Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

L'"opera del Signore" è la creazione, la quale, ben considerata, porta colui che l'osserva all'ammirazione del suo Creatore. Se c'è tanta bellezza nella creatura, quanta ce ne sarà  nel Creatore? La sapienza dell'artefice risplende nella materia. Ma coloro che sono schiavi dei sensi non comprendono tutto questo. (Sant'Antonio di Padova)

Liturgia delle Ore - Letture

Lunedi della 7° settimana del tempo ordinario

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Giovanni 1

1In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
2Egli era in principio presso Dio:
3tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che
esiste.
4In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
5la luce splende nelle tenebre,
ma le tenebre non l'hanno accolta.
6Venne un uomo mandato da Dio
e il suo nome era Giovanni.
7Egli venne come testimone
per rendere testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
8Egli non era la luce,
ma doveva render testimonianza alla luce.
9Veniva nel mondo
la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
10Egli era nel mondo,
e il mondo fu fatto per mezzo di lui,
eppure il mondo non lo riconobbe.
11Venne fra la sua gente,
ma i suoi non l'hanno accolto.
12A quanti però l'hanno accolto,
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
13i quali non da sangue,
né da volere di carne,
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
14E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria,
gloria come di unigenito dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
15Giovanni gli rende testimonianza
e grida: "Ecco l'uomo di cui io dissi:
Colui che viene dopo di me
mi è passato avanti,
perché era prima di me".
16Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto
e grazia su grazia.
17Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
18Dio nessuno l'ha mai visto:
proprio il Figlio unigenito,
che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelato.

19E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: "Chi sei tu?".20Egli confessò e non negò, e confessò: "Io non sono il Cristo".21Allora gli chiesero: "Che cosa dunque? Sei Elia?". Rispose: "Non lo sono". "Sei tu il profeta?". Rispose: "No".22Gli dissero dunque: "Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?".23Rispose:

"Io sono 'voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore',

come disse il profeta Isaia".24Essi erano stati mandati da parte dei farisei.25Lo interrogarono e gli dissero: "Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?".26Giovanni rispose loro: "Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete,27uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo".28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
29Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!30Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me.31Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele".32Giovanni rese testimonianza dicendo: "Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui.33Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo.34E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio".

35Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: "Ecco l'agnello di Dio!".37E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.38Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: "Che cercate?". Gli risposero: "Rabbì (che significa maestro), dove abiti?".39Disse loro: "Venite e vedrete". Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro.41Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)"42e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)".
43Il giorno dopo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse: "Seguimi".44Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro.45Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: "Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nàzaret".46Natanaèle esclamò: "Da Nàzaret può mai venire qualcosa di buono?". Filippo gli rispose: "Vieni e vedi".47Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: "Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità".48Natanaèle gli domandò: "Come mi conosci?". Gli rispose Gesù: "Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico".49Gli replicò Natanaèle: "Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!".50Gli rispose Gesù: "Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!".51Poi gli disse: "In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo".


Primo libro dei Maccabei 10

1Nell'anno centosessanta Alessandro Epìfane, figlio di Antioco, s'imbarcò e occupò Tolemàide; vi fu riconosciuto re e cominciò a regnare.2Quando lo seppe, il re Demetrio radunò un esercito molto grande e gli mosse contro per fargli guerra.3Demetrio mandò anche lettere a Giònata con espressioni di amicizia per esaltarlo.4Diceva infatti: "Preveniamo costoro con la proposta di far pace con noi, prima che Giònata concluda un'alleanza con Alessandro contro tutti noi.5Si ricorderà certo di tutti i mali che abbiamo causati a lui, ai suoi fratelli e al suo popolo".6Gli concesse facoltà di raccogliere milizie, di preparare armi e considerarsi suo alleato e gli fece restituire gli ostaggi che erano nell'Acra.7Giònata venne in Gerusalemme e lesse le lettere davanti a tutto il popolo e a quelli dell'Acra.8Questi ebbero grande timore quando sentirono che il re gli aveva concesso facoltà di arruolare milizie.9Quelli dell'Acra restituirono gli ostaggi ed egli li rese ai loro genitori.10Giònata pose la residenza in Gerusalemme e incominciò a ricostruire e rinnovare la città.11Ordinò ai costruttori di edificare le mura e la cinta muraria del monte Sion con pietre quadrate per fortificazione, e così fecero.12Gli stranieri che stavano nelle fortezze edificate da Bàcchide fuggirono;13ognuno abbandonò la sua posizione e tornò alla sua terra;14solo in Bet-Zur erano rimasti alcuni traditori della legge e dei comandamenti; fu quello il loro rifugio.
15Il re Alessandro seppe dell'ambasciata che Demetrio aveva mandato a Giònata; gli narrarono anche le battaglie e gli atti di valore che egli e i suoi fratelli avevano compiuto e le fatiche sopportate16e disse: "Troveremo un altro come lui? Facciamocelo amico e alleato".17Scrisse e spedì a lui questa lettera:
18"Il re Alessandro al fratello Giònata salute.19Abbiamo sentito dire di te che sei uomo forte e potente e disposto ad essere nostro amico.20Noi dunque ti nominiamo oggi sommo sacerdote del tuo popolo e amico del re - gli aveva inviato anche la porpora e la corona d'oro - perché tu favorisca la nostra causa e mantenga amicizia con noi".21Giònata indossò le vesti sacre nel settimo mese dell'anno centosessanta nella festa delle Capanne e arruolò soldati e fece preparare molte armi.
22Demetrio venne a sapere queste cose e si rattristò e disse:23"Perché abbiamo lasciato che Alessandro ci prevenisse nell'accaparrarsi l'amicizia dei Giudei a suo sostegno?24Scriverò anch'io parole d'invito e proposte di onori e di doni, perché passino dalla nostra parte".25Scrisse loro in questi termini: "Il re Demetrio al popolo dei Giudei salute.26Avete osservato le nostre alleanze e siete rimasti nella nostra amicizia e non siete passati ai nostri nemici: l'abbiamo saputo e ne siamo felici.27Continuate dunque a mantenerci la vostra fedeltà e ricambieremo con favori quello che farete per noi.28Vi concederemo ampie immunità e vi invieremo doni.29Fin da ora dispenso voi ed esonero tutti i Giudei dal tributo e dalla tassa del sale e dalle corone.30Rinuncio anche da oggi in poi a riscuotere dalla Giudea e dai tre distretti che le sono annessi, dalla Samaria e dalla Galilea, la terza parte del grano e la metà dei frutti degli alberi che mi spetta, da oggi per sempre.31Gerusalemme sia santa ed esente con il suo distretto e così siano sacre le decime e i tributi.32Rinuncio anche al potere sull'Acra in Gerusalemme e la concedo al sommo sacerdote perché vi stabilisca uomini da lui scelti a presidiarla.33Rimetto in libertà senza compenso anche ogni persona giudea, fatta prigioniera fuori del paese di Giuda in tutti i miei domìni; tutti siano esonerati dai tributi, anche da quelli del bestiame.34Tutte le feste e i sabati e i noviluni e il triduo prima e il triduo dopo la festa siano tutti giorni di esenzione e di immunità per tutti i Giudei che sono nel mio regno;35nessuno avrà il potere di intentare causa contro di loro o di disturbarli per alcun motivo.36Si potranno arruolare nell'esercito del re fino a tremila Giudei e sarà dato loro il soldo, come spetta a tutte le forze del re.37Saranno posti di stanza alcuni di loro nelle più grandi fortezze del re, alcuni di loro saranno anche preposti agli affari di fiducia del regno; i loro superiori e i comandamenti saranno scelti tra di loro e potranno regolarsi secondo le loro leggi, come ha prescritto il re anche per la Giudea.38I tre distretti assegnati alla Giudea, detraendoli dalla regione della Samaria, saranno riconosciuti dalla Giudea e considerati come sottoposti a uno solo e non dipendenti da altra autorità che non sia quella del sommo sacerdote.39Assegno Tolemàide e le sue dipendenze come dono al tempio di Gerusalemme per le spese necessarie al santuario.40Io personalmente assegno ogni anno quindicimila sicli d'argento prelevati dai diritti del re sulle località più convenienti.41Gli ulteriori contributi che non sono stati versati dagli incaricati come negli anni precedenti, d'ora in poi saranno corrisposti per le opere del tempio.42Oltre a ciò i cinquemila sicli che venivano prelevati dall'ammontare delle entrate annuali del tempio sono anche condonati perché appartengono ai sacerdoti che vi prestano servizio.43Chiunque si rifugerà nel tempio di Gerusalemme e nella sua zona con debiti da rendere al re o per qualunque motivo, sarà dichiarato libero con quanto gli appartiene nel mio regno.44Per le costruzioni e i restauri nel tempio le spese saranno sostenute dalla cassa del re.45Anche per la costruzione delle mura e delle fortificazioni intorno a Gerusalemme le spese saranno sostenute dall'erario del re e così la costruzione di mura nella Giudea".
46Quando Giònata e il popolo intesero simili espressioni, non vi prestarono fede e non le accettarono, ricordando le grandi iniquità da lui compiute contro Israele e quanto li avesse fatti soffrire.47Ma preferirono Alessandro, perché questi era stato il primo ad avviare trattative di pace, e gli furono sempre alleati.
48Il re Alessandro raccolse grandi forze e uscì in campo contro Demetrio.49I due re attaccarono battaglia e l'esercito di Demetrio fu messo in fuga; Alessandro lo inseguì ed ebbe la meglio sulle sue truppe;50la battaglia infuriò fino al tramonto del sole e Demetrio cadde ucciso in quel giorno.
51Alessandro mandò allora ambasciatori al re Tolomeo con questo messaggio:52"Poiché sono rientrato nel mio regno e mi sono seduto sul trono dei miei padri, ho ripreso il comando e ho sconfitto Demetrio - egli si era impadronito del mio territorio53ma io gli ho mosso guerra ed egli e il suo esercito furono sconfitti dal nostro e ci siamo seduti sul trono del suo regno -54concludiamo tra di noi amicizia; tu concedimi in sposa tua figlia, io sarò tuo genero e offrirò a te e a lei doni degni di te".
55Tolomeo rispose: "Felice il giorno in cui sei tornato nella terra dei tuoi padri e ti sei seduto sul trono del loro regno.56Io farò quanto hai proposto nella lettera, ma tu vienimi incontro fino a Tolemàide, perché ci vediamo a vicenda, e io diventerò tuo suocero, come hai chiesto".
57Tolomeo partì dall'Egitto con la figlia Cleopatra e si recò a Tolemàide nell'anno centosessantadue.58Gli andò incontro il re Alessandro: Tolomeo gli diede sua figlia Cleopatra e celebrò le nozze con lei in Tolemàide secondo lo stile dei re con grande sfarzo.
59Il re Alessandro scrisse a Giònata di venirgli incontro.60Egli andò con grande parata a Tolemàide e s'incontrò con i due re; offrì loro e ai loro amici oro e argento e molti doni e si guadagnò il loro favore.61Si accordarono però contro di lui uomini pestiferi d'Israele, traditori della legge, per deporre contro di lui, ma il re non prestò loro ascolto.62Il re invece diede ordine di far deporre a Giònata le sue vesti e di rivestirlo della porpora e l'ordine fu eseguito.63Il re lo fece sedere accanto a sé e disse ai suoi ufficiali: "Attraversate con lui la città e proclamate che nessuno porti accuse contro di lui per qualunque motivo e nessuno gli rechi molestia in alcun modo".64Ora, quando i suoi accusatori videro gli onori che riceveva, come proclamava il banditore, e che era stato rivestito di porpora, si dileguarono tutti.65Il re gli conferì onori e lo ascrisse tra i suoi primi amici e lo costituì stratega e governatore della provincia.66Così Giònata tornò a Gerusalemme in pace e gioia.
67Nell'anno centosessantacinque Demetrio, figlio di Demetrio, venne da Creta nella terra dei suoi padri.68Il re Alessandro, quando lo seppe, ne fu assai preoccupato e tornò in Antiochia.69Demetrio affidò il governo della Celesiria ad Apollonio e questi raccolse un grande esercito, si accampò presso Iamnia e inviò al sommo sacerdote Giònata questo messaggio:
70"Soltanto tu ti sei alzato contro di noi e io sono diventato oggetto di derisione e di scherno a causa tua. Perché ti fai forte contro di noi stando sui monti?71Ora, se sei tanto sicuro delle tue forze, scendi contro di noi nella pianura e qui misuriamoci, perché con me c'è la forza delle città.72Infòrmati e sappi chi sono io e chi sono gli altri miei alleati. Questi ti diranno: Non potrete tener saldo il piede davanti a noi, perché già due volte sono stati da noi sconfitti i tuoi padri nella loro terra.73Così ora non potrai resistere alla cavalleria e a un esercito come il nostro in pianura, ove non c'è roccia né scoglio né luogo in cui rifugiarsi".74Quando Giònata intese le parole di Apollonio, ne ebbe l'animo irritato; scelse diecimila uomini e uscì da Gerusalemme. Suo fratello Simone gli venne incontro per aiutarlo.75Si accampò presso Giaffa, ma gli abitanti avevano chiuso la città, perché a Giaffa vi era un presidio di Apollonio. Le diedero l'assalto;76i cittadini spaventati aprirono e Giònata fu padrone di Giaffa.77Apollonio lo seppe e mise in campo tremila cavalli e molte truppe e si mosse verso Asdòd, come se intendesse fare quel percorso, ma subito si spinse nella pianura, poiché aveva una cavalleria numerosa sulla quale contava.78Giònata lo inseguì alle spalle in direzione di Asdòd e gli eserciti attaccarono battaglia.79Apollonio aveva lasciato un migliaio di cavalieri nascosti dietro di loro;80Giònata però si era accorto che c'era un appostamento dietro di lui. Quelli circondarono il suo schieramento e lanciarono frecce contro le truppe da mattina fino a sera.81Ma le truppe tennero fermo come aveva ordinato Giònata, mentre i cavalli di quelli si stancarono.82Allora Simone fece uscire le sue riserve e attaccò la falange e poiché la cavalleria ormai era esausta, quelli furono travolti e si diedero alla fuga;83i cavalieri si dispersero nella pianura e gli altri si rifugiarono in Asdòd ed entrarono in Bret-Dagon, il tempio del loro idolo, in cerca di scampo.84Giònata allora incendiò Asdòd e le città all'intorno, prese le loro spoglie e diede alle fiamme anche il tempio di Dagon e quanti vi si erano rifugiati.85Gli uccisi di spada e i morti tra le fiamme assommarono a circa ottomila uomini.86Poi Giònata tolse il campo di là e si accampò di fronte ad Ascalòna e i cittadini gli vennero incontro con grandi onori.87Così Giònata tornò in Gerusalemme con i suoi uomini carichi di bottino.88Il re Alessandro, udendo queste notizie, aumentò gli onori a Giònata;89gli inviò la fibbia d'oro che si usa inviare ai parenti del re e gli diede in possesso Ekròn e tutto il suo territorio.


Sapienza 13

1Davvero stolti per natura tutti gli uomini
che vivevano nell'ignoranza di Dio.
e dai beni visibili non riconobbero colui che è,
non riconobbero l'artefice, pur considerandone le opere.
2Ma o il fuoco o il vento o l'aria sottile
o la volta stellata o l'acqua impetuosa
o i luminari del cielo
considerarono come dèi, reggitori del mondo.
3Se, stupiti per la loro bellezza, li hanno presi per dèi,
pensino quanto è superiore il loro Signore,
perché li ha creati lo stesso autore della bellezza.
4Se sono colpiti dalla loro potenza e attività,
pensino da ciò
quanto è più potente colui che li ha formati.
5Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature
per analogia si conosce l'autore.
6Tuttavia per costoro leggero è il rimprovero,
perché essi forse s'ingannano
nella loro ricerca di Dio e nel volere trovarlo.
7Occupandosi delle sue opere, compiono indagini,
ma si lasciano sedurre dall'apparenza,
perché le cosa vedute sono tanto belle.
8Neppure costoro però sono scusabili,
9perché se tanto poterono sapere da scrutare l'universo,
come mai non ne hanno trovato più presto il padrone?

10Infelici sono coloro le cui speranze sono in cose morte
e che chiamarono dèi i lavori di mani d'uomo,
oro e argento lavorati con arte,
e immagini di animali,
oppure una pietra inutile, opera di mano antica.
11Se insomma un abile legnaiuolo,
segato un albero maneggevole,
ne raschia con diligenza tutta la scorza
e, lavorando con abilità conveniente,
ne forma un utensile per gli usi della vita;
12raccolti poi gli avanzi del suo lavoro,
li consuma per prepararsi il cibo e si sazia.
13Quanto avanza ancora, buono proprio a nulla,
legno distorto e pieno di nodi,
lo prende e lo scolpisce per occupare il tempo libero;
senza impegno, per diletto, gli dà una forma,
lo fa simile a un'immagine umana
14oppure a quella di un vile animale.
Lo vernicia con minio, ne colora di rosso la superficie
e ricopre con la vernice ogni sua macchia;
15quindi, preparatagli una degna dimora,
lo pone sul muro, fissandolo con un chiodo.
16Provvede perché non cada,
ben sapendo che non è in grado di aiutarsi da sé;
esso infatti è solo un'immagine e ha bisogno di aiuto.
17Eppure quando prega per i suoi beni,
per le sue nozze e per i figli,
non si vergogna di parlare a quell'oggetto inanimato;
per la sua salute invoca un essere debole,
18per la sua vita prega un morto:
per un aiuto supplica un essere inetto,
per il suo viaggio chi non può neppure camminare;
19per acquisti, lavoro e successo negli affari,
chiede abilità ad uno che è il più inabile di mani.


Salmi 138

1'Di Davide.'

Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
A te voglio cantare davanti agli angeli,
2mi prostro verso il tuo tempio santo.
Rendo grazie al tuo nome
per la tua fedeltà e la tua misericordia:
hai reso la tua promessa più grande di ogni fama.
3Nel giorno in cui t'ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.
4Ti loderanno, Signore, tutti i re della terra
quando udranno le parole della tua bocca.
5Canteranno le vie del Signore,
perché grande è la gloria del Signore;
6eccelso è il Signore e guarda verso l'umile
ma al superbo volge lo sguardo da lontano.

7Se cammino in mezzo alla sventura
tu mi ridoni vita;
contro l'ira dei miei nemici stendi la mano
e la tua destra mi salva.
8Il Signore completerà per me l'opera sua.
Signore, la tua bontà dura per sempre:
non abbandonare l'opera delle tue mani.


Zaccaria 8

1Questa parola del Signore degli eserciti mi fu rivolta:2"Così dice il Signore degli eserciti:

Sono acceso di grande gelosia per Sion,
un grande ardore m'infiamma per lei.

3Dice il Signore: Tornerò a Sion e dimorerò in Gerusalemme. Gerusalemme sarà chiamata Città della fedeltà e il monte del Signore degli eserciti Monte santo".4Dice il Signore degli eserciti: "Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano per la loro longevità.5Le piazze della città formicoleranno di fanciulli e di fanciulle, che giocheranno sulle sue piazze".6Dice il Signore degli eserciti: "Se questo sembra impossibile agli occhi del resto di questo popolo in quei giorni, sarà forse impossibile anche ai miei occhi?" - dice il Signore degli eserciti -.

7Così dice il Signore degli eserciti:
"Ecco, io salvo il mio popolo
dalla terra d'oriente e d'occidente:
8li ricondurrò ad abitare in Gerusalemme;
saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio,
nella fedeltà e nella giustizia".

9Dice il Signore degli eserciti: "Riprendano forza le vostre mani. Voi in questi giorni ascoltate queste parole dalla bocca dei profeti; oggi vien fondata la casa del Signore degli eserciti con la ricostruzione del tempio.

10Ma prima di questi giorni
non c'era salario per l'uomo,
né salario per l'animale;
non c'era sicurezza alcuna
per chi andava e per chi veniva
a causa degli invasori:
io stesso mettevo gli uomini l'un contro l'altro.
11Ora invece verso il resto di questo popolo
io non sarò più come sono stato prima
- dice il Signore degli eserciti -.
12È un seme di pace:
la vite produrrà il suo frutto,
la terra darà i suoi prodotti,
i cieli daranno la rugiada:
darò tutto ciò al resto di questo popolo.

13Come foste oggetto di maledizione fra le genti, o casa di Giuda e d'Israele, così quando vi avrò salvati, diverrete una benedizione. Non temete dunque: riprendano forza le vostre mani".
14Così dice il Signore degli eserciti: "Come decisi di affliggervi quando i vostri padri mi provocarono all'ira - dice il Signore degli eserciti - e non mi lasciai commuovere,15così invece mi darò premura in questi giorni di fare del bene a Gerusalemme e alla casa di Giuda; non temete.16Ecco ciò che voi dovrete fare: parlate con sincerità ciascuno con il suo prossimo; veraci e sereni siano i giudizi che terrete alle porte delle vostre città.17Nessuno trami nel cuore il male contro il proprio fratello; non amate il giuramento falso, poiché io detesto tutto questo" - oracolo del Signore -.

18Mi fu ancora rivolta questa parola del Signore degli eserciti:19"Così dice il Signore degli eserciti: Il digiuno del quarto, quinto, settimo e decimo mese si cambierà per la casa di Giuda in gioia, in giubilo e in giorni di festa, purché amiate la verità e la pace".

20Dice il Signore degli eserciti: "Anche popoli e abitanti di numerose città si raduneranno21e si diranno l'un l'altro: Su, andiamo a supplicare il Signore, a trovare il Signore degli eserciti; ci vado anch'io.22Così popoli numerosi e nazioni potenti verranno a Gerusalemme a consultare il Signore degli eserciti e a supplicare il Signore".
23Dice il Signore degli eserciti: "In quei giorni, dieci uomini di tutte le lingue delle genti afferreranno un Giudeo per il lembo del mantello e gli diranno: Vogliamo venire con voi, perché abbiamo compreso che Dio è con voi".


Lettera ai Romani 7

1O forse ignorate, fratelli - parlo a gente esperta di legge - che la legge ha potere sull'uomo solo per il tempo in cui egli vive?2La donna sposata, infatti, è legata dalla legge al marito finché egli vive; ma se il marito muore, è libera dalla legge che la lega al marito.3Essa sarà dunque chiamata adultera se, mentre vive il marito, passa a un altro uomo, ma se il marito muore, essa è libera dalla legge e non è più adultera se passa a un altro uomo.4Alla stessa maniera, fratelli miei, anche voi, mediante il corpo di Cristo, siete stati messi a morte quanto alla legge, per appartenere ad un altro, cioè a colui che fu risuscitato dai morti, affinché noi portiamo frutti per Dio.5Quando infatti eravamo nella carne, le passioni peccaminose, stimolate dalla legge, si scatenavano nelle nostre membra al fine di portare frutti per la morte.6Ora però siamo stati liberati dalla legge, essendo morti a ciò che ci teneva prigionieri, per servire nel regime nuovo dello Spirito e non nel regime vecchio della lettera.

7Che diremo dunque? Che la legge è peccato? No certamente! Però io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: 'Non desiderare'.8Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me ogni sorta di desideri. Senza la legge infatti il peccato è morto9e io un tempo vivevo senza la legge. Ma, sopraggiunto quel comandamento, il peccato ha preso vita10e io sono morto; la legge, che doveva servire per la vita, è divenuta per me motivo di morte.11Il peccato infatti, prendendo occasione dal comandamento, mi ha sedotto e per mezzo di esso mi ha dato la morte.12Così la legge è santa e santo e giusto e buono è il comandamento.13Ciò che è bene è allora diventato morte per me? No davvero! È invece il peccato: esso per rivelarsi peccato mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, perché il peccato apparisse oltre misura peccaminoso per mezzo del comandamento.

14Sappiamo infatti che la legge è spirituale, mentre io sono di carne, venduto come schiavo del peccato.15Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto.16Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona;17 quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.18Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo;19infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio.20Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.21Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me.22Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio,23ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra.24Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?25Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mente, servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato.


Capitolo XII: Colui che si appresta a comunicarsi con Cristo vi si deve preparare con scrupolosa diligenza

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Voce del Diletto

1. Io sono colui che ama la purezza; io sono colui che dona ogni santità. Io cerco un cuore puro: là è il luogo del mio so. Allestisci e "apparecchia per me un'ampia sala ove cenare (Mc 14,15; Lc 22,12), e farò la Pasqua presso di te con i miei discepoli". Se vuoi che venga a te e rimanga presso di te, espelli "il vecchio fermento" (1Cor 5,7) e purifica la dimora del tuo cuore. Caccia fuori tutto il mondo e tutto il disordine delle passioni; sta "come il passero solitario sul tetto" (Sal 101,8) e ripensa, con amarezza di cuore, ai tuoi peccati. Invero, colui che ama prepara al suo caro, da cui è amato, il luogo migliore e più bello: di qui si conosce l'amorosa disposizione di chi riceve il suo diletto. Sappi tuttavia che, per questa preparazione - anche se essa durasse un intero anno e tu non avessi altro in mente - non potresti mai fare abbastanza con le tue sole forze. E' soltanto per mia benevolenza e per mia grazia, che ti viene concesso di accostarti alla mensa: come se un poveretto fosse chiamato al banchetto di un ricco e non avesse altro modo per ripagare quel beneficio che farsi piccolo e rendere grazie. Fa' dunque tutto quello che sta in te; fallo con tutta attenzione, non per abitudine, non per costrizione. Il corpo del tuo Diletto Signore Dio, che si degna di venire a te, accoglilo con timore, con venerazione, con amore. Sono io ad averti chiamato; sono io ad aver comandato che così fosse fatto; sarò io a supplire a quel che ti manca. Vieni ed accoglimi. Se ti concedo la grazia della devozione, che tu ne sia grato al tuo Dio; te la concedo, non già per il fatto che tu ne sia degno, ma perché ho avuto misericordia di te. Se non hai questa devozione, e ti senti piuttosto arido, insisti nella preghiera, piangi e bussa, senza smettere finché non avrai meritato di ricevere almeno una briciola o una goccia della grazia di salvezza. Sei tu che hai bisogno di me, non io di te. Sono io che vengo a santificare te e a farti migliore, non sei tu che vieni a dare santità a me. Tu vieni per ricevere da me la santità, nell'unione con me; per ricevere nuova grazia, nel rinnovato, ardente desiderio di purificazione. "Non disprezzare questa grazia" (1Tm 4,14); prepara invece il tuo cuore con ogni cura e fa' entrare in te il tuo diletto.

2. Ancora, occorre, non solo che tu ti disponga a pietà, avanti la Comunione, ma anche che tu ti conservi in essa, con ogni cura, dopo aver ricevuto il Sacramento. La vigilanza di poi non deve essere inferiore alla devota preparazione di prima; ché tale attenta vigilanza è a sua volta la migliore preparazione per ottenere una grazia più grande. Taluno diventa assai mal disposto, proprio per essersi subito abbandonato a consolazioni esteriori. Guardati dal molto parlare; tieniti appartato, a godere del tuo Dio. E' lui che tu possiedi; neppure il mondo intero te lo potrà togliere. Io sono colui al quale devi darti interamente, così che tu non viva più in te, ma in me, fuori da ogni affanno.


LETTERA 103: Nettario scrive ad Agostino cercando di indurlo all'indulgenza usando blandizie ed esaltando un generico pacifismo.

Lettere - Sant'Agostino

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Scritta all'inizio del 409.

Nettario scrive ad Agostino cercando di indurlo all'indulgenza usando blandizie ed esaltando un generico pacifismo (n. 1), ricordando che si deve amare non solo la patria celeste ma pure quella terrena (n. 2); la privazione dei beni è peggiore della morte; tutte le colpe sono uguali ed ugualmente degne di perdono (n. 3) perciò non deve essere applicata nessuna pena fisica o pecuniaria (n. 4).

AD AGOSTINO, SIGNORE GIUSTAMENTE ASSAI COMMENDEVOLE E FRATELLO SOTTO OGNI ASPETTO ONORANDO, NETTARIO AUGURA SALUTE NEL SIGNORE

Agostino è parso a Nettario come un focoso Cicerone.

1. Ricevuta la lettera dell'Eccellenza tua, con cui hai demolito il culto agli idoli e le cerimonie dei loro templi, ho avuto l'impressione di sentire la voce d'un filosofo, non però di quel tale che, si dice, era solito starsene appartato in un angolo oscuro del ginnasio dell'Accademia, immerso in profonda meditazione, col capo tra le ginocchia rialzate fino alla fronte, il quale, povero di scienza, nell'impossibilità di difendere le proprie idee, attaccava con calunnie le illustri scoperte e accusava le brillanti idee degli altri; ma vivamente colpito dalle tue parole, m'è parso vedere dritto davanti al mio sguardo l'antico console M. Tullio, il quale, dopo aver salvato la vita a innumerevoli suoi concittadini, coronato di alloro, portasse le insegne vittoriose dell'arengo forense nelle scuole stupefatte della Grecia: m'è parso che, ancora anelante, deponesse la tromba della sua voce e della sua lingua melodiosa che, ispirato da giusto sdegno, aveva fatto risuonare contro gli imputati e i parricidi dello Stato, respingendo dietro le spalle la stessa toga, sciogliendone le pieghe ben composte, facendole assumere l'aspetto d'un mantello greco.

Amare le due patrie: celeste e terrestre.

2. In conclusione, ho ascoltato volentieri le tue esortazioni all'adorazione e alla pietà verso l'altissimo Iddio: ho pure accolto con grato animo il tuo invito a contemplare la patria celeste. Mi sembrava infatti che tu parlassi non di una città racchiusa entro una cerchia di mura, né del mondo, che i filosofi nei loro trattati chiamano la patria comune di tutti, ma della città ove ha dimora e sede il sommo Dio e le anime che hanno ben meritato di Lui: alla quale tendono per vie e sentieri diversi tutte le leggi, la quale non si può descrivere a parole, ma può essere trovata solo col pensiero. Sebbene sia questa la città che dobbiamo certamente cercare ed amare soprattutto, tuttavia penso non si debba trascurare l'altra, in cui siamo nati e per cui siamo membri della stessa nazione: quella in cui i nostri occhi hanno visto per la prima volta la luce, che ci ha nutriti ed educati. Per esprimere poi un particolare relativo alla nostra questione dirò quanto affermano gli uomini più dotti, che cioè dopo la morte del corpo è preparata in cielo una dimora per i benemeriti di essa e che i servizi resi alle città che ci diedero i natali, sono come gradini per elevarci alla città superna ove dimorano, in più intima unione con Dio, coloro i quali risultano aver procurato la salvezza della patria col consiglio e con l'opera. Quando poi, facendo dello spirito, dici che la nostra città non arderebbe tanto per la guerra quanto piuttosto per le fiamme e per gli incendi, ciò non costituisce un rimprovero molto grave: è risaputo infatti che i fiori nascono per lo più dalle spine. Nessuno infatti dubita che le rose nascono dalle spine e le stesse spighe di grano siano protette da una palizzata di reste, cosicché molto spesso le cose soavi si trovano mescolate con le aspre.

Una vita di miserie è peggiore della morte.

3. Nell'ultima parte della lettera l'Eccellenza tua afferma che non si esige né la vita né il sangue d'alcuno per vendicare la Chiesa, ma che i colpevoli devono essere spogliati dei beni, cosa che temono di più. Io però - se non m'inganno - credo sia più insopportabile rimanere privi dei beni che essere uccisi. Poiché la morte - come spesso affermano gli scrittori nelle opere letterarie che tu ben conosci - toglie la sensazione di tutti i malanni, ed è più insopportabile trascinare una vita piena di malanni che porvi fine con la morte. Quanto affermo è dimostrato pure dalla natura stessa delle vostre occupazioni, con cui assistete i poveri, vi prendete cura degli afflitti, somministrate le medicine ai corpi malati; insomma fate del tutto perché i sofferenti non sentano a lungo i loro malanni. Riguardo poi alla misura dei peccati, non importa sapere a quale specie sembra appartenere il peccato, di cui si chiede il perdono. Anzitutto, se il pentimento dà diritto al perdono e cancella la colpa, esprime sicuramente tale pentimento con gli atti chi si raccomanda, chi abbraccia i piedi dell'offeso. Devi in secondo luogo sapere che tutti i peccati sono uguali, come pensano certi filosofi, e perciò anche il perdono dev'essere uguale per tutti. Se uno parla un po' troppo sfacciatamente, commette un peccato; se uno lancia delle insolenze o delle calunnie, commette un uguale peccato; se uno ruba la roba altrui, anche questo è da annoverarsi tra i peccati; se uno viola luoghi profani o sacri, neppure lui è da escludersi dal perdono. Insomma, non ci sarebbe alcuna occasione di perdonare, se prima non ci fossero dei peccati.

Le iatture dei cittadini muovano Agostino all'indulgenza.

4. Ho risposto dicendo forse troppo o troppo poco, come si suol dire, non quanto avrei dovuto ma solo quanto ho potuto. Orbene, ti prego e ti scongiuro (e magari potessi farlo di persona, perché tu vedessi pure le mie lacrime!) di riflettere chi tu sia, quale dottrina tu insegni, quale sia la tua attività. Considera lo spettacolo di una città, dalla quale siano fatti uscire quelli che dovrebbero essere condotti al supplizio; pensa ai lamenti delle madri, delle spose, dei figli, dei genitori, alla vergogna con cui tornerebbero in patria salvi ma torturati; pensa quali dolori e gemiti rinnoverebbe in essi la vista delle ferite e delle cicatrici! Dopo aver considerato attentamente tutte queste iatture, rivolgi innanzitutto la tua mente a Dio, pensa a quel che diranno gli uomini, rivolgi nel cuore sentimenti di bontà, d'amicizia e di fratellanza umana e cerca di conquistarti la lode piuttosto con il perdonare che col punire. E ciò ch'io dico valga per tutti quelli che si sono macchiati di colpe da essi confessate. A questi, in considerazione della religione cristiana, voi avete già perdonato e di ciò non cesserò mai di felicitarmi con voi. Difficilmente però si potrebbe spiegare quale crudeltà sia perseguitare degli innocenti e trascinare ad un processo capitale quelli che risultassero esenti da colpa. Se poi riuscissero a farsi assolvere, pensa, ti prego, all'odiosità che ricadrebbe sugli accusatori obbligati a lasciare andare in pace degli innocenti dopo aver rilasciato spontaneamente dei colpevoli. Il sommo Dio ti custodisca e ti conservi, come il difensore della sua religione e come l'ornamento della nostra città.


22 - Maria santissima offre il suo Unigenito all'eterno Padre per la redenzione degli uomini.

La mistica Città di Dio - Libro quinto - Suor Maria d'Agreda

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951. L 'amore che la nostra gran Regina nutriva per il suo Unigenito era la regola per mezzo della quale era possibile ponderare gli altri suoi affetti ed atti, tra cui pure le passioni e i sentimenti di gioia e di dolore, che secondo le diverse cause ella provava. Per misurare questo ardore la nostra capacità non trova alcun criterio sicuro, né lo possono trovare gli angeli, all'infuori di quello che intendono con la vista chiara dell'essere divino. Tutto il rimanente, che si può dire per via di circonlocuzioni e similitudini, non è che la minima parte di ciò che questo incendio comprende in se stesso. Ella infatti amava Gesù come figlio del Padre, uguale a lui nella divinità e nelle sue infinite perfezioni ed attributi; l'amava ancora come figlio proprio e naturale, e suo solo nell'umanità, formato dalla sua stessa carne e dal suo stesso sangue; l'amava, perché nella sua umanità si celava il Santo dei santi e la causa meritoria di tutta la santità. Egli era il più bello tra i figli degli uomini, il più obbediente e affezionato figlio di sua madre e colui che maggiormente la celebrava e la colmava di benefici: poiché era suo figlio la innalzò alla suprema dignità fra le creature, e la arricchì tra tutte e sopra tutte con i tesori della divinità, col dominio su ogni cosa esistente e con i favori che a nessun'altra si sarebbero potuti degnamente concedere.

952. Questi motivi e stimoli di fervore erano depositati, e come racchiusi, nella sapienza della Signora con molti altri, che solo la sua scienza poteva comprendere. Il suo cuore era libero da impedimenti, poiché candido e purissimo, ed ella non conosceva ingratitudine, essendo dotata di profondissima umiltà ed eccezionale fedeltà nel corrispondere. Non era lenta, perché con la sua grande forza di volontà collaborava con la grazia; non era pigra, ma diligentissima; non trascurata, ma zelantissima e sollecita; non si dimenticava, perché la sua memoria era tenace e stabile nel ricordare i doni, le ragioni e le leggi della carità. Stava nella sfera dello stesso fuoco alla presenza di Dio, alla scuola di lui in compagnia di Cristo e di fronte alle sue opere ed azioni, sempre copiando quella viva immagine. Niente mancava a questa dolcissima amante per giungere alla misura dell'amore, che sta nell'amare senza misura. Questa luna bellissima, trovandosi dunque nella sua pienezza, fissò il Sole di giustizia per la durata di quasi trent'anni; essendosi innalzata come aurora al supremo grado della luce e all'ultimo grado dell'incendio amoroso del giorno chiarissimo della grazia, era come estraniata da tutto il visibile e trasformata nel suo diletto, che la ricambiava con affetto, elargizioni e manifestazioni di tenerezza. Ed ecco che nel punto più alto, nell'occasione più ardua, accadde che udì l'Eterno che la chiamava, come in figura aveva chiamato il patriarca Abramo, affinché immolasse il pegno del suo amore e della sua speranza, cioè il suo Isacco.

953. Maria non ignorava che il tempo passava velocemente, perché già sua Maestà era entrato nei trent'anni di età, e che si avvicinava il termine stabilito per assolvere il debito dei mortali; tuttavia, finché era in possesso del bene che la rendeva così beata, ne mirava come da lontano la privazione, non ancora sperimentata. Poiché l'ora si stava avvicinando, un giorno in cui era rapita in un'estasi sublime fu posta dinanzi al trono regale, dal quale uscì una voce che con mirabile potenza le disse: «Mia sposa, offritemi il vostro Unigenito in sacrificio». Con queste parole ella conobbe il disegno prestabilito della redenzione umana per mezzo della passione del nostro Maestro, e tutto ciò che doveva accadere fino all'inizio della stessa, cioè l'intero svolgimento del ministero di predicazione e del magistero del Signore. Al rinnovarsi di questo pensiero, sentì molteplici e diversi effetti nel suo animo, di sottomissione e umiltà, di carità verso Dio e verso gli uomini, di compassione e tenerezza e di naturale dolore per ciò che suo Figlio doveva patire.

954. Eppure, senza turbarsi e con cuore magnanimo, rispose così all'Altissimo: «Re sapiente e benigno, tutto quello che esiste fuori di voi ha ricevuto e riceve la vita dalla vostra liberale misericordia e grandezza. Di tutto siete padrone e sovrano indipendente. Come mai ordinate a me, vile vermiciattolo della terra, che sacrifichi e consegni alla vostra divina disposizione colui che per vostra ineffabile bontà proprio da voi mi è stato donato? È vostro, perché nell'eternità lo avete generato prima della stella del mattino e sempre lo generate e lo genererete per infiniti secoli. Se nel mio grembo l'ho rivestito della forma di servo con il mio stesso sangue, se l'ho alimentato al mio seno, se l'ho allevato e ne ho avuto cura, anche quell'umanità santissima è tutta vostra come io sono vostra, perché da voi ho avuto tutto quello che sono e che ho potuto dargli. Che mi resta dunque da offrirvi, che non sia più vostro che mio? Confesso che con tanta generosità ci arricchite con i vostri immensi tesori, che anche il vostro diletto, generato dalla vostra sostanza e dalla luce della vostra stessa divinità, voi lo chiedete in volontaria oblazione per rendervi obbligato da essa. Con lui mi sono stati dati contemporaneamente tutti i beni, e dalla sua mano ho accolto enormi benefici e onori. Egli è la virtù della mia virtù, la sostanza del mio spirito, la vita della mia anima e l'anima della vita con cui mi sostenta, la gioia con cui vivo. Mi sarebbe dolce tale sacrificio, se lo consegnassi solamente a voi che ne sapete il valore, ma chiedermi di offrirlo al volere della vostra giustizia, affinché questa si esegua per mano dei suoi crudeli nemici a prezzo della sua vita, più stimabile di quanto vi è di creato fuori di essa, è davvero troppo per una madre; però non si compia la mia volontà, ma la vostra. Si ottenga la libertà del genere umano, resti soddisfatta la vostra equità, si manifesti il vostro sconfinato amore, sia conosciuto il vostro nome e magnificato da tutti gli esseri viventi. Io consegno il mio caro Isacco, perché sia realmente immolato, consegno il figlio delle mie viscere, perché secondo l'immutabile disegno della vostra provvidenza paghi il debito contratto non da lui, ma dai discendenti di Adamo, e perché si adempia in lui tutto ciò che i profeti per vostra ispirazione hanno scritto e dichiarato».

955. Questa offerta della Vergine, per le condizioni che la contraddistinsero, fu per il Padre la maggiore e la più accetta di quante gliene furono rese dal principio del mondo o gliene saranno rese sino alla fine, all'infuori di quella del Verbo incarnato. Il suo olocausto fu così strettamente collegato a quello di Cristo da essere con esso il medesimo, per quanto possibile. Se l'estremo grado della carità si manifesta nel donare la vita per colui che si ama, senza dubbio Maria oltrepassò grandemente questo limite, giacché amava la vita di Gesù molto più della propria. Questo "più" era senza misura, poiché per preservarla, se fossero state sue quelle di tutti gli uomini, sarebbe morta altrettante volte, ed altre innumerevoli ancora. Non vi è altro criterio con cui si possa ponderare il suo amore verso di noi, eccetto quello dell'Onnipotente stesso. Poiché, come fu detto a Nicodemo che Dio aveva tanto amato il mondo da dare il suo Unigenito perché nessuno perisse di tutti quelli che avrebbero creduto in lui, così pare che a suo modo abbia fatto la Regina di misericordia, e a lei proporzionatamente dobbiamo il nostro riscatto; infatti, ella ci amò a tal punto che diede suo Figlio per la nostra salvezza. Se non lo avesse sacrificato quando le fu richiesto, non avrebbe potuto aver luogo il riscatto secondo quel decreto, la cui esecuzione doveva avvenire con il suo consenso per beneplacito dell'Altissimo. Fino a tal punto ella ci tiene obbligati a sé!

956. Dopo che la beatissima Trinità ebbe accolto la sua oblazione, era conveniente che, senza indugio, la rimunerasse e ricompensasse con qualche favore mediante il quale ella venisse consolata nella sua pena, incoraggiata per le altre che la sovrastavano e messa a conoscenza con maggior chiarezza delle ragioni del comando superno. Mentre dunque era rapita in estasi, fu sollevata ad un altro stato più sublime e ivi, preparata e disposta con le illuminazioni e qualità che in altre occasioni ho riferito, ebbe una visione intuitiva: nella serenità e nella luce dello stesso essere divino, ravvisò l'inclinazione del sommo Bene a comunicare per mezzo della redenzione i suoi tesori infiniti agli esseri ragionevoli, e la gloria che tra di essi ne sarebbe derivata al suo nome. Per questa nuova cognizione dei misteri occulti a lei manifestati, con giubilo offrì un'altra volta sua Maestà e fu confortata con il vero pane di vita e d'intelletto, affinché con invincibile coraggio lo assistesse nelle opere della redenzione e ne fosse coadiutrice e cooperatrice, come appunto fece.

957. La visione quindi cessò, ed io non mi trattengo ora a spiegare i benefici che ella ne acquisì, perché furono simili a quelli che ho già dichiarato a proposito di altre visioni intuitive. Sta di fatto che la virtù e gli effetti divini la prepararono efficacemente a separarsi dal nostro Maestro, che subito decise di andare a ricevere il battesimo e a digiunare nel deserto. Egli la chiamò e le parlò con dolcissima tenerezza: «Colomba mia, ho preso forma di servo unicamente dalla vostra sostanza e dal vostro sangue nel vostro grembo castissimo, e dopo sono stato nutrito al vostro seno e alimentato con il vostro sudore e il vostro lavoro. Per queste ragioni mi riconosco ancor più figlio e figlio vostro di qualunque altro mai che lo fu o lo sarà della propria madre. Datemi la vostra approvazione, perché io vada ad obbedire all'Eterno. Già è tempo che io mi separi da voi e dia inizio al riscatto dei miei fratelli. È ormai prossima l'ora d'incominciare a patire a tal fine, ma desidero eseguire tutto ciò con la vostra assistenza e con la vostra collaborazione. E benché adesso sia necessario lasciarvi sola, la mia benedizione e la mia sollecita, amorosa ed onnipotente protezione resteranno con voi. Quindi ritornerò, affinché mi accompagniate ed aiutiate nei miei affanni, poiché li devo sopportare nella forma di uomo che voi mi avete dato».

958. Con queste parole Gesù cinse le braccia al collo della Vergine, ed entrambi sparsero molte lacrime con mirabile maestà e tranquilla gravità, come maestri nella scienza del soffrire. Ella s'inginocchiò e gli rispose con incomparabile dolore e riverenza: «Mio Signore, voi siete vero figlio mio ed a voi ho consacrato tutto l'amore e tutte le forze che mi avete dato. Il mio intimo vi è palese e sapete che avrei stimato ben poco la mia vita per custodire la vostra, se fosse stato conveniente che per tale causa io morissi molte volte, ma si devono adempiere la volontà del Padre e la vostra. Io ve la dono: prendetela come sacrificio e offerta a voi gradita, e non mi manchi il vostro riparo. Maggior tormento sarebbe per me se aveste a patire senza che io vi accompagnassi nel martirio e nella croce. Merito questo favore, che come vera madre vi domando in ricompensa della natura umana che avete ricevuto da me e nella quale andate a perire». Lo pregò inoltre di portarsi del cibo da casa o di permetterle d'inviarglielo ove egli si fosse trovato; ma nulla di ciò accettò il Salvatore, che le fece comprendere che cosa fosse più opportuno fare. Si recarono insieme sino alla porta della loro povera abitazione, dove per la seconda volta ella in ginocchio gli chiese la benedizione e gli baciò i piedi. Il Verbo incarnato gliela impartì e poi incominciò il suo viaggio, uscendo come il buon Pastore alla ricerca della pecorella smarrita, per caricarsela sulle spalle e ricondurla sul sentiero della vita imperitura, che aveva perduto perché ingannata e impaurita.

959. Quando egli partì per farsi battezzare da san Giovanni aveva da poco trent'anni, dal momento che si recò direttamente sulla riva del Giordano tredici giorni dopo averne compiuti ventinove, nel medesimo giorno in cui la Chiesa celebra tale mistero. A questo punto, qualunque riflessione tentassi di formulare sulle pene di Maria in questa separazione e sulla compassione di Cristo sarebbe inadeguata, perché ogni amplificazione e tutte le ragioni sono insufficienti e non proporzionate a manifestare ciò che passò nel loro animo. Siccome questo distacco doveva rientrare nel numero delle loro afflizioni, non fu conveniente moderare gli effetti del loro naturale affetto reciproco. L'Altissimo fece in modo che entrambi operassero tutto il possibile, compatibilmente con la loro somma santità. Non valse a lenire l'angoscia dell'Unigenito l'accelerare il passo, essendo egli spinto dalla forza della sua immensa carità a volere il nostro rimedio; né la consapevolezza di tale motivazione valse a mitigarla in lei, perché tutto ciò rendeva sempre più sicure le tribolazioni che la sovrastavano e acuiva il dolore che dalla conoscenza di esse le derivava. O dolcissimo tesoro mio! Come non vi frena l'ingratitudine e la durezza dei nostri cuori? Come non vi arresta la nostra piccolezza di fronte alla vostra grandezza, oltre alla nostra grossolana corrispondenza? O sollievo dell'anima mia, senza di noi sareste ugualmente beato come con noi, ugualmente infinito nelle perfezioni e nella gloria; e niente noi possiamo aggiungere a quella che avete unicamente in voi stesso, senza dipendenza e necessità di creature! Perché, dunque, così premurosamente ci cercate e sollecitate? Perché a così caro prezzo procurate il bene altrui? Senza dubbio il vostro incomprensibile ardore e la vostra bontà lo stima come proprio, e solamente noi lo trattiamo come estraneo a voi e a noi stessi.

 

Insegnamento della Regina del cielo

960. Mia diletta, voglio che ponderi e penetri più profondamente i misteri che hai scritto, e che te ne formi una più alta idea per il tuo giovamento e per giungere in una certa misura alla mia imitazione. Tieni dunque presente che, nella visione dell'Eterno a me concessa in questa occasione, egli mi fece capire in che stima tenesse i tormenti della passione e morte di Gesù e di tutti quelli che avrebbero dovuto ricalcare le sue orme sul cammino della croce. In considerazione di questo non solo l'offrii di buon grado, ma anche supplicai di potergli stare accanto e di partecipare di tutti i suoi supplizi, e ciò mi fu permesso. Quindi domandai a sua Maestà che mi fosse tolto il conforto del suo Spirito, per cominciare a seguirlo nella prova. Egli stesso m'ispirò tale richiesta, perché era conforme al suo volere, e questo fu quanto l'amore mi indusse ed insegnò a fare. La tenerezza che mi donava, come figlio e come Dio, mi spingeva a desiderare le sofferenze, che mi furono date perché egli corregge chi ama; volle che a me come a madre non mancasse questo beneficio e il privilegio di essergli del tutto simile in ciò che maggiormente apprezzava nell'esistenza terrena. Subito si adempì in me il beneplacito divino, secondo i miei aneliti: rimasi sprovvista dei favori e delle consolazioni che solevo ricevere e da allora in poi egli smise di trattarmi con tanta amorevolezza. Questa fu una delle ragioni per cui non mi chiamò madre ma donna alle nozze di Cana, ai piedi del duro legno e in altre occasioni nelle quali usò lo stesso atteggiamento, comportandosi con severità e negandomi parole di dolcezza: ciò non era assolutamente disamore, ma il grado più alto dell'amore, perché mi rendeva somigliante a lui nei supplizi che egli aveva eletto per sé, come stimabile eredità e tesoro.

961. Da questo potrai comprendere la comune ignoranza e l'errore dei mortali, quanto cioè si discostino dal vero sentiero e dalla luce, quando generalmente e quasi tutti si danno da fare per non faticare, si affannano per non patire, ed aborriscono la sicura via della croce e della mortificazione. Per questo pericoloso inganno non solo hanno in avversione il modello di Cristo e il mio, e si privano di esso che è il vero e sommo bene della vita, ma inoltre, così facendo, si sbarrano da soli la strada che conduce alla beatitudine senza fine, perché tutti sono infermi e infiacchiti a causa di molte colpe, e la loro unica medicina è la pena. Le trasgressioni si commettono con turpe piacere e si redimono col dolore dell'espiazione; è nella tribolazione infatti che le perdona il giusto giudice. Così si reprime il fomite del peccato, si fiaccano le forze sregolate della concupiscenza e dell'irascibilità, si umiliano la superbia e l'alterigia, si assoggetta la carne, si devia il gusto dal male e da quello che è sensibile e materiale, si allontana l'intelletto dall'errore, si rettifica la volontà. In più, tutte le facoltà si piegano al dovere, e si moderano nelle loro diverse funzioni e sollecitazioni, e soprattutto si induce l'Onnipotente a compassione dell'afflitto che accetta le amarezze con pazienza o le cerca, con la brama d'imitare il mio Unigenito. In tale sapienza sono sintetizzate tutte le buone sorti degli uomini: quelli che fuggono questa verità sono pazzi e quelli che ignorano questa scienza sono stolti.

962. Impegnati, dunque, carissima, ad avanzare in essa: abbraccia senza indugio la croce dei dolori e bada di non ammettere mai più consolazioni umane. E perché non avvenga che tu abbia a inciampare e cadere in quelle dello spirito, ti avverto che anche in esse il demonio nasconde un laccio che tenta di tendere alle persone spirituali, e tu non devi essere all'oscuro di questa insidia. Dal momento che il piacere della contemplazione e visione dell'Altissimo e delle sue carezze, pur variando d'intensità a seconda dei casi, è tanto gradevole e desiderabile, avviene che le facoltà dell'anima, e talvolta anche la sensibilità, siano ricolme di una tale felicità e consolazione che alcuni abitualmente si assuefanno talmente ad esso da rendersi come inetti alle altre occupazioni necessarie, benché siano utili alle creature. E quando hanno l'obbligo di accudirle si angustiano smisuratamente, facendosi vincere dal turbamento e dall'impazienza, cosicché perdono la pace e la gioia interiore e restano tristi, intrattabili, pieni di fastidio nei confronti del prossimo e senza vera umiltà né affetto. E qualora giungano ad accorgersi del proprio danno ed affanno, subito ne accusano le attività esteriori, nelle quali li pose l'Eterno per mezzo dell'obbedienza o a motivo della carità; e non vogliono confessare né riconoscere che la colpa consiste invece nella loro poca mortificazione e rassegnazione a quello che egli ordina e nell'essere attaccati al proprio compiacimento. Lucifero nasconde tutta la trama di questo inganno facendolo apparire come la buona aspirazione che essi hanno alla quiete, al raccoglimento e alla conversazione con Dio; a loro infatti sembra che non vi sia nulla da temere in ciò, che anzi tutto sia conveniente e santo e che la propria rovina provenga appunto dall'esserne impediti, ostacolati nei propri desideri.

963. In questo errore sei incorsa alcune volte anche tu, e voglio che da oggi in avanti ne sia consapevole, poiché - come dice il Saggio - c'è un tempo per ogni cosa: un tempo per godere degli abbracci del Signore e un tempo per astenersene'S. Il voler determinare il dialogo intimo con lui in base ai tempi fissati dal diletto, è un segno d'ignoranza che dimostrano gli imperfetti e i principianti nella virtù, e tale è anche il caso di chi si affligge molto per la mancanza delle carezze divine. Non intendo dire che tu debba cercare di proposito le distrazioni e le occupazioni o riporre in esse la tua compiacenza, perché in ciò appunto sta il pericolo, ma piuttosto, quando i superiori te lo comanderanno, accondiscendere con serenità e lasciare sua Maestà tra le tue delizie per ritrovarlo nell'utile fatica operosa e nel bene del tuo prossimo, bene che devi anteporre alla tua solitudine e alle consolazioni nascoste che in essa ricevi. Anzi, voglio che non ricerchi tanto il ritiro, qualora lo facessi per questo solo motivo, perché nella sollecitudine che ti si addice in qualità di superiora tu sappia credere, sperare ed amare alla perfezione. Così facendo troverai il tuo sposo in ogni momento e luogo e in tutti i tuoi impieghi, come hai già sperimentato. Non voglio neanche che ti capiti mai di pensare di essere lontana dalla sua vista e dalla sua dolcissima presenza, né dalla sua soavissima conversazione, stimando puerilmente che fuori dal raccoglimento tu non possa incontrarlo ed esultare in lui, poiché tutto è pieno della sua gloria senza che vi sia un solo spazio vuoto, e nella sua magnificenza tu vivi, esisti e ti muovi. Quando poi egli stesso non ti obbligherà a queste occupazioni, allora potrai godere della tua tanto bramata solitudine.

964. Giungerai a una più chiara conoscenza di tutto ciò con la pratica di quella nobile carità che da te pretendo per impegnarti ad essere come mio Figlio e me. Alcune volte infatti devi rallegrarti con lui come bambino, mentre altre volte il tuo compito è quello di collaborare con lui alla salvezza di tutti gli uomini. Ci sono poi momenti in cui ti è chiesto di imitarlo nel ritiro, mentre in altri sei chiamata a trasfigurarti con lui in una creatura nuova, e in altri ancora occorre che stringa le tribolazioni e la croce seguendo la via e l'insegnamento che egli come maestro additò in essa. In una parola voglio che tu comprenda come la mia principale e sublime attività e mira fu di conformarmi sempre a lui in tutte le sue azioni. Questo in me fu l'esercizio di maggior santità, ed in ciò esigo che tu faccia come me per quanto te lo consentiranno le tue deboli forze aiutate dalla grazia. Per riuscire in tale intento, devi prima morire a tutti gli affetti dei discendenti di Adamo, senza riserve, rinunciando ad ogni pretesa sia di volere o non volere sia di accettare o rifiutare per questa o quella ragione, perché tu ignori quello che ti conviene e Gesù, che lo sa e ti ama più di quanto tu non ami te stessa, vuole prendersene cura egli stesso, se tu ti abbandoni tutta a lui. Soltanto ti concedo di avere volontà perché ti impegni ad amarlo e ad emularlo nel patire, poiché nel resto ti esponi al rischio di allontanarti dalla possibilità di compiacere lui e me; e così appunto farai, se andrai dietro alle inclinazioni dei tuoi desideri e impulsi. Reprimili dunque, e sacrificali tutti; innalzati sopra te stessa e collocati nella dimora eminente del tuo padrone e sovrano. Sii attenta alla luce delle sue ispirazioni e alla verità delle sue parole di vita eterna`. Per conseguirla, prendi la tua croce e ricalca le sue orme`, cammina all'odore dei suoi unguenti", sii diligente nel corrergli dietro finché tu non l'abbia raggiunto e, strettolo, non lo lasciare`.


Gesù mi faceva vedere il presente e il futuro

Beata Alexandrina Maria da Costa


Vorrei nascondere bene il mio dolore per compiere meglio la volontà di Gesù; ma mi è molto difficile, tanto è forte e acu­tissimo. Almeno in queste righe devo mostrarlo e dire che soffro. Se non fosse il dolore, nulla avrei da dire: è il dolore che vive e parla. In me e in tutte le mie cose sento la morte. Ma il dolore è tanto vivo, acuto e penetrante, che si insinua in tutto il mio essere: corpo, cuore, anima. Se la mia ignoranza lo lasciasse parlare, giungerebbe molto lontano, si stenderebbe sul mondo e gli mostrerebbe la sua vita di martirio. Le labbra no, ma il cuore e l'anima emettono sospiri, gemiti profondi, che spero giungano sino a Te, mio Dio. Ma il mio spirito ripete sovente: - Tutto per Gesù! Tutto per Tuo amore, tutto per le anime! - Non so cosa sento in me: so che è un martirio penoso: odio il mondo, odio me stessa; sento una rivolta contro di lui e contro di me. Non voglio e voglio, e devo volere castigarlo e castigare me stessa con tutta la giustizia. Questa giustizia è in me, pesa su di me e non è mia. È tanto grande, tanto infinita; mi pare la giustizia di Dio. Sono io che debbo essere castigata e punita; la mia cattiveria, il mio veleno, mi pare si opponga contro Dio; mi sento armata di grossi pugnali e di tutti gli strumenti di martirio per ferire lo stesso Gesù, lo stesso Dio. Sento anche un grande rancore contro di Lui: mi pare di odiare l'amato Signore. Sono igno­rante, non so dire nulla, mi sento come una principiante che parla del suo dolore: il mio calvario! Benedetto sia il mio cal­vario e benedetto sia Gesù: è opera Sua.

... Questa mattina portavo il Calvario nel mio cuore: non mi faceva sentire questa o quella sofferenza, ma tutte le sof­ferenze... Sulla cima della tormentosa montagna sono rimasta in croce e vi era pure Gesù. Egli mi faceva vedere il presente ed il futuro, ma solo riguardo al dolore del suo divin Cuore, solo riguardo all'ingratitudine del mondo contro di Lui: non vi sono parole che possano esprimere tali angosciose sofferenze. Gesù, solo amore per amare; il mondo, solo malvagia crudeltà per ferire... I sospiri del Cuore divino di Gesù passavano attraverso il mio, me lo facevano dolere tanto: la causa di questi sospiri era la visione completa di ciò che sarebbe stato il mondo fino alla fine dei secoli... È venuto Gesù, mi ha dato vita, ma non mi ha dato luce, né mi ha tolto il dolore del cuore... - Figlia mia, sei nelle te­nebre per togliere i peccatori dalle tenebre eterne. Io non voglio che tu veda in te la mia luce, la mia grazia, la mia grandezza, l'onnipotenza, gli effetti della mia Vita divina, ma che il mondo veda e comprenda che è la Sapienza divina a lavorare nella tua anima, per il bene delle anime, che è l'Amore divino a mostrarle il cammino, la verità, la vita... Ti ho scelta, figlia mia, ... per questi tempi in cui la malizia umana ha raggiunto il suo culmine e non cessa di sfidare la giustizia del Mio Eterno Padre. Sono venuto a questo calvario a prendere la riparazione che una vittima può dare al suo Signore. Dammi il tuo dolore, figlia mia, nascosta nella mia grandezza. - O mio Gesù, Ti do il mio dolore, il mio povero dolore che in sé nulla vale. Lo unisco sempre ai dolori di Mammina e Te lo offro mediante le Sue mani; aggiungi i meriti della Tua Santa Passione; presenta questo valore infinito all'Eterno Padre. Chiedigli Tu perdono per il mondo; chiedi che non lo castighi ora, che aspetti la sua conversione. Digli di mandare su di noi la Sua misericordia, l'amore, il perdono e non la giustizia. O mio Gesù, accetta il dolore che ora prova il mio povero cuore, la mia tristezza e l'abbandono: tutto per tuo amore e per la salvezza del mondo... - ... (diario, 16-12-1949).