Sotto il Tuo Manto

Martedi, 9 settembre 2025 - San Pietro Claver Sacerdote (Letture di oggi)

La ragione vera per cui non sempre riesci a far bene le tue meditazioni, io la rinvengo in questo e non mi sbaglio. Tu ti accosti a meditare con una certa specie di alterazione, congiunta con una grande ansietà , di trovare qualche oggetto che possa far rimanere contento e consolato il tuo spirito; e questo basta per far che tu non trovi mai quel che cerchi e non posi la tua mente nella verità  che mediti. Figlia mia, sappi che quando uno cerca con gran fretta ed avidità  una cosa perduta, la toccherà  con le mani, la vedrà  con gli occhi cento volte, e non se ne accorgerà  mai. Da questa vana ed inutile ansietà  non ti può derivare altro che una grande stanchezza di spirito ed impossibilità  di mente, di fermarsi sull'oggetto che tiene presente; e da questo, poi, come da sua propria causa, una certa freddezza e stupidità  dell'anima specificatamente nella parte affettiva. Non conosco altro rimedio al riguardo all'infuori di questo: uscire da questa ansietà , perché essa è uno dei maggiori traditori che la vera virtù e la soda devozione possa mai avere; finge di riscaldarsi al ben operare, ma non lo fa se non per raffreddarsi e ci fa correre per farci inciampare. (San Pio da Pietrelcina)

Liturgia delle Ore - Letture

Venerdi della 3° settimana del tempo ordinario (San Giovanni Bosco)

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Matteo 6

1Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli.2Quando dunque fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.3Quando invece tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra,4perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

5Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.6Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

7Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole.8Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate.9Voi dunque pregate così:

Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome;
10venga il tuo regno;
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
11Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
12e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
13e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male.

14Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi;15ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.

16E quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.
17Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto,18perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

19Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano;20accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano.21Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore.

22La lucerna del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce;23ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!

24Nessuno può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire a Dio e a mammona.

25Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito?26Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?27E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita?28E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano.29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.30Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?31Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?32Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno.33Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.34Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.


Giosuè 1

1Dopo la morte di Mosè, servo del Signore, il Signore disse a Giosuè, figlio di Nun, servo di Mosè:2"Mosè mio servo è morto; orsù, attraversa questo Giordano tu e tutto questo popolo, verso il paese che io do loro, agli Israeliti.3Ogni luogo che calcherà la pianta dei vostri piedi, ve l'ho assegnato, come ho promesso a Mosè.4Dal deserto e dal Libano fino al fiume grande, il fiume Eufrate, tutto il paese degli Hittiti, fino al Mar Mediterraneo, dove tramonta il sole: tali saranno i vostri confini.5Nessuno potrà resistere a te per tutti i giorni della tua vita; come sono stato con Mosè, così sarò con te; non ti lascerò né ti abbandonerò.
6Sii coraggioso e forte, poiché tu dovrai mettere questo popolo in possesso della terra che ho giurato ai loro padri di dare loro.7Solo sii forte e molto coraggioso, cercando di agire secondo tutta la legge che ti ha prescritta Mosè, mio servo. Non deviare da essa né a destra né a sinistra, perché tu abbia successo in qualunque tua impresa.8Non si allontani dalla tua bocca il libro di questa legge, ma mèditalo giorno e notte, perché tu cerchi di agire secondo quanto vi è scritto; poiché allora tu porterai a buon fine le tue imprese e avrai successo.9Non ti ho io comandato: Sii forte e coraggioso? Non temere dunque e non spaventarti, perché è con te il Signore tuo Dio, dovunque tu vada".
10Allora Giosuè comandò agli scribi del popolo:11"Passate in mezzo all'accampamento e comandate al popolo: Fatevi provviste di viveri, poiché fra tre giorni voi passerete questo Giordano, per andare ad occupare il paese che il Signore vostro Dio vi da' in possesso".
12Poi Giosuè disse ai Rubeniti, ai Gaditi e alla metà della tribù di Manàsse:13"Ricordatevi di ciò che vi ha ordinato Mosè, servo del Signore: Il Signore Dio vostro vi concede riposo e vi dà questo paese;14le vostre mogli, i vostri bambini e il vostro bestiame rimarranno nella terra che vi ha assegnata Mosè oltre il Giordano; voi tutti invece, prodi guerrieri, passerete ben armati davanti ai vostri fratelli, e li aiuterete,15finché il Signore conceda riposo ai vostri fratelli, come a voi, e anch'essi siano entrati in possesso del paese che il Signore Dio vostro assegna loro. Allora ritornerete e possederete la terra della vostra eredità, che Mosè, servo del Signore, diede a voi oltre il Giordano, ad oriente".16Essi risposero a Giosuè: "Faremo quanto ci hai ordinato e noi andremo dovunque ci manderai.17Come abbiamo obbedito in tutto a Mosè, così obbediremo a te; ma il Signore tuo Dio sia con te come è stato con Mosè.18Chiunque disprezzerà i tuoi ordini e non obbedirà alle tue parole in quanto ci comanderai, sarà messo a morte. Solo, sii forte e coraggioso".


Siracide 8

1Non litigare con un uomo potente
per non cadere poi nelle sue mani.
2Non litigare con un uomo ricco,
perché egli non t'opponga il peso del suo danaro,
poiché l'oro ha corrotto molti
e ha fatto deviare il cuore dei re.
3Non litigare con un uomo linguacciuto
e non aggiungere legna sul suo fuoco.
4Non scherzare con l'ignorante,
perché non siano disprezzati i tuoi antenati.
5Non insultare un uomo convertito dal peccato,
ricòrdati che siamo tutti degni di pena.
6Non disprezzare un uomo quando è vecchio,
perché anche di noi alcuni invecchieranno.
7Non gioire per la morte di qualcuno;
ricòrdati che tutti moriremo.

8Non disdegnare i discorsi dei saggi,
medita piuttosto le loro massime,
perché da essi imparerai la dottrina
e potrai essere a servizio dei grandi.
9Non trascurare i discorsi dei vecchi,
perché anch'essi hanno imparato dai loro padri;
da essi imparerai l'accorgimento
e come rispondere a tempo opportuno.

10Non attizzare le braci del peccatore,
per non bruciare nel fuoco della sua fiamma.
11Non ritirarti dalla presenza del violento,
perché egli non ponga un agguato contro di te.
12Non imprestare a un uomo più forte di te;
quello che gli hai prestato, consideralo come perduto.
13Non garantire oltre la tua possibilità;
se hai garantito, preòccupati di soddisfare.
14Non muovere causa a un giudice,
perché giudicheranno in suo favore secondo il suo parere.
15Con un avventuriero non metterti in viaggio,
per paura che ti diventi insopportabile;
egli agirà secondo il suo capriccio
e andrai con lui in rovina per la sua insipienza.
16Non litigare con un irascibile
e non traversare con lui un luogo solitario,
perché ai suoi occhi il sangue è come nulla,
dove non c'è possibilità di aiuto ti assalirà.
17Non consigliarti con lo stolto,
perché non saprà mantenere un segreto.
18Davanti a uno straniero non fare nulla di riservato,
perché non sai che cosa ne seguirà.
19Con un uomo qualsiasi non aprire il tuo cuore
ed egli non abbia a portar via il tuo bene.


Salmi 119

1Alleluia.

Alef. Beato l'uomo di integra condotta,
che cammina nella legge del Signore.
2Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti
e lo cerca con tutto il cuore.

3Non commette ingiustizie,
cammina per le sue vie.
4Tu hai dato i tuoi precetti
perché siano osservati fedelmente.

5Siano diritte le mie vie,
nel custodire i tuoi decreti.
6Allora non dovrò arrossire
se avrò obbedito ai tuoi comandi.
7Ti loderò con cuore sincero
quando avrò appreso le tue giuste sentenze.
8Voglio osservare i tuoi decreti:
non abbandonarmi mai.

9Bet. Come potrà un giovane tenere pura la sua via?
Custodendo le tue parole.
10Con tutto il cuore ti cerco:
non farmi deviare dai tuoi precetti.
11Conservo nel cuore le tue parole
per non offenderti con il peccato.
12Benedetto sei tu, Signore;
mostrami il tuo volere.
13Con le mie labbra ho enumerato
tutti i giudizi della tua bocca.
14Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia
più che in ogni altro bene.
15Voglio meditare i tuoi comandamenti,
considerare le tue vie.
16Nella tua volontà è la mia gioia;
mai dimenticherò la tua parola.

17Ghimel. Sii buono con il tuo servo e avrò vita,
custodirò la tua parola.
18Aprimi gli occhi perché io veda
le meraviglie della tua legge.
19Io sono straniero sulla terra,
non nascondermi i tuoi comandi.
20Io mi consumo nel desiderio
dei tuoi precetti in ogni tempo.
21Tu minacci gli orgogliosi;
maledetto chi devìa dai tuoi decreti.
22Allontana da me vergogna e disprezzo,
perché ho osservato le tue leggi.
23Siedono i potenti, mi calunniano,
ma il tuo servo medita i tuoi decreti.
24Anche i tuoi ordini sono la mia gioia,
miei consiglieri i tuoi precetti.

25Dalet. Io sono prostrato nella polvere;
dammi vita secondo la tua parola.
26Ti ho manifestato le mie vie e mi hai risposto;
insegnami i tuoi voleri.
27Fammi conoscere la via dei tuoi precetti
e mediterò i tuoi prodigi.
28Io piango nella tristezza;
sollevami secondo la tua promessa.
29Tieni lontana da me la via della menzogna,
fammi dono della tua legge.
30Ho scelto la via della giustizia,
mi sono proposto i tuoi giudizi.
31Ho aderito ai tuoi insegnamenti, Signore,
che io non resti confuso.
32Corro per la via dei tuoi comandamenti,
perché hai dilatato il mio cuore.

33He. Indicami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la seguirò sino alla fine.
34Dammi intelligenza, perché io osservi la tua legge
e la custodisca con tutto il cuore.
35Dirigimi sul sentiero dei tuoi comandi,
perché in esso è la mia gioia.
36Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti
e non verso la sete del guadagno.
37Distogli i miei occhi dalle cose vane,
fammi vivere sulla tua via.
38Con il tuo servo sii fedele alla parola
che hai data, perché ti si tema.
39Allontana l'insulto che mi sgomenta,
poiché i tuoi giudizi sono buoni.
40Ecco, desidero i tuoi comandamenti;
per la tua giustizia fammi vivere.

41Vau. Venga a me, Signore, la tua grazia,
la tua salvezza secondo la tua promessa;
42a chi mi insulta darò una risposta,
perché ho fiducia nella tua parola.
43Non togliere mai dalla mia bocca la parola vera,
perché confido nei tuoi giudizi.
44Custodirò la tua legge per sempre,
nei secoli, in eterno.
45Sarò sicuro nel mio cammino,
perché ho ricercato i tuoi voleri.
46Davanti ai re parlerò della tua alleanza
senza temere la vergogna.
47Gioirò per i tuoi comandi
che ho amati.
48Alzerò le mani ai tuoi precetti che amo,
mediterò le tue leggi.

49Zain. Ricorda la promessa fatta al tuo servo,
con la quale mi hai dato speranza.
50Questo mi consola nella miseria:
la tua parola mi fa vivere.
51I superbi mi insultano aspramente,
ma non devìo dalla tua legge.
52Ricordo i tuoi giudizi di un tempo, Signore,
e ne sono consolato.
53M'ha preso lo sdegno contro gli empi
che abbandonano la tua legge.
54Sono canti per me i tuoi precetti,
nella terra del mio pellegrinaggio.
55Ricordo il tuo nome lungo la notte
e osservo la tua legge, Signore.
56Tutto questo mi accade
perché ho custodito i tuoi precetti.

57Het. La mia sorte, ho detto, Signore,
è custodire le tue parole.
58Con tutto il cuore ti ho supplicato,
fammi grazia secondo la tua promessa.
59Ho scrutato le mie vie,
ho rivolto i miei passi verso i tuoi comandamenti.
60Sono pronto e non voglio tardare
a custodire i tuoi decreti.
61I lacci degli empi mi hanno avvinto,
ma non ho dimenticato la tua legge.
62Nel cuore della notte mi alzo a renderti lode
per i tuoi giusti decreti.
63Sono amico di coloro che ti sono fedeli
e osservano i tuoi precetti.
64Del tuo amore, Signore, è piena la terra;
insegnami il tuo volere.

65Tet. Hai fatto il bene al tuo servo, Signore,
secondo la tua parola.
66Insegnami il senno e la saggezza,
perché ho fiducia nei tuoi comandamenti.
67Prima di essere umiliato andavo errando,
ma ora osservo la tua parola.
68Tu sei buono e fai il bene,
insegnami i tuoi decreti.
69Mi hanno calunniato gli insolenti,
ma io con tutto il cuore osservo i tuoi precetti.
70Torpido come il grasso è il loro cuore,
ma io mi diletto della tua legge.
71Bene per me se sono stato umiliato,
perché impari ad obbedirti.
72La legge della tua bocca mi è preziosa
più di mille pezzi d'oro e d'argento.

73Iod. Le tue mani mi hanno fatto e plasmato;
fammi capire e imparerò i tuoi comandi.
74I tuoi fedeli al vedermi avranno gioia,
perché ho sperato nella tua parola.
75Signore, so che giusti sono i tuoi giudizi
e con ragione mi hai umiliato.
76Mi consoli la tua grazia,
secondo la tua promessa al tuo servo.
77Venga su di me la tua misericordia e avrò vita,
poiché la tua legge è la mia gioia.
78Siano confusi i superbi che a torto mi opprimono;
io mediterò la tua legge.
79Si volgano a me i tuoi fedeli
e quelli che conoscono i tuoi insegnamenti.
80Sia il mio cuore integro nei tuoi precetti,
perché non resti confuso.

81Caf. Mi consumo nell'attesa della tua salvezza,
spero nella tua parola.
82Si consumano i miei occhi dietro la tua promessa,
mentre dico: "Quando mi darai conforto?".
83Io sono come un otre esposto al fumo,
ma non dimentico i tuoi insegnamenti.
84Quanti saranno i giorni del tuo servo?
Quando farai giustizia dei miei persecutori?

85Mi hanno scavato fosse gli insolenti
che non seguono la tua legge.
86Verità sono tutti i tuoi comandi;
a torto mi perseguitano: vieni in mio aiuto.
87Per poco non mi hanno bandito dalla terra,
ma io non ho abbandonato i tuoi precetti.
88Secondo il tuo amore fammi vivere
e osserverò le parole della tua bocca.

89Lamed. La tua parola, Signore,
è stabile come il cielo.
90La tua fedeltà dura per ogni generazione;
hai fondato la terra ed essa è salda.
91Per tuo decreto tutto sussiste fino ad oggi,
perché ogni cosa è al tuo servizio.
92Se la tua legge non fosse la mia gioia,
sarei perito nella mia miseria.
93Mai dimenticherò i tuoi precetti:
per essi mi fai vivere.
94Io sono tuo: salvami,
perché ho cercato il tuo volere.
95Gli empi mi insidiano per rovinarmi,
ma io medito i tuoi insegnamenti.
96Di ogni cosa perfetta ho visto il limite,
ma la tua legge non ha confini.

97Mem. Quanto amo la tua legge, Signore;
tutto il giorno la vado meditando.
98Il tuo precetto mi fa più saggio dei miei nemici,
perché sempre mi accompagna.
99Sono più saggio di tutti i miei maestri,
perché medito i tuoi insegnamenti.
100Ho più senno degli anziani,
perché osservo i tuoi precetti.
101Tengo lontano i miei passi da ogni via di male,
per custodire la tua parola.
102Non mi allontano dai tuoi giudizi,
perché sei tu ad istruirmi.
103Quanto sono dolci al mio palato le tue parole:
più del miele per la mia bocca.
104Dai tuoi decreti ricevo intelligenza,
per questo odio ogni via di menzogna.

105Nun. Lampada per i miei passi è la tua parola,
luce sul mio cammino.
106Ho giurato, e lo confermo,
di custodire i tuoi precetti di giustizia.
107Sono stanco di soffrire, Signore,
dammi vita secondo la tua parola.
108Signore, gradisci le offerte delle mie labbra,
insegnami i tuoi giudizi.
109La mia vita è sempre in pericolo,
ma non dimentico la tua legge.
110Gli empi mi hanno teso i loro lacci,
ma non ho deviato dai tuoi precetti.
111Mia eredità per sempre sono i tuoi insegnamenti,
sono essi la gioia del mio cuore.
112Ho piegato il mio cuore ai tuoi comandamenti,
in essi è la mia ricompensa per sempre.

113Samech. Detesto gli animi incostanti,
io amo la tua legge.
114Tu sei mio rifugio e mio scudo,
spero nella tua parola.
115Allontanatevi da me o malvagi,
osserverò i precetti del mio Dio.
116Sostienimi secondo la tua parola e avrò vita,
non deludermi nella mia speranza.
117Sii tu il mio aiuto e sarò salvo,
gioirò sempre nei tuoi precetti.
118Tu disprezzi chi abbandona i tuoi decreti,
perché la sua astuzia è fallace.
119Consideri scorie tutti gli empi della terra,
perciò amo i tuoi insegnamenti.
120Tu fai fremere di spavento la mia carne,
io temo i tuoi giudizi.

121Ain. Ho agito secondo diritto e giustizia;
non abbandonarmi ai miei oppressori.
122Assicura il bene al tuo servo;
non mi opprimano i superbi.
123I miei occhi si consumano nell'attesa della tua salvezza
e della tua parola di giustizia.
124Agisci con il tuo servo secondo il tuo amore
e insegnami i tuoi comandamenti.

125Io sono tuo servo, fammi comprendere
e conoscerò i tuoi insegnamenti.
126È tempo che tu agisca, Signore;
hanno violato la tua legge.
127Perciò amo i tuoi comandamenti
più dell'oro, più dell'oro fino.
128Per questo tengo cari i tuoi precetti
e odio ogni via di menzogna.

129Pe. Meravigliosa è la tua alleanza,
per questo le sono fedele.
130La tua parola nel rivelarsi illumina,
dona saggezza ai semplici.
131Apro anelante la bocca,
perché desidero i tuoi comandamenti.
132Volgiti a me e abbi misericordia,
tu che sei giusto per chi ama il tuo nome.
133Rendi saldi i miei passi secondo la tua parola
e su di me non prevalga il male.
134Salvami dall'oppressione dell'uomo
e obbedirò ai tuoi precetti.
135Fa' risplendere il volto sul tuo servo
e insegnami i tuoi comandamenti.
136Fiumi di lacrime mi scendono dagli occhi,
perché non osservano la tua legge.

137Sade. Tu sei giusto, Signore,
e retto nei tuoi giudizi.
138Con giustizia hai ordinato le tue leggi
e con fedeltà grande.
139Mi divora lo zelo della tua casa,
perché i miei nemici dimenticano le tue parole.
140Purissima è la tua parola,
il tuo servo la predilige.
141Io sono piccolo e disprezzato,
ma non trascuro i tuoi precetti.
142La tua giustizia è giustizia eterna
e verità è la tua legge.
143Angoscia e affanno mi hanno colto,
ma i tuoi comandi sono la mia gioia.
144Giusti sono i tuoi insegnamenti per sempre,
fammi comprendere e avrò la vita.

145Kof. T'invoco con tutto il cuore, Signore, rispondimi;
custodirò i tuoi precetti.
146Io ti chiamo, salvami,
e seguirò i tuoi insegnamenti.
147Precedo l'aurora e grido aiuto,
spero sulla tua parola.
148I miei occhi prevengono le veglie
per meditare sulle tue promesse.
149Ascolta la mia voce, secondo la tua grazia;
Signore, fammi vivere secondo il tuo giudizio.
150A tradimento mi assediano i miei persecutori,
sono lontani dalla tua legge.
151Ma tu, Signore, sei vicino,
tutti i tuoi precetti sono veri.
152Da tempo conosco le tue testimonianze
che hai stabilite per sempre.

153Res. Vedi la mia miseria, salvami,
perché non ho dimenticato la tua legge.
154Difendi la mia causa, riscattami,
secondo la tua parola fammi vivere.
155Lontano dagli empi è la salvezza,
perché non cercano il tuo volere.
156Le tue misericordie sono grandi, Signore,
secondo i tuoi giudizi fammi vivere.
157Sono molti i persecutori che mi assalgono,
ma io non abbandono le tue leggi.
158Ho visto i ribelli e ne ho provato ribrezzo,
perché non custodiscono la tua parola.
159Vedi che io amo i tuoi precetti,
Signore, secondo la tua grazia dammi vita.
160La verità è principio della tua parola,
resta per sempre ogni sentenza della tua giustizia.

161Sin. I potenti mi perseguitano senza motivo,
ma il mio cuore teme le tue parole.
162Io gioisco per la tua promessa,
come uno che trova grande tesoro.
163Odio il falso e lo detesto,
amo la tua legge.
164Sette volte al giorno io ti lodo
per le sentenze della tua giustizia.
165Grande pace per chi ama la tua legge,
nel suo cammino non trova inciampo.
166Aspetto da te la salvezza, Signore,
e obbedisco ai tuoi comandi.
167Io custodisco i tuoi insegnamenti
e li amo sopra ogni cosa.
168Osservo i tuoi decreti e i tuoi insegnamenti:
davanti a te sono tutte le mie vie.

169Tau. Giunga il mio grido fino a te, Signore,
fammi comprendere secondo la tua parola.
170Venga al tuo volto la mia supplica,
salvami secondo la tua promessa.
171Scaturisca dalle mie labbra la tua lode,
poiché mi insegni i tuoi voleri.
172La mia lingua canti le tue parole,
perché sono giusti tutti i tuoi comandamenti.
173Mi venga in aiuto la tua mano,
poiché ho scelto i tuoi precetti.
174Desidero la tua salvezza, Signore,
e la tua legge è tutta la mia gioia.
175Possa io vivere e darti lode,
mi aiutino i tuoi giudizi.
176Come pecora smarrita vado errando;
cerca il tuo servo,
perché non ho dimenticato i tuoi comandamenti.


Osea 11

1Quando Israele era giovinetto,
io l'ho amato
e dall'Egitto ho chiamato mio figlio.
2Ma più li chiamavo,
più si allontanavano da me;
immolavano vittime ai Baal,
agli idoli bruciavano incensi.
3Ad Èfraim io insegnavo a camminare
tenendolo per mano,
ma essi non compresero
che avevo cura di loro.
4Io li traevo con legami di bontà,
con vincoli d'amore;
ero per loro
come chi solleva un bimbo alla sua guancia;
mi chinavo su di lui
per dargli da mangiare.
5Ritornerà al paese d'Egitto,
Assur sarà il suo re,
perché non hanno voluto convertirsi.
6La spada farà strage nelle loro città,
sterminerà i loro figli,
demolirà le loro fortezze.

7Il mio popolo è duro a convertirsi:
chiamato a guardare in alto
nessuno sa sollevare lo sguardo.
8Come potrei abbandonarti, Èfraim,
come consegnarti ad altri, Israele?
Come potrei trattarti al pari di Admà,
ridurti allo stato di Zeboìm?
Il mio cuore si commuove dentro di me,
il mio intimo freme di compassione.
9Non darò sfogo all'ardore della mia ira,
non tornerò a distruggere Èfraim,
perché sono Dio e non uomo;
sono il Santo in mezzo a te
e non verrò nella mia ira.

10Seguiranno il Signore
ed egli ruggirà come un leone:
quando ruggirà, accorreranno
i suoi figli dall'occidente,
11accorreranno come uccelli dall'Egitto,
come colombe dall'Assiria
e li farò abitare nelle loro case.
Oracolo del Signore.


Seconda lettera ai Corinzi 8

1Vogliamo poi farvi nota, fratelli, la grazia di Dio concessa alle Chiese della Macedonia:2nonostante la lunga prova della tribolazione, la loro grande gioia e la loro estrema povertà si sono tramutate nella ricchezza della loro generosità.3Posso testimoniare infatti che hanno dato secondo i loro mezzi e anche al di là dei loro mezzi, spontaneamente,4domandandoci con insistenza la grazia di prendere parte a questo servizio a favore dei santi.5Superando anzi le nostre stesse speranze, si sono offerti prima di tutto al Signore e poi a noi, secondo la volontà di Dio;6cosicché abbiamo pregato Tito di portare a compimento fra voi quest'opera generosa, dato che lui stesso l'aveva incominciata.
7E come vi segnalate in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella scienza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così distinguetevi anche in quest'opera generosa.8Non dico questo per farvene un comando, ma solo per mettere alla prova la sincerità del vostro amore con la premura verso gli altri.9Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.10E a questo riguardo vi do un consiglio: si tratta di cosa vantaggiosa per voi, che fin dall'anno passato siete stati i primi, non solo a intraprenderla ma a desiderarla.11Ora dunque realizzatela, perché come vi fu la prontezza del volere, così anche vi sia il compimento, secondo i vostri mezzi.12Se infatti c'è la buona volontà, essa riesce gradita secondo quello che uno possiede e non secondo quello che non possiede.13Qui non si tratta infatti di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza.14Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto:

15'Colui che raccolse molto non abbondò,
e colui che raccolse poco non ebbe di meno'.

16Siano pertanto rese grazie a Dio che infonde la medesima sollecitudine per voi nel cuore di Tito!17Egli infatti ha accolto il mio invito e ancor più pieno di zelo è partito spontaneamente per venire da voi.18Con lui abbiamo inviato pure il fratello che ha lode in tutte le Chiese a motivo del vangelo;19egli è stato designato dalle Chiese come nostro compagno in quest'opera di carità, alla quale ci dedichiamo per la gloria del Signore, e per dimostrare anche l'impulso del nostro cuore.20Con ciò intendiamo evitare che qualcuno possa biasimarci per questa abbondanza che viene da noi amministrata.21'Ci preoccupiamo' infatti 'di comportarci bene' non soltanto 'davanti al Signore', ma 'anche' davanti 'agli uomini'.22Con loro abbiamo inviato anche il nostro fratello, di cui abbiamo più volte sperimentato lo zelo in molte circostanze; egli è ora più zelante che mai per la grande fiducia che ha in voi.
23Quanto a Tito, egli è mio compagno e collaboratore presso di voi; quanto ai nostri fratelli, essi sono delegati delle Chiese e gloria di Cristo.24Date dunque a loro la prova del vostro affetto e della legittimità del nostro vanto per voi davanti a tutte le Chiese.


Capitolo XVI: Soltanto in Dio va cercata la vera consolazione

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1. Qualunque cosa io possa immaginare e desiderare per mia consolazione, non l'aspetto qui, ora, ma in futuro. Ché, pure se io potessi avere e godere da solo tutte le gioie e le delizie del mondo, certamente ciò non potrebbe durare a lungo. Sicché, anima mia, non potrai essere pienamente consolata e perfettamente confortata se non in Dio, che allieta i poveri e accoglie gli umili. Aspetta un poco, anima mia, aspetta ciò che Dio ha promesso e avrai in cielo la pienezza di ogni bene. Se tu brami disordinatamente i beni temporali, perderai quelli eterni del cielo: dei beni di quaggiù devi avere soltanto l'uso temporaneo, col desiderio fisso a quelli eterni. Anima mia, nessun bene di quaggiù, ti potrà appagare perché non sei stata creata per avere soddisfazione in queste cose. Anche se tu avessi tutti i beni del mondo, non potresti essere felice e beata, perché è in Dio, creatore di tutte le cose, che consiste la tua completa beatitudine e la tua felicità. Non è una felicità quale appare nella esaltazione di coloro che amano stoltamente questo mondo, ma una felicità quale si aspettano i buoni seguaci di Cristo; quale, talora, è pregustata, fin da questo momento, da coloro che vivono dello spirito e dai puri di cuore, "il cui pensiero è già nei cieli" (Fil 3,20).

2. Vano e di breve durata è il conforto che viene dagli uomini; santo e puro è quello che la verità fa sentire dal di dentro. L'uomo pio si porta con sé, dappertutto, il suo consolatore, Gesù, e gli dice: o Signore Gesù, stammi vicino in ogni luogo e in ogni tempo. La mia consolazione sia questa, di rinunciare lietamente ad ogni conforto umano. Che se mi verrà meno la tua consolazione, sia per me di supremo conforto, appunto, questo tuo volere, questa giusta prova; poiché "non durerà per sempre la tua collera e le tue minacce non saranno eterne" (Sal 102,9).


Omelia 49: La risurrezione di Lazzaro.

Commento al Vangelo di San Giovanni - Sant'Agostino d'Ippona

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[Creare è più che risuscitare.]

1. Fra tutti i miracoli compiuti da nostro Signore Gesù Cristo, quello della risurrezione di Lazzaro è forse il più strepitoso. Ma se consideriamo chi è colui che lo ha compiuto, la nostra gioia dovrà essere ancora più grande della meraviglia. Risuscitò un uomo colui che fece l'uomo; egli infatti è l'Unigenito del Padre, per mezzo del quale, come sapete, furon fatte tutte le cose. Ora, se per mezzo di lui furon fatte le cose, fa meraviglia che per mezzo di lui sia risuscitato uno, quando ogni giorno tanti nascono per mezzo di lui? E' cosa più grande creare gli uomini che risuscitarli. Tuttavia egli si degnò creare e risuscitare: creare tutti e risuscitarne alcuni. Infatti, benché il Signore Gesù abbia compiuto molte cose, non tutte sono state scritte; lo stesso san Giovanni evangelista afferma che Cristo Signore disse e fece molte cose che non furono scritte (cf. Gv 20, 30); ma furono scelte quelle che si ritenevano sufficienti per la salvezza dei credenti. Tu hai udito che il Signore Gesù risuscitò un morto: ciò ti basti per convincerti che, se avesse voluto , avrebbe potuto risuscitare tutti i morti. Del resto si è riservato di far questo alla fine del mondo; poiché verrà l'ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri, udranno la sua voce e ne usciranno; così dice colui che, come avete sentito, con un grande miracolo risuscitò uno che era morto da quattro giorni. Egli risuscitò un morto in decomposizione; ma benché in tale stato, quel cadavere conservava ancora la forma delle membra. Nell'ultimo giorno, ad un cenno, ricostituirà il corpo dalle ceneri. Ma bisognava che intanto compisse alcune cose, che a noi servissero come segni della sua potenza per credere in lui, e prepararci a quella risurrezione che sarà per la vita, non per il giudizio. E' in questo senso che egli ha detto: Verrà l'ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri, udranno la sua voce e ne usciranno, quelli che hanno agito bene per la risurrezione della vita, quelli che hanno agito male per la risurrezione del giudizio (Gv 5, 28-29).

[I gesti del Signore sono segni.]

2. Apprendiamo dal Vangelo che tre sono i morti risuscitati dal Signore, e ciò non senza un significato. Sì, perché le opere del Signore non sono soltanto dei fatti, ma anche dei segni. E se sono dei segni, oltre ad essere mirabili, devono pur significare qualcosa; e trovare il significato di questi fatti è alquanto più impegnativo che leggerli o ascoltarli. Abbiamo ascoltato il Vangelo che racconta come Lazzaro riebbe la vita, pieni di ammirazione come se quello spettacolo meraviglioso si svolgesse davanti ai nostri occhi. Se però rivolgiamo la nostra attenzione ad opere di Cristo più meravigliose di questa ci rendiamo conto che ogni uomo che crede risorge; se poi riuscissimo a comprendere l'altro genere di morte molto più detestabile, (quello cioè spirituale), vedremmo come ognuno che pecca muore. Se non che tutti temono la morte del corpo, pochi quella dell'anima. Tutti si preoccupano per la morte del corpo, che prima o poi dovrà venire, e fanno di tutto per scongiurarla. L'uomo destinato a morire si dà tanto da fare per evitare la morte, mentre non altrettanto si sforza di evitare il peccato l'uomo che pure è chiamato a vivere in eterno. Eppure quanto fa per non morire, lo fa inutilmente: al più ottiene di ritardare la morte, non di evitarla. Se invece si impegna a non peccare, non si affaticherà, e vivrà in eterno. Oh, se riuscissimo a spingere gli uomini, e noi stessi insieme con loro, ad amare la vita che dura in eterno almeno nella misura che gli uomini amano la vita che fugge! Che cosa non fa uno di fronte al pericolo della morte? Quanti, sotto la minaccia che pendeva sul loro capo, hanno preferito perdere tutto pur di salvare la vita! Chi infatti non lo farebbe per non essere colpito? E magari, dopo aver perduto tutto, qualcuno ci ha rimesso anche la vita. Chi pur di continuare a vivere, non sarebbe pronto a perdere il necessario per vivere, preferendo una vita mendicante ad una morte anticipata? Se si dice a uno: se non vuoi morire devi navigare, esiterà forse a farlo? Se a uno si dice: se non vuoi morire devi lavorare, si lascerà forse prendere dalla pigrizia? Dio ci comanda cose meno pesanti per farci vivere in eterno, e noi siamo negligenti nell'obbedire. Dio non ti dice: getta via tutto ciò che possiedi per vivere poco tempo tirando avanti stentatamente; ti dice: dona i tuoi beni ai poveri se vuoi vivere eternamente nella sicurezza e nella pace. Coloro che amano la vita terrena, che essi non possiedono né quando vogliono né finché vogliono, sono un continuo rimprovero per noi; e noi non ci rimproveriamo a vicenda per essere tanto pigri, tanto tiepidi nel procurarci la vita eterna, che avremo se vorremo e che non perderemo quando l'avremo. Invece questa morte che temiamo, anche se non vogliamo, ci colpirà.

[Tre morti risuscitati.]

3. Se dunque il Signore, per sua grande grazia e misericordia, risuscita le anime affinché non si muoia in eterno, ben possiamo supporre che quei tre che egli risuscitò nei loro corpi significano e adombrano la risurrezione delle anime, che si ottiene mediante la fede. Risuscitò la figlia del capo della sinagoga, che si trovava ancora in casa (cf Mc 5, 41-42); risuscitò il giovane figlio della vedova, che era già stato portato fuori della città (cf. Lc 7 14-15); risuscitò Lazzaro, che era stato sepolto da quattro giorni. Esamini ciascuno la sua anima: se pecca muore, giacché il peccato è la morte dell'anima. A volte si pecca solo col pensiero: ti sei compiaciuto di ciò che è male, hai acconsentito, hai peccato; il consenso ti ha ucciso; però la morte è solo dentro di te, perché il cattivo pensiero non si è ancora tradotto in azione. Il Signore, per indicare che egli risuscita tal sorta di anime, risuscitò quella fanciulla che ancora non era stata portata fuori, ma giaceva morta in casa, a significare il peccato occulto. Se però non soltanto hai ceduto col pensiero al male, ma lo hai anche tradotto in opere, è come se il morto fosse uscito dalla porta; ormai sei fuori, e sei un morto portato alla sepoltura. Il Signore tuttavia risuscitò anche quel giovane e lo restituì a sua madre vedova. Se hai peccato, pentiti! e il Signore ti risusciterà e ti restituirà alla Chiesa, che è la tua madre. Il terzo morto è Lazzaro. Siamo di fronte al caso più grave, che è l'abitudine perversa. Una cosa infatti è peccare, un'altra è contrarre l'abitudine al peccato. Chi pecca, ma subito si emenda, subito riprende a vivere; perché non è ancora prigioniero dell'abitudine, non è ancora sepolto. Chi invece pecca abitualmente, è già sepolto, e ben si può dire che già mette fetore, nel senso che la cattiva fama che si è fatta comincia a diffondersi come un pestifero odore. Così sono coloro che ormai sono abituati a tutto e rotti ad ogni scelleratezza. Inutile dire a uno di costoro: non fare così! Come fa a sentirti chi è come sepolto sotto terra, corrotto, oppresso dal peso dell'abitudine? Né tuttavia la potenza di Cristo è incapace di risuscitare anche uno ridotto così. Abbiamo conosciuto, abbiamo visto, e ogni giorno vediamo uomini che, cambiate le loro pessime abitudini, vivono meglio di altri che li rimproveravano. Tu, ad esempio, avevi molto da ridire sulla condotta del tale: ebbene, guarda la sorella stessa di Lazzaro (ammesso che sia lei la peccatrice che unse i piedi del Signore, e glieli asciugò con i suoi capelli dopo averglieli lavati con le sue lacrime); la sua risurrezione è più prodigiosa di quella del fratello, perché è stata liberata dal grave peso dei suoi cattivi costumi inveterati. Era infatti una famosa peccatrice, e di lei il Signore disse: Le sono rimessi molti peccati, perché ha amato molto (Lc 7, 47). Abbiamo visto e conosciamo molti di questi peccatori: nessuno disperi, nessuno presuma di sé. E' male disperare, ed è male presumere di sé. Non disperare e scegli dove poter collocare la tua speranza.

4. Dunque il Signore risuscitò anche Lazzaro. Avete sentito in che condizioni si trovava, cioè avete capito cosa significa questa risurrezione di Lazzaro. Cominciamo a leggere, e siccome in questa lettura molte cose sono chiare, non ci soffermeremo a spiegare ogni dettaglio, onde poter dedicare l'attenzione a ciò che lo richiede. S'era ammalato un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e della sorella di lei Marta (Gv 11, 1). Dalla lettura precedente ricorderete che il Signore sfuggì dalle mani di coloro che volevano lapidarlo, e si ritirò oltre il Giordano dove Giovanni battezzava (cf. Gv 10, 39-40). Ora, mentre il Signore stava in quel luogo, Lazzaro si era ammalato in Betania, un villaggio che era vicino a Gerusalemme.

[Se ama non abbandona.]

5. Maria era colei che unse di unguento profumato il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli. Era suo fratello Lazzaro ch'era ammalato. Dunque, le sorelle mandarono a dire a Gesù (Gv 11, 2-3). Sappiamo già dove mandarono il messaggio a Gesù, poiché sappiamo dove egli era: era assente e si trovava al di là del Giordano. Mandarono a dire al Signore che il loro fratello era ammalato, e per pregarlo di venire a liberarlo dalla malattia. Egli ritardò a guarirlo, per poterlo risuscitare. Che cosa dunque gli mandarono a dire le sorelle di Lazzaro? Signore, vedi, colui che tu ami è malato (Gv 11, 3). Non dissero: Vieni subito! A lui che amava era sufficiente la notizia. Non osarono dire: Vieni a guarirlo; oppure: Qui comanda e là sarà fatto. Perché non dissero così anch'esse, dal momento che la fede del centurione era stata tanto lodata per essersi espressa così? Quello infatti disse: Non son degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito (Mt 8, 8). Le sorelle di Lazzaro non gli mandarono a dire niente di tutto questo, ma soltanto: Signore, vedi, colui che tu ami è malato. E' sufficiente che tu lo sappia; poiché non puoi abbandonare quelli che ami. Qualcuno dirà: come può Lazzaro rappresentare il peccatore ed essere quindi amato dal Signore? Ascolti la sua parola: Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori (Mt 9, 13). Se infatti Dio non avesse amato i peccatori, non sarebbe disceso dal cielo in terra.

6. Udendo ciò, Gesù rispose: Questa malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per essa sia glorificato il Figlio di Dio (Gv 11, 4). Questa glorificazione del Figlio di Dio, non aumentò la sua gloria, ma giovò a noi. Disse che non era per la morte, perché la morte stessa non era per la morte, ma l'occasione di un miracolo, grazie al quale gli uomini avrebbero creduto in Cristo, evitando così la vera morte. Osservate come il Signore in modo indiretto dice che è Dio per quanti negano che il Figlio è Dio. Ci sono infatti degli eretici i quali sostengono che il Figlio di Dio non è Dio. Ascoltino costoro le sue parole: Questa malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio. Per quale gloria? e di quale Dio? Ascolta quanto segue: affinché sia glorificato il Figlio di Dio. Questa malattia - dice - non è per la morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa - cioè appunto per mezzo di questa malattia - sia glorificato il Figlio di Dio.

7. Gesù voleva bene a Marta e alla sorella di lei, Maria, e a Lazzaro (Gv 11, 5). Lazzaro era malato, esse erano tristi, tutti erano amati: chi li amava era il salvatore degli infermi, colui che risuscita i morti, il consolatore degli afflitti. Com'ebbe, dunque, sentito che egli era ammalato, si trattenne ancora due giorni nel luogo dov'era (Gv 11, 6). Ricevuta la notizia, rimane dov'era, lasciando passare quattro giorni. E non senza un motivo: forse, anzi certamente, il numero dei giorni racchiude un significato. Poi disse di nuovo ai suoi discepoli: Torniamo in Giudea (Gv 11, 7), dove per poco non era stato lapidato, e da dove sembrava essersi allontanato proprio per sfuggire alla lapidazione. Come uomo si era allontanato; ma ritornandovi, egli sembrava quasi dimenticare la debolezza umana, per mostrare la sua potenza. Torniamo - disse - in Giudea.

8. Notate lo spavento dei discepoli di fronte a questa risoluzione. I discepoli gli dissero: Rabbi, i Giudei cercavano or ora di lapidarti e tu vuoi tornare di nuovo colà? Gesù rispose: Non sono forse dodici le ore del giorno? (Gv 11, 8-9). Qual è il senso di questa risposta? I discepoli gli avevano fatto osservare: I Giudei cercavano or ora di lapidarti e tu vuoi tornare di nuovo colà, cioè vuoi tornare là per farti lapidare? E il Signore rispose: Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno non inciampa perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte inciampa perché la luce non è in lui (Gv 11, 9-10). Egli parla qui del giorno, ma nella nostra intelligenza fa ancora notte. Invochiamo il giorno affinché cacci via la notte e con la sua luce rischiari il nostro cuore. Che cosa ha voluto dire il Signore? Mi sembra, per quanto appare dall'altezza e profondità di queste parole, che abbia voluto rimproverare la loro esitazione e la loro poca fede. Essi infatti pretendevano consigliare il Signore a evitare la morte, mentre egli era venuto a morire per sottrarre loro alla morte. In altra circostanza san Pietro, che era pieno d'amore per il Signore, ma che ancora non aveva ben capito il motivo della sua venuta, temette per la sua morte e dispiacque alla Vita, cioè al Signore. Il Signore aveva annunciato ai discepoli che avrebbe dovuto patire a Gerusalemme da parte dei Giudei, e Pietro, parlando a nome anche degli altri, disse: Dio ti scampi, o Signore; questo non ti accadrà. E il Signore gli rispose: Indietro, Satana! perché non hai il senso delle cose di Dio, ma di quelle degli uomini. E dire che poco prima Pietro, confessando il Figlio di Dio, si era meritato questo elogio: Beato sei tu, Simone figlio di Jona, perché non carne e sangue te l'ha rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli (Mt 16, 16-23). A quello cui aveva detto Beato sei tu, ora dice: Indietro, Satana!, in quanto Pietro non era beato da sé. Ma da parte di chi? Perché non carne e sangue te l'ha rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. Ecco perché sei beato, non da te, ma da me. Non perché io sia il Padre, ma perché tutto ciò che appartiene al Padre è mio (cf. Gv 16, 15). Se l'esser beato, Pietro lo deve al Signore, a chi deve l'esser satana? Ecco che il Signore glielo dice. Gli ha indicato il motivo per cui è beato: perché non la carne e il sangue ti ha rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli, ecco perché sei beato; ma ascolta anche perché ti ho detto: Indietro, satana!: perché non hai il senso delle cose di Dio ma di quelle degli uomini. Nessuno s'illuda: di per se stesso, ogni uomo è Satana; se è beato, è dono di Dio. Che vuol dire "di per se stesso" se non in forza del proprio peccato? Se togli il peccato, che rimane di tuo? La giustizia è, dice, roba mia. Infatti, che cos'hai che tu non abbia ricevuto (cf. 1 Cor 4, 7)? Siccome avevano la pretesa, essi che erano uomini, di dare consiglio a Dio, e pretendevano i discepoli insegnare al maestro, i servi al Signore, i malati al medico, egli li rimproverò dicendo: Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno non inciampa. Come a dire: seguitemi, se non volete inciampare; non vi mettete a darmi consigli, proprio voi che dovreste riceverli da me. Qual è dunque il senso della frase: Non sono forse dodici le ore del giorno? Il Signore si scelse dodici Apostoli per mostrare che egli era il giorno. Se io sono il giorno - dice - e voi le ore, forse le ore possono dare consigli al giorno? Sono le ore che seguono il giorno, non viceversa. Se però essi erano le ore, Giuda che cosa rappresentava? Faceva parte anch'egli delle dodici ore? Se era un'ora, risplendeva; se risplendeva, come ha potuto consegnare il giorno alla morte? Ma il Signore con queste parole non si riferiva a Giuda, bensì al suo successore, che già egli aveva presente. Mattia infatti prese il posto di Giuda, e così gli Apostoli rimasero dodici (cf. At 1, 26). Non senza motivo dunque il Signore aveva scelto dodici Apostoli: perché egli era il giorno in senso spirituale. Le ore, dunque, seguano il giorno, le ore annuncino il giorno, e dal giorno ricevano luce e splendore, di modo che attraverso l'annuncio che ne danno le ore il mondo creda nel giorno. Questo in sostanza vuol dire il Signore con la sua esortazione: Seguite me, se non volete inciampare.

9. Così parlò, poi soggiunse: Lazzaro, l'amico nostro, dorme; ma io vado a svegliarlo (Gv 11, 11). Era la verità. Per le sorelle Lazzaro era morto, ma per il Signore egli dormiva. Per gli uomini, che non potevano risuscitarlo, era morto; ma il Signore poteva farlo uscire dal sepolcro più facilmente di quanto tu non possa svegliare e far scendere dal letto uno che dorme. Tenendo, dunque, conto della sua potenza, disse che Lazzaro stava dormendo. Spesso, del resto, nella Scrittura si parla di tutti gli altri morti come di coloro che dormono; come quando l'Apostolo dice: Noi non vogliamo, fratelli, che siate nell'ignoranza riguardo a quelli che dormono, onde non vi rattristiate alla maniera degli altri che non hanno speranza (1 Thess 4, 12). Parla dei morti come di coloro che dormono, in ordine alla risurrezione che egli annunzia. Dormono tutti i morti, tanto i buoni come i cattivi. Ma come tutti noi ci addormentiamo e ci rialziamo, ciascuno però con il suo sogno (alcuni fanno sogni lieti, altri invece sogni angosciosi, tanto che svegliandosi vorrebbero non riaddormentarsi per non ricadere in balia di essi), così tutti moriamo e risorgiamo ma ciascuno col suo giudizio particolare. Ed ancora: differiscono i generi di detenzione a cui ciascuno è sottoposto in attesa di essere giudicato; il tipo di detenzione è proporzionato alla gravità del delitto: alcuni vengono affidati ai littori, che esercitano il loro ufficio in modo umano, mite e civile; altri vengono consegnati alle guardie, altri ancora vengono gettati in carcere; e anche in carcere non tutti occupano il medesimo luogo, ma più sotterraneo se più grave è il delitto. Ora come in questo mondo differiscono secondo la sorveglianza i generi di detenzione, così differiscono per i morti, come pure differiscono le retribuzioni per i risorti. Viene accolto il povero e viene accolto il ricco; ma il primo nel seno di Abramo, il secondo dove patirà la sete e non troverà neppure una goccia d'acqua (cf. Lc 16, 22-24).

[Si riceve insieme ciò che è stato promesso.]

10. Profitto dell'occasione per ricordare alla vostra Carità che le anime uscendo da questo mondo non trovano tutte la medesima accoglienza. Vanno incontro al gaudio se sono buone, ai tormenti se sono malvagie. Dopo la risurrezione, il gaudio dei buoni sarà maggiore, e i tormenti dei malvagi saranno più terribili allorché ai tormenti delle anime si aggiungerà quello dei corpi. I santi Patriarchi, i Profeti, gli Apostoli, i martiri, i buoni fedeli sono stati accolti nella pace; ma tutti dovranno aspettare la fine dei tempi per ricevere ciò che Dio ha promesso: egli infatti ha promesso anche la risurrezione della carne, la distruzione della morte, la vita eterna insieme con gli angeli. Questo lo dovremo ricevere tutti insieme. Il riposo concesso dopo questa vita a chi lo merita, lo riceve ciascuno appena muore. I primi a conseguirlo sono stati i Patriarchi (pensate da quanto tempo essi riposano in pace!); poi è stata la volta dei Profeti, più vicini a noi gli Apostoli, più vicini ancora i santi martiri, e ogni giorno i buoni fedeli. Alcuni si trovano in questo riposo da molto tempo, altri non da molto tempo, altri da pochi anni e altri infine da pochissimo tempo. Ma quando si sveglieranno dal loro sonno, tutti insieme riceveranno ciò che è stato loro promesso.

11. Lazzaro, l'amico nostro, dorme; ma vado a svegliarlo. Allora i discepoli gli dissero... Risposero secondo quanto avevano compreso: Signore, se dorme guarirà! (Gv 11, 12). Il sonno dei malati infatti viene interpretato come un sintomo di guarigione. Ora, Gesù aveva parlato della morte di lui, mentre essi avevano creduto che parlasse dell'assopimento nel sonno. Allora Gesù disse loro apertamente... In maniera velata aveva detto: dorme, in maniera aperta disse: Lazzaro è morto e sono contento per voi di non essere stato là, affinché crediate (Gv 11, 13-15). So che è morto, e io non c'ero. Infatti gli era stato detto solamente che era malato, non che era morto. Ma che cosa poteva rimanere nascosto a colui che lo aveva creato, e alle cui mani era emigrata l'anima del defunto? Egli dice: Sono contento per voi di non essere stato là, affinché crediate; perché cominciassero a meravigliarsi del fatto che il Signore sapeva che Lazzaro era morto senza aver visto né sentito che era morto. Questo serve a ricordare che la fede degli stessi discepoli, che già credevano in lui, aveva ancora bisogno di essere sostenuta dai miracoli; non perché mancasse e dovesse ancora nascere, ma perché c'era già e doveva crescere; anche se l'espressione che ha usato può far pensare che essi dovevano ancora cominciare a credere. Infatti egli non dice: Sono contento per voi perché così la vostra fede crescerà, o sarà rafforzata; dice: affinché crediate; il che si deve intendere: affinché crediate di più e con maggior fermezza.

[Significato del morto da quattro giorni.]

12. Ma andiamo da lui. Disse allora Tommaso, chiamato Didimo, agli altri discepoli: Andiamo anche noi per morire con lui. Arrivato, dunque, Gesù trovò Lazzaro già da quattro giorni nella tomba (Gv 11, 15-17). Molto si potrebbe dire su questi quattro giorni, come di altri passi oscuri della Scrittura, che consentono diverse interpretazioni secondo la diversa capacità di chi legge. Diremo anche noi quello che ci sembra voglia significare il morto di quattro giorni. Come infatti nel cieco dalla nascita vedemmo rappresentato tutto il genere umano, così in questo morto possiamo vedervi rappresentati molti; poiché una medesima cosa può esser rappresentata in più modi. Quando l'uomo nasce, nasce già con la morte; perché eredita da Adamo il peccato. E' per questo che l'Apostolo dice: Per causa di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e mediante il peccato la morte, e in tal modo la morte passò in tutti gli uomini in cui tutti hanno peccato (Rm 5, 12). Ecco il primo giorno della morte, che l'uomo deriva dalla sua triste origine. Poi cresce, comincia a toccare l'età della ragione per cui prende coscienza della legge naturale che tutti gli uomini portano scritta nel cuore: Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te. Forse che questo s'impara sui libri, e non si legge invece nelle pagine della natura stessa? Vuoi forse essere derubato? Certamente non lo vuoi. Ecco la legge scolpita nel tuo cuore: Non fare ciò che non vuoi per te. Ma gli uomini trasgrediscono anche questa legge: ed ecco il secondo giorno della morte. Dio promulgò la legge per mezzo di Mosè suo servo; in essa sta scritto: Non uccidere, non commettere adulterio, non dire falsa testimonianza, onora il padre e la madre, non desiderare la roba del tuo prossimo, non desiderare la donna del tuo prossimo (Es 20, 12-17). Questa è la legge scritta, ed anch'essa viene disprezzata: ecco il terzo giorno della morte. Che cosa rimane? Viene il Vangelo, viene annunciato il Regno dei cieli, ovunque si predica Cristo; si minaccia l'inferno, si promette la vita eterna; ma anche questa legge viene disprezzata; gli uomini trasgrediscono il Vangelo: ecco il quarto giorno della morte. A ragione si può dire che ormai il morto emana fetore. Non ci sarà dunque misericordia per costoro? Non è possibile. Il Signore non disdegna di accostarsi anche a tutti questi morti per risuscitarli.

13. Molti Giudei erano venuti da Marta e da Maria per consolarle del loro fratello. Marta, appena seppe che arrivava Gesù, gli andò incontro, mentre Maria restò a casa. Marta disse a Gesù: Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto; ma anche adesso so che qualunque cosa domanderai a Dio, Dio te la concederà (Gv 11, 19-22). Non disse: Ti prego di risuscitare subito mio fratello. Come poteva sapere infatti che a suo fratello giovasse risorgere? Quindi disse soltanto: So che puoi farlo, se vuoi; ma sei tu che devi giudicare se è il caso di farlo, non io. Ma anche adesso so che qualunque cosa domanderai a Dio, Dio te la concederà.

14. Gesù le disse: Tuo fratello risorgerà. L'espressione era ambigua, perché non le disse: Ora risusciterò tuo fratello; ma le disse: Tuo fratello risorgerà. Marta gli rispose: So che risorgerà, nella risurrezione, nell'ultimo giorno (Gv 11, 23-24). Era come dire: Di quella risurrezione sono sicura, di questa no. Le disse Gesù: Io sono la risurrezione. Tu dici che tuo fratello risorgerà nell'ultimo giorno. Questo è vero. Però colui per mezzo del quale risorgerà, può farlo risorgere anche adesso, perché Io sono la risurrezione e la vita (Gv 11, 25). Ascoltate, fratelli, ascoltate ciò che dice. Tutti i circostanti erano nell'attesa di veder Lazzaro, un morto di quattro giorni, rivivere. Ebbene, ascoltiamo e risorgiamo. Quanti in questa folla sono oppressi dal peso della cattiva abitudine! Forse tra quelli che mi ascoltano ci sono taluni ai quali vien detto: Non vogliate inebriarvi di vino, che è causa di dissolutezza (Ef 5, 18). Essi rispondono: non possiamo farne a meno! Forse mi ascoltano alcuni che si sono lasciati corrompere da ogni disordine e vizio, ai quali vien detto: non fate così, se non volete perdervi. Ma essi rispondono: non riusciamo a liberarci dalle nostre abitudini. O Signore, risuscita costoro! Io sono - egli dice - la risurrezione e la vita. E' la risurrezione perché è la vita.

[La fede è l'anima dell'anima.]

15. Chi crede in me anche se è morto vivrà, e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno (Gv 11, 25-26). Che vuol dire questo? Chi crede in me, anche se è morto come è morto Lazzaro, vivrà, perché egli non è Dio dei morti ma dei viventi. Così rispose ai Giudei, riferendosi ai patriarchi morti da tanto tempo, cioè ad Abramo, Isacco e Giacobbe: Io sono il Dio di Abramo, il Dio d'lsacco e il Dio di Giacobbe; non sono Dio dei morti ma dei viventi: essi infatti sono tutti vivi (Mt 22, 32; Lc 20, 37-38). Credi dunque, e anche se sei morto, vivrai; se non credi, sei morto anche se vivi. Proviamolo. Ad un tale che indugiava a seguirlo e diceva: Permettimi prima di andare a seppellire mio padre, il Signore rispose: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu vieni e seguimi (Mt 8, 21-22). Vi era là un morto da seppellire, e vi erano dei morti intenti a seppellirlo: questi era morto nel corpo, quelli nell'anima. Quando è che muore l'anima? Quando manca la fede. Quando è che muore il corpo? Quando viene a mancare l'anima. La fede è l'anima della tua anima. Chi crede in me - egli dice - anche se è morto nel corpo, vivrà nell'anima, finché anche il corpo risorgerà per non più morire. Cioè: chi crede in me, anche se morirà vivrà. E chiunque vive nel corpo e crede in me, anche se temporaneamente muore per la morte del corpo, non morirà in eterno per la vita dello spirito e per la immortalità della risurrezione. Questo è il senso delle sue parole: E chiunque vive e crede in me non morirà in eterno. Lo credi tu? - domanda Gesù a Marta -; Ed essa risponde: Sì, Signore, io ho creduto che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, che sei venuto in questo mondo (Gv 11, 26-27). E credendo questo, ho con ciò creduto che tu sei la risurrezione, che tu sei la vita; ho creduto che chi crede in te, anche se muore, vivrà, e che chi vive e crede in te, non morirà in eterno.

16. Detto questo, andò a chiamare Maria, sua sorella, dicendole in silenzio: IL maestro è qui e ti chiama (Gv 11, 28). E' da notare che "in silenzio" significa sottovoce: come infatti avrebbe potuto dire, rimanendo in silenzio: IL maestro è qui e ti chiama? E' da notare altresì che l'evangelista non ha detto né dove né come né quando il Signore aveva chiamato Maria: per amore di brevità preferisce farcelo sapere solo attraverso le parole di Marta.

17. Ella, udito questo, si alza in fretta e va da lui. Gesù, però, non era ancora entrato nel villaggio, ma stava sempre nel luogo dove gli era venuta incontro Marta. I Giudei che erano in casa con lei a consolarla, al vedere Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando che sarebbe andata al sepolcro a piangere (Gv 11, 29-31). Perché l'evangelista si preoccupa di raccontarci questo particolare? Per informarci della circostanza che aveva raccolto tanta gente, quando Lazzaro fu risuscitato. I Giudei, pensando che Maria corresse al sepolcro per cercare nelle lacrime sollievo al suo dolore, la seguirono, e così il grande miracolo della risurrezione di uno che era morto da quattro giorni ebbe moltissimi testimoni.

18. Maria, giunta al luogo dov'era Gesù, al vederlo gli si gettò ai piedi ed esclamò: Signore, se fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto. Gesù, vedendola piangere, e con lei piangere i Giudei che l'accompagnavano, fremette nello spirito, si turbò e disse: Dove l'avete deposto? (Gv 11, 32-34). Non so cosa abbia voluto indicarci il Signore con questo fremito e con questo suo turbamento. Chi poteva turbarlo, se non era lui a turbare se stesso? Perciò, fratelli miei, tenete ben presente la sua potenza prima di cercare il significato del suo turbamento. Tu puoi essere turbato senza volerlo; Cristo invece si turbò perché volle. E' vero che Gesù ha sentito la fame, è vero che si è rattristato ed è altrettanto vero che è morto; ma tutto questo perché l'ha voluto lui: era in suo potere soffrire questo o altro o non soffrire affatto. Il Verbo ha assunto l'anima, ma anche la carne, armonizzando, nell'unità della sua persona, la natura dell'uomo tutto intero. La luce del Verbo, è vero, illuminò l'anima di Pietro e l'anima di Paolo, illuminò le anime degli altri apostoli e dei santi profeti; di nessuna però si poté dire: Il Verbo si è fatto carne (Gv 1, 14); di nessuna si può dire: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 20, 30). L'anima e la carne di Cristo formano col Verbo di Dio una sola persona, un solo Cristo. C'è in lui la massima potenza, e perciò la debolezza umana obbediva in tutto alla sua volontà. Ecco il senso dell'espressione: egli si turbò.

[Il fremito di Cristo.]

19. Ho parlato della potenza; ora vediamo il significato del suo turbamento. Lazzaro morto da quattro giorni e chiuso nel sepolcro è simbolo di un grande peccatore. Perché si turba il Cristo, se non per insegnarti che tu devi metterti in agitazione quando ti vedi oppresso e schiacciato da tanta mole di peccati? Ti sei esaminato, ti sei riconosciuto colpevole, ti sei detto: ho fatto quel peccato e Dio mi ha perdonato; ho commesso quell'altro e Dio ha differito il castigo; ho ascoltato il Vangelo e l'ho disprezzato; sono stato battezzato e sono ricaduto nelle medesime colpe; che faccio? dove vado? come posso uscirne? Quando parli così, già il Cristo freme perché in te freme la fede. Negli accenti di chi freme si annuncia la speranza di chi risorge. Se dentro di te c'è la fede, dentro di te c'è Cristo che freme: se in noi c'è fede, in noi c'è Cristo. Lo dice l'Apostolo: Per mezzo della fede, Cristo abita nei vostri cuori (Ef 3, 17). La presenza di Cristo nel tuo cuore è legata alla fede che tu hai in lui. Questo è il significato del fatto che egli dormiva nella barca: essendo i discepoli in pericolo, ormai sul punto di naufragare, gli si avvicinarono e lo svegliarono. Cristo si levò, comandò ai venti e ai flutti, e si fece gran bonaccia (cf. Mt 8, 24-26). E' quello che avviene dentro di te: mentre navighi, mentre attraversi il mare tempestoso e pericoloso di questa vita, i venti penetrano dentro di te; soffiano i venti, si levano i flutti e agitano la barca. Quali venti? Hai ricevuto un insulto e ti sei adirato; l'insulto è il vento, l'ira è il flutto; sei in pericolo perché stai per reagire, stai per rendere ingiuria per ingiuria e la barca sta per naufragare. Sveglia Cristo che dorme. E' per questo che sei agitato e stai per ricambiare male per male, perché Cristo nella barca dorme. Il sonno di Cristo nel tuo cuore vuol dire il torpore della fede. Se svegli Cristo, se cioè la tua fede si riscuote, che ti dice Cristo che si è svegliato nel tuo cuore? Ti dice: Io mi son sentito dire indemoniato (Gv 7, 20), e ho pregato per loro. Il Signore ascolta e tace; il servo ascolta e si indigna? Ma, tu vuoi farti giustizia. E che, mi son forse fatto giustizia io? Quando la fede ti parla così, è come se si impartissero comandi ai venti e ai flutti: e viene la calma. Risvegliare Cristo che dorme nella barca è, dunque, scuotere la fede; allo stesso modo Cristo frema nel cuore dell'uomo oppresso da una grande mole e abitudine di peccato, nel cuore dell'uomo che trasgredisce anche il santo Vangelo; Cristo frema, cioè l'uomo rimproveri se stesso. Ascolta ancora: Cristo ha pianto, l'uomo pianga se stesso. Per qual motivo infatti Cristo ha pianto se non perché l'uomo impari a piangere? Per qual motivo fremette e da se medesimo si turbò se non perché la fede dell'uomo, giustamente scontento di se stesso, impari a fremere condannando le proprie cattive azioni, affinché la forza della penitenza vinca l'abitudine al peccato?

20. E disse: dove l'avete deposto? Sapevi che era morto, e non sapevi dove era stato sepolto? Questo significa che Dio quasi non conosce più l'uomo che si è perduto in questa maniera. Non ho osato dire: non conosce. Ho detto quasi, perché in effetti non c'è nulla che Dio non conosca. La prova che Dio quasi non conoscerà più l'uomo perduto si trova nelle parole che il Signore pronuncerà nel giudizio: Non vi conosco; allontanatevi da me! (Mt 7, 23). Che significa non vi conosco? Significa: non vi vedo nella mia luce, non vi vedo nella giustizia che io conosco. Così anche qui, come se egli non conoscesse più un così grande peccatore, dice: Dove l'avete deposto? Così si era espressa la voce di Dio nel paradiso dopo che l'uomo peccò: Adamo dove sei? (Gn 3, 9). Gli dicono: Signore, vieni e vedi. Che vuol dire: vedi? Vuol dire: abbi pietà. Il Signore infatti vede allorché usa misericordia. Per questo col salmista gli diciamo: Vedi la mia miseria, la mia pena, e perdona tutti i miei peccati (Sal 24, 18).

21. E Gesù pianse. Dissero allora i Giudei: Guarda come l'amava! (Gv 11, 35-36). Che vuol dire lo amava? Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori al pentimento (Mt 9, 13). Ma alcuni di loro soggiunsero: Non poteva costui, che ha aperto gli occhi al cieco, fare altresì che questo non morisse? (Gv 11,37). Colui che non ha impedito che un malato morisse, farà molto di più: risusciterà un morto.

22. Intanto Gesù, fremendo di nuovo in se stesso, giunse al sepolcro. Egli fremerà anche in te, se sei disposto a rivivere. Per ognuno che sia sotto il peso di un'abitudine perversa vien detto che Cristo si reca al sepolcro. Era una grotta, contro la quale era stata posta una pietra (Gv 11, 38). Il morto sotto la pietra rappresenta il colpevole sotto la legge. Sapete infatti che la legge data ai Giudei fu scritta sulla pietra (cf. Es 31, 18). Tutti i colpevoli sono sotto la legge, mentre quelli che vivono bene sono con la legge. La legge non serve per il giusto (cf. 1 Tim 1, 9). Che significa dunque la parola del Signore: Levate via la pietra (Gv 11, 39)? Significa: Proclamate la grazia. L'apostolo Paolo infatti dice di essere ministro del Nuovo Testamento, non della lettera ma dello spirito, poiché la lettera uccide - egli dice - mentre lo spirito vivifica (2 Cor 3, 6). La lettera che uccide, è come la pietra che opprime. Levate via la pietra! egli dice. Cioè togliete il peso della legge, e proclamate la grazia. Se si fosse data una legge capace di conferire la vita, la giustificazione scaturirebbe dalla legge; la Scrittura invece ha rinserrato ogni cosa sotto il peccato, perché venisse data la promessa in virtù della fede in Gesù Cristo a quelli che credono (Gal 3, 21-22). Dunque: Levate via la pietra!

23. Gli dice Marta, la sorella del morto: Signore, già puzza, perché son quattro giorni che è là. Gesù le dice: Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio? (Gv 11, 39-40). Le dice che vedrà la gloria di Dio perché sta per risuscitare un morto di quattro giorni che già puzza. Tutti infatti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio (Rm 3, 23); e ancora: Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia (Rm 5, 20).

24. Tolsero, allora, la pietra. Gesù levò gli occhi al cielo e disse: Padre, ti ringrazio di avermi ascoltato. Io però sapevo che tu mi ascolti sempre, ma l'ho detto per il popolo che mi circonda, affinché credano che tu mi hai mandato. E, detto questo, con gran voce gridò (Gv 11, 41-43). Fremette, pianse, con gran voce gridò. Quanto è difficile che si alzi chi è oppresso dal peso delle cattive abitudini! E tuttavia si alza: una grazia occulta interiormente lo vivifica e al suono della voce potente si alza. Che cosa è avvenuto? Con gran voce gridò: Lazzaro, vieni fuori! Il morto uscì con i piedi e le mani legate da fasce e la faccia avvolta in un sudario (Gv 11, 43-44). Ti meravigli che abbia potuto camminare con i piedi e le mani legati, e non ti meravigli che sia risorto un morto di quattro giorni? L'una e l'altra sono dovute alla potenza del Signore, non alla forza del morto. Esce ancora legato; è ancora avvolto, eppure viene fuori. Che significa? Quando disprezzi la grazia di Dio, giaci morto; e se la disprezzi al punto che ho detto, giaci sepolto. Ma quando confessi il tuo peccato, vieni fuori. Che significa infatti venir fuori, se non manifestarsi uscendo come da un nascondiglio? Perché tu abbia a riconoscere la tua colpevolezza, Dio ti chiama a gran voce, cioè con una grazia straordinaria. E siccome il morto era uscito ancora legato, come un reo confesso non ancora assolto, affinché fosse sciolto dai suoi peccati, il Signore disse ai servitori: Scioglietelo e lasciatelo andare (Gv 11, 44). Che significa scioglietelo e lasciatelo andare? Ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto nei cieli (cf. Mt 16, 19).

25. Molti dei Giudei venuti da Maria, e che avevano visto ciò che egli aveva fatto, credettero in lui. Ma alcuni di essi si recarono dai farisei a riferire ciò che aveva fatto Gesù (Gv 11, 45-46). Non tutti i Giudei che erano venuti da Maria credettero, però in gran numero. Ma alcuni di essi, cioè alcuni dei Giudei che erano venuti, oppure anche di quelli che avevano creduto, si recarono dai farisei a riferire ciò che aveva fatto Gesù, per recare un annuncio che convincesse anche i farisei a credere, o più probabilmente per fare una denuncia che provocasse il loro furore. Comunque fossero le intenzioni di chi andò a riferire, i farisei furono informati.

26. I gran sacerdoti e i farisei radunarono allora un consiglio e dicevano: Che facciamo? (Gv 11, 47). Non dicevano mica: Crediamo! Quegli uomini perversi infatti erano più impegnati a infierire su di lui fino a eliminarlo che non a cercare la loro salvezza. E tuttavia erano perplessi e si consultavano. Infatti dicevano: Che facciamo? perché quest'uomo fa molti prodigi! Se lo lasciamo continuare, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e ci distruggeranno città e nazione (Gv 11, 47-48). Temevano di perdere le cose temporali e non si preoccupavano della vita eterna, e così perdettero l'una e l'altra. I Romani infatti, dopo la passione e la glorificazione del Signore, distrussero la loro città e la loro nazione, espugnando la città e deportando la popolazione. Si realizzò così la profezia: I figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre (Mt 8, 12). Temevano che se tutti avessero creduto in Cristo, non sarebbe rimasto nessuno a difendere la città e il tempio di Dio contro i Romani. Erano infatti convinti che la dottrina di Cristo fosse contraria al tempio e alle leggi dei loro padri.

27. Uno di essi, però, Caifa, che era sommo sacerdote di quell'anno, disse loro: Voi non ci capite nulla, né riflettete che è nel vostro interesse che un uomo solo muoia e non perisca la nazione intera. Ora, questo non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote di quell'anno, profetò (Gv 11, 49-51). Apprendiamo qui che lo spirito di profezia può annunciare il futuro anche per bocca di un uomo indegno; la qual cosa l'evangelista l'attribuisce a un'occulta disposizione di Dio, per il fatto che Caifa era pontefice, cioè sommo sacerdote. Può sembrare strano che l'evangelista dica di Caifa che era sommo sacerdote per quell'anno, dato che Dio aveva stabilito che un sommo sacerdote dovesse restare in carica fino alla sua morte. Ma è risaputo che in seguito, per soddisfare ambizioni ed evitare contese, si stabilì che fossero più di uno fra i Giudei, e che ciascuno a turno esercitasse la carica per un anno. Anche di Zaccaria si dice che mentre prestava servizio sacerdotale nel turno della sua classe, innanzi a Dio, secondo l'uso del sacro ministero, gli toccò in sorte di entrare nel santuario del Signore per bruciare l'incenso (Lc 1, 8-9). Questo dimostra che vi era più di un sommo sacerdote, e che prestavano il loro servizio a turno, poiché solo al sommo sacerdote spettava bruciare l'incenso (cf. Es 30, 7). E probabilmente anche durante il medesimo anno prestavano servizio in diversi, ai quali si avvicendavano altri nell'anno successivo, e tra questi veniva sorteggiato chi doveva bruciare l'incenso. E cosa profetò Caifa? Profetò che Gesù sarebbe morto per la nazione, e non per quella nazione soltanto, ma anche per radunare insieme i figli di Dio dispersi (Gv 11, 51-52). Questo lo ha aggiunto l'evangelista, in quanto la profezia di Caifa si limitava alla nazione dei Giudei, nella quale si trovavano quelle pecore di cui il Signore aveva detto: Sono stato mandato soltanto alle pecore perdute della casa d'lsraele (Mt 15, 24). Ma l'evangelista sapeva che esistevano altre pecore che non erano di quell'ovile, e che dovevano essere radunate, in modo che vi fosse un solo ovile, e un solo pastore (cf. Gv 10, 16). Tutto questo, però, l'evangelista lo dice tenendo conto della predestinazione, in quanto quelli che non credevano in lui, non erano ancora né sue pecore né figli di Dio.

28. Da quel giorno, dunque, decisero di farlo morire. Gesù non si faceva più vedere in pubblico fra i Giudei, ma si ritirò nella regione prossima al deserto, in una città chiamata Efraim, e là soggiornò con i suoi discepoli (Gv 11, 53-55). Non gli era certo venuto meno il suo potere, perché, se avesse voluto, avrebbe ben potuto rimanere pubblicamente in mezzo ai Giudei senza che essi potessero fargli del male. Egli volle invece offrire ai discepoli l'esempio di come si possa vivere accettando la debolezza umana; e mostrare loro che i suoi fedeli, che sono le sue membra, possono, senza commettere peccato, sottrarsi ai loro persecutori; e che si deve cercare di sfuggire al furore degli iniqui, anziché provocarli maggiormente col mettersi nelle loro mani.


PARTE SECONDA (2)

Il diario - Beata Elisabetta Canori Mora

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16 – DIO HA VIBRATO VERSO DI ME UN DARDO AMOROSO


16.1. Guai ai duri di cuore!


Il giorno 15 agosto 1814, racconta di sé la povera Giovanna Felice: Mi portai alla missione in piazza Barberini. Ad un tratto il mio spirito restò sopito, e mi fu manifestato il frutto che si sarebbe ricavato da quelle sante missioni. Da vari persone vedevo deplorare il peccato; altri, convinti della ragione, si convertivano; ma guai a quelli che, duri di cuore, non daranno ascolto alla chiamata che Dio ci fa per la valevole mediazione di Maria Santissima! Guai, guai dico, giacché poco e niente posso ridire di tutto quello che vidi. Tanto fu il terrore e lo spavento che ne ebbi, che credetti di morire!

Il tutto mi fu dimostrato con molta rapidità. Vedevo dunque il mondo tutto in scompiglio; non solo gli uomini tutti, ma le bestie stesse erano ripiene di orrore. Vedevo quattro Angeli che rapidamente scorrevano le contrade con la spada sfoderata e intrisa di vivo sangue, per ordine di Dio tutti gli empi restavano morti. Oh quanto poco numero di viventi restava sopra la terra! Sono restata così stordita per l’orrore e per la pena, che mi ha causato un grave dolore di testa. Padre mio, Dio è molto sdegnato con gli uomini, e molti non lo credono. Raccomandiamoci caldamente alla gran Madre di Dio, perché si degni di placare lo sdegno di Dio.

16.2. «Di propria mano voglio ferirti»


Dal giorno 15 fino al giorno 18 agosto 1814 la povera Giovanna Felice non fa altro che piangere la mia e l’altrui ingratitudine, in una maniera tanto grande che alle volte mi sento mancare la vita, tanta è l’afflizione che provo di avere offeso un Dio tanto buono, e il vederlo tuttora offeso dagli altri mi cagiona somma pena. Si andava tanto aumentando questa afflizione, che la sera del 18 piangevo amaramente i miei peccati. Nelle orazioni, che credetti di morire.

Quando un desiderio di carità ha sorpreso il mio cuore, e ardentemente mi faceva desiderare di unirmi al mio Dio, assai più di quello che desiderar possa una cerva ferita l’amata sua fonte. Quando dall’alto dei cieli mi si è dato a vedere Dio, che trasportato dall’infinita sua carità ha vibrato amoroso dardo verso di me, per mezzo di intima cognizione mi significava i suoi sentimenti, come avesse detto: «Figlia, ricevi l’impressione della mia carità, non per mezzo di un Angelo, ma di propria mano voglio ferirti. Questo favore ti dimostra il parziale affetto che ti porto».

Ma da qual fiamma di carità restò accesa la povera anima mia non so spiegarlo. Sentivo sollevarmi tratto tratto il corpo, tanta era la forza dello spirito, che innamorato, per la particolar comunicazione di Dio, si andava sollevando per mezzo di questo amoroso colpo Dio mi unì a sé intimamente. Si può dire che mi colpì con tutto se stesso, mentre nel colpo divenni possessora felice di un Dio amante. Che grazia sua questa, non è spiegabile.

16.3. Minacce del tentatore e dei parenti


Il dì 19, 20 e 21 agosto 1814 ho dovuto molto soffrire la povera Giovanna Felice dal tentatore e dai parenti, istigati da costui. Molte sono le minacce che mi fa il nemico tentatore, perché vorrebbe che retrocedessi dal cammino intrapreso. Più volte mi ha mostrato la gran difficoltà di reggere e sostenere due stati. «È impossibile», mi va dicendo, «che possa unire gli obblighi del matrimonio con gli obblighi che scioccamente e volontariamente hai contratto con Dio! In punto di morte ti troverai di non avere a niente adempiuto. Sopra di te è scesa la maledizione di Dio! Hai tempo a fare! le funeste conseguenze che ne sono venute per il tuo spergiuro non le puoi rimediare neppure con la tua vita!».

A queste forti suggestioni non so che rispondere, mi umilio, mi anniento, mi volgo verso il mio Dio, da me tanto offeso, e piangendo amaramente lo chiamo in aiuto. Nel vedere il nemico che la povera anima mia, con la grazia di Dio, trova la maniera di umiliarsi, e con fiducia ricorre al suo Dio, fugge precipitosamente, e così il mio spirito restò nella pace del Signore.

In questa calma, ovvero sopimento che mi donò la grazia del medesimo Dio, domandai se fosse vero che maledetta da Dio fosse la povera anima mia. Fui assicurata che era grata al Signore la mia condotta, che con la sua grazia avevo intrapreso; e che «questa un giorno servirà per confondere tante madri, che non avranno adempiuto ai loro doveri, servirà di molto rossore a tante vergini, che, invece di corrispondere con fedeltà a quanto avevano professato, hanno vissuto alla libera, di sommo rimprovero sarà alle vedove la tua condotta, o mia diletta figlia, in questa maniera resterò glorificato nella mia opera».

Dal 22 agosto fino al 26 ho sofferto gravissime desolazioni di spirito, un abbandono molto penoso, una mestizia, una tetraggine. Diverse volte mi sono trovata in potere del demonio, priva di ogni aiuto, mi vedevo straziare da Gesù senza potermi liberare. Mi straziava, mi maltrattava assai più di quello che un cane mastino strazi e strappi, laceri uno straccio, quando sopraffatto dalla rabbia, morde rabbiosamente un panno e lo fa in minutissimi pezzi, così fa con me il demonio, mi maltratta, mi strazia in guisa tale che non mi è possibile poterlo ridire.

16.4. Ammaestrata da Dio


Il dì 27 agosto 1814 nella santa Comunione, racconta di sé la povera Giovanna Felice. Sono stata condotta in piccolo recinto, dove la povera anima mia ha preso un poco di riposo, per poi poter con più lena proseguire il suo viaggio verso il secondo tabernacolo del Signore. In questo piccolo recinto mi ci ha condotto lo Spirito del Signore. Questo è un luogo circondato da forte muraglia, non c’è porta né tetto, le mura altissime e impenetrabili per esser di pietra bellissima.

In questo luogo tutto spira raccoglimento e devozione, in questa solitudine vuole Dio che mi trattenga in frequento orazioni. L’anima mia in questo luogo viene ammaestrata da Dio medesimo in cose riguardanti il suo infinito amore. Mi somministra fortezza e coraggio nel patire per suo amore, assicurandomi del suo speciale aiuto in tutti i miei bisogni. Mi sono trattenuta in questo luogo circa 24 ore, e poi ho proseguito il suddetto viaggio. Oh, quanto mai è disastrosa la strada! oh, da quanti affanni è assalita la povera anima mia! oh, mio unico conforto mio, aiutatemi!

Il giorno 28 agosto è stato molto afflittivo, per la gravissima desolazione di spirito.

Il dì 29 agosto, nella santa Comunione, fui confortata da superna luce, nel mezzo della quale vidi il mio Signore, che mi confortava, e amorosamente mi fece riposare nelle sue braccia. Preso breve ma dolce riposo nelle sue amorose braccia, mi additò una strada tutta intralciata di foltissime spine, che essendosi unite da una parte e dall’altra, avevano formato in questa strada un folto spineto, di maniera tale che non si vedeva più né cielo, né terra, ma tutte spine.

Il mio spirito, nel vedere strada sì tetra e spinosa, ne concepì sommo orrore, ma il Signore mi promise la sua speciale assistenza. La sua promessa incoraggiò il mio spirito. Osservai una cosa che molto mi consolò, ed è che questa strada era stretta, ma non aveva altra strada di poter deviare, perché la mia sollecitudine non è il timore del patire, ma si è il timore di deviare dal retto sentiero.

16.5. Un alto posto tra le vergini


Prima di farmi intraprendere il disastroso viaggio, il mio Signore mi ha condotto in bella e amena pianura, bella e verdeggiante campagna, smaltata di preziosi fiori. In questo luogo si degnò il giorno 30 agosto 1814 di favorire la povera anima mia con grado molto particolare di unione. Qual dolcezza mi fece gustare! di quali abbracciamenti mi degnò, con quale unione mi unì a lui, come restai medesimata con quell’immenso bene, quale amore mi compartì, non so spiegare cose molto grandi.

Molto copiosa fu la cognizione che mi compartì Dio di se stesso. A queste cognizioni fui sopraffatta dallo stupore, e rapita dalla cognizione, mi andavo inoltrando viepiù ogni momento. Più mi inoltravo, e più mi innamoravo dell’infinito essere di Dio. Più amavo, e più lo conoscevo degno di amore. Mio Dio, mi manca la maniera di spiegare i dolci effetti che mi faceste sperimentare in questa perfetta unione. La mia grande ammirazione veniva cagionata da due riflessi, uno è di conoscere le alte perfezioni di Dio, l’altro è di conoscere qual gaudio prova Dio in se stesso nel beneficarmi. Padre mio, mi è di sommo rossore il proseguire, ma per non mancare all’obbedienza proseguirò, a gloria di Dio, protestandomi di narrare semplicemente l’accaduto, senza il minimo pensiero di sostenere le mie idee, ma lascio a vostra paternità il deciderle.

Mi ha dato a conoscere qual gaudio abbia provato il suo amoroso cuore in possedermi intimamente, per mezzo di questa unione qual contento le sia di essere amato da me, povera e misera creatura.

«La ricompensa» mi disse, «che sono per darti si è l’alto posto tra le vergini. Sì, mia diletta, tra queste sarai annoverata. Ti amo non meno di quelle che amai la mia Teresa, la mia Geltrude, figlia, oggetto delle mie compiacenze! Quanto grande è la gloria che ti aspetta! Ringrazia l’infinito amor mio, tanto parziale verso di te. La mia predilezione ti rende oggetto delle più alte ammirazioni dei cittadini del cielo. Figlia, diletta mia, parla, domanda che vuoi, cosa ti potrò negare, figlia, arbitro del mio cuore?».

A queste parole amorose l’anima dette uno sguardo a se stessa, e riconoscendosi immeritevole di tanto favore, dette in dirotto pianto. «Mio Dio», diceva piena di confusione, «e come mai, mio Dio, vi potete compiacere in me, che sono la creatura più vile che abita la terra? Mio Dio, non oscurate la vostra gloria, per beneficare quest’anima ingrata. Mio Signore, amo assai più la vostra gloria che il mio proprio interesse! Mio Dio, non posso più sostenere la piena della vostra carità. Basta, Signore, non più».

Sentivo, per la violenza dello spirito, sollevare il corpo; per l’attrazione la fiamma della carità mi aveva come incenerito, e, perduta ogni sensazione, mi pareva di più non esistere.

16.6. Il tentatore mi assaliva come cane arrabbiato


Il dì 2 settembre 1814 fui molestata da varie suggestioni dal nemico tentatore. Soffrii diversi strapazzi dal suddetto, mi impediva a viva forza di poter scrivere quanto mi comanda vostra paternità. Mi assaliva qual cane arrabbiato, faceva prova di strascinarmi per terra, farmi fare dei brutti urlacci, di farmi mordere le proprie carni; ma, per misericordia di Dio, non ebbe licenza di possedermi, ma solo gli permise Dio di assediarmi, di circondarmi per breve tempo. Ma in questi tempi, più volte provò ad assalirmi rabbiosamente. In questi assalti molto si arrabbiava, perché non mi poteva fare quel male che voleva, e per lo sdegno la prendeva contro Dio, perché non glielo permetteva.

In questi assalti restava cagionevole il mio corpo, soffrivo degli stringimenti interni, convulsioni e deliqui penosissimi.

17 – UN MISTERIOSO BASTONE


Il dì 3 settembre 1814, così racconta la povera Giovanna Felice. Fui condotta alla strada spinosa, come già dissi. Il mio Signore di propria mano là mi condusse. Quale orrore mi cagionò nel rivedere questa strada così spinosa, tetra e stretta! Ma il Signore prese a consolarmi, con darmi parole certa che non sarebbe per mancarmi il suo aiuto; sebbene mi sarebbe mancata la vista sensibile della sua presenza, ma che avessi invocato il suo aiuto in tutti i miei bisogni, che avrei sperimentato il suo aiuto, che molto efficaci sarebbero le mie preghiere, e molto giovevoli per il prossimo, ma prima di farmi intraprendere il cammino, mi furono lavati i piedi, e mi fu somministrata preziosa bevanda. Nella lavanda dei piedi restai purificata, nella bevanda restai fortificata, ma non vidi chi mi lavò i piedi, né tanto meno chi mi porse la preziosa bevanda.

17.1. Immedesimata alla volontà di Dio


Ricevuti che ebbi questi due favori, sperimentai una certa innovazione di spirito, che mi rendeva come medesimata alla volontà di Dio. Il mio Signore di propria mano mi donava un misterioso bastone, non so se bastone si possa chiamare cosa così bella e meravigliosa, che non so manifestare. Mi fece intendere che questo sarebbe il mio sostegno in questo disastroso viaggio, che in questo bastone avrei sperimentato i salutari effetti della sua potenza, della sua sapienza, della sua bontà. Mi fece intendere ancora che questo bastone non sarebbe in mio potere, se avessi offeso la sua maestà, e se, per mia disgrazia, lo offendessi gravemente, il bastone sarebbe subito disparso.

A queste intelligenze lo spirito, pieno di timore, esclamò: «Gesù mio, per carità, se prevedete che vi abbia ad offendere, mandatemi la morte. Non permettete che neppure un momento sia separata da voi». Stringendo fortemente il misterioso bastone, mi misi in viaggio per la spinosa strada, stringendo ogni momento più il bastone, per timore o di non poterlo più adoprare, oppure che mi venisse involato per i cattivi miei portamenti.

Questa strada non solo è intralciata di spini, ma vi sono dei demoni in forma di orride bestie, che tuttora fanno prova di assalirmi, ma il misterioso bastone mi rende superiore a loro, non ardiscono molestarmi.

17.2. Si sollevava il mio corpo


Il dì 5 settembre 1814 racconta la povera Giovanna Felice di sé. Fui sorpresa da interna quiete, quando vidi in quella strada spinosa il mio spirito che si avanzava nel suo viaggio, appoggiato al misterioso bastone anzidetto. Nel ricevere la santa Comunione il mio Dio mi si è dato a vedere con tanta chiarezza, che la povera anima mia è restata rapita dall’infinita bellezza di questo amabile Signore. Sono restata alienata dai sensi, ma per timore che nessuno si fosse avveduto di quanto seguiva in me, ho procurato di richiamare lo spirito alla meglio, col privarlo di rimirare nuovamente quell’immenso bello.

Mi sono privata di rimirare oggetto sì caro, per non mancare all’obbedienza che professo a vostra paternità, sapendo quanto desidera che occulti il mio spirito, ma ciò nonostante la luce inaccessibile che si manifestava al mio intelletto, faceva ardere la mia volontà di amore ardente. La fiamma della carità sollevava il mio corpo da terra. Nel sentirmi tanto leggero il corpo, che per l’attrazione dello spirito si sollevava leggiadramente, mi raccomandai caldamente al Signore, acciò nessuno si avvedesse di questa grazia, e per quanto potei, procurai di stabilire immobile il mio corpo.

17.3. Nel bastone contemplo l’augusta Trinità


Dal giorno 5 settembre fino al giorno 10, racconta la povera Giovanna Felice. Vado camminando con molta fatica e stento la spinosa strada, provo i cattivi effetti della mia fragilità, dubitavo che in pena dei miei cattivi portamenti il Signore mi levasse dalle mani il prodigioso bastone.

Oh, di quanto conforto mi sei, o sovrano bastone, tu racchiudi in te la magnificenza di un Dio trino ed uno; in te contemplo l’augusta Trinità, tu mi simboleggi gli attributi di Dio, mio Signore, tu mi dimostri la figura del divin Verbo. Oh, quante belle cose in te scolpisco, il nobile prezioso segno della tua croce mi si dimostra in questo misterioso bastone. Ah, Gesù mio, come la povera anima mia si appoggia alla vostra santissima umanità, per vincere e superare gli incomodi del disastroso viaggio e le forti tentazioni, le tetre immaginazioni e fantasmi del tentatore, che con frequenza mi assalgono, mi cagionano una smania interna, che se non fosse lo spirito del Signore che le facesse forte resistenza, commetterei gli eccessi più enormi di impazienza, darei fuoco a me stessa. Provo una collera contro il mio prossimo, particolarmente con le figlie e padre delle suddette. Mi morderei le proprie carni, cose invero del tutto nuove, perché, per grazia di Dio, il mio carattere è pacifico.

A questi assalti lo spirito del Signore mi previene col somministrarmi fortezza, pace e sofferenza, ma ciò nonostante soffro lo strapazzo che mi dà il demonio, pieno di rabbia, vedendo che non mi può vincere, rabbiosamente tramanda una vampa di fuoco, che mi sento come incendiare, e rende cagionevole il mio corpo. In queste gravi afflizioni, spesse volte sono visitata dallo Spirito del Signore, che mi conforta con dolci parole, e mi assicura che sarò vittoriosa dei miei nemici, benché si scatenasse tutto l’inferno contro di me.

«Figlia», mi sento dire, «se io sono con te, chi sarà contro di te? chi ti potrà nuocere, chi ti potrà sovrastare?». A questa intellettuale intelligenza, il mio spirito riposa in Dio, suo Signore.

17.4. La mia condotta per confondere tante donne


Il giorno 11 settembre 1814 dopo pranzo mi trattenevo avanti al santissimo sacramento, quando ad un tratto, si è raccolto il mio spirito, eccomi sono trovata per la strada spinosa, come si è detto di sopra, appoggiato vedevo il mio spirito al misterioso bastone, che camminava, quando mi sono avveduta che dovevo passare rapido torrente di spumacciose acque, che, agitato dall’impetuoso corso, faceva prova di annegarmi.

Nel vedermi in pericolo così eminente, mi sono raccomandata al mio Signore; sono stata al momento esaudita per mezzo dunque del misterioso bastone, che ha l’attività di ingrandirsi e distendersi a suo talento, ai piedi di questo è apparso piccolo sgabello, dove sono salita, e così sono restata salva dall’impetuoso torrente. Piena di gratitudine e di affetto, ringraziai il misterioso bastone, che per liberarmi dall’imminente pericolo si fosse degnato di somministrarmi mezzo così efficace, come era il piccolo ma sicuro sgabello. In questo tempo, che stavo ringraziando, mi è sopraggiunto altro pericolo, non meno afflittivo del primo. Si è sollevato rabbioso vento, che faceva prova di balzarmi dalle mani il bastone e dai piedi il sicuro sgabello.

Oh, quanto mai fortemente stringevo con le mani il bastone e con i piedi procuravo di stabilirmi sopra il prezioso sgabello, porgendo calde suppliche all’Altissimo.

Oh, portento prodigioso, il bastone si è dilatato, si è disteso, e ha formato attorno a me piccolo recinto, che mi ha rassicurata, e dalle rapide acque e dal rapido vento, così circondata da questo miracoloso bastone, ho riposato sicura. In questa quiete, si è degnato il mio Dio manifestarmi i tratti misericordiosi della sua infinita carità verso la povera anima mia. Così coperta e circondata per liberarmi dalla potestà del nemico insidiatore, e da orrende tentazioni, mi ha degnato di questo favore per dimostrarmi l’affetto parziale che nutre verso l’anima mia e la singolare condotta con cui va regolando il mio spirito, mi ha dato a conoscere come mi devo portare verso di amore così infinito, vuole che viva staccata affatto da tutto il sensibile, viva morendo a tutto, per amor suo. Mi ha promesso di salvare le due mie figlie, ma scioccamente io ho chiesto di più: «Desidero, mio Dio, che non vi offendano queste due fanciulle, e questo lo chiedo per rendere onore e gloria a voi».

«Non cercare di più», mi sono intesa rispondere, «il salvare le anime è di sommo mio onore!». Queste parole mi hanno cagionato sommo dolore di avere oltraggiato Dio con il nefando spergiuro. Oh, non ti avessi mai offeso, bontà infinita! Mi fu di sommo orrore il ricordarmi di avere offeso un Dio tanto buono, che dalla pena credevo di morire soffocata dal pianto e dal dolore, quando mi è stato manifestato come le mie colpe non avevano apportato alcun documento a Dio, per essere quel Dio che è; ma che la mia condotta servirà per confondere tante vergini, che nei sacri chiostri, lontane dai pericoli, non seppero mantenere quanto promesso avevano nei santi voti.

«Io mostrerò loro l’anima tua, in mezzo a gravissimi pericoli con la mia grazia sapesti mantenere il voto di castità, rimprovero sarà alle vedove, che libere restarono dal vincolo del matrimonio, non seppero approfittarsi di merito così grande. Cosa dovranno soffrire di rossore e di confusione quelle madri che non per me, ma per il demonio educarono la loro prole! ». In questi e simili termini andava manifestandomi Dio le sue misericordie.

17.5. Il favore di adorare la santissima croce


Il dì 14 settembre 1814 nella santa Comunione racconta Giovanna Felice di sé. Dal lago in cui mi ritrovavo, come dissi di sopra, mi sono trovata in un’amenissima valle. Vedevo in questa molti spiriti celesti, nel mezzo di questa valle, vedevo la santissima croce, tutta sfolgoreggiante di luce, adorata da molte schiere angeliche. Anche io sono stata fatta degna, per la grazia di Dio, di favore tanto grande di adorare la santissima croce. Sono stata invitata da questi beati spiriti, con il nome di amica di Dio.

A queste parole si è inorridito il mio spirito, e non ho osato di inoltrarmi, ma annientata nel mio nulla mi confessavo per quella che sono, la più vile tra tutte le creature. Presa da questo sentimento si umiliava lo spirito e ricusava la grazia; quando una forza superiore là mi ha condotto, e insieme con i santi Angeli ho adorato la santissima croce, segno adorabile della nostra salute.

17.6. Introdotta nel secondo tabernacolo


Il dì 18 settembre mi sono trovata in luogo magnifico, che non so nominare, vedevo in questo luogo ripieno di spiriti celesti, che festosi a me si approssimavano, e cortesemente mi invitavano ad andare con loro. Dopo aver confessato la mia scelleraggine, mi sono inoltrata nel mezzo di questo immenso luogo, vedevo risplendentissima luce; questi messaggeri celesti si compiacevano di corteggiare la povera anima mia, e vicendevolmente con me si congratulavano per l’alto favore che ero per ricevere dall’Altissimo.

A questi grandi encomi la povera anima mia restava ammirata di tanto e magnifico applauso. Era questo molto più grande di quello che possa ricevere una sovrana, quando sia invitata dal Re suo sposo alla reggia. A mia confusione facevano a gara di potermi corteggiare. Questo sovrano stuolo di santi Angeli mi ha condotto con gran festa al mio Signore, ma nell’avvicinarmi a quella immensa luce mi andava mancando la forza, e le potenze dell’anima venivano, per mezzo di quella luce a perdersi in quell’immensità, ma prima di più inoltrarmi, mi è stato coronato il capo di preziosa corona, mi è stato dato nelle mani un segno di maggioranza, ossia di governo altrui, in questo tempo la luce mi ha sopraffatta e sono come morta, riposando placidamente in questa luce stessa, più non capivo, più non riflettevo, ma come persa nell’immensità di Dio ero restata come estinta, quando i santi Angeli mi hanno circondato, la luce si è distesa in forma di bara, e così sono stata introdotta nel secondo tabernacolo del Signore.

Di quale unione Dio mi abbia degnata non è spiegabile. Dopo di avermi manifestato gli affetti più teneri della sua infinita carità, mi ha dato a conoscere di quanta utilità sarò al mio prossimo, per parte della sua grazia verranno da me beneficate tante anime.

17.7. Sàziati di me!


Il dì 22 settembre 1814 ero fuori modo afflitta per aver mancato alla carità del prossimo con parole, dopo essermi confessata proseguivo a piangere amaramente il mio peccato, quando ad un tratto fui sorpresa da interna quiete, la più intima che si possa mai dire. In questa quiete ho veduto il mio spirito in figura di candida pecorella vicino al mio Signore, che sotto l’aspetto di amoroso pastore, mi accarezzava.

Oh, quante finezze faceva questo pastorello alla sua pecorella! Dopo averla accarezzata, la baciava; le partecipava la sua dolcissima saliva, ovvero per meglio dire, mi partecipava dolcissima acqua, che scaturiva dalla sua divina bocca, e questa era come prezioso liquore, di questo mi porgeva con la sua mano santissima.

«Nutrisciti, saziati di me», diceva, ponendo nella bocca della pecorella il prezioso liquore; ma, come questo non fosse bastante a saziare l’infinito amor suo, si è degnato di unire la bocca sua alla bocca della pecorella, e amorosamente l’affiatava, perché questa vivesse della sua stessa vita.

E come potrò io spiegare i mirabili effetti che ha sperimentato il mio cuore. Lascio a vostra paternità il poterlo immaginare, il che sarà più facile di quello che posso io ridire.

Dopo aver ricevuto tutto questo bene, mi fece riposare presso di lui, e in segno di sicurezza poneva sopra la pecorella il suo bastone, mi diceva: «Figlia, non temere i tuoi nemici. Sarai di questi vittoriosa».

Volgo lo sguardo e vedo in qualche distanza una moltitudine di lupi che mi insidiavano, ma non gli era permesso di avvicinarsi, per la rabbia ruggivano e dispettosamente con i loro artigli zappavano la terra. A questo vedere, tutta sollecita mi volgevo al buon pastore per il timore che quei lupi si avvicinassero. Fui assicurata che nessuno mi avrebbe molestato. Assicurata su di ciò riposai in pace.

17.8. Il Signore mi invita al suo talamo

Il dì 28 settembre 1814 fui sopraffatta da un dolce sonno. Dopo breve riposo mi destai dalla dolce armonia che si udiva da ogni intorno. Tra questi armoniosi suoni, si udiva voce dolcissima, che replicatamente mi invitava; questa era la voce del mio Signore, che trasportato dall’infinita sua carità, mi invitava al suo talamo.

A questi amorosi inviti, la povera anima mia si confondeva in se stessa, e piangendo dirottamente per la umiliazione che mi apportava il favore di Dio, riconoscendomi affatto indegna, sentivo intanto un amore grande verso il mio Signore. La gratitudine mi struggeva, l’amore mi accendeva di affetti santi verso il liberalissimo donatore, mentre la povera anima mia stava struggendosi di amore, mi fu comunicata una dolcezza celestiale, che mi teneva alienata dai sensi, quando ho veduto apparire il glorioso san Michele arcangelo, sfolgoreggiante di chiarissima luce; mi faceva coraggio di inoltrarmi viepiù. Lui stesso, accompagnato da moltitudine di Angeli, si è degnato di accompagnarmi al talamo del mio Signore.

Immensi applausi, infiniti onori ricevetti da quei cortigiani celesti, ma segnatamente dal glorioso san Michele. Questo inclito principe, per la sua umiltà, reputava per favore il potermi presentare all’Altissimo. A queste cognizioni chiarissime la povera anima mia si umiliava profondamente e ne rendeva a Dio l’onore, la gloria, annientando se stessa nel proprio nulla tutta tutta si rallegrava nel suo Signore.

Intanto mi andavo inoltrando verso l’infinito essere di Dio, accompagnata da immenso stuolo di spiriti celesti, come si è detto di sopra. Quando siamo vicini a quella immensità, sono stata sopraffatta da nuova luce, che mi ha internata in un caos di luce infinita. Ho perduto a questa ogni idea sensibile, sono stata per pochi minuti assorbita da quella immensa luce. Quando mi sono destata da questo sopimento, si udivano armoniose voci, che cantavano: «Quis ascendet in montem Domini, aut quis stabit in loco sancto eius, innocens manibus et mundo corde», con quel che segue del Salmo, fino al Gloria.

Non è spiegabile il gaudio che ho sperimentato, la fiamma della carità che mi ha comunicato il mio Signore. In questa unione mi ha promesso di esaudire le mie povere preghiere, e di beneficare tutte le persone che mi beneficano, e tutte quelle che mi beneficheranno per il tempo a venire: tutti saranno benedetti eternamente.

17.9. Un gaudio infinito


Il dì 2 ottobre 1814 racconta la povera Giovanna Felice, sono stata sorpresa da dolce riposo, quando nel sonno stesso vedevo intellettualmente il mio spirito in prezioso gabinetto reale, che riposava dolcemente sopra preziosissimo drappo smaltato di preziosissime gemme, ai pizzi di questo vi erano quattro fiocchi d’oro finissimo, che lo adornavano, la luce che tramandava questo luogo rendeva illustre questo ricchissimo drappo, in questo riposo intanto godeva il mio cuore una dolcezza, un gaudio di paradiso, quando ho veduto apparire i santi Angeli, che sono soliti favorirmi, che mi hanno asperso di fiori in tanta copia, che i fiori venivano a formare bellissimo manto, che mi copriva da capo a piedi. I fiori erano di color bianco, rosso e turchino, avevano un odore gratissimo di paradiso, intanto la luce andava crescendo ogni momento più, finalmente è apparsa in mezzo a questa il sovrano Re della gloria, che innamorato della vaghezza e della fragranza dei fiori, rapidamente con gli splendenti suoi raggi mi investiva, mi univa a sé intimamente. Goduto di questo bene l’anima restava tutta assorta in Dio, godendo un gaudio infinito, lodava benediceva amava, quanto mai dir si possa, il suo Signore.

Quando sono nuovamente apparsi i santi Angeli suddetti, e con sommo rispetto prendevano quei fiori e formando delle piccole croci le ponevano in tre bellissimi vasi triangolari. Quello che osservai è che non mischiavano le croci che davano componendo; ma ognuno le poneva nel suo rispettivo vaso, sebbene le croci fossero del tutto compagne. Le croci erano composte di fiori rossi e turchini, tutte raggiate di fiori bianchi. Questa operazione veniva a rendere al mio povero spirito una umiltà tanto profonda che non è spiegabile.

18 – VITTIMA PER LA SANTA CHIESA


18.1. I miei gravissimi peccati


Dal primo di ottobre, come si disse al foglio numero, fino al 19 del suddetto mese, così la povera Giovanna Felice. Il mio spirito ha sempre goduto una interna pace, un raccoglimento molto efficace. Questo non mi fa desiderare altro che Dio in tutti i momenti della mia vita, mi viene poi compartita dalla grazia di Dio una certa propria cognizione, e questa mi fa detestare con abbondanti lacrime i miei gravissimi peccati, per mezzo di cognizioni intellettuali mi dà a conoscere le amorose premure del suo nobil cuore, mi dà a conoscere quanto grandi erano le diligenze che usava verso di me, quando io mi ero allontanata da lui con il peccato, perché non perissi in quello. Di più mi fece conoscere come mi teneva occulta la malizia del peccato stesso, perché l’anima mia non fosse aggravata di maggior reato.

A queste cognizioni il mio spirito si accende di santo amore verso il suo Signore, e sopraffatta dalla gratitudine si andava disfacendo di amore in lacrime. Così ho passato questi giorni, senza ridire quali sono stati i buoni effetti che ho sperimentato nella santa Comunione in tutti questi giorni. Senza dilungarmi di più, vostra paternità li può comprendere.

Il dì 20 ottobre nella santa Comunione mi degnò il mio Signore di un grado di unione molto particolare, ma non so manifestarlo, per essere cosa che riguarda l’intelletto. Molto grandi furono le cognizioni e i buoni effetti che ricevette il mio spirito da questa intima intelligenza, che io non so manifestare, per essere cosa molto straordinaria, assai più di ogni umano intendimento. Fui propriamente assorbita da Dio e sollevata dall’immensità di Dio e immedesimata in questa immensità, mi manca la maniera di spiegare di più.

18.2. La Chiesa scossa da furioso vento


Il dì 23 ottobre 1814 dopo la santa Comunione, racconta di sé la povera Giovanna Felice: il mio spirito fu prevenuto da interna illustrazione, e fui come trasportata al di sopra del mondo, mentre mi vedevo in luogo così eminente, senza mai perdere la cognizione del proprio mio nulla, vedevo il mondo ripieno di miserie e peccati, vedevo la Chiesa sotto il simbolo di forte e magnifico fabbricato, che fortemente era scossa da furioso vento. Questo vento invano faceva prova di rovinarla; già era sul punto di cadere. Un’anima a me cognita, per comando di Dio e per la compassione che sentiva di vedere la Chiesa di Dio così dibattuta dal vento delle massime insane di tanti che, sotto le ombre di bene, pretendono di rovinarla, costoro tirano sopra il mondo i fulmini del cielo; ma Dio saprà, con la sua infinita sapienza, punire gli empi, e salvare gli innocenti.

Quest’anima dunque, andava piena di fede, mossa dal comando di Dio e dalla carità, andava a sostenere il magnifico fabbricato, che è quanto dire chiedeva la suddetta anima in grazia il sospendere la sua divina giustizia; mentre nell’altezza in cui la suddetta si ritrovava godeva negli ampi spazi della divinità, la vicinanza di Dio; e come solo si trovava in quella immensità tutta raccolta in Dio, che la degnava dei casti suoi abbracciamenti, cosa mai conosceva di immenso, di magnifico, di infinito non è spiegabile, qual perfezione in quel momento compartiva Dio a questa anima non è spiegabile; compiacendosi Dio di averla a sé avvicinata la rese oggetto delle sue compiacenze, così condonò alla suddetta il suo sdegno irritato; in quel momento la rese arbitra del suo cuore.

18.3. Promessa di vita eterna anche per P. Ferdinando


Il dì 26 ottobre 1814, ascoltando la Messa di un sacerdote a me cognito, fui sopraffatta da interna quiete. Dio si degnò di unire con vincolo di carità il mio spirito a quello del celebrante. Conobbi la maturità delle sue virtù, a questa cognizione il mio povero spirito si appoggiava delicatamente nelle virtù del suddetto; intanto Dio mi si fece presente e si degnò di farci riposare entrambi nel suo paterno seno. Si degnava mirarci con sommo amore, e nel mirarci ha promesso ad ambedue la vita eterna. Padre mio, mi promise di mantenermi la promessa, ne impegnò la sua parola. Dunque tocca a noi corrispondere fedelmente alle sue infinite misericordie.

18.4. Per piacere al mio Signore


Il dì 30 ottobre 1814, ascoltando la Messa cantata al SS. Bambino Gesù, fu il mio spirito sopraffatto da interna quiete. Fu ad un tratto abbracciato il mio spirito dallo spirito del Signore, e rapidamente condotto in luogo grande e magnifico. Mi furono in questo luogo comunicati santi desideri. Questi desideri mi avvicinavano a Dio e mi facevano conoscere le sue divine perfezioni. Queste cognizioni mi accendevano di santo amore, l’amore mi faceva bramare la perfezione, in maniera che ogni gran patire mi pareva lieve per poterla acquistare; non ad altro fine la bramava, che per piacere al mio Signore, e così rendere a lui onore e gloria, rinunziando al mio proprio interesse spirituale e temporale.

Molto gradì la mia offerta il buon Signore, e mi fece intendere che voleva di più. A questo intendere, la povera anima mia, tutta amore, tutta carità, così parlò al suo Signore: «Mio Dio, mio Signore, cosa volete da me? Parlate, che la vostra serva vi ascolta! Mio Dio son pronta a fare qualunque sacrificio per potervi piacere».

Allora il Signore mi fece intendere, per parte di intima intelligenza, quello che voleva da me. Padre mio, non so spiegare la maniera prodigiosa che usa Dio verso di me da qualche tempo a questa parte, più non mi parla, ma mi significa chiaramente la sua volontà, assai più chiaramente che se mi parlasse. Mi viene significata in una maniera quanto mai bella: questa cognizione mi veniva somministrata dalla vicinanza di Dio, in cui mi trovavo, per la grazia di Dio, che senza mio merito mi aveva tanto innalzata.

Mi ha dunque significato la sua volontà, ed è che mi offra all’eterno Padre qual vittima, per riparare ai gravi bisogni della santa Chiesa, e alla cattiva amministrazione della suddetta... e che, spogliata affatto di tutto, mi offra a pro della santa Chiesa e dei peccatori, e di quelli che non lo conoscono. Vuole che rinunzi a pro di questi a tutte le opere meritorie, che con la grazia sua ho praticato fino ad ora, e tutte quelle che sono, con la grazia sua, per fare fino all’ultimo respiro della mia vita; vuole che mi offra di patire ogni qualunque pena in vantaggio dei suddetti.

A questa amorosa domanda il mio spirito si è profondato nel suo nulla, e riconoscendolo per assoluto padrone del cielo e della terra, così parlò la povera anima mia: «Sì; mio Dio, voi siete padrone assoluto dell’anima mia. Fate di me ciò che vi aggrada. Se il mio confessore si contenta, io vi prometto di fare questo sacrificio».

Benché l’acconsentire fosse con questa condizione, al momento sono stata trasportata in una profonda valle, ripiena di affanni, di angustie, di travaglio, di amarezze, e di quanto mai di pene possa immaginarsi, nel vedere cose così tetre e afflittive. Si è inorridito il mio povero spirito e quasi sopraffatta dal terrore di simili sciagure, ero sul punto di negare il mio consenso; ma improvvisamente vidi apparire un’ombra chiarissima di luce, in questa mi si manifestò Gesù Cristo Signore nostro, che mi faceva coraggio perché avessi acconsentito a quanto mi aveva manifestato. Così mi sentivo dire: «Figlia, diletta mia, offriti al mio celeste Padre a pro della mia Chiesa. Ti prometto il mio aiuto».

18.5. Le calamità della Chiesa


Per persuadermi, si è degnato mostrarmi le calamità della suddetta. Per la seconda volta sono tornata a vedere il fabbricato rovinoso, sono stata condotta dentro di questo, e mi sono stati mostrati gli sconcerti che nella Chiesa succedono. Mio Dio! cosa dirò? non è possibile di crederlo!

Vidi come gli indegni prevalgano la giustizia con tanto disonore di Dio! Vidi l’oppressione dei poveri! Vidi i sacrilegi che si commettono da tanti ministri di Dio! Vidi l’ingordigia di questi, l’attacco che hanno ai beni transitori, la dimenticanza del vero culto di Dio! Vidi il bene apparente, fatto per fini indiretti! Che delitti sono mai questi non si possono comprendere.

A queste cognizioni mi inorridii, e quasi dubitando che Dio fosse per subissare il mondo, tremavo da capo a piedi. Fui poi condotta a vedere il santuario, e, per il rispetto del culto di Dio, mi fu comandato di entrare in questo, a piedi scalzi. Mi fu mostrata la cattiva amministrazione dei santuari. Vidi il gran disonore che riceve Dio dai cattivi sacerdoti. Fui poi condotta per mezzo di una scala in luogo molto eminente, dove mi si diede a vedere il giusto sdegno di Dio, irritato contro di noi, poveri peccatori.

Non ho termini di spiegare a sufficienza cosa tanto terribile e spaventosa. Cercavo per il timore di nascondermi nelle viscere della terra, mi pareva che in quel momento Dio volesse subissare il mondo. Macché! il nostro amoroso fratello Gesù Cristo si è fatto avvocato per noi, presso il suo celeste Padre. Mi fece l’amoroso Signore intendere che mi fossi a lui unita e offerta mi fossi al suo divin Padre, per così placare il suo sdegno, ma il divin Padre non mi voleva ricevere. Gesù Cristo Signore nostro ha posto sopra di me i preziosi suoi meriti, e al momento sono stata rivestita di splendidissima luce e sono divenuta assai più bella del sole, e in questa maniera sono stata ricevuta dal divin Padre, ad istanza delle valevolissime preghiere di Gesù Cristo si è placato lo sdegno di Dio Padre, e si è degnato sospendere il tremendo castigo e dare spazio di penitenza a noi poveri peccatori. Ma il tempo che ha determinato di aspettare a penitenza è breve. Ah, potessi con il mio sangue convertire tutto il mondo! perché nessuno perisse, quanto lo spargerei volentieri, a costo di ogni gran pena! Tutta piena di fiducia nei meriti di Gesù Cristo, mi offrivo a Dio di patire ogni pena, risoluta di morire per compiacere il mio Signore, e per vantaggio dei peccatori, fratelli miei, e per vantaggio della nostra Madre, la santa Chiesa. Molto gradì la mia povera offerta l’eterno Dio. Nel conoscere il suo gradimento, il mio spirito, annientato nel suo nulla, non si poteva persuadere come fosse possibile che Dio potesse restare glorificato da sacrificio tanto misero, qual è la povera anima mia.

Il Signore mi ha fatto intendere che avessi adorato i suoi divini decreti e le sue divine disposizioni, che avessi attribuito questa nobile operazione alla sua infinita sapienza, che sa trovare la maniera di restare glorificato negli umili di cuore. Nell’intendere queste ragioni, ad imitazione della santissima Vergine Maria, la povera anima mia, piena di ossequio e di rispetto, confessò l’infinita potenza di Dio, suo Signore, e quale umile ancella a lui si offrì, acciò facesse di me quello che voleva, sempre che accordata mi fosse dal mio padre la licenza della surriferita offerta.

18.6. Feci l’esproprio di tutto ciò che si trova in me


Il dì 1 novembre 1814 la mattina dopo la santa Comunione, per ordine del mio padre mi portai a Santa Maria Maggiore, dove feci l’esproprio di tutto quello che si trova in me, tanto nell’ordine della grazia, quanto nell’ordine della natura: i sentimenti del corpo, gli affetti del cuore, le potenze dell’anima, e tutto quello che si trova in me, tutto, tutto offrii al divin Padre, tutte le sue misericordie, che ha finora usate verso di me, e tutte quelle che si degnerà farmi per il tratto successivo, fino alla mia morte. Così, per compiacere il mio Signore, rinunziai a ogni qualunque vantaggio e onore mi possa avvenire nell’amarlo e servirlo, protestandomi da quell’ora in poi di rendermi incapace di meritare per me stessa, in vigore dell’offerta suddetta, ad onta di ogni qualunque grande opera possa mai fare, per meritoria che ella sia, in tutto il corso della mia vita, ma povera e nuda affatto voglio e desidero comparire avanti al tribunale di Cristo giudice. Rinunciando a tutti i propri vantaggi, per la gloria del medesimo Dio, solo desidero e voglio sia glorificato, non cercando più per me né eterna vita né eterna morte, ma tutta abbandonata alla sua carità, senza altro pensiero che la sua maggior gloria.

Il primo di novembre 1814, la mattina dopo la santa Comunione, per ordine del mio confessore, mi portai a santa Maria Maggiore, dove feci lo sproprio di tutto quello che, per la grazia di Dio, si trova in me, tanto nell’ordine della grazia, quanto nell’ordine della natura, e a vantaggio della nostra Madre, la santa Chiesa, e dei peccatori, e di quelli che non conoscono Dio. Offrii i sentimenti del corpo, gli affetti del cuore, le potenze dell’anima mia e tutte le misericordie che Dio ha usato finora verso di me, e tutte quelle che si degnerà usare verso di me per il tratto successivo, fino alla mia morte, come si è detto nei fogli passati.

Fatta la suddetta protesta, sono restata spogliata affatto di ogni bene. In vigore della rinunzia che ho fatto a Dio, mi sono resa incapace per me stessa di meritare cosa alcuna. Fatta dunque l’offerta, in unione di quella che fece Gesù Signore nostro, per amore del genere umano e per la gloria dell’eterno suo Padre, unii il mio povero sacrificio in unione dei fini nobilissimi che ebbe la sua santissima Umanità nel sacrificarsi sul patibolo della croce a vantaggio di noi, poveri peccatori.

Vedo apparire due Angeli, con due calici in mano, che con profondo rispetto tenevano nei suddetti calici la povera mia offerta, che, in virtù dei meriti di Gesù Cristo, ai quali l’avevo unita, come dissi di sopra, si era cambiata in preziosissime gioie e in prezioso liquore. Questi santi Angeli, pieni di affetto verso la povera anima mia, mi introdussero in luogo vasto e magnifico, era questo luogo ripieno di luce. I santi patriarchi Felice e Giovanni mi si fecero incontro e mi accompagnarono all’augusto trono di Dio. Con somma pompa i santi Angeli presentarono i due calici nelle mani dei santi patriarchi, i santi patriarchi li consegnarono nelle mani di Maria SS., che supplichevole si tratteneva all’augusto trono di Dio. Lei stessa presentò i due calici all’eterno Padre. Che bella comparsa facevano quei calici nelle mani di Maria Vergine santissima molto più belle e piene di splendida luce erano le gioie, ed il liquore tramandava un odore soave. I suddetti calici restarono fissi avanti al trono di Dio.

18.7. Dal suo cuore un raggio di splendidissima luce


Il dì 4 novembre, assistendo alla Messa cantata in San Carlo alle Quattro Fontane, fui sopraffatta da interna quiete, quando mi furono manifestate le ingiurie, gli affronti, gli strapazzi che il nostro Signore Gesù Cristo riceve dai suoi ministri, particolarmente da quelli che amministrano la giustizia, da quelli che governano.

Vidi come questi barbaramente ponevano sotto i loro piedi il crocifisso Signore, come temerariamente laceravano le sue carni verginali, quanti affronti, quante ingiurie, quanti strapazzi! Nel vedere simile nefandità, il mio spirito, pieno di un santo zelo, volevo io stessa precipitare per distruggere gli iniqui persecutori del mio crocifisso Signore. Ero sul punto di gridare giustizia sopra questi miseri, quando mi è apparso il mio caro Gesù, tutto amore verso i miseri persecutori. La sua carità ha comunicato al mio povero cuore amore e carità verso i suddetti.

«Ah, figlia», mi disse il Signore, «chiedi misericordia e non giustizia! Io non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva». Nel dire queste parole, ha tramandato dall’amoroso suo cuore un raggio di splendidissima luce. «Prendi», mi disse l’amantissimo Gesù, «prendi, o mia diletta figlia, nelle tue mani lo splendore della mia misericordia. Distendi sopra questi il forte riparo, per sostenere i fulmini dell’irritata giustizia».

A queste parole, con sommo rispetto e riverenza, ho preso nelle mie mani il raggio di splendidissima luce, che tramandava dal suo SS. Cuore, e unitamente a Gesù Cristo ho disteso questo forte riparo sopra i suddetti. Sono poi ad un tratto passata a vedere la irritata giustizia. Oh, Dio, che terrore, che spavento! Oh come mi pareva che al momento volesse subissarli, ma il forte riparo che aveva posto Gesù Cristo sopra di loro, per mezzo di quella luce, come si è detto di sopra, faceva sì che i fulmini dell’irritata giustizia non fossero atti ad incenerirli; ma se dopo tante misericordie non mutiamo costumi, guai a noi, guai a noi! la misericordia si cambierà in furore.

19 – DOLCE RIPOSO IN DIO


19.1. Chiede per le figlie la grazia della vocazione


Il dì 5 novembre nel salire la Scala Santa, ebbi forte ispirazione di chiedere per le due figlie la grazia della vocazione. Mi raccomandai dunque caldamente al Signore, acciò si fosse degnato di concedermi la grazia per i suoi meriti e per i meriti di Maria SS.

Fatta che ebbi la preghiera, vidi la beatissima Vergine, che pose nei loro cuori due gioie bellissime, queste spero con la grazia di Dio che si dilateranno e si faranno padrone del loro cuore, purché corrispondano con la loro cooperazione, e, se ciò non fosse, guai a loro, guai a loro! un torrente di afflizioni le aspetta, con pericolo della loro eterna salvezza.

19.2. Nella messa liberi dal purgatorio


Il giorno 14 novembre, dopo la santa Comunione, sentendo suonare le campane a morto della chiesa dei Padri Trinitari di San Carlo alle Quattro Fontane, dove io mi trovavo, non sapendo qual fosse il motivo di questo suono funebre, si trovava in questo tempo il mio spirito in sommo raccoglimento, quando mi fu manifestato che suonavano le suddette campane per suffragare le anime dei Padri Trinitari che si trovavano in Purgatorio.

Mi fu manifestato che nel celebrare la Messa cantata i suddetti Padri sarebbero liberi dal Purgatorio. Questa notizia molto consolò il mio spirito, quando da mano invisibile fui trasportata in un certo luogo che io non so manifestare, dove ebbi la bella sorte di vedere queste anime fortunate, che tutte ansiose stavano aspettando il felice momento di potersi unire a quell’immenso bene, che ardentemente bramavano di possedere.

I suddetti Padri non erano che nel numero di tre o cinque, non potevo bene distinguere quanti fossero, per la moltitudine di altre anime, appartenenti a questo sacro Ordine Trinitario, che umilmente si raccomandavano per presto sortire da quelle pene. Le loro premure destarono in me un gran desiderio di liberarle da quelle pene. Mi raccomandai caldamente al Signore, affinché degnato si fosse di consolare tutte le suddette anime.

Il Signore si degnò di esaudire le mie povere preghiere, e mi fece intendere che ascoltata avessi in suffragio di loro la Messa, che unitamente ai Padri Trinitari sarebbero liberate ancora queste anime appartenenti all’Ordine suddetto.

Nell’Introito tutte queste anime mutarono aspetto, da pallide e smorte, da afflitte e dolenti al momento divennero floride e vivaci, tutte assorte in Dio, ansiose stavano aspettando il felice momento di poterlo possedere.

Nel cantare la Dies illa si misero tutte in bell’ordine, nell’Oremus fu data loro una certa disposizione, e divennero chiare come l’ambra, furono purificate nei meriti di Gesù Cristo.

Al Sanctus apparve candida luce, che le rese quanto mai belle. All’Elevazione furono per mano degli Angeli condotte al Cielo. Nel dire Benedictus qui venit furono ricevute dall’eterno Dio e annoverate tra i beati comprensori del Cielo.

19.3. Nell’immensità del sommo Dio


Il 20 novembre 1814, giorno del gran patriarca san Felice di Matha, così la povera Giovanna Felice racconta di sé. Dopo breve offerta e rinnovazione dei voti, si tratteneva il mio spirito nel conoscere il suo nulla; la mia ingratitudine piangevo e con abbondanti lacrime deploravo le mie colpe, quando ad un tratto interna quiete prevenne il mio cuore e al momento dalla grave afflizione passai in una quiete molto perfetta, fui circondata da un bene che mi fece obliviare il male che conoscevo in me. Questo bene donò al mio cuore pace, tranquillità e amore verso quel bene che mi circondava; come il fuoco purifica l’oro, così questa bella luce purificò la povera anima mia. Più non appariva in me macula alcuna, ma investita dal suddetto bene, che non solo mi circondava, ma mi penetrava, mi medesimava in se stesso. Benché mi vedessi sì bella, non per questo dimenticai di essere la creatura più vile che abita la terra; ma piena di ammirazione, rendevo onore e gloria all’eterno Dio, e ne formavo il più alto concetto, ammirando la sua infinita sapienza, che sa trovare la maniera di beneficare gli ingrati.

Piena di ammirazione lodavo l’infinito suo amore, intanto per mezzo di queste cognizioni, si accendeva la volontà di santo amore; e senza avvedermi di essermi tanto inoltrata, mi trovai negli ampi spazi dell’immensità del sommo Dio. Dai santi patriarchi Felice e Giovanni di Matha fui accompagnata in questa immensità, fui intimamente unita, fui intimamente assorbita. Padre mio, non ho termini sufficienti di spiegare in realtà grazia sì grande, solo Dio le può far conoscere, per mezzo di intima illustrazione, quello che io, per la mia insufficienza, non so manifestare.

Il dì 27 novembre 1814 nella santa Comunione fui sopraffatta da interna quiete. Il mio spirito godeva la presenza di Dio, senza vedere, senza operare, ma dolcemente riposavo in Dio, e in profondo silenzio amavo quanto mai creatura intellettuale può amare il suo Creatore. Non ho termini sufficienti per manifestare la profonda estasi, si degnò sollevare il mio povero spirito, quanta cognizione mi donò il mio Dio delle sue divine perfezioni! Oh, come la povera anima mia a queste cognizioni restò assorta in Dio! Oh, come si struggeva di amore verso l’infinito bene, che conosceva in Dio suo Signore! Tutto il resto della giornata fui incapace di altra riflessione. Mi trattenni più o meno immersa in quell’infinito bene, che conosciuto e goduto avevo nella santa Comunione, come si è detto di sopra.

Dal giorno 27 fino al giorno 30 del suddetto mese di novembre, il mio spirito ha sempre goduto una interna quiete, un profondo raccoglimento, perché la mattina nella santa Comunione il mio Dio tornava a sollevare il mio povero spirito. La interna illustrazione mi teneva tutta la giornata sopita in Dio, mio Signore.

Dal giorno 30 novembre 1814 fino al dì 4 dicembre il mio spirito l’ha passato in piangere amaramente le sue colpe, in una maniera tanto viva, che credevo di morire di dolore, al riflesso di avere offeso un Dio tanto buono. Questo dolore era accompagnato da una certa speranza in Dio; questo dolore non riguardava altro che Dio offeso, non i miei vantaggi; mentre mi protestavo, con tutta la sincerità del mio cuore, che più volentieri mi seppellirei all’inferno, piuttosto di vedermi ingrata al mio Dio.

19.4. Un santo pellegrinaggio a Nazaret


Il dì 5 dicembre 1814 mi trattenevo nella chiesa di Sant’Andrea, noviziato dei Padri Gesuiti, con licenza del mio confessore. Per otto giorni mi portai alla suddetta chiesa a fare la santa Comunione, ad onore del glorioso san Francesco Saverio, mio protettore ed avvocato. Il terzo giorno del suddetto ottavario, dopo la santa Comunione, si raccolse il mio spirito intimamente, quando mi apparvero i santi Angeli che sono soliti favorirmi, e mi invitarono a fare con loro un santo pellegrinaggio.

Il mio spirito, riconoscendosi affatto indegno, ricusava la grazia, ma i suddetti santi angeli mi fecero coraggio a sperare nei meriti di Gesù Cristo Signore nostro, le loro parole riempirono il mio cuore di santi affetti, sperando vivamente nei meriti del mio caro Gesù, intrapresi il santo pellegrinaggio. Mi trovai dunque in luogo deserto, scortata dai santi Angeli suddetti, che precedevano il mio cammino. Mi furono in questo luogo donati santi desideri, ma particolarmente mi fu donata una santa umiltà, che mi faceva conoscere il mio nulla. Questa cognizione rendeva un santo raccoglimento al mio povero spirito, questo raccoglimento durò fino al giorno sette del suddetto mese di dicembre.

Il dì 7 dicembre 1814, nella suddetta chiesa, nella santa Comunione mi trattenevo a piangere i miei gravissimi peccati, quando ad un tratto mi sono trovata nel luogo deserto in compagnia dei santi Angeli, come si è detto di sopra. In compagnia dei suddetti ho proseguito il santo pellegrinaggio. Mi hanno condotta in Nazaret, alla piccola casa della gran Madre di Dio.

Ho veduto questa divina Signora con il suo castissimo sposo san Giuseppe. Li vedevo circondati di candida luce, erano ambedue assorti in Dio. Mi degnarono, questi divini personaggi, di farmi baciare i loro piedi santissimi. A grazia così grande il mio spirito provava gli effetti più efficaci di carità, di umiltà, di gratitudine.

Oh, quanto si umiliava il mio povero cuore nel vedermi così favorita da Giuseppe e da Maria. Oh, che dolcezza di spirito nel trovarmi vicino a questi nobilissimi personaggi! Oh, quale amore non mi compartivano! Il loro solo sguardo fu sufficiente per infiammarmi il cuore di santo amore. I santi Angeli condottieri, pieni di ammirazione, lodavano e benedicevano Dio per l’alto favore che mi veniva compartito da questi incliti personaggi. Lodavano la loro santità, si rallegravano con la povera anima mia, dicevano: «Oh, anima fortunata! qual eccellente favore ti viene compartito dalla nostra regina!».

A questi rallegramenti dei santi Angeli, il mio spirito viepiù si umiliava e si confondeva nel suo nulla, conoscendosi affatto indegno di simile favore. Pregavo la divina Signora a volerla annoverare nel numero delle sue serve. Allora la gran Madre di Dio si degnò di abbracciare la povera anima mia, e la annoverò tra le sue predilette figlie. A questo oggetto pose sopra l’anima mia nobile segnale in segno di predilezione.

19.5. L’Immacolata Concezione


Il dì 8 dicembre 1814, nell’assistere alla Messa conventuale alle Sacramentarie, il mio spirito da interna illustrazione ad un tratto ha Dio e in compagnia mi trovai dei miei santi Angeli condottieri. Questi mi invitarono a proseguire il santo pellegrinaggio. Il mio povero spirito ricusò l’invito: «O santi Angeli», così presi a dire, «e come potrò io proseguire il santo pellegrinaggio, se mi conosco affatto indegna per i miei gravi peccati e per la mia cattiva corrispondenza? Dispensatemi, per carità! non posso accettare il vostro invito senza oscurare la gloria del mio Dio!».

Piangendo dirottamente, rinunziavo all’invito dei santi Angeli, per il timore di oscurare la gloria del mio Signore, quando da forza superiore dolcemente mi è stato rapito lo spirito, e sono stata condotta in compagnia dei santi Angeli sopra un alto monte della Galilea, dove mi è stato manifestato l’alto onore dell’Immacolata Concezione di Maria SS. sempre Vergine. Che grande onore apporta a questa divina Madre la sua Immacolata Concezione!

Nel vedere tanta magnificenza, si riempì il mio spirito di gaudio, di contento, di giubilo, di gioia. Di questa sua ricchezza si degnò farne partecipe la povera anima mia, con donarmi semplicità di mente e purità di cuore.

Oh, come restò purificato il mio cuore da questo bene! cosa provai di contento non è possibile poterlo ridire. Dopo di questa purificazione, come dissi di sopra, restò rischiarato l’intelletto, e vidi sopra questo monte cose così grandi, cose così belle che non può la nostra bassa mente comprenderle.

Mi pareva propriamente di stare in paradiso! Padre mio, io non posso dire di più, per essere cosa superiore ad ogni umana intelligenza, è molto più conveniente il silenzio di quello che oscurare con languide immagini la grandezza, la magnificenza, la ricchezza, l’amenità, la giocondità di questo luogo. Non la finirei mai di lodare cosa così immensa. Oh, come la povera anima mia amava ardentemente il suo Dio! si struggeva di amore verso quel bene che mi conteneva.

19.6. Che cosa brutta è il peccato!


Dall’otto dicembre fino all’undici il mio spirito ha goduto una interna quiete, un intimo raccoglimento, una carità molto bene ordinata, che mi faceva amare il bene e detestare il male.

Dall’undici fino al 17 il mio spirito è stato sopraffatto da dolore così eccessivo di avere offeso Dio, che tratto tratto restavo, per l’eccessivo dolore, come tramortita, per la chiara cognizione che Dio si degnava comunicarmi di sé e di me.

Padre mio, oh che cosa brutta è mai il peccato! oh che cosa indegna è l’offendere un Dio di infinita bontà!

A queste cognizioni mi volgevo verso la povera anima mia, rimproverandola, così le dicevo, piena di orrore: «Anima mia, offendesti Dio e potesti? e come ne avesti cuore! Offendesti un Dio di infinita bontà! Ah, creatura ingrata, dimmi qual fu la cagione che tradisti Dio, forse ti mancò di soccorrerti nei tuoi bisogni? Ah, ingratissima peccatrice, confessa a tua maggior confusione l’aiuto speciale che ti prestò nel tempo che vergognosamente lo avevi tradito, e non pensavi che a soddisfare la tua vanità, e scioccamente ti ponevi in gravi pericoli. La sua infinita sapienza si impiegava tutta per trovare maniere prodigiose, perché non conoscessi la malizia del peccato, donando al mio intelletto una prodigiosa semplicità, e così non potevo conoscere la malizia del peccato.

Oh, amor grande, oh amore infinito! Mio Dio, qual confusione è la mia! Ah, potessi disfare quanto feci contro di te, mio sommo amore! Molto più volentieri annienterei me stessa, che soffrire di vedermi ingrata al vostro amore», le suddette espressioni erano accompagnate da abbondanti lacrime, che dalla grazia di Dio mi venivano somministrate. Al riflesso di avere offeso un Dio di infinita bontà, cresceva a dismisura la pena mia. Dal dolore credevo ogni momento di morire, ma benché fosse molto gravosa la pena, l’ambascia del mio cuore, ciò nonostante non avrei ceduto la suddetta pena per qualunque consolazione di spirito, estasi o ratto, perché in questa pena trovavo ogni contento; anzi mi compiacevo di essere dalla contrizione, dal dolore distrutta, per dare una qualche soddisfazione all’amor tradito.

Il dì 18 dicembre 1814, così racconta di sé la povera Giovanna Felice. Nella santa Comunione dalla suddetta afflittiva situazione, il mio Dio si degnò farmi passare in uno stato di pace, di dolcezza, di gaudio; si degnò sollevare il mio povero spirito in un grado di unione così perfetta, che credetti di restare estinta per l’esuberanza degli affetti, e per il gaudio che mi veniva somministrato dall’intima unione di Dio. Io più non mi distinguevo, ma tutta immersa, tutta da Dio ero contenuta, in guisa tale che era divenuta una stessa cosa la povera anima mia con il suo Dio. Non so spiegare di più.

20 – NATALE 1814


20.1. Al sacro presepio


Dal giorno 18 fino al giorno 24 dicembre 1814 il mio spirito l’ha passata in piangere i propri e gli altrui peccati; ma tratto tratto ero sopraffatta dalla carità di Gesù Cristo, che mi faceva languire di amore.

La notte del santissimo Natale, circa le ore sette e mezza italiane, mi portai alla chiesa del Santissimo Bambino Gesù, per assistere alle sacre funzioni di quella benedetta notte. Stetti in orazione circa sei ore e mezza, mi parve questo tempo molto breve. Ecco come passai questo tempo.

Mi prostrai dinanzi al mio Dio, protestando di riconoscermi affatto indegna di trattenermi in compagnia di tante anime a lui fedeli, per poterlo in quella santa notte lodare, benedire, ringraziare in compagnia dei santi e degli Angeli, confessando di essere la creatura più vile che abita la terra, piangendo, parte per la mia ingratitudine, parte per la gioia che sentivo nel mio cuore, alla considerazione del grande amore che ci dimostra Dio in donarci il suo Santissimo Figliolo.

Andava ogni momento più crescendo la gioia del mio cuore, l’intelletto veniva rischiarato da interna luce e lo spirito si andava ingolfando nella penetrazione di questo divino mistero, quando sopraffatto dall’immensità dell’infinito amore di un Dio amante di noi miserabilissime sue creature, si perdeva il mio povero intelletto in questo vasto oceano dell’infinita carità di Dio.

Persi in questo tempo ogni idea sensibile, quando da mano invisibile fui condotta al sacro presepio. Fui condotta sopra un monte, e in certa lontananza vedevo quel piccolo paradiso. Nel vedere il chiarissimo splendore che tramandava quel beato tugurio da ogni intorno, che per essere situato alla falda di un disastroso monte, rendeva luminosa la valle contigua, che ai piedi del monte restava. Ah già il mio cuore era impaziente di potermi là approssimare. Ah, non avrei voluto camminare, ma volare, tanto era il trasporto dell’amore che sentivo verso il nato Signore. Io andavo dicendo tra me: «Voglio morire ai suoi piedi, per il dolore di averlo offeso».

Intanto l’amore disponeva il mio cuore a fare ogni qualunque sacrificio per compiacere il divino infante. Non so ridire di qual grado fosse la fede, la speranza, la carità, l’umiltà, l’obbedienza, la purità, la povertà che mi fu somministrata dallo Spirito del Signore in quei preziosi momenti. Fui trasmutata in guisa tale che io più non conoscevo me stessa, senza esagerazione, il mio povero spirito apprese una idea angelica, che io stessa restavo ammirata, e nell’ammirazione conoscevo il mio nulla, lodavo e benedicevo l’infinita bontà di Dio, dando tutto a lui l’onore e la gloria; e intanto mi andavo avvicinando al beato presepio; vidi quel beato tugurio ripieno di splendidissima luce, molti erano gli adoratori di quel grazioso infante, vedevo nella suddetta valle, contigua al beato presepio, come già dissi, ripiena di luce che tramandava dappertutto l’alta magnificenza del nato Re del cielo, che per amore dell’uomo si degnò nascere in estrema povertà.

20.2. Il Sommo Pontefice piangeva


Vedevo dunque in questo luogo ogni classe di persone, vedevo religiosi di ogni ordine, vedevo sacerdoti, monache e secolari, ma una cosa osservai che nessuna era in corpo, ma i religiosi dei rispettivi ordini adoravano il divin pargoletto tutti dispersi, chi qua, chi là, solo i Padri Gesuiti erano tutti uniti, tutti in corpo adoravano il nato Salvatore, poche monache vedevo, molti religiosi, come già dissi, tutti dispersi, pochi vescovi, nessun cardinale, nessun prelato, poche dame, molte donne devote.

Vedevo il nostro Sommo Pontefice vicino al beato presepio, che piangeva e sospirava, e tramandava dai suoi occhi profluvi di lacrime.

In quel momento ebbi un sentimento interno, e conobbi la cagione del suo pianto. Piangeva, sospirava raccomandava a Gesù Bambino la santa Chiesa; ma non fu accettata la sua preghiera. A questa cognizione, mossa dalla carità, benché mi riconoscessi affatto indegna, ciò nonostante unii le mie povere lacrime e preghiere a quelle del nostro Santo Padre. Pregai caldamente Gesù Bambino acciò si volesse degnare di esaudire il suo Vicario; ma niente si ottenne.

Oh, come è sdegnato Dio con la santa Chiesa e con i suoi ministri! Il divino infante, presa un’aria maestosa e severa, mi fece intendere che la Chiesa è in stato di punizione, e non c’è chi possa rimuoverlo: il decreto è già fatto. Mi fece intendere che avessi cessato di pregare per la suddetta, se non volevo disgustarlo. Mi diceva quel caro Bambino: «Cessa di pregare, o mia diletta figlia; solo abbi a cuore il mio onore e la mia gloria».

A questa cognizione intellettuale il mio povero spirito cessò di pregare. Allora il divino infante, presa un’aria piacevole e tutto amore a me rivolto, mi disse che avessi pur chiesto quello che volevo. La povera anima mia, piena di confusione per vedermi senza alcun merito tanto favorita da questo amoroso Signore, mi misi a piangere, e non ardivo parlare, ma umiliandomi gli chiedevo perdono, ma il divin pargoletto mi obbligò a palesare i miei desideri, la sua piacevolezza mi dette coraggio, e così presi a parlare: «Ah, Gesù mio, la grazia che io desidero, voi la sapete! Voglio corrispondere alla vostra grazia. Ah, Gesù mio, fatemi morire, o fatemi la grazia di corrispondere. Mi è di troppa pena di non corrispondere. Io non voglio più essere ingrata al vostro amore. Fatemi morire, o datemi la corrispondenza; e se non basta la morte, mandatemi all’inferno! Se ho da proseguire ad essere ingrata al vostro amore».

Nel fare simili espressioni, il mio spirito si accendeva di amore verso Dio, tanto eccessivo era l’amore che più non potevo contenerlo.

Padre mio, io non so ridire i mirabili effetti che cagionò in me questo eccessivo amore. L’amore mi portava rapidamente a Dio, e Dio si degnava formare in me le sue più alte compiacenze. In questo felice momento mi promise la grazia della corrispondenza. Oh, come il mio cuore esultò a questa promessa. Andava la povera anima mia ripetendo tra sé, piena di gaudio: «Dunque, Gesù mio, sicuramente corrisponderò alle vostre misericordie! voi me lo avete promesso, ne avete impegnata la vostra parola! Dunque è certo, anima mia, rallegrati, che arriverai ad amare un Dio di infinita maestà. Mio Dio, qual consolazione è la mia! ah, lasciate che fin da questo momento io vi ami una volta davvero!».

20.3. Le voglio tutte salve!


Nel fare queste espressioni, il mio Dio, pieno di compiacenza verso di me, mi degnò di unirmi a lui intimamente. Passati brevi momenti in questa felice unione, le mie potenze ritornarono ad agire, e nel vedermi tanto beneficata senza alcun merito, trovavo il mio Dio propenso a concedermi quanto volevo. Gli raccomandai tutte le persone che si erano raccomandate alle mie povere orazioni, ma particolarmente raccomandai caldamente tutte le persone che mi beneficano. Ho raccomandato tutte le persone che sono a me unite in spirito, come è noto a vostra paternità, delle quali vostra paternità gode il primo posto, tanto riguardo alle persone che mi beneficano, quanto a quelle che sono a me unite, piena di fiducia manifestai al mio Signore i miei caritatevoli desideri verso di questi.

«Ah, Gesù mio, giacché la vostra grazia mi sollecita a chiedervi liberamente quello che voglio, vi chiedo in grazia che tutti quelli che mi beneficano e tutte quelle persone che sono a me unite in spirito, siano tutte salve. Sì, Gesù, vi chiedo questa grazia, non me la negate; giacché voi mi date questo buon desiderio e questa gran carità verso queste anime, che per ottenere a tutte la grazia di lodarvi e benedirvi per tutta l’interminabile eternità, mi fate desiderare di dare per queste il sangue e la vita, non posso dubitare che siate per concedermi la grazia; Gesù mio caro, riguardate tutte queste anime come vi degnate riguardare con amore parziale la povera anima mia, che senza alcun merito tanto l’amate; Gesù mio, queste anime sono unite a me con vincolo di carità, a me appartengono, le voglio tutte salve. Non partirò dai vostri santissimi piedi fintanto che non abbia ottenuto da voi la grazia».

Con mia somma confusione proseguo, per non mancare all’obbedienza, e per non andare soggetta alla penitenza tremenda che mi tiene preparata vostra paternità, se occulto le misericordie che Dio si degna di farmi, per sua infinita bontà. Proseguo dunque con somma pena, alla maggior gloria di quel Dio che mi è presente. Fatta la preghiera, fu sollevato in un baleno il mio spirito, e condotta da Dio medesimo fui inoltrata negli ampli spazi della divinità. In questo immenso luogo, mi fu compartito un merito molto grande dalla Triade Sacrosanta. La potenza del divin Padre mi compartì l’attività di ottenere la grazia, la sapienza del divin Figlio mi donò l’efficacia della preghiera, l’infinita bontà del divino Spirito si fece mediatore, col compiacersi di esaudirmi per puro amore, senza cercare il demerito mio, e in questa guisa ottenni la suddetta grazia, non solo per quelle anime che mi hanno fino ad ora beneficato, ma ancora per tutte quelle persone che mi beneficheranno per il tratto successivo, saranno tutte salve quelle anime che sono e che saranno per essere a me unite in spirito, come è noto a vostra paternità, saranno tutte salve quelle anime che per qualche titolo o di amicizia caritatevole o di soggezione volontaria, o di unione a seconda di quello che Dio vuole da me, povera e misera peccatrice, l’infinita bontà di Dio me lo promise, ne impegnò la sua parola, e se per disgrazia vi fosse tra queste qualche anima che per la sua cattiva volontà abbia mai da essere riprovata, spero certo che volontariamente si separerà da noi. Ma tutte quelle anime che hanno la buona volontà di piacere a Dio siano pur di buon animo, mentre l’infinita bontà di Dio ne impegnò la sua parola, saranno tutte salve.

Di qual contento mi fu l’avere ottenuta la suddetta grazia, quali e quante furono le grazie che la povera anima mia, annientata in se stessa, rese all’infinita bontà di Dio, non è spiegabile. Oh, che prodigio è mai questo! ottener senza merito grazie da voi, sommo mio amore, non ho termini di lodare la vostra bontà.

20.4. Un demonio di nome Gunone


Proseguo quello che ho tralasciato della notte del santo Natale, non solo entrai in quel beato tugurio ad adorare il divino infante, ma quel caro bambinello a sé mi chiamò, e, distese le piccole sue mani, mi degnò di un tenero abbraccio, e nell’abbracciarmi, mi donò una piccola croce: «Prendi», mi disse, «prendi, o mia diletta, questa piccola croce ti renderà certa la grazia da me ricevuta!».

Tre giorni dopo il santo Natale, mi ha preso a perseguitare un certo demonio tanto maligno, chiamato per nome Gunone. Questo non mi fa trovare pace né notte né giorno. Per particolare ispirazione di Dio, con la licenza del mio direttore, ho aggiunto ai voti di castità, povertà, obbedienza, il voto del più perfetto e il proposito di umiltà, come a suo luogo si dirà, ho aggiunto altri cinque propositi. E sono: di esercitarmi quotidianamente nelle sante virtù di mansuetudine, pazienza, mortificazione, silenzio, raccoglimento. Questo maligno demonio, chiamato Gunone, non vuole che mi eserciti in queste sante virtù. Si affatica tuttora di farmi credere che questi miei propositi formeranno il processo della mia condannazione. Mi va dicendo che è somma pazzia farmi rea di quello che a nessun conto lo sarei, e così, in vigore dei propositi fatti, mi faccio rea di gravi colpe, e così invece di fare del bene, faccio del male.

Le parole di costui mi danno a credere che realmente sia così; il mio spirito si affligge, perché nel tempo che si affatica per piacere a Dio, il demonio Gunone mi fa rea davanti al cospetto di Dio, mi parla con tanta eleganza che mi confonde. In questi casi, la povera anima mia ricorre con lacrime e con sospiri al suo Signore, perché si degni illuminare la mia mente, e senza proferire parola a quanto il maligno insidiatore mi va dicendo, con la grazia di Dio, mi armo di pazienza, e soffro tutti quegli insulti che mi va facendo il maligno tentatore di notte e di giorno. A tutte le ore mi si aggira intorno per inquietarmi e frastornarmi, ormai non posso più né mangiare né dormire, né orare, tanto è gravosa la sua persecuzione. Mi fa credere con prove evidentissime che tutte le mie operazioni dispiacciono a Dio; quando pranzo mi si mette in contro in qualche distanza e mi va dicendo: «Tu sei quella che hai promesso di essere mortificata? Oh, bella mortificazione di stare a tavola apparecchiata!».

Beffandomi e deridendomi mi dice: «Ci vuole altro che minestra, pane muffo e radiche di erbe!». Nel sentirmi rimproverare la mia troppa delicatezza, mi pare che dica bene, e non ho più coraggio di mangiare, così passo il pranzo. Tutto il giorno poi mi sta presente per criticare tutte le mie azioni, mi dice: «E lascia andare tanta sottigliezza! vivi alla buona! lascia andare i propositi, che questi ti sono di troppo aggravio!».

Se faccio orazione, mi fa tanti versi con la testa e con le mani, che mi fa girare la testa. Alle volte, quando mi trattengo ad orare, dalla bocca tramanda tanto fumo, che pare una folta nebbia, questo denso fumo mi toglie il lume all’intelletto, la mente resta oscurata dal gran fumo, confusa resta la volontà dalle tante diverse ciarle di questo astuto demonio, che pretende di confondere la povera anima mia, in guisa tale che non sappia distinguere il male dal bene.

Quando vado a riposare mi dice: «Oh, bella mortificazione! ti pare piccolo delitto il tuo, riposare in morbido letto? La nuda terra, lo stagno gelato, questa si chiama mortificazione! Perché non prendi riposo sopra la nuda terra?».

A queste sue parole il mio spirito resta sospeso, e dubita se possa, senza offesa di Dio, andare a riposare. Senza dilungarmi di più, in tutte le mie azioni dubito di offendere Dio, cosicché sono in uno stato di somma afflizione.

21 – LA PERSECUZIONE CONTRO LA CHIESA


21.1. I santi Re Magi


Il dì 6 gennaio 1815 la mattina dell’Epifania del Signore, con mia fatica e stento mi portai in San Carlo alle Quattro Fontane, per aver passato tutta la notte combattendo con il nemico tentatore, senza poter riposare. Mi porto dunque alla suddetta chiesa, dopo fatta una breve ma dolorosa confessione, vado tutta fede a ricevere Gesù sacramentato. Al momento ricevuto, sperimento una totale innovazione di spirito; mi trovai affatto libera dal persecutore Gunone, ma tutta assorta in Dio era la povera anima mia, quando mi si fecero presenti i santi Re magi. Questi cortesemente mi offrirono la loro valevole protezione. Questi nobilissimi personaggi mi dissero, pieni di affetto: «Noi siamo commessi dall’infinita bontà di Dio alla tua custodia. Noi ti aiuteremo in tutti i tuoi bisogni spirituali e temporali. Invoca i nostri nomi, e ne proverai i buoni effetti!».

Le loro amorose esibizioni molto umiliarono il mio spirito; riconoscendo me stessa, detti in dirotto pianto, ringraziando il mio Signore dell’alto favore compartitomi per mezzo dei santi Re magi. In questo tempo, sento percuotermi fortemente una spalla, alla percossa mi desto, mi sento suggerire alla mente, che parta subito da quella chiesa e vada in altra, che avrei trovato la Messa. Non mi volevo muovere, per non perdere la bella compagnia dei santi Re. «Non dubitare», mi sento dire, «questi ti verranno sicuramente appresso!».

Io scioccamente credetti a quanto esteriormente avevo inteso dirmi; mi parto e vado alla chiesa delle Sacramentarie, trovai la Messa già molto avanzata, il fatto si è che perdetti tutto il bene che godevo, e pieno di tristezza restò il mio spirito, quando mi apparve il maligno Gunone, ridendo smoderatamente, mi domandava dove erano andati i Re, insultandomi, derideva la mia sciocchezza nell’aver creduto alle sue parole; mi diceva: «Non ti sono venuti appresso i Re? Oh, sciocca che sei, a dare mente alla tua immaginazione! Non credere ad altro che quello che cade sotto i tuoi sensi, il resto lascialo andare, che sono tutte favole! Oh, quanto sono diverse le cose da quello che credi!».

Quanto grande fu la mia afflizione, nell’aver lasciato sì cara compagnia, non posso esprimerlo. Passai tutto il giorno soffrendo molti insulti dal nemico tentatore.

Il mio padre spirituale, nel conoscere che era troppo gravosa la persecuzione di questo maligno demonio, mi disse che avessi, in nome di Gesù Cristo, comandato al demonio di lasciarmi in pace.

Fatto che ebbi il comando, costui, tutto rabuffato, si ritirò in un cantone della camera, dicendo delle ingiurie contro il mio padre spirituale. Così restai in pace per due giorni; ma il terzo giorno, circa l’Ave Maria, mi trattenevo ad orare, quando mi si presenta altro demonio, sotto la figura di uomo, nano, così brutto che mi faceva terrore, le sue parole erano piene di superbia e di arroganza, mi diceva che dalla sua forza resterei sicuramente vinta; mi faceva molta paura il suo ardito parlare. Erano passati già tre giorni che questo brutto nano mi perseguitava, quando la quarta sera, mentre mi trattenevo in orazione, costui arditamente mi si mise sopra le spalle, per esser di piccola statura nana, molto bene si collocò sopra le mie spalle, ma con somma mia pena, per essere il suo corpo di un peso disorbitante. Il suo ardire servì al mio spirito di somma mortificazione, parte per il timore che avevo di ricevere qualche affronto maggiore, parte per il grave peso che aggravava il mio afflitto corpo. Il timore rese immobile il mio corpo, e con calde lacrime ricorrevo al mio Signore, pregandolo di non permettere a quel demonio di farmi maggiore insulto. Il Signore si degnò somministrarmi una invitta pazienza per soffrire la grave pena che mi cagionava. Il suddetto demonio si trattenne circa tre quarti d’ora sopra le mie spalle.

Il giorno 10 gennaio 1815 nella santa Comunione mi porto in chiesa con fatica e stento, per essere il mio corpo molto abbattuto e addolorato, ma il mio spirito godeva una interna quiete; quando fui vicino al sacro altare, il mio intelletto fu rischiarato da interna luce, per mezzo della quale conoscevo me stessa, e piena di confusione si umiliava lo spirito, e domandavo mille volte perdono all’offeso Signore.

Si tratteneva la povera anima mia piangendo amaramente le sue colpe, quando improvvisamente sono stata obbligata dallo Spirito del Signore a sollevare la mia mente e andare a Dio. Mi è stata somministrata attività sufficiente per andare liberamente a lui, mi sentivo dolcemente tirare dall’infinita bontà di Dio. Nel sollevarsi lo spirito mi si sono fatti presenti i santi Re magi, unitamente ai tre santi Angeli, che sono soliti favorirmi. Mi hanno degnato della loro compagnia, mi hanno introdotto in luogo molto insigne, dove sono stata favorita da Dio in maniera molto particolare.

Padre mio, non so dir di più. Sono stata liberata dalle persecuzioni del demonio, il mio spirito ha mutato situazione, per avermi Dio donato un grado maggiore di perfezione.

Questa grazia la devo alla valevole protezione dei santi Re magi; di questa grazia tuttora ne provo i buoni effetti, potendomi più facilmente esercitare nelle sante virtù, certe particolari inclinazioni viziose sono in me quasi estinte, e così posso più facilmente slanciarmi verso il sommo bene, che a tutte le ore mi è presente. Oh, come l’anima mia desidera possederlo eternamente!

21.2. La gloria del martirio


Il giorno 11 gennaio 1815 la mattina, nelle tre ore di orazione che soglio fare subito levata, passai circa un’ora e mezza senza poter raccogliere lo spirito. Finalmente ad un tratto fui sopraffatta da interna quiete, fu al momento trasportato il mio spirito in luogo ameno e magnifico. Trovai questo luogo ripieno di splendida luce, mi intesi rapire lo spirito, penetro dunque la luce, mi inoltro, e mi fu manifestata in questo luogo la gloria grande che gode un religioso spagnolo, fratello del mio confessore, morto fucilato per sostenere i diritti della Chiesa cattolica.

Il mio confessore mi aveva detto di fare alla suddetta anima qualche suffragio. Quando lo vidi apparire, cinto di luce risplendente assai più del sole, con ricca palma in mano, corteggiato da molti angeli e dai suoi confratelli religiosi, lo vidi occupare un posto bene alto, vicino all’augusto trono di Dio.

Oh quanto mai mi rallegrò il mio spirito nel vedere anima tanto gloriosa, mi congratulai con lui per vederlo tanto glorioso. Allora mi pregò di unire i miei ringraziamenti ai suoi, per rendere così grazie a Dio per averlo sublimato a gloria sì grande.

Mi fu mostrato ancora il posto che Dio tiene preparato a un certo religioso a me cognito, e questo mi fu mostrato dal santo martire religioso suddetto. Mi dette a conoscere ancora quanto grande era il suo desiderio di vedere occupato quel nobile posto dal religioso suddetto a me cognito.

La povera anima mia fu sopraffatta dalla gioia e dal gaudio, per la compiacenza che prese il mio spirito nel conoscere quanto è propenso Dio nell’amare l’accennato religioso.

21.3. Viva presenza di Dio


Il giorno 13 gennaio 1815, giorno di venerdì, così racconta Giovanna Felice: Molto grande fu l’interno raccoglimento che mi donò il mio Signore, fin dalla prima orazione, che sono solita fare la mattina subito levata. Questo raccoglimento era unito a una viva presenza di Dio, per mezzo della quale la povera anima mia si umiliava profondamente, e il Signore mi donava una fiducia veramente filiale.

Oh, come per mezzo di queste due virtù, la povera anima mia si avvicinava al suo Dio! Oh, come leggiadramente andava appresso al suo amoroso Signore, che dolcemente la tirava per parte di interna compiacenza! Con sommo silenzio andava appresso a lui, non altro cercando che compiacerlo.

Nella santa Comunione molto si aumentò il suddetto raccoglimento. Dopo essermi trattenuta qualche tempo dopo la santa Comunione, mi partii dalla chiesa e mi portai alla mia casa, procurando di scuotermi alla meglio, per dare di mano alle faccende domestiche; ma invano fu ogni mio studio per riscuotere il mio spirito; anzi ogni momento più si sopiva, di maniera tale che fui obbligata a lasciare le faccende domestiche.

Mi ritirai nella mia camera, mi misi in ginocchioni, posta che fui in orazioni, il mio spirito fu trasportato sul monte Calvario, dove vidi la spietata crocifissione del nostro Signore Gesù Cristo. A questa vista così compassionevole fui sopraffatta da compassione tanto viva che l’amore mi rendeva partecipe della pena che soffriva l’amato Signore. Un torrente di dolorose lacrime inondarono il mio povero e afflitto cuore; dalla pena, dal dolore venne meno il mio corpo e cadde sul suolo. Stetti in questa situazione dalle ore 18 fino alle ore 24.

Il dì 20 gennaio, giorno di venerdì, mi accadde lo stesso fatto, come il giorno 13 surriferito.

21.4. «È infinito l’amore che ti porto!»


Il dì 21 gennaio 1815 così la povera Giovanna Felice: subito levata sono stata favorita da particolare illustrazione. Questa illustrazione mi mostrava quale e quanto sia l’amore che Dio porta alla povera anima mia. A questa cognizione sentivo accendermi di amore verso l’infinita bontà di Dio. Intanto andava crescendo la cognizione, e il mio spirito andava inoltrandosi viepiù. Oh, come si struggeva di amore verso l’eterno, l’infinito, l’amante Signore!

Nella santa Comunione, da questa vasta cognizione sono passata ad un intimo raccoglimento, senza però perdere la vista intellettuale dell’eterno bene, anzi più chiaramente lo scolpiva, ma l’anima mia andava appresso a Dio con sommo silenzio, solo compiacendosi di compiacere l’oggetto amato, che dolcemente mi tirava col manifestarmi occultamente le sue nobilissime perfezioni. Il perfetto silenzio era di tratto in tratto interrotto dalla sua voce divina, che pronunciando amorosi accenti verso la povera anima mia, l’andava inebriando di amore: «Figlia», diceva, «diletta mia, ti ho creato per beneficarti!».

A queste parole la degnava di tenero amplesso. L’anima mia restava immersa in Dio. Dopo pochi momenti tornava nuovamente Dio a compiacersi: «Amica mia», diceva, «è infinito l’amore che ti porto!». Nuovamente si degnava di abbracciare la povera anima mia. Tornò per la terza volta a compiacersi con maggior gagliardia, che credetti veramente di restare estinta: «Sposa mia», diceva, «oggetto delle mie compiacenze!».

Le sue parole erano per me tanti dardi che incendiavano il mio povero cuore. Mio Dio! e come potrò io manifestare grazia sì grande? Padre mio, giunsi in quei felici momenti ad amare Dio quanto si può amare da anima viatrice. Fu tale e tanta la speciale impressione che l’anima mia ricevette da questo favore, che le compartì Dio per pura sua misericordia, che dal giorno 21 fino al giorno 25 ho sperimentato i buoni effetti della suddetta grazia, con l’essere più o meno sempre assorta in Dio.

21.5. I Gesuiti in difesa della Chiesa


Il dì 26 gennaio 1815 Giovanna Felice nella santa Comunione dai santi Angeli, che sono soliti favorirmi, fui condotta in luogo sotterraneo, dove per mezzo di torce accese, che portavano nelle loro mani, potei scolpire l’occulta persecuzione che si fa a Dio da tanti ecclesiastici, che sotto manto di bene, perseguitano Gesù crocifisso e il suo santo Evangelo. Li vedevo dunque come lupi arrabbiati, che macchinavano di balzare il capo della Chiesa dal suo trono, cercavano in ogni modo di atterrare la Chiesa cattolica; ma, come piacque a Dio, per la valevole intercessione del patriarca sant’Ignazio, vedevo dalla nobilissima Compagnia di Gesù sorgere una gran personaggio, ricco di virtù e di dottrina, molto insigne, dotato di celeste eloquenza, che sosteneva le ragioni della Chiesa cattolica, unitamente agli altri suoi compagni, molti dei quali donavano il sangue per Gesù Cristo.

A queste cognizioni la povera anima mia porgeva infocate preghiere all’Altissimo, perché si fosse degnato di liberare la nostra Madre, la santa Chiesa, da persecuzione tanto funesta. Quando in un baleno sono stata trasportata a vedere il crudo scempio che è per fare la giustizia di Dio di questi miseri; con sommo mio terrore vedevo da ogni intorno balenare i fulmini dell’irritata giustizia.

Intanto vedevo rovinare i palazzi, le città, le intere provincie, tutto il mondo era in scompiglio; non altro si udiva che flebili voci, che imploravano la misericordia: il numero dei morti era incalcolabile. Fu tale e tanto lo spavento e il timore, che perdetti ogni uso di ragione, e, annientata in me stessa, credetti di restare estinta, per il grande orrore che ebbe il mio spirito restò tutto il giorno affatto stordito dallo spavento, il corpo restò gelato, come un marmo, quasi privo di ogni sensazione. Raccomandiamoci caldamente al Signore, acciò si degni placare la sua divina giustizia, per i meriti di Maria santissima, Vergine e Madre.

21.6. Vedevo Dio sdegnato


Proseguo quello che ho tralasciato del giorno 26 gennaio; fino dal giorno 25, fui invitata dai suddetti angeli, ma un certo incognito timore mi arrestò, e non potei proseguire il viaggio; mi mancò il coraggio di inoltrarmi in quel tenebroso luogo; ma il giorno 26, come già dissi, fui per comando di Dio obbligata ad inoltrarmi.

Dirò ancora qual fu la cagione del mio gran spavento, che ho nei passati fogli occultato, non fu il vedere tanta rovina, ma bensì il vedere Dio sdegnato. Ecco come fu.

Una forza imponente in un baleno mi condusse in luogo altissimo, solitario, dove mi si fece vedere Dio sotto l’immagine di forte gigante adirato al sommo, contro quelli che lo perseguitano. Le sue mani onnipotenti erano piene di fulmini, il suo volto era ripieno di sdegno: la sola sua vista bastava ad incenerire l’intero mondo. Non vi erano né Angeli né santi che lo circondassero, ma solo il suo sdegno lo circondava da ogni intorno.

Che terrore, che spavento! questa vista durò un sol momento, ma se altro momento fosse durata, io sicuramente sarei morta. Se un solo momento mi ha cagionato tanto male, che ormai sono sei giorni adesso che scrivo e ancora soffro cagionevole il mio corpo, le potenze dell’anima mia sono ancora istupidite per lo spavento che mi cagionò vista sì spaventosa. Ah, mio Dio, non sia mai più che vi abbia a vedere così sdegnato, per i meriti di Gesù, vostro Figliolo, e per i meriti della sua SS. Madre, placate il vostro sdegno, perdonateci, per carità!


ADOPERATEVI PER GUADAGNARE IL MAGGIOR NUMERO DI ANIME PC–87 6 dicembre 1996

Catalina Rivas

 (dopo la Santa Messa)

Il Signore

Mia piccola, Mi sento molto triste per le offese che Mi procura il mondo, ma nello stesso tempo, con il vostro fervore, voi riparate tante ferite che oltraggiano il Mio Cuore Eucaristico. Voglio che tu dica ai Miei figli che, effettivamente, non rimane quasi più tempo. In questo momento è più importante cercare di guadagnare il più gran numero di anime, piuttosto che vivere rinchiusi in una Comunità. Non voglio dire che sono contrario al vostro progetto di vivere in Comunità; preparatele secondo le vostre possibilità, ma sempre che questo progetto non vi richieda dei grandi sacrifici economici. Non potrete iniziare prima di un anno, ed è più urgente in questo momento, evangelizzare. Dovrete prepararvi e preparare la gente per la riuscita del Congresso Eucaristico Mariano. Ho bisogno di tutti i Miei figli qui, poiché dal successo del Congresso dipende il trionfo del Mio Cuore Eucaristico con la conversione di molti figli. Grazie, piccola, per il rinnovo dell’offerta della tua vita. Apprezzo talmente tanto la tua generosità!...
Presto, dovrete lasciare le vostre attuali attività per dedicarvi solo alla Mia causa, ma non disperdete i vostri sforzi, per favore... Ti amo!...