Liturgia delle Ore - Letture
Sabato della 5° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Matteo 17
1Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte.2E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce.3Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.4Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: "Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia".5Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo".6All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore.7Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: "Alzatevi e non temete".8Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo.
9E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: "Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti".
10Allora i discepoli gli domandarono: "Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?".11Ed egli rispose: "Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa.12Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, l'hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro".13Allora i discepoli compresero che egli parlava di Giovanni il Battista.
14Appena ritornati presso la folla, si avvicinò a Gesù un uomo15che, gettatosi in ginocchio, gli disse: "Signore, abbi pietà di mio figlio. Egli è epilettico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e spesso anche nell'acqua;16l'ho già portato dai tuoi discepoli, ma non hanno potuto guarirlo".17E Gesù rispose: "O generazione incredula e perversa! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatemelo qui".18E Gesù gli parlò minacciosamente, e il demonio uscì da lui e da quel momento il ragazzo fu guarito.
19Allora i discepoli, accostatisi a Gesù in disparte, gli chiesero: "Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?".20Ed egli rispose: "Per la vostra poca fede. In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile.21Questa razza di demòni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno".
22Mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse loro: "Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini23e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà". Ed essi furono molto rattristati.
24Venuti a Cafàrnao, si avvicinarono a Pietro gli esattori della tassa per il tempio e gli dissero: "Il vostro maestro non paga la tassa per il tempio?".25Rispose: "Sì". Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: "Che cosa ti pare, Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri?".26Rispose: "Dagli estranei". E Gesù: "Quindi i figli sono esenti.27Ma perché non si scandalizzino, va' al mare, getta l'amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d'argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te".
Genesi 19
1I due angeli arrivarono a Sòdoma sul far della sera, mentre Lot stava seduto alla porta di Sòdoma. Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra.2E disse: "Miei signori, venite in casa del vostro servo: vi passerete la notte, vi laverete i piedi e poi, domattina, per tempo, ve ne andrete per la vostra strada". Quelli risposero: "No, passeremo la notte sulla piazza".3Ma egli insistette tanto che vennero da lui ed entrarono nella sua casa. Egli preparò per loro un banchetto, fece cuocere gli azzimi e così mangiarono.4Non si erano ancora coricati, quand'ecco gli uomini della città, cioè gli abitanti di Sòdoma, si affollarono intorno alla casa, giovani e vecchi, tutto il popolo al completo.5Chiamarono Lot e gli dissero: "Dove sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Falli uscire da noi, perché possiamo abusarne!".6Lot uscì verso di loro sulla porta e, dopo aver chiuso il battente dietro di sé,7disse: "No, fratelli miei, non fate del male!8Sentite, io ho due figlie che non hanno ancora conosciuto uomo; lasciate che ve le porti fuori e fate loro quel che vi piace, purché non facciate nulla a questi uomini, perché sono entrati all'ombra del mio tetto".9Ma quelli risposero: "Tirati via! Quest'individuo è venuto qui come straniero e vuol fare il giudice! Ora faremo a te peggio che a loro!". E spingendosi violentemente contro quell'uomo, cioè contro Lot, si avvicinarono per sfondare la porta.10Allora dall'interno quegli uomini sporsero le mani, si trassero in casa Lot e chiusero il battente;11quanto agli uomini che erano alla porta della casa, essi li colpirono con un abbaglio accecante dal più piccolo al più grande, così che non riuscirono a trovare la porta.
12Quegli uomini dissero allora a Lot: "Chi hai ancora qui? Il genero, i tuoi figli, le tue figlie e quanti hai in città, falli uscire da questo luogo.13Perché noi stiamo per distruggere questo luogo: il grido innalzato contro di loro davanti al Signore è grande e il Signore ci ha mandati a distruggerli".14Lot uscì a parlare ai suoi generi, che dovevano sposare le sue figlie, e disse: "Alzatevi, uscite da questo luogo, perché il Signore sta per distruggere la città!". Ma parve ai suoi generi che egli volesse scherzare.15Quando apparve l'alba, gli angeli fecero premura a Lot, dicendo: "Su, prendi tua moglie e le tue figlie che hai qui ed esci per non essere travolto nel castigo della città".16Lot indugiava, ma quegli uomini presero per mano lui, sua moglie e le sue due figlie, per un grande atto di misericordia del Signore verso di lui; lo fecero uscire e lo condussero fuori della città.17Dopo averli condotti fuori, uno di loro disse: "Fuggi, per la tua vita. Non guardare indietro e non fermarti dentro la valle: fuggi sulle montagne, per non essere travolto!".18Ma Lot gli disse: "No, mio Signore!19Vedi, il tuo servo ha trovato grazia ai tuoi occhi e tu hai usato una grande misericordia verso di me salvandomi la vita, ma io non riuscirò a fuggire sul monte, senza che la sciagura mi raggiunga e io muoia.20Vedi questa città: è abbastanza vicina perché mi possa rifugiare là ed è piccola cosa! Lascia che io fugga lassù - non è una piccola cosa? - e così la mia vita sarà salva".21Gli rispose: "Ecco, ti ho favorito anche in questo, di non distruggere la città di cui hai parlato.22Presto, fuggi là perché io non posso far nulla, finché tu non vi sia arrivato". Perciò quella città si chiamò Zoar.
23Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Zoar,24quand'ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore.25Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo.26Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale.
27Abramo andò di buon mattino al luogo dove si era fermato davanti al Signore;28contemplò dall'alto Sòdoma e Gomorra e tutta la distesa della valle e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace.
29Così, quando Dio distrusse le città della valle, Dio si ricordò di Abramo e fece sfuggire Lot alla catastrofe, mentre distruggeva le città nelle quali Lot aveva abitato.
30Poi Lot partì da Zoar e andò ad abitare sulla montagna, insieme con le due figlie, perché temeva di restare in Zoar, e si stabilì in una caverna con le sue due figlie.31Ora la maggiore disse alla più piccola: "Il nostro padre è vecchio e non c'è nessuno in questo territorio per unirsi a noi, secondo l'uso di tutta la terra.32Vieni, facciamo bere del vino a nostro padre e poi corichiamoci con lui, così faremo sussistere una discendenza da nostro padre".33Quella notte fecero bere del vino al loro padre e la maggiore andò a coricarsi con il padre; ma egli non se ne accorse, né quando essa si coricò, né quando essa si alzò.34All'indomani la maggiore disse alla più piccola: "Ecco, ieri io mi sono coricata con nostro padre: facciamogli bere del vino anche questa notte e va' tu a coricarti con lui; così faremo sussistere una discendenza da nostro padre".35Anche quella notte fecero bere del vino al loro padre e la più piccola andò a coricarsi con lui; ma egli non se ne accorse, né quando essa si coricò, né quando essa si alzò.36Così le due figlie di Lot concepirono dal loro padre.37La maggiore partorì un figlio e lo chiamò Moab. Costui è il padre dei Moabiti che esistono fino ad oggi.38Anche la più piccola partorì un figlio e lo chiamò "Figlio del mio popolo". Costui è il padre degli Ammoniti che esistono fino ad oggi.
Proverbi 18
1Chi si tiene appartato cerca pretesti
e con ogni mezzo attacca brighe.
2Lo stolto non ama la prudenza,
ma vuol solo far mostra dei suoi sentimenti.
3Con l'empietà viene il disprezzo,
con il disonore anche l'ignominia.
4Le parole della bocca dell'uomo sono acqua profonda,
la fonte della sapienza è un torrente che straripa.
5Non è bene usar riguardi all'empio
per far torto al giusto in un giudizio.
6Le labbra dello stolto provocano liti
e la sua bocca gli provoca percosse.
7La bocca dello stolto è la sua rovina
e le sue labbra sono un laccio per la sua vita.
8Le parole del calunniatore sono come ghiotti bocconi
che scendono in fondo alle viscere.
9Chi è indolente nel lavoro è fratello del dissipatore.
10Torre fortissima è il nome del Signore:
il giusto vi si rifugia ed è al sicuro.
11I beni del ricco sono la sua roccaforte,
come un'alta muraglia, a suo parere.
12Prima della caduta il cuore dell'uomo si esalta,
ma l'umiltà viene prima della gloria.
13Chi risponde prima di avere ascoltato
mostra stoltezza a propria confusione.
14Lo spirito dell'uomo lo sostiene nella malattia,
ma uno spirito afflitto chi lo solleverà?
15La mente intelligente acquista la scienza,
l'orecchio dei saggi ricerca il sapere.
16Il dono fa largo all'uomo
e lo introduce alla presenza dei grandi.
17Il primo a parlare in una lite sembra aver ragione,
ma viene il suo avversario e lo confuta.
18La sorte fa cessar le discussioni
e decide fra i potenti.
19Un fratello offeso è più irriducibile d'una roccaforte,
le liti sono come le sbarre di un castello.
20Con la bocca l'uomo sazia il suo stomaco,
egli si sazia con il prodotto delle labbra.
21Morte e vita sono in potere della lingua
e chi l'accarezza ne mangerà i frutti.
22Chi ha trovato una moglie ha trovato una fortuna,
ha ottenuto il favore del Signore.
23Il povero parla con suppliche,
il ricco risponde con durezza.
24Ci sono compagni che conducono alla rovina,
ma anche amici più affezionati di un fratello.
Salmi 33
1Esultate, giusti, nel Signore;
ai retti si addice la lode.
2Lodate il Signore con la cetra,
con l'arpa a dieci corde a lui cantate.
3Cantate al Signore un canto nuovo,
suonate la cetra con arte e acclamate.
4Poiché retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
5Egli ama il diritto e la giustizia,
della sua grazia è piena la terra.
6Dalla parola del Signore furono fatti i cieli,
dal soffio della sua bocca ogni loro schiera.
7Come in un otre raccoglie le acque del mare,
chiude in riserve gli abissi.
8Tema il Signore tutta la terra,
tremino davanti a lui gli abitanti del mondo,
9perché egli parla e tutto è fatto,
comanda e tutto esiste.
10Il Signore annulla i disegni delle nazioni,
rende vani i progetti dei popoli.
11Ma il piano del Signore sussiste per sempre,
i pensieri del suo cuore per tutte le generazioni.
12Beata la nazione il cui Dio è il Signore,
il popolo che si è scelto come erede.
13Il Signore guarda dal cielo,
egli vede tutti gli uomini.
14Dal luogo della sua dimora
scruta tutti gli abitanti della terra,
15lui che, solo, ha plasmato il loro cuore
e comprende tutte le loro opere.
16Il re non si salva per un forte esercito
né il prode per il suo grande vigore.
17Il cavallo non giova per la vittoria,
con tutta la sua forza non potrà salvare.
18Ecco, l'occhio del Signore veglia su chi lo teme,
su chi spera nella sua grazia,
19per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
20L'anima nostra attende il Signore,
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
21In lui gioisce il nostro cuore
e confidiamo nel suo santo nome.
22Signore, sia su di noi la tua grazia,
perché in te speriamo.
Isaia 60
1Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
2Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra,
nebbia fitta avvolge le nazioni;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
3Cammineranno i popoli alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
4Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.
5A quella vista sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché le ricchezze del mare si riverseranno su di te,
verranno a te i beni dei popoli.
6Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Madian e di Efa,
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.
7Tutti i greggi di Kedàr si raduneranno da te,
i montoni dei Nabatei saranno a tuo servizio,
saliranno come offerta gradita sul mio altare;
renderò splendido il tempio della mia gloria.
8Chi sono quelle che volano come nubi
e come colombe verso le loro colombaie?
9Sono navi che si radunano per me,
le navi di Tarsis in prima fila,
per portare i tuoi figli da lontano,
con argento e oro,
per il nome del Signore tuo Dio,
per il Santo di Israele che ti onora.
10Stranieri ricostruiranno le tue mura,
i loro re saranno al tuo servizio,
perché nella mia ira ti ho colpito,
ma nella mia benevolenza ho avuto pietà di te.
11Le tue porte saranno sempre aperte,
non si chiuderanno né di giorno né di notte,
per lasciar introdurre da te le ricchezze dei popolie i loro re che faranno da guida.
12Perché il popolo e il regno
che non vorranno servirti periranno
e le nazioni saranno tutte sterminate.
13La gloria del Libano verrà a te,
cipressi, olmi e abeti insieme,
per abbellire il luogo del mio santuario,
per glorificare il luogo dove poggio i miei piedi.
14Verranno a te in atteggiamento umile
i figli dei tuoi oppressori;
ti si getteranno proni alle piante dei piedi
quanti ti disprezzavano.
Ti chiameranno Città del Signore,
Sion del Santo di Israele.
15Dopo essere stata derelitta,
odiata, senza che alcuno passasse da te,
io farò di te l'orgoglio dei secoli,
la gioia di tutte le generazioni.
16Tu succhierai il latte dei popoli,
succhierai le ricchezze dei re.
Saprai che io sono il Signore tuo salvatore
e tuo redentore, io il Forte di Giacobbe.
17Farò venire oro anziché bronzo,
farò venire argento anziché ferro,
bronzo anziché legno,
ferro anziché pietre.
Costituirò tuo sovrano la pace,
tuo governatore la giustizia.
18Non si sentirà più parlare di prepotenza nel tuo paese,
di devastazione e di distruzione entro i tuoi confini.
Tu chiamerai salvezza le tue mura
e gloria le tue porte.
19Il sole non sarà più la tua luce di giorno,
né ti illuminerà più
il chiarore della luna.
Ma il Signore sarà per te luce eterna,
il tuo Dio sarà il tuo splendore.
20Il tuo sole non tramonterà più
né la tua luna si dileguerà,
perché il Signore sarà per te luce eterna;
saranno finiti i giorni del tuo lutto.
21Il tuo popolo sarà tutto di giusti,
per sempre avranno in possesso la terra,
germogli delle piantagioni del Signore,
lavoro delle sue mani per mostrare la sua gloria.
22Il piccolo diventerà un migliaio,
il minimo un immenso popolo;
io sono il Signore:
a suo tempo, farò ciò speditamente.
Lettera ai Colossesi 3
1Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio;2pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra.3Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio!4Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria.
5Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria,6cose tutte che attirano l'ira di Dio su coloro che disobbediscono.7Anche voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi vizi.8Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca.9Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell'uomo vecchio con le sue azioni10e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore.11Qui non c'è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti.
12Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza;13sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi.14Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione.15E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti!
16La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali.17E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre.
18Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come si conviene nel Signore.19Voi, mariti, amate le vostre mogli e non inaspritevi con esse.20Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore.21Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino.22Voi, servi, siate docili in tutto con i vostri padroni terreni; non servendo solo quando vi vedono, come si fa per piacere agli uomini, ma con cuore semplice e nel timore del Signore.23Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini,24sapendo che come ricompensa riceverete dal Signore l'eredità. Servite a Cristo Signore.25Chi commette ingiustizia infatti subirà le conseguenze del torto commesso, e non v'è parzialità per nessuno.
Capitolo XXII: Riconoscere i molti e vari benefici di Dio
Leggilo nella Biblioteca1. Introduci, o Signore, il mio cuore nella tua legge e insegnami a camminare nei tuoi precetti. Fa' che io comprenda la tua volontà; fa' che, con grande reverenza e con attenta riflessione, io mi rammenti, uno per uno e tutti insieme, i tuoi benefici, così che sappia rendertene degne grazie. Per altro, so bene e confesso di non potere, neppure minimamente, renderti i dovuti ringraziamenti di lode. Ché io sono inferiore a tutti i beni che mi sono stati concessi. Quando penso alla tua altezza, il mio spirito viene meno di fronte a questa immensità. Tutto ciò che abbiamo, nello spirito e nel corpo, tutto ciò che possediamo, fuori di noi e dentro di noi, per natura e per grazia, tutto è tuo dono; e sta a celebrare la benevolenza, la misericordia e la bontà di colui, da cui riceviamo ogni bene. Che se uno riceve di più e un altro di meno, tutto è pur sempre tuo: senza di te, non possiamo avere neppure la più piccola cosa. Da un lato, chi riceve di più non può vantarsene come di un suo merito, né innalzarsi sugli altri e schernire chi ha di meno. Più grande e più santo è, infatti, colui che fa minor conto di se stesso e ringrazia Dio con maggiore umiltà e devozione; più pronto a ricevere maggiormente è colui che si ritiene più disprezzabile di tutti e si giudica più indegno. D'altro lati, chi riceve di meno non deve rattristarsi, non deve indignarsi o nutrire invidia per chi ha avuto di più; deve piuttosto guardare a te e lodare grandemente la tua bontà, perché tu largisci i tuoi doni con tanta abbondanza e benevolenza, "senza guardare alle persone" (1Pt 1,17).
2. Tutto viene da te. Che tu sia, dunque, lodato per ogni cosa. Quello che sia giusto concedere a ciascuno, lo sai tu. Perché uno abbia di meno e un altro di più, non possiamo comprenderlo noi, ma solo tu, presso cui sono stabilmente definiti i meriti di ciascuno. Per questo, o Signore Iddio, io considero un grande dono anche il non avere molte di quelle cose, dalle quali vengono lodi e onori dall'esterno, secondo il giudizio umano. Così, guardando alla sua povertà, e alla nullità della sua persona, nessuno ne tragga un senso di oppressione, di tristezza e di abbattimento, ma invece ne tragga consolazione e grande serenità; perché i poveri e coloro che stanno in basso, disprezzati dal mondo, tu, o Dio, li hai scelti come tuoi intimi amici. Una prova di questo è data dai tuoi apostoli. Tu li hai posti come "principi su tutta la terra" (Sal 44,17); e tuttavia essi passarono in questo mondo senza un lamento: tanto umili e semplici, tanto lontani da ogni astuzia e malizia, che trovarono gioia anche nel sopportare oltraggi "a causa del tuo nome" (At 5,41), abbracciando con grande slancio quello da cui il mondo rifugge. Colui che ti ama, colui che apprezza i tuoi doni di nulla deve esser lieto quanto di realizzare in sé la tua volontà e il comando dei tuoi eterni decreti. Solo nel tuo volere egli deve trovare appagamento e consolazione, tanto da desiderare di essere il più piccolo, con lo stesso slancio con il quale altri può desiderare di essere il più grande. Colui che ti ama deve trovare pace e contentezza nell'ultimo posto, come nel primo; deve accettare di buon grado sia di essere disprezzato e messo in disparte, senza gloria e senza fama, sia di essere onorato al di sopra degli altri e di emergere nel mondo. Invero, il desiderio di fare la tua volontà e di rendere gloria a te deve prevalere in lui su ogni altra cosa, consolandolo e allietandolo più di tutti i doni che gli siano stati dati o gli possano essere dati.
La dottrina cristiana - Libro terzo
La Dottrina Cristiana - Sant'Agostino d'Ippona
Leggilo nella BibliotecaAmmonimento introduttivo.
1. 1. La persona timorata di Dio cerca diligentemente nelle Sacre Scritture la volontà divina. Mansueto nella sua pietà, non ama i litigi; fornito della conoscenza delle lingue, non rimane incastrato in parole e locuzioni sconosciute; fornito anche della conoscenza di certe cose necessarie, non ignora la forza e l'indole delle medesime quando vengono usate come paragone. Si lascia anche aiutare dall'esattezza dei codici ottenuta mediante una solerte diligenza nella loro emendazione. Chi è così equipaggiato venga pure ad esaminare e risolvere i passi ambigui della Scrittura. Per non essere tratto in inganno da segni ambigui, per quanto possibile, si lascerà equipaggiare anche da noi. Potrà, è vero, succedere che egli, o per l'acutezza del suo ingegno o per la lucidità derivatagli da un'illuminazione superiore, derida come puerili le vie che nelle presenti pagine gli vogliamo mostrare. Tuttavia, come avevo cominciato a dire, nella misura che può essere istruito da noi, colui che si trova in quello stato d'animo che gli consenta di ricevere il nostro ammaestramento sappia che la Scrittura può presentare ambiguità sia nelle parole proprie sia in quelle traslate. Di queste due specie di linguaggio abbiamo già trattato nel secondo libro.
Come ovviare all'ambiguità di certi passi scritturali.
2. 2. Quando sono le parole proprie a rendere ambigua la Scrittura, per prima cosa bisogna vedere se per caso non abbiamo distinto male o mal pronunciato la frase. Che se, nonostante l'attenzione prestata, lo studioso si avvede chiaramente essere incerto il modo di distinguere o di pronunziare, consulti la regola della fede che ha ottenuto attraverso i passi scritturali più facili o mediante l'autorità della Chiesa, come abbiamo esposto nel primo libro parlando delle cose. Se poi tutte e due o tutte quante le parti (quando sono più di due) suonano ambigue a tenore della fede, occorre consultare il testo stesso del discorso nelle parti precedenti e in quelle susseguenti, che contengono in mezzo il passo con ambiguità, perché possiamo vedere a quale interpretazione, delle molte che si presentano, vada la preferenza per essere più strettamente inserita nel contesto.
Badare alla punteggiatura per evitare ambiguità.
2. 3. Per ora considera degli esempi. Gli eretici così distinguono la frase: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e Dio era, sicché viene a cambiarsi il senso del verso successivo in: Questo Verbo era in principio presso Dio, e chi dice così non vuol confessare che il Verbo è Dio. Ma una tale lettura deve essere scartata a tenore della regola della fede, in forza della quale ci si impone l'uguaglianza nella Trinità, per cui dobbiamo leggere: E il Verbo era Dio e poi proseguiamo: Egli era in principio presso Dio 1.
Esempi illustrativi.
2. 4. Ecco ora un'altra ambiguità di distinzione che in nessuna delle due parti si oppone alla fede, e pertanto la si deve valutare dal tenore stesso del discorso. E' là dove l'Apostolo dice: Ciò che dovrei scegliere lo ignoro; sono infatti stretto da due cose: desidero essere sciolto [da questo corpo] ed essere con Cristo, cosa di gran lunga migliore; rimanere però nella carne è necessario per il vostro bene 2. Incerto se si debba leggere: Ho desiderio di due cose o: Da due cose sono stretto, a cui si aggiungerebbe: desiderando d'essere sciolto ed essere con Cristo. Ma poiché continua: Cosa di gran lunga migliore, appare che egli dice di desiderare quella che è di gran lunga migliore, in maniera tale che, essendo stretto fra due cose, di una ha desiderio, dell'altra invece necessità: desiderio di essere con Cristo, necessità di rimanere nella carne. Questa ambiguità viene dissolta dalla parola che segue e che vi è stata aggiunta, cioè infatti. I traduttori che omisero questa paroletta sono stati portati a quella interpretazione che fa sembrare l'Apostolo non solo stretto da due cose ma anche avere desiderio di due cose. Così dunque bisogna separare: E ciò che debba scegliere ignoro; sono stretto però da due cose, alla quale separazione segue: Avendo desiderio di essere sciolto per essere con Cristo. E come se gli si chiedesse perché mai avesse di preferenza un tale desiderio, dice: E' infatti cosa di gran lunga migliore. In che senso allora è stretto da due cose? Perché aveva anche la necessità di rimanere, a proposito della quale soggiunge: Restare però nella carne è necessario per il vostro bene.
Ambiguità di separazione insolubile.
2. 5. Dove l'ambiguità non può essere dissolta né dalla regola della fede né dal testo del discorso in se stesso, nulla si oppone a che la frase venga separata secondo l'una o l'altra delle possibilità che si presentano. Così è di quella frase ai Corinti: Avendo dunque, o carissimi, queste promesse, purifichiamoci da ogni sozzura della carne e dello spirito, realizzando la santificazione nel timore di Dio. Capiteci! Non abbiamo nociuto a nessuno 3. È veramente dubbio se si debba leggere: Purifichiamoci da ogni sozzura della carne e dello spirito, in conformità con la frase: Perché sia santa nel corpo e nello spirito 4, ovvero: Purifichiamoci da ogni sozzura della carne e poi, con senso diverso: E realizziamo la santificazione dello spirito nel timore di Dio. Capiteci! Tali ambiguità di separazione sono lasciate all'arbitrio di chi legge.
Pronunce e accentuazioni dubbie.
3. 6. Quel che abbiamo detto circa l'ambiguità nelle separazioni si deve osservare anche nelle ambiguità di pronuncia. In effetti, anche queste, se non siano viziate da un'eccessiva trascuratezza del lettore si debbono rettificare a tenore delle regole della fede e del contesto antecedente o conseguente del discorso. Se a nessuno dei due motivi si ricorre per ottenere una pronuncia corretta, l'una e l'altra pronuncia resterà dubbia, per cui, in qualsiasi modo il lettore pronunzierà, sarà incolpevole. La fede, ad esempio, ci fa credere che Dio non si erge ad accusatore dei suoi eletti e che Cristo non condanna i suoi eletti. Se non ci dissuadesse questa fede, quel detto [di Paolo] potrebbe pronunciarsi: Chi si farà accusatore degli eletti di Dio? con un tono di interrogazione, a cui segua quasi la risposta: Dio che giustifica. E di nuovo, dopo l'interrogazione: Chi è che condanna? si potrebbe rispondere: Cristo Gesù che è morto 5. Ma siccome questo è quanto di più pazzesco possa pensarsi, lo si dovrà pronunciare in modo che preceda la questione e segua l'interrogazione. Tra questione e interrogazione gli antichi dissero che c'è questa differenza: alla questione si possono dare svariate risposte, mentre nell'interrogazione si può rispondere solo: " No " o " Sì ". Si pronunzierà dunque così. Dopo il quesito con cui chiediamo: Chi si farà accusatore degli eletti di Dio? si pronunzierà in tono interrogativo: Dio che giustifica? e la risposta sarà un sottinteso: " No ". E così dopo il quesito: Chi è che condanna? deve parimenti seguire l'interrogativo: Cristo Gesù che è morto, che anzi è risorto, che è alla destra di Dio e intercede per noi 6? di modo che si risponda sempre con un " No " sottinteso. Diverso è il passo dove dice: Che diremo dunque? Che i pagani che non praticavano la giustizia hanno conquistato la giustizia 7. Se dopo il quesito che suona: Che diremo dunque? non si facesse seguire la risposta [affermativa]: Che le genti che non praticavano la giustizia hanno conquistato la giustizia, la frase conseguente mancherebbe di coesione [con l'antecedente]. Si è invece liberi nel pronunziare l'espressione di Natanaele: Da Nazaret può venire qualcosa di buono 8. Può solo in parte ritenersi affermativa, inserendo nell'interrogazione solo le parole: Da Nazaret? ovvero a tutta la frase può estendersi il dubbio di chi interroga. Non vedo in base a che possa farsi la scelta e, inoltre, quanto al senso, la fede non esclude né l'uno né l'altro.
Il testo e il contesto aiutano a risolvere frasi ambigue.
3. 7. C'è anche un'ambiguità derivante dal suono dubbio delle sillabe, ambiguità che rientra anch'essa nell'ambito della pronuncia. Prendiamo il passo scritturale: A te non è nascosto il mio " os ", che tu hai fatto nel segreto 9. A chi legge non è palese se la sillaba " os " debba pronunziarsi breve o lunga. Se si legge breve, al singolare, deve leggersi nel senso che il suo plurale sia " ossa "; se si legge lunga, è il singolare di quel plurale che è ora (" bocche "). Tali problemi si risolvono guardando alla lingua precedente, e difatti in greco non c'è scritto ma . Ne segue che il più delle volte l'uso popolare di parlare è più utile dell'integrità letterale per darci il senso delle cose. Ed effettivamente io preferirei che, nonostante il barbarismo, si dicesse ossum (non ti è nascosto il mio ossum) anziché la frase, per essere più latina, diventasse meno chiara. A volte però capita che il suono dubbio di una sillaba sia determinato anche da un verbo vicino appartenente alla stessa frase. Così nel detto dell'Apostolo: Riguardo a queste cose vi predico, come già vi ho predetto, che chi fa ciò non possederà il regno di Dio 10. Se avesse soltanto: Riguardo a queste cose vi predico ma non avesse aggiunto: come già vi ho predetto, soltanto col ricorso al codice scritto nella lingua anteriore si sarebbe potuto conoscere se nella parola predico la sillaba di mezzo era da pronunziarsi lunga o breve. Invece è evidente che occorre pronunziarla lunga poiché egli non aggiunge: Come vi ho predicato, ma: Come vi ho predetto.
Esempi di come risolvere frasi ambigue.
4. 8. Allo stesso modo vanno considerate non solo le ambiguità di questo genere ma anche quelle che non riguardano la punteggiatura o la pronuncia. Tale è quella di 1 Tessalonicesi: Per questo ci siamo consolati, o fratelli, in voi 11. È dubbio se si debba leggere: " o fratelli ", ovvero: " i fratelli ". Nessuna delle due lezioni è contraria alla fede; ma la lingua greca non ha identici questi due casi, per cui, stando al greco, si reclama il vocativo, cioè: " o fratelli ". Che se il traduttore avesse voluto mettere: Per questo abbiamo avuto consolazione in voi, o fratelli, sarebbe stato più libero riguardo alla parola ma avrebbe fatto venir meno dubbi sul senso della frase. Così se avesse aggiunto un " nostri ". Nessuno dubiterebbe trattarsi di caso vocativo ascoltando la frase: Per questo ci siamo consolati, o nostri fratelli, in voi. Ma è pericoloso permettere licenze come questa. Lo stesso è accaduto nella 1 Corinzi, dove l'Apostolo dice: Ogni giorno muoio per la vostra gloria, fratelli, che ho in Cristo Gesù 12. Dice infatti un traduttore: Ogni giorno muoio - lo giuro - per la vostra gloria, in quanto la parola indicante giuramento [] è palese né presenta ambiguità. Concludendo: molto raramente e difficilmente si trovano nei libri delle divine Scritture delle ambiguità di parole prese in senso proprio che non si risolvano mediante il contesto del discorso - dal quale si chiarisce l'intenzione dello scrittore - o mediante il confronto con altri traduttori o controllando il passo nella lingua antecedente.
È grande schiavitù dello spirito fermarsi ai segni invece di cercare le cose significate.
5. 9. Viceversa le ambiguità in fatto di parole traslate, di cui dobbiamo parlare d'ora in poi, postulano una cura e diligenza non ordinarie. E prima di tutto occorre stare attenti per non prendere alla lettera un'espressione figurata. A questo infatti dice riferimento il detto dell'Apostolo: La lettera uccide, lo spirito dà vita 13. In realtà, se quanto detto figuratamente lo si prende come detto in senso proprio, si è uomini dai gusti carnali. E nulla merita di più il nome di morte dell'anima che non l'essere schiavi della lettera e così assoggettare alla carne l'intelligenza, vale a dire ciò per cui si è superiori alle bestie. Chi infatti segue la lettera prende la parola traslata in senso proprio, e non è capace di riferire il significato di un termine proprio ad un altro significato. Se, ad esempio, sente parlare di" sabato ", non comprende se non uno dei giorni della settimana che nel loro corso si ripetono continuamente. Se ode " sacrificio ", con il pensiero non va oltre a quello che suol farsi con l'immolazione di animali o l'offerta di frutti della terra. Finalmente è una grande schiavitù dello spirito, che immiserisce l'uomo, prendere i segni in luogo delle cose e non poter elevare gli occhi della mente al di sopra delle creature corporee per attingere la luce eterna.
La lettera uccide, lo Spirito dà vita. Espressioni figurate.
6. 10. Nel popolo giudaico questa schiavitù era ben differente da quella che costumava presso le altre nazioni. Sebbene fossero asserviti alle cose temporali, da queste tuttavia essi sapevano trarre la nozione dell'unico Dio. E sebbene osservassero quel che era solamente simbolo delle realtà spirituali al posto delle realtà in se stesse non sapendo a che cosa si riferissero tali simboli, tuttavia questo avevano ben fisso nella mente: con il loro servizio piacere all'unico Dio di tutti, anche se essi non lo vedevano. Di queste cose scrive l'Apostolo 14 che erano come una prigione per dei piccoli ancora sotto il pedagogo. Ne conseguì che, aderendo con pertinacia a questi segni, quando venne il tempo della rivelazione non poterono tollerare il nostro Signore 15, che non calcolava le loro pratiche. I loro principi inventarono calunnie, poiché egli non osservava il sabato 16, e il popolo, legato a quei segni quasi fossero il significato oggettivo delle cose, non credeva che egli fosse Dio o fosse venuto da Dio, dal momento che si rifiutava di prestare attenzione a quelle cose come venivano praticate dai giudei. Ma quei giudei che abbracciarono la fede e che formarono la primitiva Chiesa di Gerusalemme mostrarono a sufficienza quanti vantaggi si potessero ricavare dall'essere incarcerati in tal modo sotto il pedagogo. I segni imposti temporaneamente a chi era schiavo [della legge] valsero a sollevare il pensiero di quei che la osservavano al culto dell'unico Dio, creatore del cielo e della terra. Difatti nelle stesse promesse e nei segni temporali e carnali, sebbene non sapessero che li si doveva intendere in senso spirituale, tuttavia avevano imparato da essi a venerare l'unico eterno Dio. Orbene, quei credenti che erano molto vicini all'ordine spirituale si trovarono così ben disposti a ricevere lo Spirito Santo che vendevano tutto quello che avevano, ne ponevano il ricavato ai piedi degli Apostoli perché fosse distribuito ai poveri 17 e consacravano totalmente se stessi a Dio a guisa di nuovo tempio, pur essendo ancora asserviti alla sua immagine terrestre, cioè al vecchio tempio.
6. 11. Non è infatti scritto che ciò abbia fatto una qualsiasi altra chiesa del paganesimo, in quanto coloro che avevano per dèi i simulacri fatti da mano d'uomo non si erano trovati altrettanto vicini alla divinità.
Le genti schiave di segni vani.
7. 11. E se talvolta alcuni di loro si sforzavano di intendere come segni quei simulacri, li riferivano al culto e alla venerazione di creature. Per esempio, cosa mi giova il simulacro di Nettuno se non lo ritengo come dio ma penso che con esso si indica l'universalità dei mari o anche tutte le altre acque che scaturiscono dalle fonti? In tal modo infatti è descritto da uno dei loro poeti, il quale, se ben ricordo, dice così: Tu, padre Nettuno, le cui tempie canute risuonano circondate dal mare fragoroso, a cui il grande oceano scorre costantemente sulla barba e i fiumi vagano lungo i capelli 18. Queste sono ghiande che racchiuse in dolce guscio son capaci di far rumore urtando nei sassolini, ma non sono cibo per uomini bensì per maiali. Ciò che voglio dire lo comprende chi conosce il Vangelo 19. Cosa mi giova infatti che il simulacro di Nettuno abbia un tal significato non in quanto mi dissuade dal venerare ambedue le cose? Per me infatti non è Dio né una qualsiasi statua né l'universalità dei mari. Ammetto tuttavia che sono sprofondati più giù coloro che reputano dèi le opere degli uomini che non coloro che reputano tali le opere di Dio. Ma a noi si comanda di amare e venerare l'unico Dio 20, che ha creato tutte le cose delle quali essi venerano i simulacri ritenendoli o dèi o segni e immagini di divinità. Se dunque prendere un segno istituito inutilmente invece della cosa stessa per significare la quale era stato istituito è un asservimento carnale, quanto non lo è più prendere per le cose in se stesse i segni istituiti per significare cose inutili? Che se li riferisci alle cose stesse che con tali segni vengono rappresentate e inclinerai lo spirito ad onorarli, non per questo ti esenterai da ogni peso e velo di servitù carnale.
Libertà cristiana e schiavitù dei Giudei e dei pagani.
8. 12. La libertà cristiana trovò alcuni assoggettati a segni utili e, per così dire, a sé vicini. A costoro interpretò loro quei segni a cui stavano assoggettati ed elevandoli alle realtà di cui le cose precedenti erano segni, li portò alla libertà. Da loro furono formate le Chiese dei santi Israeliti. Quanto invece a quelli che trovò assoggettati a segni inutili, ridusse al nulla non solo la condizione servile con cui erano stati sotto tali segni ma anche gli stessi segni e tutto spazzò via: sicché le genti si convertirono dalla depravazione consistente nella moltitudine di falsi dèi - cosa che spesso e appropriatamente la Scrittura chiama fornicazione - al culto di un solo Dio. D'ora in poi esse non sarebbero state asservite nemmeno ai segni utili ma avrebbero piuttosto esercitato il loro animo a comprenderli spiritualmente.
Prerogativa ed efficacia dei segni del Cristianesimo.
9. 13. È asservito al segno chi compie, o venera, una qualche cosa che ha valore di segno senza sapere cosa significhi. Chi al contrario compie, o venera, un segno utile istituito da Dio e ne comprende la forza significativa, non venera ciò che si vede e passa ma piuttosto ciò a cui tutti i segni di questo genere debbono essere riferiti. Orbene, un tal uomo è spirituale e libero, anche all'epoca della schiavitù, quando quei segni non dovevano essere ancora rivelati ad animi carnali, che bisognava fossero domati dal loro giogo. Uomini spirituali di questa sorta erano i Patriarchi e i Profeti e tutti quegli Israeliti ad opera dei quali lo Spirito Santo ci ha fornito il sussidio e la consolazione della Scrittura. Quanto poi al tempo presente, dopo che la risurrezione del nostro Signore ci ha fatto risplendere in modo quanto mai palese il suggello della nostra libertà, non siamo più appesantiti dal compito gravoso di portare quegli [antichi] segni che ora comprendiamo. In luogo dei molti, lo stesso Signore e la dottrina degli Apostoli ce ne ha dati alcuni pochi, che sono facilissimi a farsi, venerabilissimi a comprendersi, santissimi a osservarsi. Tali sono il sacramento del Battesimo e la celebrazione del Corpo e del Sangue del Signore. Quando uno li riceve, essendo stato istruito, sa a che cosa si riferiscano e li venera non con asservimento carnale ma con libertà spirituale. Ma come seguire la lettera e prendere i segni invece delle cose da loro significate indica debolezza servile, così interpretare i segni in maniera inutile indica l'errore di una mente che vaga nelle vie del male. Chi poi non comprende il significato di un segno ma si rende conto che si tratta di un segno, nemmeno costui è soggetto a schiavitù. È meglio tuttavia essere sotto il giogo di segni sconosciuti ma utili anziché interpretarli in maniera insulsa cacciando nel laccio dell'errore la testa ormai liberata dal giogo della schiavitù.
Accertarsi se una locuzione è propria o figurata.
10. 14. A questa norma per la quale badiamo a non prendere come propria una locuzione figurata, cioè traslata, occorre aggiungere anche l'altra, cioè a non prendere come figurata una locuzione propria. Occorre dunque presentare prima il modo di trovare se una locuzione è propria o figurata. E il modo è precisamente questo: nella parola di Dio tutto ciò che, se preso propriamente non si può riferire all'onestà della condotta e alla verità della fede, lo devi ritenere come figurato. Nell'onestà della condotta rientra l'amore di Dio e del prossimo, nella verità della fede la conoscenza di Dio e del prossimo. Quanto alla speranza, ciascuno ha nella propria coscienza il sentimento di come e quanto abbia progredito nell'amore e nella cognizione di Dio e del prossimo. Ma di tutto questo si è parlato nel libro primo.
Autorità dell'insegnamento scritturale e valutazioni umane.
10. 15. Siccome però l'uomo inclina a valutare i peccati non dai momenti della passione ma piuttosto dall'abitudine, accade spesso che ogni uomo giudica degno di condanna soltanto ciò che gli uomini della sua patria e del suo tempo son soliti disapprovare e condannare e degno di approvazione e di lode ciò che tollera la consuetudine di coloro in mezzo ai quali vive. Ne segue che, se la Scrittura o comanda ciò che è in contrasto con la consuetudine di queste persone o disapprova ciò che non lo è, qualora l'animo degli uditori è stato preso e avvinto dall'autorità della parola, essi riterranno trattarsi di una locuzione figurata. Ebbene, la Scrittura non comanda altro che la carità né dichiara colpevole altro che la cupidigia, e in tal modo forma i costumi degli uomini. Parimenti, se una opinione erronea si è stabilita nell'animo di qualcuno, egli riterrà figurato tutto ciò che la Scrittura asserisce essere di significato diverso. Ma la Scrittura non afferma se non ciò che risponde alla fede cattolica e quanto al passato e quanto al futuro e quanto al presente. Essa infatti è un racconto del passato, un preannunzio del futuro e una descrizione del presente; ma tutto questo è ordinato a nutrire e corroborare la stessa carità e a superare ed estinguere la cupidigia.
Carità e cupidigia.
10. 16. Chiamo carità il moto dell'animo che porta a godere di Dio per se stesso e di sé e del prossimo per amore di Dio. Chiamo invece cupidigia il moto dell'animo che porta a godere di sé, del prossimo e di qualsiasi oggetto non per amore di Dio. Ciò che la cupidigia non soggiogata fa compiere per corrompere l'anima e il corpo si chiama licenziosità; ciò che fa compiere per danneggiare gli altri si chiama delitto. Queste sono le specie di tutti i peccati, ma le licenziosità precedono l'altra specie. Quando la licenziosità ha svuotato l'animo e l'ha ridotto alla miseria - chiamiamola così - si passa al delitto, mediante il quale si eliminano gli ostacoli della licenziosità o le si cercano i supporti. Così è della carità. Quanto uno fa per giovare a se stesso si chiama utilità; quanto fa per giovare al prossimo si chiama benevolenza. Anche qui precede l'utilità, perché nessuno può giovare all'altro mediante ciò che non ha. Comunque, quanto più si abbatte del regno della cupidigia, tanto più si estende il regno della carità.
Interpretazione di passi o frasi dure poste in bocca a Dio.
11. 17. Ebbene, quando nelle Sacre Scritture si legge qualcosa di duro e, per così dire, di crudele e lo si attribuisce a Dio o ai suoi servi, ciò è diretto a distruggere il regno della cupidigia. E se la cosa appare palesemente, non ci si deve riferire ad altro quasi che la cosa sia detta a scopo figurativo. Tale è il testo dell'Apostolo: Tu accumuli su di te l'ira [di Dio] per il giorno dell'ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere: a coloro che mediante la perseveranza nelle opere buone cercano la gloria, l'onore e l'incorruttibilità [renderà] la vita eterna; viceversa per coloro che sono litigiosi e non credono alla verità ma all'iniquità ci saranno ira e sdegno. Tribolazione ed angoscia per ogni uomo che opera il male, prima per il Giudeo e poi per il Greco 21. Questo vale per coloro che, non avendo voluto vincere la cupidigia, questa viene distrutta insieme con loro. Al contrario, per l'uomo su cui la cupidigia un tempo dominava ma il suo regno è stato poi demolito, vale quella chiara espressione: Coloro poi che sono di Gesù Cristo han crocifisso la propria carne con le sue passioni e concupiscenze 22. Certo, anche in questi testi alcune parole sono usate in senso traslato, per esempio: " ira di Dio " e " hanno crocifisso ", ma non sono molte né sono poste in modo da rendere oscuro il senso, costituendo o un'allegoria o un enigma, che a mio parere sono da chiamarsi espressioni strettamente figurate. Osserviamo ora le parole di Geremia: Ecco, oggi ti costituisco al di sopra dei popoli e dei regni, perché tu sradichi e distrugga, e disperda e annienti 23. Non c'è dubbio che tutta la frase sia figurata e quindi da riferirsi al fine di cui abbiamo parlato.
Interpretazione di comportamenti meno onesti del V. T..
12. 18. Ci sono nella Scrittura delle cose, detti o fatti che siano, che agli impreparati sembrano quasi delle scostumatezze, eppure le si attribuiscono a Dio o a degli uomini di cui ci si elogia la santità. Sono tutte cose figurate, e il loro senso occulto deve essere sviscerato in modo che possa nutrire la carità. In effetti, chi usa delle cose transeunti con più ristrettezza di quanto non le usino coloro in mezzo ai quali vive o è un asceta o è un superstizioso; chi invece le usa in modo da oltrepassare i limiti soliti a rispettarsi dalla gente perbene in mezzo a cui si trova o sottintende un qualche significato occulto o si tratta di una persona svergognata. In tutti questi casi è in colpa non l'uso delle cose ma la passione di colui che le usa. Così nessun uomo assennato potrà credere che i piedi del Signore furono bagnati da quella donna con unguento prezioso 24 come lo sogliono i piedi dei lussuriosi e dei depravati, di cui detestiamo i banchetti. Difatti il buon odore rappresenta la buona fama, che ciascuno consegue con le opere della vita buona mentre è incamminato sulle orme di Cristo e ne cosparge i piedi con odore preziosissimo. In questo modo ciò che negli altri uomini spesso è licenziosità, nella persona divina o profetica è segno di una realtà sublime. Così una cosa sono i rapporti con una prostituta nelle persone scostumate, un'altra nel vaticinio del profeta Osea 25. E se nei banchetti degli ubriaconi e dei depravati ci si mette scostumatamente a corpo nudo, non per questo è scostumatezza denudarsi nel fare il bagno.
Nel giudizio badare ai luoghi, ai tempi e alle persone.
12. 19. Occorre pertanto badare diligentemente a ciò che convenga ai diversi luoghi, tempi e persone, per non accusare nessuno di scostumatezza a cuor leggero. Può infatti accadere che un sapiente si nutra di cibo assai prelibato senza alcun vizio di golosità o di voracità, mentre uno stolto desideri un cibo spregevole con una bruttissima fiamma di ingordigia. Così ogni persona sana di mente preferirebbe nutrirsi di pesce, come fece il Signore 26, piuttosto che di lenticchie, come fece Esaù, nipote di Abramo 27, o di orzo come fanno gli animali. Non sono infatti più continenti di noi le bestie per il fatto che si nutrono di cibi più ordinari. In tutte queste cose infatti ciò che facciamo non è da approvarsi o disapprovarsi a seconda della natura delle cose che usiamo ma del motivo per cui le usiamo e del modo come le desideriamo.
Legge morale e comportamenti licenziosi dei Patriarchi.
12. 20. Mediante il regno terreno gli antichi giusti immaginavano il regno celeste e lo preannunziavano. Per provvedere un numero sufficiente di figli 28 non era riprovevole per un uomo la licenza di avere contemporaneamente più mogli 29, ma non per questo era onesto per una donna avere parecchi mariti. In tal modo infatti una donna non diventa più feconda, ma voler procurarsi o denaro o figli dal primo arrivato è piuttosto una turpitudine da prostituta. Ciò che in simili costumanze facevano senza cedere alla libidine i santi di quei tempi la Scrittura non lo dichiara colpevole, sebbene facessero quelle cose che al nostro tempo non possono farsi se non per libidine. E ciò che nella Scrittura si narra di questo genere è da interpretarsi non solo storicamente e in senso proprio ma anche figuratamente e profeticamente elevandolo fino a quel limite che è la carità o verso Dio o verso il prossimo o verso tutti e due insieme. Osserviamo i Romani. Per gli antichi era scostumatezza indossare tuniche lunghe fino ai calcagni e fornite di maniche, adesso invece presso i benestanti non indossarle quando si è raggiunta l'età di portarle è scostumatezza. La stessa cosa si deve notare nell'uso delle altre cose: deve cioè tenersi lontana la ricerca del piacere, che non solo fa cattivo uso delle consuetudini di coloro in mezzo ai quali la persona vive ma anche, oltrepassandone i limiti, manifesta con turpissima esplosione tutta la sconcezza che si celava dentro le barriere di costumi pubblicamente recepiti.
Osservazione integrativa.
13. 21. Per quanto invece è conforme alle consuetudini di coloro fra i quali si deve vivere e viene imposto dalla necessità o viene accettato per ufficio, dagli uomini buoni e superiori agli altri lo si deve riferire o all'utilità o alla beneficenza, e lo si deve prendere o in senso proprio (come siamo obbligati noi) o anche in senso figurato (come è lecito fare ai Profeti).
Norme di giustizia e costumanze dei popoli.
14. 22. Quando s'imbattono nella lettura di questi fatti persone che sono all'oscuro delle consuetudini altrui, li reputano scostumatezze, a meno che non siano corretti da una qualche autorità. Né riescono a persuadersi che tutto il loro comportamento in fatto di matrimoni, di banchetti, di modi di vestirsi e ogni altra usanza di vivere e acconciarsi potrebbe sembrare indecoroso ad altre genti o in altre epoche. Mossi dalle innumerevoli e varie consuetudini, alcuni, per così dire, semiaddormentati - in quanto non erano immersi nel sonno profondo della stoltezza ma nemmeno erano svegli alla luce della sapienza - ritennero non darsi giustizia di per se stessa ma ogni popolo sarebbe autorizzato a considerare giuste le sue costumanze. Ora siccome queste costumanze sono diverse nei diversi popoli mentre la giustizia deve rimanere immutabile, diverrebbe ovvio che la giustizia non si trovi in nessuna parte. Per non ricordare altro, non compresero che il detto: Non fare agli altri quel che non vuoi sia fatto a te 30, non può in alcun modo variare secondo le diverse accezioni invalse nel mondo pagano. Quando questo motto lo si riferisce all'amore di Dio, scompaiono tutti i libertinaggi; quando lo si riferisce all'amore del prossimo, tutti i delitti. Nessuno infatti vuole che sia demolita la propria abitazione; per cui non deve guastare nemmeno l'abitazione di Dio, cioè se stesso. E nessuno vuole essere danneggiato da qualsiasi altro; per cui egli stesso non deve danneggiare alcuno.
Nessun linguaggio figurato là dove s'inculca la carità.
15. 23. In tal modo, distrutto il potere tirannico della cupidigia, regna la carità con le leggi giustissime dell'amore di Dio per se stesso e dell'amore del prossimo in vista di Dio. Nelle locuzioni figurate pertanto si osserverà questa norma: quanto si legge deve essere considerato diligentemente e lungamente, fino a quando cioè l'interpretazione non raggiunga i confini del regno della carità. Se un tal regno risuona già nel linguaggio proprio, non si supponga alcun senso figurato.
Si prendano in senso figurativo i precetti inconciliabili con la carità.
16. 24. La locuzione che in termini precettivi proibisce il libertinaggio o il delitto o comanda un atto utile o benefico non è figurata. È invece figurata quando sembra comandare la scostumatezza o il delitto o proibire un atto utile o benefico. Dice: Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non ne berrete il sangue, non avrete in voi la vita 31. Sembrerebbe comandare una cosa delittuosa e ributtante. In realtà invece è un parlare figurato con cui ci si prescrive di comunicare alla passione del Signore e di celare nella memoria con dolcezza e utilità il fatto che la sua carne è stata crocifissa e piagata per noi. Dice la Scrittura: Se il tuo nemico ha fame, dàgli da mangiare; se ha sete, dàgli da bere. Qui senza alcun dubbio ci si comandano le opere di misericordia; ma in quel che segue: Ciò facendo ammasserai carboni ardenti sul suo capo 32, lo si potrebbe prendere come un tratto di ostilità che venga comandato. Non dubitare pertanto che ciò è detto in senso figurato e che si può interpretare in due modi: primo modo, in senso di non recar danno; secondo modo, concedere un beneficio. Quanto a te, la carità ti induca a interpretarlo nel senso di beneficio, intendendo per carboni ardenti e infuocati i gemiti della penitenza con cui si guarisce la superbia di colui che si dispiace di essere stato nemico di un uomo dal quale gli si viene incontro nel suo stato di miseria. Lo stesso è del detto del Signore: Chi ama la propria anima la perde 33. Non lo si deve ritenere un divieto contro il dovere che ciascuno ha di conservare la propria vita ma una locuzione figurata. La perda vuol dire: la uccida smettendo l'uso che ne fa al presente, uso cattivo e disordinato che la fa inclinare alle cose temporali impedendole di cercare i beni eterni. Sta scritto: Da' a chi è misericordioso e non accogliere il peccatore 34. La seconda parte della frase sembrerebbe proibire la misericordia; dice infatti: Non accogliere il peccatore. Intendila dunque in senso figurato quasi che peccatore sia stato detto in luogo di " peccato "; quindi è il suo peccato che non devi accogliere.
Distingui i precetti generali e le norme personali.
17. 25. Accade frequentemente che uno il quale si trova o crede di trovarsi in un grado superiore di vita spirituale ritenga detti in senso figurato quei comandi che si dànno per i gradi inferiori. Per esempio, se uno ha abbracciato il celibato e si è reso eunuco per il regno dei cieli 35, farà di tutto per ritenere che si debba prendere non in senso proprio ma traslato quanto i sacri libri prescrivono circa l'amore per la moglie e l'indirizzo della vita coniugale. E se uno ha deciso di non maritare la sua vergine 36 tenterà di interpretare come figurata l'espressione dove si dice: Marita la tua figlia e avrai portato a compimento una grande impresa 37. Tra le annotazioni per comprendere le Scritture ci sarà pertanto anche questa: sapere che alcune cose sono comandate a tutti indistintamente mentre altre soltanto ad alcune categorie di persone, per cui il rimedio ivi suggerito non si adegua esclusivamente allo stato di salute di tutti ma anche alla debolezza propria di ciascun membro. In realtà colui che non può essere elevato a un grado superiore bisogna curarlo nella condizione in cui si trova.
Ad epoche diverse precetti e concessioni diverse.
18. 26. Occorre inoltre guardarsi dal pensare che si possa trasferire al tempo attuale, per usarlo come regola di vita, ciò che è contenuto nelle Scritture del Vecchio Testamento e che, preso non solo in senso figurato ma anche proprio, per le condizioni di quei tempi non era né una scostumatezza né un delitto. A fare tali applicazioni non spinge altri se non la cupidigia da cui si è dominati, la quale cerca un puntello anche dalle Scritture, sebbene queste siano state date per toglierla di mezzo. Chi così si comporta è un pover'uomo e non comprende che quei fatti sono stati descritti perché rechino vantaggio agli uomini animati da buona speranza: essi vi possono vedere a loro salvezza che la consuetudine che disapprovano può avere un uso buono, mentre se essi stessi volessero adottarla potrebbe essere meritevole di condanna. Questo avviene se, in chi si regola così, si riscontra in un caso la carità, mentre nell'altro la cupidigia.
Si chiarisce come mai la poligamia invalse tra gli Ebrei.
18. 27. In effetti, come un uomo, in date circostanze di tempo, può usare castamente di parecchie mogli, così uno può usare libidinosamente di una sola. E io approvo chi, in vista di un altro fine, usa della fecondità di molte donne più che non chi gode avidamente del corpo di una sola, cercato per se stesso. Difatti là si cercava una utilità corrispondente alle condizioni di quei tempi, qui si sazia la voglia sregolata insita nei piaceri della vita presente. Si sa che l'Apostolo per condiscendenza concede a certuni il rapporto carnale con una sola donna a causa della loro incontinenza 38. Ora, questi presso Dio sono in un grado inferiore rispetto a coloro che, pur avendone ciascuno diverse, nel loro rapporto carnale altro non cercavano se non la procreazione dei figli. Erano come il sapiente che nel cibo e nella bevanda non cerca altro se non la salute del corpo. Se pertanto si fossero trovati a vivere dopo la venuta del Signore, quando non è più tempo di scagliare ma di raccogliere le pietre 39, essi immediatamente si sarebbero evirati per il regno dei cieli. In effetti non si prova difficoltà nella privazione se non quando nel possesso c'è la cupidigia; e quegli uomini sapevano che anche per le loro spose era lussuria usare con intemperanza dei rapporti carnali. Ne fa fede la preghiera di Tobia nell'unirsi a sua moglie. Diceva infatti: Sii benedetto, o Signore Dio dei nostri padri, e benedetto il tuo nome nei secoli dei secoli! Ti benedicano i cieli e ogni tua creatura! Tu creasti Adamo e gli desti come compagna Eva. Ebbene tu, Signore, sai che non mi unisco a questa sorella mosso da lussuria ma da fedeltà a te, perché tu, Signore, abbia misericordia di noi 40.
Gli scostumati ritengono impossibile la continenza.
19. 28. Qui si fanno avanti uomini sfrenati nella libidine che, volendo diguazzare [dietro le loro passioni], vagolano di stupro in stupro o che, con la stessa loro moglie, non solo non rispettano il modo normale della procreazione dei figli ma, con licenziosità quanto mai spudorata, quasi in preda al libertinaggio in uso fra gli schiavi, accumulano sozzure di una intemperanza indegna dell'uomo. Costoro non credono alla verità che gli uomini dell'antico Patto abbiano potuto unirsi temperantemente a più donne, non cercando nel rapporto con loro altro che il dovere di procreare figli che si confaceva a quel tempo. Ciò che essi, avvinti dai legami della libidine, non riescono a fare con l'unica loro moglie, in nessun modo ritengono essere possibile farsi con molte.
Se condizionate, sono giuste le lodi date ai Patriarchi.
19. 29. Uomini come questi possono dire che non è il caso di onorare o lodare quegli antichi santi e giusti in quanto loro stessi, se vengono onorati e lodati, si gonfiano di superbia e appetiscono tanto più avidamente la vanagloria quanto più li esalta di frequente e con facilità una qualche lingua abile a lusingare. Di fronte a una tal lingua diventano così fatui che ogni vento di fama che ritengano o favorevole o contrario, li trascina nei gorghi della scostumatezza o li sbatacchia contro gli scogli dei vari delitti. Debbono pertanto considerare quanto sia loro arduo e difficile non lasciarsi prendere all'esca della lode e non farsi penetrare dagli spunzoni delle ingiurie. E che non misurino gli altri in rapporto a se stessi!
Gli Apostoli e i Patriarchi: loro autocontrollo.
20. 29. Credano piuttosto che i nostri Apostoli non si inorgoglirono quando erano ammirati dalla gente e non si abbatterono quando ne erano disprezzati. A loro infatti non mancò né l'una né l'altra delle tentazioni, in quanto erano esaltati dagli elogi dei credenti e infamati dalle ingiurie dei persecutori. Come dunque costoro, secondo le circostanze, ponevano al loro servizio tutte quelle situazioni e non si lasciavano fuorviare, così gli antichi patriarchi, riferendosi nell'uso delle donne a quel che era conveniente al loro tempo, non soggiacevano a quella tirannia della libidine, di cui sono schiavi coloro che non credono a queste cose.
Gli scostumati non sanno cosa sia controllarsi.
20. 30. Costoro pertanto non si sarebbero in alcun modo frenati dal nutrire un'implacabile odio per i figli se avessero risaputo che da questi erano state tentate o corrotte le loro mogli o concubine, se per caso una cosa di questo genere fosse accaduta.
Davide piange la morte di Assalonne, figlio ribelle.
21. 30. In maniera opposta si comportò il re Davide. Avendo subìto un affronto di questo genere dal suo figlio empio e crudele, non solo sopportò la sua tracotanza ma ne pianse anche la morte 41. In realtà egli non era irretito da gelosia carnale, e lo amareggiavano non le offese contro se stesso ma i peccati del figlio. Per questo comandò che se fosse stato vinto non lo si uccidesse, per dare allo sconfitto la possibilità di pentirsi; e, siccome questo non gli riuscì, nella sua morte non pianse la scomparsa del figlio ma perché sapeva in quali pene veniva trascinata un'anima così empiamente adultera e parricida. Tant'è vero che antecedentemente, quando gli morì un altro figlio che era innocente, si rallegrò, mentre si era afflitto per la sua malattia 42.
Riflessione sui peccati di Davide e di Salomone.
21. 31. Dal seguente episodio appare in modo assai evidente come quegli uomini antichi usassero delle loro donne con moderazione e temperanza. Il medesimo re si lasciò travolgere dalla passione per una donna, sospinto dall'ardore dell'età e dalla prosperità negli affari temporali, e comandò anche che suo marito fosse ucciso. Fu accusato da un profeta, che venne da lui per convincerlo del suo peccato. Gli propose la parabola del povero che possedeva una sola pecora. Un suo vicino ne aveva molte ma, al sopraggiungere di un ospite, gli imbandì la mensa con l'unica pecora del vicino povero piuttosto che con una delle sue. Davide, indignato contro di lui, decretò che venisse ucciso e che al povero fossero rese quattro pecore. Inconsapevolmente condannava se stesso, che aveva consapevolmente peccato 43. Quando la cosa gli fu fatta palese e gli fu predetta la punizione divina, con la penitenza lavò la colpa. Nota tuttavia come in questa similitudine della pecora del vicino povero si faccia menzione solo della violenza contro la donna, mentre Davide non è redarguito, nella similitudine, dell'uccisione del marito della donna: cioè di quel povero che aveva una sola pecora non si dice che fu ucciso. In tal modo la sentenza di condanna uscita dalla bocca di Davide riguarda solamente l'adulterio. Da ciò si comprende quale temperanza usasse verso le sue diverse mogli, se da se stesso si sentì costretto a punirsi per la trasgressione commessa con quella sola. E poi in quest'uomo la libidine incontrollata non ci rimase a lungo ma lo attraversò solo temporaneamente, tant'è vero che sulla bocca del Profeta, che lo rimproverava, quella passione disordinata fu designata col nome di " ospite ". Non disse infatti che con la pecora del vicino povero preparò un pranzo al suo re ma a un suo ospite. Diversamente andarono le cose nel suo figlio Salomone, nel quale la passione non fu un ospite solo di passaggio ma vi stabilì il suo regno: cosa che la Scrittura non tace nei suoi riguardi ma lo accusa di essere stato un compiacente amatore di donne 44. Agli inizi era stato tutto infiammato d'amore per la sapienza 45, ma, come l'aveva acquistata mediante un amore spirituale, così la perse a causa dell'amore carnale.
Al cristiano non converrebbe il comportamento lecito nel V. T.
22. 32. Tutti o quasi tutti gli atti che sono contenuti nei libri del Vecchio Testamento sono, in conclusione, da prendersi talvolta in senso proprio qualche altra volta anche in senso figurato. Se però il lettore li prende in senso proprio e quelli che compirono certe azioni risultano lodati, mentre i loro atti sono inconciliabili col comportamento dei buoni che osservano i comandamenti di Dio nel tempo che segue la venuta del Signore, in tal caso il lettore ricorra al senso figurato per capire l'insegnamento del fatto ma non imiti nella condotta il fatto in se stesso. In effetti molte di quelle cose che in quei tempi furono compiute per dovere ora non le si potrebbe ripetere se non per passione.
Evitare le tempeste morali, compiangere i naufraghi.
23. 33. Se gli succede di leggere, a proposito di uomini eminenti, che hanno commesso peccati, potrà, è vero, intendere e ricercare in essi una qualche figura di cose avvenire. Potrà però anche ritenere il senso proprio del fatto avvenuto, e se ne servirà a quest'uso: per non vantarsi mai delle sue azioni oneste e non disprezzare gli altri come peccatori in base alla propria giustizia, mentre osserva in uomini così insigni e le tempeste che deve evitare e i naufragi che deve compiangere. I peccati di questi uomini infatti ci sono stati tramandati affinché a tutti incuta spavento quella espressione dell'Apostolo, là dove dice: Per questo motivo chi crede di stare in piedi badi a non cadere 46. In realtà nei libri santi non c'è quasi pagina in cui non ci si senta dire che Dio resiste ai superbi mentre agli umili dona la grazia 47.
Richiamo a una lettura intelligente del testo sacro.
24. 34. In primo luogo dunque dobbiamo ricercare se l'espressione che tentiamo di capire sia propria o figurata. Scoperto che è figurata, ricorrendo alle norme che abbiamo trattate nel primo libro, sarà facile disaminarla sotto tutti gli aspetti finché non si arrivi all'interpretazione vera, specie se vi si aggiunge l'uso corroborato dalla pratica della pietà. Se sia una espressione propria o figurata lo troveremo ricordando i princìpi esposti già sopra.
25. 34. Appurato questo, si troverà che le parole in cui è racchiuso il pensiero sono state prese o da cose simili o aventi con esse una qualche affinità.
Identico il segno, duplice il significato.
25. 35. Ma poiché, come è noto, certe cose sono simili ad altre sotto aspetti diversi, non dobbiamo credere in maniera assoluta che quando una cosa, avente valore di similitudine, significa alcunché in un dato passo, essa debba significare sempre e dovunque la stessa cosa. Così, ad esempio, il Signore usò la parola " lievito " in senso di disapprovazione quando disse: Guardatevi dal lievito dei farisei 48, mentre la usò in senso di lode quando disse: Il Regno dei cieli è simile a una donna che nasconde il lievito in tre misure di farina finché il tutto non sia fermentato 49.
Esempi della legge di cui al paragrafo precedente.
25. 36. Orbene, osservando questa varietà si nota che essa si riduce a due forme. Ogni cosa infatti significa un oggetto o un altro con un significato che può essere o contrario o soltanto diverso. Ha significato contrario quando la stessa cosa in forza della similitudine la si prende ora in senso buono ora in senso cattivo, come si diceva sopra a proposito del lievito. Lo stesso è della parola " leone ". Essa significa Cristo là dove si dice: Ha vinto il leone della tribù di Giuda 50, mentre significa il diavolo là dove è scritto: Il vostro avversario, il diavolo, come leone ruggente vi gira intorno cercando chi divorare 51. Così del serpente si parla in senso buono nella frase: Prudenti come i serpenti 52, in senso cattivo nella frase: Il serpente sedusse Eva con la sua astuzia 53. Così del pane. In senso buono là dove è detto: Io sono il pane vivo disceso dal cielo 54, in senso cattivo nell'altra frase: Mangiate volentieri pani occulti 55. Così di moltissime altre parole. Le frasi che ho ricordate non contengono dubbi nel loro significato, perché, dovendo recare degli esempi, non potevo ricordare se non cose evidenti. Ce ne sono però alcune che presentano incertezze quanto al senso in cui le si debba prendere. Una è questa: Nella mano del Signore il calice di vino puro è pieno di mescolato 56. È incerto se significhi l'ira di Dio non estesa al castigo estremo, cioè fino alla feccia, o non piuttosto la grazia delle Scritture nell'atto di passare dai Giudei ai Gentili, poiché è detto: Lo inclinò da qui a là, mentre sono rimaste presso i Giudei le osservanze che essi intendono in maniera carnale, poiché la sua feccia non si è esaurita 57. Un esempio di quando le cose non sono prese in senso contrario ma solo diverso è quello dell'acqua, che può significare il popolo, come leggiamo nell'Apocalisse 58, e lo Spirito Santo di cui si dice: Fiumi di acqua viva scorreranno dal suo seno 59. Il termine " acqua " del resto può significare e intendersi in parecchi altri modi, a seconda dei passi dove lo si trova.
Frasi con molteplice significato.
25. 37. Allo stesso modo ci sono altre cose che, non isolatamente ma prese insieme, ciascuna di loro significa non soltanto due realtà diverse ma, a volte, anche parecchie, secondo il posto che occupa nella frase dove la si trova inserita.
Spiegare i detti oscuri in base ai più chiari.
26. 37. Dai luoghi dove sono poste con maggiore chiarezza si deve apprendere come occorra intenderle nei passi oscuri. Ad esempio, di Dio è stato detto: Prendi le armi e lo scudo e sorgi in mio aiuto 60. Ora questa frase non la si può intendere meglio che confrontandola con quel passo dove si legge: Signore, tu ci hai coronati come con lo scudo della tua buona volontà 61. Questo tuttavia non nel senso che, dovunque leggiamo dello scudo posto come difesa, non intendiamo altro se non la buona volontà di Dio. È stato detto infatti anche: Lo scudo della fede col quale possiate - dice - spegnere tutti i dardi infuocati del maligno 62. E ancora, parlando di simili armi spirituali non dobbiamo riferire la fede soltanto allo scudo, mentre altrove si parla anche della corazza della fede. Dice: Rivestiti della corazza della fede e della carità 63.
Come scegliere il vero senso biblico quando il testo ne consente parecchi.
27. 38. Quando dalle stesse parole della Scrittura non si ricava un senso solo ma due o più, anche se rimane sconosciuto il pensiero dell'autore non c'è alcun pericolo [nell'ammettere l'uno o l'altro di questi sensi] purché si possa dimostrare da altri passi delle stesse Sacre Scritture che ciascuno è conforme alla verità. Tuttavia colui che investiga gli oracoli divini deve sforzarsi di raggiungere l'intenzione dell'autore ad opera del quale lo Spirito Santo ci ha fornito quel brano scritturale. Sia che raggiunga questa intenzione sia che da altre parole ne ricavi un'altra non in contrasto con la retta fede, egli è esente da colpa in quanto ha in suo favore la testimonianza di un altro passo degli oracoli divini, qualunque esso sia. In quelle medesime parole che vogliamo comprendere forse già l'autore stesso vide la nostra interpretazione, o, certamente e senza alcun dubbio, lo Spirito Santo che per mezzo dell'autore ha composto tali passi previde che anche tale interpretazione sarebbe venuta in mente al lettore o all'ascoltatore. Anzi, essendo essa fondata sulla verità, fu lui a disporre che ciò gli capitasse. In effetti, cosa si poteva disporre dalla Provvidenza di più ampio e fecondo negli eloqui divini, che le stesse parole fossero intese in più modi comprovati da altri testi non meno divini?.
Testi affini e argomenti razionali nell'interpretazione della Scrittura.
28. 39. Quando invece si ricava un senso la cui incertezza non può essere eliminata ricorrendo ad altri passi certi delle Sacre Scritture, non rimane altro che renderlo chiaro adducendo motivi razionali, anche se colui del quale cerchiamo di capire le parole non ebbe in mente un tal senso. Questo sistema tuttavia è pericoloso, mentre alla luce delle Scritture si cammina con molta maggiore sicurezza. E quando noi le vogliamo scrutare là dove sono opache per l'uso di parole traslate, bisogna che ne esca una interpretazione che non dia luogo a controversie o, se ne presenta, le si risolva applicando testi della stessa Scrittura dovunque li si trovi.
Tropi, o traslati, presenti nella Scrittura.
29. 40. Chi conosce le lettere sappia che i nostri autori hanno fatto uso di tutti quei modi di espressione che i grammatici con parola greca chiamano tropi; anzi l'hanno fatto più spesso e con maggior ricchezza di quanto non possano pensare o supporre coloro che non conoscono direttamente quei libri e hanno appreso queste cose da altri autori. Coloro che conoscono questi tropi li riscontrano nelle sacre Lettere, e mediante la loro conoscenza vengono aiutati non poco nella comprensione. Ma non è il caso che ci mettiamo qui ad esporli agli indotti per non dare l'impressione che vogliamo insegnare l'arte della grammatica. Li esorto, ovviamente, ad impararli da altri autori, sebbene una simile esortazione l'abbia già loro rivolta, e precisamente nel secondo libro dove ho trattato della necessità di conoscere le lingue. Difatti le lettere, da cui ha preso nome la stessa grammatica - i Greci infatti chiamano le lettere - sono propriamente segni di suoni, che servono ad articolare la voce con la quale parliamo. Di questi tropi nei sacri Libri noi leggiamo non solo gli esempi - e ciò di tutti -, ma di alcuni troviamo anche i nomi come " l'allegoria ", " l'enigma ", " la parabola ". Del resto, quasi tutti i tropi che si dice possano apprendersi con specifica arte liberale si trovano anche nel modo di parlare di coloro che non hanno conosciuto alcun esperto di grammatica ma si contentano del linguaggio in uso fra il popolo. Chi infatti non dice: Possa tu così fiorire? " Tropo " che si chiama metafora. Chi non parla di piscina, anche senza che vi siano i pesci, che anzi non è fatta per i pesci, eppure da pesce prende nome? Tropo che si chiama catacresi.
Esempi di ironia o antifrasi.
29. 41. Si andrebbe troppo per le lunghe a voler esaminare in questa maniera tutti gli altri tropi. In realtà il parlare popolare è arrivato a inventare anche quelli che sono i più strani perché significano cose contrarie a quel che si dice. Tali quelli chiamati ironia o antifrasi. Nell'ironia si indica con l'accento della voce cosa si voglia intendere. Per esempio, quando a uno che ha agito male diciamo: Gran belle cose stai facendo! All'antifrasi la capacità di significare il contrario non la si dona con la voce di chi pronuncia ma usando certe parole a lei proprie la cui etimologia suona il contrario, come quando al posto di " luce " si dice lucus [= bosco fitto] sapendo che non vi passa la luce, o, sebbene non si parli per contrari, la consuetudine ha abituato a dire così. Ad esempio, se cerchiamo di prendere una cosa là dove non c'è, e ci si risponde: Ce n'è anche troppa! E ancora può aversi quando con l'aggiunta di parole facciamo sì che la frase venga compresa in senso contrario a quello che diciamo, come quando affermiamo: Guàrdatene, perché è un galantuomo! E chi è quell'ignorante che non usa espressioni come queste, anche se non sa affatto cosa siano i tropi o come si chiamano? La loro conoscenza è necessaria per risolvere le ambiguità delle Scritture in quanto il senso, se lo si prende a quel che suonano propriamente le parole, è assurdo e quindi occorre ricercare se per caso quel che non comprendiamo non sia stato detto sulla base di questo o quel tropo. In tal modo molte cose occulte sono state chiarite.
Elenco delle Regole di Ticonio, e loro valutazione globale.
30. 42. Un certo Ticonio, che un tempo era stato donatista, ha scritto contro i donatisti un'opera veramente irrefutabile, ma, per quel tanto che non ha voluto abbandonare la sètta, nei suoi libri ha lasciato segni di una mente soggetta a profonde assurdità. Egli dunque compose un libro che chiamò Le Regole, per il fatto che vi trattò di sette regole mediante le quali, come con delle chiavi, si potrebbero aprire tutti i segreti delle Scritture divine. Per prima pose quella concernente il Signore e il suo corpo; per seconda, il corpo del Signore nelle sue due sezioni; per terza, le promesse e la Legge; per quarta, il genere e la specie; per quinta, i tempi; per sesta, la ricapitolazione; per settima, il diavolo e il suo corpo. Ora queste regole, considerate come lui le illustra, sono di non piccolo aiuto per penetrare i segreti delle lettere divine; tuttavia con queste regole non si può scoprire tutto ciò che nella Scrittura è contenuto in maniera difficile a comprendersi. Bisogna ricorrere a numerosi altri espedienti che Ticonio non ha incluso nel suo numero di sette, tant'è vero che lui stesso espone numerosi passi oscuri senza ricorrere ad alcuna delle sue regole, anche perché non ce n'è bisogno. Ci sono infatti, nella Scrittura, cose di cui egli non si occupa e non investiga. Nell'Apocalisse di Giovanni, ad esempio, ricerca come si debbano intendere quegli angeli delle sette Chiese ai quali gli si comanda di scrivere e, dopo molti ragionamenti, giunge alla conclusione che per gli stessi angeli dobbiamo intendere le Chiese 64. Orbene in tutta questa amplissima trattazione non c'è alcun richiamo alle sue regole, anche se ivi si fanno ricerche su cose quanto mai oscure. Questo lo si dica a modo di esempio. È infatti troppo lungo e difficile raccogliere tutti i passi oscuri delle Scritture canoniche per i quali il ricorso a queste sette regole non serve a nulla.
Le Regole di Ticonio vanno applicate con la massima cautela.
30. 43. Quanto all'autore invece, quando raccomanda queste cosiddette " regole ", attribuisce loro un tale valore che, conosciute e usate a dovere, permetterebbero di comprendere quasi tutti i passi oscuri che troviamo nella legge, cioè nei libri divini. Apre infatti il suo libro con le seguenti parole: Prima di tutte le altre cose che a mio parere avrei dovuto trattare, ho ritenuto necessario scrivere un libriccino sulle " Regole ", costruendo come delle chiavi, o delle lucerne, per scrutare i segreti delle Scritture. Si tratta di certe regole mistiche che penetrano i recessi più reconditi dell'intera legge e rendono visibili i tesori della verità che a qualcuno sarebbero invisibili. Se il sistema di queste regole sarà accettato senza malevolenza, così come lo comunichiamo, tutte le cose nascoste saranno palesate e tutte le cose oscure diventeranno luminose. In tal modo chi si troverà a camminare nell'immensa selva della profezia, guidato da queste regole come da bagliori di luce, sarà difeso dall'errore 65. Se egli avesse detto: " Ci sono delle regole mistiche con cui si riesce a penetrare alcuni passi reconditi della legge " o magari: " con cui si riesce a penetrare nei passi più reconditi della legge ", avrebbe detto la verità. Non avrebbe dovuto dire: " I passi oscuri di tutta la legge " né: " Si apriranno tutti i recessi ", ma: " Si apriranno molti recessi ". Alla sua opera così elaborata e così utile non avrebbe dovuto dare più peso di quanto il problema in se stesso richiede: in tal modo non avrebbe prodotto nel suo lettore e conoscitore una falsa speranza. Tutte queste cose mi sono creduto in obbligo di dire affinché il libro sia, sì, letto dagli studiosi perché è di grandissimo aiuto per la comprensione delle Scritture, tuttavia non si speri di trovarvi quel che esso non contiene. Lo si deve insomma leggere con cautela non solo per certi errori che l'autore, come uomo, ha commesso ma soprattutto per quegli altri che commette parlando da eretico donatista. Ora mostrerò in breve ciò che insegnino o suggeriscano queste sette regole.
La prima Regola di Ticonio.
31. 44. La prima regola riguarda il Signore e il suo corpo. Ora, a questo proposito, noi sappiamo che a volte ci si prescrive di ritenere come unica la persona del capo e del corpo, cioè di Cristo e della Chiesa. Non è stato detto senza motivo infatti ai cristiani: Voi siete stirpe di Abramo 66, quando unica è la stirpe di Abramo ed essa è Cristo. Quando dunque si passa dal capo al corpo e dal corpo al capo senza che si rinneghi l'unica e identica persona, non si debbono avere esitazioni. È infatti una la persona che parla quando dice: Come a uno sposo mi ha messo in capo il diadema e come una sposa mi ha adornata di gioielli 67. Eppure occorre certamente distinguere quale delle due cose convenga al capo e quale al corpo, cioè quale a Cristo e quale alla Chiesa.
La seconda Regola di Ticonio.
32. 45. La seconda regola riguarda il corpo del Signore nelle sue due sezioni. Effettivamente non lo si sarebbe dovuto chiamare così, poiché in realtà non è corpo del Signore quello che non sarà eterno con lui. Si sarebbe dovuto dire: Il corpo del Signore vero e quello frammisto, oppure: quello vero e quello fittizio, o cose del genere. In realtà bisogna affermare che non solo nell'eternità ma anche al presente gli ipocriti non sono con lui, sebbene sembrino far parte della sua Chiesa. Sotto questo profilo la presente regola poteva anche esprimersi con la dizione: la Chiesa nella sua mescolanza. Ma questa regola esige un lettore attento poiché la Scrittura, sebbene parli ormai ad una diversa categoria di persone, sembra parlare, quasi, a quegli stessi cui stava parlando prima, o che parli degli stessi (mentre da quel punto in poi parla di altri), quasi che per la mescolanza e comunione dei sacramenti che si ha nel tempo, sia unico il corpo dell'una e dell'altra categoria. A questo si riferisce il detto del Cantico dei Cantici: Sono scura e bella come le tende di Cedar, come la pelle di Salomone 68. Non dice infatti: Un tempo fui scura come le tende di Cedar ma ora sono bella come la pelle di Salomone. Ha detto che è allo stesso tempo l'una e l'altra cosa, per l'unità che nel tempo godono i pesci buoni e i pesci cattivi trovandosi in una medesima rete 69. Le tende di Cedar infatti sono una porzione di Ismaele, che non sarà erede insieme al figlio della donna libera 70. Pertanto della porzione dei buoni Dio dirà: Condurrò i ciechi per la via che non conoscevano e batteranno strade che non conoscevano; io renderò ad essi le tenebre luce e le vie tortuose renderò diritte: queste cose farò e non li abbandonerò. Successivamente dice dell'altra porzione che si era mescolata pur essendo di cattivi: Loro al contrario si sono voltati indietro 71, sebbene con queste parole si indichino ancora gli altri. Siccome però adesso sono in un'entità sola, parla di essi come di coloro dei quali stava parlando antecedentemente. Ma non saranno sempre uniti. Si tratta infatti di quel servo ricordato nel Vangelo che il suo padrone, quando verrà, dividerà e metterà la sua parte insieme con quella degli ipocriti 72.
La terza Regola di Ticonio.
33. 46. La terza regola è circa le promesse e la Legge, che con altre parole si può chiamare " lo spirito e la lettera ", come l'abbiamo chiamata noi nel libro che abbiamo scritto sull'argomento. Si potrebbe anche chiamare " la grazia e il precetto ". Ora questo mi sembra essere piuttosto un grosso problema che non una regola da usarsi per risolvere le questioni. È quanto non hanno compreso i pelagiani e così ci fondarono, o almeno incrementarono, la loro eresia. Ticonio lavorò bene per estirparla ma non lo fece in modo completo. Infatti, disputando della fede e delle opere, disse che le opere ci vengono date per merito della fede, mentre invece la fede in se stessa è roba nostra senza che Dio la immetta in noi. Non bada a quel che dice l'Apostolo: Ai fratelli pace e carità insieme con la fede che proviene da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo 73. Egli però non aveva conosciuto l'esistenza di questa eresia che, nata al tempo nostro, ci ha messo molto alla prova perché difendessimo contro di essa la grazia di Dio, che è dono del nostro Signore Gesù Cristo. Diceva l'Apostolo: Bisogna che ci siano le eresie affinché appaia chi fra voi sono gli approvati 74. Questa falsa dottrina ci ha resi più vigili e attenti, facendoci notare nelle sante Scritture delle cose che sfuggirono al nostro Ticonio, di noi meno attento e meno preoccupato del nemico, e precisamente che la stessa fede è dono di colui che la distribuisce a ciascuno secondo la propria misura 75. In conformità con questa teoria è detto: A voi è stato dato in Cristo non solo di credere in lui ma anche di patire per lui 76. Ascoltando con fede e sapienza che le due cose sono state a noi donate, chi potrebbe dubitare che ambedue sono dono di Dio? Ci sono anche parecchie altre testimonianze con le quali si dimostra la cosa, ma ora non ci occupiamo di questo. Ne abbiamo trattato spessissimo e in parecchie opere.
La quarta Regola di Ticonio.
34. 47. La quarta regola di Ticonio riguarda la specie e il genere. Egli la chiama così intendendo per specie la parte e per genere il tutto del quale quella che chiama specie è una parte. Così una città è ovviamente parte della totalità dei popoli, ed egli chiama la città specie, tutti i popoli genere. Né è il caso di ricorrere qui a quella sottigliezza nel distinguere in uso fra i dialettici che disputano con grande acume per stabilire la differenza fra parte e specie. Lo stesso ragionamento vale quando una cosa di questo tipo si incontra nei Libri divini non per una singola città ma per una provincia o nazione o regno. Né soltanto, per esempio, di Gerusalemme o di qualche città del mondo pagano, come Tiro, Babilonia o qualche altra, si dicono nelle sante Scritture cose che superano le loro dimensioni e convengono piuttosto alla totalità dei popoli; ma anche della Giudea, dell'Egitto, dell'Assiria e di molte altre nazioni, in cui sono parecchie città che però non sono l'intero universo ma una sua parte, si dicono cose che oltrepassano le loro dimensioni e convengono piuttosto all'universo in se stesso, di cui esse sono parte, o, come si esprime costui, convengono al genere, di cui ognuna sarebbe una specie. Peraltro tali parole sono diventate di dominio popolare, di modo che anche l'illetterato capisce ciò che in un decreto imperiale è stabilito in maniera speciale e cosa in maniera generale. Questo accade anche per le persone: come, ad esempio, le cose dette di Salomone oltrepassano il riferimento a lui e prendono piena luce quando le si riferiscono piuttosto a Cristo o alla Chiesa, di cui egli era una parte.
Esempi di casi dove specie e genere si confondono.
34. 48. Né succede sempre che si oltrepassi la specie. Spesso infatti si dicono cose che chiarissimamente convengono anche alla specie o, forse, soltanto ad essa, ma quando dalla specie si passa al genere, mentre sembra che la Scrittura parli ancora della specie, in tal caso il lettore deve avere gli occhi bene aperti per non cercare nella specie ciò che può trovare più agiatamente e con maggiore sicurezza nel genere. Cose come queste riscontriamo con facilità nelle parole del profeta Ezechiele: La casa d'Israele ha abitato nella terra [promessa], e l'ha lordata con la sua condotta, con i suoi idoli e i suoi peccati. Come l'impurità di una donna nelle sue mestruazioni così è diventata la loro condotta davanti a me. E io ho dato sfogo alla mia ira contro di loro e li ho dispersi fra le nazioni e li ho sparpagliati in tutti i paesi. Li ho giudicati secondo la loro condotta e secondo i loro peccati 77. È facile, dicevo, intendere queste parole di quella casa d'Israele della quale dice l'Apostolo: Osservate l'Israele secondo la carne 78, poiché tutte queste cose effettivamente quel popolo le ha fatte e le ha sofferte. Anche le parole che vengono dopo si comprende come possano convenire a quel popolo. Ma quando comincia a dire: E santificherò il mio nome santo e grande che è stato profanato fra le nazioni che voi profanaste in mezzo a loro, e sapranno le genti che io sono il Signore 79. A questo punto, chi legge deve stare attento e vedere come si oltrepassi la specie e si raggiunga il genere. Continuando, dice infatti: E quando sarò santificato in mezzo a voi davanti ai loro occhi, vi prenderò di fra mezzo alle Genti e vi radunerò da tutte le contrade e vi condurrò nella vostra terra. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati da tutti i vostri idoli e vi renderò puri; e vi darò un cuore nuovo e uno spirito nuovo. Toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne e vi darò anche il mio spirito. E vi farò camminare nella mia giustizia e voi custodirete i miei giudizi e li metterete in pratica. Abiterete nella terra che diedi ai vostri padri, e voi sarete mio popolo e io sarò vostro Dio. E vi purificherò da tutte le vostre immondezze 80. Non si può porre in dubbio che questo sia stato profetizzato del Nuovo Testamento, al quale appartiene non solo quell'unico popolo nei suoi eredi, di cui è scritto altrove: Se il numero dei figli d'Israele fosse come la sabbia del mare, un resto sarà salvato 81, ma anche le altre nazioni che erano state promesse in eredità ai loro padri, che poi sono anche i padri nostri. Non resta confuso chi vede come [in tali parole] è promesso il lavacro della rigenerazione, che attualmente vediamo amministrato a tutte le genti, e pensa a quello che dice l'Apostolo sottolineando l'eccellenza della grazia del Nuovo Testamento a confronto con quella del Vecchio. La nostra lettera- dice - siete voi: lettera scritta non con l'inchiostro ma con lo Spirito del Dio vivente; non in tavole di pietra ma nelle tavole di carne che sono il cuore 82. Egli guarda là e trova che è preso dal detto profetico: E vi darò un cuore nuovo e uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Volle che il cuore di carne - di cui dice l'Apostolo: Nelle tavole del cuore carnale - fosse distinto dal cuore di pietra, essendo quello dotato di vita sensitiva e nella vita sensitiva volle significare la vita intellettiva. Così si forma l'Israele spirituale, risultante non da un solo popolo ma da tutti i popoli, promessi ai padri come loro discendenza, che poi è Cristo.
Ancora esempi illustrativi: Israele spirituale e carnale.
34. 49. Questo Israele spirituale si distingue dall'Israele carnale, limitato a un solo popolo, per la novità della grazia non per la nobiltà della patria, per lo spirito non per la gente che lo compone. Quando pertanto il Profeta dalle altezze in cui si trova parla di questo secondo o a questo secondo, senza che noi ce ne accorgiamo passa al primo, e quando parla del primo o al primo, sembra che ancora parli dell'altro o all'altro. Questo non per sottrarci, come farebbe un nemico, la comprensione delle Scritture ma per allenare da bravo medico la nostra mente. Così le parole: E vi introdurrò nella vostra terra e quelle che dice poco dopo, quasi ripetendo lo stesso concetto: E abiterete - dice - nella terra che diedi ai vostri padri, non dobbiamo intenderle in senso carnale, quasi siano riferite all'Israele secondo la carne, ma spiritualmente, cioè dirette all'Israele spirituale. È infatti la Chiesa - quella sposa senza macchia e senza ruga 83 adunata da tutte le genti e destinata a regnare in eterno con Cristo - la terra dei viventi 84; e di questa Chiesa bisogna intendere che fu data ai padri quando fu loro promessa da Dio con volontà certa e irrevocabile. In effetti essa fu già data nella stabilità della promessa o, meglio della predestinazione, e dai padri fu creduto che sarebbe stata data a suo tempo. È come quando, parlando della grazia concessa ai santi, dice l'Apostolo scrivendo a Timoteo: Non in seguito ad opere nostre ma in forza del suo progetto e della sua grazia, ci è stata data in Cristo Gesù prima dei secoli eterni e si è manifestata adesso mediante la venuta del nostro Salvatore 85. Dice che la grazia fu data quando nemmeno esistevano coloro ai quali si intendeva darla, poiché nel piano e nella predestinazione di Dio già era avvenuto quello che si sarebbe realizzato - l'Apostolo dice " manifestato " - a suo tempo. Inoltre le parole della profezia si potrebbero intendere anche della terra del mondo avvenire, quando ci saranno cieli nuovi e terra nuova 86, in cui non potranno abitare quanti sono privi della giustizia. Pertanto giustamente si dice ai fedeli che essa è la loro terra, in quanto sotto nessun punto di vista potrà essere terra degli empi. Se ne deduce che anch'essa, a somiglianza [della grazia], fu concessa quando si stabilì perentoriamente di concederla.
Quinta Regola di Ticonio ed esempi illustrativi.
35. 50. Come quinta regola Ticonio pone quella che chiama Dei tempi. Con la quale regola si potrebbe trovare o almeno congetturare la durata dei tempi lasciata nell'oscurità dalla santa Scrittura. Egli dice che questa regola è valida in due campi: o nel tropo detto sineddoche o nei numeri perfetti. La sineddoche è un tropo che consente di prendere il tutto per la parte o la parte per il tutto. Ad esempio un Evangelista dice che accadde dopo otto giorni - mentre un altro dice dopo sei - l'episodio in cui sul monte alla presenza di tre soli discepoli il volto del Signore divenne splendente come il sole e le sue vesti come la neve 87. Le affermazioni circa il numero dei giorni non potrebbero essere vere tutte e due, se non si interpreta che colui che dice dopo otto giorni non abbia posto come due giorni completi e interi e la porzione finale del giorno in cui Cristo predisse la cosa che sarebbe accaduta e la parte iniziale del giorno in cui la cosa divenne fatto compiuto. Viceversa, colui che disse dopo sei giorni computò solo i giorni completi e interi, cioè solo i giorni di mezzo. Con questo genere di locuzione con cui si indica il tutto per la parte si risolve anche la nota questione circa la resurrezione di Cristo. Se infatti non si prende l'ultima parte del giorno in cui subì la passione e la si considera come un giorno intero, comprendendovi anche la notte che l'aveva preceduta, e se non si prende come giorno intero anche la notte al termine della quale risuscitò - aggiungendovi cioè la domenica di cui si era all'alba -, non possono aversi i tre giorni e le tre notti che egli aveva predetto di restare nel cuore della terra 88.
Numeri perfetti e loro portata mistica.
35. 51. Quanto ai numeri perfetti, [Ticonio] chiama così i numeri che la divina Scrittura privilegia sugli altri, come il sette, il dieci, il dodici e tutti gli altri che gli studiosi leggendo riconoscono facilmente. Il più delle volte questi numeri indicano la totalità del tempo. Così il detto: Ti loderò sette volte al giorno 89, non significa altro se non che la sua lode sarà sempre sulla mia bocca 90. Lo stesso significato hanno quando li si moltiplica per dieci, e si ha settanta o settecento, per cui si possono interpretare simbolicamente i settanta anni di Geremia e intenderli di tutto il tempo in cui la Chiesa è presso gli estranei. Ugualmente quando li si moltiplica per se stessi: dieci per dieci, uguale a cento; dodici per dodici, uguale a centoquarantaquattro, numero col quale nell'Apocalisse si indica la totalità dei santi 91. Si rende così evidente che con questi numeri non si hanno da risolvere solo questioni concernenti il tempo ma il loro significato si allarga a molte altre cose e abbraccia molti soggetti. In effetti quel numero dell'Apocalisse non si riferisce a problemi temporali ma riguarda persone.
Sesta Regola di Ticonio.
36. 52. La sesta regola Ticonio la chiama Ricapitolazione, regola che egli molto acutamente ha trovato per le difficoltà delle Scritture. Alcune cose infatti sono così riferite come se si susseguissero in ordine di tempo o come se fossero narrate secondo un susseguirsi reale, in quanto il racconto in maniera nascosta si rifà a cose anteriori tralasciate. Se questo nella presente regola non si tiene presente, si cade in errore. Sia d'esempio il Genesi. Dice: E il Signore Dio arricchì di piante il paradiso, [che era] in Eden ad Oriente, e vi collocò l'uomo che formò, e Dio produsse ancora dalla terra ogni albero bello [a vedersi] e buono a mangiarsi 92. Con tali parole sembrerebbe dirsi che tutto ciò fu fatto dopo che Dio aveva posto nel paradiso l'uomo che aveva creato. Ricordate compendiosamente le due cose- che cioè Dio arricchì di piante il paradiso e che vi pose l'uomo che aveva formato - la Scrittura torna da capo ricapitolando e dice quanto aveva omesso: che il paradiso era stato abbellito di piante, che Dio produsse ancora dalla terra ogni albero bello [a vedersi] e buono a mangiarsi. Poi proseguendo aggiunge: E l'albero della vita in mezzo al paradiso e l'albero della scienza del bene e del male 93. Poi si descrive il fiume che irrigava il paradiso e quindi si divideva in quattro corsi d'acqua, cose tutte che si riferiscono alla configurazione del paradiso. Terminato questo racconto, ripete ciò che aveva detto, e che in realtà si sarebbe dovuto dire dopo, e dice: E il Signore Dio prese l'uomo da lui formato e lo collocò nel paradiso 94. In realtà l'uomo fu lì collocato dopo che tutte le altre cose erano state create, come ora la stessa disposizione ordinata dimostra. Non è vero che tutte le altre creature furono fatte dopo che l'uomo era stato ivi collocato, come si sarebbe potuto credere a una prima lettura, se non vi si introduce intelligentemente la figura della ricapitolazione, con cui si torna a ciò che era stato omesso.
Esempio tratto dal racconto della torre di Babele.
36. 53. Parimenti, nello stesso libro dice la Scrittura elencando le generazioni dei figli di Noè: Questi i figli di Cam, secondo le loro tribù, le loro lingue, paesi e nazioni 95. E ancora, enumerati i figli di Sem, dice: Questi i figli di Sem secondo le loro tribù, lingue, paesi e nazioni 96. E parlando di tutti prosegue: Queste le tribù dei figli di Noè secondo la loro genealogia e secondo le loro nazioni. Da loro dopo il diluvio si dispersero i popoli delle isole dei gentili per tutta la terra. E tutta la terra aveva una sola bocca e tutti una sola voce 97. Si aggiunge dunque questo, che cioè tutta la terra aveva una sola bocca e tutti una sola voce, vale a dire una unica lingua. Questo sembrerebbe detto come se anche nel tempo in cui furono dispersi su tutta la terra, ivi comprese le isole delle genti, la lingua fosse ancora unica e comune a tutti. La qual cosa ripugna senz'altro alle precedenti parole dove si diceva: Secondo le loro tribù e le loro lingue. Non si sarebbe dovuto infatti dire che le singole tribù avevano già la loro propria lingua - quelle tribù che diedero origine alle diverse nazioni - se è vero che unica e comune era la lingua di tutte. Ciò significa che a modo di ricapitolazione fu aggiunto: Ed aveva tutta la terra una sola bocca e tutti un'unica voce, riprendendosi in maniera nascosta la narrazione dicendo come accadde che gli uomini, che avevano avuto tutti un'unica lingua, fossero divisi in molte lingue. E subito ci si narra della costruzione della torre per la quale secondo il giudizio divino fu loro inflitto quel castigo meritato dalla superbia. Fu dopo questo episodio che gli uomini furono dispersi su tutta la terra e ciascuno ebbe la propria lingua.
La Regola della Ricapitolazione applicata a Lc 17, 29-32.
36. 54. Questa ricapitolazione avviene anche in passi più oscuri, come nel Vangelo, là dove dice il Signore: Nel giorno in cui Lot uscì da Sodoma e piovve fuoco dal cielo e uccise tutti. Così sarà il giorno del Figlio dell'uomo quando si rivelerà. In quell'ora chi sarà sul tetto e avrà in casa i suoi oggetti, non scenda per andarli a prendere; e chi si trova nel campo ugualmente non torni indietro: si ricordi della moglie di Lot 98. Forse che, quando il Signore si sarà rivelato, bisognerà osservare tutte queste disposizioni, cioè non guardare indietro, o, in altre parole, non aspirare di nuovo alla vita cui si è rinunziato? O non lo si deve fare piuttosto al tempo presente, di modo che, quando il Signore si rivelerà, si riceva la ricompensa di quanto ciascuno ha osservato o disprezzato? Ma poiché è detto: In quell'ora, verrebbe da credere che queste norme si debbano osservare quando il Signore si rivelerà, se l'attenzione di chi legge non è desta a scoprirvi una ricapitolazione. In tal senso gli viene in aiuto un'altra Scrittura che, al tempo in cui vivevano ancora gli Apostoli, esclama: Figli, è l'ultima ora 99. Ebbene, l'ora in cui si debbono osservare queste prescrizioni è tutto il tempo in cui viene predicato il Vangelo fino al giorno in cui si manifesterà il Signore. In effetti la stessa manifestazione del Signore fa parte di quell'ora che avrà il suo termine nel giorno del giudizio 100.
Settima Regola di Ticonio.
37. 55. La settima e ultima regola di Ticonio è Il diavolo e il suo corpo. Egli infatti è il capo degli empi, che ne costituiscono in certo qual modo il corpo e andranno insieme con lui al supplizio del fuoco eterno 101. Analogamente Cristo è il capo della Chiesa, che è il suo corpo e andrà con lui nel regno e nella gloria eterna 102. Si ricordi pertanto la prima regola, chiamata [da Ticonio] Il Signore e il suo corpo e come in essa occorra star desti per comprendere cosa riguardi il capo e cosa il corpo, pur parlando la Scrittura di un'unica e identica persona. Così è in questa ultima. Talvolta si applica al diavolo ciò che troviamo non in lui ma piuttosto nel suo corpo. Egli infatti ha un corpo costituito non soltanto da coloro che in maniera del tutto palese sono fuori [della Chiesa] ma anche da coloro che, pur appartenendo a lui, tuttavia sono temporaneamente uniti alla Chiesa, finché ciascuno non esca da questo mondo o finché la paglia non venga separata dal grano mediante il ventilabro usato alla fine 103 [dal Signore]. Un esempio sono le parole del libro di Isaia dove è scritto: Come cadde dal cielo Lucifero che sorgeva al mattino 104 e il seguito. Sotto la figura del re di Babilonia nel medesimo contesto del discorso sono dette cose riguardanti la persona stessa del re o che sono a lui rivolte, eppure si intendono bene del diavolo, mentre ciò che nello stesso passo è detto: È stato sfracellato in terra colui che inviava [messaggeri] a tutta la terra 105, non si adatta completamente alla persona del capo. Difatti, per quanto sia il diavolo a mandare i suoi angeli a tutti i popoli, tuttavia colui che viene sfracellato sulla terra non è lui ma il suo corpo. A meno che non lo si riferisca al fatto che, essendo egli nel suo corpo, in questo stesso corpo viene lui stesso sfracellato e diventa come polvere che il vento disperde sulla superficie della terra 106.
Conclusione del libro. I generi letterari; la necessità della preghiera.
37. 56. Orbene, tutte queste regole - eccetto quella chiamata Le promesse e la Legge - mediante una cosa ne fanno comprendere un'altra: il che è proprio del parlare in tropi, i quali peraltro si estendono tanto che non si può, a mio avviso, comprendere tutto da un singolo elemento. Difatti là dove si dice una cosa perché se ne comprenda un'altra, sebbene il nome del tropo non si trovi nell'arte retorica, tuttavia si tratta di una espressione tropica. La quale, se si usa dove si è soliti usarla, senza sforzo si ottiene la comprensione; se invece la si usa dove di solito non la si trova, si stenta a comprendere e c'è chi stenta di più e chi di meno, secondo che più o meno grandi sono i doni di Dio elargiti alle menti umane o gli aiuti loro concessi. In conclusione, come nei termini propri - di cui sopra abbiamo trattato - le cose sono da intendersi come suonano le parole, così nelle espressioni traslate che costituiscono i tropi: da una cosa se ne può intendere un'altra. Ma di questo abbiamo ormai trattato quanto ci sembrava opportuno. Quanto agli studiosi delle lettere degne di assoluta venerazione, non solo li si deve spingere a conoscere i generi letterari in uso nelle Sacre Scritture e a penetrare con solerzia il modo come ogni cosa ivi è di solito espressa, ritenendola poi a memoria, ma anche a pregare per ottenere l'intelligenza, essendo la preghiera il mezzo principale e più necessario. In quelle lettere infatti di cui sono appassionati leggono che il Signore dà la sapienza e dal suo volto derivano scienza e intelligenza 107. Da lui hanno infatti ricevuto il loro stesso trasporto quando esso è unito alla pietà. Con questo facciamo basta a tutto ciò che riguarda i segni, compresi quelli contenuti in parole. Resta da discutere sul modo di comunicare agli altri le cose imparate e lo faremo nel seguente volume dicendo ciò che il Signore ci concederà.
Note:
1 - Gv 1, 1-2.
2 - Fil 1, 22-24.
3 - 2 Cor 7, 12.
4 - 1 Cor 7, 34.
5 - Rm 8, 33-34.
6 - Rm 8, 34.
7 - Rm 9, 30.
8 - Gv 1, 46.
9 - Sal 138, 15.
10 - Gal 5, 21.
11 - 1 Ts 3, 7.
12 - 1 Cor 15, 31.
13 - 2 Cor 3, 6.
14 - Cf. Gal 3, 24.
15 - Cf. Mt 12, 1-14.
16 - Cf. Lc 6, 7.
17 - Cf. At 4, 34.
18 - Fragm. poet. rom., ed Baehrens 1886, p. 388.
19 - Cf. Lc 15, 16.
20 - Cf. Dn 6, 5.
21 - Rm 2, 5-9.
22 - Gal 5, 24.
23 - Cf. Ger 1, 10.
24 - Cf. Gv 12, 3.
25 - Cf. Osea 1, 2.
26 - Cf. Lc 24, 43.
27 - Gn 25, 34.
28 - Cf. VERGIL., Georg. 3, 65.
29 - Cf. Gn 16, 3; 25, 1; 2 Sam 5, 13.
30 - Tb 4, 16.
31 - Gv 6, 54.
32 - Prv 26, 21.
33 - Gv 12, 25.
34 - Sir 12, 4.
35 - Cf. Mt 19, 12.
36 - Cf. 1 Cor 7, 37.
37 - Sir 7, 37.
38 - Cf. 1 Cor 7, 2.
39 - Cf. Qo 3, 5.
40 - Tb 8, 7-10.
41 - Cf. 2 Sam 18, 33.
42 - Cf. 2 Sam 12, 15-23.
43 - Cf. 2 Sam 12, 1-14.
44 - Cf. 1 Re 11, 1.
45 - Cf. 2 Cr 1, 7-12.
46 - 1 Cor 10, 12.
47 - Gc 4, 6.
48 - Mt 16, 11.
49 - Lc 13, 21.
50 - Ap 5, 5.
51 - 1 Pt 5, 8.
52 - Mt 10, 16.
53 - 2 Cor 11, 3.
54 - Gv 6, 51.
55 - Prv 9, 17.
56 - Sal 74, 9.
57 - Ibidem.
58 - Ap 17, 15.
59 - Gv 7, 38.
60 - Sal 34, 2.
61 - Sal 5, 13.
62 - Ef 6, 16.
63 - 1 Ts 5, 8.
64 - Cf. Ap 1, 20.
65 - TYCHON., Praef.
66 - Gal 3, 29.
67 - Is 61, 10.
68 - Ct 1, 5.
69 - Cf. Mt 13, 48.
70 - Cf. Gn 21, 10; Gal 4, 30.
71 - Is 42, 16-17.
72 - Cf. Mt 24, 51.
73 - Ef 6, 23.
74 - 1 Cor 11, 19.
75 - Cf. Rm 12, 3.
76 - Fil 1, 29.
77 - Ez 36, 17-19.
78 - 1 Cor 10, 18.
79 - Ez 36, 23.
80 - Ez 36, 24-29.
81 - Is 10, 22.
82 - 2 Cor 3, 2-3.
83 - Ef 5, 27.
84 - Cf. Sal 26, 13.
85 - 2 Ts 1, 9-10.
86 - Cf. Ap 21, 1.
87 - Cf. Lc 9, 28; Mt 17, 1-2; Mc 9, 1-2.
88 - Cf. Mt 12, 40.
89 - Sal 118, 164.
90 - Cf. Ger 25, 11; 29, 10.
91 - Cf. Ap 7, 4.
92 - Gn 2, 8-9.
93 - Gn 2, 9.
94 - Gn 2, 15.
95 - Gn 10, 10.
96 - Gn 10, 31.
97 - Gn 10, 32; 11, 1.
98 - Lc 17, 29-32; cf. Gn 19, 26.
99 - 1 Gv 2, 18.
100 - Rm 2, 5; 13, 11.
101 - Cf. Mt 25, 41.
102 - Cf. Ef 1, 22- 23.
103 - Cf. Lc 3, 17.
104 - Is 14, 12.
105 - Ibidem.
106 - Cf. Sal 1, 4.
107 - Prv 2, 6.
3 - Maria nella Santa Chiesa
Trattato della vera devozione a Maria - San Luigi Maria Grignion de Montfort
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22. La condotta che le tre Persone della Santissima Trinità hanno tenuto nell'Incarnazione e nella prima venuta di Gesù Cristo, è da loro mantenuta ogni giorno, in maniera invisibile, nella santa Chiesa e sarà conservata fino alla consumazione dei secoli, nell'ultima venuta di Gesù Cristo.
23. Dio Padre ha radunato una massa di acque che ha chiamato mare; egli ha pure riunito un insieme di tutte le grazie che ha chiamato Maria. Questo grande Dio possiede un tesoro, o un deposito ricchissimo, dove ha racchiuso tutto ciò che ha di bello, di splendido, di raro e di prezioso, perfino il suo proprio Figlio; questo tesoro immenso non è altro che Maria, che i santi chiamano tesoro del Signore e della cui pienezza gli uomini sono arricchiti.
24. Dio Figlio ha comunicato alla sua Madre tutto ciò che ha acquisito con la sua vita e la sua morte, i suoi meriti infiniti e le sue mirabili virtù e l'ha costituita tesoriera di tutto ciò che il Padre gli aveva dato in eredità; è per mezzo di lei che egli applica i propri meriti ai suoi membri, che comunica le proprie virtù e distribuisce le sue grazie; è il suo canale misterioso, il suo acquedotto, attraverso il quale fa passare con dolcezza e abbondanza le sue misericordie.
25. Dio Spirito Santo ha comunicato a Maria, sua Sposa fedele, i propri doni ineffabili; l'ha scelta come dispensatrice di tutto ciò che possiede, di modo che ella distribuisce a chi vuole, nella misura che vuole, come e quando vuole, ogni dono e grazia; nessun dono celeste giunge agli uomini senza passare dalle sue mani verginali. Questa è la volontà di Dio: che noi riceviamo tutto per mezzo di Maria. E così sarà arricchita, innalzata e onorata dall'Altissimo colei che si era dichiarata povera, umile e nascosta fin nel profondo del nulla con la sua intima umiltà e per tutta la sua vita. Ecco il sentire della Chiesa e dei santi Padri.
26. Se parlassi a degli spiriti critici di oggi, mi fermerei più a lungo a provare ciò che ho detto con semplicità, citando la Sacra Scrittura e i santi Padri, di cui potrei riferire i testi in latino; potrei portare molte solide motivazioni, come si possono trovare sviluppate a lungo nel libro La triplice corona della Santa Vergine, del padre Poiré. Ma io parlo in particolare ai poveri e ai semplici, i quali hanno di solito buona volontà e maggior fede dei sapienti e sanno credere con più semplicità e maggior merito. Perciò mi accontento di esporre la verità semplicemente, senza fermarmi a citare tutti i passi latini, che essi neppure capiscono. Nè riferirò alcuni, senza farne una ricerca sistematica. Ma proseguiamo.
27. La grazia perfeziona la natura, e la gloria perfeziona la grazia. E' dunque certo che Cristo Signore anche in cielo è ancora Figlio di Maria, come lo era sulla terra e quindi ha conservato la sottomissione e l'obbedienza del più perfetto dei figli nei riguardi della migliore di tutte le madri. Ma non dobbiamo vedere in questa dipendenza una forma di abbassamento o di imperfezione in Gesù Cristo. Essendo Maria infinitamente al di sotto del suo Figlio, che è Dio, non lo comanda come farebbe una madre qui in terra con un suo figlio, che deve essere sottomesso. Maria essendo tutta trasformata in Dio dalla grazia e dalla gloria che trasformano i santi in lui, non chiede, non vuole e non fa nulla che sia contrario all'eterna e immutabile volontà di Dio. Quando si legge quindi negli scritti dei santi Bernardo, Bernardino, Bonaventura, ecc. che in cielo e sulla terra tutto è sottomesso alla Santa Vergine, perfino Dio stesso, essi intendono dire che l'autorità che Dio ha dato a lei è così grande da sembrare che ella abbia il medesimo potere di Dio e che le sue preghiere e domande sono così potenti presso Dio da diventare come dei comandi presso la sua Maestà, che non resiste mai all'invocazione della sua cara Madre, poiché ell è sempre umile e conforme alla sua volontà. Se Mosè, con la forza della sua preghiera, fermò la collera di Dio sugli Israeliti, in modo così efficace che l'Altissimo e infinitamente misericordioso Signore, non potendo resistere, gli disse di lasciarlo andare in collera e punire quel popolo ribelle, che cosa dobbiamo pensare noi, a più forte ragione, della preghiera dell'umile Maria, la degna Madre di Dio, più potente presso la sua Maestà che non le preghiere e le intercessioni di tutti gli angeli e i santi del cielo e della terra?
28. Maria comanda nei cieli sugli angeli e sui beati. Come premio della sua profonda umiltà, Dio le ha dato il potere e l'incarico di riempire di santi i troni lasciati vuoti dagli angeli ribelli, caduti per superbia. Questo è il volere dell'Altissimo, che esalta gli umili, che il cielo, la terra e gli inferi si pieghino, volenti o nolenti, ai comandi dell'umile Maria, costituita sovrana del cielo e della terra, comandante dei suoi eserciti, tesoriera delle sue ricchezze, dispensatrice delle grazie, operatrice delle sue grandi meraviglie, riparatrice del genere umano, mediatrice degli uomini, vincitrice dei nemici di Dio e fedele compagna delle sue imprese grandiose e dei suoi trionfi.
29. Dio Padre vuole avere figli per mezzo di Maria, fino alla fine del mondo, e le dice: «Fissa la tua tenda in Giacobbe» e cioè poni la tua dimora e risiedi tra i miei figli e fedeli credenti, simboleggiati da Giacobbe, e non tra i seguaci del demonio e i non credenti, raffigurati da Esaù. 30. Come nella generazione di natura e fisica c'è un padre e una madre, così nella generazione soprannaturale e spirituale c'è un Padre che è Dio e una Madre che è Maria. Tutti i veri figli di Dio e autentici credenti hanno Dio come Padre e Maria come Madre. Chi non ha Maria come Madre, non ha Dio come Padre. Perciò i non credenti, gli eretici, gli scismatici, ecc., che hanno in odio, o disprezzano, o sono indifferenti verso la Vergine Santa, non possono avere Dio come Padre, anche se lo pretendono, perché non hanno Maria come Madre: se infatti l'avessero come Madre, la tratterebbero con amore e onore, come un vero e degno figlio ama naturalmente e onora sua madre, che gli ha dato la vita. Il segno più infallibile e sicuro per distinguere un eretico, o un uomo di cattiva dottrina, o un non credente, da un autentico fedele, è che l'eretico e il non credente nutrono disprezzo o indifferenza verso la Vergine Santa, cercando con le loro parole e l'esempio di diminuirne il culto e l'affetto, apertamente o di nascosto, a volte mascherandosi di buoni pretesti. Ahimè! Dio Padre non disse a Maria di porre la sua dimora tra di essi, perché sono degli Esaù.
31. Dio Figlio vuole formarsi e, per così dire, incarnarsi ogni giorno nei suoi membri per mezzo della sua cara Madre e le dice: «Prendi in eredità Israele». Come se dicesse: Dio mio Padre mi ha consegnato in eredità tutte le nazioni della terra, gli uomini buoni e cattivi, fedeli e non credenti; io li condurrò, gli uni con scettro d'oro e gli altri con verga di ferro; degli uni sarò il padre e il difensore, degli altri il giusto castigatore e di tutti il giudice. Ma tu, mia cara Madre, avrai in eredità e in possesso solo i fedeli credenti, raffigurati da Israele e come loro buona madre li darai alla luce, li nutrirai e farai crescere; come loro regina, li guiderai, li governerai e li difenderai.
32. «L'uno e l'altro è nato in esso», dice lo Spirito Santo. Secondo la spiegazione di alcuni Padri, il primo uomo nato da Maria è l'Uomo-Dio, Gesù Cristo; il secondo è il semplice uomo, figlio di Dio e di Maria per adozione. Se Gesù Cristo, il Capo degli uomini, è nato in lei, anche i veri credenti, che sono membri di questo Capo, devono per conseguenza necessaria nascere in lei. Una stessa madre non mette al mondo la testa, o il capo, senza le membra, né le membra senza la testa: sarebbe un mostro della natura. Così nell'ordine della grazia, il capo e le membra nascono da una stessa madre. Se un membro del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè un vero credente, nascesse da un'altra madre, diversa da Maria che ha generato il Capo, non sarebbe un autentico credente, né un membro di Gesù Cristo, ma una specie di mostro nell'ordine della grazia.
33. Di più. Essendo Gesù Cristo oggi più che mai il frutto di Maria, infatti il cielo e la terra ripetono mille e mille volte al giorno: «E benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù», è sicuro che Gesù Cristo è per ciascun uomo in particolare che lo possiede, e per tutti in generale, vero frutto e opera di Maria. Se un fedele ha Gesù Cristo formato nel suo cuore, può dire con certezza: «Grazie a Maria: ciò che io possiedo è effetto e frutto suo; senza di lei non l'avrei». A lei si possono applicare, con più verità che san Paolo non le applichi a se stesso, queste parole: «Figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi». «Io genero ogni giorno i figli di Dio, fino a tanto che in loro sia formato nella sua piena maturità Gesù Cristo, mio Figlio». Sant'Agostino, superando se stesso e quanto ho appena detto, scrive che tutti i veri fedeli, per essere conformi all'immagine del Figlio di Dio, sono in questo mondo nascosti nel grembo della Santa Vergine, dove vengono custoditi, nutriti, curati e fatti crescere da questa buona Madre, fino al momento di darli alla luce nella gloria, dopo la morte, che è esattamente il giorno della loro nascita, come la Chiesa chiama la morte dei giusti. O mistero di grazia, sconosciuto a chi non ha fede e poco conosciuto anche dai credenti!
34. Dio Spirito Santo vuole formarsi degli eletti in lei e per mezzo di lei e le dice: «Metti radici nei miei eletti». Mia amatissima e mia Sposa, metti la radice di tutte le tue virtù nei miei eletti, perché crescano di virtù in virtù, di grazia in grazia. Io ho preso tanto diletto in te quando vivevi sulla terra, nella pratica delle virtù più sublimi, che io desidero trovarti ancora sulla terra, senza per questo lasciare il cielo. Perciò ti devi riprodurre nei miei eletti: che io possa vedere in essi con piacere le radici della tua fede incrollabile, della profonda umiltà, della mortificazione universale, dell'orazione sublime, della carità ardente, della ferma speranza e di tutte le tue virtù. Tu rimani sempre la mia Sposa, fedele, pura e feconda più che mai: la tua fede mi dia fedeli, la tua purezza vergini, la tua fecondità eletti e templi di Dio.
35. Quando Maria ha messo le sue radici in un'anima, vi produce meraviglie di grazia, come lei sola può fare, poiché lei sola è la Vergine feconda, che non ha mai avuto, né mai avrà chi le somigli in purezza e fecondità. Maria ha prodotto, con lo Spirito Santo, la più grande opera che mai sia stata e potrà essere: un Dio-Uomo, per conseguenza sarà lei a realizzare le più grandi meraviglie che avverranno negli ultimi tempi. A lei è riservata la formazione e l'educazione dei grandi santi che vivranno verso la fine del mondo, non c'è che questa Vergine singolare e miracolosa che possa produrre, in unione con lo Spirito Santo, le imprese singolari e straordinarie. 36. Quando lo Spirito Santo, suo Sposo, l'ha trovata in un'anima, vi vola e vi entra con pienezza, si comunica a quest'anima con abbondanza e nella misura in cui trova spazio la sua Sposa. Uno dei principali motivi per cui lo Spirito Santo oggi non compie meraviglie clamorose nelle anime, è che non vi trova un'unione abbastanza forte con la sua fedele e indissolubile Sposa. Dico indissolubile Sposa, perché da quando questo Amore sostanziale del Padre e del Figlio ha sposato Maria per generare Gesù Cristo, capo degli eletti, e per riprodurre Gesù Cristo negli eletti, non l'ha mai abbandonata, perché ella è stata sempre fedele e disponibile.
6-95 Marzo 2, 1905 Gesù le dà la chiave della sua Volontà.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Continuando il mio solito stato, mi sono trovata fuori di me stessa, e mi sono trovata in mano una chiave; e sebbene facevo una via lunga, e qualche volta mi distraevo, pure non appena pensavo alla chiave me la trovavo sempre in mano. Ora vedevo che questa chiave serviva ad aprire un palazzo, e dentro vi stava il bambino Gesù che dormiva e che io il tutto vedevo da lontano, ed io avevo tutta la premura, la fretta d’andare ad aprire, temendo che si risvegliasse, che piangesse, e non mi trovavo vicino. Onde m’affrettavo sempre più, ma quando mi sono trovata lì per salire, mi sono trovata in me stessa, quindi sono restata impensierita. Ma dopo, avendo venuto il benedetto Gesù mi ha detto:
(2) “Figlia mia, la chiave che ti trovavi sempre in mano, è la chiave della mia Volontà, che Io ho messo nelle tue mani, e chi tiene in mano un oggetto, può farne ciò che vuole”.