanza,
5io concederò nella mia casa
e dentro le mie mura un posto e un nome
migliore che ai figli e alle figlie;
darò loro un nome eterno
che non sarà mai cancellato.
6Gli stranieri, che hanno aderito
al Signore per servirlo
e per amare il nome del Signore,
e per essere suoi servi,
quanti si guardano dal profanare il sabato
e restano fermi nella mia alleanza,
7li condurrò sul mio monte santo
e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera.
I loro olocausti e i loro sacrifici
saliranno graditi sul mio altare,
perché il mio tempio si chiamerà
casa di preghiera per tutti i popoli".
8Oracolo del Signore Dio
che raduna i dispersi di Israele:
"Io ancora radunerò i suoi prigionieri,
oltre quelli già radunati".
9Voi tutte, bestie dei campi,
venite a mangiare;
voi tutte, bestie della foresta, venite.

10I suoi guardiani sono tutti ciechi,
non si accorgono di nulla.
Sono tutti cani muti,
incapaci di abbaiare;
sonnecchiano accovacciati,
amano appisolarsi.
11Ma tali cani avidi,
che non sanno saziarsi,
sono i pastori
incapaci di comprendere.
Ognuno segue la sua via,
ognuno bada al proprio interesse, senza eccezione.
12"Venite, io prenderò vino
e ci ubriacheremo di bevande inebrianti.
Domani sarà come oggi;
ce n'è una riserva molto grande".


Prima lettera ai Corinzi 8

1Quanto poi alle carni immolate agli idoli, sappiamo di averne tutti scienza.2Ma la scienza gonfia, mentre la carità edifica. Se alcuno crede di sapere qualche cosa, non ha ancora imparato come bisogna sapere.3Chi invece ama Dio, è da lui conosciuto.4Quanto dunque al mangiare le carni immolate agli idoli, noi sappiamo che non esiste alcun idolo al mondo e che non c'è che un Dio solo.5E in realtà, anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e molti signori,6per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui.

7Ma non tutti hanno questa scienza; alcuni, per la consuetudine avuta fino al presente con gli idoli, mangiano le carni come se fossero davvero immolate agli idoli, e così la loro coscienza, debole com'è, resta contaminata.8Non sarà certo un alimento ad avvicinarci a Dio; né, se non ne mangiamo, veniamo a mancare di qualche cosa, né mangiandone ne abbiamo un vantaggio.9Badate però che questa vostra libertà non divenga occasione di caduta per i deboli.10Se uno infatti vede te, che hai la scienza, stare a convito in un tempio di idoli, la coscienza di quest'uomo debole non sarà forse spinta a mangiare le carni immolate agli idoli?11Ed ecco, per la tua scienza, va in rovina il debole, un fratello per il quale Cristo è morto!12Peccando così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza debole, voi peccate contro Cristo.13Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello.


Capitolo XV: Le opere fatte per amore

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1. Non si deve fare alcun male, per nessuna cosa al mondo né per compiacenza verso chicchessia; talora, invece, per giovare a uno che ne ha bisogno, si deve senza esitazione lasciare una cosa buona che si sta facendo, o sostituirla con una ancora più buona: in tal modo non si distrugge l'opera buona, ma soltanto la si trasforma in meglio.

2. A nulla giova un'azione esterna compiuta senza amore; invece, qualunque cosa, per quanto piccola e disprezzata essa sia, se fatta con amore, diventa tutta piena di frutti. In verità Iddio non tiene conto dell'azione umana in sé e per sé, ma dei moventi di ciascuno. Opera grandemente colui che agisce con rettitudine; opera lodevolmente colui che si pone al servizio della comunità, più che del suo capriccio. Accade spesso che ci sembri amore ciò che è piuttosto attaccamento carnale; giacché è raro che, sotto le nostre azioni, non ci siano l'inclinazione naturale, il nostro gusto, la speranza di una ricompensa, il desiderio del nostro comodo. Chi ha un amore vero e perfetto non cerca se stesso, in alcuna sua azione, ma desidera solamente che in ogni cosa si realizzi la gloria di Dio. Di nessuno è invidioso colui che non tende al proprio godimento, né vuole personali soddisfazioni, desiderando, al di là di ogni bene, di avere beatitudine in Dio. Costui non attribuisce alcunché di buono a nessuno, ma riporta il bene totalmente a Dio; dal quale ogni cosa procede, come dalla sua fonte e, nel quale, alla fine, tutti i santi godono pace. Oh, chi avesse anche una sola scintilla di vera carità, per certo capirebbe che tutto ciò che è di questa terra è pieno di vanità.


DISCORSO 288 NEL NATALE DI GIOVANNI BATTISTA

Discorsi - Sant'Agostino

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(La voce e la Parola)

La celebrazione della nascita di S. Giovanni.

1. La festività odierna nella ricorrenza annuale richiama alla memoria che il precursore del Signore nacque in circostanze di eccezionale singolarità; soprattutto oggi conviene che la sua nascita sia oggetto della nostra riflessione e della nostra lode. A questo infatti e a tale prodigioso evento è dedicato il giorno anniversario, ad evitare che la dimenticanza cancelli dai nostri cuori i benefici di Dio e le meraviglie dell'eccelso. Giovanni, dunque, quale araldo del Signore, fu inviato davanti a lui, ma creato per mezzo di lui. Infatti: Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e nulla senza di lui è stato fatto 1. Davanti all'uomo-Dio fu inviato l'uomo che riconosceva il suo Signore, annunziava il suo Creatore; individuandolo interiormente già presente sulla terra, mostrandolo a dito. Le parole di lui infatti sono proprie di chi sta a indicare il Signore e gli rende testimonianza: Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo 2. A ragione, dunque, la sterile generò l'araldo, la vergine il giudice. Nella madre di Giovanni la sterilità ricevette la fecondità; nella madre di Cristo, la fecondità non intaccò la verginità. Se la vostra pazienza e un interesse tranquillo e un attento silenzio mi vorrà rendere possibile, con l'aiuto di Dio, che io dica quanto egli mi concede di esporre, ciò sarà, senza dubbio, frutto della vostra attenzione e prezzo dell'opera del nostro impegno, così che io possa far penetrare nelle vostre orecchie e nei vostri cuori qualcosa che attinge un grande mistero.

Giovanni è più che un profeta; nel disprezzo di sé esalta Cristo.

2. Vi furono dei profeti prima di Giovanni, e molti, e grandi, e santi, degni di Dio, pieni di Dio, che preannunziavano il Salvatore, testimoni della verità. Nondimeno, di nessuno di loro si poté dire quel che fu detto di Giovanni: Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni Battista 3. A che mira una tale grandezza inviata a precedere il Grande? Alla testimonianza di una profonda umiltà. Era tale infatti la sua potenza da poter essere ritenuto il Cristo. Giovanni avrebbe potuto sfruttare l'errore degli uomini anche senza darsi da fare a persuadere di essere il Cristo, perché, pur tacendo da parte sua, già glielo attribuivano quanti lo ascoltavano e lo vedevano. Non era suo compito seminare l'errore, ma di incoraggiare alla fedeltà. Ma, quale umile amico dello Sposo, pieno di zelo verso lo Sposo, egli non si sostituisce, da adultero, allo Sposo, rende testimonianza all'amico suo, si fa anche premura di presentare alla sposa Colui che era il vero Sposo; per essere amato in lui, ha in orrore di essere amato al suo posto. Chi possiede la sposa - dice - è lo sposo. E, come se tu chiedessi: E che dici di te? Ma l'amico dello sposo - dice - è lì in piedi e l'ascolta, ed è pieno di gioia alla voce dello sposo 4. È lì in piedi ed ascolta: il discepolo ascolta il maestro; è in piedi perché ascolta; perché, se non ascolta, cade. È un fatto che vale a garantire perfettamente la dignità di Giovanni; infatti, pur potendo farsi valere quale il Cristo, preferì rendere testimonianza a Cristo, attirare l'attenzione su di lui, abbassarsi, piuttosto che essere accolto in suo luogo e venire a mancare a se stesso. A ragione è stato riconosciuto più che un profeta. Quanto ai Profeti, infatti, che vissero prima della venuta del Signore, così dice il Signore stesso: Molti Profeti e giusti hanno desiderato vedere quel che voi vedete e non lo videro 5. In realtà, coloro che erano ripieni dello Spirito di Dio, per annunziare il Cristo venturo, bramavano vederlo presente sulla terra, se fosse stato possibile. Ecco perché quel ben noto Simeone desiderava fosse differita la sua separazione dal mondo per vedere nato Colui per il quale era stato creato il mondo 6. E proprio a lui fu concesso vedere neonato il Verbo di Dio, nella carne; ma non insegnava ancora, non era ancora pubblicamente il maestro Colui che, presso il Padre, era appunto il maestro degli angeli. Lo vide, dunque, Simeone, ma neonato; Giovanni, al contrario, quando già evangelizzava, già procedeva alla scelta dei discepoli. Dove? Presso il fiume Giordano. Di là ebbe inizio infatti il magistero di Cristo. Ivi fu raccomandato il battesimo che avrebbe impartito Cristo, in quanto si assunse il compito del battesimo che doveva precedere, di preparare la via, dicendo: Preparate la via al Signore, raddrizzate i suoi sentieri 7. Volle perciò il Signore essere battezzato dal servo, perché vedessero che cosa ricevono coloro che vengono battezzati dal Signore. Di qui dunque il progredire di quanto giustamente aveva anticipato la profezia: Dominerà da mare a mare e dal fiume fino ai confini della terra 8. Presso quel fiume dal quale Cristo dette inizio al suo dominio, Giovanni poté vederlo, lo conobbe, gli rese testimonianza. Si abbassò davanti al potente, così che, dal potente, l'umile venisse esaltato. E si presentò quale amico dello Sposo: e in che modo amico? alla pari con lui forse? Lungi da noi: di gran lunga inferiore. Inferiore di quanto? Non sono degno - disse - di sciogliere il legaccio del suo sandalo 9. Questo Profeta, anzi, più che profeta, meritò di essere preannunziato da un Profeta. A suo riguardo, infatti, Isaia disse ciò di cui oggi ci è stata data lettura: Voce di colui che grida nel deserto: Preparate la via al Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Ogni valle sarà colmata e ogni monte e colle sarà abbassato; le vie tortuose diventeranno diritte e quelle scoscese pianure; ed ogni uomo vedrà la salvezza di Dio. Grida: Che cosa griderò? Ogni uomo è come l'erba, e tutta la sua gloria come un fiore del campo: secca l'erba, il fiore appassisce, ma la Parola del Signore dura sempre 10. Faccia attenzione la Carità vostra. Giovanni, richiesto se fosse il Cristo, o Elia, o uno dei Profeti, disse: Non sono il Cristo, né Elia, né un profeta 11. E quelli: Chi sei, dunque? Io sono la voce di uno che grida nel deserto 12. Disse di sé che era voce. Tu hai Giovanni quale voce. Che hai quale Cristo se non il Verbo? Si fa precedere la voce perché poi sia inteso il Verbo. E quale Verbo? Ascolta chi te lo sa rivelare chiaramente: In principio - dice - era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio: Egli era in principio presso Dio. Per mezzo di lui sono state create tutte le cose e nulla è stato creato senza di lui 13. Se ha creato tutte le cose, anche Giovanni. Di che ci meravigliamo se il Verbo si creò una voce? Osserva, osserva l'uno e l'altra presso il fiume, e la voce e il Verbo. La voce: Giovanni, il Verbo: Cristo.

Quale differenza tra voce e parole.

3. Indaghiamo quale differenza intercorra tra voce e parola: procediamo attenti; non è cosa di poco conto e richiede uno sforzo non limitato. Il Signore a me concederà di non provare stanchezza nella spiegazione e a voi nell'ascolto. Ecco due qualcosa, la voce e la parola. Cos'è la voce? Cos'è la parola? cos'è? Mettetevi in ascolto di ciò a cui, in voi stessi, potete dare assenso; postavi la domanda proprio da parte vostra, datevi quindi la risposta. La parola, se non può avere un mezzo che la esprima, non si chiama parola. D'altra parte, la voce, sebbene non sia altro che un suono e dia luogo a clamori disordinati, - come avviene in chi grida non in chi parla -, si può chiamare voce, ma non si può chiamare parola. Non so chi si è sentito gemere, è una voce; ha urlato, è una voce. È un certo suono indefinibile che diffonde strepito e assorda le orecchie senza alcuna traccia di intelligibilità. Del resto, la parola, se non ha una qualche espressione, se non fa giungere altro alle orecchie, se non apporta altro alla mente, non si chiama parola. Perciò, come dicevo, se gridi, è voce; se dici: uomo, è parola; così pure se dici: bestiame; se: Dio; se: mondo, oppure qualcosa d'altro. Ho espresso, infatti, questi suoni tutti con un contenuto indicativo, non vuoti, non che risuonano e nulla fanno capire. Dunque, se avete ormai compreso la distinzione tra voce e parola, ascoltate ciò che vi deve stupire in questi due, Giovanni e Cristo. La parola è di grandissimo valore anche senza voce; la voce non ha senso senza la parola. Ne rendiamo ragione e, se ci è possibile, chiariremo quanto ci siamo proposti. Ecco, hai voluto dire qualcosa: quello stesso che vuoi dire è già concepito interiormente; lo ritiene la memoria, è deciso dalla volontà, ha vitalità dall'intelletto. Inoltre questo stesso che vuoi dire non è proprio di alcuna lingua. Anche il concetto che vuoi esprimere, che si è creato nell'animo, non è proprio di alcuna lingua, né greca, né latina, né cartaginese, né ebraica, né di alcun popolo. Il concetto è stato concepito solo nell'animo, è sul punto di essere espresso. Perciò, come ho detto, è una qualche concezione, una qualche opinione, un ragionamento concepito nell'intimo, pronto a venir fuori, per penetrare in chi ascolta. Di conseguenza, in quanto è conosciuta da chi la possiede interiormente, perciò è parola, già nota a chi è pronto ad esprimerla e non ancora a chi è prossimo ad ascoltarla. Dunque, ecco che attende nell'intimo la parola già prodotta, nella sua interezza: tende a venir fuori per esser pronunciata per chi ascolta. Chi ha dato origine alla parola bada a ciò che deve dire, però gli è nota la parola che ha dentro di sé, presta attenzione a colui che sarà il suo ascoltatore. Parlerò in nome di Cristo alle persone colte nella Chiesa e sono deciso a rendere accessibile a quanti non sono sprovveduti anche qualcosa che esiga appunto maggiore penetrazione. Faccia dunque attenzione la Carità vostra. Considerate la parola concepita interiormente, tende a venir fuori, vuole essere espressa: fa attenzione a chi si debba rivolgere. Nota un Greco? cerca la voce greca con la quale raggiungere il Greco. Nota un Latino? cerca la voce latina per raggiungere il latino. Nota un Cartaginese? cerca la voce punica per raggiungere il Cartaginese. Escludi la diversità degli uditori, e quella parola che è concepita nell'intimo non è greca, né latina, né punica, né di qualsiasi altra lingua. Va cercando di venir fuori in quella voce che ha riscontro nell'uditore presente. Ora, fratelli, ecco un esempio perché possiate comprendere. Ho ideato in me di dire: Dio. Questa mia concezione interiore è qualcosa di grande. Evidentemente, Dio non è le due sillabe; senza dubbio questa breve voce non è Dio. Voglio dire: Dio, faccio attenzione a chi devo parlare. È Latino? Dico Deum. È Greco? dico qeovn. Al Latino dico Deum, al Greco dico qeovn. Tra Deum e qeovn c'è differenza di suono: altre sono le lettere qui, altre sono là; al contrario, nel mio intimo, nel momento che decido di parlare, nel momento che penso, non c'è alcuna diversità di lettere, nessuna variazione di suono delle sillabe: c'è quello che è. Perché venisse pronunziata per il Latino è usata una voce, un'altra per il Greco. Se volessi rivolgermi al Cartaginese ne userei un'altra; se all'Ebreo, un'altra; se all'Egiziano, un'altra; se all'Indiano, un'altra. Con il sostituirsi delle persone quante e quante voci non assumerebbe la parola interiore senza alcun mutamento o variazione di sé? Va incontro al Latino con voce latina, al Greco con voce greca, all'Ebreo con voce ebraica. Raggiunge chi ascolta e non si allontana da chi parla. In ogni caso, forse che perdo, parlando, quanto suscito in un altro? Quel suono usato come tramite ha trasmesso in te qualcosa che non si è allontanato da me. Io adesso pensavo: Dio; tu non avevi ancora udito la mia voce; all'udirla, anche tu hai cominciato ad avere ciò che io pensavo: ma io non ho perduto ciò che avevo. Dunque, in me, quasi nel mio centro vitale, quasi nel santuario della mia anima, la parola ha preceduto la mia voce. Non è ancora risuonata la voce nella mia bocca, e già la parola è presente nel mio intimo. D'altra parte, perché venga fuori verso di te quello che ho concepito interiormente, ricerca il servizio della voce.

Il servizio della voce è necessario a che la parola penetri nella mente di chi ascolta.

4. Se, con l'aiuto della vostra attenzione e delle preghiere, riesco a dire ciò che voglio, ritengo che ne proverà gioia chi sarà in grado di capire; chi invece non comprenderà, sia indulgente verso l'uomo che si affatica e supplichi Dio misericordioso. In realtà anche questo che vado dicendo è di là che viene. Di là l'origine del mio dire, è interiormente presente quel che dirò: ma l'attività del vociferare comporta lo sforzo di raggiungere le vostre orecchie. Che dunque, fratelli, che dunque? Certamente avete inteso, certo avete già capito che la parola era in me prima che si servisse della voce che l'avrebbe indirizzata alle vostre orecchie. Mi pare che tutti gli uomini comprendano che quanto capita a me, questo stesso accade ad ogni uomo che parla. Ecco, già so quel che voglio dire, è in me, cerco il servizio della voce; prima che la voce risuoni nella mia bocca, la parola è già presente nel mio intimo. Quindi, la parola ha preceduto la mia voce ed in me è prima la parola, poi la voce; ma quanto a te, perché tu comprenda, per prima è la voce a giungere al tuo orecchio, così che la parola possa penetrare nella tua mente. Non ti è possibile infatti conoscere quel che era presente in me prima di aver avuto voce se non è stato in te dopo la voce. Perciò, se Giovanni è la voce, Cristo è la parola: Cristo prima di Giovanni, ma presso Dio; Cristo dopo di Giovanni, ma presso di noi. È un grande mistero, fratelli. Dedicatevi attenzione, insistete nell'approfondire la grande importanza di questa realtà. Mi compiaccio infatti del vostro intelletto, esso mi rende più esigente nei vostri riguardi, con l'aiuto di Colui che io, tanto limitato uomo comune, proclamo Verbo Dio. Con il suo aiuto, dunque, divento più risoluto con voi e, avendo premesso questa nozione circa la differenza tra voce e parola, vedo di introdurre quanto ne deriva di conseguenza. Giovanni impersona la voce nel mistero: non era certo l'unico ad essere voce. Ogni uomo che proclama il Verbo è, quindi, voce del Verbo. Infatti, quale che sia il suono della nostra bocca rispetto alla parola che abbiamo nell'intimo, questo è ogni anima pia messaggera di quel Verbo del quale fu detto: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; egli era in principio presso Dio 14. In quante parole, anzi, in quante voci esce la parola concepita interiormente! Quanti ne suscitò di annunciatori il Verbo che è sempre presso il Padre! Inviò i Patriarchi, inviò i Profeti, inviò tanti e tanti suoi araldi. Restando Verbo, mandò le voci e, dopo le molte voci inviate in precedenza, venne l'unica Persona del Verbo quasi sul proprio veicolo della voce sua, della carne sua. Quindi, raccogli, per così dire, in una sola tutte le voci che precedettero il Verbo e concentrale tutte nella persona di Giovanni. Di tutte queste egli rappresentava il mistero tutte queste egli da solo impersonava per elezione e in senso mistico. Pertanto, è detto voce propriamente, quasi segno distintivo e mistero di tutte le voci.

Il servizio della voce si riduce con la progressiva elevazione dello spirito verso il Verbo.

5. Ora, dunque, notate bene quale profondità tocchi l'espressione: Egli deve crescere ed io invece diminuire 15. Fate attenzione, nel caso io riesca ad esprimermi; se non potrò essere esplicito, sarò in grado di aprirmi una via di comprensione, e, se non altro, di avere il pensiero volto alla ricerca del modo, della ragione, della finalità, della causa, tenendo presente la distinzione di cui ho parlato tra voce e parola, per cui proprio la voce, Giovanni in persona, avrà potuto dire: Egli deve crescere ed io invece diminuire. Grande e mirabile mistero! Considerate chi rappresenta la voce, nella cui persona erano presenti i sensi nascosti di tutte le voci e che diceva della persona del Verbo: Egli deve crescere ed io invece diminuire. Perché? Riflettete. Dice l'Apostolo: La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà 16. Qual è il perfetto? In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio 17. Ecco il perfetto. Qual è il perfetto? Lo dica pure l'apostolo Paolo: Colui il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un'appropriazione indebita essere uguale a Dio 18. Lo vedremo, qual è realmente, uguale a Dio Padre, questo Verbo di Dio presso Dio per il quale sono state create tutte le cose, ma alla fine. Infatti, quanto al presente, ecco" quel che dice l'evangelista Giovanni: Carissimi, siamo figli di Dio e ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo, carissimi, che quando si sarà manifestato, saremo simili a lui perché lo vedremo quale egli è 19. Questa la visione che ci viene promessa, in vista di tale visione noi usciamo dall'ignoranza, per questa visione purifichiamo i nostri cuori. Infatti: Beati - dice - i puri di cuore perché vedranno Dio 20. Rese visibile la sua carne, la mostrò ai servi, ma quale forma di servo; anche questa sua stessa carne egli rivelò come sua propria voce tra le molte voci da cui si fece prevenire. Si desiderava vedere il Padre, quasi che egli già si potesse vedere qual è: Colui che è il Figlio uguale al Padre si rivolgeva ai servi nella forma di servo. Signore - gli disse Filippo - mostraci il Padre e ci basta 21. Mirava al fine di ogni suo intento, cioè al termine del suo cammino e, quando vi fosse giunto, niente di più avrebbe ricercato. Mostraci il Padre - disse - e ci basta. Bene, Filippo, bene, comprendi benissimo che il Padre ti basta. Che vuol dire "basta"? Che tu non vuoi altro: ti riempirà, ti sazierà, ti renderà perfetto. Ma bada se mai ti basti anche Colui che ascolti. Basta da solo o con il Padre? Ma come può essere da solo dal momento che non si separa mai dal Padre? Risponda dunque a Filippo che vuole vedere: Da tanto tempo sono con voi, e tu non mi hai conosciuto? Filippo, chi vede me vede anche il Padre 22. Che altro vuol dire: Filippo, chi vede me vede anche il Padre, se non: Tu non mi hai veduto, perciò cerchi il Padre? Filippo, chi vede me vede anche il Padre. Tu, invece, mi vedi e non mi vedi. Tu non vedi in me chi ti ha creato, ma vedi che sono diventato per te. Chi mi vede - dice -vede anche il Padre. Come possibile se non per il fatto che di natura divina, non considerò un'appropriazione indebita l'essere uguale a Dio 23? Che vedeva allora Filippo? Che spogliò se stesso assumendo la condizione di servo, divenuto simile agli uomini e apparso in forma umana 24. Filippo, che sarebbe stato aperto alla forma di Dio, questo vedeva, la condizione di servo. Dunque, Giovanni la persona di tutte le voci, Cristo la Persona del Verbo. È necessario che tutte le voci si affievoliscano man mano che facciamo progressi nel riconoscere Cristo. Quanto più vai avanti nella conoscenza della sapienza, tanto meno ti si rende indispensabile la voce. Voce nei Profeti, voce negli Apostoli, voce nei Salmi, voce nel Vangelo. Venga quell'In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio 25. Quando lo avremo visto quale egli è, allora non sarà proclamato il Vangelo? Non ascolteremo più le profezie? Non leggeremo più le Lettere degli Apostoli? Perché? Perché le voci vengono meno con l'assurgere del Verbo: infatti Egli deve crescere ed io invece diminuire 26. E veramente il Verbo né progredisce per stesso, né va riducendosi in sé. Al contrario, si dice che fa progressi in noi quando, avanzando nella perfezione, ci eleviamo verso di lui; così come aumenta la luce degli occhi quando, migliorando l'acume della pupilla, si allarga il campo visivo, luce che senza dubbio era ridotta a causa della sua debolezza. Per gli occhi malati era ridotta, ed è maggiore per gli occhi sani: la luce, invece, per se stessa, né in un primo tempo si era affievolita, né in seguito si era fatta più viva. Perciò, il servizio della voce si riduce quando lo spirito fa progressi verso il Verbo. Pertanto, è necessario che il Verbo cresca e che invece Giovanni diminuisca. Questo è il significato delle loro passioni. Giovanni venne diminuito con la decapitazione, Cristo fu innalzato - quasi una crescita - sulla croce. Questo stanno a indicare i giorni della loro nascita. Infatti, dalla nascita di Giovanni ha inizio il decrescere dei giorni; al contrario, dalla nascita di Cristo riprende l'avanzare della luce.

 


1 - Gv 1, 3.

2 - Gv 1, 29.

3 - Mt 11, 11.

4 - Gv 3, 29.

5 - Mt 13, 17.

6 - Cf. Lc 2, 25-26.

7 - Mt 3, 3.

8 - Sal 71, 8.

9 - Mc 1, 7.

10 - Is 40, 3-8.

11 - Gv 1, 20-21.

12 - Gv 1, 22-23.

13 - Gv 1, 1-3.

14 - Gv 1, 1-2.

15 - Gv 3, 30.

16 - 1 Cor 13, 9-10.

17 - Gv 1, 1.

18 - Fil 2, 6.

19 - 1 Gv 3, 2.

20 - Mt 5, 8.

21 - Gv 14, 8.

22 - Gv 14, 9.

23 - Fil 2, 6.

24 - Fil 2, 7.

25 - Gv 1, 1.

26 - Gv 3, 30.


La lettera da Roma del 1884

I sogni di don Bosco - San Giovanni Bosco

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In questa lettera, molto nota nell'ambiente salesiano, Don Bosco racconta un suo sogno in due puntate, fatto in due notti consecutive. L'argomento è l'Oratorio di Valdocco popolato di ragazzi e il suo clima educativo: anzitutto il clima felice dei primissimi tempi dell'Oratorio, poi quello così cambiato del 1884. Data l'importanza pedagogica del sogno, ne pubblichiamo il testo integrale. Le poche omissioni sono segnate da puntini tra parentesi quadre. I sottotitoli sono nostri.

Roma, 10 maggio 1884

 Miei carissimi figliuoli in G.C.,

vicino o lontano io penso sempre a voi. Uno solo è il mio desiderio, quello di vedervi felici nel tempo e nell'eternità. Questo pensiero, questo desiderio mi risolsero a scrivervi questa lettera. Sento, o cari miei, il peso della mia lontananza da voi, e il non vedervi e il non sentirvi mi cagiona pena, quale voi non potete immaginare. Perciò io avrei desiderato scrivere queste righe una settimana fa, ma le continue occupazioni me lo impedirono. Tuttavia benché pochi giorni manchino al mio ritorno, voglio anticipare la mia venuta tra voi almeno per lettera, non potendolo di persona. Sono le parole di chi vi ama teneramente in G.C. e ha il dovere di parlarvi con la libertà di un padre. E voi me lo permettete, non è vero? E mi presterete attenzione e metterete in pratica ciò che sto per dirvi.

 

L'Oratorio prima del 1870

Ho affermato che voi siete l'unico e il continuo pensiero della mia mente. Or dunque in una delle sere scorse io mi ero ritirato in camera, e mentre mi disponevo per andare a riposo, avevo cominciato a recitare le preghiere che mi insegnò la mia buona mamma. In quel momento, non so bene se preso dal sonno o tratto fuori di me da una distrazione, mi parve che mi si presentassero innanzi due degli antichi giovani dell'Oratorio. Uno di questi due mi si avvicinò e, salutandomi affettuosamente, mi disse:

- O Don Bosco, mi conosce?

- Sì che ti conosco - risposi.

- E si ricorda ancora di me? - soggiunse quell'uomo.

- Di te e di tutti gli altri. Tu sei Valfré ed eri nell'Oratorio prima del 1870.

- Dica - continuò quell'uomo -, vuol vedere i giovani che erano all'Oratorio ai miei tempi?

- Sì, fammeli vedere - io risposi -; ciò mi cagionerà molto piacere.

Allora Valfré mi mostrò i giovani, tutti con le stesse sembianze e con la statura e nell'età di quel tempo.

Mi pareva di essere nell'antico Oratorio nell'ora della ricreazione. Era una scena tutta vita, tutto moto, tutta allegria. Chi correva, chi saltava, chi faceva giocare. Qui si gioca alla rana, là a barrarotta e al pallone. In un luogo era radunato un crocchio di giovani che pendeva dal labbro di un prete, il quale narrava una storiella. In un altro luogo un chierico, che in mezzo ad altri giovanetti giocava all'asino vola e ai mestieri. Si cantava, si rideva da tutte le parti e dovunque chierici e preti, e intorno ad essi i giovani che schiamazzavano allegramente. Si vedeva che tra i giovani e i superiori regnava la più grande cordialità e confidenza. lo ero incantato a quello spettacolo e Valfré mi disse:

- Veda, la familiarità porta affetto e l'affetto porta confidenza. È ciò che apre i cuori, e i giovani palesano tutto senza timore ai maestri, agli assistenti e ai superiori. Diventano schietti in confessione e fuori di confessione e si prestano docili a tutto ciò che vuoI comandare colui dal quale sono certi di essere amati.

L'Oratorio nel 1884

In quell'istante mi si avvicinò l'altro mio antico allievo, che aveva

la barba tutta bianca, e mi disse:

- Don Bosco, adesso vuoI conoscere e vedere i giovani che attualmente sono nell'Oratorio?

Costui era Buzzetti Giuseppe.

- Sì - risposi io -, perché è già un mese che non li vedo.

E me li additò: vidi l'Oratorio e tutti voi che facevate ricreazione. Ma non udivo più grida di gioia e cantici, non vedevo più quel moto, quella vita come nella prima scena. Negli atti e nel viso di molti giovani si leggeva una noia, una spossatezza, una musoneria, una diffidenza che faceva pena al mio cuore. [...]

- Ha visto i suoi giovani? - mi disse quell'antico allievo. - Li vedo - risposi sospirando.

- Quanto sono differenti da quello che eravamo noi una volta! - esclamò quell'antico allievo.

- Purtroppo! Quanta svogliatezza in quella ricreazione! [...]

Ci manca il meglio

- Ma come si possono rianimare questi miei cari giovani, affinché riprendano l'antica vivacità, allegrezza ed espansione? - Con la carità.

- Con la carità? Ma i miei giovani non sono amati abbastanza? Tu lo sai se io li amo. Tu sai quanto per essi ho sofferto e tollerato nel corso di ben 40 anni, e quanto tollero e soffro ancora adesso. Quanti stenti, quante umiliazioni, quante opposizioni, quante persecuzioni per dare a essi pane, casa, maestri e specialmente per procurare la salute alle loro anime. Ho fatto quanto ho potuto e saputo per coloro che formano l'affetto di tutta la mia vita. - Non parlo di lei.

- Di chi dunque? Di coloro che fanno le mie veci? Dei direttori, prefetti, maestri, assistenti? Non vedi come sono martiri dello studio e del lavoro? Come consumano i loro anni giovanili per coloro che ad essi affidò la Divina Provvidenza ?

- Vedo, conosco; ma ciò non basta: ci manca il meglio. - Che cosa manca adunque?

- Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati.

- Ma non hanno gli occhi in fronte? Non hanno il lume dell'intelligenza? Non vedono che quanto si fa per essi è tutto per loro amore?

- No, lo ripeto, ciò non basta.

- Che cosa ci vuole adunque?

- Che essendo amati in quelle cose che loro piacciono col partecipare alle loro inclinazioni infantili, imparino a vedere l'amore in quelle cose che naturalmente loro piacciono poco, quali sono la disciplina, lo studio, la mortificazione di se stessi; e queste cose imparino a fare con slancio e amore.

  Il Salesiano « anima della ricreazione»

- Spiegati meglio!

- Osservi i giovani in ricreazione.

Osservai e quindi replicai:

- E che cosa c'è di speciale da vedere?

- Sono tanti anni che va educando giovani e non capisce? Guardi meglio. Dove sono i nostri Salesiani?

Osservai e vidi che ben pochi preti e chierici si mescolavano tra i giovani, e ancor più pochi prendevano parte ai loro divertimenti. I superiori non erano più l'anima della ricreazione. La maggior parte di essi passeggiavano parlando tra loro, senza badare che cosa facessero gli allievi; altri guardavano la ricreazione non dandosi nessun pensiero dei giovani; altri sorvegliavano così alla lontana senza avvertire chi commettesse qualche mancanza; qualcuno poi avvertiva, ma in atto minaccioso, e ciò raramente. Vi era qualche Salesiano che avrebbe desiderato di intromettersi in qualche gruppo di giovani, ma vidi che questi giovani cercavano studiosamente di allontanarsi dai maestri e dai superiori. Allora quell'amico ripigliò: .

- Negli antichi tempi dell'Oratorio lei non stava sempre in mezzo ai giovani e specialmente in tempo di ricreazione? Si ricorda quei begli anni? Era un tripudio di paradiso, un'epoca che ricordiamo sempre con amore, perché l'affetto era quello che ci serviva di regola, e noi per lei non avevamo segreti.

- Certamente! E allora tutto era gioia per me, e nei giovani uno slancio per avvicinarsi a me, per volermi parlare, e una viva ansia di udire i miei consigli e di metterli in pratica. Ora però vedi come le udienze continue e gli affari moltiplicati e la mia sanità me lo impediscono.

- Va bene. Ma se lei non può, perché i Salesiani non si fanno suoi imitatori? Perché non insiste, non esige che trattino i giovani come li trattava lei?

- lo parlo, mi spolmono, ma purtroppo molti non si sentono più di fare le fatiche di una volta.

- E quindi trascurando il meno, perdono il più; e questo più sono le loro fatiche. Amino ciò che piace ai giovani e i giovani ameranno ciò che piace ai superiori. E a questo modo sarà facile la loro fatica. La causa del presente cambiamento nell'Oratorio è che un numero di giovani non ha confidenza nei superiori. Anticamente i cuori erano tutti aperti ai superiori, che i giovani amavano e obbedivano prontamente. Ma ora i superiori sono considerati come superiori, e non più come padri, fratelli e amici; quindi sono temuti e poco amati; perciò se si vuol fare un cuor solo e un'anima sola, per amore di Gesù bisogna che si rompa quella fatale barriera della diffidenza e sottentri a questa la confidenza cordiale. Quindi l'obbedienza guidi l'allievo come la madre guida il fanciullino; allora regnerà nell'Oratorio la pace e l'allegrezza antica.

- Come dunque fare per rompere questa barriera?

- Familiarità con i giovani specie in ricreazione. Senza familiarità non si dimostra l'affetto, e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza. Chi vuole essere amato bisogna che faccia vedere che ama. Gesù Cristo si fece piccolo con i piccoli e portò la nostra infermità. Ecco il Maestro della familiarità. Il maestro visto solo in cattedra è maestro e non più, ma se va in ricreazione con i giovani, diventa come fratello.

Se uno è visto solo predicare dal pulpito, si dirà che fa né più né meno che il proprio dovere; ma se dice una parola in ricreazione, è la parola di uno che ama. Quante conversioni non cagionarono alcune sue parole fatte risonare all'improvviso all'orecchio di un giovane nel mentre che si divertiva!

Amorevolezza e sorveglianza

Chi sa di essere amato, ama; e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani. Questa confidenza mette una corrente elettrica tra i giovani e i superiori. I cuori si aprono e fanno conoscere i

loro bisogni e palesano i loro difetti. Questo amore fa sopportare ai superiori le fatiche, le noie, le ingratitudini, i disturbi, le mancanze, le negligenze dei giovanetti. Gesù Cristo non spezzò la canna già fessa né spense il lucignolo che fumigava. Ecco il vostro modello. Allora non si vedrà più chi lavorerà per fini di vanagloria; chi si ritirerà dal campo della sorveglianza per gelosia di una temuta preponderanza altrui; chi mormorerà degli altri volendo essere amato e stimato dai giovani, esclusi tutti gli altri superiori, guadagnando null'altro che disprezzo e ipocrite moine; chi si lasci rubare il cuore da una creatura, e per fare la corte a questa trascuri tutti gli altri giovanetti; chi per amore dei propri comodi tenga in non cale il dovere strettissimo della sorveglianza; chi per un vano rispetto umano si astenga dall'ammonire chi deve essere ammonito. Se ci sarà questo vero amore, non si cercherà altro che la gloria di Dio e la salute delle anime. Quando illanguidisce questo amore, allora è che le cose non vanno più bene.

Perché si vuole sostituire alla carità la freddezza di un regolamento? Perché i superiori si allontanano dall'osservanza di quelle regole di educazione che Don Bosco ha loro dettate?

Perché al sistema di prevenire con la vigilanza e l'amorevolezza i disordini, si va sostituendo a poco a poco il sistema, meno pesante e più spiccio per chi comanda, di bandir leggi che se si sostengono con i castighi, accendono odii e fruttano dispiaceri; se si trascura di farle osservare, fruttano disprezzo per i superiori a causa di disordini gravissimi?

L'educatore sia tutto a tutti

E ciò accade necessariamente se manca la familiarità. Se adunque si vuole che l'Oratorio ritorni all'antica felicità, si rimetta in vigore l'antico sistema: il superiore sia tutto a tutti, pronto ad ascoltare sempre ogni dubbio o lamentanza dei giovani, tutto occhio per sorvegliare paternamente la loro condotta, tutto cuore per cercare il bene spirituale e temporale di coloro che la Provvidenza gli ha affidato.

Allora i cuori non saranno più chiusi e non regneranno più certi segretumi che uccidono. Solo in caso di immoralità i superiori siano inesorabili. È meglio correre pericolo di scacciare dalla casa un innocente, che ritenere uno scandaloso. Gli assistenti si facciano uno strettissimo dovere di coscienza di riferire ai superiori tutte quelle cose che conoscano essere in qualunque modo offesa di Dio.

Allora io interrogai:

- E qual è il mezzo precipuo perché trionfi simile familiarità e simile amore e confidenza?

- L'osservanza esatta delle regole della casa.

- E null'altro?

- Il piatto migliore in un pranzo è quello della buona cera.

[Il dispiacere di quanto va considerando procura a Don Bosco tanta oppressione che si sveglia tutto spossato. Ma la sera seguente, appena a letto, il sogno interrotto riprende].

Avevo dinanzi il cortile, i giovani che ora sono all'Oratorio, e lo stesso antico allievo dell'Oratorio. lo presi a interrogarlo.

- Ciò che mi dicesti io lo farò sapere ai miei Salesiani; ma ai giovani dell'Oratorio che cosa debbo dire?

Mi rispose:

- Che essi riconoscano quanto i superiori, i maestri, gli assistenti fatichino e studino per loro amore, poiché se non fosse per loro bene non si assoggetterebbero a tanti sacrifici; che si ricordino essere l'umiltà la fonte di ogni tranquillità; che sappiano sopportare i difetti degli altri, poiché al mondo non si trova la perfezione, ma questa è solo in paradiso; che cessino dalle mormorazioni, poiché queste raffreddano i cuori; e soprattutto procurino di vivere nella santa grazia di Dio. Chi non ha pace con Dio, non ha pace con sé, e non ha pace con gli altri.

- E tu mi dici adunque che vi sono fra i miei giovani di quelli che non hanno la pace con Dio?

- Questa è la prima causa del malumore; [...] se il cuore non ha la pace con Dio, rimane angosciato, inquieto, insofferente di obbedienza, si irrita per nulla, gli sembra che ogni cosa vada male, e perché esso non ha amore, giudica che i superiori non lo amino.

- Eppure, mio caro, non vedi quanta frequenza di Confessioni e di Comunioni vi è nell'Oratorio?

- È vero che grande è la frequenza delle Confessioni, ma ciò che manca radicalmente in tanti giovani che si confessano è la stabilità nei proponimenti. Si confessano, ma sempre le stesse mancanze, le stesse occasioni prossime, le stesse abitudini cattive, le stesse disobbedienze, le stesse trascuranze nei doveri. Così si va avanti per mesi e mesi, e anche per anni. [...]

Sono confessioni che valgono poco o nulla, quindi non recano pace, e se un giovi netto fosse chiamato in quello stato al tribunale di Dio, sarebbe un affare ben serio.[... ]

[Qui Don Bosco dice di aver visto di alcuni cose che lo hanno amareggiato, e si propone di avvisarli al suo ritorno da Roma. Intanto esorta tutti alla santità].

Qui vi dirò che è tempo di pregare e di prendere ferme risoluzioni; proporre non con le parole ma con i fatti, e far credere che i Comollo, i Domenico Savio, i Besucco e i Siccardi vivono ancora tra noi.

In ultimo domandai a quel mio amico: - Hai null'altro da dirmi?

- Predichi a tutti, grandi e piccoli, che si ricordino sempre di Maria SS. Ausiliatrice. Che Essa li ha qui radunati per condurli via dai pericoli del mondo, perché si amassero come fratelli, e perché dessero gloria a Dio e a Lei con la loro buona condotta; che è la Madonna quella che provvede loro pane e mezzi per studiare con infinite grazie e portenti. Si ricordino che sono alla vigilia della festa della loro SS. Madre e che con l'aiuto suo deve cadere quella barriera di diffidenza che il demonio ha saputo innalzare tra i giovani e i superiori, e della quale sa giovarsi per la rovina di certe anime.

- E ci riusciremo a togliere questa barriera?

- Sì certamente, purché grandi e piccoli siano pronti a soffrire qualche mortificazione per amore di Maria e mettano in pratica ciò che io ho detto.

Intanto io continuavo a guardare i miei giovanetti, e allo spettacolo di quelli che io vedevo avviati verso l'eterna perdizione, sentii tale stretta al cuore che mi svegliai. Molte cose importantissime che io vidi desidererei ancora narrarvi, ma il tempo e le convenienze non me lo permettono.

Ritornino i giorni dell'affetto e della confidenza

Concludo: sapete che cosa desidera da voi questo povero vecchio, che per i suoi cari giovani ha consumato tutta la vita? Niente altro fuorché, fatte le debite proporzioni, ritornino i giorni felici dell'Oratorio primitivo. I giorni dell'affetto e della confidenza cristiana tra i giovani e i superiori; i giorni dello spirito di condiscendenza e di sopportazione, per amore di G. Cr. degli uni verso gli altri; i giorni dei cuori aperti con tutta semplicità e candore; i giorni della carità e della vera allegrezza per tutti. Ho bisogno che mi consoliate dandomi la speranza e la promessa che voi farete tutto ciò che desidero per il bene delle anime vostre.

Voi non conoscete abbastanza quale fortuna sia la vostra di essere stati ricoverati nell'Oratorio. Innanzi a Dio vi protesto: basta che un giovane entri in una casa salesiana, perché la Vergine SS. lo prenda subito sotto la sua protezione speciale. Mettiamoci adunque tutti d'accordo. La carità di quelli che comandano, la carità di quelli che debbono ubbidire faccia regnare tra di noi lo spirito di San Francesco di Sales.

O miei cari figliuoli, si avvicina il tempo nel quale dovrò staccarmi da voi e partire per la mia eternità. [Nota del segretario: A questo punto Don Bosco sospese di dettare, i suoi occhi si riempirono di lacrime, non per rincrescimento ma per ineffabile tenerezza che trapelava dal suo sguardo e dal suono della sua voce: dopo qualche istante continuò]. Quindi io bramo di lasciare voi, o preti, o chierici, o giovani carissimi, per quella via del Signore nella quale Egli stesso vi desidera.

A questo fine il Santo Padre, che io ho visto il9 maggio, vi manda di tutto cuore la sua benedizione. Il giorno della festa di Maria Ausiliatrice mi troverò con voi innanzi all'effigie della nostra amorosissima Madre.

Voglio che questa gran festa si celebri con ogni solennità; e Don Lazzero e Don Marchisio pensino a far sì che stiate allegri anche in refettorio. La festa di Maria Ausiliatrice deve essere il preludio della festa eterna che dobbiamo celebrare tutti insieme uniti un giorno in Paradiso.

Vostro aff.mo in G.C.

Sac. Giov. Bosco

« Questo scritto è un tesoro, che con il trattatello sul sistema preventivo e con il Regolamento delle case forma la trilogia pedagogica lasciata da Don Bosco ai suoi figli. Pedagogia umile e alta che, dove sia bene intesa e bene attuata, può fare degli istituti di educazione soggiorni di letizia, asili d'innocenza, focolai di virtù, palestre di studio, vivai insomma di ottimi cristiani, di bravi cittadini e di degni ecclesiastici. Ma è d'uopo di buona volontà e di sacrificio» (Eugenio Ceria ).


25-15 Dicembre 16, 1928 Si parla dei nove eccessi di Gesù nell’Incarnazione. Contenti di Gesù, la sua parola è creazione. Gesù vede ripetere le sue scene. Preludi del suo regno.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Stavo facendo la meditazione, e siccome oggi incominciava la novena al Bambino Gesù, stavo pensando ai nove eccessi che Gesù con tanta tenerezza mi aveva narrato nella sua incarnazione, che ci sono scritti nel primo volume, e sentivo grande ripugnanza di ricordarlo al confessore, perché lui mi aveva detto nel leggerli, che voleva leggerli in pubblico nella nostra cappella. Ora mentre ciò pensavo, il mio Bambinello Gesù si faceva vedere nelle mie braccia piccino, piccino, che carezzandomi con le sue piccole manine mi ha detto:

(2) “Come è bella la piccola figlia mia! come è bella! come debbo ringraziarti che mi hai ascoltato”.

(3) Ed io: “Amor mio, che dici? Io debbo ringraziare Te che mi hai parlato, e che con tant’amore facendomi da maestro mi hai dato tante lezioni che io non meritavo”.

(4) E Gesù: “Ah figlia mia, a quanti voglio parlare e non mi danno ascolto e mi riducono al silenzio e a soffocare le mie fiamme. Sicché dobbiamo ringraziarci a vicenda, tu a Me ed Io a te. E poi, perché vuoi opporti alla lettura dei nove eccessi? Ah! tu non sai quanta vita, quant’amore e grazia contengono, tu devi sapere che la mia parola è creazione, e nel narrarti i nove eccessi del mio Amore nell’incarnazione Io non solo rinnovavo il mio Amore che ebbi nell’incarnarmi, ma creavo nuovo amore per investire le creature e vincerle a darsi a Me. Questi nove eccessi del mio Amore manifestatati con tant’amore di tenerezza e semplicità, formavano il preludio alle tante lezioni che dovevo darti del mio Fiat Divino per formare il suo regno, e ora col leggerli, il mio Amore viene rinnovato e duplicato, non vuoi tu dunque che il mio Amore duplicandosi straripi fuori ed investa altri cuori, affinché come preludio si dispongano alle lezioni della mia Volontà per farla conoscere e regnare?”.

(5) Ed io: “Mio caro Bambino, credo che hanno parlato tanti della tua incarnazione”.

(6) E Gesù: “Sì, sì hanno parlato, ma sono state parole prese dalla ripa del mare del mio Amore, quindi sono parole che non posseggono né tenerezze, né pienezze di vita. Invece quelle poche parole che ho detto a te, te le ho detto da dentro la vita della sorgente del mio Amore, e contengono vita, forza irresistibile e tenerezze tali, che solo i morti non sentiranno muoversi a pietà di Me, piccolo piccino, che tante pene soffrii fin dal seno della Mamma Celeste”.

(7) Dopo di ciò si leggeva in cappella dal confessore il primo eccesso dell’amore di Gesù nell’Incarnazione, ed il mio dolce Gesù da dentro il mio interno tendeva le orecchie per ascoltare, e tirandomi a Sé mi ha detto:

(8) “Figlia mia, quanto mi sento felice nell’ascoltarli, ma la mia felicità si accresce nel tenerti in questa casa della mia Volontà, ché tutti e due siamo ascoltatrici, Io di ciò che ti ho detto e tu di ciò che da Me hai ascoltato, il mio amore si gonfia, bolle e straripa, senti, senti com’è bello! La parola contiene il fiato e come si parla, la parola porta il fiato, che come aria gira di bocca in bocca e comunica la forza della mia parola creatrice, e scende nei cuori la nuova creazione che la mia parola contiene. Senti figlia mia, nella Redenzione ebbi il corteggio dei miei apostoli, ed Io in mezzo a loro ero tutt’amore per istruirli, non risparmiavo fatica per formare il fondamento della mia Chiesa. Ora in questa casa sento il corteggio dei primi figli del mio Volere e sento ripetere le mie scene amorose nel veder te in mezzo ad essi, che con tutto amore vuoi impartire le lezioni sul mio Fiat Divino per formare le fondamenta del regno della mia Divina Volontà. Se tu sapessi come mi sento felice nel sentirti parlare del mio Voler Divino, aspetto con ansia quando prendi la parola per ascoltarti, per sentire la felicità che mi porta la mia Divina Volontà”.