Liturgia delle Ore - Letture
Venerdi della 0° settimana del tempo di Quaresima (Venerdì dopo le Ceneri)
Vangelo secondo Matteo 26
1Terminati tutti questi discorsi, Gesù disse ai suoi discepoli:2"Voi sapete che fra due giorni è Pasqua e che il Figlio dell'uomo sarà consegnato per essere crocifisso".
3Allora i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa,4e tennero consiglio per arrestare con un inganno Gesù e farlo morire.5Ma dicevano: "Non durante la festa, perché non avvengano tumulti fra il popolo".
6Mentre Gesù si trovava a Betània, in casa di Simone il lebbroso,7gli si avvicinò una donna con un vaso di alabastro di olio profumato molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre stava a mensa.8I discepoli vedendo ciò si sdegnarono e dissero: "Perché questo spreco?9Lo si poteva vendere a caro prezzo per darlo ai poveri!".10Ma Gesù, accortosene, disse loro: "Perché infastidite questa donna? Essa ha compiuto un'azione buona verso di me.11I poveri infatti li avete sempre con voi, me, invece, non sempre mi avete.12Versando questo olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura.13In verità vi dico: dovunque sarà predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei".
14Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti15e disse: "Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?". E quelli gli 'fissarono trenta monete d'argento'.16Da quel momento cercava l'occasione propizia per consegnarlo.
17Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: "Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?".18Ed egli rispose: "Andate in città, da un tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli".19I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
20Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici.21Mentre mangiavano disse: "In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà".22Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: "Sono forse io, Signore?".23Ed egli rispose: "Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà.24Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!".25Giuda, il traditore, disse: "Rabbì, sono forse io?". Gli rispose: "Tu l'hai detto".
26Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: "Prendete e mangiate; questo è il mio corpo".27Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: "Bevetene tutti,28perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati.29Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio".
30E dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.31Allora Gesù disse loro: "Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Sta scritto infatti:
'Percuoterò il pastore
e saranno disperse le pecore del gregge,'
32ma dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea".33E Pietro gli disse: "Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai".34Gli disse Gesù: "In verità ti dico: questa notte stessa, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte".35E Pietro gli rispose: "Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò". Lo stesso dissero tutti gli altri discepoli.
36Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: "Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare".37E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia.38Disse loro: "La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me".39E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: "Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!".40Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: "Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me?41Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole".42E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: "Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà".43E tornato di nuovo trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti.44E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole.45Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: "Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l'ora nella quale il Figlio dell'uomo sarà consegnato in mano ai peccatori.46Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce si avvicina".
47Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo.48Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: "Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!".49E subito si avvicinò a Gesù e disse: "Salve, Rabbì!". E lo baciò.50E Gesù gli disse: "Amico, per questo sei qui!". Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono.51Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote staccandogli un orecchio.
52Allora Gesù gli disse: "Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada.53Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli?54Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?".55In quello stesso momento Gesù disse alla folla: "Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato.56Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti". Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono.
57Or quelli che avevano arrestato Gesù, lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale già si erano riuniti gli scribi e gli anziani.58Pietro intanto lo aveva seguito da lontano fino al palazzo del sommo sacerdote; ed entrato anche lui, si pose a sedere tra i servi, per vedere la conclusione.
59I sommi sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro Gesù, per condannarlo a morte;60ma non riuscirono a trovarne alcuna, pur essendosi fatti avanti molti falsi testimoni.61Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: "Costui ha dichiarato: Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni".62Alzatosi il sommo sacerdote gli disse: "Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?".63Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: "Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio".64"Tu l'hai detto, gli rispose Gesù, anzi io vi dico:
d'ora innanzi vedrete 'il Figlio dell'uomo
seduto alla destra di Dio,
e venire sulle nubi del cielo'".
65Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: "Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia;66che ve ne pare?". E quelli risposero: "È reo di morte!".67Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri lo bastonavano,68dicendo: "Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?".
69Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una serva gli si avvicinò e disse: "Anche tu eri con Gesù, il Galileo!".70Ed egli negò davanti a tutti: "Non capisco che cosa tu voglia dire".71Mentre usciva verso l'atrio, lo vide un'altra serva e disse ai presenti: "Costui era con Gesù, il Nazareno".72Ma egli negò di nuovo giurando: "Non conosco quell'uomo".73Dopo un poco, i presenti gli si accostarono e dissero a Pietro: "Certo anche tu sei di quelli; la tua parlata ti tradisce!".74Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: "Non conosco quell'uomo!". E subito un gallo cantò.75E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù: "Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte". E uscito all'aperto, pianse amaramente.
Primo libro dei Re 1
1Il re Davide era vecchio e avanzato negli anni e, sebbene lo coprissero, non riusciva a riscaldarsi.2I suoi ministri gli suggerirono: "Si cerchi per il re nostro signore una vergine giovinetta, che assista il re e lo curi e dorma con lui; così il re nostro signore si riscalderà".3Si cercò in tutto il territorio d'Israele una giovane bella e si trovò Abisag da Sunem e la condussero al re.4La giovane era molto bella; essa curava il re e lo serviva, ma il re non si unì a lei.
5Ma Adonia, figlio di Agghìt, insuperbito, diceva: "Sarò io il re". Si procurò carri, cavalli e cinquanta uomini che lo precedessero.6Il re suo padre, per non affliggerlo, non gli disse mai: "Perché ti comporti in questo modo?". Adonia era molto bello; sua madre l'aveva partorito dopo Assalonne.7Si accordò con Ioab, figlio di Zeruià, e con il sacerdote Ebiatàr, che stavano dalla sua parte.8Invece il sacerdote Zadòk, Benaià figlio di Ioiadà, il profeta Natan, Simei, Rei e il nerbo delle milizie di Davide non si schierarono con Adonia.9Adonia un giorno immolò pecore e buoi e vitelli grassi sulla pietra Zochelet, che è vicina alla fonte di Roghèl. Invitò tutti i suoi fratelli, figli del re, e tutti gli uomini di Giuda al servizio del re.10Ma non invitò il profeta Natan, né Benaià, né i più valorosi soldati e neppure Salomone suo fratello.
11Allora Natan disse a Betsabea, madre di Salomone: "Non hai sentito che Adonia, figlio di Agghìt, si è fatto re e Davide nostro signore non lo sa neppure?12Ebbene, ti do un consiglio, perché tu salvi la tua vita e quella del tuo figlio Salomone.13Va', presentati al re Davide e digli: Re mio signore, non hai forse giurato alla tua schiava che Salomone tuo figlio avrebbe regnato dopo di te, sedendo sul tuo trono? Perché si è fatto re Adonia?14Ecco, mentre tu starai ancora lì a parlare al re, io ti seguirò e confermerò le tue parole".
15Betsabea si presentò nella camera del re, che era molto vecchio, e Abisag la Sunammita lo serviva.16Betsabea si inginocchiò e si prostrò davanti al re, che le domandò: "Che hai?".17Essa gli rispose: "Signore, tu hai giurato alla tua schiava per il Signore tuo Dio che Salomone tuo figlio avrebbe regnato dopo di te, sedendo sul tuo trono.18Ora invece Adonia è divenuto re e tu, re mio signore, non lo sai neppure.19Ha immolato molti buoi, vitelli grassi e pecore, ha invitato tutti i figli del re, il sacerdote Ebiatàr e Ioab capo dell'esercito, ma non ha invitato Salomone tuo servitore.20Re mio signore, gli occhi di tutto Israele sono su di te, perché annunzi loro chi siederà sul trono del re mio signore dopo di lui.21Quando il re mio signore si sarà addormentato con i suoi padri, io e mio figlio Salomone saremo trattati da colpevoli".
22Mentre Betsabea ancora parlava con il re, arrivò il profeta Natan.23Fu annunziato al re: "Ecco c'è il profeta Natan". Questi si presentò al re, davanti al quale si prostrò con la faccia a terra.24Natan disse: "Re mio signore, tu forse hai decretato: Adonia regnerà dopo di me e siederà sul mio trono?25Difatti oggi egli è andato ad immolare molti buoi, vitelli grassi e pecore e ha invitato tutti i figli del re, i capi dell'esercito e il sacerdote Ebiatàr. Costoro mangiano e bevono con lui e gridano: Viva il re Adonia!26Ma non ha invitato me tuo servitore, né il sacerdote Zadòk, né Benaià figlio di Ioiadà, né Salomone tuo servitore.27Proprio il re mio signore ha ordinato ciò? Perché non hai indicato ai tuoi ministri chi siederà sul trono del re mio signore?".
28Il re Davide, presa la parola, disse: "Chiamatemi Betsabea!". Costei si presentò al re e, restando essa alla sua presenza,29il re giurò: "Per la vita del Signore che mi ha liberato da ogni angoscia!30Come ti ho giurato per il Signore, Dio di Israele, che Salomone tuo figlio avrebbe regnato dopo di me, sedendo sul mio trono al mio posto, così farò oggi".31Betsabea si inginocchiò con la faccia a terra, si prostrò davanti al re dicendo: "Viva il mio signore, il re Davide, per sempre!".32Il re Davide fece chiamare il sacerdote Zadòk, il profeta Natan e Benaià figlio di Ioiadà. Costoro si presentarono al re,33che disse loro: "Prendete con voi la guardia del vostro signore: fate montare Salomone sulla mia mula e fatelo scendere a Ghicon.34Ivi il sacerdote Zadòk e il profeta Natan lo ungano re d'Israele. Voi suonerete la tromba e griderete: Viva il re Salomone!35Quindi risalirete dietro a lui, che verrà a sedere sul mio trono e regnerà al mio posto. Poiché io ho designato lui a divenire capo d'Israele e di Giuda".36Benaià figlio di Ioiadà rispose al re: "Così sia! Anche il Signore, Dio del re mio signore, decida allo stesso modo!37Come il Signore ha assistito il re mio signore, così assista Salomone e renda il suo trono più splendido di quello del re Davide mio signore".
38Scesero il sacerdote Zadòk, il profeta Natan e Benaià figlio di Ioiadà, insieme con i Cretei e con i Peletei; fecero montare Salomone sulla mula del re Davide e lo condussero a Ghicon.39Il sacerdote Zadòk prese il corno dell'olio dalla tenda e unse Salomone al suono della tromba. Tutti i presenti gridarono: "Viva il re Salomone!".40Risalirono tutti dietro a lui, suonando i flauti e mostrando una grandissima gioia e i luoghi rimbombavano delle loro acclamazioni.
41Li sentirono Adonia e i suoi invitati, che avevano appena finito di mangiare. Ioab, udito il suono della tromba, chiese: "Che cos'è questo frastuono nella città in tumulto?".42Mentre parlava ecco giungere Giònata figlio del sacerdote Ebiatàr, al quale Adonia disse: "Vieni! Tu sei un valoroso e rechi certo buone notizie!".43"No - rispose Giònata ad Adonia - il re Davide nostro signore ha nominato re Salomone44e ha mandato con lui il sacerdote Zadòk, il profeta Natan e Benaià figlio di Ioiadà, insieme con i Cretei e con i Peletei che l'hanno fatto montare sulla mula del re.45Il sacerdote Zadòk e il profeta Natan l'hanno unto re in Ghicon; quindi sono risaliti esultanti, mentre la città echeggiava di grida. Questo il motivo del frastuono da voi udito.46Anzi Salomone si è già seduto sul trono del regno47e i ministri del re sono andati a felicitarsi con il re Davide dicendo: Il tuo Dio renda il nome di Salomone più celebre del tuo e renda il suo trono più splendido del tuo! Il re si è prostrato sul letto,48poi ha detto: Sia benedetto il Signore, Dio di Israele, perché oggi ha concesso che uno sedesse sul mio trono e i miei occhi lo vedessero".
49Tutti gli invitati di Adonia allora spaventati si alzarono e se ne andarono ognuno per la sua strada.50Adonia, che temeva Salomone, alzatosi andò ad aggrapparsi ai corni dell'altare.51Fu riferito a Salomone: "Sappi che Adonia, avendo paura del re Salomone, ha afferrato i corni dell'altare dicendo: Mi giuri oggi il re Salomone che non farà morire di spada il suo servitore".52Salomone disse: "Se si comporterà da uomo leale, neppure un suo capello cadrà a terra; ma se cadrà in qualche fallo, morirà".53Il re Salomone ordinò che lo facessero scendere dall'altare; quegli andò a prostrarsi davanti al re Salomone, che gli disse: "Vattene a casa!".
Proverbi 24
1Non invidiare gli uomini malvagi,
non desiderare di stare con loro;
2poiché il loro cuore trama rovine
e le loro labbra non esprimono che malanni.
3Con la sapienza si costruisce la casa
e con la prudenza la si rende salda;
4con la scienza si riempiono le sue stanze
di tutti i beni preziosi e deliziosi.
5Un uomo saggio vale più di uno forte,
un uomo sapiente più di uno pieno di vigore,
6perché con le decisioni prudenti si fa la guerra
e la vittoria sta nel numero dei consiglieri.
7È troppo alta la sapienza per lo stolto,
alla porta della città egli non potrà aprir bocca.
8Chi trama per fare il male
si chiama mestatore.
9Il proposito dello stolto è il peccato
e lo spavaldo è l'abominio degli uomini.
10Se ti avvilisci nel giorno della sventura,
ben poca è la tua forza.
11Libera quelli che sono condotti alla morte
e salva quelli che sono trascinati al supplizio.
12Se dici: "Ecco, io non ne so nulla",
forse colui che pesa i cuori non lo comprende?
Colui che veglia sulla tua vita lo sa;
egli renderà a ciascuno secondo le sue opere.
13Mangia, figlio mio, il miele, perché è buono
e dolce sarà il favo al tuo palato.
14Sappi che tale è la sapienza per te:
se l'acquisti, avrai un avvenire
e la tua speranza non sarà stroncata.
15Non insidiare, o malvagio, la dimora del giusto,
non distruggere la sua abitazione,
16perché se il giusto cade sette volte, egli si rialza,
ma gli empi soccombono nella sventura.
17Non ti rallegrare per la caduta del tuo nemico
e non gioisca il tuo cuore, quando egli soccombe,
18perché il Signore non veda e se ne dispiaccia
e allontani da lui la collera.
19Non irritarti per i malvagi
e non invidiare gli empi,
20perché non ci sarà avvenire per il malvagio
e la lucerna degli empi si estinguerà.
21Temi il Signore, figlio mio, e il re;
non ribellarti né all'uno né all'altro,
22perché improvvisa sorgerà la loro vendetta
e chi sa quale scempio faranno l'uno e l'altro?
23Anche queste sono parole dei saggi.
Aver preferenze personali in giudizio non è bene.
24Se uno dice all'empio: "Tu sei innocente",
i popoli lo malediranno, le genti lo esecreranno,
25mentre tutto andrà bene a coloro che rendono giustizia,
su di loro si riverserà la benedizione.
26Dà un bacio sulle labbra
colui che risponde con parole rette.
27Sistema i tuoi affari di fuori
e fatti i lavori dei campi
e poi costruisciti la casa.
28Non testimoniare alla leggera contro il tuo prossimo
e non ingannare con le labbra.
29Non dire: "Come ha fatto a me così io farò a lui,
renderò a ciascuno come si merita".
30Sono passato vicino al campo di un pigro,
alla vigna di un uomo insensato:
31ecco, ovunque erano cresciute le erbacce,
il terreno era coperto di cardi
e il recinto di pietre era in rovina.
32Osservando, riflettevo
e, vedendo, ho tratto questa lezione:
33un po' dormire, un po' sonnecchiare,
un po' incrociare le braccia per riposare
34e intanto viene passeggiando la miseria
e l'indigenza come un accattone.
Salmi 80
1'Al maestro del coro. Su "Giglio del precetto". Di Asaf. Salmo'.
2Tu, pastore d'Israele, ascolta,
tu che guidi Giuseppe come un gregge.
Assiso sui cherubini rifulgi
3davanti a Èfraim, Beniamino e Manasse.
Risveglia la tua potenza
e vieni in nostro soccorso.
4Rialzaci, Signore, nostro Dio,
fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi.
5Signore, Dio degli eserciti,
fino a quando fremerai di sdegno
contro le preghiere del tuo popolo?
6Tu ci nutri con pane di lacrime,
ci fai bere lacrime in abbondanza.
7Ci hai fatto motivo di contesa per i vicini,
e i nostri nemici ridono di noi.
8Rialzaci, Dio degli eserciti,
fa' risplendere il tuo volto e noi saremo salvi.
9Hai divelto una vite dall'Egitto,
per trapiantarla hai espulso i popoli.
10Le hai preparato il terreno,
hai affondato le sue radici e ha riempito la terra.
11La sua ombra copriva le montagne
e i suoi rami i più alti cedri.
12Ha esteso i suoi tralci fino al mare
e arrivavano al fiume i suoi germogli.
13Perché hai abbattuto la sua cinta
e ogni viandante ne fa vendemmia?
14La devasta il cinghiale del bosco
e se ne pasce l'animale selvatico.
15Dio degli eserciti, volgiti,
guarda dal cielo e vedi
e visita questa vigna,
16proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato,
il germoglio che ti sei coltivato.
17Quelli che l'arsero col fuoco e la recisero,
periranno alla minaccia del tuo volto.
18Sia la tua mano sull'uomo della tua destra,
sul figlio dell'uomo che per te hai reso forte.
19Da te più non ci allontaneremo,
ci farai vivere e invocheremo il tuo nome.
20Rialzaci, Signore, Dio degli eserciti,
fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi.
Geremia 10
1Ascoltate la parola che il Signore vi rivolge,
casa di Israele.
2Così dice il Signore:
"Non imitate la condotta delle genti
e non abbiate paura dei segni del cielo,
perché le genti hanno paura di essi.
3Poiché ciò che è il terrore dei popoli è un nulla,
non è che un legno tagliato nel bosco,
opera delle mani di chi lavora con l'ascia.
4È ornato di argento e di oro,
è fissato con chiodi e con martelli,
perché non si muova.
5Gli idoli sono come uno spauracchio
in un campo di cocòmeri,
non sanno parlare,
bisogna portarli, perché non camminano.
Non temeteli, perché non fanno alcun male,
come non è loro potere fare il bene".
6Non sono come te, Signore;
tu sei grande
e grande la potenza del tuo nome.
7Chi non ti temerà, re delle nazioni?
Questo ti conviene,
poiché fra tutti i saggi delle nazioni
e in tutti i loro regni
nessuno è simile a te.
8Sono allo stesso tempo stolti e testardi;
vana la loro dottrina, come un legno.
9Argento battuto e laminato portato da Tarsìs
e oro di Ofir,
lavoro di artista e di mano di orafo,
di porpora e di scarlatto è la loro veste:
tutti lavori di abili artisti.
10Il Signore, invece, è il vero Dio,
egli è Dio vivente e re eterno;
al suo sdegno trema la terra,
i popoli non resistono al suo furore.
11Direte loro:
"Gli dèi che non hanno fatto il cielo e la terra scompariranno dalla terra e sotto il cielo".
12Egli ha formato la terra con potenza,
ha fissato il mondo con sapienza,
con intelligenza ha disteso i cieli.
13Al rombo della sua voce rumoreggiano le acque nel cielo.
Egli fa salire le nubi dall'estremità della terra,
produce lampi per la pioggia
e manda fuori il vento dalle sue riserve.
14Rimane inebetito ogni uomo, senza comprendere;
resta confuso ogni orafo per i suoi idoli,
poiché è menzogna ciò che ha fuso
e non ha soffio vitale.
15Essi sono vanità, opere ridicole;
al tempo del loro castigo periranno.
16Non è tale l'eredità di Giacobbe,
perché egli ha formato ogni cosa.
Israele è la tribù della sua eredità,
Signore degli eserciti è il suo nome.
17Raccogli il tuo fardello fuori dal paese,
tu che sei cinta d'assedio,
18poiché dice il Signore:
"Ecco, questa volta, caccerò lontano
gli abitanti del paese;
li ridurrò alle strette, perché mi ritrovino".
19Guai a me a causa della mia ferita;
la mia piaga è incurabile.
Eppure io avevo pensato:
"È solo un dolore che io posso sopportare".
20La mia tenda è sfasciata
tutte le mie corde sono rotte.
I miei figli si sono allontanati da me e più non sono.
Nessuno pianta ancora la mia tenda
e stende i miei teli.
21I pastori sono diventati insensati,
non hanno ricercato più il Signore;
per questo non hanno avuto successo,
anzi è disperso tutto il loro gregge.
22Si ode un rumore che avanza
e un grande frastuono giunge da settentrione,
per ridurre le città di Giuda un deserto,
un rifugio di sciacalli.
23"Lo so, Signore, che l'uomo non è padrone della sua via,
non è in potere di chi cammina il dirigere i suoi passi.
24Correggimi, Signore, ma con giusta misura,
non secondo la tua ira, per non farmi vacillare".
25Riversa la tua collera sui popoli
che non ti conoscono
e sulle stirpi
che non invocano il tuo nome,
poiché hanno divorato Giacobbe
l'hanno divorato e consumato,
e hanno distrutto la sua dimora.
Lettera agli Ebrei 7
1Questo 'Melchìsedek' infatti, 're di Salem, sacerdote del Dio Altissimo, andò incontro ad Abramo mentre ritornava dalla sconfitta dei re' e 'lo benedisse';2'a lui Abramo' diede 'la decima di ogni cosa'; anzitutto il suo nome tradotto significa re di giustizia; è inoltre anche 're di Salem', cioè re di pace.3Egli è senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio e rimane sacerdote in eterno.
4Considerate pertanto quanto sia grande costui, al quale Abramo, il patriarca, diede la decima del suo bottino.5In verità anche quelli dei figli di Levi, che assumono il sacerdozio, hanno il mandato di riscuotere, secondo la legge, la decima dal popolo, cioè dai loro fratelli, essi pure discendenti da Abramo.6Egli invece, che non era della loro stirpe, prese la decima da Abramo e benedisse colui che era depositario della promessa.7Ora, senza dubbio, è l'inferiore che è benedetto dal superiore.8Inoltre, qui riscuotono le decime uomini mortali; là invece le riscuote uno di cui si attesta che vive.9Anzi si può dire che lo stesso Levi, che pur riceve le decime, ha versato la sua decima in Abramo:10egli si trovava infatti ancora nei lombi del suo antenato quando 'gli venne incontro Melchìsedek'.
11Or dunque, se la perfezione fosse stata possibile per mezzo del sacerdozio levitico - sotto di esso il popolo ha ricevuto la legge - che bisogno c'era che sorgesse un altro sacerdote 'alla maniera di Melchìsedek', e non invece 'alla maniera' di Aronne?12Infatti, mutato il sacerdozio, avviene necessariamente anche un mutamento della legge.13Questo si dice di chi è appartenuto a un'altra tribù, della quale nessuno mai fu addetto all'altare.14È noto infatti che il Signore nostro è germogliato da Giuda e di questa tribù Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio.
15Ciò risulta ancor più evidente dal momento che, 'a somiglianza di Melchìsedek', sorge un altro 'sacerdote',16che non è diventato tale per ragione di una prescrizione carnale, ma per la potenza di una vita indefettibile.17Gli è resa infatti questa testimonianza:
'Tu sei sacerdote in eterno alla maniera di Melchìsedek'.
18Si ha così l'abrogazione di un ordinamento precedente a causa della sua debolezza e inutilità -19la legge infatti non ha portato nulla alla perfezione - e si ha invece l'introduzione di una speranza migliore, grazie alla quale ci avviciniamo a Dio.
20Inoltre ciò non avvenne senza giuramento. Quelli infatti diventavano sacerdoti senza giuramento;21 costui al contrario con un giuramento di colui che gli ha detto:
'Il Signore ha giurato e non si pentirà:
tu sei sacerdote per sempre'.
22Per questo, Gesù è diventato garante di un'alleanza migliore.
23Inoltre, quelli sono diventati sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare a lungo;24egli invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta.25Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore.
26Tale era infatti il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli;27egli non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso.28La legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti all'umana debolezza, ma la parola del giuramento, posteriore alla legge, costituisce il Figlio che è stato reso perfetto in eterno.
Capitolo XV: Le opere fatte per amore
Leggilo nella Biblioteca1. Non si deve fare alcun male, per nessuna cosa al mondo né per compiacenza verso chicchessia; talora, invece, per giovare a uno che ne ha bisogno, si deve senza esitazione lasciare una cosa buona che si sta facendo, o sostituirla con una ancora più buona: in tal modo non si distrugge l'opera buona, ma soltanto la si trasforma in meglio.
2. A nulla giova un'azione esterna compiuta senza amore; invece, qualunque cosa, per quanto piccola e disprezzata essa sia, se fatta con amore, diventa tutta piena di frutti. In verità Iddio non tiene conto dell'azione umana in sé e per sé, ma dei moventi di ciascuno. Opera grandemente colui che agisce con rettitudine; opera lodevolmente colui che si pone al servizio della comunità, più che del suo capriccio. Accade spesso che ci sembri amore ciò che è piuttosto attaccamento carnale; giacché è raro che, sotto le nostre azioni, non ci siano l'inclinazione naturale, il nostro gusto, la speranza di una ricompensa, il desiderio del nostro comodo. Chi ha un amore vero e perfetto non cerca se stesso, in alcuna sua azione, ma desidera solamente che in ogni cosa si realizzi la gloria di Dio. Di nessuno è invidioso colui che non tende al proprio godimento, né vuole personali soddisfazioni, desiderando, al di là di ogni bene, di avere beatitudine in Dio. Costui non attribuisce alcunché di buono a nessuno, ma riporta il bene totalmente a Dio; dal quale ogni cosa procede, come dalla sua fonte e, nel quale, alla fine, tutti i santi godono pace. Oh, chi avesse anche una sola scintilla di vera carità, per certo capirebbe che tutto ciò che è di questa terra è pieno di vanità.
LETTERA 82: Agostino rispondendo alle lettere 72, 75, 81, gli chiede di dirgli apertamente se lo ha perdonato (n. 1) e conferma l'opinione che Pietro fu effettivamente e giustamente rimproverato da Paolo
Lettere - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaScritta tra il 404 e il 405.
Agostino rispondendo alle lettere 72, 75, 81, gli chiede di dirgli apertamente se lo ha perdonato (n. 1) e conferma l'opinione che Pietro fu effettivamente e giustamente rimproverato da Paolo, ribadendo gli argomenti esposti nella lettera 40 (n. 2-27). Esprime quindi il dispiacere che le lettere dirette a Girolamo siano capitate prima in mani estranee, ma nega d'avere mai scritto alcun libro contro di lui (n. 28-33). Per la versione di Girolamo dall'ebraico spiega perché non desidera che sia letta nelle sue chiese (n. 34-35). S'accomiata con l'augurio che tra loro regni sempre la più schietta carità (n. 36).
AGOSTINO INVIA CRISTIANI SALUTI A GIROLAMO, CARISSIMO E ONORANDO SIGNORE NELL'AMORE DI CRISTO, SANTO FRATELLO E COLLEGA DI SACERDOZIO
Desidera essere rassicurato del perdono.
1. 1. Già da tempo ho inviato alla tua Carità una lunga lettera in risposta a quella che tu mi ricordi di avermi fatto recapitare dal tuo santo figliolo Asterio, il quale è ora non più solo fratello ma anche collega nell'episcopato. Non so se tale lettera abbia avuto ancora la sorte di arrivare nelle tue mani; so unicamente, dallo scritto recapitatomi dal sincerissimo fratello Fermo, che quel tale che per primo t'ha assalito con la spada è stato respinto con lo stilo, e che sarebbe mio dovere d'umanità e di giustizia biasimare l'accusatore e non già chi risponde all'accusa. Da questo sia pur brevissimo indizio suppongo comunque che tu hai letto la mia lettera. Sì, è vero: in essa io deploravo che fra te e Rufino fosse sorta una così grave discordia, mentre proprio chi vi amava come fratelli godeva della fama ovunque diffusa della vostra tanto stretta amicizia. Dicendo ciò, non intendevo muovere un rimprovero alla tua fraternità, poiché mi guarderei bene dall'attribuirti qualche colpa in quella faccenda, ma solo deplorare quanto sia incerta la perseveranza di noi poveri uomini nel conservare i rapporti d'amicizia nello scambievole affetto, per quanto grande esso sia. Io però avrei preferito sapere dalla tua risposta se mi hai accordato il perdono che t'avevo chiesto; desidererei che tu me lo facessi capire nel modo più esplicito, anche se ho l'impressione d'averlo ottenuto, come posso arguirlo dal tono piuttosto scherzoso della tua lettera, sempre se me l'hai spedita dopo aver letto la mia, cosa questa che in essa non appare affatto.
Discutere sulla sacra Scrittura, ma seriamente e fraternamente.
1. 2. Tu mi proponi, o meglio, mi comandi (in forza della fiducia che hai nella carità) di esercitarci [ludamus] insieme nel campo della sacra Scrittura senza procurarci vicendevoli dispiaceri. Io veramente, per quanto dipende da me, preferirei trattare simili problemi in tono serio e non già per gioco [ludo]. Comunque, se t'è piaciuto usare quel termine così alla buona, ti confesso che m'aspetto qualcosa di meglio dalle possibilità che tu possiedi di benevolenza, d'intelligenza, di applicazione continua e annosa, appassionata e ingegnosa! E non solo per un dono dello Spirito Santo, dal quale hai queste doti, ma pare per sua ispirazione mi devi aiutare in quelle gravi e difficili questioni, non già come uno che voglia giocare nel campo della sacra Scrittura ma come uno che ha il fiato grosso nel salire le montagne. Se invece hai creduto di dover usare il termine " giochiamo" per indicare la gioia che deve regnare tra amici carissimi quando discutono tra loro, giochiamo pure non solo quando l'argomento delle nostre conversazioni è chiaro e facile, ma pure quando è arduo e difficile. Ti scongiuro d'insegnarmi il modo d'arrivare a questo risultato. Può darsi che qualche passo ci procuri imbarazzo per il fatto che non possiamo approvarne il senso (non tanto per averlo considerato con poca attenzione, quanto a causa della nostra tarda intelligenza) e ci sforziamo di sostenere un nostro punto di vista contrario. Orbene, qualora dovessimo esprimerlo in modo piuttosto franco e senza troppi riguardi, evitiamo il sospetto reciproco di puerile iattanza come se andassimo a caccia di notorietà col mettere sotto accusa dei personaggi illustri. Se invece cercheremo di rendere più tollerabile, foderandola per così dire di termini più morbidi, qualche osservazione pungente, usata per necessità polemica, non accusiamoci poi di brandire una spada cosparsa di miele. A meno che per caso questo metodo di discutere sia adatto ad evitare ambedue quei difetti o almeno ad evitare di sospettarli nell'altro quando, discutendo con un amico più istruito, ci è giocoforza approvare tutto quel che dice senza aver la possibilità di contraddirlo neppure per accertarci meglio della cosa!
Inerranza della sacra Scrittura.
1. 3. Allora, sì, senza paura di offenderci, si può giocare come in una gara, altrimenti ci sarebbe da meravigliarci se non fossimo giocati noi stessi! Poiché - debbo confessarlo alla tua Carità - questo timore riverenziale per cui credo in modo fermissimo che nessun autore ha potuto sbagliare nello scrivere, ho imparato ad averlo solamente per i libri della sacra Scrittura. Se quindi m'imbatterò in qualche passo di questi libri, che mi dia l'impressione d'essere in contrasto con la verità, non avrò alcun dubbio che ciò dipenda dal fatto che o è scorretto il manoscritto o il traduttore non ha centrato il senso o sono io che non ho capito. Nel leggere invece tutti gli altri autori, per quanto possano essere superiori a chiunque altro per santità e dottrina, non ritengo vera una cosa per l'unico motivo che quelli la pensino così, ma solo perché sono riusciti a persuadermi che la loro opinione non è in contrasto con la verità in base all'autorità della sacra Scrittura canonica o in base a un ragionamento plausibile. Penso pure, fratello, che tu pure non sia di parere diverso; voglio dire: non credo assolutamente che tu pretenda che i tuoi libri siano letti come se fossero quelli dei Profeti e degli Apostoli, gli unici a proposito dei quali sarebbe empio aver dubbi che siano esenti da qualsiasi errore. Un simile pensiero tenga Dio lontano dalla tua religiosa umiltà e dallo schietto sentimento che hai di te stesso; se ne fossi privo, non avresti certamente detto: "Dio voglia ch'io meriti d'abbracciarti e d'insegnare o imparare qualcosa in conversazioni tra noi due".
Veridicità di S. Paolo.
2. 4. Se, per quanto riguarda la tua persona, sono convinto, in considerazione della tua vita e del tuo carattere, che hai parlato senza simulazione e senza falsità, quanto è più giusto che io creda che Paolo non pensasse diversamente da quanto ha scritto nel passo ove, parlando di Pietro e di Barnaba, dice: Quando m'accorsi che non camminavano rettamente, secondo la verità del Vangelo, in presenza di tutti dissi a Cefa: Se tu, che sei Giudeo, vivi da pagano e non da Giudeo, come mai costringi poi i pagani a osservare i riti giudaici? 1 Orbene, che certezza potrei avere io che, scrivendo o parlando, l'Apostolo non m'inganni, se ingannava i suoi figli, ch'egli partoriva continuamente fino a che non si fossero conformati perfettamente a Cristo, ch'è la Verità 2? E dire che proprio poco prima li aveva rassicurati dicendo: M'è testimone Iddio che quanto vi scrivo non è affatto una menzogna 3! e poi eccolo scrivere cose contrarie alla verità e ingannare con una non so quale simulazione diplomatica, dicendo d'essersi accorto che Pietro e Barnaba non camminavano rettamente secondo la verità del Vangelo e d'essersi opposto apertamente a Pietro per il solo motivo ch'egli costringeva i pagani a osservare i riti giudaici 4!
La sacra Scrittura è sempre veridica.
2. 5. " Ma - si obietterà - è meglio credere che sia stato l'apostolo Paolo a scrivere qualche particolare non rispondente a verità, anziché pensare che sia stato Pietro ad agire non rettamente in qualche caso ". Ma se fosse così, dovremmo dire - Dio ne guardi! - che è meglio pensare che il Vangelo dica una bugia, anziché ammettere che Cristo sia stato rinnegato da Pietro 5; dovremmo pensare che sia il Libro dei Re a mentire, anziché ammettere che un Profeta così eminente come David, scelto in modo così straordinario dal Signore Iddio, abbia commesso un adulterio nel desiderare in modo sensuale e nel portare via la moglie a un altro e per di più abbia commesso un omicidio davvero orrendo facendone uccidere il marito 6? Tutt'altro! La sacra Scrittura è l'autorità che occupa il più alto posto nel cielo anzi la sommità stessa del cielo e io la leggerò assolutamente certo e sicuro della sua veridicità. Da essa verrò a conoscere senza ombra d'errore che alcune persone sono state veramente lodate, corrette o condannate, anziché gettare l'ombra del dubbio sulle parole di Dio solo perché ho timore di dover ammettere che certe azioni umane debbano venire talora criticate in persone eminenti ed encomiabili.
Integrità dei codici della sacra Scrittura.
2. 6. Il sacrilego errore dei Manichei è confutato con lampante evidenza dalle espressioni delle divine Scritture, ch'essi non possono stravolgere in senso diverso e perciò sostengono che moltissime tra esse sono false, anche se non attribuiscono tale falsità agli Apostoli che le scrissero, bensì a non so quali corruttori di manoscritti. Ma siccome non hanno mai potuto dimostrarlo né in base a esemplari più numerosi o più antichi né in base alla lingua originale, sulla quale è stata fatta la traduzione dei testi latini - cioè sulla lingua che fa testo - devono battere in ritirata, pieni di confusione e pienamente confutati da una verità a tutti ben chiara! E la tua Santità non si rende conto dell'appiglio opportuno che offriamo alla loro malizia se andiamo dicendo che non da altri sono stati falsificati gli scritti degli Apostoli, ma furono proprio gli Apostoli a scrivere delle falsità?
Giusto il rimprovero dato a Pietro.
2. 7. " Ma non è possibile pensare - dici tu - che Paolo rimproverasse Pietro di una cosa che aveva fatto lui stesso ". Adesso però io esamino non che cosa abbia fatto, ma che cosa abbia scritto; questo è della massima importanza per la questione da me presa a discutere e cioè che la verità delle sacre Scritture, affidataci come documento storico per la conferma della nostra fede non da persone qualsiasi ma dagli stessi Apostoli e posta per questo nel canone dei Libri sacri come il sommo e più autorevole criterio di verità, resta sotto ogni aspetto attendibile ed esente da qualsiasi possibilità d'essere messa in dubbio. Orbene, se Pietro agì solo come doveva, allora sarebbe stato Paolo a mentire dicendo che s'era accorto che non camminava rettamente secondo la verità del Vangelo. Chiunque infatti agisce come deve, senza dubbio agisce bene e perciò dice il falso chi dice che non ha agito bene, mentre sa ch'era suo dovere d'agire a quel modo. Se al contrario è vero quanto ha scritto Paolo, è vero pure che Pietro non camminava rettamente secondo la verità del Vangelo: faceva insomma quel che non avrebbe dovuto fare; e se Paolo aveva fatto anch'egli qualcosa di simile, dovrò credere che si sarà ravveduto anch'egli e non poté trascurare di far ravvedere l'apostolo suo collega, anziché credere che possa aver riferito qualcosa di falso nella sua lettera in questione o in qualsiasi altra lettera, ma tanto meno in quella, in cui aveva premesso l'asserzione: Quanto vi scrivo - m'è testimonio Iddio - non è una menzogna 7.
Perché Paolo praticò certi riti giudaici.
2. 8. Io per me credo che in quel caso Pietro agisse in modo da obbligare i pagani a osservare i riti giudaici. Così infatti trovo scritto in Paolo e non posso credere ch'egli abbia mentito. Era quindi Pietro a non agire rettamente, perché era in contrasto con la verità del Vangelo pensare che i convertiti a Cristo non potessero salvarsi senza osservare quei riti antichi. Appunto questo sostenevano in Antiochia coloro ch'erano passati dalla circoncisione alla fede di Cristo e contro i quali Paolo ingaggiò una lotta continua e accanita. Ma quando fu proprio Paolo a far circoncidere Timoteo 8, a sciogliere il voto a Cencre 9, a celebrare in Gerusalemme i riti della Legge con quelli che lo conoscevano dietro esortazione di Giacomo 10, egli non agì per far credere che con quei riti si potesse conseguire la salvezza cristiana; voleva solo non dare l'impressione ch'egli condannasse, al pari dei culti idolatrici dei pagani, i riti che Dio aveva prescritto si celebrassero, com'era conveniente, nei tempi primitivi, in quanto rappresentavano la prefigurazione delle realtà future 11. Giacomo in realtà gli dice proprio questo: d'aver cioè sentito dire di lui che insegnava a romperla con Mosè 12. Ora, sarebbe senza dubbio un'empietà che i credenti in Cristo la rompessero con un Profeta di Cristo come se condannassero e detestassero la dottrina di uno del quale Cristo stesso afferma: Se voi credeste a Mosè, credereste pure a me, perché proprio di me egli ha scritto 13.
I riti della Legge mosaica e la grazia di Cristo.
2. 9. Considera attentamente, ti scongiuro, le precise parole di Giacomo: Tu vedi, fratello, quante migliaia di Giudei hanno creduto in Cristo e come tutti sono zelanti della Legge. Ora essi hanno sentito dire che insegni a tutti i Giudei, viventi tra i pagani, a staccarsi da Mosè, dicendo loro di non far circoncidere i loro figlioli e di vivere senza seguire la tradizione. Che fare dunque? E' necessario senz'altro radunare la folla, avendo essa sentito del tuo arrivo. Fa dunque quel che ti diciamo. Sono qui con noi quattro persone che hanno fatto un voto. Prendile con te e purìficati con esse e paga per esse le spese necessarie perché si radano il capo. In tal modo tutti si renderanno conto ch'è falso quanto hanno sentito dire sul tuo conto, mentre tu pure segui la Legge e vi resti fedele. Riguardo poi ai pagani passati alla fede, noi abbiamo creduto giusto di dare il seguente ordine: non devono attenersi a nessun'altra prescrizione tranne a quella che si astengano dai cibi immolati agli idoli, dal sangue e dalla fornicazione 14. A mio parere il testo non è oscuro: Giacomo volle dargli questo consiglio perché i Giudei convertiti al Cristo, che però erano ancora zelanti nell'osservare la Legge, sapessero ch'era falsa la diceria sentita sul conto di Paolo; voleva inoltre evitare che le prescrizioni date agli antichi Ebrei, nostri antenati nella fede, le considerassero condannate come sacrileghe dalla dottrina di Cristo e scritte senza l'ordine di Dio. Questa calunnia contro Paolo l'avevano lanciata non quelli che capivano con quale spirito dovevano essere osservati dai Giudeo-Cristiani i riti mosaici, cioè per metterne in rilievo l'autore, ossia Iddio, e la santità prefigurata in quelle cerimonie, senza tuttavia credere che potessero ottenere con essi la salvezza, che già s'era rivelata in Cristo e veniva procurata mediante il sacramento del Battesimo. Quella calunnia contro Paolo era stata diffusa da coloro che volevano l'osservanza di quei riti, come se sotto la nuova legge del Vangelo la salvezza dei fedeli fosse impossibile senza di essi. Quei tali s'erano infatti accorti ch'egli predicava la grazia con tutta l'energia e ch'era agli antipodi della loro mentalità, quando insegnava che veniamo giustificati non da quei riti, ma dalla grazia di Gesù Cristo, della quale quei riti erano solo prefigurazioni e, come tali, erano prescritti sotto la Legge mosaica, appunto per preannunciare la grazia. Ecco perché gli avversari cercavano di suscitare contro Paolo e l'odio e la persecuzione e l'accusavano come nemico della Legge e dei comandamenti divini. Ora, Paolo non avrebbe potuto evitare più opportunamente l'odio suscitatogli dalla calunnia se non col praticare egli stesso quei riti che veniva accusato di condannare come sacrileghi; solo così poteva dare una prova palmare che né ai Giudei - a quel tempo - si dovevano proibire quei riti, come se fossero pratiche sacrileghe, né ai pagani se ne doveva imporre l'osservanza, come se fossero indispensabili.
Condotta incoerente di Pietro.
2. 10. Poiché se Paolo avesse condannato effettivamente quei riti, come s'era inteso dire sul suo conto, e poi invece si fosse piegato ad osservarli per nascondere con azioni simulate il suo modo di pensare, Giacomo non gli avrebbe detto: Così tutti si renderanno conto, ma: Così tutti penseranno che è falso quanto hanno sentito sul tuo conto 15 tanto più che proprio a Gerusalemme gli Apostoli avevano decretato che nessuno doveva costringere i pagani a praticare i riti giudaici 16, mentre non avevano decretato, in quell'occasione, che si dovesse proibire ai Giudei di praticare i loro riti, anche se la stessa dottrina cristiana non ne faceva un obbligo neppure per essi. Se, quindi, dopo il decreto degli Apostoli, Pietro agì con simulazione per costringere i pagani all'osservanza dei riti giudaici - cosa alla quale neppure lui era obbligato, ma che non gli era nemmeno proibita allo scopo di onorare le sacre Scritture affidate proprio ai Giudei 17 - che c'è di strano se Paolo lo costrinse a dichiarare senza paura ciò che non poteva non ricordare d'aver decretato a Gerusalemme insieme agli altri Apostoli?
Contrasto tra la dottrina e la pratica di Pietro.
2. 11. Se invece Pietro fece una simile cosa prima del concilio di Gerusalemme - come io sono più propenso a credere - neppure in tal caso sarebbe strano che Paolo pretendesse che Pietro, invece d'un codardo sotterfugio, dichiarasse quanto era condiviso pure da lui. Egli infatti ne era a conoscenza, sia perché aveva confrontato il suo col Vangelo di Pietro, sia perché, nella vocazione del centurione Cornelio, Pietro aveva avuto un avvertimento in proposito, sia infine perché l'aveva veduto a mensa coi pagani prima che arrivassero ad Antiochia quei Giudei di cui aveva paura. Non nego affatto che Pietro avesse la stessa convinzione di Paolo; questi perciò non insegnava all'altro cosa dovesse reputarsi vero in quel problema, quanto piuttosto gli rimproverava la simulazione, per causa della quale i pagani si vedevano costretti all'osservanza dei riti giudaici. Lo rimproverava inoltre unicamente perché tutta la condotta simulata di Pietro poteva far credere che fosse vero quanto sostenevano i Giudei, che cioè i convertiti alla fede non potessero salvarsi senza la circoncisione e senza gli altri riti, che erano prefigurazioni delle realtà future 18.
Perché fu circonciso Timoteo e non Tito.
2. 12. Per questo motivo dunque Paolo circoncise Timoteo, perché i Giudei e soprattutto i suoi parenti da parte di madre non avessero l'impressione che i pagani convertiti a Cristo detestassero la circoncisione come deve detestarsi l'idolatria, mentre la prima era stata comandata da Dio, l'altra invece ispirata da Satana. Per un altro motivo invece non volle far circoncidere Tito, per non dare un appiglio a coloro i quali sostenevano per i credenti l'impossibilità di salvarsi senza la circoncisione e, per ingannare i pagani, mettevano in giro la diceria che anche Paolo avesse la stessa convinzione. Ce lo fa capire egli stesso nel passo che dice: Ma neppure Tito, che era con me, quantunque greco, fu costretto a farsi circoncidere, per dare una lezione a certi falsi fratelli intrusi, che s'erano introdotti di nascosto tra noi al fine di spiare la nostra libertà e di ridurci in schiavitù. A costoro non abbiamo ceduto e non ci siamo piegati nemmeno per un istante, perché la verità del Vangelo si conservasse integra per voi 19. Da questo passo appare chiaro che Paolo intuì l'inganno cui essi miravano e perciò non fece quello che aveva fatto con Timoteo, pur potendolo fare in virtù della libertà con cui aveva mostrato che quei riti non si dovevano né cercare come necessari né condannare come sacrileghi.
La verità degli Apostoli e quella dei filosofi e degli avvocati.
2. 13. In questa discussione però occorre naturalmente evitare di chiamare, come fanno i filosofi, indifferenti oppure intermedie tra il bene e il male certe azioni, che non si possono catalogare né tra le azioni buone né tra i peccati. E perché? Per non essere costretti ad affermare che l'osservanza dei riti della Legge non può essere un'azione indifferente, ma che è o buona o cattiva. Poiché se la diremo buona, saremmo obbligati ad osservarli anche noi; se invece è cattiva, dovremmo credere che gli Apostoli li abbiano osservati non sinceramente ma fintamente. Io però, per quanto riguarda gli Apostoli, non temerei tanto il paragone coi filosofi allorché nelle loro dissertazioni affermano qualche verità, quanto piuttosto il paragone con gli avvocati del Foro, allorché nel difendere le cause dei clienti ricorrono alla menzogna. Ora, se perfino nella spiegazione della Lettera ai Galati s'è potuto credere conveniente introdurre il paragone tra gli Apostoli e gli avvocati per confermare la simulazione di Pietro e di Paolo, perché dovrei temere l'accostamento che tu fai ai filosofi? Questi sono stolti non perché sia falso tutto quel che dicono, ma perché sono false molte teorie a cui dànno credito e, quando si riscontra che dicono la verità, sono estranei alla grazia di Cristo, ch'è la verità in persona.
Indifferenza morale dei riti mosaici.
2. 14. E perché non dovrei dire che le prescrizioni degli antichi riti non sono né buone (infatti non veniamo giustificati da essi che sono solo figure preannuncianti la grazia, dalla quale siamo giustificati) ma neppure cattive in quanto furono ordinate da Dio come confacenti a quei tempi e a quelle persone? La mia opinione è suffragata da un'espressione del Profeta, il quale afferma che Dio diede a quel popolo precetti non buoni 20. Forse proprio per questo egli non li chiamò " cattivi ", ma solo " non buoni ", cioè non tali da rendere buoni gli uomini, oppure non tali per cui, senza di essi, non si potrebbe essere buoni. Vorrei che la tua sincera benevolenza mi facesse sapere se solo per simulazione un fedele orientale venendo a Roma digiuna in giorno di sabato, eccetto il sabato della vigilia di Pasqua; se diremo che quest'usanza è cattiva, dovremo condannare non solo la Chiesa di Roma, sebbene molte altre Chiese vicine o anche un po' distanti, dove essa si conserva ed è in vigore. Se invece pensiamo ch'è peccato non digiunare il sabato, con quale temerarietà oseremo condannare tante Chiese orientali e una parte molto maggiore del mondo cristiano? Saresti contento se dicessimo ch'esiste qualche pratica indifferente, che fosse ammissibile da chi volesse osservarla non per simulare, ma solo per conformarsi alla legge e alla pratica d'una comunità? Eppure nei Libri canonici della sacra Scrittura non si trova alcun cenno di simili pratiche comandate ai Cristiani! A più forte ragione non oserei chiamare peccaminosa una pratica che proprio in forza della fede cristiana non posso negare essere stata ordinata da Dio; so inoltre, sempre in forza della stessa fede, che la mia giustificazione non dipende da una simile pratica, ma dalla grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.
I riti mosaici figura dei sacramenti e della grazia.
2. 15. Dico dunque che la circoncisione e gli altri riti di tal genere furono dati da Dio all'antico popolo ebraico mediante il Testamento che chiamiamo Antico; essi erano unicamente simboli dei beni futuri che dovevano essere realizzati da Cristo; dopo l'arrivo di tali beni quelle prescrizioni sono rimaste solo come documenti che i Cristiani devono leggere per comprendere le profezie che li hanno preceduti e non per praticarle come se dovessimo aspettare ancora la rivelazione della fede, che quelli annunciavano come futura. Sebbene però quei riti non dovessero essere imposti ai pagani, non dovevano tuttavia essere eliminati dalla consuetudine dei Giudei come detestabili e da condannare. Solo in un secondo tempo e gradualmente, a poco a poco, in seguito all'intensa predicazione della grazia di Cristo, i fedeli avrebbero capito che veniamo giustificati e salvati dalla grazia e non già da quei riti, figure di beni una volta futuri, ma ormai avverati e presenti. Così, con la chiamata al Vangelo dei Giudei viventi durante la manifestazione fisica del Signore e durante i tempi degli Apostoli, sarebbe venuta a cessare definitivamente la funzione di quelle pratiche rituali figurative; per tenerle ancora in onore sarebbe bastato non scansarle come detestabili e simili all'idolatria. D'altronde la loro pratica non doveva continuare più oltre, per evitare che si credessero necessarie nel senso che dall'osservanza di esse dipendesse la salvezza o questa fosse impossibile senza di esse. Così la pensavano quegli eretici, i quali, volendo essere Giudei e Cristiani allo stesso tempo, non potevano essere né Giudei né Cristiani. Quantunque io non abbia mai avuto nulla in comune con tale opinione, ti sei degnato tuttavia di ammonirmi con la più squisita cortesia di starne in guardia. Orbene, proprio in quell'errore era caduto Pietro, non perché vi consentisse, ma perché cadde nella simulazione per paura. Ecco perché Paolo poté scrivere, senza dire una bugia diplomatica, d'essersi accorto che non camminava rettamente secondo la verità del Vangelo e poté dirgli con altrettanta sincerità che obbligava i pagani a praticare i riti giudaici. A una tale pratica invece Paolo non costringeva nessuno senza finzione allorché praticava sul serio quegli antichi riti, quando era necessario, per dimostrare che non erano, di per sé, da condannare. Egli per contro predicava senza stancarsi che la salvezza dei fedeli non dipendeva da quei riti, ma dalla grazia della fede ch'era stata rivelata; in tal modo non costringeva nessuno a sobbarcarsi a praticarli come necessari. Io insomma credo che l'apostolo Paolo nell'osservare quelle pratiche agisse senza finzione; con tutto ciò non permetto a un Giudeo divenuto Cristiano né l'obbligo a praticare sul serio quei riti, allo stesso modo che neppure tu, per quanto pensi che Paolo agisse con simulazione, obblighi questo supposto individuo a una simulazione del genere, né gliela permetti.
Il simbolismo dei riti mosaici realizzato nei sacramenti cristiani.
2. 16. Desideri per caso che sostenga anch'io che il nocciolo della questione o, meglio, della tua opinione, sta in questo: che, una volta venuto il Vangelo di Cristo, i fedeli convertitisi dal Giudaismo farebbero bene a offrire i sacrifici che offrì Paolo, a far circoncidere i figlioli, a osservare il sabato, a fare quel che fece Paolo con Timoteo e che facevano tutti i Giudei, purché agiscano con simulazione ed inganno? Se la cosa sta così, allora noi scivoliamo non già nell'eresia di Ebione e di quelli chiamati comunemente Nazzarei o in qualsiasi altra vecchia eresia della medesima specie, ma in non so quale altra nuova eresia, tanto più dannosa perché consisterebbe non tanto nell'errore, quanto nell'intenzione premeditata di ingannare. Può darsi però che, per giustificarti, tu mi risponda che gli Apostoli sono encomiabili perché in quell'occasione finsero di praticare quei riti al fine di non scandalizzare i deboli, ch'erano molto numerosi tra i convertiti dal Giudaismo e ancora non capivano che erano ormai da rigettare, mentre adesso ormai la dottrina della grazia di Cristo è sicuramente radicata in tante nazioni e confermata in tutte le Chiese cristiane mediante la lettura della Legge e dei Profeti; che se questi vengono letti in chiesa, lo si fa solo per far comprendere la funzione di quei riti e non perché vengano praticati; che, se uno volesse praticarli solo per finta, sarebbe un pazzo! Perché allora non m'è permesso di dire che l'apostolo Paolo e gli altri Cristiani ortodossi osservarono in determinate circostanze e senza finzione quei vecchi riti per metterne in risalto il significato, per evitare che quelle cerimonie piene di simbolismo profetico e già praticate dai loro antenati, ch'erano attaccatissimi alla religione, venissero considerate dai posteri come sacrileghe e diaboliche? Al sopraggiungere della fede, già preannunciata dagli antichi riti e rivelata poi dalla morte e dalla risurrezione del Signore, esse avevano certamente perduta, in certo qual modo, la loro funzione vitale: erano come cadaveri di parenti, che dovevano anch'essi, per così dire, essere portati alla sepoltura non con simulato onore, ma con religioso rispetto; non dovevano insomma essere abbandonati all'improvviso e neppure essere gettati in pasto agli oltraggi dei nemici, come a dei cani arrabbiati. Adesso quindi, se un Cristiano, anche se proveniente dal Giudaismo, avesse intenzione di praticarli come per il passato, dissotterrando per così dire dei carboni ormai spenti, non agirebbe più come uno che accompagni o porti religiosamente una salma alla sepoltura, ma come un sacrilego il quale violi una tomba.
L'opinione espressa da Agostino già in opere precedenti.
2. 17. Ammetto senz'altro che la mia lettera contiene un passo in cui affermo che Paolo s'era adattato a praticare certi riti sacri dei Giudei quand'era già apostolo di Cristo solo al fine di far capire che non erano dannosi per quelli che li volevano praticare con le disposizioni d'animo con cui li avevano ricevuti nella Legge dai loro padri, ma debbo dichiararti pure di non avere aggiunto espressamente la precisazione: " Solo, beninteso, nei primi tempi in cui fu rivelata la grazia della fede cristiana ". La pratica di quei riti infatti non poteva essere dannosa in quel tempo. In seguito però, passato un certo periodo, quei riti dovevano essere abbandonati da tutti i Cristiani, perché fosse possibile distinguere ciò che Dio aveva prescritto al suo popolo per mezzo di Mosè da ciò che aveva istituito lo spirito immondo nei templi dei demoni. Sono io quindi che debbo essere incolpato di negligenza per non aver aggiunto quella precisazione, e non già tu per il tuo rabbuffo. A parte ciò, molto tempo prima che io ricevessi la tua lettera, in un mio scritto contro Fausto, il manicheo, avevo spiegato, sia pure assai brevemente, quel medesimo passo; lì non avevo tralasciato quella precisazione. Se la tua Benignità vorrà degnarsi, potrai leggerlo da te stesso; d'altronde, che quella precisazione io l'abbia dettata precedentemente, te lo potranno garantire - se e quando lo vuoi - i nostri carissimi fratelli per mezzo dei quali t'invio adesso la presente. Tuttavia riguardo alla mia convinzione, credi pure a me; parlo davanti a Dio e te lo chiedo per il diritto della carità: non ho mai pensato che i Cristiani convertiti anche presentemente dal Giudaismo abbiano l'obbligo o esista alcuna scusa che renda lecito praticare quei vecchi riti con qualsivoglia intenzione o disposizione d'animo. Il mio pensiero su quel passo di Paolo è stato sempre il medesimo fin da quando ho conosciuto le sue lettere; allo stesso modo neppure tu pensi che qualcuno possa fingere di praticare quei riti al giorno d'oggi anche se credi che gli Apostoli li praticassero per finta.
Da approvare prima di Cristo, sono ora da riprovare le prescrizioni mosaiche.
2. 18. Ebbene, tu sostieni la tesi contraria e, nonostante - come scrivi - le proteste di tutti, esprimi francamente l'opinione che i riti giudaici sono dannosi e letali per i Cristiani e che qualsiasi Cristiano il quale li ha osservati, provenga egli dal giudaismo o dal paganesimo, è precipitato nel baratro del demonio. Allo stesso modo confermo anch'io in pieno questa tua dichiarazione, anzi aggiungo che colui il quale ha osservato quei riti, provenga egli dal giudaismo o dal paganesimo, è precipitato nel baratro del demonio, l'abbia fatto con convinzione oppure con finzione. Che vuoi di più? Ma come tu fai distinzione tra la simulazione degli Apostoli e l'applicazione della loro condotta al tempo presente, così io faccio distinzione tra la condotta sincera tenuta allora dall'apostolo Paolo nel praticare tutti quei riti e l'osservanza dei medesimi al giorno d'oggi, anche se non sia affatto finta, per il motivo che, se allora essa era approvabile, adesso è detestabile. E' vero che sta scritto: La Legge e i Profeti arrivano fino a Giovanni 21 e: I Giudei cercavano di uccidere Cristo perché non solo violava il sabato, ma dichiarava pure d'essere figlio di Dio facendosi uguale a Dio 22 ed anche: Abbiamo ricevuto grazia su grazia 23 come pure: La Legge è stata data per mezzo di Mosè, ma la grazia e la verità è stata procurata da Gesù Cristo 24; è vero pure che Dio, per mezzo di Geremia, promise che avrebbe dato un nuovo patto alla casa di Giuda, diverso da quello stretto coi loro padri 25; eppure, nonostante tutto questo, non posso credere che il Signore in persona si fosse fatto circoncidere dai genitori solo per finta! Ammesso pure che, essendo piccino per l'età, non potesse evitare la circoncisione, non penso tuttavia che agisse con finzione quando al lebbroso - la cui guarigione era dovuta non già alle prescrizioni date per mezzo di Mosè ma all'ingiunzione di Cristo in persona - egli disse: Va' ad offrire per te il sacrificio prescritto da Mosè in testimonianza per il popolo 26. Così non agì neppure per inganno quando andò alla festa, anzi cercava tanto poco di mettersi in mostra davanti alla gente, che vi andò di nascosto e non già in modo palese 27.
Altre prove tratte dalla sacra Scrittura.
2. 19. E' bensì vero che lo stesso Apostolo affermò: Ecco, proprio io, Paolo, vi dico che, se vi farete circoncidere, Cristo non vi sarà di alcun giovamento 28. Ingannò egli dunque Timoteo facendo in modo che Cristo non gli fosse d'alcun giovamento? O si deve forse pensare che quel rito non gli apportò alcun danno perché fu solo una simulazione? Paolo però non scrisse né disse: " Se vi farete circoncidere sinceramente " e neppure: " per finta ", ma senza alcuna eccezione: Se vi farete circoncidere, Cristo non vi sarà d'alcun giovamento. Ebbene, come tu pretendi far prevalere la tua tesi sottintendendo in questo passo " a meno che non sia per finta ", così neppure la mia è una pretesa sfacciata, se esigo da te il permesso d'intendere la frase: Se vi farete circoncidere come indirizzata a coloro che volevano farsi circoncidere credendo di non potersi salvare con la grazia di Cristo. Insomma chi in quel tempo si faceva circoncidere con questa disposizione d'animo, con questa volontà e con questa intenzione, non poteva trarre alcun giovamento da Cristo. Lo dice apertamente pure in un altro passo: Poiché, se la giustificazione si ottiene per mezzo della Legge, allora Cristo è morto inutilmente 29. Questa verità è proclamata pure nel passo che mi hai citato tu stesso: Non avete più nulla da spartire con Cristo voi che cercate la giustificazione per mezzo della Legge; siete caduti in disgrazia 30. Paolo dunque condanna quelli che credevano d'ottenere la giustificazione per mezzo della legge, non quei tali che osservavano questi riti per dare gloria a Dio, dal quale erano stati prescritti, e comprendevano sia lo scopo per cui erano stati ordinati, cioè quello di preannunciare la realtà futura, sia il tempo per il quale dovevano durare. A ciò si riferisce pure l'altra affermazione dell'Apostolo: Se siete guidati dallo spirito, non siete più sotto la Legge 31. Di qui si conclude, come tu ben capisci, che non ha lo Spirito Santo chi è sotto la Legge, e non lo ha non solo apparentemente, come - secondo te - la pensavano i nostri padri, ma effettivamente, come la penso io!
In che senso è colpevole " essere sotto la legge ".
2. 20. Mi pare inoltre un problema importante quello di sapere in che senso l'Apostolo chiama colpa l'essere " sotto la Legge ". Secondo me, egli, esprimendosi così, non ha di mira la circoncisione o i sacrifici che a quel tempo venivano compiuti dagli antichi Ebrei e al presente i Cristiani non compiono più, e neppure pensava ad altre cerimonie di tal genere, ma proprio al precetto espresso dalla Legge con le parole: Non desiderare 32. Su ciò siamo d'accordo: i Cristiani debbono certamente osservarlo e la predicazione evangelica deve metterlo in luce sopra ogni altro. Paolo, insomma, afferma che santa è la Legge e santo e giusto e buono è il precetto 33, quindi soggiunge: E' diventata dunque una cosa buona la causa di peccato per me? Per nulla affatto! Ma è stato il peccato a servirsi del bene per darmi la morte e s'è servito del comandamento per divenire la quintessenza del peccato 34. Quanto egli afferma qui, che cioè il peccato, servendosi del comandamento, è divenuto la quintessenza del peccato, lo esprime anche altrove dicendo: Subentrò poi la Legge, perché il peccato fosse più grave. Ma dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia 35. In un altro passo, dopo aver parlato poco prima dei piano divino che giustifica, Paolo, ponendosi per così dire una domanda, dice: Ma perché allora la Legge? e tosto risponde: Essa fu data in seguito a motivo della prevaricazione, finché non venisse il Discendente, al quale era stata fatta la promessa 36. Egli dunque afferma che si trovano in maniera condannabile sotto la Legge coloro i quali sono resi colpevoli proprio dalla Legge in quanto non la osservano e, non comprendendo il beneficio della grazia, sono pieni d'orgogliosa arroganza e presumono d'osservare i comandamenti di Dio come se ciò dipendesse dalle proprie forze. Ora, invece, la pienezza della Legge è la carità 37; ma la carità è diffusa nei nostri cuori non da noi stessi, ma dallo Spirito Santo che ci è stato dato 38. Per spiegare però a sufficienza questo argomento, sarebbe necessario, forse, un discorso troppo prolisso, anzi un vero e proprio trattato. Se, insomma, il comandamento della Legge Non desiderare, qualora la debolezza umana non sia aiutata dalla grazia di Dio, rende colpevole chi è soggetto ad essa e serve a condannare il prevaricatore, piuttosto che a liberare il peccatore, quanto meno avrebbe potuto dare la giustificazione alcuno di quei riti prescritti solo per la loro funzione di simboli, quali la circoncisione e le altre pratiche, che, diffondendosi sempre più la rivelazione della grazia, era stato necessario abolire? Ma non per questo esse dovevano essere scansate come i sacrilegi diabolici dei pagani, anche quando era poi cominciata a manifestarsi la grazia, ch'era stata annunciata da quelle figure. Al contrario tali riti dovevano essere permessi ancora per un po' di tempo, soprattutto ai fedeli provenienti dal popolo al quale erano stati dati. Ma poi, una volta ch'erano stati, per così dire, portati onorevolmente alla sepoltura, dovevano essere definitivamente abbandonati dai Cristiani.
Menzogne ufficiose e azioni diplomatiche.
2. 21. Che significa poi, per favore, quella frase: " Non per diplomazia, come pensavano i nostri padri "? Essa infatti o indica quel ch'io chiamo bugia ufficiosa - che sarebbe come una diplomazia consistente nel mentire in modo onesto - o non vedo assolutamente cosa possa indicare; a meno che il termine aggiunto di " diplomazia " faccia in modo che una bugia non sia più bugia! Ma se ciò è assurdo, perché allora non dici chiaramente che è lecito difendere una bugia ufficiosa? E' forse il termine a farti impressione, dato che il termine " ufficioso " non è molto usato nei libri ecclesiastici? Eppure non ne ebbe paura il nostro Ambrogio, che intitolò De Officiis alcuni suoi libri ripieni di utili norme. O forse pensi che se uno mentisce " ufficiosamente " è da condannare, mentre se lo fa " diplomaticamente " è da approvare? Dimmi, ti prego, se mentisce chi pensa così quando sceglie l'una delle due alternative poiché anche a questo proposito c'è la grande questione se a un galantuomo o, peggio, a un Cristiano sia lecito mentire. Non è stato loro detto: Il vostro " sì " sia " sì " e il " no " " no ", per non essere condannati 39? Non sono loro che sentono dire con fede: Tu manderai in perdizione tutti i menzogneri 40?
La menzogna diplomatica estranea ai dispensatori del Vangelo.
2. 22. Ma, come dicevo, questa è un'altra questione, e piuttosto importante. In fatto di menzogna, chi la pensa così, scelga pure la forma che preferisce, purché si creda fermamente e si sostenga questa tesi: gli autori delle sacre Scritture, e in modo particolare gli autori dei Libri canonici, sono assolutamente esenti da menzogne; poiché non si può credere che ai dispensatori di Cristo - dei quali è detto: Orbene dagli amministratori si richiede che ciascuno sia trovato fedele 41 - sia lecito mentire nel dispensare la verità, quasi che la fedeltà alle cose importanti da loro apprese riguardi solo loro stessi. Lo stesso termine " fede " non è forse chiamato, in latino, fides dal fatto che si mantiene ciò che si dice? Ebbene, quando si mantiene ciò che si dice, non c'è alcuna possibilità di mentire. Quel fedele dispensatore, ch'era l'apostolo Paolo, ci dà perciò senza dubbio prova di veridicità nei suoi scritti, perché dispensatore di verità e non di falsità. Ecco perché dice la verità quando dice d'essersi accorto che Pietro non procedeva rettamente secondo la verità del Vangelo e d'esserglisi perciò opposto apertamente, perché obbligava i pagani a osservare i riti giudaici 42. Pietro d'altronde accolse religiosamente, con santa e salutare umiltà, l'utile riprensione che Paolo gli aveva fatta con la franchezza della carità, offrendo ai posteri l'esempio di non prendercela a male quando eventualmente, deviando dal retto sentiero, fossimo corretti anche da un inferiore; esempio, il suo, più raro e più santo di quello datoci da Paolo d'avere il coraggio di opporci coraggiosamente ai superiori per difendere la verità del Vangelo, salva sempre la carità fraterna. Certo: è meglio non scostarsi per nulla dal retto sentiero, ma è molto più da ammirare e da lodare chi accoglie volentieri la correzione, che non chi corregge coraggiosamente la deviazione d'un altro. E' quindi lodevole sia la giusta libertà di Paolo sia la santa umiltà di Pietro, ma era questa, secondo il mio modesto parere, che doveva essere difesa più energicamente contro le calunnie di Porfirio, anziché offrirgli un'occasione più propizia di denigrare; egli sarebbe stato più mordace nell'accusare i Cristiani, se avesse potuto tacciarli di falsità o nello scrivere i loro libri o nel presentare i misteri del loro Dio.
Autori su cui s'appoggia Girolamo.
3. 23. Mi chiedi di presentarti almeno un commentatore, del quale io abbia seguito l'opinione su questo punto controverso, mentre tu hai fatto il nome di tanti che ti hanno preceduto nell'opinione che sostieni. Mi chiedi pure di lasciarti libero di sbagliare in compagnia di autori tanto qualificati nel caso che io volessi criticare il tuo errore. Ti confesso che di tali autori non ne ho letto neppure uno, ma di quattro tra questi sei o sette tu pure infirmi l'autorità, poiché dici che il Laodiceno, di cui taci il nome, è uscito non molto tempo fa dalla Chiesa, e chiami vecchio eretico Alessandro e, inoltre, come leggo nei tuoi opuscoli più recenti, Origene e Didimo sono da te criticati piuttosto aspramente né su questioni di poca importanza sebbene ad Origene tu abbia dato in precedenza lodi eccessive. Penso quindi che neppure tu ti rassegneresti a sbagliare con questi tali, anche se ti sei espresso così perché credi che sul tal punto essi non abbiano errato. Infatti chi vorrebbe sbagliare in compagnia di chicchessia? Ne restano dunque tre: Eusebio di Emesa, Teodoro d'Eraclea e Giovanni, da te ricordato poco dopo, che fino a qualche tempo fa ha governato come vescovo la Chiesa di Costantinopoli.
Su quali Commentatori di S. Paolo si basa Agostino.
3. 24. D'altronde, se tu volessi sapere da me o ricordarti da te stesso quale fosse l'opinione del nostro Ambrogio e parimenti del nostro Cipriano su questo punto, potresti renderti conto che neppure a me sono mancati autori da seguire nella tesi che sostengo. Come però ho affermato poco prima, questa mia dipendenza la riservo unicamente ai Libri canonici della sacra Scrittura, che io seguo ispirandomi a questa norma: non dubito assolutamente che tali autori abbiano commesso alcun errore e che nulla abbiano scritto allo scopo d'ingannare. Dovrei dunque cercare un terzo autore in modo da contrapporne anch'io ai tuoi tre? Penso che non mi sarebbe difficile trovarlo, se le mie letture fossero state più numerose. Comunque, al posto di tutti questi, anzi al di sopra di tutti questi, mi viene in soccorso l'apostolo Paolo in persona; in lui trovo rifugio, a lui mi appello contro tutti i commentatori dei suoi scritti che la pensano diversamente; a lui mi rivolgo direttamente, lo interpello e lo interrogo per sapere se quanto scrisse ai Galati 43, d'essersi cioè accorto che Pietro non procedeva rettamente secondo la verità del Vangelo e d'essersi opposto a lui apertamente, perché con la sua condotta simulata obbligava i pagani a seguire i riti giudaici, lo scrisse in modo veridico oppure se mentì per non so quale diplomatica finzione. E che sento rispondermi? Poco prima, proprio all'inizio del racconto che sta facendo, mi grida in tono di sacro giuramento: Quanto vi scrivo - Dio m'è testimonio - non è una menzogna 44.
Più che ai commentatori Agostino crede a Paolo stesso.
3. 25. Mi perdonino tutti quelli che hanno un l'opinione diversa, ma per conto mio preferisco credere a un Apostolo sì eminente quando in una sua lettera fa un giuramento per accreditarla, piuttosto che a un esegeta, dotto quanto si voglia, che commenta una lettera non sua. E neppure temo che mi si dica che difendo Paolo negando che simulasse l'errore dei Giudei e affermando che fosse caduto realmente nel loro errore. Non poteva infatti neppure simulare quell'errore lui che con franchezza d'apostolo, conveniente a quel tempo, col praticarli quando era necessario, non faceva che mettere in risalto quei vecchi riti, istituiti non dall'astuzia di Satana, ma dalla Provvidenza di Dio, perché fossero figure preannunciatrici delle realtà future. E neppure era caduto in quell'errore dei Giudei lui che non solo sapeva, ma predicava pure, senza stancarsi e con energia, che nell'errore erano quanti pensavano che quei riti dovessero imporsi anche ai pagani o li giudicavano necessari alla giustificazione dei fedeli, a qualunque stirpe essi appartenessero.
Prudenza e sincerità di Paolo.
3. 26. Dicevo pure che Paolo si fece giudeo coi Giudei e pagano coi pagani, non per agire con l'astuzia del bugiardo, ma per l'intimo sentimento che lo portava a compatire. Ho però l'impressione che tu non abbia considerato attentamente il modo come mi sono espresso o forse sono stato io piuttosto a non spiegarmi con sufficiente chiarezza. In realtà io mi sono espresso non già nel senso che Paolo abbia praticato quei riti solo per finta e per compassione, ma in quest'altro senso: come non simulò nel conformarsi ad alcune usanze giudaiche, così non simulò neppure nel conformarsi ad alcune usanze pagane nei casi che tu pure hai ricordati; a questo proposito debbo confessarti, non senza gratitudine, che mi sei venuto in aiuto. Ecco: in una mia lettera t'avevo chiesto di spiegarmi come poteva intendersi che Paolo si fosse fatto come un giudeo coi Giudei per aver osservato solo fintamente i riti dei Giudei, dato che poi si fece pure pagano coi pagani senza però praticare neppure per finta i sacrifici dei pagani. Tu m'hai risposto che si fece pagano coi pagani perché ammise nella fede di Cristo gl'incirconcisi e permise pure d'usare indifferentemente dei cibi condannati dai Giudei. Orbene, io chiedo: agì forse con simulazione anche in questo caso? Poiché, se tale ipotesi è quanto mai assurda e falsa, le cose, per conseguenza, non stanno diversamente per quei riti coi quali si conformava alle usanze dei Giudei con prudente franchezza, non costretto cioè come uno schiavo o, ciò che sarebbe più indegno, usando una diplomazia d'inganno anziché di lealtà.
Zelo apostolico di Paolo.
3. 27. Infatti per tutti i fedeli e per tutti quelli che hanno conosciuto la verità - lo attesta egli stesso, salvo che non inganni pure in questo punto - ogni creatura di Dio è buona, e niente è da disprezzare se preso con rendimento di grazie 45. Per lo stesso Paolo dunque, non solo in quanto uomo, ma pure come dispensatore fedelissimo, che non solo conosceva, ma insegnava pure la verità, ogni creatura di Dio - anche in fatto di cibi - era buona, non simulatamente, ma realmente. E perché mai, allora, mentre non praticò neppure per finta alcuno dei riti religiosi e delle cerimonie dei pagani - mentre al contrario il suo pensiero e il suo insegnamento sui cibi e sulla circoncisione rispondevano a verità - perché mai, ripeto, si fece come un pagano tra i pagani e non avrebbe potuto farsi giudeo tra i Giudei, se non fingendo i riti religiosi dei Giudei? Perché mai riserbò a un innesto d'ulivo selvatico il ministero dell'autentica fede 46, mentre sui rami naturali cresciuti dall'interno dell'albero stesso e non aggiunti dall'esterno avrebbe dovuto stendere un non so qual velo di diplomatica simulazione? Perché mai, fattosi come un pagano tra i pagani, insegna ciò che pensa e agisce come pensa, mentre, fattosi come un giudeo fra i Giudei, una cosa ha nel cuore e un'altra ne esprime a parole, a fatti e per iscritto? Inammissibile una simile interpretazione! La realtà è tutt'altra: sia verso gli uni che verso gli altri egli sentiva un debito di carità sgorgante da un cuore puro, da una coscienza retta e da una fede senza simulazione 47. Ecco in qual modo poté farsi tutto a tutti per salvare tutti 48, non con la scaltrezza di chi mentisce, ma con l'affetto di chi compatisce, non facendo cioè finta di commettere tutti i mali degli uomini, ma procurando con premura una medicina di misericordia ai mali di tutti gli altri come se quei mali fossero suoi.
Paolo agiva spinto dal vero amore.
3. 28. Quando perciò non rifiutava di praticare pure lui i riti sacri del Vecchio Testamento, non ingannava mosso dall'amore misericordioso; il suo non era affatto un inganno; egli al contrario si comportava in quel modo al fine di mettere in risalto la santità di quei riti - ch'erano stati dati e ordinati dal Signore Iddio per un tempo determinato - e li distingueva dai riti sacrileghi dei pagani. Paolo inoltre si faceva giudeo coi Giudei non con la scaltrezza di chi mentisce, ma con l'amore di chi compatisce; e quando lo faceva? Quando voleva liberarli dall'errore per cui si rifiutavano di credere in Cristo o pensavano di potersi purificare dai loro peccati e ottenere la salvezza per mezzo dei sacrifici compiuti dai loro sacerdoti o con l'osservanza delle antiche cerimonie: e lo faceva come se lui stesso si trovasse prigioniero di quell'errore. In tal modo egli amava davvero il prossimo come se stesso e faceva agli altri quel che avrebbe voluto fosse fatto a lui, se si fosse trovato nella stessa necessità. Proprio dopo avere inculcato questo precetto, il Signore aveva aggiunto: Poiché questa è tutta la Legge e i Profeti 49.
Carità nella verità.
3. 29. Questo amore di compassione Paolo lo comanda nella stessa lettera ai Galati, quando dice: Anche se uno fosse sorpreso in qualche mancanza, voi che siete spirituali correggetelo con spirito di dolcezza, badando bene a te stesso perché tu pure non sia tentato 50. Lo vedi dunque se non ha detto: " Diventa come lui per salvarlo "? Ma non certo facendo finta di commettere lo stesso peccato o facendogli credere falsamente d'averlo commesso, ma per capire - nel considerare la colpa dell'altro - che cosa potrebbe accadere a uno. In tal modo si può misericordiosamente venire in aiuto d'un altro, come si vorrebbe essere aiutati dagli altri, usando cioè non la scaltrezza di chi mentisce, ma l'amore di chi compatisce. Ecco in qual modo Paolo, per salvare tutti, si fece tutto a tutti 51 col giudeo, col pagano, con qualunque altro che si trovasse in qualche errore o peccato, non fingendo quello che non era, ma usando compassione, perché anch'egli si sarebbe potuto trovare in quella condizione, considerando che anch'egli era un uomo.
Espressioni di affetto di Girolamo per Agostino.
4. 30. Se non ti dispiace, considera, per favore, te stesso solo per un poco; te stesso, dico, nei miei confronti. Ricorda o rileggi - se ancora ne conservi la copia - le parole della tua lettera più breve, di quella cioè fattami recapitare per mezzo di Cipriano, nostro fratello e ora pure mio collega; considera con quanto sincero e fraterno affetto pieno di carità, dopo avermi rimproverato per qualche torto commesso verso la tua persona, soggiungevi: " Ciò significa offendere l'amicizia, violarne le leggi. Cerchiamo di non dar l'impressione di stare a bisticciare come dei ragazzi, fornendo così motivo alle chiacchiere dei nostri rispettivi fautori o detrattori ". Ho la sensazione che queste parole le hai dettate non solo con l'anima, ma pure mosso dalla bontà, con l'intenzione di rendermi un servizio. Aggiungi infine un'espressione che si sarebbe capita anche se fosse rimasta sottintesa: " Ti scrivo ciò - dici - perché desidero nutrire per te un affetto veramente schietto e cristiano e non coltivare nell'animo sentimenti diversi da quelli ch'esprimo con le labbra ". O uomo santo! Anch'io ti amo (Dio mi vede nell'anima) con sincero affetto. I sentimenti che hai scritto a chiare note e che non dubito tu abbia voluto esternarmi nella tua lettera, sono gli stessi che l'apostolo Paolo - ne sono convinto - ha manifestato certamente non per una persona particolare, ma per i Giudei, per i Greci, per tutti i pagani, suoi figli, da lui generati nel Vangelo, che continuava a generare soffrendo come una madre che dà alla luce la sua creatura 52; penso altresì che tali sentimenti li abbia espressi pure per tante migliaia di fedeli Cristiani che sarebbero venuti in seguito. Per tutti questi egli scrisse quella lettera, affinché ritenessero bene in mente i suoi ammonimenti, senza provare nel suo animo sentimenti per nulla diversi da quelli ch'esprimevano le sue labbra.
Sincerità e veridicità, basi dell'amicizia.
4. 31. Sono certo che tu pure, come avrei fatto io stesso, hai agito non già con la scaltrezza di chi mentisce, ma con l'affetto di chi compatisce, quando hai pensato di non lasciarmi nella colpa in cui, secondo te, io ero caduto, come non avresti voluto esserci lasciato nemmeno tu, se vi fossi caduto tu stesso. Mentre perciò ti esprimo la mia gratitudine per la benevolenza dimostratami, ti prego pure di non adirarti con me, se ti ho messo al corrente della cattiva impressione che mi hanno suscitato alcune idee espresse in certi tuoi scritti. Ti spiego: vorrei che tutti agissero con me allo stesso modo che ho agito io con te, in modo cioè che qualunque cosa fosse, a loro modo di vedere, riprovevole nei miei scritti, non se la tenessero nascosta malignamente in cuore né la criticassero parlando con altri, senza farne cenno a me; poiché sono senz'altro convinto che proprio così si offende l'amicizia e si violano le norme dei buoni rapporti tra due persone. Non so infatti come si possano considerare amicizie cristiane quelle, nelle quali si dimostra più valido il proverbio popolare che dice: La condiscendenza procura amici, la sincerità genera odio 53 anziché il detto dell'Ecclesiastico: Sono indizio di maggior fedeltà le ferite di chi ti vuol bene, che i falsi baci di chi ti vuol male 54.
Come mai la lettera di Agostino è caduta in mani estranee.
4. 32. Ebbene, ai nostri cari amici, che seguono con grande e sincero interesse i nostri lavori, cerchiamo piuttosto di far capire con la maggior premura possibile - e lo sappiano - che pure tra le persone più care può avvenire che, nel discutere insieme le nostre opinioni su qualche argomento, si manifestino delle disparità di vedute senza tuttavia che ne soffra la carità, anzi senza che la sincerità, uno dei requisiti dell'amicizia, generi odio sia quando è vera l'opinione opposta, sia quando un'altra opinione venga esposta (qualunque valore essa abbia) con sincerità d'animo senza nascondere nella mente il contrario di quello che si esprime con le labbra. Pertanto i nostri fratelli, che vivono con te e che tu attesti essere " vasi " di Cristo, si convincano di ciò: non è dipeso per nulla dalla mia volontà che la mia lettera sia capitata nelle mani di molti altri prima di giungere nelle tue essendone tu il destinatario e di ciò sono veramente costernato. Sarebbe troppo lungo e, se non m'inganno, anche superfluo raccontare come ciò sia potuto accadere, poiché basterebbe credere, seppure mi si dà un po' di credito, che il fatto è accaduto senza la minima intenzione che si suppone; il disguido è avvenuto in modo del tutto estraneo alla mia volontà o disposizione o complicità, anzi perfino alla mia immaginazione. Se poi non si crede quanto affermo al cospetto di Dio, non so più cosa fare. Per parte mia, comunque, non penso minimamente che siano essi a insinuare malignamente tali sospetti alla tua Santità per fomentare inimicizia tra noi due - la misericordia del Signore nostro Dio la tenga lontana da noi! - ma, anche senza intenzione di nuocere, è facile sospettare in un altro dei vizi propri dell'umana natura! E' giusto ad ogni modo ch'io la pensi così sul conto di essi, se sono " vasi " di Cristo destinati a usi non ignobili, ma nobili, disposti da Dio nella sua grande casa per ogni opera buona 55. Se poi, anche dopo questa mia dichiarazione, ammesso pure che la verranno a conoscere, volessero continuare a fare come prima, tu pure comprendi quanto agirebbero scorrettamente.
Agostino non ha volato offendere Girolamo.
4. 33. Riguardo a quanto ti scrissi, di non avere cioè inviato a Roma alcuno scritto contro di te, è vero. Te lo scrissi, perché non potevo identificare il termine " libro " con quello di " lettera " e pensavo di conseguenza che tu avessi sentito non so quali chiacchiere non rispondenti affatto alla realtà; tanto più che quella lettera l'avevo mandata non già a Roma, sebbene a te né pensavo che fosse contro di te, sapendo d'averla scritta con la sincerità propria dell'amicizia, sia per darti un'ammonizione sia per ricevere una correzione da te. Orbene, a parte le persone che convivono con te, ti scongiuro, in nome della grazia da cui siamo stati redenti; non pensare che tutte le buone doti a te concesse dalla bontà del Signore io le abbia ricordate nella mia lettera per prenderti nei lacci dell'adulazione. Se però t'ho fatto qualche torto, perdonami. Riguardo alla leggenda di non so quale poeta, che t'avevo menzionato più da sventato che per darmi arie di letterato, non applicarla a te più di quanto intendevo dire. Avevo soggiunto subito dopo che dicevo così non perché tu recuperassi la vista spirituale, dicevo anzi: " Sono ben lontano dal pensare che tu l'abbia perduta, ma perché faccia attenzione a conservarla sana e vigilante ". Pensavo insomma di accennare a quella leggenda solo per via della "palinodia" [ritrattazione] che dovremmo cantare come quel poeta, qualora avessimo scritto qualcosa da distruggere successivamente con un altro scritto; non perché attribuissi o temessi per il tuo spirito la cecità di Stesicoro! E' proprio di questo che ti voglio pregare: non aver paura di correggermi quando t'accorgi che ne avessi bisogno. Sebbene, infatti, a causa dei diversi titoli delle dignità ecclesiastiche, ormai introdotti nell'usanza della Chiesa, l'episcopato sia un grado maggiore del presbiterato, è pure vero tuttavia che, sotto molti aspetti, Agostino è inferiore a Girolamo, come è pur vero, d'altra parte, che una correzione fatta da uno qualsiasi, anche inferiore, non si deve né schivare né disdegnare!
Ortodossia e libertà d'esegesi.
5. 34. Riguardo poi alla tua traduzione, mi hai ormai convinto dell'utilità che ti sei proposto di raggiungere nel tradurre le Sacre Scritture dal testo ebraico, ch'era quello di mettere in risalto le parole saltate o alterate dai Giudei. Ti chiedo tuttavia d'indicarmi di quali Giudei si tratta. Sono forse quelli che avevano fatto la versione prima della venuta del Signore? In tal caso chi sono stati o chi di essi è stato? O sono stati forse solo quelli della generazione posteriore, che si può pensare abbiano tolto o alterato qualche passo nei manoscritti greci allo scopo di non vedersi confutati senza scampo da quelle prove riguardanti la verità della fede cristiana? Non riesco a immaginare per qual motivo avrebbero dovuto fare una simile cosa i traduttori della generazione precedente! Mandami inoltre la tua versione dei Settanta; non sapevo ancora che tu l'avessi già pubblicata. Desidero pure leggere il tuo libro "il metodo ideale per tradurre ", a cui tu stesso accennavi. Vorrei poi sapere un'altra cosa: com'è possibile a un traduttore mettere d'accordo le sue conoscenze delle lingue originali con le opinioni congetturali degli espositori sistematici delle Scritture. E' infatti inevitabile che costoro, anche se tutti professano la retta e unica fede, tirino fuori opinioni diverse, data l'oscurità di molti passi, sebbene tale varietà d'opinioni non sia in contrasto con l'unità della fede; così pure uno stesso commentatore, pur restando nell'ambito della medesima fede, può dare spiegazioni diverse d'un identico passo, cosa questa consentita dalla stessa oscurità del testo.
Preoccupazioni per il testo dei LXX.
5. 35. Desidero inoltre la versione del testo dei Settanta, allo scopo di sbarazzarmi, per quanto è possibile, di tutte le traduzioni difettose dei Latini, chiunque siano coloro che hanno tentato quest'impresa. Quanti poi pensano ch'io sia geloso dei tuoi utili lavori, capiscano una buona volta (se pur sarà possibile) perché non voglio che venga letta nelle chiese la tua versione dall'ebraico: non voglio ch'essa venga introdotta come una novità contro l'autorità dei Settanta e si vengano in tal modo a turbare con un grave scandalo i fedeli Cristiani. Le loro orecchie e la loro mente sono infatti abituate a sentire quella versione già approvata dagli Apostoli. Ecco anche perché preferirei che quel virgulto di cui si parla in Giona 56, anche se il termine ebraico non corrisponde né ad " edera " né a " zucca " o non so cos'altro che si tiene diritto sul suo stelo senza bisogno d'appoggiarsi ad altro sostegno, preferirei, ripeto, che in tutte le versioni latine si leggesse " zucca". Poiché penso che non senza motivo i Settanta abbiano usato questo termine, ma perché si trattava di qualcosa di simile.
La vera carità è sincera.
5. 36. Penso d'aver dato una risposta esauriente, anzi più che esauriente alle tue lettere, due delle quali recapitatemi da Cipriano e una da Fermo. Fammi sapere in una tua risposta che cosa te ne pare perché sia d'insegnamento sia a me che ad altri. Io poi da parte mia starò più attento, con l'aiuto di Dio, affinché la lettera che ti sto scrivendo arrivi a te prima che ad altre persone, dalle quali poi potrebbe esser fatta circolare in un raggio troppo largo. T'assicuro che nemmeno io vorrei che accadesse anche a me, per le lettere che tu mi scrivi, quanto è accaduto delle mie che t'ho scritto e di cui hai avuto pienamente ragione di lamentarti con me. Vorrei comunque che nelle nostre relazioni non ci accontentassimo soltanto della carità ma cercassimo pure la franchezza dell'amicizia; tu da parte tua e io da parte mia non dobbiamo tacerci quello che nelle nostre lettere può causarci turbamento, ma facciamolo con l'intenzione ispirata dall'amore fraterno, che non dispiace agli occhi di Dio. Se però tu pensi che tra noi ciò non possa avverarsi senza che venga offeso con grave danno il Suo amore, lasciamo andare. La carità che vorrei mi stringesse a te è certamente di grado superiore, ma è meglio la carità di grado inferiore piuttosto che non averne per nulla!
1 - Gal 2, 14.
2 - Gal 4, 19; cf. Gv 5, 6.
3 - Gal 1, 20
4 - Gal 2, 11-14.
5 - Mt 26, 69-75.
6 - 2 Sam 11, 4.17.
7 - Gal 1, 20.
8 - At 16, 3.
9 - At 18, 18.
10 - At 21, 26.
11 - Col 2, 17.
12 - At 21, 26.
13 - Gv 5, 46.
14 - At 21, 20-25.
15 - At 21, 24.
16 - At 15, 28.
17 - Rm 3, 2.
18 - Col 2, 17.
19 - Gal 2, 3-5.
20 - Ez 20, 25.
21 - Lc 16, 16.
22 - Gv 5, 18.
23 - Gv 1, 16.
24 - Gv 1, 17.
25 - Ger 31, 31.
26 - Mc 1, 44; cf. Lv 14, 2-32.
27 - Gv 7, 10.
28 - Gal 5, 2.
29 - Gal 2, 21.
30 - Gal 5, 4.
31 - Gal 5, 18.
32 - Es 20, 17; Dt 5, 20; Rm 7, 7. 12.
33 - Rm 7, 12.
34 - Rm 7, 13.
35 - Rm 5, 20.
36 - Rm 3, 19.
37 - Rm 13, 10.
38 - Rm 5, 5.
39 - Gc 5, 21; Mt 5, 37.
40 - Sal 5, 7.
41 - 1 Cor 4, 2.
42 - Gal 2, 14.
43 - Gal 2, 14.
44 - Gal 1, 20.
45 - 1 Tm 4, 4.
46 - Rm 11, 17.
47 - 1 Tm 1, 5.
48 - 1 Cor 9, 22.
49 - Mt 22, 40.
50 - Gal 6, 1.
51 - 1 Cor 9, 22.
52 - Gal 4, 19.
53 - TERENZIO, Andr. 68.
54 - Prv 27, 6.
55 - 2 Tm 2, 20 s.
56 - Gio 4, 6.
Capitolo XXI: La compunzione del cuore
Libro I: Libro della imitazione di Cristo e del dispregio del mondo e di tutte le sue vanità - Tommaso da Kempis
Leggilo nella Biblioteca 1. Se vuoi fare qualche progresso conservati nel timore di Dio, senza ambire a una smodata libertà; tieni invece saldamente a freno i tuoi sensi, senza lasciarti andare a una stolta letizia. Abbandonati alla compunzione di cuore, e ne ricaverai una vera devozione. La compunzione infatti fa sbocciare molte cose buone, che, con la leggerezza di cuore, sogliono subitamente disperdersi. E' meraviglia che uno possa talvolta trovare piena letizia nella vita terrena, se considera che questa costituisce un esilio e se riflette ai tanti pericoli che la sua anima vi incontra. Per leggerezza di cuore e noncuranza dei nostri difetti spesso non ci rendiamo conto dei guai della nostra anima; anzi, spesso ridiamo stoltamente, quando, in verità, dovremmo piangere. Non esiste infatti vera libertà, né santa letizia, se non nel timore di Dio e nella rettitudine di coscienza. Felice colui che riesce a liberarsi da ogni impaccio dovuto a dispersione spirituale, concentrando tutto se stesso in una perfetta compunzione. Felice colui che sa allontanare tutto ciò che può macchiare o appesantire il suo spirito. Tu devi combattere da uomo: l'abitudine si vince con l'abitudine. Se impari a non curarti della gente, questa lascerà che tu attenda tranquillamente a te stesso. Non portare dentro di te le faccende degli altri, non impicciarti neppure di quello che fanno le persone più in vista; piuttosto vigila sempre e in primo luogo su di te, e rivolgi il tuo ammonimento particolarmente a te stesso, prima che ad altre persone, anche care. Non rattristarti se non ricevi il favore degli uomini; quello che ti deve pesare, invece, è la constatazione di non essere del tutto e sicuramente nella via del bene, come si converrebbe a un servo di Dio e a un monaco pieno di devozione.
2. E' grandemente utile per noi, e ci dà sicurezza di spirito, non ricevere molte gioie in questa vita; particolarmente gioie materiali. Comunque, è colpa nostra se non riceviamo consolazioni divine o ne proviamo raramente; perché non cerchiamo la compunzione del cuore e non respingiamo del tutto le vane consolazioni che vengono dal di fuori. Riconosci di essere indegno della consolazione divina, e meritevole piuttosto di molte sofferenze, Quando uno è pienamente compunto in se stesso, ogni cosa di questo mondo gli appare pesante e amara. L'uomo retto, ben trova motivo di pianto doloroso. Sia che rifletta su di sé o che vada pensando agli altri, egli comprende che nessuno vive quaggiù senza afflizioni; e quanto più severamente si giudica, tanto maggiormente si addolora. Sono i nostri peccati e i nostri vizi a fornire materia di giusto dolore e di profonda compunzione; peccato e vizi dai quali siamo così avvolti e schiacciati che raramente riusciamo a guardare alle cose celesti. Se il nostro pensiero andasse frequentemente alla morte, più che alla lunghezza della vita, senza dubbio ci emenderemmo con maggior fervore. Di più, se riflettessimo nel profondo del cuore alle sofferenze future dell'inferno e del purgatorio, accetteremmo certamente fatiche e dolori, e non avremmo paura di un duro giudizio. Invece queste cose non penetrano nel nostro animo; perciò restiamo attaccati alle dolci mollezze, restiamo freddi e assai pigri. Spesso, infatti, è sorta di spirituale povertà quella che facilmente invade il nostro misero corpo. Prega dunque umilmente il Signore che ti dia lo spirito di compunzione; e di', con il profeta: nutrimi, o Signore, "con il pane delle lacrime; dammi, nelle lacrime, copiosa bevanda" (Sal 79,6).
Agosto 1955.
Camilla Bravi
Ieri soffrivo troppo alla vista della mia miseria, e sotto l'impeto della tentazione mi sembrava che per me la santità fosse impossibile. Piangendo pregavo Dio che non mi mandasse all'inferno ove l'avrei perduto per sempre. Egli e la Madonna mi fortificarono con i loro lumi, sempre però nella preghiera e nell'orazione di pura fede.
Malgrado tutto, cresce la mia dedizione allo Spirito Santo e anche il desiderio della morte del mio io; e accetto la prova, qualunque sia, purché Dio possa vivere completamente in me. Cerco di pregare più che posso, quando mi riesce, perché nei giorni di aridità o di male fisico forte mi è impossibile, e cerco di supplire con atti d'amore e di abbandono. Quando posso, prego tutti i Santi e mi rivolgo a tutti perché intercedano per me. Cerco di ubbidire al Direttore e confidare, abbandonandomi a Gesù e Maria, da cui spero tutto, malgrado la mia grande miseria e nullità.