Liturgia delle Ore - Letture
Giovedi della 6° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Marco 3
1Entrò di nuovo nella sinagoga. C'era un uomo che aveva una mano inaridita,2e lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato per poi accusarlo.3Egli disse all'uomo che aveva la mano inaridita: "Mettiti nel mezzo!".4Poi domandò loro: "È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?".5Ma essi tacevano. E guardandoli tutt'intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell'uomo: "Stendi la mano!". La stese e la sua mano fu risanata.6E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.
7Gesù intanto si ritirò presso il mare con i suoi discepoli e lo seguì molta folla dalla Galilea.8Dalla Giudea e da Gerusalemme e dall'Idumea e dalla Transgiordania e dalle parti di Tiro e Sidone una gran folla, sentendo ciò che faceva, si recò da lui.9Allora egli pregò i suoi discepoli che gli mettessero a disposizione una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero.10Infatti ne aveva guariti molti, così che quanti avevano qualche male gli si gettavano addosso per toccarlo.
11Gli spiriti immondi, quando lo vedevano, gli si gettavano ai piedi gridando: "Tu sei il Figlio di Dio!".12Ma egli li sgridava severamente perché non lo manifestassero.
13Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui.14Ne costituì Dodici che stessero con lui15e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni.
16Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro;17poi Giacomo di Zebedèo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè figli del tuono;18e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananèo19e Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì.
20Entrò in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo.21Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: "È fuori di sé".
22Ma gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: "Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del principe dei demòni".23Ma egli, chiamatili, diceva loro in parabole: "Come può satana scacciare satana?24Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi;25se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi.26Alla stessa maniera, se satana si ribella contro se stesso ed è diviso, non può resistere, ma sta per finire.27Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire le sue cose se prima non avrà legato l'uomo forte; allora ne saccheggerà la casa.28In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno;29ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna".30Poiché dicevano: "È posseduto da uno spirito immondo".
31Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare.32Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: "Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano".33Ma egli rispose loro: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?".34Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: "Ecco mia madre e i miei fratelli!35Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre".
Secondo libro delle Cronache 1
1Salomone figlio di Davide si affermò nel regno. Il Signore suo Dio era con lui e lo rese molto grande.
2Salomone mandò ordini a tutto Israele, ai capi di migliaia e di centinaia, ai magistrati, a tutti i principi di tutto Israele e ai capifamiglia.3Poi Salomone e tutto Israele con lui si recarono all'altura di Gàbaon, perché là si trovava la tenda del convegno di Dio, eretta da Mosè, servo di Dio, nel deserto.4Ma l'arca di Dio Davide l'aveva trasportata da Kiriat-Iearìm nel luogo che aveva preparato per essa, perché egli aveva innalzato per essa una tenda in Gerusalemme.5L'altare di bronzo, opera di Bezalèel figlio di Uri, figlio di Cur, era là davanti alla Dimora del Signore. Salomone e l'assemblea vi andarono per consultare il Signore.6Salomone salì all'altare di bronzo davanti al Signore nella tenda del convegno e vi offrì sopra mille olocausti.
7In quella notte Dio apparve a Salomone e gli disse: "Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda".8Salomone disse a Dio: "Tu hai trattato mio padre Davide con grande benevolenza e mi hai fatto regnare al suo posto.9Ora, Signore Dio, si avveri la tua parola a Davide mio padre, perché mi hai costituito re su un popolo numeroso come la polvere della terra.10Ora concedimi saggezza e scienza e che io possa guidare questo popolo; perché chi potrebbe mai governare questo tuo grande popolo?".
11Dio disse a Salomone: "Poiché ti sta a cuore una cosa simile e poiché non hai domandato né ricchezze, né beni, né gloria, né la vita dei tuoi nemici e neppure una lunga vita, ma hai domandato piuttosto saggezza e scienza per governare il mio popolo, su cui ti ho costituito re,12saggezza e scienza ti saranno concesse. Inoltre io ti darò ricchezze, beni e gloria, quali non ebbero mai i re tuoi predecessori e non avranno mai i tuoi successori".13Salomone poi dall'altura, che si trovava in Gàbaon, tornò a Gerusalemme, lontano dalla tenda del convegno, e regnò su Israele.
14Salomone radunò carri e cavalli; aveva millequattrocento carri e dodicimila cavalli, distribuiti nelle città dei carri e presso il re in Gerusalemme.15Il re fece in modo che in Gerusalemme l'argento e l'oro abbondassero come i sassi e i cedri fossero numerosi come i sicomòri nella Sefela.16I cavalli di Salomone provenivano da Muzri e da Kue; i mercanti del re li acquistavano in Kue.17Essi facevano venire e importavano da Muzri un carro per seicento sicli d'argento, un cavallo per centocinquanta. In tal modo ne importavano per fornirli a tutti i re degli Hittiti e ai re di Aram.
18Salomone decise di costruire un tempio al nome del Signore e una reggia per sé.
Siracide 9
1Non essere geloso della sposa amata,
per non inculcarle malizia a tuo danno.
2Non dare l'anima tua alla tua donna,
sì che essa s'imponga sulla tua forza.
3Non incontrarti con una donna cortigiana,
che non abbia a cadere nei suoi lacci.
4Non frequentare una cantante,
per non esser preso dalle sue moine.
5Non fissare il tuo sguardo su una vergine,
per non essere coinvolto nei suoi castighi.
6Non dare l'anima tua alle prostitute,
per non perderci il patrimonio.
7Non curiosare nelle vie della città,
non aggirarti nei suoi luoghi solitari.
8Distogli l'occhio da una donna bella,
non fissare una bellezza che non ti appartiene.
Per la bellezza di una donna molti sono periti;
per essa l'amore brucia come fuoco.
9Non sederti mai accanto a una donna sposata,
non frequentarla per bere insieme con lei
perché il tuo cuore non si innamori di lei
e per la tua passione tu non scivoli nella rovina.
10Non abbandonare un vecchio amico,
perché quello recente non è uguale a lui.
Vino nuovo, amico nuovo;
quando sarà invecchiato, lo berrai con piacere.
11Non invidiare la gloria del peccatore,
perché non sai quale sarà la sua fine.
12Non compiacerti del benessere degli empi,
ricòrdati che non giungeranno agli inferi impuniti.
13Tieniti lontano dall'uomo che ha il potere di uccidere
e non sperimenterai il timore della morte.
Se l'avvicini, sta' attento a non sbagliare
perché egli non ti tolga la vita;
sappi che cammini in mezzo ai lacci
e ti muovi sull'orlo delle mura cittadine.
14Rispondi come puoi al prossimo
e consìgliati con i saggi.
15Conversa con uomini assennati
e ogni tuo colloquio sia sulle leggi dell'Altissimo.
16Tuoi commensali siano gli uomini giusti,
il tuo vanto sia nel timore del Signore.
17Un lavoro per mano di esperti viene lodato,
ma il capo del popolo è saggio per il parlare.
18Un uomo linguacciuto è il terrore della sua città,
chi non sa controllar le parole sarà detestato.
Salmi 59
1'Al maestro del coro. Su "Non distruggere". Di Davide.'
'Quando Saul mandò uomini a sorvegliare la casa e ad ucciderlo.'
2Liberami dai nemici, mio Dio,
proteggimi dagli aggressori.
3Liberami da chi fa il male,
salvami da chi sparge sangue.
4Ecco, insidiano la mia vita,
contro di me si avventano i potenti.
Signore, non c'è colpa in me, non c'è peccato;
5senza mia colpa accorrono e si appostano.
Svègliati, vienimi incontro e guarda.
6Tu, Signore, Dio degli eserciti, Dio d'Israele,
lèvati a punire tutte le genti;
non avere pietà dei traditori.
7Ritornano a sera e ringhiano come cani,
si aggirano per la città.
8Ecco, vomitano ingiurie,
le loro labbra sono spade.
Dicono: "Chi ci ascolta?".
9Ma tu, Signore, ti ridi di loro,
ti burli di tutte le genti.
10A te, mia forza, io mi rivolgo:
sei tu, o Dio, la mia difesa.
11La grazia del mio Dio mi viene in aiuto,
Dio mi farà sfidare i miei nemici.
12Non ucciderli, perché il mio popolo non dimentichi,
disperdili con la tua potenza e abbattili,
Signore, nostro scudo.
13Peccato è la parola delle loro labbra,
cadano nel laccio del loro orgoglio
per le bestemmie e le menzogne che pronunziano.
14Annientali nella tua ira,
annientali e più non siano;
e sappiano che Dio domina in Giacobbe,
fino ai confini della terra.
15Ritornano a sera e ringhiano come cani,
per la città si aggirano
16vagando in cerca di cibo;
latrano, se non possono saziarsi.
17Ma io canterò la tua potenza,
al mattino esalterò la tua grazia
perché sei stato mia difesa,
mio rifugio nel giorno del pericolo.
18O mia forza, a te voglio cantare,
poiché tu sei, o Dio, la mia difesa,
tu, o mio Dio, sei la mia misericordia.
Aggeo 2
1Il ventuno del settimo mese, questa parola del Signore fu rivelata per mezzo del profeta Aggeo:2Su, parla a Zorobabele figlio di Sealtièl, governatore della Giudea, a Giosuè figlio di Iozedàk, sommo sacerdote, e a tutto il resto del popolo:3Chi di voi è ancora in vita che abbia visto questa casa nel suo primitivo splendore? Ma ora in quali condizioni voi la vedete? In confronto a quella, non è forse ridotta a un nulla ai vostri occhi?4Ora, coraggio, Zorobabele - oracolo del Signore - coraggio, Giosuè figlio di Iozedàk, sommo sacerdote; coraggio, popolo tutto del paese, dice il Signore, e al lavoro, perché io sono con voi - oracolo del Signore degli eserciti -5secondo la parola dell'alleanza che ho stipulato con voi quando siete usciti dall'Egitto; il mio spirito sarà con voi, non temete.
6Dice infatti il Signore degli eserciti: Ancora un po' di tempo e io scuoterò il cielo e la terra, il mare e la terraferma.7Scuoterò tutte le nazioni e affluiranno le ricchezze di tutte le genti e io riempirò questa casa della mia gloria, dice il Signore degli eserciti.8L'argento è mio e mio è l'oro, dice il Signore degli eserciti.9La gloria futura di questa casa sarà più grande di quella di una volta, dice il Signore degli eserciti; in questo luogo porrò la pace - oracolo del Signore degli eserciti -.
10Il ventiquattro del nono mese, secondo anno di Dario, questa parola del Signore fu rivelata per mezzo del profeta Aggeo:11Dice il Signore degli eserciti: Interroga i sacerdoti intorno alla legge e chiedi loro:12Se uno in un lembo del suo vestito porta carne consacrata e con il lembo tocca il pane, il companatico, il vino, l'olio o qualunque altro cibo, questo verrà santificato? No, risposero i sacerdoti.13Aggeo soggiunse: "Se uno che è contaminato per il contatto di un cadavere tocca una di quelle cose, sarà essa immonda?" "Sì", risposero i sacerdoti, "è immonda".14Ora riprese Aggeo: "Tale è questo popolo, tale è questa nazione davanti a me - oracolo del Signore - e tale è ogni lavoro delle loro mani; anzi, anche ciò che qui mi offrono è immondo".
15Ora, pensate, da oggi e per l'avvenire: prima che si cominciasse a porre pietra sopra pietra nel tempio del Signore,16come andavano le vostre cose? Si andava a un mucchio da cui si attendevano venti misure di grano e ce n'erano dieci; si andava a un tino da cinquanta barili e ce n'erano venti.17Io vi ho colpiti con la ruggine, con il carbonchio e con la grandine in tutti i lavori delle vostre mani, ma voi non siete ritornati a me - parola del Signore -.18Considerate bene da oggi in poi (dal ventiquattro del nono mese, cioè dal giorno in cui si posero le fondamenta del tempio del Signore),19se il grano verrà a mancare nei granai, se la vite, il fico, il melograno, l'olivo non daranno più i loro frutti. Da oggi in poi io vi benedirò!
20Il ventiquattro del mese questa parola del Signore fu rivolta una seconda volta ad Aggeo:21"Parla a Zorobabele, governatore della Giudea, e digli: Scuoterò il cielo e la terra,22abbatterò il trono dei regni e distruggerò la potenza dei regni delle nazioni , rovescerò i carri e i loro equipaggi: cadranno cavalli e cavalieri; ognuno verrà trafitto dalla spada del proprio fratello.23In quel giorno - oracolo del Signore degli eserciti - io ti prenderò, Zorobabele figlio di Sealtièl mio servo, dice il Signore, e ti porrò come un sigillo, perché io ti ho eletto, dice il Signore degli eserciti".
Atti degli Apostoli 28
1Una volta in salvo, venimmo a sapere che l'isola si chiamava Malta.2Gli indigeni ci trattarono con rara umanità; ci accolsero tutti attorno a un gran fuoco, che avevano acceso perché era sopraggiunta la pioggia ed era freddo.3Mentre Paolo raccoglieva un fascio di sarmenti e lo gettava sul fuoco, una vipera, risvegliata dal calore, lo morse a una mano.4Al vedere la serpe pendergli dalla mano, gli indigeni dicevano tra loro: "Certamente costui è un assassino, se, anche scampato dal mare, la Giustizia non lo lascia vivere".5Ma egli scosse la serpe nel fuoco e non ne patì alcun male.6Quella gente si aspettava di vederlo gonfiare e cadere morto sul colpo, ma, dopo avere molto atteso senza vedere succedergli nulla di straordinario, cambiò parere e diceva che era un dio.
7Nelle vicinanze di quel luogo c'era un terreno appartenente al "primo" dell'isola, chiamato Publio; questi ci accolse e ci ospitò con benevolenza per tre giorni.8Avvenne che il padre di Publio dovette mettersi a letto colpito da febbri e da dissenteria; Paolo l'andò a visitare e dopo aver pregato gli impose le mani e lo guarì.9Dopo questo fatto, anche gli altri isolani che avevano malattie accorrevano e venivano sanati;10ci colmarono di onori e al momento della partenza ci rifornirono di tutto il necessario.
11Dopo tre mesi salpammo su una nave di Alessandria che aveva svernato nell'isola, recante l'insegna dei Diòscuri.12Approdammo a Siracusa, dove rimanemmo tre giorni13e di qui, costeggiando, giungemmo a Reggio. Il giorno seguente si levò lo scirocco e così l'indomani arrivammo a Pozzuoli.14Qui trovammo alcuni fratelli, i quali ci invitarono a restare con loro una settimana. Partimmo quindi alla volta di Roma.15I fratelli di là, avendo avuto notizie di noi, ci vennero incontro fino al Foro di Appio e alle Tre Taverne. Paolo, al vederli, rese grazie a Dio e prese coraggio.
16Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per suo conto con un soldato di guardia.
17Dopo tre giorni, egli convocò a sé i più in vista tra i Giudei e venuti che furono, disse loro: "Fratelli, senza aver fatto nulla contro il mio popolo e contro le usanze dei padri, sono stato arrestato a Gerusalemme e consegnato in mano dei Romani.18Questi, dopo avermi interrogato, volevano rilasciarmi, non avendo trovato in me alcuna colpa degna di morte.19Ma continuando i Giudei ad opporsi, sono stato costretto ad appellarmi a Cesare, senza intendere con questo muovere accuse contro il mio popolo.20Ecco perché vi ho chiamati, per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d'Israele che io sono legato da questa catena".21Essi gli risposero: "Noi non abbiamo ricevuto nessuna lettera sul tuo conto dalla Giudea né alcuno dei fratelli è venuto a riferire o a parlar male di te.22Ci sembra bene tuttavia ascoltare da te quello che pensi; di questa setta infatti sappiamo che trova dovunque opposizione".
23E fissatogli un giorno, vennero in molti da lui nel suo alloggio; egli dal mattino alla sera espose loro accuratamente, rendendo la sua testimonianza, il regno di Dio, cercando di convincerli riguardo a Gesù, in base alla Legge di Mosè e ai Profeti.24Alcuni aderirono alle cose da lui dette, ma altri non vollero credere25e se ne andavano discordi tra loro, mentre Paolo diceva questa sola frase: "Ha detto bene lo Spirito Santo, per bocca del profeta Isaia, ai nostri padri:
26'Va' da questo popolo e di' loro:
Udrete con i vostri orecchi, ma non comprenderete;
guarderete con i vostri occhi, ma non vedrete.'
27'Perché il cuore di questo popolo si è indurito:
e hanno ascoltato di mala voglia con gli orecchi;
hanno chiuso i loro occhi
per non vedere con gli occhi
non ascoltare con gli orecchi,
non comprendere nel loro cuore e non convertirsi,
perché io li risani.'
28Sia dunque noto a voi che questa salvezza di Dio viene ora rivolta ai pagani ed essi l'ascolteranno!".29.
30Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso a pigione e accoglieva tutti quelli che venivano a lui,31annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento.
Capitolo XVIII: L’uomo non si ponga ad indagare, con animo curioso, intorno al Sacramento, ma si faccia umile imitatore di Cristo e sottometta i suoi sensi alla santa fede
Leggilo nella BibliotecaParola del Diletto
1. Se non vuoi essere sommerso nell'abisso del dubbio, devi guardarti dall'indagare, con inutile curiosità intorno a questo altissimo Sacramento. "Colui che pretende di conoscere la maestà di Dio, sarà schiacciato dalla grandezza di lui" (Pro 25,27). Dio può fare cose più grandi di quanto l'uomo possa capire All'uomo è consentita soltanto una pia ed umile ricerca della verità, sempre pronta ad essere illuminata, e desiderosa di muoversi entro i salutari insegnamenti dei Padri. Beata la semplicità, che tralascia le ardue strade delle disquisizioni e prosegue nel sentiero piano e sicuro dei comandamenti di Dio. Sono molti quelli che, volendo indagare cose troppo sublimi, perdettero la fede. Da te si esigono fede e schiettezza di vita, non altezza d'intelletto e capacità di penetrare nei misteri di Dio. Tu, che non riesci a conoscere e a comprendere ciò che sta più in basso di te, come potresti capire ciò che sta sopra di te? Sottomettiti a Dio, sottometti i tuoi sensi alla fede, e ti sarà dato lume di conoscenza, quale e quanto potrà esserti utile e necessario. Taluni subiscono forti tentazioni circa la fede e il Sacramento; sennonché, non a loro se ne deve fare carico, bensì al nemico. Non soffermarti su queste cose; non voler discutere con i tuoi stessi pensieri, né rispondere ai dubbi insinuati dal diavolo. Credi, invece alle parole di Dio; affidati ai santi e ai profeti (2Cor 20,20), e fuggirà da te l'infame nemico. Che il servo di Dio sopporti tali cose, talora è utile assai. Il diavolo non sottopone alle tentazioni quelli che non hanno fede, né i peccatori, che ha già sicuramente in sua mano; egli tenta, invece, tormenta, in vario modo, le persone credenti e devote.
2. Procedi, dunque, con schietta e ferma fede; accostati al Sacramento con umile venerazione. Rimetti tranquillamente a Dio, che tutto può, quanto non riesci a comprendere: Iddio non ti inganna; mentre si inganna colui che confida troppo in se stesso. Dio cammina accanto ai semplici, si rivela agli umili, "dà lume d'intelletto ai piccoli" (Sal 118,130), apre la mente ai puri di cuore; e ritira la grazia ai curiosi e ai superbi. La ragione umana è debole e può sbagliare, mentre la fede vera non può ingannarsi. Ogni ragionamento, ogni nostra ricerca deve andare dietro alla fede; non precederla, né indebolirla. Ecco, predominano allora la fede e l'amore, misteriosamente operanti in questo santissimo ed eccellentissimo Sacramento. Il Dio eterno, immenso ed onnipotente, fa cose grandi e imperscrutabili, in cielo e in terra; e a noi non è dato investigare le meravigliose sue opere. Ché, se le opere di Dio fossero tali da poter essere facilmente comprese dalla ragione umana, non si potrebbero dire meravigliose e ineffabili.
Omelia 82: Rimanete nel mio amore.
Commento al Vangelo di San Giovanni - Sant'Agostino d'Ippona
Leggilo nella Biblioteca[Siamo opera di Dio, creati in Cristo Gesù.]
1. Richiamando con insistenza l'attenzione dei discepoli sulla grazia che ci fa salvi, il Salvatore dice: Ciò che glorifica il Padre mio è che portiate molto frutto; e così vi dimostrerete miei discepoli (Gv 15, 8). Che si dica glorificato o clarificato, ambedue i termini derivano dal greco . Il greco
, in latino significa "gloria". Ritengo opportuna questa osservazione, perché l'Apostolo dice: Se Abramo fu giustificato per le opere, ha di che gloriarsi, ma non presso Dio
(Rm, 4, 2). E' gloria presso Dio quella in cui viene glorificato, non
l'uomo, ma Dio; poiché l'uomo è giustificato non per le sue opere ma per
la fede; poiché è Dio che gli concede di operare bene. Infatti il
tralcio, come ho già detto precedentemente, non può portar frutto da se
stesso. Se dunque ciò che glorifica Dio Padre è che portiamo molto
frutto e diventiamo discepoli di Cristo, di tutto questo non possiamo
gloriarcene, come se provenisse da noi. E' grazia sua; perciò sua, non
nostra, è la gloria. Ecco perché, in altra circostanza, dopo aver detto
ai discepoli: Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, acciocché vedano le vostre buone opere, affinché non dovessero attribuire a se stessi queste buone opere, subito aggiunge: e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli
(Mt 5, 16). Ciò che glorifica, infatti, il Padre è che produciamo molto
frutto e diventiamo discepoli di Cristo. E in grazia di chi lo
diventiamo, se non di colui che ci ha prevenuti con la sua misericordia?
Di lui infatti siamo fattura, creati in Cristo Gesù per compiere le opere buone (cf. Ef 2, 10).
2. Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi: rimanete nel mio amore (Gv 15, 9). Ecco l'origine di tutte le nostre buone opere. Quale origine potrebbero avere, infatti, se non la fede che opera mediante l'amore (cf. Gal 5, 6)? E come potremmo noi amare, se prima non fossimo amati? Lo dice molto chiaramente, nella sua lettera, questo medesimo evangelista: Amiamo Dio, perché egli ci ha amati per primo (1 Io 3, 19). L'espressione poi: Come il Padre ha amato me così anch'io ho amato voi, non vuole significare che la nostra natura è uguale alla sua, così come la sua è uguale a quella del Padre, ma vuole indicare la grazia per cui l'uomo Cristo Gesù è mediatore tra Dio e gli uomini (cf. 1 Tim 2, 5). E' appunto come mediatore che egli si presenta dicendo: Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. E' certo, infatti, che il Padre ama anche noi, ma ci ama in lui; perché ciò che glorifica il Padre è che noi portiamo frutto nella vite, cioè nel Figlio, e diventiamo così suoi discepoli.
3. Rimanete nel mio amore. In che modo ci rimarremo? Ascolta ciò che segue: Se osservate i miei comandamenti - dice - rimarrete nel mio amore (Gv 15, 10). E' l'amore che ci fa osservare i comandamenti, oppure è l'osservanza dei comandamenti che fa nascere l'amore? Ma chi può mettere in dubbio che l'amore precede l'osservanza dei comandamenti? Chi non ama è privo di motivazioni per osservare i comandamenti. Con le parole: Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, il Signore non vuole indicare l'origine dell'amore, ma la prova. Come a dire: Non crediate di poter rimanere nel mio amore se non osservate i miei comandamenti: potrete rimanervi solo se li osserverete. Cioè, questa sarà la prova che rimanete nel mio amore, se osserverete i miei comandamenti. Nessuno quindi si illuda di amare il Signore, se non osserva i suoi comandamenti; poiché in tanto lo amiamo in quanto osserviamo i suoi comandamenti, e quanto meno li osserviamo tanto meno lo amiamo. Anche se dalle parole: Rimanete nel mio amore, non appare chiaro di quale amore egli stia parlando, se di quello con cui amiamo lui o di quello con cui egli ama noi, possiamo però dedurlo dalla frase precedente. Egli aveva detto: anch'io ho amato voi, e subito dopo ha aggiunto: Rimanete nel mio amore. Si tratta dunque dell'amore che egli nutre per noi. E allora che vuol dire: Rimanete nel mio amore, se non: rimanete nella mia grazia? E che significa: Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, se non che voi potete avere la certezza di essere nel mio amore, cioè nell'amore che io vi porto, se osserverete i miei comandamenti? Non siamo dunque noi che prima osserviamo i comandamenti di modo che egli venga ad amarci, ma il contrario: se egli non ci amasse, noi non potremmo osservare i suoi comandamenti. Questa è la grazia che è stata rivelata agli umili mentre è rimasta nascosta ai superbi.
4. Ma cosa vogliono dire le parole che il Signore subito aggiunge: Come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore (Gv 15, 10)? Certamente anche qui vuole che ci rendiamo conto dell'amore che il Padre ha per lui. Aveva infatti cominciato col dire Come il Padre ha amato me così anch'io ho amato voi; e a queste parole aveva fatto seguire le altre: Rimanete nel mio amore, cioè, senza dubbio, nell'amore che io ho per voi. Così ora, parlando del Padre, dice: Rimango nel suo amore, cioè nell'amore che egli ha per me. Diremo però che questo amore con cui il Padre ama il Figlio è grazia, come è grazia l'amore con cui il Figlio ama noi; e ciò nonostante che noi siamo figli per grazia non per natura, mentre l'Unigenito è Figlio per natura non per grazia? Ovvero dobbiamo intendere queste parole come dette in relazione all'umanità assunta dal Figlio? E' proprio così che dobbiamo intenderle. Infatti, dicendo: Come il Padre ha amato me così anch'io ho amato voi, egli ha voluto mettere in risalto la sua grazia di mediatore. E Gesù Cristo è mediatore tra Dio e gli uomini non in quanto è Dio, ma in quanto uomo. E' così che di Gesù in quanto uomo si legge: Gesù cresceva in sapienza e statura e grazia, presso Dio e gli uomini (Lc 2, 52). Dunque possiamo ben dire che, siccome la natura umana non rientra nella natura divina, se appartiene alla persona dell'unigenito Figlio di Dio lo è per grazia e per una tale grazia di cui non è concepibile una maggiore e neppure uguale. Nessun merito ha preceduto l'incarnazione, e tutti hanno origine da essa. Il Figlio rimane nell'amore con cui il Padre lo ha amato, e perciò osserva i suoi comandamenti. A che cosa deve la sua grandezza umana se non al fatto che Dio l'ha assunta (cf. Sal 3, 4)? Il Verbo infatti era Dio, era l'Unigenito coeterno al Padre; ma affinché noi avessimo un mediatore, per grazia ineffabile il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 14).
19 - Pilato manda il Signore da Erode e gliene sottopone la causa.
La mistica Città di Dio - Libro sesto - Suor Maria d'Agreda
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1314. Una delle accuse che i giudei e i loro capi presentarono a Pilato
contro Gesù salvatore nostro fu che egli aveva predicato, incominciando a
fomentare il popolo fin dalla Galilea. Per questo il governatore gli
domandò se fosse galileo. Una volta informato che era nato e cresciuto
in quella provincia, gli parve di avere un qualche motivo per dichiarare
non di sua competenza la causa di Cristo nostro bene - che egli trovava
senza colpa -, liberandosi dal fastidio di coloro che insistevano
perché lo condannasse a morte. Erode in quei giorni si trovava a
Gerusalemme per celebrare la Pasqua. Costui era figlio dell'altro Erode
che aveva ordinato la strage degli innocenti perseguitando Gesù appena
nato e che, avendo sposato una donna giudea, era passato al giudaismo e
divenuto un proselito israelita. Per questa ragione, anche suo figlio
Erode Antipa osservava la legge di Mosè ed era venuto a Gerusalemme
dalla Galilea, di cui era tetrarca. Fra Pilato ed Erode non
intercorrevano buoni rapporti, perché entrambi avevano autorità sulle
principali province della Palestina e poco tempo prima il governatore,
sollecito nell'affermare il dominio dell'impero romano, aveva fatto
decapitare alcuni galilei mentre offrivano, sacrifici, mescolando il
loro sangue con quello dei sacrifici stessi. Il re se ne era sdegnato,
per cui Pilato, volendogli opportunamente dare qualche soddisfazione,
decise di mandargli il Signore in quanto suo suddito, affinché lo
esaminasse e giudicasse; in realtà egli sperava che Erode lo avrebbe
lasciato libero, riconoscendolo innocente e denunciato per invidia dai
sommi sacerdoti e dagli scribi.
1315. Il Redentore, legato e incatenato com'era, uscì dalla
casa del governatore romano scortato dagli scribi e dai sacerdoti, che
andavano per accusarlo di fronte al nuovo giudice, e da un gran numero
di soldati e servi, che lo conducevano tirandolo con le corde.
L'esercito si apriva il passaggio attraverso la folla accorsa a vedere
e, poiché i soldati e i capi del popolo erano talmente assetati del
sangue del Salvatore da volerlo spargere in quello stesso giorno,
affrettavano il passo e quasi correndo conducevano per le vie sua Maestà
in un disordinato tumulto. Anche Maria santissima, insieme alle persone
che erano con lei, seguì il suo dolcissimo Gesù per stargli accanto
negli altri momenti della passione, fino alla croce. Ma sarebbe stato
impossibile alla gran Signora continuare questo percorso senza perderlo
di vista se i santi angeli non avessero disposto tutto come ella
desiderava, in modo che si trovasse sempre così vicina a suo Figlio da
poter godere della sua presenza e partecipare dei suoi tormenti. Tanto
appunto ottenne col suo ardentissimo amore, cosicché udiva nello stesso
tempo gli insulti e i colpi che il Signore riceveva, le mormorazioni del
popolo e i vari giudizi che ciascuno formulava da sé o riferiva di
altri.
1316. Quando Erode seppe che Pilato gli mandava il
Nazareno, si rallegrò grandemente. Sapeva che Gesù era stato molto amico
di Giovanni, che egli aveva fatto decapitare, ed era informato sulla
sua predicazione; inoltre, con stolta e vana curiosità desiderava
vedergli compiere qualche portento per farne oggetto di meraviglia e
materia d'intrattenimento nelle conversazioni. L'Autore della vita,
dunque, giunse alla presenza del re omicida, contro il quale il sangue
di Giovanni Battista gridava vendetta al cospetto di Dio più del sangue
del giusto Abele. L'infelice adultero lo accolse ridendo, come uno che
ignori i terribili giudizi dell'Altissimo, considerando Cristo nostro
bene un incantatore e un mago. Accecato da un così funesto errore,
incominciò ad esaminarlo e a fargli diverse domande, pensando d'indurlo
in questo modo a compiere qualche miracolo. Ma il Maestro della sapienza
e della prudenza tacque, rimanendo sempre con umile severità davanti
all'indegno giudice, il quale per le sue malvagità ben si meritava la
punizione di non ascoltare le parole di vita eterna che, se fosse stato
ben disposto, sarebbero uscite dalla bocca del Figlio dell'eterno Padre.
1317. I principi dei sacerdoti e gli scribi lì convenuti
muovevano al nostro Salvatore le medesime accuse che in precedenza
avevano presentato a Pilato. Neppure qui sua Maestà replicò alle loro
calunnie, come invece avrebbe voluto Erode; non aprì le labbra né per
rispondere alle domande, né per difendersi, perché il re non era
comunque degno di udire la verità. Questo fu il suo giusto castigo, ed è
ciò che i principi e i potenti del mondo devono maggiormente temere.
Erode si adirò perché il Redentore, silenzioso e mansueto, deludeva la
sua vana curiosità; quasi confuso, dissimulò il suo dispetto facendosi
beffe di lui e, schernendolo insieme a tutto il suo esercito, ordinò che
venisse ricondotto dal governatore. I soldati, dopo essersi presi gioco
della modestia di Cristo, gli misero addosso una tunica bianca - segno
distintivo di coloro che perdevano il senno - al fine di trattarlo come
matto ed insensato, in modo che tutti si guardassero da lui. Indossata
dal Signore, invece, questa veste fu simbolo e testimonianza della sua
innocenza e purezza. Così infatti aveva stabilito l'imperscrutabile
provvidenza dell'Altissimo, affinché quei malvagi, compiendo azioni di
cui ignoravano il significato, testimoniassero la verità che
pretendevano di oscurare insieme alle meraviglie compiute dal Redentore e
da essi maliziosamente misconosciute.
1318. Erode si mostrò grato per la cortesia usatagli dal
governatore romano nel sottoporgli il caso del Nazareno, e gli mandò a
dire che non trovava colpa alcuna in lui, ma anzi gli pareva uomo
ignorante e di nessun conto. Conforme agli arcani disegni della sapienza
divina, da quel giorno i due si riconciliarono e divennero amici.
Condotto dai soldati, Gesù tornò per la seconda volta al pretorio tra lo
schiamazzo e il tumulto della folla. Infatti, gli stessi che prima lo
avevano acclamato e osannato come Messia benedetto da Dio, pervertiti
già dall'esempio dei sacerdoti e dei giudici, avevano cambiato parere,
condannando e disprezzando ora colui al quale pochi giorni prima avevano
dato gloria e venerazione. È di tale efficacia l'errore e il cattivo
esempio dei capi da trascinare il popolo. Sua Maestà camminava tra le
imprecazioni della gente, ripetendo di continuo dentro di sé con
ineffabile amore, umiltà e pazienza quelle parole che aveva dette per
bocca di Davide: Io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto
del mio popolo. Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le
labbra, scuotono il capo. Il Redentore era "verme e non uomo": non fu
generato, infatti, come gli altri e non era solo e meramente uomo, bensì
vero uomo e vero Dio; per di più non fu trattato da essere umano, ma da
verme vile e spregevole. Di fronte a tutti gli insulti che gli venivano
lanciati non fece strepito né oppose resistenza maggiore di quella di
un umile verme da tutti pestato e considerato ributtante. Quelli che
guardavano Cristo nostro salvatore - ed erano innumerevoli - storcevano
le labbra e scuotevano il capo, quasi ritrattando l'opinione che ne
avevano avuto e la considerazione in cui lo avevano tenuto.
1319. Rimasta fuori dal tribunale in cui era stato fatto
entrare il Signore, l'afflitta Madre non si trovò corporalmente presente
agli oltraggi e alle accuse che i sacerdoti mossero contro l'Autore
della vita al cospetto di Erode, né alle domande che costui gli rivolse,
ma vide tutto in visione interiore. Quando però Gesù uscì fuori la
incontrò, ed entrambi si comunicarono con lo sguardo l'intimo dolore e
la reciproca compassione, intensi come l'amore di un tale figlio e di
una tale madre. La tunica bianca, che gli avevano fatto indossare alla
stregua di un insensato e senza giudizio, fu un nuovo strumento per
trafiggere il cuore della Regina del cielo; in realtà, ella sola fra
tutti i mortali conosceva il mistero dell'innocenza che quell'abito
significava, per cui adorò con grandissima venerazione il suo divin
Figlio così rivestito. Lo seguì fino alla casa di Pilato, dove veniva
condotto per la seconda volta, poiché in essa sarebbe stato eseguito ciò
che Dio aveva disposto per la nostra salvezza. In questo tratto di
strada accadde che i soldati, per la moltitudine del popolo e per la
fretta con cui conducevano Gesù ingiuriandolo, tirandolo crudelmente per
le corde e facendolo stramazzare a terra più volte, gli facessero
uscire molto sangue; inoltre, siccome egli non poteva rialzarsi
facilmente perché aveva le mani legate e la furia della gente non poteva
né voleva trattenersi, qualcuno cadeva sopra di lui, lo pestava e lo
percuoteva con molti colpi e calci, provocando nei soldati grandi risa,
anziché la naturale pietà di cui, per astuzia del demonio, erano del
tutto privi, come se non fossero stati neppure uomini.
1320. Alla vista di così smisurata efferatezza, crebbero la
compassione e l'afflizione di Maria santissima, la quale ordinò agli
angeli che l'accompagnavano di raccogliere il sangue divino sparso per
le strade, in modo che il Salvatore non fosse ulteriormente offeso e
calpestato dai peccatori; e così essi fecero. Sua Altezza, inoltre,
comandò loro che impedissero agli operatori d'iniquità di calpestare il
Redentore del mondo, qualora fosse caduto un'altra volta. In tutto
prudentissima, ella non volle che i suoi celesti servitori facessero ciò
contro la volontà del Signore; così impose loro che in suo nome gliene
chiedessero il permesso e gli presentassero le angustie che ella, come
madre, soffriva vedendolo trattato con tanto disprezzo tra gli immondi
piedi di quei malvagi. Per obbligare maggiormente il suo santissimo
Figlio, attraverso i medesimi angeli gli chiese di commutare
l'umiliazione di essere calpestato e offeso dagli empi mortali
nell'obbedienza alle preghiere della sua afflitta Madre, la quale era
anche sua schiava e fatta di polvere. Gli spiriti celesti portarono le
sue richieste a Cristo nostro bene non perché sua Maestà le ignorasse -
giacché le conosceva e ispirava egli stesso per virtù divina - ma perché
Dio vuole che in questo si osservi l'ordine della ragione, conosciuto
allora dalla gran Signora con eminente sapienza.
1321. Il Redentore accolse i desideri e le preghiere della
beatissima Vergine e diede il permesso ai suoi angeli, quali ministri
della volontà di lei, di fare ciò che ella desiderava. Essi, quindi, non
permisero che nel rimanente percorso l'Unigenito del Padre fosse
gettato a terra o calpestato come prima era accaduto, anche se fu dato
il consenso ai soldati e al popolo, accecato dalla malizia, d'infierire
con folle rabbia ingiuriandolo in altri modi. La Regina guardava e udiva
tutto con cuore invitto ma addolorato, come pure le Marie e san
Giovanni, che piangendo copiosamente seguivano il Maestro divino insieme
a lei. Non mi soffermo però a parlare delle lacrime di queste ed altre
sante donne lì presenti, perché sarebbe necessario fare una lunga
digressione, specialmente per narrare della Maddalena, di tutte la più
ardente nell'amore e la più grata al Signore, come disse egli stesso
quando la perdonò, affermando che ama di più colui al quale più è
perdonato.
1322. Gesù arrivò per la seconda volta in casa di Ponzio
Pilato e di nuovo i giudei incominciarono a reclamarne la condanna alla
crocifissione. Il governatore, che conosceva l'innocenza dell'accusato e
la mortale invidia dei Giudei, fu molto dispiaciuto che Erode gli
avesse rimesso la causa da cui egli desiderava esimersi. Trovandovisi
obbligato come giudice, in diverse maniere tentò di placare gli
accusatori, per esempio parlando segretamente ad alcuni servi ed amici
dei capi e dei sacerdoti, affinché domandassero la libertà per il nostro
Salvatore, lo rilasciassero dopo una qualche punizione e non
richiedessero più il malfattore Barabba. Pilato aveva fatto questo
tentativo, quando i giudei gli avevano presentato nuovamente Cristo
perché lo condannasse. La possibilità di scegliere fra lui e Barabba non
era stata loro prospettata una sola volta, ma due o tre: una prima che
sua Maestà venisse condotto da Erode e un'altra dopo. Gli evangelisti
riferiscono ciò con qualche differenza, pur senza contraddirsi nella
verità. Pilato parlò ai giudei e disse loro: «Mi avete portato
quest'uomo come sobillatore del popolo; ecco, l'ho esaminato davanti a
voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo
accusate; e neanche Erode, infatti ce l'ha rimandato. Ecco, egli non ha
fatto nulla che meriti la morte. Perciò dopo averlo severamente
castigato, lo rilascerò. Vi è tra voi l'usanza che io vi liberi tino per
la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?». Sapendo
che Pilato voleva in tutti i modi liberare il Nazareno, la folla
rispose: «A morte costui! Dacci libero Barabba!».
1323. L'usanza di dare la libertà a un prigioniero nella
grande solennità della Pasqua fu introdotta fra i giudei in memoria e
per riconoscenza di quella ottenuta dai loro antenati in quel giorno,
quando Dio li aveva riscattati dal potere del faraone uccidendo i
primogeniti degli egiziani e sommergendo il faraone stesso e il suo
esercito nel Mar Rosso. A motivo di questo memorabile beneficio, gli
ebrei ne facevano uno al più grande delinquente perdonandogli i suoi
delitti, finendo però per castigare altri che erano meno colpevoli. Gli
accordi fatti con i romani prevedevano, fra l'altro, che detta usanza
venisse conservata e così facevano i governatori. In questa circostanza,
tuttavia, i giudei stessi pervertirono tale costume: dovendo dare la
libertà al peggior criminale ed affermando che Gesù lo era, condannarono
lui e graziarono Barabba, che reputavano meno malvagio. La rabbia del
demonio, profittando della loro perfida invidia, li rendeva tanto
perversi da essere accecati in tutto, anche contro se stessi.
1324. Mentre Pilato sedeva in tribunale, sua moglie
Procula, venuta a sapere ciò che stava accadendo, gli inviò questo
messaggio: «Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto
turbata in sogno, per causa sua». La ragione dell'avvertimento di
Procula fu la seguente: Lucifero e i suoi demoni, vedendo quanto veniva
fatto al nostro Salvatore e l'inalterabile mansuetudine con cui egli
sopportava tante offese, furiosi com'erano si trovarono ancor più
confusi ed incerti. La loro superbia non comprendeva come fosse
compatibile l'essere Dio con l'acconsentire a simili oltraggi
avvertendone gli effetti nella carne, per cui non riuscivano a capire se
Cristo fosse o no uomo e Dio. Nonostante ciò, il dragone era convinto
che in un tale miracolo si nascondesse qualche mistero per gli uomini e
che in ogni caso, se non avesse impedito il successo di una cosa tanto
inusitata, esso avrebbe arrecato alla sua malvagità grande danno e
rovina. In seguito a questa risoluzione presa con i suoi demoni, satana
cercò di far desistere i farisei dal perseguitare il Redentore, inviando
loro molte suggestioni, rimaste però inefficaci perché prive di forza
divina e introdotte in cuori ostinati e corrotti. Di conseguenza quegli
spiriti, disperando di ridurli al loro volere, andarono dalla moglie del
governatore e le parlarono in sogno; le suggerirono che quell'uomo era
giusto e senza colpa e che, se suo marito lo avesse condannato, sarebbe
stato privato della dignità che possedeva e a lei ne sarebbero venuti
molti dolori. In tal modo vollero indurla a consigliare a Pilato di
liberare Gesù anziché Barabba, per evitare una grande sciagura nella
loro casa e sulle loro persone.
1325. Procula fu assai spaventata dalla visione. Quando
seppe quello che stava succedendo tra i giudei e suo marito, inviò a
quest'ultimo - come riferisce l'evangelista Matteo - l'avvertimento di
non coinvolgersi nell'uccisione di chi riteneva giusto. Inoltre, il
demonio insinuò nell'immaginazione dello stesso Pilato timori simili,
che l'ammonimento della moglie accrebbe. Poiché si trattava di un
turbamento di natura mondana e politica ed egli non aveva assecondato i
veri aiuti che Dio gli aveva mandato, questa paura durò solo fino a
quando non ne subentrò un'altra che lo mosse con più violenza, e lo si
vide dalle conseguenze. Tuttavia, l'indegno giudice insistette per la
terza volta, difendendo l'innocenza di Cristo nostro salvatore e
attestando che non trovava in lui nessuna colpa meritevole di morte; lo
avrebbe quindi castigato e poi rilasciato. E difatti lo fece flagellare,
per vedere se i giudei ne sarebbero stati soddisfatti. Ma essi gridando
gli risposero di crocifiggerlo. Allora Pilato chiese che gli portassero
dell'acqua e ordinò di liberare Barabba secondo la loro richiesta,
dopodiché si lavò le mani alla presenza di tutti dicendo: «Guardate bene
quello che fate. Io non sono responsabile della morte di quest'uomo,
che voi condannate. A testimonianza di ciò mi lavo le mani, affinché si
sappia che non sono macchiate di sangue innocente». Con quel gesto parve
a Pilato di discolparsi con tutti imputando la morte di Gesù al popolo e
ai capi che la domandavano. Fu così sciocca e cieca la loro rabbia che
accondiscesero alla dichiarazione del governatore romano solo per vedere
crocifisso il Signore, e caricarono la responsabilità del delitto su se
stessi e sui propri discendenti pronunciando quella terribile ed
esecrabile sentenza: «II suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri
figli».
1326. Oh, cecità stoltissima e crudele! Oh, inimmaginabile
audacia! Volete attribuire a voi e ai vostri figli l'iniqua condanna
dell'innocente, che lo stesso giudice dichiara incolpevole, affinché
contro voi tutti esso gridi sempre, fino alla fine dei secoli? Oh,
perfidi e sacrileghi giudei! Il sangue dell'Agnello, che lava i peccati
del mondo, e la vita di un uomo, che al tempo stesso è vero Dio, pesano
così poco da volerli addossare a voi stessi e ai vostri figli? Se fosse
stato anche solo vostro fratello, benefattore e maestro, pure la vostra
audacia sarebbe stata spaventosa e deprecabile la vostra malvagità. Di
certo è giusto il castigo che subite; è giusto che il peso del sangue di
Cristo non vi dia mai requie; ed è giusto che questo carico, pesante
più del cielo e della terra, vi opprima e vi schiacci. Quale grande
dolore! Il sangue divino cadde su tutti i figli di Adamo per lavarli e
purificarli e fu sparso sui figli della santa Chiesa; eppure in essa vi
sono molti che al pari dei giudei se ne assumono la responsabilità con
le proprie opere e parole, quelli non sapendo e non credendo che fosse
sangue del Messia e i cattolici sapendo e confessando che lo è.
1327. I peccati e le azioni depravate dei cristiani hanno
un loro linguaggio e parlano contro il nostro Signore, gridando: «Cristo
sia svergognato, schiaffeggiato, disprezzato, coperto di sputi,
crocifisso; a lui si preferisca Barabba. Sia tormentato, flagellato e
coronato di spine per i nostri peccati, perché noi non vogliamo avere
altra parte in questo sangue se non quella di causarne lo spargimento
oltraggioso; ci venga pure eternamente imputato! Soffra e muoia lo
stesso Dio incarnato e noi godiamo dei beni apparenti. Approfittiamo
dell'occasione, usiamo le creature, coroniamoci di rose, viviamo con
allegria, avvaliamoci della forza; nessuno sia preferito a noi,
disprezziamo l'umiltà, detestiamo la povertà, accumuliamo tesori,
inganniamo tutti, non perdoniamo offese, abbandoniamoci ai piaceri più
turpi, bramiamo ardentemente tutto ciò che vediamo e impegnamoci fino al
limite delle nostre forze per ottenerlo. Questa sia la nostra legge,
senza alcun altro rispetto. E se così facendo crocifiggiamo il
Salvatore, il suo sangue ricada pure su di noi e sui nostri figli».
1328. Domandiamo ora ai reprobi che si trovano all'inferno
se le loro opere parlarono in questo modo - come afferma Salomone nel
libro della Sapienza - e se sono detti e furono empi perché ebbero
pensieri tanto stolti. Che cosa possono sperare coloro i quali rendono
inutile per sé il sangue del Redentore e se lo fanno ricadere addosso
non desiderandolo a proprio rimedio, ma disprezzandolo a propria
dannazione? Chi tra i figli della Chiesa sopporterebbe di essere
posposto ad un ladrone facinoroso? Tale insegnamento è così poco messo
in pratica che si rende ammirevole chi acconsente ad essere preceduto da
un altro buono e benemerito quanto e più di lui; eppure non si troverà
nessuno tanto buono come sua Maestà, né tanto malvagio come Barabba.
Ciononostante sono senza numero quelli che, davanti a questo esempio, si
offendono e si considerano sfortunati qualora non siano preferiti e
innalzati nell'onore, nelle ricchezze, nelle dignità e in ciò che nel
secolo presente riceve ostentazione e plauso. Gli uomini sollecitano, si
contendono e ricercano proprio questo, occupandovi i propri pensieri e
le proprie forze e facoltà, da quando cominciano ad usarle fino a quando
le perdono. Il più grande doloroso danno è che non sono liberi da un
simile contagio neppure quanti per professione e stato di vita hanno
rinunciato al mondo: mentre il Signore ordina loro di dimenticarsi del
proprio popolo e della casa del loro padre, essi vi si rivolgono con la
parte migliore della natura umana, cioè con l'attenzione e la
sollecitudine verso i parenti, nonché con la volontà e il desiderio di
procurare ad essi quanto il mondo possiede. Ciò, tuttavia, appare loro
ancora poco: s'immergono nella vanità e, invece di dimenticare la casa
paterna, dimenticano quella di Dio in cui vivono e in cui ricevono gli
aiuti divini per conseguire la stima, l'onore, la salvezza che
altrimenti non avrebbero mai ottenuto e il sostentamento senza affanno
né preoccupazione. Abbandonando l'umiltà, che per il loro stato di vita
dovrebbero professare, si dimostrano ingrati per tutti questi benefici.
La pazienza del Salvatore, gli oltraggi da lui subiti, gli obbrobri
della croce, l'imitazione delle sue opere, la sequela del suo
insegnamento sono lasciate a chi è povero, solo, abbandonato, e le
strade di Sion si vedono deserte e desolate, perché sono veramente pochi
quelli che vengono a celebrare la festa dell'imitazione di Cristo.
1329. Pilato non fu meno insipiente dei giudei nel pensare
che, lavandosi le mani ed imputando loro il sangue di Gesù, si sarebbe
giustificato sia nella sua coscienza che davanti agli uomini, ai quali
pretendeva di dare soddisfazione con quel gesto pieno d'ipocrisia e di
menzogna. È vero che i giudei furono gli attori principali e più
colpevoli nella condanna dell'innocente, di cui si assunsero la
terribile responsabilità, ma non per questo Pilato ne rimase estraneo,
poiché conoscendo l'innocenza del Redentore non avrebbe dovuto posporlo
ad un ladro omicida, né castigarlo, né correggere chi non aveva niente
da correggere. A maggior ragione non avrebbe dovuto lasciarlo alla mercé
dei suoi mortai nemici, di cui gli era manifesta l'invidia e la
crudeltà. Non può giudicare rettamente colui che, conoscendo la verità e
la giustizia, le mette sulla stessa bilancia del rispetto umano e degli
interessi personali: un simile peso trascina la ragione degli uomini
codardi, i quali non possono resistere all'ingordigia e al timore
mondano perché non possiedono in sommo grado le virtù necessarie ai
giudici; accecati dalla passione, abbandonano l'equità per non mettere a
rischio il proprio tornaconto. Così accadde a Pilato.
1330. La nostra grande Regina e signora rimase nel
pretorio, cosicché grazie ai suoi santi angeli poté udire la discussione
del governatore con gli scribi e i sommi sacerdoti riguardo
all'innocenza di Cristo nostro bene e allo scambio con Barabba. Con
ammirabile mitezza, vivo ritratto del suo santissimo Figlio, ascoltò
tacendo tutte le urla di quelle tigri feroci. Per quanto la sua
indicibile modestia fosse inalterabile, le voci dei giudei penetravano
come spada a due tagli nel suo cuore ferito; e le grida del suo,
silenzioso dolore erano accette all'eterno Padre più delle lacrime con
cui la bella Rachele - secondo quanto dice Geremia - piangeva i suoi
figli senza essere consolata perché non li poteva richiamare in vita'.
La nostra bella Rachele, Maria santissima, non domandava vendetta ma
perdono per i nemici che le toglievano l'Unigenito del Padre e suo.
Imitava e accompagnava sua Maestà negli atti da lui compiuti, operando
con tanta pienezza di santità che la pena non sospendeva le sue facoltà:
il dolore non impediva la carità, la tristezza non rallentava il
fervore, lo strepito non distraeva l'attenzione, le ingiurie e il
tumulto della folla non erano di ostacolo al raccoglimento; in tutto
ella esercitava le virtù in sommo grado.
Insegnamento della Regina del cielo
1331. Figlia mia, noto che ti meravigli per ciò che hai
inteso e scritto, riflettendo sul fatto che Pilato ed Erode non si
mostrarono tanto inumani e crudeli verso il mio Figlio santissimo quanto
i sommi sacerdoti e i farisei. Ti vedo considerare attentamente che i
primi erano giudici pagani e i secondi maestri della legge e guide del
popolo d'Israele che professavano la vera fede. Al riguardo desidero
illuminarti con un insegnamento; non è nuovo e l'hai sentito altre
volte, ma ora voglio che tu lo richiami alla mente e non lo dimentichi
per tutto il corso della tua vita. Tieni presente dunque, o carissima,
che la caduta da un luogo alto è estremamente pericolosa ed il suo danno
è irreparabile o per lo meno assai difficile da rimediare. Lucifero
ebbe in cielo un posto eminente sia per natura, sia per i doni di luce e
di grazia, poiché vinceva in bellezza tutte le creature; eppure discese
nella più profonda bruttezza e miseria, cadendo in un'ostinazione
maggiore di quella di tutti i suoi seguaci a causa del suo peccato. Ai
progenitori del genere umano, Adamo ed Eva, fu data una dignità
altissima. Essi furono adornati di grazie sublimi, uscite dalla mano
dell'Onnipotente; eppure, peccando, provocarono a sé e alla propria
posterità una grandissima rovina, il cui rimedio, come la fede
v'insegna, ebbe un prezzo incalcolabile e fu opera di misericordia
infinita.
1332. Tanti altri sono giunti all'apice della perfezione e
di là sono infelicemente precipitati, trovandosi poi sfiduciati o quasi
impossibilitati a rialzarsi. I motivi di questo danno risiedono in gran
parte nella creatura stessa. Infatti, l'anima caduta da uno stato di
virtù eccelsa prova dispetto e vergogna smisurata, non solo perché ha
sciupato beni preziosi, ma anche perché confida nelle grazie passate e
perdute più che nelle future, e spera nei doni ricevuti e malamente
impiegati per la sua ingratitudine più che in quelli che può acquistare
con impegno rinnovato e maggiore fermezza. Da questo insidioso stato
d'animo deriva l'agire con tiepidezza, senza fervore né impegno, senza
gusto né devozione, perché la sfiducia estingue tutto ciò; al contrario
la speranza, animata e incoraggiata, vince molte difficoltà e corrobora
la debolezza umana, animando a intraprendere opere grandi. C'è un'altra
ragione e non meno importante: chi è abituato ai favori di Dio - per
ufficio come i sacerdoti e i religiosi, o per esercizio di virtù come le
altre persone spirituali - di solito pecca disprezzandoli e facendo un
cattivo uso delle cose divine. Incorre nella pericolosa rozzezza di
tenere in poco conto i benefici del Signore proprio perché li riceve di
frequente; con un simile irriverente atteggiamento, impedisce alla
grazia di renderlo suo collaboratore e spegne in sé il santo timore che
risveglia e stimola ad operare il bene, ad ubbidire alla volontà divina e
ad approfittare subito dei mezzi stabiliti da Dio per convertirsi e
guadagnare la sua amicizia e la vita eterna. Questo rischio è evidente
nei sacerdoti tiepidi, i quali celebrano l'eucaristia e gli altri
sacramenti senza devozione, come pure nei dotti, nei saggi e nei potenti
del mondo, che difficilmente si emendano perché hanno perso la
venerazione dei rimedi della Chiesa - sacramenti, predicazione e
dottrina -, di cui non comprendono più il significato. Così, assumendo
le stesse medicine che per altri peccatori sono salutari e che
guariscono gli ignoranti, loro, medici della salute spirituale, si
ammalano.
1333. Ulteriori cause del danno di cui ti ho parlato
riguardano il rapporto con il Signore. Infatti, le mancanze di coloro
che per virtù o stato di vita sono più legati a Dio pesano sulla
bilancia della sua giustizia in modo assai differente rispetto a quelle
delle altre anime beneficate dalla sua misericordia. E sebbene i peccati
di tutti siano di uguale materia, le circostanze li rendono molto
diversi. I sacerdoti, i maestri, i potenti, i prelati e quanti occupano
un posto di rilievo o hanno fama di santità provocano grandi mali con lo
scandalo della loro empia condotta. Nell'arrischiarsi ad agire contro
Dio, che meglio conoscono e verso il quale hanno un debito superiore a
quello altrui, sono più temerari, perché lo offendono con maggiore
consapevolezza e quindi con più irriverenza. Per tale motivo l'eterno
Padre è tanto irritato dalle colpe dei cattolici e, in particolare, da
quelle di coloro che si distinguono per saggezza, come si comprende
dalle sacre Scritture. Nel tempo assegnato a ogni mortale per meritare
la vita eterna, è anche stabilito fino a quale numero di peccati la
pazienza del Signore debba aspettare e sopportare ciascuno; secondo la
giustizia divina il numero non è computato solo sulla base della
quantità, ma anche della qualità e del peso delle colpe. Può dunque
succedere che, in chi eccelle per scienza eccelsa o ha ricevuto dal
cielo singolari benefici, la qualità supplisca la quantità e che costui,
con un minor numero di colpe, venga abbandonato e castigato al pari di
altri peccatori che ne hanno commesse di più. D'altra parte, non a tutti
può accadere come a Davide e a san Pietro; non in tutti infatti la
caduta è preceduta da tante opere buone alle quali il Signore faccia
attenzione, né tantomeno il privilegio di alcuni è regola generale per
tutti, perché Dio, nei suoi imperscrutabili giudizi, non sceglie tutti
per un ministero.
1334. Con questo insegnamento, figlia mia, il tuo dubbio
sarà chiarito e intenderai quanto malvagio e amaro sia offendere
l'Onnipotente, allorché egli pone molte anime redente dal suo sangue
sulla strada della luce e ve le guida. Intenderai, inoltre, come una
persona possa cadere da uno stato sublime in un'ostinazione più dura di
quella di altre creature che si trovano in una condizione meno perfetta.
Tale verità è attestata dal mistero della passione e morte del mio
Figlio santissimo; infatti, i capi, i sacerdoti, gli scribi e l'intero
popolo, pur essendo maggiormente debitori a Dio rispetto ai pagani,
furono portati dalla loro empietà ad una pervicacia, cecità e crudeltà
più detestabile e avventata di quella dei pagani stessi, che non
conoscevano la vera religione. Voglio che tutto ciò ti metta in guardia
da un rischio così grande, affinché tu sia prudente ed unisca al santo
timore l'umile gratitudine e l'alta stima dei beni del Signore. Nel
tempo dell'abbondanza non dimenticare quello dell'indigenza. Confronta
l'uno e l'altro in te stessa; ricorda che hai il tesoro in un vaso
fragile, che lo puoi perdere e che ricevere tanti doni non è questione
di merito, né il possederli è diritto dovuto, bensì frutto della grazia e
della munificenza divine. L’Altissimo ti ha reso sua intima familiare;
tuttavia non sei preservata dal cadere, dal perdere il timore e la
riverenza o dal vivere negligentemente. Al contrario, timore e riverenza
devono crescere in te in proporzione ai favori. Anche l'ira del
serpente, infatti, è aumentata; la sua sorveglianza nei tuoi confronti
si è fatta più stretta, perché sa che Dio ha mostrato il suo amore
generoso a te più che ad altre creature e che, se tu fossi ingrata
nonostante gli innumerevoli doni ricevuti, saresti infelicissima e degna
di rigoroso castigo e la tua colpa sarebbe inescusabile.
PER CHI SOFFRI?
Sant'Anna Schaffer
Il
20 e il 24 dicembre 1920 sognai nuovamente il maligno. Nel sogno del
primo marzo 1921 il diavolo mi percuoteva molto forte e diceva: "Adesso
potrai gridare davvero!", ma pur dicendo questo mi tappava la bocca.