Sotto il Tuo Manto

Martedi, 10 giugno 2025 - Santa Faustina di Cizico (Letture di oggi)

Considerate attentamente quanti tormenti ha sofferto nostro Signore, e sappiate che li ha sofferti per guadagnare il vostro cuore e il vostro amore. (San Francesco di Sales)

Liturgia delle Ore - Letture

Venerdi della 1° settimana del tempo ordinario (Sant'Antonio Abate)

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Marco 15

1Al mattino i sommi sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo condussero e lo consegnarono a Pilato.2Allora Pilato prese a interrogarlo: "Sei tu il re dei Giudei?". Ed egli rispose: "Tu lo dici".3I sommi sacerdoti frattanto gli muovevano molte accuse.4Pilato lo interrogò di nuovo: "Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!".5Ma Gesù non rispose più nulla, sicché Pilato ne restò meravigliato.
6Per la festa egli era solito rilasciare un carcerato a loro richiesta.7Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio.8La folla, accorsa, cominciò a chiedere ciò che sempre egli le concedeva.9Allora Pilato rispose loro: "Volete che vi rilasci il re dei Giudei?".10Sapeva infatti che i sommi sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia.11Ma i sommi sacerdoti sobillarono la folla perché egli rilasciasse loro piuttosto Barabba.12Pilato replicò: "Che farò dunque di quello che voi chiamate il re dei Giudei?".13Ed essi di nuovo gridarono: "Crocifiggilo!".14Ma Pilato diceva loro: "Che male ha fatto?". Allora essi gridarono più forte: "Crocifiggilo!".15E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.

16Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la coorte.17Lo rivestirono di porpora e, dopo aver intrecciato una corona di spine, gliela misero sul capo.18Cominciarono poi a salutarlo: "Salve, re dei Giudei!".19E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano a lui.20Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.

21Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce.22Condussero dunque Gesù al luogo del Gòlgota, che significa luogo del cranio,23e gli offrirono vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.

24Poi lo crocifissero 'e si divisero le' sue 'vesti, tirando a sorte su di esse' quello che ciascuno dovesse prendere.25Erano le nove del mattino quando lo crocifissero.26E l'iscrizione con il motivo della condanna diceva: 'Il re dei Giudei'.27Con lui crocifissero anche due ladroni, uno alla sua destra e uno alla sinistra.28.

29I passanti lo insultavano e, 'scuotendo il capo', esclamavano: "Ehi, tu che distruggi il tempio e lo riedifichi in tre giorni,30salva te stesso scendendo dalla croce!".31Ugualmente anche i sommi sacerdoti con gli scribi, facendosi beffe di lui, dicevano: "Ha salvato altri, non può salvare se stesso!32Il Cristo, il re d'Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo". E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.

33Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio.34Alle tre Gesù gridò con voce forte: 'Eloì, Eloì, lemà sabactàni?', che significa: 'Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?'35Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: "Ecco, chiama Elia!".36Uno corse a inzuppare di 'aceto' una spugna e, postala su una canna, gli 'dava da bere', dicendo: "Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce".37Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
38Il velo del tempio si squarciò in due, dall'alto in basso.
39Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!".

40C'erano anche alcune donne, che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di ioses, e Salome,41che lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.

42Sopraggiunta ormai la sera, poiché era la Parascève, cioè la vigilia del sabato,43Giuseppe d'Arimatéa, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù.44Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse morto da tempo.45Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe.46Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l'entrata del sepolcro.47Intanto Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano ad osservare dove veniva deposto.


Levitico 18

1Il Signore disse ancora a Mosè:2"Parla agli Israeliti e riferisci loro. Io sono il Signore, vostro Dio.3Non farete come si fa nel paese d'Egitto dove avete abitato, né farete come si fa nel paese di Canaan dove io vi conduco, né imiterete i loro costumi.4Metterete in pratica le mie prescrizioni e osserverete le mie leggi, seguendole. Io sono il Signore, vostro Dio.5Osserverete dunque le mie leggi e le mie prescrizioni, mediante le quali, chiunque le metterà in pratica, vivrà. Io sono il Signore.
6Nessuno si accosterà a una sua consanguinea, per avere rapporti con lei. Io sono il Signore.
7Non recherai oltraggio a tuo padre avendo rapporti con tua madre: è tua madre; non scoprirai la sua nudità.8Non scoprirai la nudità della tua matrigna; è la nudità di tuo padre.9Non scoprirai la nudità di tua sorella, figlia di tuo padre o figlia di tua madre, sia nata in casa o fuori.10Non scoprirai la nudità della figlia di tuo figlio o della figlia di tua figlia, perché è la tua propria nudità.11Non scoprirai la nudità della figlia della tua matrigna, generata nella tua casa: è tua sorella.12Non scoprirai la nudità della sorella di tuo padre; è carne di tuo padre.13Non scoprirai la nudità della sorella di tua madre, perché è carne di tua madre.14Non scoprirai la nudità del fratello di tuo padre, cioè non ti accosterai alla sua moglie: è tua zia.15Non scoprirai la nudità di tua nuora: è la moglie di tuo figlio; non scoprirai la sua nudità.16Non scoprirai la nudità di tua cognata: è la nudità di tuo fratello.
17Non scoprirai la nudità di una donna e di sua figlia; né prenderai la figlia di suo figlio, né la figlia di sua figlia per scoprirne la nudità: sono parenti carnali: è un'infamia.18E quanto alla moglie, non prenderai inoltre la sorella di lei, per farne una rivale, mentre tua moglie è in vita.
19Non ti accosterai a donna per scoprire la sua nudità durante l'immondezza mestruale.
20Non peccherai con la moglie del tuo prossimo per contaminarti con lei.
21Non lascerai passare alcuno dei tuoi figli a Moloch e non profanerai il nome del tuo Dio. Io sono il Signore.
22Non avrai con maschio relazioni come si hanno con donna: è abominio.23Non ti abbrutirai con alcuna bestia per contaminarti con essa; la donna non si abbrutirà con una bestia; è una perversione.
24Non vi contaminate con nessuna di tali nefandezze; poiché con tutte queste cose si sono contaminate le nazioni che io sto per scacciare davanti a voi.25Il paese ne è stato contaminato; per questo ho punito la sua iniquità e il paese ha vomitato i suoi abitanti.26Voi dunque osserverete le mie leggi e le mie prescrizioni e non commetterete nessuna di queste pratiche abominevoli: né colui che è nativo del paese, né il forestiero in mezzo a voi.27Poiché tutte queste cose abominevoli le ha commesse la gente che vi era prima di voi e il paese ne è stato contaminato.28Badate che, contaminandolo, il paese non vomiti anche voi, come ha vomitato la gente che vi abitava prima di voi.29Perché quanti commetteranno qualcuna di queste pratiche abominevoli saranno eliminati dal loro popolo.30Osserverete dunque i miei ordini e non imiterete nessuno di quei costumi abominevoli che sono stati praticati prima di voi, né vi contaminerete con essi. Io sono il Signore, il Dio vostro".


Proverbi 6

1Figlio mio, se hai garantito per il tuo prossimo,
se hai dato la tua mano per un estraneo,
2se ti sei legato con le parole delle tue labbra
e ti sei lasciato prendere dalle parole della tua bocca,
3figlio mio, fa' così per liberartene:
poiché sei caduto nelle mani del tuo prossimo,
va', gèttati ai suoi piedi, importuna il tuo prossimo;
4non concedere sonno ai tuoi occhi
né riposo alle tue palpebre,
5lìberatene come la gazzella dal laccio,
come un uccello dalle mani del cacciatore.

6Va' dalla formica, o pigro,
guarda le sue abitudini e diventa saggio.
7Essa non ha né capo,
né sorvegliante, né padrone,
8eppure d'estate si provvede il vitto,
al tempo della mietitura accumula il cibo.
9Fino a quando, pigro, te ne starai a dormire?
Quando ti scuoterai dal sonno?
10Un po' dormire, un po' sonnecchiare,
un po' incrociare le braccia per riposare
11e intanto giunge a te la miseria, come un vagabondo,
e l'indigenza, come un mendicante.

12Il perverso, uomo iniquo,
va con la bocca distorta,
13ammicca con gli occhi, stropiccia i piedi
e fa cenni con le dita.
14Cova propositi malvagi nel cuore,
in ogni tempo suscita liti.
15Per questo improvvisa verrà la sua rovina,
in un attimo crollerà senza rimedio.

16Sei cose odia il Signore,
anzi sette gli sono in abominio:
17occhi alteri, lingua bugiarda,
mani che versano sangue innocente,
18cuore che trama iniqui progetti,
piedi che corrono rapidi verso il male,
19falso testimone che diffonde menzogne
e chi provoca litigi tra fratelli.

20Figlio mio, osserva il comando di tuo padre,
non disprezzare l'insegnamento di tua madre.
21Fissali sempre nel tuo cuore,
appendili al collo.
22Quando cammini ti guideranno,
quando riposi veglieranno su di te,
quando ti desti ti parleranno;
23poiché il comando è una lampada e l'insegnamento una luce
e un sentiero di vita le correzioni della disciplina,
24per preservarti dalla donna altrui,
dalle lusinghe di una straniera.
25Non desiderare in cuor tuo la sua bellezza;
non lasciarti adescare dai suoi sguardi,
26perché, se la prostituta cerca un pezzo di pane,
la maritata mira a una vita preziosa.
27Si può portare il fuoco sul petto
senza bruciarsi le vesti
28o camminare sulla brace
senza scottarsi i piedi?
29Così chi si accosta alla donna altrui,
chi la tocca, non resterà impunito.
30Non si disapprova un ladro, se ruba
per soddisfare l'appetito quando ha fame;
31eppure, se è preso, dovrà restituire sette volte,
consegnare tutti i beni della sua casa.
32Ma l'adultero è privo di senno;
solo chi vuole rovinare se stesso agisce così.
33Incontrerà percosse e disonore,
la sua vergogna non sarà cancellata,
34poiché la gelosia accende lo sdegno del marito,
che non avrà pietà nel giorno della vendetta;
35non vorrà accettare alcun compenso,
rifiuterà ogni dono, anche se grande.


Salmi 38

1'Salmo. Di Davide. In memoria.'

2Signore, non castigarmi nel tuo sdegno,
non punirmi nella tua ira.
3Le tue frecce mi hanno trafitto,
su di me è scesa la tua mano.

4Per il tuo sdegno non c'è in me nulla di sano,
nulla è intatto nelle mie ossa per i miei peccati.
5Le mie iniquità hanno superato il mio capo,
come carico pesante mi hanno oppresso.

6Putride e fetide sono le mie piaghe
a causa della mia stoltezza.
7Sono curvo e accasciato,
triste mi aggiro tutto il giorno.

8Sono torturati i miei fianchi,
in me non c'è nulla di sano.
9Afflitto e sfinito all'estremo,
ruggisco per il fremito del mio cuore.
10Signore, davanti a te ogni mio desiderio
e il mio gemito a te non è nascosto.
11Palpita il mio cuore,
la forza mi abbandona,
si spegne la luce dei miei occhi.

12Amici e compagni si scostano dalle mie piaghe,
i miei vicini stanno a distanza.
13Tende lacci chi attenta alla mia vita,
trama insidie chi cerca la mia rovina.
e tutto il giorno medita inganni.

14Io, come un sordo, non ascolto
e come un muto non apro la bocca;
15sono come un uomo che non sente e non risponde.

16In te spero, Signore;
tu mi risponderai, Signore Dio mio.
17Ho detto: "Di me non godano,
contro di me non si vantino
quando il mio piede vacilla".

18Poiché io sto per cadere
e ho sempre dinanzi la mia pena.
19Ecco, confesso la mia colpa,
sono in ansia per il mio peccato.
20I miei nemici sono vivi e forti,
troppi mi odiano senza motivo,
21mi pagano il bene col male,
mi accusano perché cerco il bene.

22Non abbandonarmi, Signore,
Dio mio, da me non stare lontano;
23accorri in mio aiuto,
Signore, mia salvezza.


Baruc 6

1Per i peccati da voi commessi di fronte a Dio sarete condotti prigionieri in Babilonia da Nabucodònosor re dei Babilonesi.2Giunti dunque in Babilonia, vi resterete molti anni e per lungo tempo fino a sette generazioni; dopo vi ricondurrò di là in pace.3Ora, vedrete in Babilonia idoli d'argento, d'oro e di legno, portati a spalla, i quali infondono timore ai pagani.4State attenti dunque a non imitare gli stranieri; il timore dei loro dèi non si impadronisca di voi.5Alla vista di una moltitudine che prostrandosi davanti e dietro a loro li adora, pensate: "Te dobbiamo adorare, Signore".6Poiché il mio angelo è con voi, egli si prenderà cura di voi.
7Essi hanno una lingua limata da un artefice, sono indorati e inargentati, ma sono simulacri falsi e non possono parlare.8Come si fa con una ragazza vanitosa, prendono oro e acconciano corone sulla testa dei loro dèi.9Talvolta anche i sacerdoti, togliendo ai loro dèi oro e argento, lo spendono per sé, dandone anche alle prostitute nei postriboli.
10Adornano poi con vesti, come si fa con gli uomini, questi idoli d'argento, d'oro e di legno; ma essi non sono in grado di salvarsi dalla ruggine e dai tarli.11Sono avvolti in una veste purpurea, ma bisogna pulire il loro volto per la polvere del tempio che si posa abbondante su di essi.12Come un governatore di una regione, il dio ha lo scettro, ma non stermina colui che lo offende.13Ha il pugnale e la scure nella destra, ma non si libera dalla guerra e dai ladri.14Per questo è evidente che non sono dèi; non temeteli, dunque!
15Come un vaso di terra una volta rotto diventa inutile, così sono i loro dèi, posti nei templi.16I loro occhi sono pieni della polvere sollevata dai piedi di coloro che entrano.17Come ad uno che abbia offeso un re si tiene bene sbarrato il luogo dove è detenuto perché deve essere condotto a morte, così i sacerdoti assicurano i templi con portoni, con serrature e con spranghe, perché non vengano saccheggiati dai ladri.18Accendono loro lumi, persino più numerosi che per se stessi, ma gli dèi non ne vedono alcuno.19Sono come una delle travi del tempio; il loro interno, come si dice, viene divorato e anch'essi senza accorgersene sono divorati dagli insetti che strisciano dalla terra, insieme con le loro vesti.20Il loro volto si annerisce per il fumo del tempio.21Sul loro corpo e sulla testa si posano pipistrelli, rondini e altri uccelli e anche i gatti.22Di qui potete conoscere che non sono dèi; non temeteli, dunque!
23L'oro di cui sono adorni per bellezza non risplende se qualcuno non ne toglie la patina; perfino quando venivano fusi, essi non se ne accorgevano.24Furono comprati a qualsiasi prezzo, essi che non hanno alito vitale.25Senza piedi, vengono portati a spalla, mostrando agli uomini la loro condizione vergognosa; arrossiscono anche i loro fedeli perché, se cadono a terra, non si rialzano più.26Neanche se uno li colloca diritti si muoveranno da sé, né se si sono inclinati si raddrizzeranno; si pongono offerte innanzi a loro come ai morti.27I loro sacerdoti vendono le loro vittime e ne traggono profitto; anche le mogli di costoro ne pongono sotto sale una parte e non ne danno né ai poveri né ai bisognosi; anche una donna in stato di impurità e la puerpera toccano le loro vittime.28Conoscendo dunque da questo che non sono dèi, non temeteli!
29Come infatti si potrebbero chiamare dèi? Perfino le donne presentano offerte a questi idoli d'argento, d'oro e di legno.30Nei templi i sacerdoti siedono con le vesti stracciate, la testa e le guance rasate, a capo scoperto.31Urlano alzando grida davanti ai loro dèi, come fanno alcuni durante un banchetto funebre.32I sacerdoti si portan via le vesti degli dèi e ne rivestono le loro mogli e i loro bambini.33Gli idoli non possono contraccambiare né il male né il bene ricevuto da qualcuno; non possono né costituire né spodestare un re;34nemmeno possono dare ricchezze né soldi. Se qualcuno, fatto un voto, non lo mantiene, non se ne curano.35Non liberano un uomo dalla morte né sottraggono il debole da un forte.36Non rendono la vista a un cieco né liberano un uomo dalle angosce.37Non hanno pietà della vedova né beneficano l'orfano.38Sono simili alle pietre estratte dalla montagna quegli idoli di legno, indorati e argentati. I loro fedeli saranno confusi.39Come dunque si può ritenere e dichiarare che costoro sono dèi?
40Inoltre, perfino gli stessi Caldei li disonorano; questi infatti quando trovano un muto incapace di parlare lo presentano a Bel pregandolo di farlo parlare, quasi che costui potesse sentire.41Costoro, pur rendendosene conto, non sono capaci di abbandonare gli idoli, perché non hanno senno.42Le donne siedono per la strada cinte di cordicelle e bruciano della crusca.43Quando qualcuna di esse, tratta in disparte da qualche passante, si è data a costui, schernisce la sua vicina perché non fu stimata come lei e perché la sua cordicella non fu spezzata.44Quanto avviene attorno agli idoli è menzogna; dunque, come si può credere e dichiarare che costoro sono dèi?
45Gli idoli sono lavoro di artigiani e di orefici; essi non diventano niente altro che ciò che gli artigiani vogliono che siano.46Coloro che li fabbricano non hanno vita lunga; come potrebbero le cose da essi fabbricate essere dèi?47Essi lasciano ai loro posteri menzogna e ignominia.48Difatti, quando sopraggiungono la guerra e le calamità, i sacerdoti si consigliano fra di loro sul come potranno nascondersi insieme con i loro dèi.49Come dunque è possibile non comprendere che non sono dèi coloro che non possono salvare se stessi né dalla guerra né dai mali?50Dopo tali fatti si riconoscerà che gli idoli di legno, indorati e argentati, sono una menzogna; a tutte le genti e ai re sarà evidente che essi non sono dèi, ma lavoro delle mani d'uomo e che sono privi di ogni qualità divina.51A chi dunque non sarà evidente che non sono dèi?
52Essi infatti non possono costituire un re sul paese né concedere la pioggia agli uomini;53non risolvono le contese, né liberano l'oppresso, poiché non hanno alcun potere; sono come cornacchie fra il cielo e la terra.54Infatti, se il fuoco si attacca al tempio di questi dèi di legno o indorati o argentati, mentre i loro sacerdoti fuggiranno e si metteranno in salvo, essi invece come travi bruceranno là in mezzo.55A un re e ai nemici non possono resistere.56Come dunque si può ammettere e pensare che essi siano dèi?
57Né dai ladri né dai briganti si salveranno questi idoli di legno, argentati e indorati, ai quali i ladri con la violenza tolgono l'oro, l'argento e la veste che li avvolge e poi fuggono tenendo la roba; essi non sono in grado di aiutare neppure se stessi.58Per questo vale meglio di questi dèi bugiardi un re che mostri coraggio oppure un arnese utile in casa, di cui si serve chi l'ha acquistato; anche meglio di questi dèi bugiardi è una porta, che tenga al sicuro quanto è dentro la casa o perfino una colonna di legno in un palazzo.59Il sole, la luna, le stelle, essendo lucenti e destinati a servire a uno scopo obbediscono volentieri.60Così anche il lampo, quando appare, è ben visibile; anche il vento spira su tutta la regione.61Quando alle nubi è ordinato da Dio di percorrere tutta la terra, eseguiscono l'ordine; il fuoco, inviato dall'alto per consumare monti e boschi, eseguisce il comando.62Gli idoli invece non assomigliano né per l'aspetto né per la potenza a queste cose.63Perciò non si deve ritenere né dichiarare che siano dèi, poiché non possono né rendere giustizia né beneficare gli uomini.64Conoscendo dunque che non sono dèi, non temeteli!
65Essi non maledicono né benedicono i re;66non mostrano alle genti segni nel cielo, né risplendono come il sole, né illuminano come la luna.67Le belve sono migliori di loro, perché possono fuggire in un riparo e provvedere a se stesse.68Dunque, in nessuna maniera è chiaro per noi che essi sono dèi; per questo non temeteli!
69Come infatti uno spauracchio che in un cocomeraio nulla protegge, tali sono i loro idoli di legno indorati e argentati;70ancora, i loro idoli di legno indorati e argentati si possono paragonare a un ramo nell'orto, su cui si posa ogni sorta di uccelli, o anche a un cadavere gettato nelle tenebre.71Dalla porpora e dal bisso che si logorano su di loro saprete che non sono dèi; infine saranno divorati e nel paese saranno una vergogna.72È migliore un uomo giusto che non abbia idoli, poiché sarà lontano dal disonore.


Atti degli Apostoli 8

1Saulo era fra coloro che approvarono la sua uccisione. In quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme e tutti, ad eccezione degli apostoli, furono dispersi nelle regioni della Giudea e della Samarìa.2Persone pie seppellirono Stefano e fecero un grande lutto per lui.3Saulo intanto infuriava contro la Chiesa ed entrando nelle case prendeva uomini e donne e li faceva mettere in prigione.
4Quelli però che erano stati dispersi andavano per il paese e diffondevano la parola di Dio.

5Filippo, sceso in una città della Samarìa, cominciò a predicare loro il Cristo.6E le folle prestavano ascolto unanimi alle parole di Filippo sentendolo parlare e vedendo i miracoli che egli compiva.7Da molti indemoniati uscivano spiriti immondi, emettendo alte grida e molti paralitici e storpi furono risanati.8E vi fu grande gioia in quella città.

9V'era da tempo in città un tale di nome Simone, dedito alla magia, il quale mandava in visibilio la popolazione di Samarìa, spacciandosi per un gran personaggio.10A lui aderivano tutti, piccoli e grandi, esclamando: "Questi è la potenza di Dio, quella che è chiamata Grande".11Gli davano ascolto, perché per molto tempo li aveva fatti strabiliare con le sue magie.12Ma quando cominciarono a credere a Filippo, che recava la buona novella del regno di Dio e del nome di Gesù Cristo, uomini e donne si facevano battezzare.13Anche Simone credette, fu battezzato e non si staccava più da Filippo. Era fuori di sé nel vedere i segni e i grandi prodigi che avvenivano.
14Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samarìa aveva accolto la parola di Dio e vi inviarono Pietro e Giovanni.
15Essi discesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo;16non era infatti ancora sceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù.17Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.
18Simone, vedendo che lo Spirito veniva conferito con l'imposizione delle mani degli apostoli, offrì loro del denaro19dicendo: "Date anche a me questo potere perché a chiunque io imponga le mani, egli riceva lo Spirito Santo".20Ma Pietro gli rispose: "Il tuo denaro vada con te in perdizione, perché hai osato pensare di acquistare con denaro il dono di Dio.21Non v'è parte né sorte alcuna per te in questa cosa, perché 'il tuo cuore non è retto davanti a Dio'.22Pèntiti dunque di questa tua iniquità e prega il Signore che ti sia perdonato questo pensiero.23Ti vedo infatti chiuso 'in fiele amaro e in lacci d'iniquità'".24Rispose Simone: "Pregate voi per me il Signore, perché non mi accada nulla di ciò che avete detto".25Essi poi, dopo aver testimoniato e annunziato la parola di Dio, ritornavano a Gerusalemme ed evangelizzavano molti villaggi della Samarìa.

26Un angelo del Signore parlò intanto a Filippo: "Alzati, e va' verso il mezzogiorno, sulla strada che discende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta".27Egli si alzò e si mise in cammino, quand'ecco un Etìope, un eunuco, funzionario di Candràce, regina di Etiopia, sovrintendente a tutti i suoi tesori, venuto per il culto a Gerusalemme,28se ne ritornava, seduto sul suo carro da viaggio, leggendo il profeta Isaia.29Disse allora lo Spirito a Filippo: "Va' avanti, e raggiungi quel carro".30Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: "Capisci quello che stai leggendo?".31Quegli rispose: "E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?". E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui.32Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo:

'Come una pecora fu condotto al macello
e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa,
così egli non apre la sua bocca.'
33'Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato
negato,
ma la sua posterità chi potrà mai descriverla?
Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita.'

34E rivoltosi a Filippo l'eunuco disse: "Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?".35Filippo, prendendo a parlare e partendo da quel passo della Scrittura, gli annunziò la buona novella di Gesù.36Proseguendo lungo la strada, giunsero a un luogo dove c'era acqua e l'eunuco disse: "Ecco qui c'è acqua; che cosa mi impedisce di essere battezzato?".37.38Fece fermare il carro e discesero tutti e due nell'acqua, Filippo e l'eunuco, ed egli lo battezzò.39Quando furono usciti dall'acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l'eunuco non lo vide più e proseguì pieno di gioia il suo cammino.40Quanto a Filippo, si trovò ad Azoto e, proseguendo, predicava il vangelo a tutte le città, finché giunse a Cesarèa.


Capitolo XXI: La compunzione del cuore

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 1. Se vuoi fare qualche progresso conservati nel timore di Dio, senza ambire a una smodata libertà; tieni invece saldamente a freno i tuoi sensi, senza lasciarti andare a una stolta letizia. Abbandonati alla compunzione di cuore, e ne ricaverai una vera devozione. La compunzione infatti fa sbocciare molte cose buone, che, con la leggerezza di cuore, sogliono subitamente disperdersi. E' meraviglia che uno possa talvolta trovare piena letizia nella vita terrena, se considera che questa costituisce un esilio e se riflette ai tanti pericoli che la sua anima vi incontra. Per leggerezza di cuore e noncuranza dei nostri difetti spesso non ci rendiamo conto dei guai della nostra anima; anzi, spesso ridiamo stoltamente, quando, in verità, dovremmo piangere. Non esiste infatti vera libertà, né santa letizia, se non nel timore di Dio e nella rettitudine di coscienza. Felice colui che riesce a liberarsi da ogni impaccio dovuto a dispersione spirituale, concentrando tutto se stesso in una perfetta compunzione. Felice colui che sa allontanare tutto ciò che può macchiare o appesantire il suo spirito. Tu devi combattere da uomo: l'abitudine si vince con l'abitudine. Se impari a non curarti della gente, questa lascerà che tu attenda tranquillamente a te stesso. Non portare dentro di te le faccende degli altri, non impicciarti neppure di quello che fanno le persone più in vista; piuttosto vigila sempre e in primo luogo su di te, e rivolgi il tuo ammonimento particolarmente a te stesso, prima che ad altre persone, anche care. Non rattristarti se non ricevi il favore degli uomini; quello che ti deve pesare, invece, è la constatazione di non essere del tutto e sicuramente nella via del bene, come si converrebbe a un servo di Dio e a un monaco pieno di devozione.  

2. E' grandemente utile per noi, e ci dà sicurezza di spirito, non ricevere molte gioie in questa vita; particolarmente gioie materiali. Comunque, è colpa nostra se non riceviamo consolazioni divine o ne proviamo raramente; perché non cerchiamo la compunzione del cuore e non respingiamo del tutto le vane consolazioni che vengono dal di fuori. Riconosci di essere indegno della consolazione divina, e meritevole piuttosto di molte sofferenze, Quando uno è pienamente compunto in se stesso, ogni cosa di questo mondo gli appare pesante e amara. L'uomo retto, ben trova motivo di pianto doloroso. Sia che rifletta su di sé o che vada pensando agli altri, egli comprende che nessuno vive quaggiù senza afflizioni; e quanto più severamente si giudica, tanto maggiormente si addolora. Sono i nostri peccati e i nostri vizi a fornire materia di giusto dolore e di profonda compunzione; peccato e vizi dai quali siamo così avvolti e schiacciati che raramente riusciamo a guardare alle cose celesti. Se il nostro pensiero andasse frequentemente alla morte, più che alla lunghezza della vita, senza dubbio ci emenderemmo con maggior fervore. Di più, se riflettessimo nel profondo del cuore alle sofferenze future dell'inferno e del purgatorio, accetteremmo certamente fatiche e dolori, e non avremmo paura di un duro giudizio. Invece queste cose non penetrano nel nostro animo; perciò restiamo attaccati alle dolci mollezze, restiamo freddi e assai pigri. Spesso, infatti, è sorta di spirituale povertà quella che facilmente invade il nostro misero corpo. Prega dunque umilmente il Signore che ti dia lo spirito di compunzione; e di', con il profeta: nutrimi, o Signore, "con il pane delle lacrime; dammi, nelle lacrime, copiosa bevanda" (Sal 79,6).


Le Confessioni - Libro secondo: il sedicesimo anno l’adolescenza inquieta

Le confessioni - Sant'Agostino d'Ippona

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Scopo di un ricordo disgustoso
1. 1. Voglio ricordare il mio sudicio passato e le devastazioni della carne nella mia anima non perché le ami, ma per amare te, Dio mio. Per amore del tuo amore m’induco a tanto, a ripercorrere le vie dei miei gravi delitti. Vorrei sentire nell’amarezza del mio ripensamento la tua dolcezza, o dolcezza non fallace, dolcezza felice e sicura, che mi ricomponi dopo il dissipamento ove mi lacerai a brano a brano. Separandomi da te, dall’unità, svanii nel molteplice quando, durante l’adolescenza, fui riarso dalla brama di saziarmi delle cose più basse e non ebbi ritegno a imbestialirmi in diversi e tenebrosi amori. La mia bella forma si deturpò e divenni putrido marciume ai tuoi occhi, mentre piacevo a me stesso e desideravo piacere agli occhi degli uomini

Fermenti oscuri
2. 2. Che altro mi dilettava allora. se non amare e sentirmi amato? Ma non mi tenevo nei limiti della devozione di anima ad anima, fino al confine luminoso dell’amicizia. Esalavo invece dalla paludosa concupiscenza della carne e dalle polle della pubertà un vapore, che obnubilava e offuscava il mio cuore. Non si distingueva più l’azzurro dell’affetto dalla foschia della libidine. L’uno e l’altra ribollivano confusamente nel mio intimo, e la fragile età era trascinata fra i dirupi delle passioni, sprofondata nel gorgo dei vizi. La tua collera si era aggravata su di me senza che me ne avvedessi. Assordato dallo stridore della catena della mia mortalità, con cui era punita la superbia della mia anima, procedevo sempre più lontano da te, ove mi lasciavi andare, e mi agitavo, mi sperdevo, mi spandevo, smaniavo tra le mie fornicazioni; e tu tacevi. O mia gioia tardiva, tacevi allora, mentre procedevo ancora più lontano da te moltiplicando gli sterili semi delle sofferenze, altero della mia abiezione e insoddisfatto della mia spossatezza.

– 3. Chi avrebbe potuto temperare il mio affanno, volgere in un bene per me le fugaci bellezze delle creature più basse, proporre una meta ai piaceri che ne traevo, in modo che i flutti della mia età non montassero oltre il lido del matrimonio, contenendosi, se non potevano placarsi, entro i termini della procreazione di una prole secondo il precetto della tua legge? Tu, Signore, regoli anche i tralci della nostra morte e sai porre una mano leggera sulle spine bandite dal tuo paradiso, per smussarle. La tu~ onnipotenza non è lontana da noi neppure quando noi siamo lontani da te. Oh, almeno fossi stato più desto ad ascoltare i tuoni delle tue nubi: In questo stato soffriranno tuttavia le tribolazioni della carne che io vorrei invece risparmiarvi; e: Chi non ha moglie, pensa alle cose di Dio, come piacere a Dio, chi invece è vincolato dal matrimonio, pensa alle cose del mondo, come piacere alla moglie. Più desto ad ascoltare queste voci e mutilato per amore del regno dei cieli, avrei atteso più lietamente i tuoi amplessi.

– 4. Invece mi scatenai, sventurato, abbandonandomi all’impeto della mia corrente e staccandomi da te; superai tutti i limiti della tua legge senza sfuggire, naturalmente, alle tue verghe: e quale mortale vi riuscirebbe? Tu eri sempre presente con i tuoi pietosi tormenti, cospargendo delle più ripugnanti amarezze tutte le mie delizie illecite per indurmi alla ricerca della delizia che non ripugna. Dove l’avessi trovata, non avrei trovato che te, Signore, te, che dài per maestro il dolore e colpisci per guarire e ci uccidi per non lasciarci morire senza di te. Dove ero, in quale esilio remoto dalle dolcezze della tua casa trascorsi quel sedicesimo anno di età della mia carne, quando prese il dominio su di me, ed io mi arresi a lei totalmente, la follia della libidine, ammessa dall’onorabilità pervertita degli uomini, ma non dalle tue leggi? I miei genitori non si curarono di contenere quella frana col matrimonio; si curarono unicamente che imparassi a comporre i migliori sermoni e a convincere con belle parole.

Interruzione degli studi
3. 5. Quell’anno però i miei studi erano stati interrotti. Richiamato da Madaura, una città vicina, ove in precedenza mi ero trasferito per studiare letteratura ed eloquenza, ora si andavano raccogliendo i fondi necessari al mio trasferimento in una sede più remota, Cartagine, secondo le ambizioni, piuttosto che le possibilità di mio padre, cittadino alquanto modesto del municipio di Tagaste. Ma a chi narro, questi fatti? Non certo a te, Dio mio. Rivolgendomi a te, li narro ai miei simili, al genere umano, per quella piccolissima particella che può imbattersi in questo mio scritto. E a quale scopo? All’unico scopo che io ed ogni lettore valutiamo la profonditità dell’abisso da cui dobbiamo lanciare il nostro grido verso di te. Eppure cos’è più vicino alle tue orecchie di un cuore che si confessa e di una vita sostanziata di fede? Chi non faceva allora alti elogi di un uomo, mio padre, il quale per mantenere agli studi suo figlio in una città lontana spendeva più di quanto permettesse il patrimonio familiare? Molti cittadini assai più ricchi di lui non affrontavano per i loro figli un sacrificio simile. Eppure quello stesso padre non si preoccupava di conoscere intanto come crescessi ai tuoi occhi o quanto fossi casto, purché fossi forbito nel. parlare, o piuttosto, sfornito della tua scienza, o Dio, unico vero e buon padrone del tuo campo, il mio cuore.

Nell’ozio
– 6. Quando però nel corso di quel sedicesimo anno tornai presso i miei genitori e dalle strettezze della famiglia fui ridotto all’ozio, senza alcun impegno scolastico, i rovi delle passioni crebbero oltre il mio capo senza che fosse là una mano a sradicarli. Anzi quel mio padre, al vedermi un giorno ai bagni ormai cresciuto e già ricoperto dai segni dell’adolescenza inquieta, fu come colto da una gioia smaniosa per i nipoti che gliene potevano nascere e lo riferì festante a mia madre, festante, dico, dell’ebbrezza in cui il mondo ha affogato, il ricordo di te, suo creatore, per amare in tua vece la tua creatura, ebbrezza del vino occulto della sua volontà perversamente inclinata alle bassezze. Ma nel cuore di mia madre avevi già posto mano all’erezione del tuo tempio e alle fondamenta della tua santa casa, mentre il padre era ancora catecumeno, e da poco per di più. Essa quindi trasalì in un’apprensione e trepidazione pia, paventando per me, sebbene non ancora battezzato, le vie storte in cui cammina chi volge a te la schiena e non il volto.

Ammonimenti e sollecitudini della madre
– 7. Ahimé, come oso dire che tu, Dio mio, tacesti mentre mi allontanavo da te? Tacevi davvero per me in quei. momenti? Di chi erano dunque, se non tue, le parole che facesti risuonare alle mie orecchie per la bocca di mia madre, tua fedele? Ma nessuna scese di là nel mio cuore per tradursi in pratica. Essa mi chiedeva – come ricordo dentro di me l’incalzante sollecitudine dei suoi ammonimenti! – di astenermi dagli amorazzi e specialmente dall’adulterio con qualsiasi donna. Io li prendevo per ammonimenti di donnicciuola, cui mi sarei vergognato di ubbidire. Invece venivano da te: io ignaro pensavo che tu tacessi e lei parlasse, mentre tu non tacevi per me con la sua voce, sebbene in lei io disprezzassi te, io, io, figlio suo, figlio dell’ancella tua e servo tuo. Nella mia ignoranza procedevo a capofitto verso l’abisso, tanto cieco da vergognarmi fra i miei coetanei di non essere spudorato quanto loro. Al sentirli esaltare le loro dissolutezze e tanto più gloriarsene quanto più erano indegne, cercavo di fare altrettanto, non solo per il piacere dell’atto in sé, ma altresì della lode che ne ottenevo. Che altro merita biasimo, se non il vizio? E io per evitare il biasimo m’immergevo nel vizio. Quando mancavo di colpe che mi uguagliassero ai malvagi, inventavo fatti che non avevo fatto per timore di apparire tanto più vile quanto più ero innocente e di essere giudicato tanto più spregevole quanto più ero casto.

– 8. In tale compagnia percorrevo la mia strada fra le piazze di Babilonia, avvoltolandomi nel. suo fango come fosse cinnamomo e unguenti preziosi. E per impantanarmi più tenacemente nel suo mezzo, il nemico invisibile mi calcava, seducendomi poiché mi lasciavo, facilmente sedurre. La donna che era già fuggita dal centro di Babilonia, ma ancora si attardava negli altri quartieri, la madre della mia carne, mi raccomandava sì, il pudore, ma non si curò di rinserrare nei limiti dell’affetto coniugale, se non si poteva reciderla fino al vivo, la mia virilità, di cui suo marito le aveva parlato, e che, lo sentiva, già allora funesta, sarebbe divenuta pericolosa in avvenire. Non se ne curò per timore che le pastoie coniugali inceppassero le mie prospettive, non la prospettiva della vita futura, che mia madre fondava in te, ma le prospettive degli studi, ove entrambi i miei genitori ambivano troppo che io progredissi, l’uno perché di te, non pensava quasi nulla e di me pensava delle vacuità, l’altra perché riteneva che la formazione culturale allora in voga non solo sarebbe nessun detrimento, ma anzi alcun giovamento a portarmi fino a te. A queste conclusioni, almeno, giungo oggi rievocando come posso l’indole dei miei genitori. Essi allentavano anche le briglie ai miei divertimenti oltre il tenore di una severità ragionevole, dando sfogo alle mie varie passioni; e così tutt’intorno a me si stendeva una grande foschia, che mi toglieva, Dio mio, la visione del sereno della tua verità. E come da adipe rampollava la mia iniquità.

UN FURTO DI PERE

L’impresa
4. 9. La tua legge, Signore, condanna chiaramente il furto, e così la legge scritta nei cuori degli uomini, che nemmeno la loro malvagità può cancellare. Quale ladro tollera di essere derubato da un ladro? Neppure se ricco, e l’altro costretto alla miseria. Ciò nonostante io volli commettere un furto e lo commisi senza esservi spinto da indigenza alcuna, se non forse dalla penuria e disgusto della giustizia e dalla sovrabbondanza dell’iniquità. Mi appropriai infatti di cose che già possedevo in maggior misura e molto miglior qualità; né mi spingeva il desiderio di godere ciiò che col furto mi sarei procurato, bensì quello del furto e del peccato in se stessi. Nelle vicinanze della nostra vigna sorgeva una pianta di pere carica di frutti d’aspetto e sapore per nulla. allettanti. In piena notte, dopo aver protratto i nostri giochi sulle piazze, come usavamo fare pestiferamente, ce ne andammo, giovinetti depravatissimi quali eravamo, a scuotere la pianta, di cui poi asportammo i frutti. Venimmo via con un carico ingente e non già per mangiarne noi stessi, ma per gettarli addirittura ai porci. Se alcuno ne gustammo, fu soltanto per il gusto dell’ingiusto. Così è fatto il mio cuore, o Dio, così è fatto il mio cuore, di cui hai avuto misericordia mentre era nel fondo dell’abisso. Ora, ecco, il mio cuore ti confesserà cosa andava cercando laggiù, tanto da essere malvagio senza motivo, senza che esistesse alcuna ragione della mia malvagità. Era laida e l’amai, amai la morte, amai il mio annientamento. Non l’oggetto per cui mi annientavo, ma il mio annientamento in se stesso io amai, anima turpe, che si scardinava dal tuo sostegno per sterminarsi non già nella ricerca disonesta di qualcosa, ma della sola disonestà.

Natura e moventi del peccato
5. 10. Le belle forme nei corpi e l’oro, e l’argento e ogni cosa simile attraggono gli occhi col loro aspetto; nel senso del tatto importa moltissimo la consonanza della carne e del suo oggetto, come gli altri sensi ricevono dagli oggetti una loro specifica e conveniente modificazione. Anche l’onore mondano, il potere, il dominio posseggono una loro dignità, origine fra l’altro, nell’uomo del desiderio di vendetta. Tuttavia per ottenere tutti questi beni non occorre allontanarsi da te, Signore, né deviare dalla tua legge. La vita stessa che viviamo qui sulla terra possiede un suo fascino, che le deriva da una certa misura di grazia sua propria e dall’armonia con tutte le altre minime bellezze dell’universo. E l’amicizia fra gli uomini non è forse deliziosa per l’amabile nodo, con cui unifica molte anime? Tutte: queste cose e le altre ad esse simili sono fonte di peccato soltanto nel caso che ad esse tendiamo smoderatamente e per esse, che sono beni infimi, trascuriamo gli altri migliori e sommi: te, Signore Dio nostro, e la tua verità e la tua legge. Perché, sì, anche questi infimi beni dilettano, ma non quanto il mio Dio, autore di ogni cosa, in cui appunto gode l’uomo giusto e che appunto è la delizia dei cuori retti.

– 11. Perciò nella ricerca del movente di un delitto non si è paghi di solito, se non quando si scopre la brama di ottenere l’uno o l’altro dei beni che abbiamo definito minimi, oppure il timore di perderlo, perché essi, sebbene abietti e vili a paragone dei beni superiori e beatificanti, posseggono una loro bellezza e grazia. Qualcuno ha ucciso: perché l’ha fatto? Vagheggiava la moglie o il podere del morto, oppure cercò di predare per vivere, oppure temeva di perdere uno di questi beni per mano del morto, oppure era arso dal desiderio di vendicare un affronto subito. Avrebbe mai perpetrato un omicidio senza ragione, per il solo piacere di uccidere un uomo? Chi lo crederebbe? Persino alle follie e alle crudelta estreme di un uomo, del quale fu detto che sfogava abitualmente per nulla la propria malvagità e crudeltà, fu premessa una ragione: "perché nell’inattività dice il suo storico non s’intorpidisse la mano o lo spirito". Domandati anche questo: ache scopo? perché questo? Evidentemente per ottenere mediante la pratica dei delitti e una volta padrone della città onori, potere, ricchezze; per liberarsi dal timore delle leggi e dalle angustie che gli derivavano dall’esiguità del patrimonio e dal rimorso dei delitti. Dunque neppure Catilina amò i propri delitti, ma altro: lo scopo, cioè, per cui li commetteva.

I peccati, simulazione della potenza di Dio
6. 12. Ma io sciagurato, cosa amai in te, o furto mio, o delitto notturno dei miei sedici anni? Non eri bello, se eri un furto; anzi, sei qualcosa, per cui possa rivolgerti la parola? Belli erano i frutti che rubammo, perché opera delle tue mani, o Bellezza massima fra tutte, creatore di tutto, Dio" buono, Dio sommo bene e bene mio vero. Belli, dunque, erano, quei frutti, ma non quelli bramò la mia anima. miserabile, poiché ne avevo in abbondanza di migliori. Eppure colsi proprio quelli al solo scopo di commettere un furto. E infatti appena colti li gettai senza aver assaporato che la mia cattiveria, così inebriante a praticarla. Se pure un briciolo di quei frutti entrò nella mia bocca, a insaporirlo, era il misfatto. E ora, Signore Dio mio, mi domando: cosa mi attrasse in quel furto? Non vi trovo davvero bellezza alcuna, non dico la bellezza insita nella giustizia e nella saggezza, o nell’intelletto umano, nella memoria, nella sensibilità, nella vita vegetativa, o la bellezza e la grazia propria nel loro ordine agli astri e alla terra e al mare, popolati di creature che si succedono nella nascita e nella morte, e nemmeno quella difettosa e irreale con cui ci seducono i vizi.

– 13. Infatti l’orgoglio, simula l’eccellenza, mentre il solo Dio eccelso al di sopra di tutte le cose sei tu. L’ambizione a che altro aspira, se non a onori e gloria, mentre tu solo sopra tutto meriti onore e gloria eterna? La crudeltà dei potenti mira a incutere timore; ma chi è davvero temibile, se non Dio solo, al cui potere cosa si può strappare o sottrarre, e quando o dove o come o da chi? Le seduzioni delle persone lascive, poi, mirano a suscitare amore, ma nulla è più seducente della tua carità, né vi è amore più salutare di quello della tua verità, tanto è bella e splendente oltre ogni cosa. La curiosità si atteggia a desiderio di conoscenza, mentre chi conosce tutto e in sommo grado sei tu; persino l’ignoranza e la scemplaggine si coprono col nome di semplicità e innocenza, poiché si trova nulla più semplice di te e c’è cosa più innocente di te, se ai malvagi stessi nuocciono le opere loro? La pigrizia dal canto suo sembra cercare quiete, ma esiste quiete sicura senza il Signore? Il lusso vuol essere chiamato soddisfazione e copiosità, di mezzi; sei tu però la pienezza e l’abbondanza inesauribile d’incorruttibili bellezze. La prodigalità si copre con l’ombra della liberalità, ma il più copioso dispensatore di ogni bene sei tu. L’avarizia aspira a possedere molto, mentre tu possiedi tutto. L’invidia disputa per eccellere, ma cosa eccelle più di te? L’ira vuole vendetta, ma quale vendetta è più giusta della tua? La pavidità trema, nella sua ricerca di sicurezza, dei pericoli insoliti e repentini che incombono sugli oggetti d’amore; a te infatti riesce qualcosa insolito, repentino? o qualcuno ti può privare degli oggetti del tuo amore? e dove si è saldamente sicuri, se non al tuo flanco? L’uggia si rode per la perdita dei beni, di cui si dilettava la cupidigia, poiché vorrebbe che, come a te, così a sé nulla si potesse cogliere.

– 14. In queste forme l’anima pecca allorché si distoglie da te e cerca fuori di te la purezza e il candore, che non trova, se non tornando a te. Tutti insomma ti imitano, alla rovescia, quanti si separano, da te e si levano contro di te. Ma anche imitandoti, a loro modo, provano che tu sei il creatore dell’universo e quindi non è possibile allontanarsi in alcun modo da te. Cosa amai dunque in quel furto e in che cosa imitai, sia pure in male e alla rovescia, il mio Signore? Mi compiacqui di violare la sua legge con la malizia, non potendolo fare con la potenza? Il prigionicro voleva imitare una libertà monca, compiendo a man salva un’azione illecita con una simulazione oscura di onnipotenza? Eccolo, questo servo, fuggitivo dal suo padrone, che ha raggiunto un’ombra. Oh marcume, oh mostruosità di vita, oh abisso di morte! Potré mai piacermi l’illecito per l’illecito, e null’altro?

Perdono e pietà per il peccatore
7. 15. Come rimunerare il Signore del fatto che la mia memoria rievoca simili azioni e la mia anima non ne è turbata? lo ti amerò, Signore, ti renderò grazie e confesserò il tuo nome, poiché mi hai perdonato malvagità e delitti così grandi. Attribuisco alla tua grazia e alla tua misericordia il dileguarsi come ghiaccio dei miei peccati; attribuisco alla tua grazia anche tutto. il male che non ho commesso. Cosa non avrei potuto fare, se amai persino il delitto in se stesso? Eppure tutti questi peccati: e quelli che di mia spontanea volontà commisi, e quelli che sotto la tua guida evitai, mi furono rimessi, lo confesso. Quale uomo conscio della propria debolezza osa attribuire alle proprie forze il merito della castità e dell’innocenza che serba, e quindi ti ama meno, quasi che meno abbia avuto bisogno della misericordia con cui condoni i peccati a chi si rivolse a te? Chi dunque alla tua chiamata seguì la tua voce ed evitò le colpe che qui mi vede ricordare e confessare, non mi schernisca se, malato, fui guarito dal medico che lo preservò dai malanni, o meglio, da più gravi malanni, Perciò dovrà amarti altrettanto, anzi più davvero di me, poiché vede come da tanta prostrazione di peccati io mi libero ad opera di Colui che, come vede, in tanta prostrazione di peccati non lo lasciò avviluppare.

Le attrattive del furto
8. 16. Quale frutto raccolsi allora, miserabile, da ciò che ora rievoco non senza arrossire, e specialmente da quel furto, ove amai solo il furto e null’altro? E anch’esso era nula, quindi maggiore era la mia miseria. Tuttavia non l’avrei compiuto da solo, Ricordo bene qual era il mio animo a quel tempo, da solo non l’avrei assolutamente compiuto. In quell’azione mi attrasse anche la compagnia di coloro con cui la commisi. Dunque non amai null’altro che il furto. Ma sì, null’altro, poiché anche una tale società non è nulla. Cos’è in realtà? Chi può istruirmi in merito, se non Colui che illumina il mio cuore e ne squarcia le tenebre? Come accade che mi viene in mente d’indagare, di discutere, di considerare questi fatti? Se in quel momento avessi amato i frutti che rubai e ne avessi desiderato il sapore, avrei potuto compiere anche da solo, se si poteva da solo, quel misfatto, appagando il mio desiderio senza sfregarmi a qualche complice per inflamnare il prurito della mia brama. Senonché i frutti non avevano nessuna attrattiva per me; dunque ne aveva soltanto l’impresa e a suscitarla era la compagnia di altri che peccavano insieme con me.

Il sapore della complicità
9. 17. Quale sentimento provavo allora in cuore? Senza dubbio un sentimento proprio molto turpe, ed era una sventura per me il provarlo. Ma pure in che cosa consisteva? I peccati, chi li capisce? Era il riso che ci solleticava, per cosi dire, il cuore al pensiero di ingannare quanti non sospettavano un’azione simile da parte nostra e ne sarebbero stati fortemente contrariati. Perché dunque godevo di non agire da solo? Forse perché non è facile ridere da soli? Certo non è facile, però avviene talvolta di essere sopraffatti dal riso, anche stando soli, tra sé e sé, alla presenza di nessuno, se appare ai nostri sensi o al pensiero una cosa troppo ridicola. Invece io quell’atto da solo non l’avrei compiuto, non l’avrei assolutamente compiuto da solo. Ecco dunque davanti a te, Dio mio, il ricordo vivente della mia anima. Da solo non avrei compiuto quel furto in cui non già la refurtiva ma il compiere un furto mi attraeva; compierlo da solo non mi attraeva davvero, e non l’avrei compiuto. Oh amicizia inimicissima, seduzione inesplicabile dello spirito. avidità di nuocere nata dai giochi e dallo scherzo, sete di perdita altrui senza brama di guadagno proprio o avidità di vendetta! Uno dice: "Andiamo, facciamo", e si ha pudore a non essere spudorati.

Desiderio d’innocenza e di pace
10. 18. Chi può districare un nodo così tortuoso e aggrovigliato? È suicidio, non voglio più riflettervi, non voglio guardarlo. Voglio te, giustizia e innocenza bella e ornata delle tue pure luci e di un’insaziabile sazietà. Accanto a te una pace profonda e una vita imperturbabile. Chi entra in te, entra nel gaudio del suo Signore; non avrà timori e si troverà sommamente bene nel sommo Bene. Io mi dispersi lontano da te ed errai, Dio mio, durante la mia adolescenza per vie troppo remote dalla tua solida roccia. Così divenni per me regione di miseria


6 - L'Altissimo manifesta a Maria signora nostra altri misteri

La mistica Città di Dio - Libro terzo - Suor Maria d'Agreda

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59. L'Altissimo continuava a preparare da vicino la nostra Principessa a ricevere il Verbo eterno nel suo grembo verginale ed ella continuava senza sosta le sue fervorose preghiere, affinché egli venisse nel mondo. Arrivata così la notte del sesto giorno, con la medesima voce e forza, ella fu chiamata ed elevata in spirito e le si manifestò la Divinità in visione astrattiva, preceduta da più intensi gradi d'illuminazione, con l'ordine delle altre volte, ma sempre con effetti più divini e con più profonda cognizione degli attributi dell'Altissimo. In questa orazione trascorreva nove ore e ne usciva all'ora terza. E sebbene allora cessasse quella sublimc visione dell'essere di Dio, non per questo Maria santissima si separava dalla vista di lui e dalla preghiera, ma rimaneva in un'altra, che, per quanto fosse inferiore rispetù a quella che lasciava, era assolutamente altissima e superiore alla più grande di tutti i santi e i giusti. Tutti questi favori e doni erano più divini negli ultimi giorni, prossimi all'incarnazione, senza che per questo la impedissero nelle occupazioni del suo stato, poiché in questo caso Marta non si lamentava che Maria la lasciasse sola nel servire.

60. Dopo aver conosciuto la Divinità in quella visione, le furono immediatamente manifestate le opere del sesto giorno della creazione del mondo e, come se si fosse trovata presente, conobbe nel medesimo Signore come alla sua parola divina la terra avesse prodotto ogni essere vivente nel suo genere, secondo quanto dice la Genesi, intendendo con questo termine gli animali terrestri, più perfetti dei pesci e degli uccelli. Vide tutte queste specie di animali, che furono creati nel sesto giorno; inoltre le fu manifestato che alcuni si chiamano giumenti perché servono e aiutano gli uomini, altri bestie, perché più feroci e selvatici, altri rettili, perché si sollevano da terra di poco o per niente, e di tutti comprese le qualità, l'aggressività e la forza, i compiti, i fini e tutte le caratteristiche distintamente. Su tutti questi animali le fu dato il dominio e ad essi fu imposto di obbedirle. Ella avrebbe potuto calpestare l'aspide e camminare sul basilisco senza timore, perché si sarebbero sottomessi tutti ai suoi piedi, e molte volte così fecero al suo comando alcuni animali, come accadde alla nascita del suo Figlio santissimo, quando il bue e l'asinello si prostrarono e riscaldarono col proprio fiato il bambino Dio, perché lo comandò loro la divina Madre.

61. In questa pienezza di conoscenza la nostra divina Regina comprese con somma perfezione il modo imperscrutabile con cui Dio indirizzava tutto quello che creava a servizio e beneficio del genere umano, e quanto l'uomo per tale favore fosse debitore verso il suo creatore. Fu davvero opportuno che Maria santissima avesse questa capacità, affinché con essa desse a Dio un contraccambio degno di tali benefici, mentre né gli uomini né gli angeli lo fecero, mancando alla debita corrispondenza o non giungendo ad operare tutto ciò che le creature avrebbero dovuto. La Regina riempì questo vuoto e riparò a tutto quello che noi non potemmo o non volemmo. Quindi, con la sua corrispondenza, la giustizia divina restò come soddisfatta, poiché ella si frappose fra questa e le creature; per la sua innocenza e gratitudine si rese assai gradita all'Altissimo, che si considerò più obbligato dalla sola Maria santissima che da tutto il resto delle creature. In questo modo tanto misterioso si preparava la venuta di Dio nel mondo, perché si rimuoveva l'impedimento per mezzo della santità di colei che doveva essere sua Madre.

62. Nella medesima visione, poi, conobbe come, dopo la creazione di tutte le creature non razionali, a compimento e perfezione del mondo, la santissima Trinità disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e come in virtù di questo comando divino il primo uomo fu formato di terra. Penetrò perfettamente l'armonia del corpo umano, l'anima e le sue facoltà, la sua creazione ed infusione nel corpo e l'unione con esso per comporre il tutto; conobbe una per una tutte le parti del corpo umano: il numero delle ossa, delle vene, delle arterie, dei nervi e dei legamenti, la connessione dei vari elementi fino a formare ogni singola costituzione, la facoltà di alimentarsi, svilupparsi, nutrirsi e muoversi; intuì come per la disuguaglianza o il mutamento di tutta questa armonia si originavano le infermità e come a queste si poteva rimediare. La nostra prudentissima Vergine comprese tutto ciò meglio di tutti i filosofi del mondo e più degli stessi angeli.

63. Qui il Signore le manifestò il felice stato della giustizia originale, in cui aveva costituito i nostri progenitori Adamo ed Eva; ella conobbe le condizioni, la bellezza e la perfezione dell'innocenza e della grazia e il poco tempo che in essa perseverarono. Intese il modo in cui furono tentati e vinti dall'astuzia del serpente e gli effetti del peccato, il furore e l'odio dei demoni contro il genere umano. Alla vista di queste cose, la nostra Regina fece grandi ed eroici atti di sommo gradimento per l'Altissimo, riconobbe di essere loro figlia, discendendo da una natura tanto ingrata verso il suo creatore. Per una tale consapevolezza, si umiliò alla divina presenza, ferendo così il cuore di Dio ed obbligandolo a sollevarla al di sopra di tutto il creato. Ella intanto s'impegnò a piangere quella prima colpa con tutte le altre che ne derivarono, come se lei stessa fosse responsabile di tutte. Perciò potrebbe già chiamarsi felice colpa quella che meritò di essere pianta con lacrime così preziose nella stima del Signore e che cominciarono ad essere pegno certo della nostra redenzione.

64. Della magnifica opera della creazione dell'uomo ella rese degne grazie al Creatore; quanto invece alla disubbidienza dei progenitori, e specialmente alla seduzione e all'inganno di Eva, la considerò attentamente e in cuor suo propose di riparare, con un'obbedienza continua, a quella che essi avevano negato al loro Dio e Signore. Questa sottomissione fu così bene accetta a sua Maestà, che ordinò si compisse e si eseguisse in questo giorno, alla presenza degli angeli, la verità figurata nella storia del re Assuero, quando fu riprovata la regina Vasti, privata della dignità regale per la sua disubbidienza, ed al suo posto fu innalzata a regina l'umile e graziosa Ester.

65. Questi misteri si corrispondevano in tutto con ammirabile consonanza; infatti il sommo e vero Re, per mostrare la grandezza del suo potere e i tesori della sua divinità, fece il grande convito della creazione e, preparata la mensa aperta a tutte le creature, vi chiamò il genere umano, creando i suoi progenitori. Vasti, cioè la nostra madre Eva, disubbidì ribellandosi al comando divino, per cui il vero Assuero, con mirabile approvazione e lode degli angeli, ordinò in questo giorno che fosse innalzata alla dignità di regina di tutto il creato l'umilissima Ester, cioè Maria santissima, piena di grazia e di bellezza e scelta fra tutte le figlie del genere umano per esserne la salvatrice e per essere madre del suo Creatore.

66. Per dare compimento a questo mistero, durante questa visione l'Altissimo infuse nel cuore della nostra Regina una nuova avversione per il demonio, come Ester la ebbe per Aman 5 . La conseguenza fu che lo rimosse dal suo posto, voglio dire dal dominio che aveva nel mondo, schiacciando il capo della sua superbia e trasciùandolo sino al patibolo della croce, dove egli pretendeva di distruggere e vincere l'uomo-Dio. Così fu punito e vinto egli stesso. A tutto ciò contribuì Maria santissima, come diremo a suo tempo. Infatti, poiché l'invidia di questo grande drago aveva avuto inizio fin da quando aveva visto nel cielo la donna vestita di sole, che era questa celeste Signora, la contesa continuò fino a che attraverso di lei fu privato del suo tirannico dominio. E come al posto del superbo Aman fu onorato il fedelissimo Mardocheo, così accadde al castissimo e fedelissimo Giuseppe, che si curò della salvezza della nostra divina Ester e continuamente le chiese di pregare per la liberazione del suo popolo, giacché su questo sempre vertevano i colloqui di san Giuseppe con la sua sposa purissima. Fu per lei che egli venne innalzato all'altezza di santità che ottenne e ad una dignità così eccellente da ricevere dal Re supremo l'anello con il suo sigillo, perché con esso comandasse al medesimo Dio fatto carne, il quale stava a lui sottomesso, come dice il Vangelo. Dopo ciò la nostra Regina uscì da questa visione.

 

Insegnamento che mi diede la Regina del cielo

 

67. Figlia mia, fu ammirabile il dono dell'umiltà che l'Altissimo mi concesse in questo avvenimento, di cui hai scritto. E poiché sua Maestà non rigetta chi lo chiama, né rifiuta i suoi favori a chi si dispone a riceverli, voglio che tu mi imiti e mi sia compagna nell'esercizio di questa virtù. Io non ero partecipe in alcun modo della colpa di Adamo, perché fui esente dal peccato della sua disubbidienza; tuttavia, condividendo la sua natura ed essendo, solo in quanto ad essa, sua figlia, mi umiliai sino ad annullarmi nella stima di me stessa. Di fronte a questo esempio, dunque, fino a qual punto dovrà umiliarsi chi noù solo partecipò della colpa originale, ma in seguito ne commise altre ancora senza numero? Lo scopo, poi, di questa umile consapevolezza non vuole essere soltanto quello di rimuovere la pena di queste colpe, ma anche e soprattutto quello di riparare e compensare l'onore che con esse si tolse e si negò al Signore e creatore di tutti.

68. Se un tuo fratello offendesse gravemente il tuo padre naturale, tu non saresti figlia grata e leale verso di lui, né vera sorella di tuo fratello, se non ti addolorassi e non piangessi l'affronto e il danno come fatto a te; infatti al padre devi tutta la riverenza e al fratello amore come a te stessa. Ora, o carissima, esamina con la vera luce quanta differenza c'è tra il Padre vostro che sta nei cieli e il padre naturale, considera che siete tutti figli suoi, uniti tra voi con i vincoli più stretti di fratelli, e che siete tutti servi di questo solo vero Signore. Quindi, come ti umilieresti e piangeresti con grande rossore se i tuoi fratelli naturali commettessero qualche colpa riprovevole, così voglio che tu faccia per i peccati dei mortali contro Dio, affliggendotene con vergogna come se li attribuissi a te stessa. Questo è quanto feci io conoscendo la disobbedienza di Adamo ed Eva, nonché i mali che ne conseguirono al genere umano. L'Altissimo si compiacque di tale riconoscimento e di tale carità da parte mia, poiché è molto gradito ai suoi occhi chi piange i peccati di cui si dimentica chi li commette.

69. Nello stesso tempo, per quanto grandi ed eccelsi siano i favori che ricevi dall'Altissimo, starai bene attenta a non crederti per questo fuori pericolo e non sdegnerai di attendere ed abbassarti alle opere di carità. Questo non è un lasciare Dio, poiché la fede t'insegna, e la luce speciale di cui godi ti aiuta, a portarlo con te in ogni luogo e in mezzo a qualsiasi occupazione; questo è solo un lasciare te stessa e le tue preferenze per soddisfare a quelle del tuo Signore e sposo. Bada bene, in questi affetti spirituali, di non lasciarti trasportare dall'inclinazione né da un'apparente buona intenzione o dalla soddisfazione interiore, poiché molte volte sotto questo manto si nasconde il pericolo più grande. Sempre, in questi dubbi, la santa obbedienza fa da regola e da maestra e con essa procederai nelle tue azioni con sicurezza, senza fare altra scelta. Infatti, grandi vittorie e grandi tesori di meriti sono vincolati al sincero arrendersi ed assoggettare il proprio volere a quello altrui. Tu, insomma, non devi mai né volere né non volere e con ciò canterai vittorie superando i nemici.


25-34 Marzo 31, 1929 Diritti assoluti del Divino Volere. Come la volontà umana cambiò la sorte umana e divina. Come Gesù, se l’uomo non avesse peccato, doveva venire sulla terra glorioso e con lo scettro del comando. L’uomo doveva essere il portatore del suo Creatore.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Sento in me la continua potenza del Fiat Divino che mi involge con tale impero, che non mi dà tempo alla mia morente volontà di fare il minimo atto e si gloria non di farla morire del tutto, perché se ciò facesse perderebbe il suo prestigio d’operare sopra d’una volontà umana che mentre viva, volontariamente subisce l’atto vitale del Fiat Divino sopra della sua, ed essa si contenta di vivere morendo per dar vita e dominio assoluto al Supremo Volere, che vittorioso dei suoi diritti divini, stende i suoi confini e canta vittoria sulla morente volontà della creatura, la quale sebbene morendo, sorride e si sente felice e onorata che un Voler Divino tiene il suo campo d’azione nell’anima sua. Ora mentre mi sentivo sotto l’impero del Fiat Divino, il mio dolce Gesù movendosi nel mio interno mi ha detto:

(2) “Figlia piccola del mio Voler Divino, tu devi sapere che sono diritti assoluti del mio Fiat Divino di tenere il primato su ciascun atto della creatura, e chi li nega il primato le toglie i suoi diritti divini, che le sono dovuti di giustizia, perché è creatore del voler umano. Chi può dirti figlia mia, quanto male può fare una creatura quando giunge a sottrarsi dalla Volontà del suo Creatore, vedi, bastò un’atto di sottrazione del primo uomo alla nostra Volontà Divina che giunse a cambiare la sorte delle umane generazioni, non solo ma la stessa sorte della nostra Divina Volontà. Se Adamo non avesse peccato, l’Eterno Verbo ch’è la stessa Volontà del Padre Celeste, doveva venire sulla terra glorioso, trionfante e dominatore, accompagnato visibilmente dal suo esercito angelico, che tutti dovevano vedere, e con lo splendore della sua gloria doveva affascinare tutti e attirare tutti a sé con la sua bellezza. Coronato da re e con lo scettro del comando per essere re e capo dell’umana famiglia, in modo da dargli il grande onore di poter dire: “Teniamo un re uomo e Dio”. Molto più che il tuo Gesù non scendeva dal Cielo per trovare l’uomo malato, perché se non si fosse sottratto dalla mia Volontà Divina, non dovevano esistere malattie né di anima, né di corpo, perché fu l’umana volontà che quasi affogò di pene la povera creatura; il Fiat Divino era intangibile d’ogni pena e tale doveva essere l’uomo. Quindi Io dovevo venire a trovare l’uomo felice, santo e con la pienezza dei beni con cui l’avevo creato. Invece perché volle fare la sua volontà, cambiò la nostra sorte e siccome era decretato che Io dovevo scendere sulla terra, e quando la Divinità decreta, non c’è chi la sposta, solo cambiai modo e aspetto, ma vi scesi, ma sotto spoglie umilissime, povero, senza nessun apparato di gloria, sofferente e piangendo e carico di tutte le miserie e pene dell’uomo. La volontà umana mi faceva venire a trovare l’uomo infelice, cieco, sordo e muto, pieno di tutte le miserie, ed Io per guarirlo le dovevo prendere sopra di Me, e per non incuterli spavento, dovevo mostrarmi come uno di loro, per affratellarli e darli le medicine e rimedi che ci volevano. Sicché l’umano volere tiene la potenza di rendersi felice o infelice, santo o peccatore, sano o malato. Vedi dunque se l’anima si decide di fare sempre, sempre, la mia Divina Volontà e di vivere in Essa, cambierà la sua sorte e la mia Divina Volontà si slancerà sopra la creatura, la farà sua preda e dandogli il bacio della Creazione, cambierà aspetto e modo, e stringendola al suo seno gli dirà: “Mettiamo tutti da parte, per te e per Me sono ritornati i primi tempi della Creazione, tutto sarà felicità tra te e Me, vivrai in casa nostra, come figlia nostra, nell’abbondanza dei beni del tuo Creatore”. Senti mia piccola neonata della mia Divina Volontà, se l’uomo non avesse peccato, non si fosse sottratto dalla mia Divina Volontà, Io sarei venuto sulla terra, ma sai come? Pieno di maestà, come quando risuscitai dalla morte, che sebbene avessi la mia Umanità simile all’uomo, unita all’Eterno Verbo, ma con quale diversità la mia Umanità risuscitata era glorificata, vestita di luce, non soggetta né a patire, né a morire, ero il divino trionfatore. Invece la mia Umanità, prima di morire era soggetta, sebbene volontariamente, a tutte le pene, anzi fui l’uomo dei dolori. E siccome l’uomo aveva ancora gli occhi abbacinati dall’umano volere, e quindi ancor malato, pochi furono quelli che mi videro risuscitato, che servì per confermare la mia Risurrezione. Quindi me ne salì al Cielo per dare il tempo all’uomo di prendere i rimedi e le medicine, affinché guarisse e si disponesse a conoscere la mia Divina Volontà, per vivere non della sua, ma della mia, e così potrò farmi vedere pieno di maestà e di gloria in mezzo ai figli del mio regno. Perciò la mia Resurrezione è la conferma del Fiat Voluntas Tua come in Cielo così in terra. Dopo un sì lungo dolore sofferto dalla mia Divina Volontà per tanti secoli, di non tenere il suo regno sulla terra, il suo assoluto dominio, era giusto che la mia Umanità mettesse in salvo i suoi diritti divini e realizzasse il mio ed il suo scopo primiero di formare il suo regno in mezzo alle creature.

(3) Oltre di ciò, tu devi sapere, per maggiormente confermarti come la volontà umana cambiò la sorte sua e quella della Divina Volontà a suo riguardo. In tutta la storia del mondo due solo hanno vissuto di Volontà Divina senza mai fare la loro, e fu la Sovrana Regina ed Io, e la distanza, la diversità, tra Noi e le altre creature è infinita, tanto che neppure i nostri corpi lasciarono sulla terra, erano serviti come reggia al Fiat Divino ed Esso si sentiva inseparabile dai nostri corpi e perciò reclamò e con la sua forza imperante rapì i nostri corpi insieme con le anime nostre nella sua patria celeste. Ed il perché di tutto ciò? Tutta la ragione sta perché mai la nostra volontà umana ebbe un’atto di vita, ma tutto il dominio ed il suo campo d’azione fu solo della mia Divina Volontà. La sua potenza è infinita, il suo amore è insuperabile”.

(4) Dopo ciò ha fatto silenzio ed io mi sentivo che nuotavo nel mare del Fiat, ed oh! quante cose comprendevo, ed il mio dolce Gesù ha soggiunto:

(5) “Figlia mia, col non fare la mia Divina Volontà, la creatura mette in scompiglio l’ordine che tenne la Divina Maestà nella Creazione, disonora sé stessa, scende nel basso, si mette a distanza col suo Creatore, perde il principio, il mezzo e la fine di quella Vita Divina che con tanto amore le venne infusa nell’atto d’essere creata. Noi amavamo tanto quest’uomo, che mettevamo in lui, come principio di vita la nostra Divina Volontà, volevamo sentirci rapire da lui, volevamo sentire in lui la nostra forza, la nostra potenza, la nostra felicità, il nostro stesso eco continuo, e chi mai poteva farci sentire e vedere tutto ciò, se non la nostra Divina Volontà bilocata in lui? Volevamo vedere nell’uomo il portatore del suo Creatore, il quale doveva renderlo felice nel tempo e nell’eternità. Perciò il non fare la nostra Divina Volontà, sentimmo al vivo il gran dolore della nostra opera disordinata, il nostro eco finì, la nostra forza rapitrice che doveva rapirci per dargli nuove sorprese di felicità si convertì in debolezza, insomma si capovolse. Ecco perciò che non possiamo tollerare un tal disordine nell’opera nostra, e se tanto ho detto sul mio Fiat Divino è proprio questo lo scopo, che vogliamo mettere l’uomo nell’ordine, affinché ritorni sui primi passi della sua creazione, e scorrendo in lui l’umore vitale del nostro Volere forma di nuovo il nostro portatore, la nostra reggia sulla terra, la sua e la nostra felicità”.