Sotto il Tuo Manto

Giovedi, 5 giugno 2025 - San Bonifacio (Letture di oggi)

Siate amante e praticante della semplicità  e dell'umiltà , e non vi curate dei giudizi del mondo, perché se questo mondo non avesse nulla da dire contro di noi, non saremmo veri servi di Dio. (San Pio da Pietrelcina)

Liturgia delle Ore - Letture

Martedi della 6° settimana del tempo ordinario

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Matteo 5

1Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli.2Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:

3"Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
4Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
5Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
7Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
8Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
9Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
10Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.

11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.

13Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte,15né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa.16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.

17Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento.18In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto.19Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.

20Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
21Avete inteso che fu detto agli antichi: 'Non uccidere'; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio.22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna.
23Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te,24lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.
25Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione.26In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all'ultimo spicciolo!
27Avete inteso che fu detto: 'Non commettere adulterio';28ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.
29Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna.30E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna.
31Fu pure detto: 'Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto di ripudio';32ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all'adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
33Avete anche inteso che fu detto agli antichi: 'Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti';34ma io vi dico: non giurate affatto: né per 'il cielo', perché è 'il trono di Dio';35né per 'la terra', perché è 'lo sgabello per i suoi piedi'; né per 'Gerusalemme', perché è 'la città del gran re'.36Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello.37Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.
38Avete inteso che fu detto: 'Occhio per occhio e dente per dente';39ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra;40e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello.41E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due.42Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.
43Avete inteso che fu detto: 'Amerai il tuo prossimo' e odierai il tuo nemico;44ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori,45perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.46Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?47E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?48Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.


Secondo libro delle Cronache 25

1Quando divenne re, Amazia aveva venticinque anni; regnò ventinove anni in Gerusalemme. Sua madre, di Gerusalemme, si chiamava Ioaddan.2Egli fece ciò che è retto agli occhi del Signore, ma non con cuore perfetto.3Quando il regno si fu rafforzato nelle sue mani, egli uccise gli ufficiali che avevano assassinato il re suo padre.4Ma non uccise i loro figli, perché sta scritto nel libro della legge di Mosè il comando del Signore: "I padri non moriranno per i figli, né i figli per i padri, ma ognuno morirà per il suo peccato".
5Amazia riunì quelli di Giuda e li distribuì, secondo i casati, sotto capi di migliaia e sotto capi di centinaia, per tutto Giuda e Beniamino. Fece un censimento di tutti gli abitanti dai vent'anni in su e trovò che c'erano trecentomila uomini atti alla guerra, armati di lancia e di scudo.6Egli assoldò da Israele centomila uomini valorosi per cento talenti d'argento.
7Gli si presentò un uomo di Dio che gli disse: "O re, non si unisca a te l'esercito di Israele, perché il Signore non è con Israele, né con alcuno dei figli di Èfraim.8Ma se tu vuoi marciare con loro, fa' pure. Raffòrzati pure per la battaglia; Dio ti farà stramazzare davanti al nemico, poiché Dio ha la forza per aiutare e per abbattere".9Amazia rispose all'uomo di Dio: "Che ne sarà dei cento talenti che ho dato per la schiera di Israele?". L'uomo di Dio rispose: "Il Signore può darti molto più di questo".10Amazia congedò la schiera venuta a lui da Èfraim perché se ne tornasse a casa; ma la loro ira divampò contro Giuda; tornarono a casa loro pieni di sdegno.
11Amazia, fattosi animo, andò a capo del suo esercito nella Valle del sale, ove sconfisse diecimila figli di Seir.12Quelli di Giuda ne catturarono diecimila vivi e, condottili sulla cima della Roccia, li precipitarono giù; tutti si sfracellarono.13I componenti della schiera, che Amazia aveva congedato perché non andassero con lui, assalirono le città di Giuda, da Samaria a Bet-Coròn, uccidendo in esse tremila persone e facendo un immenso bottino.
14Tornato dalla vittoria sugli Idumei, Amazia fece portare le divinità dei figli di Seir e le costituì suoi dèi e si prostrò davanti a loro e offrì loro incenso.15Perciò l'ira del Signore divampò contro Amazia; gli mandò un profeta che gli disse: "Perché ti sei rivolto a dèi che non sono stati capace di liberare il loro popolo dalla tua mano?".16Mentre costui lo apostrofava, il re lo interruppe: "Forse ti abbiamo costituito consigliere del re? Smettila! Perché vuoi farti uccidere?". Il profeta cessò, ma disse: "Vedo che Dio ha deciso di distruggerti, perché hai fatto una cosa simile e non hai dato retta al mio consiglio".
17Consigliatosi, Amazia re di Giuda mandò a dire a Ioas figlio di Ioacaz, figlio di Ieu, re di Israele: "Su, misuriamoci in guerra!".18Ioas re di Israele fece rispondere ad Amazia re di Giuda: "Il cardo del Libano mandò a dire al cedro del Libano: Da' in moglie tua figlia a mio figlio. Ma una bestia selvatica del Libano passò e calpestò il cardo.19Tu ripeti: Ecco ho sconfitto Edom! E il tuo cuore si è inorgoglito esaltandosi. Ma stattene a casa! Perché provocare una calamità e precipitare tu e Giuda con te?".
20Ma Amazia non diede ascolto. Era volontà di Dio che fossero consegnati nelle mani del nemico, perché si erano rivolti agli dèi di Edom.21Allora si mosse Ioas re di Israele; si sfidarono a battaglia, lui e Amazia re di Giuda, in Bet-Sèmes che appartiene a Giuda.22Giuda fu sconfitto di fronte a Israele e ognuno fuggì nella sua tenda.23Ioas re di Israele in Bet-Sèmes fece prigioniero Amazia re di Giuda, figlio di Ioas, figlio di Ioacaz. Condottolo in Gerusalemme, demolì una parte delle mura cittadine, dalla porta di Èfraim fino alla porta dell'Angolo, per quattrocento cubiti.24Prese tutto l'oro, l'argento e tutti gli oggetti trovati nel tempio di Dio, che erano affidati a Obed-Èdom, i tesori della reggia e alcuni ostaggi e poi tornò a Samaria.

25Amazia figlio di Ioas, re di Giuda, visse ancora quindici anni dopo la morte di Ioas figlio di Ioacaz, re di Israele.26Le altre gesta di Amazia, le prime come le ultime, sono descritte nel libro dei re di Giuda e di Israele.
27Dopo che Amazia si fu allontanato dal Signore, fu ordita una congiura contro di lui in Gerusalemme. Egli fuggì in Lachis, ma lo fecero inseguire fino a Lachis e là l'uccisero.28Lo caricarono su cavalli e lo seppellirono con i suoi padri nella città di Davide.


Salmi 108

1'Canto. Salmo. Di Davide.'

2Saldo è il mio cuore, Dio,
saldo è il mio cuore:
voglio cantare inni, anima mia.
3Svegliatevi, arpa e cetra,
voglio svegliare l'aurora.

4Ti loderò tra i popoli, Signore,
a te canterò inni tra le genti,
5perché la tua bontà è grande fino ai cieli
e la tua verità fino alle nubi.
6Innàlzati, Dio, sopra i cieli,
su tutta la terra la tua gloria.

7Perché siano liberati i tuoi amici,

8Dio ha parlato nel suo santuario:
"Esulterò, voglio dividere Sichem
e misurare la valle di Succot;
9mio è Gàlaad, mio Manasse,
Èfraim è l'elmo del mio capo,
Giuda il mio scettro.
10Moab è il catino per lavarmi,
sull'Idumea getterò i miei sandali,
sulla Filistea canterò vittoria".

11Chi mi guiderà alla città fortificata,
chi mi condurrà fino all'Idumea?
12Non forse tu, Dio, che ci hai respinti
e più non esci, Dio, con i nostri eserciti?
13Contro il nemico portaci soccorso,
poiché vana è la salvezza dell'uomo.
14Con Dio noi faremo cose grandi
ed egli annienterà chi ci opprime.


Salmi 86

1'Supplica. Di Davide.'

Signore, tendi l'orecchio, rispondimi,
perché io sono povero e infelice.
2Custodiscimi perché sono fedele;
tu, Dio mio, salva il tuo servo, che in te spera.

3Pietà di me, Signore,
a te grido tutto il giorno.
4Rallegra la vita del tuo servo,
perché a te, Signore, innalzo l'anima mia.
5Tu sei buono, Signore, e perdoni,
sei pieno di misericordia con chi ti invoca.

6Porgi l'orecchio, Signore, alla mia preghiera
e sii attento alla voce della mia supplica.
7Nel giorno dell'angoscia alzo a te il mio grido
e tu mi esaudirai.

8Fra gli dèi nessuno è come te, Signore,
e non c'è nulla che uguagli le tue opere.
9Tutti i popoli che hai creato verranno
e si prostreranno davanti a te, o Signore,
per dare gloria al tuo nome;
10grande tu sei e compi meraviglie:
tu solo sei Dio.

11Mostrami, Signore, la tua via,
perché nella tua verità io cammini;
donami un cuore semplice
che tema il tuo nome.
12Ti loderò, Signore, Dio mio, con tutto il cuore
e darò gloria al tuo nome sempre,
13perché grande con me è la tua misericordia:
dal profondo degli inferi mi hai strappato.

14Mio Dio, mi assalgono gli arroganti,
una schiera di violenti attenta alla mia vita,
non pongono te davanti ai loro occhi.
15Ma tu, Signore, Dio di pietà, compassionevole,
lento all'ira e pieno di amore, Dio fedele,
16volgiti a me e abbi misericordia:
dona al tuo servo la tua forza,
salva il figlio della tua ancella.

17Dammi un segno di benevolenza;
vedano e siano confusi i miei nemici,
perché tu, Signore, mi hai soccorso e consolato.


Amos 5

1Ascoltate queste parole,
questo lamento che io pronunzio su di voi,
o casa di Israele!
2È caduta, non si alzerà più,
la vergine d'Israele;
è stesa al suolo,
nessuno la fa rialzare.
3Poiché così dice il Signore Dio:
La città che usciva con mille uomini
resterà con cento
e la città di cento
resterà con dieci, nella casa d'Israele.

4Poiché così dice il Signore alla casa d'Israele:
Cercate me e vivrete!
5Non rivolgetevi a Betel,
non andate a Gàlgala,
non passate a Bersabea,
perché Gàlgala andrà tutta in esilio
e Betel sarà ridotta al nulla.
6Cercate il Signore e vivrete,
perché egli non irrompa come fuoco
sulla casa di Giuseppe e la consumi
e nessuno spenga Betel!
7Essi trasformano il diritto in veleno
e gettano a terra la giustizia.

8Colui che ha fatto le Pleiadi e Orione,
cambia il buio in chiarore del mattino
e stende sul giorno l'oscurità della notte;
colui che comanda alle acque del mare
e le spande sulla terra,
Signore è il suo nome.
9Egli fa cadere la rovina sulle fortezze
e fa giungere la devastazione sulle cittadelle.

10Essi odiano chi ammonisce alla porta
e hanno in abominio chi parla secondo verità.
11Poiché voi schiacciate l'indigente
e gli estorcete una parte del grano,
voi che avete costruito case in pietra squadrata,
non le abiterete;
vigne deliziose avete piantato,
ma non ne berrete il vino,
12perché so che numerosi sono i vostri misfatti,
enormi i vostri peccati.
Essi sono oppressori del giusto, incettatori di ricompense
e respingono i poveri nel tribunale.
13Perciò il prudente in questo tempo tacerà,
perché sarà un tempo di sventura.

14Cercate il bene e non il male,
se volete vivere,
e così il Signore, Dio degli eserciti,
sia con voi, come voi dite.
15Odiate il male e amate il bene
e ristabilite nei tribunali il diritto;
forse il Signore, Dio degli eserciti,
avrà pietà del resto di Giuseppe.

16Perciò così dice il Signore,
Dio degli eserciti, il Signore:
In tutte le piazze vi sarà lamento,
in tutte le strade si dirà: Ah! ah!
Si chiamerà l'agricoltore a fare il lutto
e a fare il lamento quelli che conoscono la nenia.
17In tutte le vigne vi sarà lamento,
perché io passerò in mezzo a te,
dice il Signore.

18Guai a coloro che attendono il giorno del Signore!
Che sarà per voi il giorno del Signore?
Sarà tenebre e non luce.
19Come quando uno fugge davanti al leone
e s'imbatte in un orso;
entra in casa, appoggia la mano sul muro
e un serpente lo morde.
20Non sarà forse tenebra e non luce
il giorno del Signore,
e oscurità senza splendore alcuno?
21Io detesto, respingo le vostre feste
e non gradisco le vostre riunioni;
22anche se voi mi offrite olocausti,
io non gradisco i vostri doni
e le vittime grasse come pacificazione
io non le guardo.
23Lontano da me il frastuono dei tuoi canti:
il suono delle tue arpe non posso sentirlo!
24Piuttosto scorra come acqua il diritto
e la giustizia come un torrente perenne.
25Mi avete forse offerto vittime
e oblazioni nel deserto
per quarant'anni, o Israeliti?
26Voi avete innalzato Siccùt vostro re
e Chiiòn vostro idolo,
la stella dei vostri dèi che vi siete fatti.
27Ora, io vi manderò in esilio
al di là di Damasco, dice il Signore,
il cui nome è Dio degli eserciti.


Atti degli Apostoli 28

1Una volta in salvo, venimmo a sapere che l'isola si chiamava Malta.2Gli indigeni ci trattarono con rara umanità; ci accolsero tutti attorno a un gran fuoco, che avevano acceso perché era sopraggiunta la pioggia ed era freddo.3Mentre Paolo raccoglieva un fascio di sarmenti e lo gettava sul fuoco, una vipera, risvegliata dal calore, lo morse a una mano.4Al vedere la serpe pendergli dalla mano, gli indigeni dicevano tra loro: "Certamente costui è un assassino, se, anche scampato dal mare, la Giustizia non lo lascia vivere".5Ma egli scosse la serpe nel fuoco e non ne patì alcun male.6Quella gente si aspettava di vederlo gonfiare e cadere morto sul colpo, ma, dopo avere molto atteso senza vedere succedergli nulla di straordinario, cambiò parere e diceva che era un dio.
7Nelle vicinanze di quel luogo c'era un terreno appartenente al "primo" dell'isola, chiamato Publio; questi ci accolse e ci ospitò con benevolenza per tre giorni.8Avvenne che il padre di Publio dovette mettersi a letto colpito da febbri e da dissenteria; Paolo l'andò a visitare e dopo aver pregato gli impose le mani e lo guarì.9Dopo questo fatto, anche gli altri isolani che avevano malattie accorrevano e venivano sanati;10ci colmarono di onori e al momento della partenza ci rifornirono di tutto il necessario.

11Dopo tre mesi salpammo su una nave di Alessandria che aveva svernato nell'isola, recante l'insegna dei Diòscuri.12Approdammo a Siracusa, dove rimanemmo tre giorni13e di qui, costeggiando, giungemmo a Reggio. Il giorno seguente si levò lo scirocco e così l'indomani arrivammo a Pozzuoli.14Qui trovammo alcuni fratelli, i quali ci invitarono a restare con loro una settimana. Partimmo quindi alla volta di Roma.15I fratelli di là, avendo avuto notizie di noi, ci vennero incontro fino al Foro di Appio e alle Tre Taverne. Paolo, al vederli, rese grazie a Dio e prese coraggio.
16Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per suo conto con un soldato di guardia.

17Dopo tre giorni, egli convocò a sé i più in vista tra i Giudei e venuti che furono, disse loro: "Fratelli, senza aver fatto nulla contro il mio popolo e contro le usanze dei padri, sono stato arrestato a Gerusalemme e consegnato in mano dei Romani.18Questi, dopo avermi interrogato, volevano rilasciarmi, non avendo trovato in me alcuna colpa degna di morte.19Ma continuando i Giudei ad opporsi, sono stato costretto ad appellarmi a Cesare, senza intendere con questo muovere accuse contro il mio popolo.20Ecco perché vi ho chiamati, per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d'Israele che io sono legato da questa catena".21Essi gli risposero: "Noi non abbiamo ricevuto nessuna lettera sul tuo conto dalla Giudea né alcuno dei fratelli è venuto a riferire o a parlar male di te.22Ci sembra bene tuttavia ascoltare da te quello che pensi; di questa setta infatti sappiamo che trova dovunque opposizione".

23E fissatogli un giorno, vennero in molti da lui nel suo alloggio; egli dal mattino alla sera espose loro accuratamente, rendendo la sua testimonianza, il regno di Dio, cercando di convincerli riguardo a Gesù, in base alla Legge di Mosè e ai Profeti.24Alcuni aderirono alle cose da lui dette, ma altri non vollero credere25e se ne andavano discordi tra loro, mentre Paolo diceva questa sola frase: "Ha detto bene lo Spirito Santo, per bocca del profeta Isaia, ai nostri padri:

26'Va' da questo popolo e di' loro:
Udrete con i vostri orecchi, ma non comprenderete;
guarderete con i vostri occhi, ma non vedrete.'
27'Perché il cuore di questo popolo si è indurito:
e hanno ascoltato di mala voglia con gli orecchi;
hanno chiuso i loro occhi
per non vedere con gli occhi
non ascoltare con gli orecchi,
non comprendere nel loro cuore e non convertirsi,
perché io li risani.'

28Sia dunque noto a voi che questa salvezza di Dio viene ora rivolta ai pagani ed essi l'ascolteranno!".29.

30Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso a pigione e accoglieva tutti quelli che venivano a lui,31annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento.


Capitolo XXIII: La meditazione della morte

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 1. Ben presto la morte sarà qui, presso di te. Considera, del resto, la tua condizione: l'uomo oggi c'è e domani è scomparso; e quando è sottratto alla vista, rapidamente esce anche dalla memoria. Quanto grandi sono la stoltezza e la durezza di cuore dell'uomo: egli pensa soltanto alle cose di oggi e non piuttosto alle cose future. In ogni azione, in ogni pensiero, dovresti comportarti come se tu dovessi morire oggi stesso; ché, se avrai retta la coscienza, non avrai molta paura di morire. Sarebbe meglio star lontano dal peccato che sfuggire alla morte. Se oggi non sei preparato a morire, come lo sarai domani? Il domani è una cosa non sicura: che ne sai tu se avrai un domani? A che giova vivere a lungo, se correggiamo così poco noi stessi? Purtroppo, non sempre una vita lunga corregge i difetti; anzi spesso accresce maggiormente le colpe. Magari potessimo passare santamente anche una sola giornata in questo mondo. Molti fanno il conto degli anni trascorsi dalla loro conversione a Dio; ma scarso è sovente il frutto della loro emendazione. Certamente morire è cosa che mette paura; ma forse è più pericoloso vivere a lungo. Beato colui che ha sempre dinanzi agli occhi l'ora della sua morte ed è pronto ogni giorno a morire. Se qualche volta hai visto uno morire, pensa che anche tu dovrai passare per la stessa strada. La mattina, fa conto di non arrivare alla sera; e quando poi si farà sera non osare sperare nel domani. Sii dunque sempre pronto; e vivi in tal modo che, in qualunque momento, la morte non ti trovi impreparato.  

2. Sono molti coloro che muoiono in un istante, all'improvviso; giacché "il Figlio dell'uomo verrà nell'ora in cui non si pensa che possa venire" (Mt 24,44; Lc 12,40). Quando sarà giunto quel momento estremo, comincerai a giudicare ben diversamente tutta la tua vita passata, e molto ti dorrai di esser stato tanto negligente e tanto fiacco. Quanto é saggio e prudente l'uomo che, durante la vita, si sforza di essere quale desidera esser trovato al momento della morte! Ora, una piena fiducia di morire santamente la daranno il completo disprezzo del mondo, l'ardente desiderio di progredire nelle virtù, l'amore del sacrificio, il fervore nella penitenza, la rinuncia a se stesso e il saper sopportare ogni avversità per amore di Cristo. Mentre sei in buona salute, molto puoi lavorare nel bene; non so, invece, che cosa potrai fare quando sarai ammalato. Giacché sono pochi quelli che, per il fatto di essere malati, diventano più buoni; così come sono pochi quelli che, per il fatto di andare frequentemente in pellegrinaggio, diventano più santi. Non credere di poter rimandare a un tempo futuro la tua salvezza, facendo affidamento sui suffragi degli amici e dei parenti; tutti costoro ti dimenticheranno più presto di quanto tu non creda. Perciò, più che sperare nell'aiuto di altri, è bene provvedere ora, fin che si è in tempo, mettendo avanti un po' di bene. Ché, se non ti prendi cura di te stesso ora, chi poi si prenderà cura di te? Questo è il tempo veramente prezioso; sono questi i giorni della salvezza; è questo il tempo che il Signore gradisce (2Cor 6,2). Purtroppo, invece, questo tempo tu non lo spendi utilmente in cose meritorie per la vita eterna. Verrà il momento nel quale chiederai almeno un giorno o un'ora per emendarti; e non so se l'otterrai. Ecco, dunque, mio caro, di quale pericolo ti potrai liberare, a quale pericolo ti potrai sottrarre, se sarai stato sempre nel timore di Dio, in vista della morte. Procura di vivere ora in modo tale che, nell'ora della morte, tu possa avere letizia, anziché paura; impara a morire al mondo, affinché tu cominci allora a vivere con Cristo; impara ora a disprezzare ogni cosa, affinché tu possa allora andare liberamente a Cristo; mortifica ora il tuo corpo con la penitenza, affinché tu passa allora essere pieno di fiducia.  

3. Stolto, perché vai pensando di vivere a lungo, mentre non sei sicuro di avere neppure una giornata? Quante persone sono state ingannate, inaspettatamente tolte a questa vita! Quante volte hai sentito dire che uno è morto di ferite e un altro è annegato; che uno, cadendo dall'alto, si è rotto la testa; che uno si è soffocato mentre mangiava e un altro è morto mentre stava giocando? Chi muore per fuoco, chi per spada; chi per una pestilenza, chi per un assalto dei predoni. Insomma, comunque destino è la morte; e passa rapidamente come un'ombra la vita umana. Chi si ricorderà di te, dopo che sarai scomparso, e chi pregherà per te? Fai, o mio caro, fai ora tutto quello che sei in grado di fare, perché non conosci il giorno della tua morte; né sai che cosa sarà di te dopo. Accumula, ora, ricchezze eterne, mentre sei in tempo. Non pensare a nient'altro che alla tua salvezza; preoccupati soltanto delle cose di Dio. Fatti ora degli amici, venerando i santi di Dio e imitando le loro azioni, "affinché ti ricevano nei luoghi eterni, quando avrai lasciato questa vita" (Lc 16,9). Mantienti, su questa terra, come uno che è di passaggio; come un ospite, che non ha a che fare con le faccende di questo mondo. Mantieni libero il tuo cuore, e rivolto al cielo, perché non hai stabile dimora quaggiù (Eb 13,14). Al cielo rivolgi continue preghiere e sospiri e lacrime, affinché, dopo la morte, la tua anima sia degna di passare felicemente al Signore. Amen.


LIBRO PRIMO

Le Nozze e la Concupiscenza - Sant'Agostino

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I pelagiani accusano Agostino di condannare il matrimonio e di attribuire e l'uomo al diavolo.
1. 1. I nuovi eretici, dilettissimo figlio Valerio, che sostengono che non sia necessaria ai bambini, nati secondo la carne, la medicina di Cristo, che li guarisce dai peccati, vanno gridando con animo sommamente malevolo che io condanno il matrimonio e l'opera divina, con la quale Dio crea gli uomini dall'unione dell'uomo e della donna. Questo perché affermo che coloro che nascono da una tale unione contraggono il peccato originale, a proposito del quale l'Apostolo dice: Per un solo uomo entrò il peccato nel mondo e per il peccato la morte e così si trasmise a tutti gli uomini, nel quale tutti hanno peccato 1 e perché affermo che essi, quali che siano i loro genitori, sono sempre sotto il potere del diavolo se non rinascono in Cristo e, strappati dal potere delle tenebre per la grazia di Cristo, non sono trasferiti nel regno di colui 2, che non volle nascere dall'unione dei due sessi. A causa di queste affermazioni, dunque, contenute nell'antichissima e saldissima regola della fede cattolica, questi assertori di una nuova e perversa dottrina, secondo i quali nei bambini non c'è alcun peccato che debba essere lavato con il lavacro della rigenerazione, mi vanno calunniando, non so se per slealtà o per ignoranza, come se condannassi il matrimonio e come se dicessi che l'opera di Dio, cioè l'uomo che da esso nasce, sia opera del diavolo. Non avvertono che non si può accusare la bontà del matrimonio per il male originale che da esso si contrae, allo stesso modo che non si può scusare la malizia dell'adulterio e della fornicazione per il bene naturale che ne deriva. In effetti, come il peccato è opera del diavolo, sia che i bambini lo contraggano da un'unione legittima che da una illegittima, così l'uomo è opera di Dio sia che nasca dall'una che dall'altra unione. Ecco dunque lo scopo di questo libro: distinguere, per quanto Dio si degnerà di aiutarmi, dalla bontà del matrimonio il male della concupiscenza carnale, a causa della quale l'uomo, che per essa nasce, contrae il peccato originale. Questa vergognosa concupiscenza, che dagli spudorati viene spudoratamente lodata, non esisterebbe neppure se l'uomo non avesse peccato; il matrimonio, invece, esisterebbe lo stesso, anche se nessuno avesse peccato, giacché la generazione dei figli nel corpo di quella vita avverrebbe senza questo morbo, senza del quale ora, nel corpo di questa morte, non può avvenire 3.

Dedica dei libro al conte Valerio.
2. 2. Accennerò ora brevemente alle tre principali ragioni che mi hanno spinto a scrivere proprio a te su questo argomento. La prima è che tu vivi, con l'aiuto di Cristo, nell'osservanza scrupolosa della castità coniugale; la seconda è che a queste scellerate novità, alle quali io mi oppongo in questo scritto con la discussione, tu ti sei opposto efficacemente facendo uso diligente e tenace della tua autorità; la terza è l'informazione ricevuta che è giunto nelle tue mani un certo loro scritto e, sebbene nella tua solidissima fede te ne sia preso gioco, è bene nondimeno che sappiamo anche sostenere le nostre convinzioni difendendole. Anche l'apostolo Pietro, infatti, ci ordina di essere pronti a dare soddisfazione a chiunque ci domandi ragione della nostra fede e della nostra speranza 4. L'apostolo Paolo aggiunge: Il vostro discorso sia sempre condito di sale per la grazia, di modo che sappiate come dovete rispondere a ciascuno 5. Questi sono i principali motivi che mi hanno spinto a fare un discorso con te in questo volume, secondo l'aiuto che il Signore vorrà concedermi. A me non è mai piaciuto costringere nessun personaggio illustre a leggere qualche mio opuscolo senza una sua esplicita richiesta, perché lo ritengo più segno di sfrontatezza che di zelo. Tanto meno lo avrei fatto con te, che sei in una posizione tanto elevata e per di più non godi ancora di una tranquilla carica onorifica, ma sei tuttora oberato dall'attività pubblica e per giunta di ordine militare. Se ora, dunque, mi son deciso a tal passo, per le ragioni sopra ricordate, gentilmente perdonami e presta benevola attenzione alle pagine che seguono.

La castità coniugale è un dono di Dio.
3. 3. Che la castità coniugale sia anch'essa un dono di Dio è indicato da san Paolo, quando trattando di questo argomento dice: Desidero che tutti gli uomini siano come sono io; ma ciascuno ha da Dio il suo proprio dono, uno in un modo e l'altro in un altro 6. Ecco dunque, anche essa è detta un dono di Dio; sebbene inferiore a quella continenza, nella quale avrebbe desiderato che si trovassero tutti al pari di lui, nondimeno la considera un dono di Dio. Da qui si comprende come i precetti di praticare queste virtù non significhino altro se non che per riceverle e conservarle ci debba essere in noi anche la nostra volontà. Quando invece sono presentate come dono di Dio, ci viene indicato a chi dobbiamo chiederle, se ne siamo sprovvisti, e chi dobbiamo ringraziare, se le possediamo; veniamo pure a sapere che le nostre volontà, se non sono aiutate dal cielo, valgono ben poco nel desiderare, nel ricevere e nel conservare queste virtù.

La castità dei coniugi privi di fede.
3. 4. Che dire allora quando troviamo la castità coniugale anche in alcuni uomini infedeli? Dobbiamo forse pensare che essi pecchino per il cattivo uso che fanno del dono di Dio, non indirizzandolo al culto di Dio, dal quale lo hanno ricevuto? Oppure la castità degli infedeli non si deve nemmeno considerare dono di Dio, secondo il detto dell'Apostolo: Tutto ciò che non viene dalla fede è peccato 7? Ma chi osa dire che un dono di Dio è peccato? L'anima e il corpo, infatti, come ogni altro bene inerente per natura all'anima e al corpo, anche quando si trovano nei peccatori, sono doni di Dio, proprio perché ne è Dio l'autore e non essi. È delle loro azioni invece che l'Apostolo disse: Tutto ciò che non viene dalla fede è peccato. Quando, dunque, uomini privi di fede compiono atti che sembrano propri della castità coniugale sia per il desiderio di piacere agli uomini - a se stessi o ad altri -, sia per evitare le umane molestie connesse alle cose che viziosamente bramano, sia per servire i demoni, non reprimono il peccato, ma vincono un peccato con un altro peccato. Guardiamoci quindi dal chiamare casto in tutta verità colui che osserva la fedeltà coniugale senza l'intenzione di onorare il vero Dio.

La castità coniugale e la verginità sono vere virtù solo nei fedeli.
4. 5. Pertanto, l'unione dell'uomo e della donna fatta con l'intenzione di generare è il bene naturale del matrimonio. Ma di questo bene fa un cattivo uso colui che se ne serve come le bestie, con l'intenzione cioè rivolta al piacere libidinoso, anziché alla volontà di procreare. Quantunque, perfino alcuni animali privi di ragione, come la maggior parte degli uccelli, osservano una specie di patto coniugale: associano la loro solerzia nel fare il nido, si avvicendano in tempi diversi nella cova delle uova e si alternano nel procurare il cibo ai piccoli. Questo comportamento sembra mostrare che, quando essi si accoppiano, più che al soddisfacimento della loro libidine adempiono il dovere di perpetuare la specie. Di questi due modi di agire, uno si ritrova nell'animale a somiglianza dell'uomo, l'altro si ritrova nell'uomo a somiglianza dell'animale. Quanto al fatto, poi, di considerare proprio della natura del matrimonio che l'uomo e la donna si uniscano in una società per procreare e non si defraudino a vicenda, alla maniera di qualsiasi società che non ammette naturalmente un socio fraudolento, quando gli infedeli sono in possesso di un bene così evidente, dal momento che lo usano senza fede, lo cambiano in male e in peccato. In quel modo, dunque, anche quella concupiscenza carnale, per la quale la carne desidera contro lo spirito 8, è rivolta a un uso giusto dal matrimonio dei fedeli. Essi, infatti, hanno intenzione di generare figli destinati alla rigenerazione, affinché quelli che da essi nascono come figli del secolo rinascano come figli di Dio. Perciò, coloro che generano figli senza questa intenzione, senza questa volontà e senza questo proposito di farli passare dalle membra del primo uomo alle membra di Cristo, ma da genitori infedeli per gloriarsi di una prole infedele, anche se osservano la legge con tanto scrupolo da unirsi, secondo le Tavole matrimoniali, unicamente per generare figli, non c'è in loro la vera castità coniugale. Se la castità, infatti, è una virtù alla quale si oppone il vizio dell'impudicizia e se tutte le virtù, anche quelle che vengono praticate per mezzo del corpo, risiedono nell'anima, come si può davvero affermare che il corpo è casto, quando proprio l'anima si prostituisce lontano dal vero Dio? Questa prostituzione è denunciata dal salmo, che dice: Ecco infatti, coloro che si allontanano da te periranno; hai mandato in rovina chiunque si prostituisce lontano da te 9. Non si deve, quindi, ritenere vera castità coniugale, vedovile o verginale che sia, se non quella che è a servizio della vera fede. Se si antepone con retto giudizio la verginità consacrata al matrimonio, quale cristiano assennato non anteporrà le donne cristiane cattoliche, anche rimaritate, non dico alle vestali, ma perfino alle vergini eretiche? Tanto grande è il valore della fede, di cui l'Apostolo dice: Tutto ciò che non viene dalla fede è peccato 10 e di cui ancora nella lettera agli Ebrei è scritto: Senza la fede non si può piacere a Dio 11.

La concupiscenza non viene dal matrimonio ma dal peccato.
5. 6. Stando così le cose, sono senz'altro nell'errore coloro che all'udire biasimare la libidine carnale pensano che sia condannato lo stesso matrimonio, come se questo male fosse conseguenza del matrimonio e non del peccato. Forse che quei primi sposi, dei quali Dio benedisse il matrimonio dicendo: Crescete e moltiplicatevi 12, non erano nudi e non si vergognavano 13? Per quale motivo, dunque, dopo il peccato nacque una confusione da quelle membra, se non perché da esse ebbe origine un movimento sconveniente, che il matrimonio certamente non avrebbe provato se gli uomini non avessero peccato? O per caso, come pensano alcuni che prestano scarsa attenzione a quello che leggono, gli uomini da principio furono creati ciechi come i cani e, cosa ancora più assurda, acquistarono la vista non crescendo, come avviene ai cani, ma peccando? Lungi da noi una simile idea! Ma ciò che li spinge a una tale credenza è il seguente passo della Scrittura: Prendendo il suo frutto lo mangiò e lo diede a suo marito che era con lei e lo mangiarono; e si aprirono gli occhi ad entrambi e si accorsero di essere nudi 14. Da questo testo gente poco intelligente immagina che avessero inizialmente gli occhi chiusi, perché la divina Scrittura attesta che si aprirono in quella circostanza. Ma Agar, la serva di Sara, aveva forse gli occhi chiusi quando alle grida del figlio che aveva sete aprì gli occhi e vide il pozzo 15? E quei due discepoli, dopo la risurrezione del Signore, camminavano forse con lui ad occhi chiusi per il fatto che di loro il Vangelo dice che alla frazione del pane si aprirono i loro occhi e lo riconobbero 16? Ciò che è scritto dei primi uomini: Si aprirono gli occhi ad entrambi 17, dobbiamo quindi intenderlo nel senso che divennero attenti a considerare e a riconoscere la novità prodotta nel loro corpo, il quale corpo ovviamente era esposto nudo ai loro occhi tutti i giorni ed era ben conosciuto. In caso contrario, come avrebbe potuto Adamo ad occhi chiusi imporre il nome a tutti gli animali terrestri e a tutti i volatili che gli venivano presentati 18? Non avrebbe potuto compiere questa operazione senza distinguerli e non avrebbe potuto distinguerli senza vederli. E poi, come gli poteva essere mostrata la stessa donna, quando disse: Questa finalmente è osso delle mie ossa e carne della mia carne 19? Infine, nel caso che uno fosse tanto ostinato da dire che avrebbe potuto fare ciò non servendosi della vista ma del tatto, cosa dirà di quello che si legge nello stesso testo, che cioè la donna vide quanto fosse bello a vedersi quell'albero 20, il cui frutto era sul punto di mangiare contro l'ordine ricevuto? Erano, dunque, nudi e non si vergognavano 21, non già perché non ci vedessero, ma perché non avvertivano alcun motivo di vergogna nelle membra che vedevano. La Scrittura non dice: erano ambedue nudi e non lo sapevano, bensì: e non si vergognavano. Non c'era stato niente, in effetti, che non fosse lecito, niente ne era seguito, di cui si dovessero vergognare.

Conseguenza della pena della disubbidienza a Dio per la ribellione del corpo alla mente.
6. 7. Quando l'uomo trasgredì la legge di Dio fu allora che incominciò ad avere per la prima volta nelle sue membra un'altra legge contraria al suo spirito 22 e, quando provò la disubbidienza della sua carne, che gli era stata retribuita con pieno merito, sperimentò il male della sua disubbidienza. D'altronde, una siffatta apertura degli occhi l'aveva promessa, per sedurre, anche il serpente, tale cioè da far conoscere qualcosa che sarebbe stato meglio ignorare. Allora davvero l'uomo sentì in se stesso quello che aveva fatto; allora distinse il male dal bene, non già perché ne fosse esente, ma perché ne soffriva. Non sarebbe stato giusto che colui che aveva disubbidito al proprio Signore fosse ubbidito dal proprio servo, cioè dal corpo. Come spiegare, infatti, che allorquando abbiamo un corpo libero da impedimenti e in salute, è in nostro potere muovere gli occhi, le labbra, la lingua, le mani, i piedi, piegare il dorso, il corpo e i fianchi secondo le funzioni di ciascun membro, mentre quando si tratta della procreazione dei figli, le membra create a questo scopo non ubbidiscono al comando della volontà? Si deve invece attendere che la libidine, come se fosse indipendente, le ecciti: cosa che talvolta non fa, benché l'animo lo desideri, mentre tal'altra fa nonostante l'opposizione dell'animo. Non dovrebbe di questo arrossire la libertà dell'arbitrio umano, per aver perduto il dominio anche sulle proprie membra a causa del disprezzo del comando di Dio? E dove si potrebbe manifestare con maggior convenienza che la natura umana è degenerata a motivo della disubbidienza, se non nella disubbidienza di quegli organi per mezzo dei quali la natura sussiste perpetuandosi? È questo il motivo per cui queste parti del corpo vengono chiamate con proprietà natura. Quando, dunque, quei primi uomini avvertirono nella propria carne questo movimento sconveniente, proprio perché ribelle, e si vergognarono della propria nudità, essi coprirono quei medesimi organi con foglie di fico, affinché ciò che si muoveva senza l'arbitrio della loro volontà fosse almeno celato dall'arbitrio del loro pudore e, poiché si vergognavano di un piacere sconveniente, avvenisse nell'ombra ciò che era conveniente.

La libidine non è un bene costitutivo del matrimonio ma è un male aggiunto.
7. 8. Poiché, dunque, neppure con l'aggiunta di questo male poté venir meno la bontà del matrimonio, gente sconsiderata pensa che esso non sia un male, ma faccia parte essenziale di quel bene. Se ne distingue invece, non solo con sottili ragionamenti, ma con il comunissimo giudizio naturale, come apparve in quei primi uomini e come oggi sono convinte le persone coniugate. Ciò che fecero, infatti, in seguito per la procreazione, questo è il bene del matrimonio; ciò che, invece, coprirono prima per vergogna, questo è il male della concupiscenza, che evita dappertutto gli sguardi e cerca per pudore un luogo appartato. Il matrimonio pertanto si può vantare di ricavare un bene anche da quel male, ma arrossisce che non si possa fare senza di esso. Poniamo il caso che uno con un piede in cattivo stato raggiunga qualcosa di buono, zoppicando: non già perché la zoppia è un difetto, è male raggiungere quel bene né per il fatto di aver raggiunto quel bene, la zoppia cessa di essere un difetto. Allo stesso modo non dobbiamo condannare il matrimonio perché la libidine è cattiva né lodare la libidine perché il matrimonio è buono.

Usa rettamente la concupiscenza chi mira alla procreazione e alla rigenerazione in Cristo dei figli.
8. 9. È proprio questo il morbo del quale l'Apostolo, parlando anche ai fedeli coniugati, diceva: Questa infatti è la volontà di Dio: che vi santifichiate, che vi asteniate dalla fornicazione, che ciascuno di voi sappia possedere il proprio vaso in santità e onore, non nel morbo del desiderio, come i pagani che non conoscono Dio 23. Non solo quindi il coniuge fedele non deve usare del vaso altrui, come fanno quelli che desiderano la donna d'altri, ma sappia che non si deve possedere neanche il proprio vaso nel morbo della concupiscenza carnale. Ciò non vuol dire che l'Apostolo abbia proibito l'unione coniugale, che è lecita e onesta, ma significa che questa unione, alla quale non si sarebbe aggiunta alcuna traccia di morbosa libidine, se per un precedente peccato non fosse perito in essa l'arbitrio della libertà, al presente è accompagnata da questo male, che non deve essere fatto oggetto della volontà, ma subito come una necessità, senza la quale tuttavia nella procreazione dei figli non si può giungere al frutto desiderato dalla stessa volontà. Questa volontà, poi, nel matrimonio cristiano non è determinata dal fine di dar vita a figli destinati a passare su questa terra, ma da quello di dar vita a figli che rinascano in Cristo per l'eternità. Se lo scopo sarà raggiunto, otterranno dal matrimonio la ricompensa di una perfetta felicità; se non sarà raggiunto, gli sposi godranno la pace della buona volontà. Chi possiede il proprio vaso, cioè la propria moglie, con questa intenzione del cuore, senza dubbio non la possiede nel morbo del desiderio, come i pagani che non conoscono Dio, bensì in santità e onore, come fedeli che sperano in Dio. In effetti, di quel male della concupiscenza l'uomo si serve senza esserne sopraffatto, quando la frena e la reprime nel momento in cui arde con movimenti disordinati e indecenti e le allenta un poco le briglie per farne uso soltanto in vista della procreazione, per generare secondo la carne coloro che dovranno essere rigenerati secondo lo spirito, non per sottomettere lo spirito alla vergognosa schiavitù della carne. Nessun cristiano può dubitare che i santi patriarchi, vissuti dopo e prima di Abramo, e ai quali Dio rende testimonianza che gli sono stati graditi, abbiano usato in questo modo delle loro spose. Se ad alcuni di essi fu concesso di avere ciascuno più mogli, il motivo fu di accrescere il numero dei figli e non la preoccupazione di variare il piacere.

La poligamia dei patriarchi fu concessa in vista della moltiplicazione dei figli, non del piacere.
9. 10. Se infatti il Dio dei nostri padri, che è anche il nostro Dio, avesse approvato quella pluralità di mogli perché più copiose fossero le eccitazioni della libidine, anche le sante donne avrebbero potuto ugualmente servire ciascuna a più mariti. Ma se qualcuna l'avesse fatto, cosa se non la turpe concupiscenza l'avrebbe spinta ad avere più mariti, dal momento che da questa licenza non avrebbe ottenuto più figli? Nondimeno, che al bene del matrimonio convenga di più l'unione di un solo uomo con una donna sola che l'unione di un uomo con molte donne, è chiaramente indicato dalla stessa prima unione coniugale voluta da Dio, affinché i matrimoni da lì ricevessero inizio dove si riscontra l'esempio di maggior onestà. Con il progredire dell'umanità, però, alcuni uomini si unirono singolarmente con più donne, senza scapito dell'onestà di nessuno. Da dove appare come la monogamia rispondesse di più alla misura richiesta dalla dignità, mentre la poligamia fu concessa dall'esigenza della fecondità. Anche il primato, d'altronde, se viene esercitato da uno solo su molti, è più conforme alla natura che se venisse esercitato da molti su uno. Né possiamo mettere in dubbio che nell'ordine naturale gli uomini godano di una supremazia sulle donne piuttosto che le donne sugli uomini. In ossequio a questo principio l'Apostolo disse: L'uomo è il capo della donna 24 e ancora: Donne, siate sottomesse ai vostri mariti 25. Anche l'apostolo Pietro scrive: Come Sara ubbidiva ad Abramo, chiamandolo signore 26. Sebbene dunque le cose stiano in modo che la natura preferisca l'unicità nel comando, mentre più facilmente vediamo la pluralità nei sudditi, tuttavia non sarebbe mai lecita l'unione di più donne con un solo uomo, se da essa non dovessero nascere più figli. Per cui, se una donna si unisse con più uomini, poiché da una tale unione non risulterebbe un maggior numero di figli, ma solo piaceri più frequenti, essa non potrebbe più essere una moglie, bensì una meretrice.

L'indissolubilità del matrimonio e divorzio.
10. 11. In verità, agli sposi cristiani non viene raccomandata soltanto la fecondità, il cui frutto sono i figli, né solo la pudicizia, il cui vincolo è la fedeltà, ma anche un certo sacramento del matrimonio, a motivo del quale l'Apostolo dice: Mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa 27. Non c'è dubbio che la realtà di questo sacramento è che l'uomo e la donna, uniti in matrimonio, perseverino nell'unione per tutta la vita e che non sia lecita la separazione di un coniuge dall'altro, eccetto il caso di fornicazione 28. Questo infatti si osserva tra Cristo e la Chiesa che vivendo l'uno unito all'altro non sono separati da alcun divorzio per tutta l'eternità. Tanto scrupolosa è l'osservanza di questo sacramento nella città del nostro Dio, sul suo monte santo 29, cioè nella Chiesa di Cristo, da parte di tutti gli sposi fedeli che senza dubbio sono membra di Cristo, che, sebbene la ragione per cui le donne prendono marito e gli uomini prendono moglie sia la procreazione dei figli, non è permesso abbandonare neppure la moglie sterile, per sposarne una feconda. Che se qualcuno lo facesse, non secondo la legge di questo secolo, dove servendosi del ripudio è permesso di contrarre senza crimine nuovi matrimoni con altre persone (cosa permessa agli Israeliti, secondo la testimonianza del Signore, anche dal santo Mosè a causa della durezza del loro cuore) 30, secondo la legge del Vangelo sarebbe responsabile di adulterio. Lo stesso vale per la donna se si maritasse con un altro. Tra persone viventi i diritti del matrimonio, una volta ratificati, sussistono a tal punto che coloro che si sono separati l'uno dall'altro rimangono più coniugi tra loro che nei confronti di quegli altri con cui si sono uniti. Se non rimanessero coniugi l'uno dell'altro, non sarebbero adulteri quando stanno con altri. Inoltre, solo alla morte dell'uomo, con il quale si era contratto un vero matrimonio, si potrà fare un vero matrimonio con colui al quale prima si era uniti in adulterio. Permane così tra loro, finché sono in vita, un certo legame coniugale, che non può essere rimosso né dalla separazione né dall'adulterio. Permane, però, in vista della punizione del crimine, non come un vincolo di un patto, come l'anima di un apostata che recede, per così dire, dall'unione sponsale con Cristo: anche quando ha perduto la fede, essa non perde il sacramento della fede, ricevuto con il lavacro della rigenerazione. Se l'avesse perduto nell'allontanarsi, senza dubbio le sarebbe restituito al ritorno. Ma chi si è allontanato lo possiede per accrescere la pena, non per meritare il premio.

Nel matrimonio di Maria e Giuseppe si realizzarono i tre beni del matrimonio.
11. 12. Quanto agli sposi che di comune accordo decidono di astenersi per sempre dall'uso della concupiscenza carnale non rompono in alcun modo il vincolo coniugale che li lega l'uno all'altro. Al contrario, tale vincolo sarà tanto più forte quanto più quell'accordo, che dev'essere osservato con più amorosa concordia, è stato da loro raggiunto non negli abbracci voluttuosi dei corpi, ma negli slanci volontari degli animi. Non sono fallaci, infatti, le parole rivolte dall'angelo a Giuseppe: Non temere di accogliere Maria tua sposa 31. È chiamata sposa per il primo impegno di fidanzamento, senza che Giuseppe l'avesse conosciuta o stesse per conoscerla nell'unione carnale. Non era venuto meno né era stato conservato fallacemente il titolo di sposa, nonostante che non ci fosse stata né ci sarebbe mai stata un'unione carnale. Il motivo per cui la Vergine era ancora più santamente e meravigliosamente cara a suo marito consiste nel fatto che anche senza l'intervento del marito essa divenne feconda, superiore a lui per il Figlio, pari nella fedeltà. A motivo di questo fedele matrimonio entrambi meritarono di essere chiamati i genitori di Cristo: non solo lei fu chiamata madre, ma anche lui, in quanto sposo di sua madre, fu chiamato suo padre; era sposo e padre nello spirito, non nella carne. Tuttavia, sia Giuseppe, padre soltanto in spirito, sia Maria, madre anche secondo la carne, furono entrambi i genitori della sua umiltà non della sua grandezza, della sua debolezza non della sua divinità. Non mentisce, infatti, il Vangelo, dove si legge: Suo padre e sua madre erano stupiti di quanto si diceva di lui 32 né in un altro passo: Tutti gli anni i suoi genitori si recavano a Gerusalemme 33 né poco dopo: Sua madre gli disse: Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco tuo padre ed io addolorati ti cercavamo 34. Ma Gesù per mostrare di avere oltre ad essi un altro Padre, che lo generò senza il concorso di nessuna madre, rispose: Perché mi cercavate? Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio? E di nuovo, perché non si credesse che con quelle parole li rinnegasse come genitori, l'evangelista continua dicendo: Ma essi non compresero la parola che aveva detto loro. E discese con loro e ritornò a Nazareth ed era loro sottomesso. A chi era sottomesso se non ai genitori? E chi era il sottomesso se non Gesù Cristo, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio 35? Perché dunque si sottomise ad essi che erano molto al di sotto della condizione divina, se non perché annichilò se stesso prendendo la condizione di servo, di cui essi erano i genitori? Ma, avendolo lei generato senza l'intervento di lui, certamente non sarebbero entrambi neppure genitori della condizione di servo, se non fossero coniugi l'uno dell'altro, anche senza l'unione della carne. Per questo motivo, quando vengono ricordati in ordine di successione gli antenati di Cristo, la serie delle generazioni doveva essere condotta preferibilmente fino a Giuseppe, come è stato fatto, perché in quel matrimonio non fosse fatto un torto al sesso virile, indubbiamente superiore, senza che venisse meno la verità, dal momento che sia Giuseppe che Maria erano della stirpe di David, dal quale, era stato predetto, doveva nascere il Cristo.

11. 13. Nei genitori di Cristo, quindi, sono stati realizzati tutti i beni propri del matrimonio: prole, fedeltà e sacramento. La prole, la riconosciamo nello stesso Signore Gesù; la fedeltà, nel fatto che non ci fu adulterio; il sacramento, perché non ci fu divorzio.

Il piacere non è un bene del matrimonio, ma disonestà per chi pecca, necessità per chi genera.
12. 13. Soltanto l'atto coniugale vi fu assente, perché nella carne di peccato non poteva essere compiuto senza quella concupiscenza della carne che viene dal peccato e senza la quale volle essere concepito Colui che doveva essere senza peccato, non nella carne di peccato, ma nella rassomiglianza della carne di peccato 36. Così ci insegnava pure che ogni carne che nasce dall'unione carnale è carne di peccato, dal momento che solo la carne che non nacque da essa non fu carne di peccato. Ciò nonostante, l'atto coniugale compiuto con l'intenzione di generare non è di per sé peccaminoso, perché la buona volontà dell'animo riesce a guidare il piacere corporale, che ne segue, senza farsi guidare da esso e senza che l'arbitrio dell'uomo venga soggiogato e trascinato dal peccato, quando la ferita del peccato è ricondotta, com'è giusto, all'uso della procreazione. Un certo prurito di questa ferita signoreggia nella turpitudine degli adulteri, delle fornicazioni e di ogni altro genere di libidine e di impudicizia, nei rapporti coniugali invece è costretto a servire. Là si condanna la turpitudine a causa di un tale padrone, qui l'onestà si vergogna di avere un tale compagno. Non è dunque un bene del matrimonio cotesta libidine, ma disonestà per quelli che peccano e necessità per quelli che generano, ardore della dissolutezza e pudore del matrimonio. Per quale motivo, dunque, non dovrebbero rimanere coniugi coloro che di mutuo accordo cessano di avere rapporti, se rimasero coniugi Giuseppe e Maria, i quali neppure incominciarono ad avere tali rapporti?

Dopo Cristo la propagazione dei figli non è più necessaria come nell'antico testamento.
13. 14. Questa propagazione dei figli, che per i santi patriarchi era un dovere gravissimo per generare e conservare il popolo di Dio, nel quale doveva precedere l'annuncio profetico del Cristo, oggi non conosce più una tale urgenza. Ormai ci si fa incontro da tutte le nazioni una moltitudine di figli che devono rinascere spiritualmente, qualunque sia la loro origine carnale. Anche ciò che è scritto: C'è un tempo per gli abbracci e un tempo per astenersene 37 lo riconosciamo suddiviso tra quell'antico tempo e il presente: quello fu il tempo degli abbracci, questo il tempo della astinenza dagli abbracci.

Il tempo è breve: chi è sposato viva come se non lo fosse.

13. 15. Perciò anche l'Apostolo dice a questo proposito: Questo vi dico, fratelli: il tempo è breve! D'ora innanzi anche quelli che hanno moglie vivano come se non l'avessero; quelli che piangono come se non piangessero e quelli che godono, come se non godessero; quelli che comprano, come se non comprassero e quelli che usano di questo mondo come se non l'usassero: perché passa la scena di questo mondo! Io vorrei che voi foste senza sollecitudini 38. Questo testo, per farne una breve esposizione, credo che deve essere inteso nel modo seguente. Questo vi dico, fratelli: il tempo è breve! significa che ormai il popolo di Dio non si deve più propagare con la generazione carnale, ma che deve essere raccolto con la rigenerazione spirituale. D'ora innanzi quindi, quelli che hanno moglie non si sottomettano al giogo della concupiscenza carnale e quelli che piangono per la tristezza del male presente si allietino con la speranza del bene futuro; quelli che godono per qualche bene temporale temano il giudizio eterno; quelli che comprano possiedano i loro averi senza che vi si attacchi il loro cuore, quelli che usano di questo mondo pensino che vi sono di passaggio e non per rimanervi, perché passa la scena di questo mondo! Io vorrei che voi foste senza sollecitudini, cioè vorrei che voi aveste il cuore in alto, nelle cose che non passano. Poi continua dicendo: Chi non è ammogliato ha cura delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi invece è ammogliato ha cura delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie 39. E così in qualche modo spiega quello che aveva detto prima: Quelli che hanno moglie vivano come se non l'avessero. In effetti, quelli che hanno moglie in modo che pensano alle cose del Signore, come possono piacere al Signore, e neppure nelle cose di questo mondo pensano di piacere alla moglie, costoro vivono come se non avessero moglie. A questa condizione si giungerà facilmente se anche le mogli saranno tali che ameranno i mariti non perché sono ricchi, occupano un posto elevato, sono di nobile casato e di bell'aspetto, ma perché sono fedeli, religiosi, casti e virtuosi.

Per evitare mali maggiori è tollerabile una certa intemperanza nel matrimonio.
14. 16. Tuttavia, nelle persone coniugate come dobbiamo auspicare e lodare questi comportamenti, così dobbiamo tollerarne altri, per evitare che si cada in deplorevoli turpitudini, quali la fornicazione e l'adulterio. Allo scopo di evitare questo male anche quegli atti coniugali, compiuti non in vista della procreazione, ma in obbedienza alla concupiscenza dominante e dei quali hanno l'ordine di non privarsi a vicenda, perché, a motivo della loro intemperanza, non siano tentati da satana, tali atti, pur non essendo imposti da un comando, sono concessi non di meno per indulgenza 40. Così infatti è scritto: Il marito compia il suo dovere verso la moglie, ugualmente la moglie verso il marito. La moglie non ha potestà sul proprio corpo, ma il marito; allo stesso modo il marito non ha potestà sul proprio corpo, ma la moglie. Non vi private l'uno dell'altro, se non di comune accordo per un certo tempo, per darvi alla preghiera e poi tornate a stare insieme, affinché satana non vi tenti a motivo della vostra intemperanza. Ma dico questo per indulgenza, non per comando 41. Dove si deve usare indulgenza, non si può certo negare che vi sia una colpa. Poiché, dunque, l'unione sessuale compiuta con l'intenzione di generare non è colpevole, ed è questo propriamente che dobbiamo ascrivere al matrimonio, cosa concede l'Apostolo per indulgenza se non che gli sposi, che non riescono a contenersi, chiedano l'uno all'altro il debito coniugale non per desiderio di prole, ma per il piacere sensuale? Questo piacere, tuttavia, non cade nella colpa a causa del matrimonio, ma a causa del matrimonio trova indulgenza. Di conseguenza, anche sotto questo aspetto il matrimonio è degno di lode, perché per suo merito viene scusato anche quello che non gli appartiene. A patto, però, che neppure questa unione, in cui si è schiavi della concupiscenza, venga compiuta in maniera da creare ostacoli al feto, che il matrimonio reclama.

Severa condanna delle pratiche anticoncezionali, dell'aborto e dell'esposizione dei figli.
15. 17. Tuttavia, una cosa è avere rapporti soltanto con l'intenzione di generare, che non comporta alcuna colpa; altra cosa è ricercare in tali rapporti, avuti sempre con il proprio coniuge naturalmente, il piacere della carne, che comporta una colpa veniale, perché anche se non ci si unisce in vista della propagazione della prole, neppure ci si oppone nel soddisfare la passione né con un malvagio desiderio né con una azione malvagia. Coloro, infatti, che così si comportano, anche se si chiamano sposi, in realtà non lo sono e non conservano niente del vero matrimonio: si fanno schermo dell'onestà di questo nome per coprire la loro turpitudine. Si tradiscono però, quando giungono al punto da esporre i propri figli, nati contro la loro volontà. Detestano di allevare e tenere presso di sé i figli che temevano di generare. Quando, dunque, la tenebrosa iniquità incrudelisce contro i propri figli, generati contro il proprio volere, viene portata alla luce da una chiara iniquità e la segreta turpitudine viene messa a nudo da una manifesta crudeltà. Talvolta, questa voluttuosa crudeltà o se vuoi questa crudele voluttà si spinge fino al punto di procurarsi sostanze contraccettive e, in caso di insuccesso, fino ad uccidere in qualche modo nell'utero i feti concepiti e ad espellerli, volendo che il proprio figlio perisca prima di vivere oppure, nel caso che già vivesse nell'utero, che egli sia ucciso prima di nascere. Non c'è dubbio: se sono tutti e due di tale pasta, essi non sono sposi; e se si comportarono così fin dal principio, non si unirono in matrimonio ma nella lussuria. Se poi non sono tutti e due a comportarsi così, io oserei dire che o lei è in un certo senso la prostituta del marito o lui è l'adultero della moglie.

La concupiscenza non regni ma sia costretta a servire.
16. 18. Poiché, dunque, il matrimonio non può essere oggi tale quale poteva essere quello dei primi uomini, qualora non ci fosse stato il peccato, sia almeno simile a quello dei santi patriarchi. Tale cioè che la concupiscenza carnale, inesistente nel paradiso prima del peccato e non permessa dopo il peccato, dal momento che la sua presenza è inevitabile in questo corpo di morte 42, non sia essa a dominare, ma piuttosto sia costretta a servire unicamente alla propagazione della prole. Oppure, poiché il tempo presente, che già abbiamo indicato come il tempo dell'astinenza dagli amplessi, non conosce l'urgenza di questo dovere, mentre da ogni parte, in tutte le nazioni, è pronta una così grande fecondità di figli che devono essere generati nello spirito, chi può comprendere, comprenda 43 piuttosto l'eccellenza di quel bene, costituito dalla continenza. Se poi uno non la può comprendere, se si sposa non pecca 44; anche la donna, se non riesce a contenersi, si mariti 45. Certo, è un bene per l'uomo non toccare donna 46. Ma poiché non tutti capiscono questa parola, ma solo quelli ai quali è stata concessa 47, non rimane che per evitare le fornicazioni ogni uomo abbia la sua donna e ogni donna il suo marito 48 e così la debolezza dell'incontinenza sia sostenuta dall'onestà del matrimonio, affinché non si cada rovinosamente nelle turpitudini. Quello infatti che l'Apostolo dice delle donne: Voglio che le giovani si maritino 49 si può applicare anche agli uomini: Voglio che i giovani si sposino, in modo da riferire il seguito ad ambedue i sessi: Che generino figli, che siano padri e madri di famiglia e che non offrano all'avversario alcuna occasione di critica.

La concupiscenza non dev'essere lodata nel matrimonio, perché è un male sopraggiunto a causa del peccato.
17. 19. Nel matrimonio tuttavia siano amati i beni propri del matrimonio: la prole, la fedeltà e il sacramento. La prole non solo perché nasca, ma anche perché rinasca; nasce infatti alla pena, se non rinasce alla vita. La fedeltà, poi, non come quella che hanno anche gli infedeli nella gelosia della carne: nessun marito, per quanto empio, vuole una moglie adultera e nessuna donna, per quanto infedele, vuole un marito adultero. Tale fedeltà nel matrimonio è certamente un bene naturale ma carnale. Chi è membro di Cristo deve temere l'adulterio del coniuge non per se stesso, ma per il coniuge e attendere da Cristo il premio della fedeltà, che egli serba al coniuge. Quanto al sacramento, infine, che non si perde né con la separazione né con l'adulterio, gli sposi lo custodiscano nella concordia e nella castità. È l'unico bene infatti che conserva anche il matrimonio sterile a motivo della pietà, quando si è perduta ormai ogni speranza di fecondità, fine per il quale era stato contratto. Questi sono i beni del matrimonio che devono essere lodati nel matrimonio da chi vuol farne l'elogio. La concupiscenza carnale, invece, non deve essere ascritta al matrimonio, ma vi deve essere tollerata. Non è un bene proveniente dalla natura del matrimonio, ma un male sopravvenutogli dall'antico peccato.

Anche dal matrimonio cristiano a causa della concupiscenza nascono figli che devono essere rigenerati.
18. 20. È a causa di questa concupiscenza che neppure dal matrimonio regolare e legittimo dei figli di Dio vengono generati figli di Dio, ma figli del secolo. Il motivo sta nel fatto che anche quelli che generano dopo che sono stati rigenerati non generano in quanto figli di Dio, bensì come figli del secolo. È del Signore infatti la dichiarazione: Sono i figli del secolo che generano e sono generati 50. Per il fatto dunque, che siamo ancora figli di questo secolo, il nostro uomo esteriore si corrompe 51; per questo motivo ancora sono generati figli di questo secolo e non divengono figli di Dio, se non sono rigenerati. Ma per il fatto che siamo figli di Dio, l'uomo interiore si rinnova di giorno in giorno 52, sebbene anche l'uomo esteriore sia santificato con il lavacro della rigenerazione e riceva la speranza della futura incorruttibilità, sì da essere meritatamente chiamato tempio di Dio. I vostri corpi, dice l'Apostolo, sono il tempio dello Spirito Santo che è in voi, che avete ricevuto da Dio. Voi non appartenete più a voi stessi, perché siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque [e portate] Dio nel vostro corpo 53. Tutto questo è stato detto non solo a motivo della presente santificazione, ma soprattutto per quella speranza, di cui lo stesso Apostolo in un altro passo dice: Noi pure che abbiamo le primizie dello Spirito, noi pure che gemiamo dentro di noi, aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo 54. Se quindi secondo l'Apostolo aspettiamo la redenzione del nostro corpo, evidentemente ciò che si aspetta ancora si spera, ancora non si possiede. Perciò aggiunge: Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ma la speranza che si vede non è più speranza; come si potrebbe sperare quello che si vede? Ma se speriamo quello che non vediamo, noi lo aspettiamo nella pazienza 55. Non è dunque per quello che aspettiamo di essere che i figli vengono procreati carnali, ma per quello che sopportiamo. Pertanto, quando un fedele sente dire dall'Apostolo: Amate le vostre mogli 56, si deve guardare dall'amare nella moglie quella concupiscenza che non deve amare neppure in se stesso, poiché da un altro apostolo si sente dire: Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui, perché tutto quello che è nel mondo è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e ambizione del secolo, che non viene dal Padre ma dal mondo. Il mondo passerà con la sua concupiscenza, ma chi fa la volontà di Dio dura in eterno, come anche Dio dura in eterno 57.

Non è facile a comprendersi né a spiegarsi la nascita di un figlio peccatore da genitori battezzati.
19. 21. Chi nasce dunque da questa concupiscenza della carne nasce certo per il mondo, non per Dio; nasce per Dio quando rinasce dall'acqua e dallo Spirito. Soltanto la rigenerazione rimette il reato di questa concupiscenza, che la generazione si trae dietro. Ciò che è stato generato sia dunque rigenerato, perché non è possibile rimettere altrimenti ciò che è stato contratto. Che una cosa rimessa nei genitori sia contratta dai figli è un fatto certamente straordinario, tuttavia è reale. Per disposizione della divina Provvidenza questi fatti invisibili, incredibili per coloro che non credono, e nondimeno reali, trovano un visibile esempio in certi alberi. Perché non dovremmo credere che a questo scopo è stato disposto che dall'olivo nasca l'oleastro? Non dovremmo credere che in una cosa, creata ad uso dell'uomo, il Creatore abbia potuto disporre e stabilire qualcosa che avesse valore di esempio per il genere umano? È un fatto straordinario che persone, liberate dal vincolo del peccato mediante la grazia, generino tuttavia dei figli irretiti dallo stesso vincolo, dal quale devono essere liberati allo stesso modo. Lo confesso, è straordinario. Ma come si poteva credere, se non lo avesse provato l'esperienza, che i germi degli oleastri siano latenti anche nei semi dell'olivo? Come dunque dal seme dell'oleastro e dal seme dell'olivo non nasce se non l'oleastro, sebbene ci sia grande differenza tra l'oleastro e l'olivo, così sia dalla carne del peccatore che dalla carne del giusto non nascono che figli peccatori, nonostante la grande differenza che passa tra il peccatore e il giusto. Nasce un peccatore, tale non ancora per una propria azione e nuovo quanto all'origine, ma vecchio quanto alla colpa: fatto uomo dal Creatore e reso prigioniero dall'ingannatore, egli ha bisogno del Redentore. Ma ci si domanda come un figlio possa ereditare la condizione di schiavo anche da genitori già riscattati. E poiché non è facilmente comprensibile alla ragione né spiegabile a parole, gli infedeli non lo credono; come se fosse facile trovare una soluzione razionale e una spiegazione verbale a quanto ho detto a proposito dell'oleastro e dell'olivo, che pur essendo di genere diverso danno origine a virgulti simili. Eppure questo fatto può essere constatato da chiunque voglia prendersi la briga di farne esperienza. Serviamoci dunque di un esempio che rende credibile anche quello che non si può vedere.

A causa del peccato originale i bambini non ancora battezzati sono prigionieri del diavolo.
20. 22. La fede cristiana invero, che i nuovi eretici hanno incominciato a combattere, non mette in dubbio che coloro, i quali vengono purificati nel lavacro della rigenerazione, siano riscattati dal potere del diavolo, mentre coloro, i quali non sono stati ancora riscattati con una tale rigenerazione, compresi i bambini nati da genitori riscattati, restino prigionieri sotto il potere diabolico fino a quando non vengono riscattati anch'essi dalla stessa grazia di Dio. Non abbiamo dubbi infatti che a tutte le età si estenda quel beneficio di Dio, di cui parla l'Apostolo: Egli ci ha strappati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore 58. Chi nega che i bambini al momento del battesimo vengono strappati da questo potere delle tenebre, di cui è principe il diavolo, cioè dal potere del diavolo e dei suoi angeli, viene messo a tacere dalla verità degli stessi sacramenti della Chiesa, che nessuna novità eretica può distruggere o mutare nella Chiesa di Cristo, perché il capo regge e aiuta l'intero suo corpo, piccoli e grandi. Realmente, dunque, e non falsamente viene esorcizzato il potere diabolico nei bambini, che vi rinunciano con il cuore e con la bocca di chi li porta, non potendolo fare personalmente, affinché liberati dal potere delle tenebre siano trasferiti nel regno del loro Signore. Cosa c'è dunque in essi che li tiene sotto il potere del diavolo, finché non ne vengono liberati per mezzo del sacramento del battesimo di Cristo? Cosa c'è se non il peccato? Nient'altro infatti ha trovato il diavolo che gli permettesse di sottomettere al suo potere la natura umana, che un Creatore buono aveva creato buona. Ma i bambini nella loro vita non hanno commesso nessun peccato personale; non rimane quindi che il peccato originale, a causa del quale sono prigionieri sotto il potere del diavolo, a meno che non vengono liberati dal lavacro della rigenerazione e dal sangue di Cristo e non passano nel regno del loro Redentore, dopo che è stato reso vano il potere di colui che li teneva asserviti e dopo che è stato loro dato il potere di diventare da figli di questo secolo figli di Dio.

Causa della trasmissione del peccato originale non sono i tre beni del matrimonio.
21. 23. Se a questo punto potessimo domandare in qualche modo a quei tre beni del matrimonio la causa per la quale da essi abbia potuto propagarsi il peccato nei bambini, l'atto della procreazione ci risponderebbe: Io nel paradiso avrei goduto maggiore felicità, se non fosse stato commesso il peccato. A me infatti fu rivolta la benedizione di Dio: Crescete e moltiplicatevi 59. In vista di quest'opera buona furono creati nei due differenti sessi organi diversi, che già esistevano prima del peccato, ma non erano vergognosi. La fedeltà nella castità risponderebbe: Se non ci fosse stato il peccato, cosa poteva esserci di più sicuro di me nel paradiso, dove non mi avrebbe istigato la mia passione né mi avrebbe tentato quella di un altro? Anche il sacramento del matrimonio risponderebbe: Di me prima del peccato così fu detto nel paradiso: L'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e saranno due in una sola carne 60, la qual cosa dall'Apostolo fu definita grande sacramento in Cristo e nella Chiesa 61. Ciò che dunque è grande in Cristo e nella Chiesa è assai piccolo nelle singole coppie di sposi, ma è pur sempre il sacramento di una unione inseparabile. Quale di questi beni del matrimonio è la causa della trasmissione nei posteri del vincolo del peccato? Sicuramente nessuno. Anzi con questi tre beni la bontà del matrimonio sarebbe stata perfettamente realizzata, perché grazie ad essi il matrimonio è un bene anche al presente.

La libidine e la vergogna sono conseguenze del peccato.
22. 24. Se invece interrogassimo la concupiscenza della carne, a causa della quale divennero vergognosi quegli organi che prima non lo erano, certamente essa dovrebbe rispondere di aver incominciato ad esistere nelle membra dell'uomo dopo il peccato e di essere chiamata, secondo l'espressione dell'Apostolo, legge del peccato 62, per il fatto di aver asservito a sé l'uomo, perché costui non volle assoggettarsi al proprio Dio. Direbbe ancora di essere proprio lei quella di cui arrossirono i primi sposi, quando coprirono le parti vergognose 63, e di cui arrossiscono ancora oggi tutti gli sposi, quando cercano luoghi appartati per compiere l'atto sessuale e non osano avere a testimoni di tale azione neppure i figli, che hanno così generato. A questo pudore naturale si oppose con singolare impudenza l'errore dei filosofi cinici. Essi sostenevano che il rapporto sessuale con la propria moglie, poiché è lecito e onesto, dev'essere compiuto in pubblico. È la ragione per cui questa sconcia impudenza ha preso giustamente il nome dai cani; per questo infatti sono stati chiamati cinici.

Nella generazione la concupiscenza trasmette il vincolo del peccato.
23. 25. È insomma questa concupiscenza, è questa legge del peccato, che abita nelle membra e alla quale vieta di ubbidire la legge della giustizia, secondo le parole dell'Apostolo: Non regni dunque il peccato nel vostro corpo mortale, per farvi ubbidire ai suoi desideri e non prestate le vostre membra al peccato come strumenti di iniquità 64; è questa concupiscenza, ripeto, che si espia unicamente con il sacramento della rigenerazione, a trasmettere, senza dubbio per generazione, il vincolo del peccato ai posteri, a meno che anch'essi non ne vengano liberati con la rigenerazione. Nei battezzati, invero, la concupiscenza non è di per sé peccato, quando non si consente ad essa per compiere azioni illecite e lo spirito, rimanendo sovrano, non le presta le membra per eseguirle, di modo che se non si adempie il precetto: Non desiderare 65, si adempia almeno quello che leggiamo altrove: Non andare dietro le tue concupiscenze 66. Ma poiché, secondo un certo modo di parlare, è chiamata peccato, perché è frutto del peccato e, nel caso che prevalga, è causa di peccato, il suo reato sussiste in chi è generato: reato che la grazia di Cristo, attraverso la remissione di tutti i peccati, non lascia sussistere in colui che è stato rigenerato, se costui non le ubbidisce quando comanda in qualche modo azioni cattive. Si chiama peccato, perché è stata prodotta dal peccato, benché nei rigenerati non sia più di per sé un peccato, allo stesso modo che si chiama lingua il linguaggio, che è un prodotto della lingua, e si chiama mano la scrittura, che è una realizzazione della mano. Si chiama ancora peccato, perché se è vittoriosa commette il peccato, allo stesso modo che si dice pigro il freddo non perché sia prodotto dai pigri, ma perché rende pigri.

La ferita inflitta dal diavolo rese l'uomo immondo e a lui soggetto.
23. 26. Questa ferita, inflitta dal diavolo al genere umano, sottomette alla schiavitù del diavolo chiunque nasce per suo tramite, come se cogliesse con pieno diritto un frutto dal proprio albero, non già perché venga da lui la natura umana, che ha origine solo da Dio, ma perché viene da lui il vizio, che non ha origine da Dio. La natura umana, infatti, non è condannata per se stessa - essa è degna di lode, perché è opera di Dio - ma a causa del condannabile vizio che l'ha viziata. E la causa della sua condanna è anche la causa della sua sottomissione al condannato diavolo, perché anch'egli è uno spirito impuro, certamente buono in quanto spirito, ma cattivo in quanto impuro, giacché è spirito per natura e impuro per vizio: due cose, di cui una viene da Dio e l'altra da lui stesso. Per conseguenza, domina gli uomini, adulti o bambini, non a motivo della loro umanità, bensì della loro impurità. Chi dunque si stupisce del fatto che una creatura di Dio viene sottomessa al diavolo, non si stupisca più: una creatura di Dio è sottomessa a un'altra creatura di Dio, quella più piccola a quella più grande, cioè l'uomo all'angelo, ma non a causa della natura, bensì a causa del vizio, perché un impuro è sottomesso a un altro impuro. Questo è il frutto che egli raccoglie dall'antico ceppo d'impurità, da lui piantato nell'uomo. Certo, all'ultimo giudizio, egli dovrà subire pene più gravi, in proporzione della sua maggiore impurità. Tuttavia anche quelli che saranno condannati a pene più tollerabili, sono soggetti a lui come al principe e al fautore del peccato, perché non ci sarà altra causa di condanna, se non il peccato.

Dalla concupiscenza effetto e causa del peccato, tutti contraggono il peccato originale.
24. 27. Per la qual cosa, i bambini sono tenuti come rei dal diavolo, non in quanto nati dal bene, che costituisce la bontà del matrimonio, bensì perché nati dal male della concupiscenza, di cui indubbiamente il matrimonio fa buon uso, ma di cui deve arrossire anche il matrimonio. Pur essendo questo degno di onore in tutti i beni che gli son propri, pur conservando gli sposi intemerato il talamo non solo dalle fornicazioni e dagli adulteri, che sono turpitudini meritevoli di condanna, ma anche da quegli eccessi sessuali, che non si compiono sotto il dominio della volontà in vista della prole, ma per la ricerca del piacere sotto la spinta vittoriosa della passione e che negli sposi costituiscono peccati veniali, tuttavia quando si arriva all'atto della procreazione, quella stessa unione, lecita e onesta, non può essere compiuta senza l'ardore della passione, sì che si possa compiere ciò che è proprio della ragione e non della passione. Sia che segua sia che prevenga, è certamente solo questo ardore che muove, quasi di sua autorità, le membra che la volontà non riesce a muovere. In questo modo esso si rivela non come il servo agli ordini della volontà, ma come pena di una volontà ribelle, che deve essere eccitato non dal libero arbitrio, ma da qualche stimolo allettante. È questa la ragione della sua vergogna. Chiunque nasce da questa concupiscenza della carne, che, sebbene nei rigenerati non sia più imputata a peccato, si trova tuttavia nella natura solo a causa del peccato, chiunque nasce, dicevo, da questa concupiscenza della carne in quanto figlia del peccato e, quando le si acconsente per cose disoneste, anche madre di molti peccati, è in debito del peccato originale, a meno che non rinasca in Colui che una Vergine concepì senza questa concupiscenza e che per questo motivo fu il solo a nascere senza peccato, quando si degnò di nascere nella carne.

Il battesimo non distrugge la concupiscenza ma soltanto libera dalla sua colpa.
25. 28. Se poi ci si chiede come questa concupiscenza carnale possa rimanere nel rigenerato, nel quale è avvenuta la remissione di tutti i peccati, dal momento che per mezzo di essa è concepito e con essa nasce anche il figlio di un genitore battezzato, oppure se ci si chiede per quale ragione la concupiscenza carnale sia peccato nella prole, quando nel genitore battezzato può sussistere senza essere peccato; a queste domande si risponde che nel battesimo la concupiscenza della carne è rimessa non in modo che cessi di esistere, ma in modo che non sia più imputata a peccato. Anche se la sua colpevolezza è stata ormai cancellata, essa tuttavia rimane fino a quando non sarà guarita tutta la nostra infermità, quando cioè con il quotidiano progresso del rinnovamento dell'uomo interiore, l'uomo esteriore si sarà rivestito di incorruttibilità 67. Non rimane alla maniera di una sostanza, come un corpo o uno spirito, ma è uno stato affettivo di cattiva qualità, come un languore. Non rimane dunque niente che non sia rimesso, quando si adempie quello che è scritto: Il Signore è misericordioso per tutte le nostre iniquità 68. Ma fino a quando si avvera anche ciò che segue: Egli guarisce tutti i tuoi languori, egli riscatta la tua vita dalla corruzione 69, la concupiscenza della carne resta in questo corpo mortale e noi abbiamo l'ordine di non ubbidire ai suoi viziosi desideri di compiere cose illecite, affinché il peccato non regni nel nostro corpo mortale. Questa concupiscenza, nondimeno, diminuisce di giorno in giorno nelle persone impegnate nella virtù e nella continenza, soprattutto al sopraggiungere della vecchiaia. In coloro, invece, che vergognosamente se ne rendono schiavi, diventa tanto potente che di solito non cessa di infuriare in maniera sempre più turpe e impudente, neppure quando a causa dell'età il vigore fisico viene ormai meno e le stesse parti del corpo sono meno valide ad essere adoperate per la loro funzione.

La concupiscenza nei battezzati non più imputata a peccato.
26. 29. Quando dunque coloro che vengono rigenerati in Cristo ricevono la remissione di tutti i peccati, necessariamente, è evidente, deve essere rimessa anche la colpevolezza di questa concupiscenza, la quale, benché rimanga in loro, come ho detto, non viene più imputata a peccato. In effetti, come rimane e, se non viene rimessa, rimarrà per sempre la colpevolezza di quei peccati che non possono restare per il semplice fatto che passano mentre si compiono, così, quando viene rimessa, la colpevolezza della concupiscenza viene cancellata. Non aver peccati, infatti, significa proprio questo: non essere colpevole di peccato. Se uno, per esempio, ha commesso adulterio, anche se non lo commette più in seguito, è colpevole di adulterio finché la sua colpa non viene rimessa con il perdono. Egli dunque è in peccato, anche se non esiste più l'azione alla quale acconsentì, perché è passata insieme al tempo nel quale fu compiuta. Se non aver peccati consistesse nel non peccare più, sarebbe sufficiente che la Scrittura ci ammonisse così: Figlio, hai peccato? Non farne altri. Invece non è sufficiente, perché aggiunge: E prega che ti siano perdonati quelli passati 70. Se non vengono rimessi, quindi, i peccati rimangono. Ma come rimangono, se sono passati, se non perché sono passati come atto, ma rimangono come colpa? Così dunque può accadere, al contrario, che anche la concupiscenza rimanga come atto e passi come colpa.

La concupiscenza causa desideri malvagi contro i quali è doveroso lottare.
27. 30. La concupiscenza della carne ha una certa attività anche quando non le si dà il consenso del cuore perché regni né le si offrono le membra perché se ne serva come strumenti per compiere ciò che comanda. E qual è questa attività, se non i desideri cattivi e turpi? Se fossero buoni e leciti, infatti, l'Apostolo non vieterebbe di ubbidire loro, dicendo: Non regni il peccato nel vostro corpo mortale, sì da ubbidire ai suoi desideri 71. Non dice: sì da avere i suoi desideri, ma: sì da ubbidire ai suoi desideri, perché, dal momento che sono in alcuni più forti in altri meno, secondo il progresso fatto da ciascuno nel rinnovamento dell'uomo interiore 72, continuiamo la lotta per la giustizia e per la castità, per non ubbidire loro. Dobbiamo tuttavia aspirare alla soppressione di questi desideri, anche se questo è un obiettivo irraggiungibile in questo corpo mortale. A questo proposito, il medesimo Apostolo anche in un altro passo, portando, per così dire, sulla scena la propria persona, ci istruisce con queste parole: Non quello che voglio, io faccio, ma quello che odio, questo io faccio 73, cioè ho desideri, perché neppure questi avrebbe voluto provare per essere perfetto sotto ogni punto di vista. Se faccio quello che non voglio, dice, acconsento alla legge, riconosco che è buona 74, perché neppure essa vuole ciò che non voglio io. La legge infatti che dice: Non desiderare 75 non vuole che io abbia desideri, ciò che non voglio neanch'io. In questo quindi la volontà della legge e la mia vanno d'accordo. Tuttavia, poiché non voleva avere desideri e nondimeno li provava, senza però rendersene schiavo con il consenso, prosegue dicendo: Non sono dunque io a farlo, ma il peccato che abita in me 76.

Chi compie il male, acconsentendo alla propria concupiscenza, è responsabile.
28. 31. Ma si sbaglia di grosso chi, acconsentendo alla concupiscenza della carne e decidendo liberamente di fare ciò che essa desidera, crede ancora di poter dire: Non sono io a farlo 77, perché anche se odia acconsente. È vera l'una e l'altra cosa: odia, perché sa che è male, ma lo compie, perché ha deciso di farlo. Nel caso poi che aggiungesse anche quello che la Scrittura proibisce, dicendo: Non offrite le vostre membra al peccato come strumenti di iniquità 78 sì da compiere anche con il corpo quanto aveva deciso nel cuore, e ciò nonostante dicesse: Non sono io a farlo, ma il peccato che abita in me 79, per il fatto che quando lo decide e lo compie prova dispiacere, si sbaglia fino al punto da non riconoscere neanche se stesso, dal momento che, risultando egli nella sua totalità composto del cuore che decide e del corpo che esegue, crede ancora di non essere se stesso.

29. 31. Chi dunque afferma: Non sono io a farlo, ma il peccato che abita in me, dice la verità se prova soltanto il desiderio; dice invece il falso, se decide con il consenso del cuore o se giunge anche a compierlo servendosi del corpo.

Il volere è alla mia portata, ma compiere il bene no.
29. 32. L'Apostolo aggiunge poi: Io so infatti che il bene non abita in me, cioè nella mia carne, poiché volere il bene è alla mia portata, ma non il suo compimento 80. La ragione di tale affermazione sta nel fatto che il compimento del bene si raggiunge quando non si ha alcun desiderio cattivo, allo stesso modo che si raggiunge il compimento del male quando si ubbidisce ai desideri cattivi. Nel caso invece che si hanno desideri cattivi, ma non si ubbidisce loro, non si realizza compiutamente il male, perché non si ubbidisce loro, ma non si realizza interamente il bene, proprio per la loro presenza. In parte si realizza il bene, perché non si acconsente alla cattiva concupiscenza, in parte resta il male, perché viene almeno desiderato. Per questo motivo l'Apostolo non dice che non sia alla sua portata il compiere il bene, ma raggiungere il compimento del bene. In verità, già fa molto bene chi mette in pratica il precetto della Scrittura: Non andare dietro le tue concupiscenze 81, ma non raggiunge il suo compimento, perché non adempie l'altro precetto: Non desiderare 82. Ordinandoci di non desiderare, la legge si proponeva di invitarci a cercare, scoprendoci sofferenti di questa malattia, il rimedio della grazia e di farci sapere con questo precetto verso quale meta dobbiamo dirigere i nostri sforzi durante questa vita mortale e a quale meta potremo arrivare nella beatissima immortalità futura. Se infatti non dovessimo mai raggiungere questa perfezione, non avrebbe dovuto mai essere comandata.

Vedo nelle mie membra un'altra legge che si oppone alla legge della mia ragione.
30. 33. Per dare maggiore forza alla precedente dichiarazione, l'Apostolo ripete: Infatti io non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ma se faccio quello che non voglio, non sono più io che lo faccio, ma il peccato che abita in me. E continua: Io trovo dunque questa legge che, quando voglio fare il bene, mi si presenta il male 83. Come se dicesse: trovo che la legge è un bene per me, che voglio fare quello che vuole la legge, giacché non proprio alla legge che dice: Non desiderare 84, ma a me si presenta il male che non voglio, perché è contro mia voglia che ho desideri. Mi compiaccio, dice, nella legge di Dio secondo l'uomo interiore. Ma vedo nelle mie membra un'altra legge che si oppone alla legge della mia mente e che mi tiene prigioniero sotto la legge del peccato, che è nelle mie membra 85. Questo compiacimento nella legge di Dio secondo l'uomo interiore ci viene dalla grande grazia di Dio. Con essa davvero il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno 86, in quanto con essa progredisce con perseveranza. Non è infatti timore che tormenta, ma amore che dà gioia. Allora siamo veramente liberi, quando non godiamo contro voglia.

La legge del peccato domina la carne perché suscita in essa desideri illeciti, ai quali non si deve ubbidire.
30. 34. Quanto alla affermazione dell'Apostolo: Vedo nelle mie membra un'altra legge che si oppone alla legge della mia mente 87, essa si riferisce proprio alla concupiscenza, di cui andiamo parlando, cioè alla legge del peccato presente nella carne del peccato. Quando poi aggiunge: E che mi tiene prigioniero sotto la legge del peccato, cioè sotto se stessa, che è nelle mie membra, con l'espressione che mi tiene prigioniero intese dire o che essa cerca di farmi prigioniero, ossia che mi spinge al consenso e all'azione, o piuttosto, e questo è fuori discussione, che mi tiene prigioniero secondo la carne. Se infatti la concupiscenza carnale, che egli chiama legge del peccato, non dominasse sulla carne, non susciterebbe in essa alcun desiderio illecito, al quale la mente non debba ubbidire. Dal momento però che non disse: che tiene prigioniera la mia carne, bensì: che mi tiene prigioniero, è avvenuto che vi si cercasse un altro senso e che intendessimo quell'espressione nel senso: che cerca di farmi prigioniero. Ma perché non avrebbe potuto dire: che mi tiene prigioniero, se avesse voluto intendere la sua carne? Quando non si trovò nel sepolcro il corpo di Gesù, non si disse forse di lui: Hanno portato via il mio Signore e non so dove l'hanno posto? 88 Fu forse inesattezza dire: Il mio Signore, invece di dire: la carne o il corpo del mio Signore?

Aspettiamo ancora la redenzione del nostro corpo, perché in parte è ancora sotto la legge del peccato.
31. 35. Sebbene, proprio l'Apostolo poco prima aveva mostrato assai chiaramente come avesse potuto correttamente indicare la sua carne con l'espressione: che mi tiene prigioniero. Infatti dopo aver detto: So che il bene non abita in me, per spiegarsi aggiunse: cioè nella mia carne 89. È dunque tenuta prigioniera sotto la legge del peccato quella in cui non abita il bene, cioè la carne. Qui è stata chiamata carne dove c'è una certa disposizione morbosa della carne, non la struttura stessa del corpo, le cui membra non devono essere offerte come strumenti al peccato 90, cioè alla stessa concupiscenza che tiene prigioniera questa parte carnale del nostro essere. Per quanto concerne, infatti, la stessa sostanza e natura del corpo, negli uomini fedeli, sia sposati sia continenti, è già tempio di Dio. Tuttavia, se non fosse tenuto prigioniero assolutamente niente della nostra carne non dico dal diavolo, giacché anche in essa è avvenuta la remissione del peccato in modo da non essere più imputata a peccato quella che propriamente si chiama legge del peccato; se in una certa misura la nostra carne non fosse tenuta prigioniera dalla stessa legge del peccato, cioè dalla sua concupiscenza, come potrebbe essere vero quello che dice lo stesso Apostolo: Aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo 91? In tanto siamo ancora in attesa della redenzione del nostro corpo, in quanto ancora e in una certa misura esso è prigioniero della legge del peccato. Da qui anche la sua esclamazione: Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 92. Come vorremo intendere questo testo se non nel senso che il corpo che si corrompe appesantisce l'anima 93? Dunque questo corpo sarà ripreso ormai incorruttibile, si avrà la completa liberazione da questo corpo di morte, dal quale non saranno liberati coloro che risusciteranno per avviarsi al castigo. È a questo corpo di morte, dunque, che si intende spettare la prerogativa che un'altra legge si opponga nelle membra alla legge della mente, fino a quando la carne desidera contro lo spirito, anche se non giunge a soggiogare la mente, perché anche lo spirito desidera contro la carne 94. E così, sebbene la stessa legge del peccato tenga prigioniero qualcosa della carne, per cui resiste alla legge della mente, essa tuttavia non regna nel nostro corpo, per quanto mortale, a meno che non si ubbidisce ai suoi desideri. Accade di solito anche ai nemici contro cui si combatte: di essere sconfitti in battaglia e di restare padroni di qualcosa nonostante la sconfitta. Questa parte della carne, benché tenuta soggetta alla legge del peccato, è tuttavia in attesa di essere redenta, perché della viziosa concupiscenza non rimarrà assolutamente nessuna traccia, mentre la nostra carne, guarita da quella pestifera malattia e rivestita interamente di immortalità, continuerà a vivere nell'eterna beatitudine.

La grazia con la remissione di tutti i peccati ha cancellato la colpa della concupiscenza.
31. 36. L'Apostolo continua poi dicendo: Io dunque con la mente servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato 95. Il passo deve essere interpretato così: con la mente servo la legge di Dio, non acconsentendo alla legge del peccato; con la carne invece servo la legge del peccato, perché ho i desideri del peccato, dai quali non sono ancora del tutto libero, benché non vi consenta. Osserviamo infine la conclusione del suo discorso: Non c'è dunque più nessuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù 96. Anche al presente, dice, quando una legge si oppone nelle membra alla legge della mente e tiene prigioniero qualcosa in questo corpo di morte, non c'è alcuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù. Ascoltane il motivo: Poiché la legge dello spirito di vita, dice, mi ha liberato in Cristo Gesù dalla legge del peccato e della morte 97. In qual modo ha liberato, se non cancellando la sua colpa con la remissione di tutti i peccati, di modo che non viene imputata a peccato, sebbene rimanga ancora e diminuisca sempre di più di giorno in giorno?

Se non è rimessa la sua colpa, la concupiscenza rende tutti debitori di eterna pena.
32. 37. Fino a quando, pertanto, non avviene nel bambino questa remissione dei peccati, cotesta legge del peccato rimane in lui in modo da essergli imputata anche a peccato, cioè in modo che con essa rimane anche la sua colpevolezza, sì da renderlo debitore di pena eterna. È questo infatti che trasmette il genitore alla prole carnale, in quanto anch'egli è nato secondo la carne, non in quanto è rinato secondo lo spirito. La realtà stessa, infatti, per cui è nato secondo la carne, sebbene non gli impedisca di portare frutto una volta che la colpevolezza è stata cancellata, vi rimane tuttavia nascosta come nel seme di olivo, anche se a causa della remissione dei peccati non nuoce affatto all'olio, ossia a quella vita per la quale secondo Cristo, che ha ricevuto il nome dall'olio, cioè dal crisma, il giusto vive di fede 98. Ciò che nel genitore rigenerato rimane nascosto, come nel seme di ulivo, senza alcuna colpa perché è stata rimessa, si ritrova certamente nel figlio non ancora rigenerato, come nell'oleastro, insieme alla colpevolezza, fino a quando non venga rimesso anche in lui con la medesima grazia. Dal momento infatti in cui Adamo da olivo qual era, in cui cioè non c'era un seme dal quale potesse nascere l'amaro oleastro, si mutò peccando in oleastro, perché il suo peccato fu talmente grave da produrre una grossa degenerazione della natura, rese oleastro tutto il genere umano. Cosicché, come ora vediamo anche negli alberi, se la grazia divina ne trasforma in olivo qualche individuo, il vizio della prima nascita, che era il peccato originale trasmesso e contratto dalla concupiscenza carnale, è in lui rimesso, ricoperto e non imputato; da esso tuttavia nascerà l'oleastro a meno che anch'egli non rinasca a olivo con la medesima grazia.

Pur rimessa, la concupiscenza nei battezzati conserva una forza nascosta, per la quale nasceranno uomini peccatori.
33. 38. Beato dunque l'olivo le cui iniquità sono state rimesse e i cui peccati sono stati ricoperti; beato colui al quale il Signore non ha imputato il peccato 99. Ma quel peccato che è stato rimesso e ricoperto e che non è più imputato, finché non avverrà la completa trasformazione nell'eterna immortalità, conserva una certa forza misteriosa, da cui è prodotto l'amaro oleastro, a meno che anche in esso per il medesimo intervento di Dio non sia rimesso, ricoperto, e non più imputato. Non ci sarà più nulla di vizioso, neppure nel seme carnale, quando, purificati e guariti sino in fondo tutti i mali dell'uomo con la medesima rigenerazione che ora avviene con il lavacro sacro, la stessa carne, per la quale l'anima è diventata carnale, diventerà anch'essa spirituale 100: non avrà più nessuna concupiscenza carnale che si opponga alla legge della mente e non emetterà più seme carnale. Questo è il significato che si deve dare alle parole dell'Apostolo: Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per essa, per santificarla con il lavacro dell'acqua mediante la parola e per farsi comparire davanti una Chiesa gloriosa senza macchie né rughe o cose del genere 101. Così, dicevo, si devono intendere queste parole: con lo stesso lavacro di rigenerazione e con la parola di santificazione sono purificati e mondati assolutamente tutti i peccati degli uomini rigenerati, non solo tutti i peccati che ora vengono rimessi nel battesimo, ma anche quelli che si commettono dopo per ignoranza o per fragilità umana, non nel senso che si debba ripetere il battesimo ogni qualvolta si commette un peccato, ma perché, per il fatto stesso che è stato amministrato una sola volta, accade che i fedeli ottengano il perdono di qualsivoglia peccato, non solo di quelli commessi prima, ma anche di quelli commessi dopo. Quale giovamento infatti si avrebbe dalla penitenza prima del battesimo, se il battesimo non la seguisse, o dopo, se il battesimo non la precedesse? Perfino nella preghiera del Signore, nella quale troviamo la nostra quotidiana purificazione, con quale frutto, con quale risultato si potrebbe dire: Perdona i nostri debiti 102, se non fossero dei battezzati a dirla? Così pure per quanto riguarda la generosità nel fare elemosine e la beneficenza, per quanto grandi esse fossero; a chi otterrebbero la remissione dei peccati, se chi le fa non è battezzato? Infine, la felicità stessa del regno dei cieli, dove la Chiesa non avrà né macchie né rughe né cose simili 103, dove non ci sarà niente da rimproverare, niente da nascondere, dove non ci sarà più non solo la colpa ma neppure la concupiscenza del peccato, da chi sarà goduta, se non da coloro che sono stati battezzati?

La purificazione dei battezzati raggiungerà la sua perfezione nel secolo futuro.
34. 39. Per conseguenza, non soltanto tutti i peccati, ma assolutamente tutti i mali degli uomini vengono eliminati dalla santità del lavacro cristiano, con il quale Cristo purifica la sua Chiesa, per farsela comparire davanti, non in questo secolo, bensì in quello futuro, senza macchie né rughe né cose simili. Ci sono di quelli che la ritengono tale già al presente e tuttavia ne fanno parte. Ma poiché anch'essi riconoscono di essere peccatori, se dicono la verità, dal momento che non sono immuni dai peccati, senza dubbio almeno in essi la Chiesa ha una macchia; se invece dicono il falso, perché non parlano con cuore sincero, in essi la Chiesa presenta delle rughe. Se poi insistono nel dire che questi difetti li possiedono loro e non la Chiesa, confessino allora di non essere sue membra e di non appartenere al suo corpo, affinché siano condannati dalla loro stessa confessione.

Già Ambrogio aveva collegato la trasmissione del peccato originale alla concupiscenza.
35. 40. Mi sono adoperato con un lungo discorso a distinguere la concupiscenza carnale dai beni del matrimonio, costrettovi dai nuovi eretici, i quali quando sentono biasimarla lanciano accuse come se fosse biasimato lo stesso matrimonio. Ovviamente, lodandola come un bene naturale, essi vogliono rafforzare la loro pestifera eresia, secondo la quale la prole che nasce per essa non contrae alcun peccato originale. Ma di questa concupiscenza carnale già il beato Ambrogio, vescovo di Milano, per il ministero sacerdotale del quale io ho ricevuto il battesimo, parlò brevemente, quando accennò alla nascita carnale di Cristo, nell'esposizione del profeta Isaia: "Perciò, scrive, in quanto uomo egli fu tentato in tutte le maniere e a somiglianza degli uomini sostenne tutte le prove, ma in quanto nato dallo Spirito si astenne dal peccato; ogni uomo infatti è menzognero 104 e nessuno, tranne il solo Dio, è senza peccato. Rimane dunque valida la regola per cui nessuno che sia nato dall'uomo e dalla donna, cioè mediante quell'unione corporale, risulta immune dal peccato. Se uno poi risulta immune dal peccato, è immune anche da un simile concepimento" 105. Forse che anche il santo Ambrogio ha condannato la santità del matrimonio o non piuttosto con la verità di questa sua affermazione ha condannato la falsità di questi eretici, anche se in quel tempo non erano ancora apparsi all'orizzonte? Ho creduto opportuno ricordare questa testimonianza di Ambrogio, perché Pelagio ne fa il seguente elogio: "Il beato Ambrogio, nei cui libri risplende particolarmente la fede romana, lui che tra gli scrittori latini si è distinto come un bel fiore, la cui fede e il purissimo senso delle Scritture neppure un avversario ha osato criticare" 106. Si penta dunque di aver avuto idee contrarie a quelle di Ambrogio, se non vuole pentirsi di averne fatto un simile elogio. Eccoti, dunque, un libro che per la molestia della lunghezza e per la difficoltà del tema trattato, quanto fu laborioso a me il dettarlo tanto sarà per te leggerlo nelle briciole di tempo, in cui ti ha potuto o ti potrà trovare libero da impegni. L'ho elaborato, per quanto il Signore si è degnato di aiutarmi, in mezzo alle mie preoccupazioni pastorali e non avrei certo osato presentarlo a te impegnato nei pubblici affari, se non avessi saputo da un uomo di Dio, che ti conosce bene, che ti dai alla lettura tanto volentieri, da passare nella veglia perfino alcune ore della notte.


 

1 - Rm 5, 12.

2 - Cf. Col. 1, 13.

3 - Cf. Rm 7, 24.

4 - 1 Pt 3, 15.

5 - Col 4, 6.

6 - 1 Cor 7, 7.

7 - Rm 14, 23.

8 - Gal 5, 17.

9 - Sal 72, 27.

10 - Rm 14, 23.

11 - Eb. 11, 6.

12 - Gn 1, 28.

13 - Gn 2, 25.

14 - Gn 3, 6-7.

15 - Cf. Gn 21, 19.

16 - Cf. Lc 24, 31.

17 - Gn 3, 7.

18 - Cf. Gn 2, 19.

19 - Gn 2, 23.

20 - Gn 3, 6.

21 - Gn 2, 25.

22 - Cf. Rm 7, 23.

23 - 1 Ts 4, 3-5.

24 - 1 Cor 11, 3.

25 - Col 3, 18.

26 - 1 Pt 3, 6.

27 - Ef 5, 25.

28 - Cf. Mt 5, 32.

29 - Sal 47, 2.

30 - Mt 19, 8; Mc 10, 5.

31 - Mt 1, 20.

32 - Lc 2, 33.

33 - Lc 2, 41.

34 - Lc 2, 48ss.

35 - Fil 2, 6-7.

36 - Cf. Rm 8, 3.

37 - Qo 3, 5.

38 - 1 Cor 7, 29-32.

39 - 1 Cor 7, 32-33.

40 - Cf. 1 Cor 7, 5.

41 - 1 Cor 7, 3-6.

42 - Cf. Rm 7, 24.

43 - Mt 19, 12.

44 - Cf. 1 Cor 7, 28.

45 - Cf. 1 Cor 7, 9.

46 - 1 Cor 7, 1.

47 - Mt 19, 11.

48 - 1 Cor 7, 2.

49 - 1 Tm 5, 14.

50 - Lc 20, 34.

51 - 2 Cor 4, 16.

52 - 2 Cor 4, 16.

53 - 1 Cor 6, 19-20.

54 - Rm 8, 23.

55 - Rm 8, 24-25.

56 - Col 3, 19.

57 - 1 Gv 2, 15-17.

58 - Col 1, 13.

59 - Gn 1, 28.

60 - Gn 2, 24.

61 - Ef 5, 32.

62 - Cf. Rm 7, 23.

63 - Cf. Gn 3, 7.

64 - Rm 6, 12-13.

65 - Es 20, 17.

66 - Sir (Sir) 18, 30.

67 - Cf. 2 Cor 4, 16; 1 Cor 15, 53.

68 - Sal 102, 3.

69 - Sal 102, 3-4.

70 - Sir (Sir) 21, 1.

71 - Rm 6, 12.

72 - Cf. 2 Cor 4, 16.

73 - Rm 7, 19.

74 - Rm 7, 20.

75 - Es. 20, 17; Rm 7, 7.

76 - Rm 7, 20.

77 - Rm 7, 17. 20.

78 - Rm 6, 13.

79 - Rm 7, 17.

80 - Rm 7, 18.

81 - Sir (Sir) 18, 30.

82 - Es 20, 17; Rm 7, 7.

83 - Rm 7, 19-21.

84 - Es 20, 17; Rm 7, 7.

85 - Rm 7, 22-23.

86 - 2 Cor 4, 16.

87 - Rm 7, 23.

88 - Gv 20, 2.

89 - Rm 7, 18.

90 - Cf. Rm 6, 13.

91 - Rm 8, 23.

92 - Rm 7, 24-25.

93 - Sap 9, 15.

94 - Gal 5, 17.

95 - Rm 7, 25.

96 - Rm 8, 1.

97 - Rm 8, 2.

98 - Rm 1, 17; Eb 10, 38; Abac 2, 4.

99 - Sal 31, 1-2.

100 - Cf. 1 Cor 15, 44.

101 - Ef 5, 25-27.

102 - Mt 6, 12.

103 - Ef 5, 27.

104 - Sal 115, 2 (cit. da Ambrogio).

105 - Ambros., Expos. in Is. Cf. Aug., Contra duas. epist. Pel., IV, 11, 29; Contra Iul., 1, 4, 11.

106 - Pel., Pro lib. arbitrio, III; cf. Aug., De gratia C. et de peccato orig., 42, 46.


Bolla di Papa Innocenzo IV

Opera Omnia - Santa Chiara d'Assisi

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[2744]    1 Innocenzo vescovo, servo dei servi di Dio. 2 Alle dilette figlie in Cristo Chiara abbadessa e alle altre sorelle del monastero di San Damiano d’Assisi, salute e apostolica benedizione.

[2745]    3 La Sede Apostolica suole acconsentire ai pii voti e benevolmente favorire gli onesti desideri di coloro che chiedono. 4 Ora, da parte vostra ci è stato umilmente richiesto che ci prendessimo cura di confermare con la nostra autorità apostolica 5 la forma di vita, secondo la quale dovete vivere comunitariamente in unità di spiriti e con voto di altissima povertà (Cfr. 2Cor 8,2), 6 che vi fu data dal beato Francesco e fu da voi spontaneamente accettata, 7 quella che il venerabile nostro fratello vescovo di Ostia e Velletri ritenne bene che fosse approvata, come è ampiamente contenuto nella lettera scritta a proposito dallo stesso vescovo.

[2746]    8 Noi pertanto, ben disposti ad accogliere la vostra supplica, ratificando di buon grado quanto sopra ciò è stato fatto dal medesimo vescovo, lo confermiamo col potere apostolico e l’avvaloriamo con l’autorità del presente scritto, 9 nel quale facciamo inserire parola per parola il testo della stessa lettera, che e questo:

[2747]    10 Rinaldo, per misericordia di Dio vescovo di Ostia e Velletri, alla sua carissima in Cristo madre e figlia Donna Chiara abbadessa di San Damiano in Assisi, 11 e alle sorelle di lei, presenti e future, salute e paterna benedizione.

[2748]    12 Poiché voi, figlie dilette in Cristo, avete disprezzato le vanità e i piaceri del mondo 13 e seguendo le orme (Cfr. 1Pt 2,21) dello stesso Cristo e della sua santissima Madre, avete scelto di abitare rinchiuse e di dedicarvi al Signore in povertà somma per potere con animo libero servire a Lui, 14 noi, encomiando nel Signore il vostro santo proposito, di buon grado vogliamo con affetto paterno accordare benevolo favore ai vostri voti e ai vostri santi desideri.

[2749]    15 Per questo, accondiscendendo alle vostre pie suppliche, con l’autorità del signor Papa e nostra, confermiamo in perpetuo per voi tutte e per quelle che vi succederanno nel vostro monastero e con l’appoggio della presente lettera avvaloriamo la forma di vita e il modo di santa unità e di altissima povertà (Cfr. 2Cor 8,2), che il beato padre vostro Francesco vi consegnò a voce e in scritto da osservare e che è qui riprodotta. 17 Ed è questa:

I.  NEL NOME DEL SIGNORE INCOMINCIA LA FORMA Dl VITA  DELLE SORELLE POVERE

[2750]    1 La Forma di vita dell’Ordine delle Sorelle Povere, istituita dal beato Francesco, è questa:
2 Osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità.

[2751]    3 Chiara indegna serva di Cristo e pianticella del beatissimo padre Francesco, promette obbedienza e riverenza al signor papa Innocenzo e ai suoi successori, canonicamente eletti e alla Chiesa Romana,

[2752]    4 E, come al principio della sua conversione, insieme alle sue sorelle, promise obbedienza al beato Francesco, cosi promette di mantenerla inviolabilmente ai suoi successori.

[2753]    5 Le altre sorelle siano tenute ad obbedire sempre ai successori del beato Francesco e a sorella Chiara e alle altre abbadesse, che le succederanno mediante elezione canonica.

II. DI COLORO CHE VOGLIONO ABBRACCIARE  QUESTA VITA  E COME DEVONO ESSERE RICEVUTE

[2754]    1 Quando qualcuna, per divina ispirazione, verrà a noi con la determinazione di abbracciare questa vita, I’abbadessa sia tenuta a chiedere il consenso di tutte le sorelle 2 e se la maggioranza acconsentirà, la possa accettare, dopo aver ottenuto licenza dal signor cardinale nostro protettore.

[2755]    3 Se le sembrerà idonea ad essere accettata, la esamini con diligenza, o la faccia esaminare intorno alla fede cattolica e ai sacramenti della Chiesa.

[2756]    4 E se crede tutte queste cose, ed è risoluta a confessarle fedelmente e ad osservarle con fermezza sino alla fine; 5 e non ha marito, o se l’ha, ha già abbracciato la vita religiosa con l’autorità del vescovo diocesano ed ha già fatto voto di continenza; 6 e se, inoltre non è impedita dall’osservare questa vita da età avanzata o da qualche infermità o deficienza mentale, 7 le si esponga diligentemente il tenore della nostra vita.

[2757]    8 E se sarà idonea, le si dica la parola del santo Vangelo: che vada e venda tutte le sue sostanze e procuri di distribuirle ai poveri (Cfr. Mt 19,21). 9 Se ciò non potesse fare, basta ad essa la buona volontà.

[2758]    10 Si guardino però l’abbadessa e le sue sorelle dal preoccuparsi per le cose temporali di lei, affinché ne disponga liberamente, come le verrà ispirato dal Signore. Il Se tuttavia domandasse consiglio, la indirizzino a persone prudenti e timorate di Dio (Cfr. At 13,16), col consiglio delle quali vengano distribuiti i suoi beni.

[2759]    12 Poi, tosati i capelli in tondo e deposto l’abito secolare, le conceda tre tonache e il mantello. 13 Da quel momento non le è più lecito uscire fuori di monastero, senza un utile, ragionevole, manifesto e approvato motivo.

[2760]    14 Finito poi l’anno della prova, sia ricevuta all’obbedienza, promettendo d’osservare sempre la vita e la forma della nostra povertà.

[2761]    15 Non si conceda a nessuna il velo durante il tempo della prova. 16 Le sorelle possono avere anche le mantellette per comodità e convenienza del servizio e del lavoro. 17 L’abbadessa poi le provveda di vestimenti con discrezione, secondo la qualità delle persone, i luoghi e i tempi e i paesi freddi, conforme vedrà essere richiesto dalla necessità.

[2762]    18 Le giovanette, accolte in monastero prima della legittima età, siano tosate in tondo 19 e, deposto l’abito secolare, indossino un abito da religiosa, come parrà all’abbadessa. 20 Raggiunta poi l’età legittima, vestite alla maniera delle altre, facciano la loro professione.

[2763]    21 Ad esse, come alle altre novizie, l’abbadessa assegni con sollecitudine una maestra tra le più assennate del monastero, 22 la quale le istruisca con cura intorno al modo di vivere santamente da religiose e alle oneste costumanze secondo la forma della nostra professione. 23 Le medesime norme si osservino nell’esame e nell’accettazione delle sorelle che presteranno il loro servizio fuori del monastero; esse però potranno usare calzature.

[2764]    24 Non si ammetta nessuna a dimorare con noi in monastero se non sia stata ricevuta secondo la forma della nostra professione.

[2765]    25 E per amore del santissimo Bambino, ravvolto in poveri pannicelli e adagiato nel presepio (Cfr. Lc 2,7-12), e della sua santissima Madre, ammonisco, prego caldamente ed esorto le mie sorelle a vestire sempre indumenti vili.

III. DELL’UFFICIO DIVINO E DEL DIGIUNO.  DELLA CONFESSIONE E COMUNIONE

[2766]    1 Le sorelle che sanno leggere celebrino l’ufficio divino secondo la consuetudine dei frati minori, e perciò potranno avere i breviari, leggendo senza canto. 2 Se qualcuna, per un motivo ragionevole, a volte non potesse recitare leggendo le sue Ore, le sia lecito dire i Pater noster, come le altre sorelle.

[2767]    3 Quelle invece che non sanno leggere, dicano ventiquattro Pater noster per il Mattutino, cinque per le Lodi per prima, terza, sesta e nona, per ciascuna di queste Ore, sette; per il Vespro dodici; per Compieta sette. 5 Inoltre dicano ancora per i defunti sette Pater noster con il Requiem per il Vespro e dodici per il Mattutino, 6 quando le sorelle che sanno leggere sono tenute a recitare l’Ufficio dei morti. 7 Alla morte poi di una sorella del nostro monastero, dicano cinquanta Pater noster.

[2768]    8 Le Sorelle digiunino in ogni tempo. 9 Ma nel Natale del Signore, in qualunque giorno cada, possano rifocillarsi due volte. 10 Con le giovanette, le deboli e le sorelle che servono fuori del monastero, si dispensi misericordiosamente, come parrà all’abbadessa. 11 Ma in tempo di manifesta necessità, le sorelle non siano tenute al digiuno corporale.

[2769]    12 Si confessino almeno dodici volte l’anno, con licenza dell’abbadessa. 13 E devono guardarsi allora dal frammischiare altri discorsi che non facciano al caso della confessione e della salute dell’anima.

[2770]    14 Si comunichino sette volte l’anno, cioè: nel Natale del Signore, nel Giovedì santo, nella Resurrezione del Signore, nella Pentecoste, nell’Assunzione della beata Vergine, nella festa di san Francesco e nella festa d’Ognissanti.

[2771]    15 Per comunicare le sorelle, sia sane che inferme, è lecito al cappellano celebrare all’interno.

IV. DELLA ELEZIONE E DELL’UFFICIO Dl ABBADESSA.  DEL CAPITOLO, DELLE RESPONSABILI DEGLI UFFICI E DELLE DISCRETE


[2772]    1 Nella elezione dell’abbadessa le sorelle siano tenute ad osservare la forma canonica.

[2773]    2 Esse si procurino con sollecitudine di avere il ministro generale o provinciale dell’Ordine dei frati minori, 3 il quale mediante la parola di Dio le disponga alla perfetta concordia e ala utilità comune nelle elezioni da farsi.

[2774]    4 E non si elegga se non una professa. 5 E se fosse eletta una non professa o venisse data in altro modo non le si presti obbedienza se prima non avrà fatta la professione della forma della nostra povertà. 6 Alla sua morte, si faccia l’elezione di un’altra abbadessa.

[2775]    7 E se talora sembrasse alla generalità delle sorelle che la predetta non fosse idonea al servizio e alla comune utilità di esse, 8 le dette sorelle siano tenute ad eleggerne, quanto prima possono e nel modo sopraddetto, un’altra per loro abbadessa e madre.

[2776]    9 L’eletta poi consideri qual carico ha accettato sopra di sé e a Chi deve rendere conto (Cfr. Mt 12,36; Eb 13,17) del gregge affidatole. 10 Si studi anche di presiedere alle altre più per virtù e santità di vita che per ufficio, affinché le sorelle, provocate dal suo esempio, le obbediscano più per amore che per timore

[2777]    11 Si guardi dalle amicizie particolari, affinché non avvenga che, amando alcune più delle altre, rechi scandalo a tutte

[2778]    12 Consoli le afflitte Sia ancora l’ultimo rifugio delle tribolate (Sal 31,7) perché, se mancassero presso di lei i rimedi di salute, non abbia a prevalere nelle inferme il morbo della disperazione.

[2779]    13 Conservi la vita comune in tutto, ma specialmente in chiesa, in dormitorio, in refettorio, nell’infermeria e nelle vesti. 14 E ciò è tenuta a fare allo stesso modo anche la sua vicaria.

[2780]    15 L’abbadessa sia tenuta a convocare a Capitolo le sue sorelle almeno una volta la settimana. 16 lvi, tanto lei quanto le sorelle debbano accusarsi umilmente delle comuni e pubbliche mancanze e negligenze. 17 Ivi ancora discuta con le sue sorelle circa le cose da fare per l’utilità e il bene del monastero. 18 Spesso infatti il Signore manifesta ciò che è meglio al più piccolo.

[2781]    19 Non si contragga alcun debito grave, se non di comune consenso delle sorelle e per manifesta necessità, e questo per mezzo del procuratore. 20 Si guardi poi l’abbadessa con le sue sorelle dal ricevere alcun deposito in monastero, 21 poiché da ciò nascono spesso disturbi e scandali.

[2782]    22 Allo scopo di conservare l’unita della scambievole carità e della pace, tutte le responsabili degli uffici del monastero vengano elette di comune consenso di tutte le sorelle. 23 E nello stesso modo si eleggano almeno otto sorelle delle più assennate, del consiglio delle quali l’abbadessa è obbligata a servirsi in ciò che è richiesto dalla forma della nostra vita.
24 Se qualche volta sembrasse utile e conveniente, le sorelle possano anche e debbano rimuovere le responsabili e le discrete ed eleggerne altre al loro posto.

V.  DEL SILENZIO, DEL PARLATORIO E DELLA GRATA

[2783]    1 Le sorelle osservino il silenzio dall’ora di compieta fino a terza, eccettuate le sorelle che prestano servizio fuori del monastero. 2 Osservino ancora silenzio continuo in chiesa, in dormitorio e in refettorio soltanto quando mangiano. 3 Si eccettua l’infermeria, dove, per sollievo e servizio delle ammalate, sarà sempre permesso alle sorelle di parlare con moderazione. 4 Possano tuttavia, sempre e ovunque, comunicare quanto è necessario, ma con brevità e sottovoce.

[2784]    5 Non sia lecito alle sorelle accedere al parlatorio o alla grata, senza licenza dell’abbadessa o della sua vicaria; 6 e quelle che ne hanno licenza, non ardiscano parlare nel parlatorio, se non alla presenza e ascoltate da due sorelle.

[2785]    7 Non presumano poi di recarsi alla grata, se non siano presenti, assegnate dall’abbadessa o dalla vicaria, almeno tre di quelle otto discrete che furono elette da tutte le sorelle come Consiglio dell’abbadessa. 8 Questa forma nel parlare siano tenute ad osservarla per conto proprio anche l’abbadessa e la sua vicaria. 9 E quanto si è detto per la grata avvenga molto di rado; alla porta poi non si faccia in nessun modo. 10 A detta grata sia applicata dalla parte interna un panno, che non sia tolto se non quando si predica la divina parola o alcuna parli a qualcuno. 11 Abbia inoltre una porta di legno, ben difesa da due differenti serrature in ferro, da imposte e chiavistelli, 12 affinché, specialmente di notte, sia chiusa con due chiavi, una delle quali la tenga l’abbadessa e l’altra la sacrestana; 13 e rimanga sempre chiusa, fuorché quando si ascolta il divino ufficio e per i motivi sopra esposti. 14 Non è lecito assolutamente a nessuna parlare ad alcuno alla grata prima della levata del sole o dopo il tramonto.

[2786]    15 Al parlatorio poi, vi sia sempre, dalla parte interna, un panno che non deve essere rimosso per nessun motivo. 16 Durante la quaresima di san Martino e la quaresima maggiore nessuna parli al parlatorio, 17 se non al sacerdote per motivo di confessione o di altra manifesta necessità Ciò è riservato alla prudenza dell’abbadessa o della sua vicaria.

VI.  LE PROMESSE DEL BEATO FRANCESCO E DEL NON AVERE POSSEDIMENTI

[2787]    1 Dopo che l’altissimo Padre celeste si degnò illuminare l’anima mia mediante la sua grazia perché, seguendo l’esempio e gli insegnamenti del beatissimo padre nostro Francesco, io facessi penitenza, poco tempo dopo la conversione  di lui, liberamente, insieme con le mie sorelle, gli promisi obbedienza.

[2788]    2 Il beato padre, poi, considerando che noi non temevamo nessuna povertà, fatica, tribolazione, umiliazione e disprezzo del mondo, che anzi l’avevamo in conto di grande delizia, mosso da paterno affetto, scrisse per noi la forma di vita in questo modo: 3 “Poiché per divina ispirazione vi siete fatte figlie e ancelle dell’Altissimo sommo Re, il Padre celeste, e vi siete sposate allo Spirito Santo, scegliendo di vivere secondo la perfezione del santo Vangelo, 4 voglio e prometto da parte mia e dei miei frati, di avere sempre di voi, come di loro, attenta cura e sollecitudine speciale”.

[2789]    5 Ciò che egli con tutta fedeltà ha adempiuto finché visse, e volle che dai frati fosse sempre adempito.

[2790]    6 E affinché non ci allontanassimo mai dalla santissima povertà che abbracciammo, e neppure quelle che sarebbero venute dopo di noi, poco prima della sua morte di nuovo scrisse per noi la sua ultima volontà con queste parole: 7 “Io frate Francesco piccolino, voglio seguire la vita e la povertà dell’Altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre, e perseverare in essa sino alla fine (Cfr.Mt 10,22). 8 E prego voi, mie signore e vi consiglio che viviate sempre in questa santissima vita e povertà. 9 E guardatevi molto bene dall’allontanarvi mai da essa in nessuna maniera per l’insegnamento o il consiglio di alcuno”.

[2791]    10 E come io, insieme con le mie sorelle, sono stata sempre sollecita di mantenere la santa povertà che abbiamo promesso al Signore Iddio e al beato Francesco, 11 così le abbadesse che mi succederanno nell’ufficio e tutte le sorelle siano tenute ad osservarla inviolabilmente fino alla fine: 12 a non accettare, cioè, né avere possedimenti o proprietà né da sé, né per mezzo di interposta persona, 13 e neppure cosa alcuna che possa con ragione essere chiamata proprietà, 14 se non quel tanto di terra richiesto dalla necessità, per la convenienza e l’isolamento del monastero; 15 ma quella terra sia coltivata solo a orto per il loro sostentamento.

VII. DEL MODO DI LAVORARE

[2792]    1 Le sorelle alle quali il Signore ha dato la grazia di lavorare, lavorino, dopo l’ora di terza, applicandosi a lavori decorosi e di comune utilità, con fedeltà e devozione, 2 in modo tale che, bandito l’ozio, nemico dell’anima, non estinguano lo spirito (Cfr. 1Ts 5,19) della santa orazione e devozione, al quale tutte le altre cose temporali devono servire.

[2793]    3 E l’abbadessa o la sua vicaria sia tenuta ad assegnare in capitolo, davanti a tutte, il lavoro che ciascuna dovrà svolgere con le proprie mani. 4 Ci si comporti allo stesso modo quando qualche persona mandasse delle elemosine, affinché si preghi in comune per lei. 5 E tutte queste cose vengano distribuite dall’abbadessa o dalla sua vicaria col consiglio delle discrete a comune utilità.

VIII.  CHE LE SORELLE NON SI APPROPRINO DI NULLA.  DEL CHIEDERE L’ELEMOSINA E DELLE SORELLE AMMALATE


[2795]    1 Le sorelle non si approprino di nulla, né della casa, né del luogo, né d’alcuna cosa, 2 e come pellegrine e forestiere (Cfr. Sal 38,13; 1Pt 2,11) in questo mondo, servendo al Signore in povertà e umiltà con fiducia mandino per la elemosina. 3 E non devono vergognarsi, poiché il Signore si fece per noi povero (Cfr. 2Cor 8,9) in questo mondo. 4 E questo quel vertice dell’altissima povertà (Cfr. 2Cor 8,2), che ha costituto voi, sorelle mie carissime, eredi e regine del regno dei cieli (Cfr.Mt 5,3; Lc 6,20), vi ha reso povere di sostanze, ma ricche di Virtù. 5 Questa sia la vostra parte di eredità, che introduce nella terra dei viventi (Cfr. Sal 141,6). 6 Aderendo totalmente ad essa, non vogliate mai, sorelle dilettissime, avere altro sotto il cielo, per amore del Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre.

[2796]    Non sia lecito ad alcuna sorella mandare lettere, o ricevere o dare cosa alcuna fuori del monastero, senza licenza dell’abbadessa. 8 Né sia lecito tenere cosa alcuna che non sia stata data o permessa dall’abbadessa. 9 Che se le venga mandato qualche cosa dai parenti o da altri, l’abbadessa gliela faccia consegnare. 10 La sorella poi, se ne ha bisogno, la possa usare; se no, né faccia parte caritatevolmente alla sorella che ne ha bisogno. 11 Se poi le fosse stato mandato del denaro, l’abbadessa, con consiglio delle discrete, le faccia procurare ciò di cui ha bisogno.

[2797]    12 Riguardo alle sorelle ammalate, l’abbadessa sia fermamente tenuta, da sé e per mezzo delle altre sorelle, a informarsi con sollecitudine di quanto richiede la loro infermità, sia quanto a consigli, sia quanto ai cibi ed alle altre necessità, 13 e a provvedere con carità e misericordia, secondo la possibilità del luogo. 14 Poiché tutte sono tenute a provvedere e a servire le loro sorelle ammalate, come vorrebbero essere servite esse stesse nel caso che incorressero in qualche infermità.

[2798]    15 L’una manifesti all’altra con confidenza la sua necessità. 16 E se una madre ama e nutre la sua figlia carnale, con quanta maggiore cura deve una sorella amare e nutrire la sua sorella spirituale!

[2799]    17 Quelle che sono inferme, potranno usare pagliericci e avere guanciali di piuma sotto il capo; 18 e quelle che hanno bisogno di calze e di materasso di lana, ne possano usare. 19 Le suddette inferme, poi, quando vengono visitate da quelli che entrano nel monastero, possano, ciascuna per proprio conto, rispondere brevemente con qualche buona parola a chi rivolge loro la parola.

[2800]    20 Le altre sorelle, invece, che pur ne hanno licenza, non ardiscano parlare a quelli che entrano nel monastero, se non alla presenza e ascoltate da due discrete, designate dalI’abbadessa o dalla sua vicaria. 21 Questa forma nel parlare siano tenute ad osservarla anche l’abbadessa e la sua vicaria.

IX.  DELLA PENITENZA A IMPORRE ALLE SORELLE CHE PECCANO,  E DELLE SORELLE HE PRESTANO SERVIZIO FUORI DEL MONASTERO


[2801]    1 Se qualche sorella, per istigazione del nemico, avrà peccato mortalmente contro la forma della nostra professione e, ammonita due o tre volte dall’abbadessa o da altre sorelle, 2 non si sarà emendata, mangi per terra pane e acqua in refettorio, alla presenza di tutte le sorelle, tanti giorni quanti sarà stata contumace, 3 e, se l’abbadessa lo riterrà necessario, sia sottoposta a pena anche più grave. 4 Frattanto, finché rimarrà ostinata, si preghi affinché il Signore disponga il suo cuore a penitenza.

[2802]    5 Tuttavia, l’abbadessa e le sue sorelle si guardino dallo adirarsi e turbarsi per il peccato di alcuna, 6 perché l’ira e il turbamento impediscono la carità in se stesse e nelle altre.

[2803]    7 Se accadesse, il che non sia, che fra una sorella e l’altra sorgesse talvolta, a motivo di parole o di segni, occasione di turbamento e di scandalo, 8 quella che fu causa di turbamento, subito, prima di offrire davanti a Dio l’offerta (Cfr. Mt 5,23) della sua orazione, non soltanto si getti umilmente ai piedi dell’altra domandando perdono, 9 ma anche con semplicità la preghi di intercedere per lei presso il Signore perché la perdoni. 10 L’altra poi, memore di quella parola del Signore: “Se non perdonerete di cuore, nemmeno il Padre vostro celeste perdonerà voi (Cfr. Mt 6,15; 18,35), 11 perdoni generosamente alla sua sorella ogni offesa fattale”.

[2804]    12 Le sorelle che prestano servizio fuori del monastero, non rimangano a lungo fuori, se non lo richieda una causa di manifesta necessità. 13 E devono andare per la via con onestà e parlare poco, affinché possano essere sempre motivo di edificazione per quanti le vedono. 14 E si guardino fermamente dall’avere rapporti o incontri sospetti con alcuno. 15 Né facciano da madrine a uomini e a donne, affinché per queste occasioni non nasca mormorazione o turbamento.

[2805]    16 Non ardiscano riportare in monastero le chiacchiere del mondo. 17 E di quanto si dice o si fa dentro siano tenute a non riferire fuori dal monastero nulla che possa provocare scandalo. 18 Se capitasse a qualcuna di mancare in queste due cose, per semplicità, spetta alla prudenza dell’abbadessa imporle con misericordia la penitenza. 19 Se invece lo facesse per cattiva consuetudine, l’abbadessa, secondo la qualità della colpa, col consiglio delle discrete imponga una penitenza.

X.  DELLA AMMONIZIONE E CORREZIONE DELLE SORELLE

[2806]    1 L’abbadessa ammonisca e visiti le sorelle e le corregga con umiltà e carità, non comandando loro cosa alcuna che sia contro la sua anima e la forma della nostra professione.

[2807]    2 Le sorelle suddite, poi, ricordino che hanno rinunciato alla propria volontà per amore di Dio. 3 Quindi siano fermamente tenute a obbedire alle loro abbadesse in tutte le cose che hanno promesso al Signore di osservare e che non sono contrarie all’anima e alla nostra professione.

[2808]    4 L’abbadessa poi, usi verso di loro tale familiarità che possano parlarle e trattare con lei come usano le padrone con la propria serva, 5 poiché così deve essere, che l’abbadessa sia la serva di tutte le sorelle.

[2809]    6 Ammonisco poi, ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino le sorelle da ogni superbia, vanagloria, invidia, avarizia (Cfr. Lc 12,15), cura e sollecitudine di questo mondo (Cfr. Mt 13,22; Lc 21,34), dalla detrazione e mormorazione, dalla discordia e divisione.

[2810]    7 Siano invece sollecite di conservare sempre reciprocamente l’unità della scambievole carità, che è il vincolo della perfezione (Col 3,14).

[2811]    8 E quelle che non sanno di lettere, non si curino di apprenderle, 9 ma attendano a ciò che soprattutto debbono desiderare: avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, 10 a pregarlo sempre con cuore puro e ad avere umiltà, pazienza nella tribulazione e nella infermità, 11 e ad amare quelli che ci perseguitano, riprendono e accusano, 12 perché dice il Signore: “Beati quelli che soffrono persecuzione a causa della giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,10). 13 Chi persevererà fino alla fine, questi sarà salvo (Mt 10,22)”.

XI. DELLA CUSTODIA DELLA CLAUSURA

[2812]    1 La portinaia sia matura come condotta e prudente, e sia di età conveniente. Di giorno rimanga ivi in una cella aperta, senza uscio. 2 Le si assegni anche una compagna idonea, la quale, la quale quando ci sarà bisogno, faccia in tutto le sue veci.

[2813]    3 La porta sia ben difesa da due differenti serrature in ferro, da imposte e chiavistelli, 4 affinché, specialmente di notte, sia chiusa con due chiavi, una delle quali la tenga la portinaia, l’altra l’abbadessa. 5 E di giorno non si lasci mai senza custodia e sia stabilmente chiusa a chiave. 6 Badino poi, con ogni diligenza e procurino che la porta non rimanga mai aperta, se non il minimo possibile secondo la convenienza. 7 E non si apra affatto a chiunque voglia entrare, ma solo a coloro cui sia stato concesso dal sommo pontefice o dal nostro signor cardinale.

[2814]    8 E non permettano che alcuno entri in monastero prima della levata del sole, né vi rimanga dopo il tramonto, se non l’esiga una causa manifesta, ragionevole e inevitabile. 9 Qualora per la benedizione dell’abbadessa, o per la consacrazione a monaca di qualche sorella, o per qualche altro motivo, venga concesso a qualche vescovo di celebrare la Messa nell’interno del monastero, si accontenti del minor numero possibile di compagni e ministri che siano di buona fama.

[2815]    10 Quando poi fosse necessario introdurre nel monastero qualcuno per compiervi dei lavori, l’abbadessa con sollecitudine ponga alla porta una persona adatta, 11 che apra solo agli addetti ai lavori e non ad altri. 12 Tutte le sorelle si guardino, allora, con somma diligenza, che non siano vedute da coloro che entrano.

XII.  DEL VISITATORE, DEL CAPPELLANO DEL CARDINALE PROTETTORE

[2816]    1 Il nostro visitatore sia sempre dell’Ordine dei frati minori, secondo la volontà e il mandato del nostro cardinale. 2 E sia tale che ne conosca bene l’integrità di vita. 3 Sarà suo compito correggere, tanto nel capo che nelle membra, le mancanze commesse contro la forma della nostra professione. 4 Egli stando in luogo pubblico, donde possa essere veduto dalle altre, potrà parlare a molte o a ciascuna in particolare, secondo riterrà più conveniente, di ciò che spetta all’ufficio della visita.

[2817]    5 Chiediamo anche in grazia, allo stesso Ordine, un cappellano con un compagno chierico, di buona fama, discreto e prudente, e due frati laici, amanti del vivere santo e onesto, 6 in aiuto alla nostra povertà, come abbiamo avuto sempre misericordiosamente dal predetto Ordine dei frati minori; 7 e questo per amore di Dio e del beato Francesco.

[2818]    8 Al cappellano non sia lecito entrare in monastero senza il compagno. 9 Ed entrando, stiano in luogo pubblico, così che possano vedersi l’un l’altro ed essere veduti dagli altri. 10 È loro lecito entrare per la confessione delle inferme che non potessero recarsi in parlatorio, per comunicare le medesime, per l’Unzione degli infermi, per la raccomandazione dell’anima. 11 Per le esequie poi, e le messe solenni dei defunti, o per scavare o aprire la sepoltura, o anche per rassettarla, possono entrare persone idonee a sufficienza, secondo il prudente giudizio dell’abbadessa.

[2819]    12 Inoltre le sorelle siano fermamente tenute ad avere sempre come governatore, protettore e correttore, quel cardinale della santa Chiesa romana che sarà stato assegnato ai frati minori dal Signor papa; 13 affinché suddite sempre e soggette ai piedi della stessa santa Chiesa, salde nella fede (Cfr. Col 1,23) cattolica, osserviamo in perpetuo la povertà e l’umiltà del Signore nostro Gesù Cristo e della santissima Madre, e il santo Vangelo, come abbiamo fermamente promesso Amen.

[2821]    14 Dato a Perugia, il 16 settembre, l’anno decimo del pontificato del signor papa Innocenzo IV.

[2822]    15 Pertanto a nessuno sia lecito invalidare questa scrittura della nostra conferma od opporvisi temerariamente. 16 Se qualcuno poi presumerà di attentarlo, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio onnipotente e dei suoi beati apostoli Pietro e Paolo.
Dato in Assisi, il 9 agosto, l’anno undicesimo del nostro pontificato.


19-46 Agosto 12, 1926 Il Voler Divino non può regnare se le tre potenze dell’anima non sono ordinate con Dio.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Le privazioni del mio dolce Gesù si vanno facendo più lunghe. Oh! come mi fa spasimare il suo ritorno! come le ore, i giorni compariscono secoli senza di Lui! ma secoli di notte, non di giorni! Onde, mentre stavo con ansie aspettando il suo ritorno, come lampo che sorge è uscito da dentro il mio interno e stringendomi a Sé mi ha detto:

(2) “Figlia mia, l’uomo fu creato da Dio con tre potenze: Memoria, intelletto e volontà, e questo perché potesse tenere i vincoli di comunicazione con le Divine Persone della Trinità Sacrosanta; queste erano come vie per salire a Dio, come porte per entrare, come stanze per formare il continuo soggiorno, la creatura a Dio, Dio alla creatura; queste sono le vie regali dell’uno e dell’altro, le porte d’oro che Iddio mise nel fondo dell’anima per poter entrare la Sovranità Suprema della Maestà Divina, la stanza sicura ed incrollabile dove Iddio doveva fare il suo celeste soggiorno. Ora, la mia Volontà, per poter formare il suo Regno nell’intimo dell’anima, vuol trovare in ordine al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo queste tre potenze date alla creatura per elevarla alla somiglianza del suo Creatore. La mia Volontà non uscirebbe fuori dai suoi domini se queste tre potenze dell’anima stessero in ordine a Dio, ed il suo regnare sarebbe felice e come connaturale, perché con lo stare in ordine a Dio queste tre potenze, terrebbe l’ordine in sé stessi e fuori di sé, ed il Regno della Volontà di Dio e quello della creatura non sarebbe un Regno diviso, ma uno solo, e quindi il suo dominio ed il suo regime sarebbe uno solo. Molto più che la mia Volontà non sa regnare dove non c’è ordine e armonia, inseparabile qualità e proprietà indispensabile delle Divine Persone, e l’anima mai può essere ordinata e armonizzare col suo Creatore se non tiene le sue tre potenze aperte per ricevere da Dio le sue qualità ordinate, e le sue proprietà armonizzate, in modo che la mia Volontà trovando le armonie divine e l’ordine supremo del Regno Divino e del regno umano, ne forma uno solo e vi regna col suo pieno dominio. Ah! figlia mia, quanto disordine vi regna nelle tre potenze dell’anima umana, si può dire che ci hanno serrato le porte in faccia, hanno barricato le vie per impedirci il passo e spezzare con Noi le comunicazioni, mentre fu il dono più grande che gli facemmo nel crearla. Queste tre potenze dovevano servire per comprendere Colui che l’aveva creato, per crescere a sua somiglianza e trasfusa la sua volontà in quella del suo Creatore dargli il diritto di farla regnare. Ecco perciò che il Supremo Volere non può regnare nell’anima se queste tre potenze, intelletto, memoria e volontà, non si danno la mano tra loro per ritornare allo scopo per cui Iddio l’ha creato. Perciò, prega affinché queste tre potenze ritornino nell’ordine e nell’armonia del loro Creatore, per poter il mio Supremo Volere regnare col suo pieno trionfo”.