Sotto il Tuo Manto

Martedi, 10 giugno 2025 - Santa Faustina di Cizico (Letture di oggi)

Sì, con una preghiera fatta bene, possiamo comandare al cielo e alla terra; tutto ci obbedirà . (Santo Curato d'Ars (San Giovanni Maria Vianney))

Liturgia delle Ore - Letture

Mercoledi della 1° settimana del tempo ordinario

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Matteo 8

1Quando Gesù fu sceso dal monte, molta folla lo seguiva.2Ed ecco venire un lebbroso e prostrarsi a lui dicendo: "Signore, se vuoi, tu puoi sanarmi".3E Gesù stese la mano e lo toccò dicendo: "Lo voglio, sii sanato". E subito la sua lebbra scomparve.4Poi Gesù gli disse: "Guardati dal dirlo a qualcuno, ma va' a mostrarti al sacerdote e presenta l'offerta prescritta da Mosè, e ciò serva come testimonianza per loro".

5Entrato in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava:6"Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente".7Gesù gli rispose: "Io verrò e lo curerò".8Ma il centurione riprese: "Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito.9Perché anch'io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va', ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fa' questo, ed egli lo fa".
10All'udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: "In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande.11Ora vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli,12mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti".13E Gesù disse al centurione: "Va', e sia fatto secondo la tua fede". In quell'istante il servo guarì.

14Entrato Gesù nella casa di Pietro, vide la suocera di lui che giaceva a letto con la febbre.15Le toccò la mano e la febbre scomparve; poi essa si alzò e si mise a servirlo.

16Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati,17perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:

'Egli ha preso le nostre infermità
e si è addossato le nostre malattie.'

18Vedendo Gesù una gran folla intorno a sé, ordinò di passare all'altra riva.19Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: "Maestro, io ti seguirò dovunque tu andrai".20Gli rispose Gesù: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo".
21E un altro dei discepoli gli disse: "Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre".22Ma Gesù gli rispose: "Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti".

23Essendo poi salito su una barca, i suoi discepoli lo seguirono.24Ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era ricoperta dalle onde; ed egli dormiva.25Allora, accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: "Salvaci, Signore, siamo perduti!".26Ed egli disse loro: "Perché avete paura, uomini di poca fede?" Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia.27I presenti furono presi da stupore e dicevano: "Chi è mai costui al quale i venti e il mare obbediscono?".

28Giunto all'altra riva, nel paese dei Gadarèni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli vennero incontro; erano tanto furiosi che nessuno poteva più passare per quella strada.29Cominciarono a gridare: "Che cosa abbiamo noi in comune con te, Figlio di Dio? Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?".
30A qualche distanza da loro c'era una numerosa mandria di porci a pascolare;31e i demòni presero a scongiurarlo dicendo: "Se ci scacci, mandaci in quella mandria".32Egli disse loro: "Andate!". Ed essi, usciti dai corpi degli uomini, entrarono in quelli dei porci: ed ecco tutta la mandria si precipitò dal dirupo nel mare e perì nei flutti.33I mandriani allora fuggirono ed entrati in città raccontarono ogni cosa e il fatto degli indemoniati.34Tutta la città allora uscì incontro a Gesù e, vistolo, lo pregarono che si allontanasse dal loro territorio.


Genesi 5

1Questo è il libro della genealogia di Adamo. Quando Dio creò l'uomo, lo fece a somiglianza di Dio;2maschio e femmina li creò, li benedisse e li chiamò uomini quando furono creati.3Adamo aveva centotrenta anni quando generò a sua immagine, a sua somiglianza, un figlio e lo chiamò Set.4Dopo aver generato Set, Adamo visse ancora ottocento anni e generò figli e figlie.5L'intera vita di Adamo fu di novecentotrenta anni; poi morì.
6Set aveva centocinque anni quando generò Enos;7dopo aver generato Enos, Set visse ancora ottocentosette anni e generò figli e figlie.8L'intera vita di Set fu di novecentododici anni; poi morì.
9Enos aveva novanta anni quando generò Kenan;10Enos, dopo aver generato Kenan, visse ancora ottocentoquindici anni e generò figli e figlie.11L'intera vita di Enos fu di novecentocinque anni; poi morì.
12Kenan aveva settanta anni quando generò Maalaleèl;13Kenan dopo aver generato Maalaleèl visse ancora ottocentoquaranta anni e generò figli e figlie.14L'intera vita di Kenan fu di novecentodieci anni; poi morì.
15Maalaleèl aveva sessantacinque anni quando generò Iared;16Maalaleèl dopo aver generato Iared, visse ancora ottocentotrenta anni e generò figli e figlie.17L'intera vita di Maalaleèl fu di ottocentonovantacinque anni; poi morì.
18Iared aveva centosessantadue anni quando generò Enoch;19Iared, dopo aver generato Enoch, visse ancora ottocento anni e generò figli e figlie.20L'intera vita di Iared fu di novecentosessantadue anni; poi morì.
21Enoch aveva sessantacinque anni quando generò Matusalemme.22Enoch camminò con Dio; dopo aver generato Matusalemme, visse ancora per trecento anni e generò figli e figlie.23L'intera vita di Enoch fu di trecentosessantacinque anni.24Poi Enoch cammino con Dio e non fu più perché Dio l'aveva preso.
25Matusalemme aveva centottantasette anni quando generò Lamech;26Matusalemme, dopo aver generato Lamech, visse ancora settecentottantadue anni e generò figli e figlie.27L'intera vita di Matusalemme fu di novecentosessantanove anni; poi morì.
28Lamech aveva centottantadue anni quando generò un figlio29e lo chiamò Noè, dicendo: "Costui ci consolerà del nostro lavoro e della fatica delle nostre mani, a causa del suolo che il Signore ha maledetto".30Lamech, dopo aver generato Noè, visse ancora cinquecentonovantacinque anni e generò figli e figlie.31L'intera vita di Lamech fu di settecentosettantasette anni; poi morì.
32Noè aveva cinquecento anni quando generò Sem, Cam e Iafet.


Salmi 10

1'Al maestro del coro. In sordina. Salmo. Di Davide.'

2Loderò il Signore con tutto il cuore
e annunzierò tutte le tue meraviglie.
3Gioisco in te ed esulto,
canto inni al tuo nome, o Altissimo.

4Mentre i miei nemici retrocedono,
davanti a te inciampano e periscono,
5perché hai sostenuto il mio diritto e la mia causa;
siedi in trono giudice giusto.

6Hai minacciato le nazioni, hai sterminato l'empio,
il loro nome hai cancellato in eterno, per sempre.
7Per sempre sono abbattute le fortezze del nemico,
è scomparso il ricordo delle città che hai distrutte.

8Ma il Signore sta assiso in eterno;
erige per il giudizio il suo trono:
9giudicherà il mondo con giustizia,
con rettitudine deciderà le cause dei popoli.

10Il Signore sarà un riparo per l'oppresso,
in tempo di angoscia un rifugio sicuro.
11Confidino in te quanti conoscono il tuo nome,
perché non abbandoni chi ti cerca, Signore.

12Cantate inni al Signore, che abita in Sion,
narrate tra i popoli le sue opere.
13Vindice del sangue, egli ricorda,
non dimentica il grido degli afflitti.

14Abbi pietà di me, Signore,
vedi la mia miseria, opera dei miei nemici,
tu che mi strappi dalle soglie della morte,
15perché possa annunziare le tue lodi,
esultare per la tua salvezza
alle porte della città di Sion.

16Sprofondano i popoli nella fossa che hanno scavata,
nella rete che hanno teso si impiglia il loro piede.
17Il Signore si è manifestato, ha fatto giustizia;
l'empio è caduto nella rete, opera delle sue mani.

18Tornino gli empi negli inferi,
tutti i popoli che dimenticano Dio.
19Perché il povero non sarà dimenticato,
la speranza degli afflitti non resterà delusa.

20Sorgi, Signore, non prevalga l'uomo:
davanti a te siano giudicate le genti.
21Riempile di spavento, Signore,
sappiano le genti che sono mortali.

22Perché, Signore, stai lontano,
nel tempo dell'angoscia ti nascondi?
23Il misero soccombe all'orgoglio dell'empio
e cade nelle insidie tramate.
24L'empio si vanta delle sue brame,
l'avaro maledice, disprezza Dio.
25L'empio insolente disprezza il Signore:
"Dio non se ne cura: Dio non esiste";
questo è il suo pensiero.

26Le sue imprese riescono sempre.
Son troppo in alto per lui i tuoi giudizi:
disprezza tutti i suoi avversari.

27Egli pensa: "Non sarò mai scosso,
vivrò sempre senza sventure".
28Di spergiuri, di frodi e d'inganni ha piena la bocca,
sotto la sua lingua sono iniquità e sopruso.
29Sta in agguato dietro le siepi,
dai nascondigli uccide l'innocente.
30I suoi occhi spiano l'infelice,
sta in agguato nell'ombra come un leone nel covo.
Sta in agguato per ghermire il misero,
ghermisce il misero attirandolo nella rete.
31Infierisce di colpo sull'oppresso,
cadono gl'infelici sotto la sua violenza.
32Egli pensa: "Dio dimentica,
nasconde il volto, non vede più nulla".

33Sorgi, Signore, alza la tua mano,
non dimenticare i miseri.
34Perché l'empio disprezza Dio
e pensa: "Non ne chiederà conto"?

35Eppure tu vedi l'affanno e il dolore,
tutto tu guardi e prendi nelle tue mani.
A te si abbandona il misero,
dell'orfano tu sei il sostegno.
Spezza il braccio dell'empio e del malvagio;
36Punisci il suo peccato e più non lo trovi.

37Il Signore è re in eterno, per sempre:
dalla sua terra sono scomparse le genti.
38Tu accogli, Signore, il desiderio dei miseri,
rafforzi i loro cuori, porgi l'orecchio
39per far giustizia all'orfano e all'oppresso;
e non incuta più terrore l'uomo fatto di terra.


Salmi 141

1'Salmo. Di Davide.'

Signore, a te grido, accorri in mio aiuto;
ascolta la mia voce quando t'invoco.
2Come incenso salga a te la mia preghiera,
le mie mani alzate come sacrificio della sera.

3Poni, Signore, una custodia alla mia bocca,
sorveglia la porta delle mie labbra.
4Non lasciare che il mio cuore si pieghi al male
e compia azioni inique con i peccatori:
che io non gusti i loro cibi deliziosi.
5Mi percuota il giusto e il fedele mi rimproveri,
ma l'olio dell'empio non profumi il mio capo;
tra le loro malvagità continui la mia preghiera.

6Dalla rupe furono gettati i loro capi,
che da me avevano udito dolci parole.
7Come si fende e si apre la terra,
le loro ossa furono disperse alla bocca degli inferi.

8A te, Signore mio Dio, sono rivolti i miei occhi;
in te mi rifugio, proteggi la mia vita.
9Preservami dal laccio che mi tendono,
dagli agguati dei malfattori.
10Gli empi cadono insieme nelle loro reti,
ma io passerò oltre incolume.


Ezechiele 25

1Mi fu rivolta questa parola del Signore:2"Figlio dell'uomo, rivolgiti agli Ammoniti e predici contro di loro.3Annunzierai agli Ammoniti: Udite la parola del Signore Dio. Dice il Signore Dio: Poiché tu hai esclamato: Ah! Ah! riguardo al mio santuario poiché è stato profanato, riguardo al paese di Israele perché è stato devastato, e riguardo alla casa di Giuda perché condotta in esilio,4per questo:

Ecco, io ti do in mano ai figli d'oriente.
Metteranno in te i loro accampamenti,
e in mezzo a te pianteranno le loro tende:
mangeranno i tuoi frutti e berranno il tuo latte.
5Farò di Rabbà una stalla da cammelli
e delle città di Ammòn un ovile per pecore.
Allora saprete che io sono il Signore".
6Perché dice il Signore Dio:
"Siccome hai battuto le mani,
hai pestato i piedi in terra e hai gioito in cuor tuo
con pieno disprezzo per il paese d'Israele,
7per questo, eccomi:
Io stendo la mano su di te
e ti darò in preda alle genti;
ti sterminerò dai popoli
e ti cancellerò dal numero delle nazioni.
Ti annienterò e allora saprai che io sono il Signore".

8Dice il Signore Dio:
"Poiché Moab e Seir hanno detto:
Ecco, la casa di Giuda è come tutti gli altri popoli,
9ebbene, io apro il fianco di Moab,
in tutto il suo territorio anniento le sue città,
decoro del paese,
Bet-Iesimòt, Baal-Meòn, Kiriatàim,
10e le do in possesso ai figli d'oriente,
come diedi loro gli Ammoniti,
perché non siano più ricordati fra i popoli.
11Così farò giustizia di Moab
e sapranno che io sono il Signore".

12Dice il Signore Dio: "Poiché Edom ha sfogato crudelmente la sua vendetta contro la casa di Giuda e s'è reso colpevole vendicandosi su di essa,13per questo, così dice il Signore Dio:

Anch'io stenderò la mano su Edom,
sterminerò in esso uomini e bestie
e lo ridurrò a un deserto.
Da Teman fino a Dedan cadranno di spada.
14La mia vendetta su Edom la compirò
per mezzo del mio popolo, Israele,
che tratterà Edom secondo la mia ira e il mio sdegno.
Si conoscerà così la mia vendetta".
Oracolo del Signore Dio.

15Dice il Signore Dio: "Poiché i Filistei si son vendicati con animo pieno di odio e si son dati a sterminare, mossi da antico rancore,16per questo, così dice il Signore Dio:

Ecco, io stendo la mano sui Filistei,
sterminerò i Cretei e annienterò
il resto degli abitanti sul mare.
17Farò su di loro terribili vendette,
castighi furiosi,
e sapranno che io sono il Signore,
quando eseguirò su di loro la vendetta".


Lettera agli Ebrei 6

1Perciò, lasciando da parte l'insegnamento iniziale su Cristo, passiamo a ciò che è più completo, senza gettare di nuovo le fondamenta della rinunzia alle opere morte e della fede in Dio,2della dottrina dei battesimi, dell'imposizione delle mani, della risurrezione dei morti e del giudizio eterno.3Questo noi intendiamo fare, se Dio lo permette.
4Quelli infatti che sono stati una volta illuminati, che hanno gustato il dono celeste, sono diventati partecipi dello Spirito Santo5e hanno gustato la buona parola di Dio e le meraviglie del mondo futuro.6Tuttavia se sono caduti, è impossibile rinnovarli una seconda volta portandoli alla conversione, dal momento che per loro conto crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all'infamia.7Infatti una terra imbevuta della pioggia che spesso cade su di essa, se produce erbe utili a quanti la coltivano, riceve benedizione da Dio;8ma se 'produce pruni e spine', non ha alcun valore ed è vicina 'alla maledizione': sarà infine arsa dal fuoco!

9Quanto a voi però, carissimi, anche se parliamo così, siamo certi che sono in voi cose migliori e che portano alla salvezza.10Dio infatti non è ingiusto da dimenticare il vostro lavoro e la carità che avete dimostrato verso il suo nome, con i servizi che avete reso e rendete tuttora ai santi.11Soltanto desideriamo che ciascuno di voi dimostri il medesimo zelo perché la sua speranza abbia compimento sino alla fine,12e perché non diventiate pigri, ma piuttosto imitatori di coloro che con la fede e la perseveranza divengono eredi delle promesse.
13Quando infatti Dio fece la promessa ad Abramo, non potendo giurare per uno superiore a sé, 'giurò per se stesso',14dicendo: 'Ti benedirò e ti moltiplicherò molto'.15Così, avendo perseverato, Abramo conseguì la promessa.16Gli uomini infatti giurano per qualcuno maggiore di loro e per loro il giuramento è una garanzia che pone fine ad ogni controversia.17Perciò Dio, volendo mostrare più chiaramente agli eredi della promessa l'irrevocabilità della sua decisione, intervenne con un giuramento18perché grazie a due atti irrevocabili, nei quali è impossibile che Dio mentisca, noi che abbiamo cercato rifugio in lui avessimo un grande incoraggiamento nell'afferrarci saldamente alla speranza che ci è posta davanti.19In essa infatti noi abbiamo come un'àncora della nostra vita, sicura e salda, la quale penetra fin nell'interno del velo del santuario,20dove Gesù è entrato per noi come precursore, essendo divenuto sommo sacerdote 'per sempre alla maniera di Melchìsedek'.


Capitolo III: L'ammaestramento della verità

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 1.     Felice colui che viene ammaestrato direttamente dalla verità, così come essa è, e non per mezzo di immagini o di parole umane; ché la nostra intelligenza e la nostra sensibilità spesso ci ingannano, e sono di corta veduta. A chi giova un'ampia e sottile discussione intorno a cose oscure e nascoste all'uomo; cose per le quali, anche se le avremo ignorate, non saremo tenuti responsabili, nel giudizio finale? Grande nostra stoltezza: trascurando ciò che ci è utile, anzi necessario, ci dedichiamo a cose che attirano la nostra curiosità e possono essere causa della nostra dannazione. "Abbiamo occhi e non vediamo" (Ger 5,21). Che c'importa del problema dei generi e delle specie? Colui che ascolta la parola eterna si libera dalle molteplici nostre discussioni. Da quella sola parola discendono tutte le cose e tutte le cose proclamano quella sola parola; essa è "il principio" che continuo a parlare agli uomini (Gv 8,25). Nessuno capisce, nessuno giudica rettamente senza quella parola. Soltanto chi sente tutte le cose come una cosa sola, e le porta verso l'unità e le vede tutte nell'unità, può avere tranquillità interiore e abitare in Dio nella pace. O Dio, tu che sei la verità stessa, fa' che io sia una cosa sola con te, in un amore senza fine. Spesso mi stanco di leggere molte cose, o di ascoltarle: quello che io voglio e desidero sta tutto in te. Tacciano tutti i maestri, tacciano tutte le creature, dinanzi a te: tu solo parlami.

   2.     Quanto più uno si sarà fatto interiormente saldo e semplice, tanto più agevolmente capirà molte cose, e difficili, perché dall'alto egli riceverà lume dell'intelletto. Uno spirito puro, saldo e semplice non si perde anche se si adopera in molteplici faccende, perché tutto egli fa a onore di Dio, sforzandosi di astenersi da ogni ricerca di sé. Che cosa ti lega e ti danneggia di più dei tuoi desideri non mortificati? L'uomo retto e devoto prepara prima, interiormente, le opere esterne che deve compiere. Così non saranno queste ad indurlo a desideri volti al male; ma sarà lui invece che piegherà le sue opere alla scelta fatta dalla retta ragione. Nessuno sostiene una lotta più dura di colui che cerca di vincere se stesso. Questo appunto dovrebbe essere il nostro impegno: vincere noi stessi, farci ogni giorno superiori a noi stessi e avanzare un poco nel bene.

   3.     In questa vita ogni nostra opera, per quanto buona, è commista a qualche imperfezione; ogni nostro ragionamento, per quanto profondo, presenta qualche oscurità. Perciò la constatazione della tua bassezza costituisce una strada che conduce a Dio più sicuramente che una dotta ricerca filosofica. Non già che sia una colpa lo studio, e meno ancora la semplice conoscenza delle cose - la quale è, in se stessa, un ben ed è voluta da Dio -; ma è sempre cosa migliore una buona conoscenza di sé e una vita virtuosa. Infatti molti vanno spesso fuori della buona strada e non danno frutto alcuno, o scarso frutto, di bene, proprio perché si preoccupano più della loro scienza che della santità della loro vita. Che se la gente mettesse tanta attenzione nell'estirpare i vizi e nel coltivare le virtù, quanta ne mette nel sollevare sottili questioni filosofiche non ci sarebbero tanti mali e tanti scandali tra la gente; e nei conviventi non ci sarebbe tanta dissipazione. Per certo, quando sarà giunto il giorno del giudizio, non ci verrà chiesto che cosa abbiamo studiato, ma piuttosto che cosa abbiamo fatto; né ci verrà chiesto se abbiamo saputo parlare bene, ma piuttosto se abbiamo saputo vivere devotamente. Dimmi: dove si trovano ora tutti quei capiscuola e quei maestri, a te ben noti mentre erano in vita, che brillavano per i loro studi? Le brillanti loro posizioni sono ora tenute da altri; e non è detto che questi neppure si ricordino di loro. Quando erano vivi sembravano essere un gran che; ma ora di essi non si fa parola. Oh, quanto rapidamente passa la gloria di questo mondo! E voglia il cielo che la loro vita sia stata all'altezza del loro sapere; in questo caso non avrebbero studiato e insegnato invano. Quanti uomini si preoccupano ben poco di servire Iddio, e si perdono a causa di un vano sapere ricercato nel mondo. Essi scelgono per sé la via della grandezza, piuttosto di quella dell'umiltà; perciò si disperde la loro mente (Rm 1,21). Grande è, in verità, colui che ha grande amore; colui che si ritiene piccolo e non tiene in alcun conto anche gli onori più alti. Prudente è, in verità, colui che considera sterco ogni cosa terrena, al fine di guadagnarsi Cristo (Fil 3,8). Dotto, nel giusto senso della parola, è, in verità, colui che fa la volontà di Dio, buttando in un canto la propria volontà.


LIBRO SETTIMO

La Trinità - Sant'Agostino

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Agostino riprende il problema: Ciascuna persona è per se stessa sapienza?

1. 1. Ed ora investighiamo con maggior diligenza, nella misura in cui Dio lo concederà, il problema che poco fa abbiamo lasciato in sospeso: nella Trinità ciascuna Persona può essere - per se stessa e indipendentemente dalle altre due - chiamata Dio, o grande, o sapiente, o verace, o onnipotente, o giusto, o qualsiasi altro appellativo applicabile a Dio, non in senso relativo ma in senso assoluto? Oppure queste espressioni si debbono usare soltanto quando si pensa alla Trinità? La difficoltà nasce dal testo: Cristo è forza di Dio e sapienza di Dio 1. Ci si chiede se Dio è padre della sua sapienza e della sua forza in modo che egli sia sapiente per la sapienza che ha generato e potente per la forza che ha generato e se, poiché è sempre potente e sapiente 2, sempre abbia generato la forza e la sapienza. Se le cose stanno così, dicevamo, perché non sarebbe padre anche della sua grandezza per la quale è grande, della sua bontà per la quale è buono, della giustizia per la quale è giusto, e così degli altri attributi, se ve ne sono? E se tutto ciò, sotto nomi diversi, è compreso nella stessa sapienza e forza in modo che la grandezza sia la stessa cosa che la forza, la bontà la stessa cosa che la sapienza, ed ancora la sapienza la stessa cosa che la forza, come abbiamo già mostrato nella nostra trattazione, ci ricorderemo, quando nomino uno di questi attributi, di prenderlo come se li nominassi tutti. Ci si chiede dunque se il Padre, anche considerato come persona singola, sia sapiente e se è per se stesso la propria sapienza, ovvero se è sapiente come "dicente". Infatti è dicente con il Verbo che ha generato 3, ma non con il verbo che si pronuncia, risuona e passa, bensì con il Verbo che era presso Dio, e il Verbo era Dio 4, e tutte le cose furono fatte per mezzo di lui 5. Con il Verbo uguale a lui, con il quale sempre e immutabilmente dice se stesso. Il Padre infatti non è Verbo, come non è nemmeno Figlio, né Immagine. Egli è invece "dicente" (escludiamo le parole passeggere che Dio fa udire alle creature; infatti queste risuonano e passano) "dicente", ripeto, con quel Verbo che è a lui coeterno e, come tale, non si considera a parte ma in unione con lo stesso Verbo, senza il quale evidentemente non è "dicente". È dunque sapiente allo stesso modo che "dicente", così che sia sapienza come Verbo ed essere Verbo equivalga ad essere sapienza, e altresì ad essere forza e s’identifichino forza, sapienza e Verbo e tutto ciò si predichi relativamente come Figlio e Immagine? Così il Padre non sarebbe né sapiente né potente considerato singolarmente, ma solo in unione con la forza e la sapienza che ha generato, come non è "dicente" considerato a parte, ma per quel Verbo e con quel Verbo che ha generato, e così pure grande per quella grandezza e con quella grandezza che ha generato? Se ciò per cui il Padre è grande non è diverso da ciò per cui è Dio, ma è grande per ciò per cui è Dio, perché per lui essere grande ed essere Dio è la stessa cosa, ne consegue che non è nemmeno Dio da solo, ma per quella deità e con quella deità che ha generato. Allora il Figlio sarebbe la deità del Padre, come è la forza e la sapienza del Padre, come anche è il Verbo e l’Immagine del Padre 6. E poiché per lui non è cosa diversa essere ed essere Dio, il Figlio sarebbe anche l’essenza del Padre, come è il suo Verbo e la sua Immagine. E perciò il Padre non soltanto non sarebbe Padre, ma non sarebbe nulla affatto, se non a condizione di avere un Figlio, e così non solo la sua paternità, che evidentemente non ha significato assoluto bensì relativo al Figlio, essendo Padre precisamente perché ha un Figlio, ma anche ciò che egli è per se stesso assolutamente dipende dall’aver egli generato la sua essenza. Come egli non è grande che per la grandezza che ha generato, così non è che per l’essenza che ha generato, perché essere ed essere grande è per lui una stessa cosa. Ma allora è padre della sua essenza, come è padre della sua grandezza, come è padre della sua forza e della sua sapienza, dato che la sua grandezza è la stessa cosa che la sua forza e la sua essenza è la stessa cosa che la sua grandezza?

 

Soluzione del problema: il Figlio è sapienza da sapienza come luce da luce

1. 2. Questa discussione è nata dall’affermazione della Scrittura: Cristo è la forza di Dio e la sapienza di Dio 7. Il nostro modo di esprimerci è per questo fatto come chiuso nella morsa di precise alternative, quando intendiamo esprimere l’ineffabile: o negare che Cristo sia la forza di Dio e la sapienza di Dio, e così metterci in opposizione con l’affermazione dell’Apostolo, ciò che costituisce un’impudenza e un’empietà; oppure ammettere che Cristo è la forza di Dio e la sapienza di Dio, ma senza affermare che il Padre sia padre della sua forza e della sua sapienza, cosa non meno empia, perché allora egli non sarebbe padre nemmeno di Cristo, poiché Cristo è la forza di Dio e la sapienza di Dio; o riconoscere che il Padre non è potente per la sua forza, né sapiente per la sua sapienza (ma chi oserà dirlo?); ovvero pensare che nel Padre essere ed essere sapiente siano cose diverse in modo che sia diverso ciò per cui egli è e ciò per cui è sapiente, come si pensa comunemente dell’anima che è talvolta insensata, altra volta sapiente alla maniera di una sostanza mutevole e non sommamente e perfettamente semplice; oppure ammettere che il Padre non è una realtà assoluta e che non solo in quanto è Padre, ma in quanto semplicemente esiste è relativo al Figlio. Come allora il Figlio è della stessa essenza del Padre, se questi in senso assoluto non è essenza, né in sé esiste in alcun modo, essendo per lui l’esistenza stessa relativa al Figlio? Al contrario, invece: il Figlio è tanto più di una medesima essenza con il Padre, perché il Padre e il Figlio sono una sola e medesima essenza. Il Padre non esiste in senso assoluto, ma relativamente al Figlio come essenza che egli ha generato e per la quale egli è tutto ciò che è. Nessuno dei due, dunque, è per se stesso e ciascuno dei due si dice relativamente all’altro, oppure solo per il Padre è vero che non soltanto la sua paternità, ma semplicemente tutto ciò che si predica di lui, gli si attribuisce relativamente al Figlio, mentre questi avrebbe anche attributi assoluti? Se fosse così, quali gli attributi assoluti? Forse la stessa essenza? Ma il Figlio è l’essenza del Padre, come egli è la forza e la sapienza del Padre, come è il Verbo e l’Immagine del Padre 8. Se, al contrario, il Figlio è detto essenza in senso assoluto, allora il Padre non è l’essenza, ma il genitore dell’essenza ed egli non esiste di per se stesso, ma per quella stessa essenza che ha generato, alla stessa maniera che è grande per quella stessa grandezza che ha generato. Allora però il Figlio sarebbe chiamato in senso assoluto anche grandezza, e dunque forza, sapienza, Verbo ed Immagine. Ma che cosa vi è di più assurdo che parlare di una immagine assoluta? Se Immagine e Verbo non sono la stessa cosa che forza e sapienza, perché i primi due termini hanno un significato relativo, i secondi due assoluto, senza rapporto ad un’altra cosa, il Padre non inizia ad essere sapiente per la sapienza che ha generato, perché non si può affermare che il Padre dica relazione alla sapienza, mentre questa non direbbe relazione a lui. Infatti tutti i termini correlativi si predicano scambievolmente. Non resta altra alternativa che anche per la sua essenza il Figlio si dica relativamente al Padre e si giunge così a questo senso del tutto inaspettato che l’essenza non è essenza o, almeno, che quando si parla di essenza è la relazione e non l’essenza che si designa. Come quando, per esempio, si dice "padrone" non si indica l’essenza, ma la relazione in rapporto allo "schiavo"; al contrario quando si dice "uomo", o qualcosa di simile, il cui significato è assoluto, non relativo, allora si designa l’essenza. Quando perciò un uomo si dice "padrone", essenza è l’uomo stesso, padrone s’intende quindi relativamente: uomo infatti ha senso assoluto, padrone senso relativo allo schiavo. Ora, per tornare al nostro problema, se l’essenza stessa si prende in un senso relativo, la stessa essenza non è più essenza. Inoltre ogni essenza designata in senso relativo è pure qualcosa indipendentemente dalla relazione. Per esempio, nelle espressioni "uomo padrone", "uomo schiavo", "cavallo da tiro", "moneta caparra": "uomo", "cavallo", "moneta" sono termini assoluti, sono sostanze od essenze; invece "padrone", "schiavo", "da tiro", "caparra" sono termini che hanno un senso relativo. Ma se non ci fosse l’uomo, cioè una sostanza, non ci sarebbe alcuno che potesse venir chiamato "padrone" in senso relativo; se il cavallo non fosse un’essenza, non vi sarebbe nulla che si possa chiamare "da tiro" in senso relativo; così pure se la moneta non fosse una sostanza non potrebbe chiamarsi nemmeno "caparra" in senso relativo. Perciò anche il Padre, se non è nulla di assoluto, non può essere nemmeno alcunché di relativo 9. Non succede qui come per il colore che è relativo all’oggetto colorato. Non esiste assolutamente un colore assoluto; il colore è sempre il colore di qualcosa di colorato. Mentre l’oggetto al quale appartiene il colore, anche se in quanto oggetto colorato dice relazione al colore, in quanto corpo è qualcosa di assoluto. In nessun modo possiamo pensare così il Padre: che egli non sia nulla di assoluto, ma che tutto si dica di lui in senso relativo al Figlio; che il Figlio invece sia e qualcosa di assoluto in se stesso e qualcosa di relativo al Padre; assoluto evidentemente quando si dice grandezza grande e forte potenza; relativo al Padre, quando si dice grandezza e forza del Padre grande e potente; grandezza e forza cioè per cui il Padre è grande e potente. Questo non è dunque vero; ma l’uno e l’altro sono sostanza, e l’uno e l’altro sono la stessa sostanza. Ma come è assurdo affermare che la bianchezza non è bianca, così è assurdo affermare che la sapienza non è sapiente; e come la bianchezza è bianca in senso assoluto, così la sapienza è sapiente in senso assoluto. La bianchezza del corpo però non è un’essenza, perché è il corpo che è l’essenza e la bianchezza ne è la qualità. Perciò è per la bianchezza che il corpo è bianco, perché per il corpo essere non è la stessa cosa che essere bianco. Qui infatti una cosa è la forma, un’altra il colore e né l’una, né l’altra sono in se stesse, ma in una certa massa, massa che non è né la forma né il colore, ma è formata e colorata. La sapienza al contrario è sapiente, e sapiente di per se stessa, e poiché ogni anima diventa sapiente solo per partecipazione alla sapienza, se ridiventa insensata, nondimeno la sapienza rimane in se stessa, e quando anche l’anima dovesse mutare nel senso dell’insipienza, essa non muta. Non succede per colui che essa rende sapiente la stessa cosa che per la bianchezza nel corpo che essa fa bianco. Quando il corpo sarà stato mutato da un colore in un altro, non rimane quella bianchezza ma scompare totalmente. Ora, se il Padre che ha generato la sapienza è sapiente 10 per essa, se per lui essere, ed essere sapiente non è la stessa cosa, il Figlio è una sua qualità, non la sua prole e non vi sarà più qui una suprema semplicità. Ma non sia mai che si pensi che sia così: là vi è l’essenza supremamente semplice e là dunque essere ed essere sapiente si identificano. Ma se là essere ed essere sapiente sono la stessa cosa, non è la sapienza che egli ha generato che fa il Padre sapiente, altrimenti non lui avrebbe generato essa, ma essa lui. Che altro infatti diciamo, quando diciamo: per lui essere è essere sapiente, se non: è sapiente per ciò per cui è? Di conseguenza la causa che fa sì che sia sapiente è la stessa causa che fa sì che egli sia. Pertanto se la sapienza che il Padre ha generato è la causa che fa sì che egli sia sapiente, essa è anche la causa che fa sì che egli sia. E questo non è possibile se non in quanto lo genera e lo crea. Ma nessuno chiamerà mai la sapienza né generatrice, né creatrice del Padre. Che vi è infatti di più insensato? Dunque il Padre stesso è la sapienza e si chiama il Figlio sapienza del Padre come lo si chiama luce del Padre 11. Cioè allo stesso modo che si chiama il Figlio "luce da luce", e l’uno e l’altro sono una sola luce, così si ha da intendere "sapienza da sapienza" e l’uno e l’altro sono una sola sapienza. Perciò sono pure una sola essenza, perché qui essere è la stessa cosa che essere sapiente. Infatti ciò che essere sapiente è in rapporto alla sapienza, e il potere alla potenza, l’essere eterno all’eternità, l’essere giusto alla giustizia, l’essere grande alla grandezza, l’essere stesso lo è all’essenza. E poiché in quella semplicità essere sapiente non è cosa diversa dall’essere, ivi la sapienza è la stessa cosa che l’essenza.

 

Identità del Padre e del Figlio negli attributi essenziali, non nelle proprietà personali

2. 3. Dunque il Padre e il Figlio sono insieme una sola essenza, una sola grandezza, una sola verità, una sola sapienza. Tuttavia il Padre e il Figlio non sono entrambi insieme un solo Verbo, perché non sono entrambi insieme un solo Figlio. Infatti allo stesso modo che "Figlio" dice relazione al Padre e non ha un senso assoluto, così pure, quando si parla di Verbo, Verbo dice relazione a Colui di cui è Verbo. Egli è Figlio per ciò per cui è Verbo, ed è Verbo per ciò per cui è Figlio. Poiché dunque il Padre e il Figlio non sono evidentemente entrambi insieme un solo Figlio, ne consegue che il Padre e il Figlio non sono tutti e due insieme un solo Verbo. E perciò non vi è Verbo per il fatto che c’è sapienza, perché "verbo" non è termine assoluto, ma soltanto relativo a colui di cui è verbo, come Figlio a Padre, mentre invece vi è sapienza per il fatto stesso per cui vi è essenza. Perciò in quanto vi è un’essenza, vi è una sapienza. Tuttavia, poiché anche il Verbo è sapienza, ma non Verbo, per la stessa ragione che è sapienza - Verbo infatti s’intende relativamente, sapienza essenzialmente - quando si dice Verbo lo dobbiamo prendere come equivalente a sapienza nata 12, nello stesso senso di Figlio ed Immagine 13. E nell’espressione sapienza nata, il termine nata lo indica come Verbo, come Immagine, come Figlio; tutti vocaboli non assoluti, ma relativi, mentre il termine "sapienza" che è anche assoluto, essendo sapienza per se stessa, indica pure l’essenza e l’identità tra l’essenza e la sapienza 14. Presi dunque insieme il Padre e il Figlio sono una stessa sapienza, perché una stessa essenza, e presi singolarmente il Figlio è sapienza da sapienza, come essenza da essenza. Non si deve dunque pensare che, perché il Padre non è il Figlio, e il Figlio non è il Padre, o perché l’uno non è generato e l’altro è generato, per questo essi non sono una stessa essenza: i nomi di Padre e di Figlio indicano le loro relazioni, ma ambedue sono insieme una sola sapienza, una sola essenza, perché in essi si identificano essere ed essere sapiente. Tuttavia non sono entrambi insieme Verbo o Figlio perché non è la stessa cosa essere ed essere Verbo o Figlio, in quanto già abbiamo sufficientemente mostrato il senso relativo di questi termini.

 

Nella Scrittura "Sapienza" designa il Verbo

3. 4. Perché dunque nella Scrittura quasi in nessun luogo si parla della sapienza, se non per indicare che è generata o creata da Dio 15? Generata, quando si tratta della sapienza per mezzo della quale tutte le cose sono state fatte 16; creata o fatta, per esempio, negli uomini, quando si volgono verso la sapienza che non è stata creata né fatta, ma generata, e ne sono illuminati; in essi infatti diviene allora ciò che si chiama la loro sapienza; o ancora quando le Scritture preannunciano o raccontano che il Verbo si è fatto carne ed abitò fra noi 17. Infatti in questo modo Cristo è la sapienza fatta 18, perché si è fatto uomo. O forse nei Libri santi la sapienza non parla o non se ne tratta che per mostrarla come nata da Dio o fatta da Dio, sebbene anche il Padre sia la stessa sapienza, per raccomandarci ed invitarci ad imitare questa sapienza, ad imitazione della quale noi siamo formati 19? Il Padre infatti la dice, perché sia il suo Verbo, ma non alla maniera in cui si proferisce con la bocca il verbo sonoro o come questo è concepito prima di venir proferito, perché questo verbo per realizzarsi richiede periodi di tempo; quello invece è eterno e, illuminandoci, ci dice di sé e del Padre ciò che occorre dire agli uomini. Perciò afferma: Nessuno conosce il Figlio, se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo 20, perché è per mezzo del Figlio, cioè per mezzo del suo Verbo, che il Padre rivela. Se infatti il verbo che noi proferiamo è temporale e transitorio, e tuttavia manifesta se stesso e ciò di cui parliamo, quanto più il Verbo di Dio, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose 21? E manifesta il Padre proprio come il Padre è, perché anche lui è come è il Padre e ciò che è il Padre, in quanto è sapienza ed anche essenza. Infatti in quanto Verbo, non è ciò che è il Padre, perché il Verbo non è il Padre, e il Verbo è un termine relativo, come Figlio, ciò che il Padre evidentemente non è. Cristo è la potenza e la sapienza di Dio 22, proprio perché anche lui potenza e sapienza, ma dalla potenza e dalla sapienza che è il Padre, come è luce dalla luce che è il Padre, e fonte di vita 23 presso Dio Padre, che certo è fonte di vita. Poiché presso di te, dice la Scrittura, è la fonte della vita, nella tua luce vedremo la luce 24, perché come il Padre ha in se stesso la vita, così ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso 25; ed egli era la vera luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo 26. Ora questa luce era il Verbo presso Dio, ma anche il Verbo era Dio 27; ma Dio è luce e tenebra alcuna non è in lui 28; luce non materiale, ma spirituale e non una luce spirituale ottenuta attraverso un’illuminazione come il Signore dice agli Apostoli: Voi siete la luce del mondo 29; ma la luce che illumina ogni uomo 30, la sapienza stessa che è Dio, la sapienza suprema, di cui ora trattiamo 31. Dunque il Figlio è sapienza dalla sapienza che è il Padre, come è "luce da luce", "Dio da Dio", in modo tale che il Padre è luce preso singolarmente, ed anche il Figlio è luce preso singolarmente; il Padre è Dio individualmente, ed anche il Figlio è Dio individualmente, e di conseguenza il Padre è sapienza individualmente ed anche il Figlio è sapienza individualmente. E come entrambi sono insieme una sola luce, ed un solo Dio, così sono entrambi una sola sapienza. Ma il Figlio è diventato per noi sapienza da parte di Dio, e giustizia e santificazione 32, perché è nel tempo, cioè a partire da un certo tempo, che noi ci convertiamo a lui, per restare con lui eternamente. E d’altra parte anche lui ad un certo momento del tempo Verbo, si è fatto carne ed abitò fra noi 33.

 

Il Verbo, Sapienza di Dio, senza modello per sé, è modello per noi

3. 5. Perciò, allorquando la Scrittura annuncia o narra qualcosa intorno alla sapienza, sia che la sapienza stessa parli, sia che si parli di essa, è il Figlio soprattutto che ci viene manifestato. Ad imitazione di questa immagine non allontaniamoci nemmeno noi da Dio, perché anche noi siamo immagine di Dio 34, ineguale certo, perché creata dal Padre per mezzo del Figlio, non nata dal Padre come quella sapienza; anche noi siamo immagine, perché illuminati dalla luce, mentre quella, perché è luce che illumina e perciò, senza modello per sé, è modello per noi. Essa infatti non è modellata su qualcuno che la precede guidandola al Padre, dal quale non è mai assolutamente separabile, perché è identica nell’essere a Colui dal quale ha origine. Noi, al contrario, con sforzo imitiamo un modello che non muta, seguiamo una guida che non si muove e camminando in lui tendiamo a lui, perché è divenuto per noi, nella sua umiltà, una via attraverso il tempo, lui che nella sua divinità è per noi una dimora eterna 35. Agli spiriti immateriali rimasti puri e che la superbia non ha fatto cadere, egli offre un modello nella sua natura divina, in quanto uguale a Dio 36, e come Dio, ma per offrirsi anche come modello del ritorno all’uomo caduto, incapace di vedere Dio per l’immondizia dei peccati e la condanna alla mortalità si è esinanito 37, non mutando la sua divinità, ma assumendo la nostra mutabilità e prendendo la natura di servo, venne in questo mondo 38, verso di noi, lui che era in questo mondo, perché il mondo è stato fatto per mezzo di lui 39, per essere d’esempio a quelli che lassù contemplano in lui Dio, esempio a quelli che quaggiù ammirano in lui l’uomo, esempio di perseveranza per i sani, esempio di guarigione per gli infermi, esempio di coraggio per i morituri, esempio di risurrezione per i morti, avendo il primato in tutte le cose 40. Poiché per raggiungere la beatitudine l’uomo doveva seguire solo Dio, ma non era in suo potere vedere Dio, mettendosi al seguito di Dio fatto uomo, l’uomo avrebbe seguito nello stesso tempo uno che aveva la capacità di vedere ed uno che aveva il dovere di seguire. Amiamolo dunque ed uniamoci a lui con la carità che è stata diffusa nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo, che ci è stato dato 41. Niente di strano dunque se per l’esempio che, per riformarci ad immagine di Dio, ci offre l’immagine uguale al Padre 42, la Scrittura, quando parla della Sapienza, parla del Figlio, che noi seguiamo vivendo con sapienza, sebbene anche il Padre sia sapienza, come è luce e Dio.

 

Lo Spirito Santo è col Padre ed il Figlio una sola Sapienza

3. 6. Non conta che consideriamo lo Spirito Santo come la carità somma che congiunge tra loro il Padre e il Figlio e soggioga noi - non è una considerazione indegna di lui perché è scritto che Dio è carità 43 -, dunque non è sapienza anche lo Spirito Santo, essendo egli la luce, se Dio è Luce 44? Oppure che indichiamo l’essenza dello Spirito Santo in senso personale e proprio in altro modo. Questo è certo: essendo egli Dio, è la Luce, essendo la Luce è la Sapienza. Ora che lo Spirito Santo sia Dio la Scrittura lo proclama per bocca dell’Apostolo: Non sapete che siete tempio di Dio? e subito aggiunge: E lo Spirito di Dio abita in voi 45. Dio infatti abita nel suo tempio 46. Infatti lo Spirito di Dio non abita nel tempio di Dio come ministro, perché in un altro passo l’Apostolo dice più chiaramente: Non sapete che i vostri corpi sono tempio dello Spirito Santo, che è in voi e che avete ricevuto da Dio, e che voi non appartenete a voi stessi? Infatti voi siete stati comprati a gran prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo 47. Ma che cos’è la sapienza se non una luce spirituale ed immutabile? Certo anche il nostro sole è una luce, ma corporea; anche la creatura spirituale è luce, ma non immutabile. Dunque il Padre è luce, il Figlio è luce, lo Spirito Santo è luce; ma tutti e tre insieme non costituiscono tre luci, ma una sola Luce. Di conseguenza il Padre è sapienza, il Figlio è sapienza e lo Spirito Santo è sapienza, ed insieme non fanno tre sapienze, ma una sola Sapienza. E poiché qui essere è la stessa cosa che essere sapiente, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono una sola essenza. Né qui essere è altra cosa che essere Dio: perciò il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un solo Dio 48.

 

Un’essenza, tre Persone

4. 7. Per parlare dell’ineffabile, affinché potessimo esprimere in qualche modo ciò che in nessun modo si può spiegare, i nostri Greci hanno usato questa espressione: una essenza, tre sostanze; i Latini invece: una essenza o sostanza, tre Persone 49, perché, come abbiamo già detto, nella nostra lingua, cioè in latino, "essenza" e "sostanza" sono correntemente considerate sinonimi. E purché si intenda almeno in enigma 50 ciò che si dice, ci si è accontentati di queste espressioni per rispondere qualcosa quando si chiede che cosa sono i Tre; questi Tre di cui la fede ortodossa afferma l’esistenza, quando dichiara che il Padre non è il Figlio e lo Spirito Santo, che è il dono di Dio 51, non è né il Padre né il Figlio. Quando si chiede dunque che cosa sono queste tre cose o questi Tre, ci affanniamo a trovare un nome specifico o generico che abbracci queste tre cose, ma non si presenta allo spirito, perché l’eccellenza sopraeminente della divinità trascende la capacità del linguaggio abituale 52. Quando si tratta di Dio il pensiero è più vero della parola e la realtà più vera del pensiero. Infatti, quando diciamo che Giacobbe non è Abramo, ed Isacco non è né Abramo né Giacobbe, riconosciamo che sono tre: Abramo, Isacco e Giacobbe. Ma quando si chiede che cosa siano questi tre rispondiamo tre uomini, e diamo loro un nome specifico al plurale, mentre è un nome generico se diciamo tre animali. L’uomo infatti è, secondo la definizione degli antichi, un animale ragionevole, mortale 53. Lo stesso quando con il linguaggio abituale delle nostre Scritture diciamo: tre anime, se si preferisce esprimere il tutto per mezzo della parte migliore, cioè, per mezzo dell’anima, sia il corpo sia l’anima, che sono l’uomo intero. È in questo senso che la Scrittura dice che scesero in Egitto con Giacobbe settantacinque anime, cioè settantacinque uomini 54. Così quando diciamo: "Il tuo cavallo non è lo stesso che il mio", e "un terzo cavallo, che appartiene a qualche altro, non è né il mio né il tuo", riconosciamo che sono tre e, se ci si domanda che cosa sono questi tre rispondiamo con un termine specifico: "tre cavalli"; con un termine generico: "tre animali". Così pure quando diciamo che un bue non è un cavallo, che un cane non è né un bue né un cavallo, parliamo di tre esseri. Ed a coloro che ci chiedono che cosa sono questi tre esseri, non rispondiamo con il nome specifico: tre cavalli, o tre buoi, o tre cani, perché questi tre esseri non sono della stessa specie, ma con un nome generico: tre animali, o con un termine generico più ampio: tre sostanze, tre creature, tre nature. Ora tutto ciò che si può designare con un termine specifico al plurale, si può pure esprimere con un solo termine generico ma non possiamo esprimere con un solo termine specifico tutto ciò che si può designare con un solo termine generico. Per esempio tre cavalli - che è un termine specifico - li chiamiamo anche tre animali, ma il cavallo, il bue e il cane li chiamiamo soltanto tre animali o tre sostanze - che sono termini generici - o con qualche altro nome generico che si può loro attribuire, ma non possiamo chiamarli tre cavalli, o tre buoi, o tre cani, che sono tutti termini specifici. Ossia chiamiamo con un solo nome, sebbene sia al plurale, le realtà che hanno in comune ciò che questo nome significa. Così Abramo, Isacco, Giacobbe hanno in comune l’umanità, perciò sono chiamati tre uomini; il cavallo, il bue e il cane hanno in comune l’animalità, perciò sono chiamati tre animali. Allo stesso modo tre lauri li chiamiamo anche tre alberi, ma un lauro, un mirto e un olivo li chiamiamo soltanto tre alberi, o tre sostanze o tre nature. Ancora, tre pietre le chiamiamo anche tre corpi; ma la pietra, il legno e il ferro li chiamiamo soltanto tre corpi o con qualche altro appellativo più ampio che si potrà loro attribuire. Ora il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, dato che sono tre 55, investighiamo che cosa siano, che cosa abbiano in comune. Infatti ciò che è loro comune non è ciò che costituisce il Padre, in maniera che reciprocamente siano padri, come alcuni amici - appellativo di relazione reciproca - possono essere chiamati tre amici, perché sono amici vicendevolmente. Questo non può verificarsi qui, perché soltanto il Padre è padre, né è padre di due, ma di un Figlio unico. Né vi sono tre figli, perché qui il Padre non è il Figlio, né lo Spirito Santo. Né vi sono tre spiriti santi, perché né il Padre, né il Figlio sono Spirito Santo nel senso proprio in cui lo si chiama dono di Dio 56. Che cosa sono dunque questi Tre? Se sono tre Persone 57, essi hanno in comune ciò che caratterizza la persona; dunque hanno un nome specifico o generico, se ci atteniamo al linguaggio abituale. Ma dove non c’è alcuna differenza di natura, diverse realtà possono essere espresse con un nome generico, in maniera che possono essere espresse anche con nome specifico. È una differenza di natura che impedisce di chiamare il lauro, il mirto, l’olivo, il cavallo, il bue, il cane con nome specifico: tre lauri nel primo caso, tre buoi nel secondo, ma con nome generico tre alberi i primi, tre animali i secondi. Ma qui, dove non c’è alcuna differenza di essenza, occorre anche che queste tre realtà abbiano un nome specifico, nome che tuttavia non si trova. Perché persona è un nome generico, tanto che lo si può applicare anche all’uomo, sebbene sia così grande la distanza tra l’uomo e Dio.

 

La Scrittura non parla di tre persone in Dio

4. 8. Inoltre insistendo nell’usare un nome generico, se noi parliamo di tre Persone in quanto i Tre hanno in comune ciò che caratterizza la persona (altrimenti non potrebbero in nessun modo essere chiamati così, come non sono chiamati tre figli, perché essi non hanno in comune ciò che caratterizza il Figlio) perché non possiamo chiamarli anche tre dèi? Senza dubbio infatti, poiché il Padre è una persona, il Figlio è una persona, lo Spirito Santo è una persona, vi sono tre persone: ma allora, poiché il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio, perché non vi sono tre dèi? E se in virtù di una unione ineffabile queste tre realtà insieme sono un Dio solo, perché non sono una sola persona, cosicché non possiamo chiamarli tre persone, sebbene chiamiamo Persona ciascuna delle tre persone, come non possiamo parlare di tre dèi, sebbene noi chiamiamo Dio ciascuno di essi: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo? Forse perché la Scrittura non parla di tre dèi? Ma non troviamo nemmeno che la Scrittura parli di tre persone. O forse perché la Scrittura non parla né di tre né di una persona a proposito di queste tre realtà (vi leggiamo infatti della persona del Signore, ma non della persona che è il Signore), perciò siamo autorizzati per le necessità del linguaggio e della disputa a parlare di tre persone, non perché la Scrittura lo dica, ma perché non lo contraddice; mentre se parlassimo di tre dèi, sarebbe contrario alla Scrittura, che afferma: Ascolta, Israele: Il Signore Dio tuo è un unico Dio 58? Ma allora perché non è lecito parlare anche di tre essenze, perché allo stesso modo la Scrittura, se non lo dice, nemmeno lo contraddice? Infatti, se essenza è un termine specifico comune ai Tre, perché non dire tre essenze, come Abramo, Isacco e Giacobbe sono detti tre uomini, perché uomo è un termine specifico, comune a tutti gli uomini? Se invece essenza è un termine non specifico, ma generico, perché l’uomo, le bestie, l’albero, l’astro, l’angelo sono delle essenze, perché non chiamarli tre essenze, come tre cavalli sono chiamati tre animali, tre lauri sono chiamati tre alberi, tre pietre, tre corpi? O, se non sono dette tre essenze, ma una sola essenza 59 per l’unità della Trinità, perché, per questa stessa unità della Trinità, non si dicono una sostanza ed una persona invece che tre sostanze o tre persone? Il termine essenza è loro comune, in modo che ciascuno di essi si chiami essenza, nella stessa misura in cui è loro comune il termine "sostanza" o "persona". Infatti ciò che abbiamo detto delle persone, secondo il nostro modo abituale di parlare, occorre intenderlo delle sostanze secondo quello dei Greci, in quanto essi dicono: "tre sostanze, una essenza", come noi diciamo: "tre persone, una essenza o sostanza".

 

Questi termini hanno origine dalla esigenza del linguaggio

4. 9. Che ci resta dunque? Ci resta forse da riconoscere che queste espressioni sono state originate dall’indigenza del linguaggio, quando erano necessarie delle lunghe dispute contro le insidie e gli errori degli eretici 60? Infatti, quando la povertà umana tentava di esprimere con parole adatte ai sensi degli uomini, ciò che nel segreto dello spirito sa, secondo la sua capacità, del Signore Dio suo Creatore, sia per la fede religiosa sia per qualsiasi altra conoscenza, essa ha temuto di parlare di tre essenze, perché non si sospettasse una qualche diversità in quella suprema uguaglianza. D’altra parte non poteva negare l’esistenza di tre realtà perché, per averla negata, Sabellio cadde nell’eresia 61. E dalla Scrittura risulta, con assoluta certezza, ciò che si deve credere con fedeltà, e l’occhio dello spirito percepisce con piena chiarezza: che esiste il Padre, esiste il Figlio, esiste lo Spirito Santo, ma che il Figlio non è lo stesso che il Padre, e lo Spirito Santo non è lo stesso che il Padre o il Figlio. La povertà umana si è chiesta come designare queste tre realtà e le ha chiamate sostanze o Persone, con i quali termini volle escludere tanto la diversità di essenza quanto l’unicità delle Persone, in modo da suggerire non solo l’idea di unità con l’espressione "una essenza", ma anche l’idea di Trinità con l’espressione "tre sostanze o Persone". Infatti se in Dio essere è la stessa cosa che sussistere, non bisogna parlare di tre sostanze, come non si parla di tre essenze, come - dato che in Dio essere è la stessa cosa che essere sapiente - non si parla di tre sapienze allo stesso modo che non si parla di tre essenze. Così dunque, poiché in Dio essere Dio è la stessa cosa che essere, non è permesso dire tre essenze, come non è permesso dire tre dèi. Se, al contrario, in Dio essere e sussistere si oppongono tra loro, come essere Dio ed essere Padre ed essere Padrone - essere si dice in senso assoluto, essere Padre in senso relativo al Figlio, essere Padrone in senso relativo alla creatura, che è suddita - allora Dio sussiste sotto forma di relazione, come sotto forma di relazione genera e come sotto forma di relazione domina. Allora la sostanza non sarà più sostanza, perché sarà una relazione. Come infatti la parola "essenza" deriva da "essere", così da "sussistere" deriva la parola "sostanza". Ma è un’assurdità dare alla parola "sostanza" un senso relativo, perché ogni cosa sussiste in rapporto a se stessa; con quanta maggior ragione Dio?

 

Sostanza ed essenza in Dio

5. 10. Ma sostanza è una parola degna di Dio? Esattamente si usa il nome "sostanza" per indicare il soggetto di cui hanno bisogno certe cose per esistere; per esempio il colore o la forma di un corpo. Il corpo sussiste e perciò è sostanza, le altre cose invece esistono nel corpo sussistente e sottostante, non sono sostanze, ma nella sostanza. Dunque se quel colore o quella forma cessano d’esistere non privano il corpo del suo essere corpo, perché per il corpo essere non è la stessa cosa che conservare questa o quella forma. Sono dunque le cose mutevoli e composte che si chiamano propriamente sostanze. Ma, se Dio sussiste in modo da poter essere detto propriamente sostanza, qualcosa esiste in lui come in soggetto, e non è l’essere semplice per il quale essere è identico a qualsiasi altro attributo che si applica a lui in senso assoluto, come grande, onnipotente, buono ed ogni altro attributo degno di lui. Ora è proibito affermare che Dio sussista e sia soggetto della sua bontà; è proibito affermare che questa bontà non sia sostanza, o piuttosto essenza, e che Dio non sia la sua bontà, ma che al contrario la bontà esista in lui come in un soggetto. Perciò è chiaro che Dio si chiama sostanza in senso improprio, per far intendere con un nome più corrente che è essenza, termine giusto e proprio, al punto che forse solo Dio si deve chiamare essenza. Infatti lui solo "è" veramente, perché è immutabile, e con questo nome ha designato se stesso al suo servitore Mosè, quando gli disse: lo sono colui che sono, e: Dirai a loro: Colui che è mi ha mandato a voi 62. Tuttavia lo si chiami essenza 63, termine proprio, o sostanza 64, termine improprio, ambedue questi termini sono assoluti, non relativi 65. Perciò per Dio essere è la stessa cosa che sussistere, e dunque se la Trinità è una sola essenza, essa è anche una sola sostanza. Allora è forse più esatto parlare di tre Persone che di tre sostanze 66.

 

Perché non si dice che nella Trinità c’è una sola persona e tre essenze

6. 11. Ma perché non sembri che io usi parzialità in favore dei nostri, spingiamo più a fondo la nostra ricerca su questo punto. I Greci, è vero, se volessero, potrebbero chiamare i Tre prosopa: tre persone, come chiamano le tre ipostasi: tre sostanze. Ma hanno preferito questa espressione, che forse è più conforme alla natura della loro lingua. D’altra parte per le "persone" le cose stanno allo stesso modo che per la "sostanza", perché per Dio essere ed essere persona non sono cose diverse, ma assolutamente la stessa cosa. Se essere è un termine assoluto, persona invece relativo, chiameremo allora il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo tre Persone, allo stesso modo che chiamiamo certi uomini tre amici, o tre parenti, o tre vicini per le loro mutue relazioni, non per quello che ognuno è in senso assoluto. Dunque ognuno di loro è amico degli altri due, o parente o vicino, perché queste parole esprimono una relazione. Che dire dunque? Ci si concederà di affermare che il Padre è la persona del Figlio e dello Spirito Santo, ovvero che lo Spirito Santo è la persona del Padre e del Figlio? Il termine "persona" non si usa mai in questo senso, e quando nella Trinità nominiamo la persona del Padre, non intendiamo significare altra cosa che la sostanza del Padre. Di conseguenza, come la sostanza del Padre è il Padre stesso, non ciò per cui è Padre, ma ciò per cui è; così la persona del Padre non è una cosa diversa dal Padre stesso, perché si dice persona in senso assoluto, non in senso relativo al Figlio o allo Spirito Santo, come Dio è detto in senso assoluto grande, buono, giusto ed ogni altro attributo di questo genere. E come per lui è la stessa cosa essere ed essere Dio, essere grande, essere buono, così per lui è la stessa cosa essere ed essere persona. Perché dunque non chiamiamo questi Tre insieme una sola Persona, come li chiamiamo una sola essenza e un solo Dio, ma li chiamiamo tre Persone, mentre non parliamo di tre dèi o di tre essenze, se non perché vogliamo avere una parola che esprima in che senso si debba concepire la Trinità e non restare senza dire proprio nulla quando ci viene domandato che cosa sono questi Tre, dato che noi stessi abbiamo ammesso che sono tre? Perché se, come alcuni ritengono, l’essenza è il genere, la sostanza (o la persona), la specie - lasciando da parte ciò che ho detto prima - si parlerà inevitabilmente di tre essenze, come si parla di tre sostanze o tre persone, allo stesso modo che tre cavalli sono anche chiamati tre animali, perché "cavallo" è la specie, "animale" il genere. Infatti in questo caso la specie non è al plurale ed il genere al singolare, come se si dicesse: "tre cavalli sono un animale", ma come diciamo: "tre cavalli" con nome specifico, così diciamo: "tre animali" con nome generico. Se affermiamo invece che il termine "sostanza" o "persona" non designa la specie, ma un qualcosa di singolare ed individuale, cosicché il termine "sostanza" o "persona" non abbia un senso equivalente a quello del termine "uomo" preso come termine comune a tutti gli uomini, ma nel senso di questa parola applicata a "questo uomo", per esempio Isacco, Abramo, Giacobbe o a ciascun individuo la cui presenza si possa indicare con il dito, anche in questo caso avrebbe valore contro di essi lo stesso ragionamento. Infatti Abramo, Isacco e Giacobbe sono tre individui e sono anche tre uomini e tre anime. Perché allora anche il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, se applichiamo loro le categorie di genere, specie ed individuo, non sono detti tre essenze, come sono detti tre sostanze o persone? Ma, come ho detto, lascio da parte questo; affermo invece: se l’essenza è un genere, un’essenza che sia unica non ha specie, come, ad esempio, poiché animale è un genere, se c’è un solo animale è senza specie. Allora il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sono le tre specie di un’essenza unica. Se invece l’essenza è una specie, nello stesso modo in cui l’uomo è una specie, allora i Tre che chiamiamo sostanze o persone hanno in comune la stessa specie, come Abramo, Isacco e Giacobbe hanno in comune la specie umana. La specie umana si suddivide in Abramo, Isacco, Giacobbe, ma un uomo non si può suddividere allo stesso modo in vari individui umani; questo è assolutamente impossibile, perché un uomo è già un individuo umano. Perché dunque l’unica essenza (divina) si suddivide in tre sostanze o persone? Se infatti l’essenza è una specie, come "uomo", vale per una essenza unica ciò che vale per un uomo singolo. Quando abbiamo tre uomini dello stesso sesso, della stessa costituzione, dello stesso temperamento, dello stesso carattere, diciamo che sono di una stessa natura, perché vi sono tre uomini, ma una sola natura; è dunque nello stesso senso che parliamo qui di tre sostanze e una sola essenza, o di tre persone e una sola sostanza o essenza? Senza dubbio si tratta di una cosa del tutto simile, perché gli antichi che parlavano in latino, prima di conoscere i termini di "sostanza" o "essenza", che sono venuti in uso di recente, usavano al loro posto quello di "natura". Dunque noi usiamo questi termini non nel senso del genere o della specie, ma per indicare, per così dire, una materia comune ed identica. Così, se venissero formate dallo stesso lingotto d’oro tre statue, diremmo tre statue un solo lingotto d’oro, ma non diremmo che l’oro è il genere, le statue la specie, né che l’oro è la specie, le statue gli individui. Non esiste alcuna specie che vada oltre i suoi individui ed abbracci un elemento estraneo. Infatti, quando avrò definito l’uomo, che è un termine specifico, tutti i singoli uomini che sono individui sono contenuti nella stessa definizione, e non entra in essa alcun elemento specifico che non s’incontri nell’uomo. Invece se definisco l’oro, apparterranno all’oro non solo le statue, supponendo che siano d’oro, ma anche gli anelli e tutto ciò che è formato da questo metallo. Anche se non si costruisce nulla con esso, rimane oro, perché le statue si possono fare anche senza l’oro. Allo stesso modo nessuna specie va oltre i limiti della definizione del suo genere. Infatti quando definisco l’animale, poiché il cavallo è una specie di questo genere, ogni cavallo è animale, ma non ogni statua è d’oro. Perciò, sebbene a proposito di tre statue d’oro, sia esatto parlare di tre statue e di un solo lingotto d’oro, non diciamo questo per fare intendere che l’oro è il genere, le statue la specie. Non è dunque in questo senso che noi chiamiamo la Trinità tre Persone o sostanze, una essenza ed un solo Dio, come se vi fossero tre realtà che sussistono formate dalla stessa materia, sebbene questa materia - qualunque cosa essa sia - sia suddivisa tra questi Tre. Infatti non c’è qualche altra cosa che appartenga alla essenza divina in aggiunta alla Trinità. Tuttavia diciamo: le tre Persone sono della stessa essenza, o le tre Persone sono una sola essenza, ma non diciamo: le tre Persone sono state formate dalla stessa essenza - come se qui una cosa fosse l’essenza, altra cosa la persona - come possiamo parlare di tre statue formate dallo stesso oro, perché in questo caso una cosa è essere oro, altra cosa essere statue. E quando diciamo: tre uomini sono una sola natura, o: tre uomini sono di una stessa natura, possiamo anche dire: tre uomini provengono da una stessa natura, perché anche altri tre uomini possono aver origine dalla stessa natura. Nell’essenza della Trinità, invece, è assolutamente impossibile che qualsiasi altra persona possa aver origine da questa stessa essenza. Inoltre nelle cose di questo mondo, un uomo solo non è tanto, quanto tre uomini insieme, e due uomini sono più che un uomo solo; e se sono della stessa dimensione c’è più oro in tre statue insieme che in una sola e c’è meno oro in una che in due. Ma in Dio le cose non stanno così; il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo insieme non costituiscono un’essenza più grande che il Padre solo o il Figlio solo, ma insieme queste tre sostanze o Persone (se si deve chiamarle così), sono uguali a ciascuna di esse. È ciò che l’uomo carnale non comprende 67, perché i fantasmi che volteggiano nella sua anima rappresentandogli i corpi, gli permettono di concepire soltanto masse ed estensioni, piccole o grandi.

 

Ciò che deve credere chi non comprende; l’uomo ad immagine e immagine di Dio

6. 12. Fino a che non sia purificato da questa impurità l’uomo carnale creda nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, in un solo Dio, unico, grande, onnipotente, buono, giusto, misericordioso, creatore di tutte le cose visibili ed invisibili 68 e tutto ciò che secondo le capacità umane si può affermare essere degno di lui e vero. Quando sente dire che il Padre è il solo Dio, non ne separi il Figlio o lo Spirito Santo 69, perché il Padre è un solo Dio soltanto in unione con Colui con il quale è Dio unico, perché anche quando sentiamo dire che il Figlio è il solo Dio, bisogna intenderlo senza esclusione del Padre e dello Spirito Santo. Se parla di un’unica essenza lo faccia senza pensare ad una superiorità di grandezza o di valore dell’uno o ad una qualsiasi sua diversità nei riguardi dell’altro. Ma tuttavia non pensi che il Padre è il Figlio e lo Spirito Santo e che ogni persona abbia qualsiasi attributo che esprima la relazione delle singole Persone. Per esempio "Verbo" designa solo il Figlio, "Dono" lo Spirito Santo 70. Per questo d’altra parte le persone ammettono il numero plurale come nel passo del Vangelo in cui è scritto: Io e il Padre siamo una sola cosa 71. Da una parte il Signore dice: una sola cosa, dall’altra siamo; una sola cosa, secondo l’essenza, perché sono un unico Dio; siamo secondo la relazione perché il primo è Padre, l’altro Figlio. A volte è passata sotto silenzio l’unità dell’essenza e sono menzionate solo le relazioni al plurale: Io e il Padre verremo a lui e dimoreremo presso di lui 72. Verremo e dimoreremo sono al plurale perché prima aveva detto: Io e il Padre, cioè il Figlio e il Padre, termini indicanti mutua relazione. A volte le relazioni sono designate in maniera del tutto velata, come nel Genesi: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza 73. Facciamo e nostra è un plurale che si deve intendere soltanto nel senso delle relazioni. Non ha da intendersi infatti nel senso che a fare l’uomo sarebbero stati degli dèi o che lo avrebbero fatto ad immagine e somiglianza degli dèi, ma nel senso che erano il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo che lo facevano, ad immagine dunque del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, affinché l’uomo esistesse come immagine di Dio. Ora Dio è Trinità 74. Ma poiché questa immagine di Dio 75 non era del tutto uguale al suo modello, perché non è nata da Dio ma è stata creata da Lui, per significare questo è un’immagine che è "ad immagine di...", ossia è un’immagine che non raggiunge il modello per l’uguaglianza, ma gli si accosta per una certa rassomiglianza 76. Infatti non ci si avvicina a Dio superando delle distanze spaziali, ma con la rassomiglianza ed è con la dissomiglianza che ci si allontana da lui. Vi sono alcuni che fanno questa distinzione: l’Immagine è il Figlio, mentre l’uomo non è immagine, ma ad immagine 77. Ma li confuta l’Apostolo che dice: L’uomo invece non deve coprirsi la testa, perché è immagine e gloria di Dio 78. Non ha detto: ad immagine, ma: l’immagine; questa immagine tuttavia, poiché altrove è detta ad immagine, non si riferisce al Figlio che è immagine perfetta del Padre 79; diversamente Dio non direbbe: a nostra immagine 80. In che senso nostra infatti, dato che il Figlio è immagine soltanto del Padre? È a motivo, come abbiamo detto, di una rassomiglianza imperfetta, che l’uomo è detto a immagine e si aggiunge nostra perché l’uomo fosse immagine della Trinità; non uguale alla Trinità, come il Figlio al Padre, ma accostandosene per una certa rassomiglianza, come abbiamo detto, nel modo in cui degli esseri lontani sono vicini non per contatto spaziale, ma per imitazione. È questo che intendono significare le parole seguenti: Trasformatevi rinnovando il vostro spirito 81, ed ai suoi destinatari l’Apostolo dice anche: Siate dunque imitatori di Dio, come figli dilettissimi 82. È all’uomo nuovo infatti che è detto: Si va rinnovando in proporzione della conoscenza di Dio, conformandosi all’immagine di colui che l’ha creato 83. Ora, se per le esigenze della controversia si preferisce, pur lasciando da parte i nomi relativi, accettare il plurale, per poter rispondere con una sola parola alla domanda: "che cosa sono i Tre?", e dire "tre sostanze o tre Persone", si badi a tener lontana ogni idea di massa o di estensione, ogni carattere, per quanto piccolo, di dissomiglianza che ci faccia pensare che vi sia qui una cosa inferiore ad un’altra, qualunque sia la maniera in cui uno può essere inferiore ad un altro, cosicché venga esclusa la confusione delle persone e una distinzione che implichi ineguaglianza. Se l’intelligenza è incapace di comprenderlo, lo si tenga per fede, fino a quando brilli nei nostri cuori Colui che ha detto per bocca del Profeta: Se non crederete, non comprenderete 84.

 


 

1 - 1 Cor 1, 24.

2 - Cf. Eccli 1, 3.

3 - Cf. Eccli 1, 4-5.

4 - Gv 1, 1.

5 - Gv 1, 3.

6 - Cf. Eccli 1, 3-5; 1 Cor 1, 18-30; 2 Cor 4, 4; Col 1, 15; 1 Ts 2, 13; Ap 19, 13.

7 - 1 Cor 1, 24.

8 - Cf. 2 Cor 4, 4; Col 1, 15.

9 - Aristotele, Categ. 7, 6a, 36 - 8b, 24; Pseudo-Agostino, Categ. X ex Arist. 11.

10 - Cf. Eccli 1, 4.

11 - Cf. Eccli 1, 3-4; 50, 31; 1 Cor 1, 21.24.30; Gv 1, 7-9.

12 - Eccli 1, 4-9; 24, 5-14.

13 - 2 Cor 4, 4; Col 1, 15.

14 - Cf. Eccli 1, 4-9; 24, 5-14; Gv 1, 1-14; 1 Ts 2, 13; Ap 19, 13.

15 - Cf. Eccli 1, 4-9; 24, 5-14.

16 - Eccli 24, 5.

17 - Gv 1, 14.

18 - 1 Cor 1, 30.

19 - Cf. Eccli 1, 4-9; 24, 5-14.

20 - Mt 11, 27.

21 - Eccli 1, 5; 1 Ts 2, 13; Ap 19, 13.

22 - 1 Cor 1, 24.

23 - Sal 35, 10; cf. Prv 13, 14; 14, 27.

24 - Ibid.

25 - Gv 5, 26.

26 - Gv 1, 9.

27 - Gv 1, 1.

28 - 1 Gv 1, 5.

29 - Mt 5, 14.

30 - Gv 1, 9.

31 - Cf. Eccli 1, 3-4; 1 Cor 1, 21-30.

32 - 1 Cor 1, 30.

33 - Gv 1, 14.

34 - 1 Cor 11, 7.

35 - Cf. Fil 2, 6-7.

36 - Fil 2, 6.

37 - Fil 2, 7.

38 - Ibid.

39 - Gv 1, 10.

40 - Col 1, 18.

41 - Rm 5, 5.

42 - 2 Cor 4, 4; Col 1, 15.

43 - 1 Gv 4, 8.16.

44 - 1 Gv 1, 5.

45 - 1 Cor 3, 16.

46 - Sal 10, 5; Ab 2, 20.

47 - 1 Cor 6, 19-20.

48 - Eusebio da Vercelli, Trin. 1, 1.

49 - Cf. Porfirio, Phil. Hist. 4 (vit. Platonis), in: Didimo Alessandrino, Trin. 2, 26: PG 39, 759; e in: Cirillo Alessadrino, Iul. 1, 8; Basilio, Epp. 38; 236; Tertulliano, Apol. 21; Adv. Prax. 2; 26; Girolamo, Ep. 15, 3-5.

50 - 1 Cor 13, 12.

51 - At 8, 20; Gv 4, 10.

52 - Cf. Eusebio da Vercelli, Trin. 1, 52.

53 - Quintiliano, Instit. 7, 3, 15; cf. Cicerone, Acad. 2, 7, 21; Plutarco, Eth. 450d; Agostino, De ord. 2, 11, 31: NBA, III/1.

54 - Cf. At 7, 14-15; Gn 46, 27; Es 1, 5; Dt 10, 22.

55 - 1 Gv 5, 7.

56 - At 8, 20; Gv 4, 10.

57 - treiV upostaseiV. Cf. nota 49.

58 - Dt 6, 4; cf. Valeriano Calagoritano, Fid. Inc.

59 - mia oujsia, cf. Agostino, De civ. Dei 12, 2, 15: NBA, V/2.

60 - Cf. Rufino, Hist. eccles. 1, 29.

61 - Cf. Thomus Damasi, Anath. 2.

62 - Es 3, 14.

63 - Cf. Agostino, De civ. Dei 12, 2.

64 - Cf. Tertulliano, Apol. 21; Adv. Prax. 2; 26.

65 - Aristotele, Categ. 7, 6a, 36 - 8b, 24; Pseudo-Agostino, Categ. X ex Arist. 11.

66 - Cf. Porfirio, Fil. hist. 4 (vit. Plat.), in Didimo Alessandrino, Trin. 2, 26: PG 39, 759; e in Cirillo Alessandrino, Iul. 1, 8; Basilio, Epp. 38; 236; Tertulliano, Apol. 21; Adv. Prax. 2; 26; Girolamo, Ep. 15, 3-5.

67 - 1 Cor 2, 14.

68 - Cf. Agostino, De fide et symbolo 4, 5: NBA, VI/1; De mor. Eccl. cath. 2, 7, 9: NBA, XIII/1; Pelagio, Libell. fid. ad Inn.; Tertulliano, Symb. 3; Pseudo-Ambrogio, Exhort. ad neoph.

69 - Cf. Tomus Damasi, Anath. 25.

70 - Cf. At 8, 20; Gv 1, 1-14; 4, 10; 1 Ts 2, 13; Ap 19, 13.

71 - Gv 10, 30.

72 - Gv 14, 23.

73 - Gn 1, 26.

74 - Cf. Basilio, Hexaem. 4, 6; Ilario, De Trin. 5, 8.

75 - 1 Cor 11, 7.

76 - Cf. Gn 1, 26.

77 - Cf. Agostino, De div. qq. 83 51, 4: NBA, VI/2; Ambrogio, In Ps. 118, 10, 6; In Lc. 10, 49.

78 - 1 Cor 11, 7.

79 - 2 Cor 4, 4; Col 1, 15.

80 - Gn 1, 26.

81 - Rm 12, 2.

82 - Ef 5, 1.

83 - Col 3, 10.

84 - Is 7, 9.


L’inondazione e la zattera salvatrice

I sogni di don Bosco - San Giovanni Bosco

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Questo sogno fu narrato da Don Bosco ai suoi giovani la sera deI 1 gennaio 1866. È stato intitolato: Avvenire della Congregazione Salesiana e sua missione salvatrice in mezzo alla gioventù. In esso Don Bosco presenta alla rapita e commossa fantasia dei suoi figliuoli il vasto panorama delle vicende della vita dello spirito colorando, con tocchi potentemente drammatici, la sorte alla quale Maria Ausiliatrice guida infallibilmente i suoi, e i tragici disastri ai quali vanno fatalmente incontro quelli che a Maria, cioè a tutto quel complesso di vita cristiana che è in essa vivente e operante, volgono stoltamente le spalle.

E un sogno suggestivo e rivelatore, capace di tonificare l’anima e di richiamarla ai suoi veri destini. In esso Don Bosco descrive un viaggio fatto in compagnia dei suoi giovani durante una improvvisa e furiosa tempesta e attraverso le acque burrascose di una spaventosa inondazione. Lo riferiamo con qualche riduzione, ma con la solita fedeltà. Don Bosco sognò di trovarsi tra i giovani del suo Oratorio, che si ricreavano allegramente in una immensa prateria; quand’ecco, all’improvviso, si videro da ogni parte circondati da una inondazione, la quale cresceva a misura che si avanzava verso di loro. Sopraffatti dal terrore, corsero a rifugiarsi in un grande mulino isolato, con le mura grosse come quelle di una fortezza. Dalle finestre si vedeva l’estensione del disastro: invece di prati, campi coltivati, orti, boschi, cascine, non si scorgeva più altro che la superficie di un lago immenso.

A misura che l’acqua cresceva, essi salivano da un piano all’altro. Perduta ogni speranza umana di salvarsi, Don Bosco prese a incoraggiare i suoi cari giovani, invitandoli a mettersi tutti con piena fiducia nelle mani di Dio e tra le braccia della loro cara Madre Maria. Quando l’acqua giunse al livello dell’ultimo piano, il terrore s’impossessò di tutti, e non videro altro scampo che quello di rifugiarsi in una grandissima zattera in forma di nave, apparsa in quel l’istante, che galleggiava vicino a loro.

Ognuno voleva rifugiarvisi per primo, ma c’era un muro che emergeva un po’ più alto del livello delle acque. C’era un solo mezzo: servirsi di un lungo e stretto tronco d’albero; ma rendeva difficile il passaggio il fatto che il tronco poggiava sul barcone e si muoveva seguendo il beccheggio della barca stessa, agitata dalle onde.

Fattosi coraggio, Don Bosco vi passò per primo; e per facilitare il trasbordo ai giovani, stabilì preti e chierici che, dal mulino, sorreggessero chi partiva e, dal barcone, dessero mano a chi arrivava.

Frattanto molti giovani impazienti, trovato un pezzo di asse abbastanza lungo e un po’ più làrgo del tronco, ne fecero un secondo ponte e, senza aspettare l’aiuto dei preti e dei chierici e non dando ascolto alle grida di Don Bosco, vi si slanciarono, ma perdendo l’equilibrio, caddero e, ingoiati da quelle torbide e putride acque, più non si videro. Anche il fragile ponte si era sprofondato con quanti vi stavano sopra. E sì grande fu il numero di quegli infelici, che un quarto dei giovani restò vittima del loro capriccio.

Quelli che si erano rifugiati sulla zattera vi trovarono una gran de quantità di pani, custoditi in molti canestri. «Quando tutti furono sulla barca — continua Don Bosco — presi il comando di capitano e dissi ai giovani: — Maria è la Stella del mare. Essa non abbandona chi in Lei confida: mettiamoci tutti sotto il suo manto; Ella ci scamperà dai pericoli e ci guiderà a porto tranquillo.

Quindi abbandonammo ai flutti la nave, che galleggiava ottimamente, mentre l’impeto delle onde, agitate dal vento, la spingeva con tale velocità, che noi, abbracciati l’un l’altro, facemmo un sol corpo per non cadere.

Percorso molto spazio in brevissimo tempo, a un tratto la barca si fermò e si mise a girare attorno a sé stessa con straordinaria rapidità, sicché pareva dovesse affondare. Ma un soffio violentissimo la spinse fuori del vortice. Prese quindi un corso più regolare e, ripetendosi ogni tanto qualche mulinello e il soffio del vento salvatore, andò a fermarsi vicino a una terra che si ergeva come una collina in mezzo a quel mare.

Molti giovani se ne invaghirono e, dicendo che il Signore aveva posto l’uomo sulla terra e non sulle acque, senza chiedere il permesso, uscirono dalla barca giubilando. Ma breve fu la loro gioia perché per un improvviso infuriare della tempesta, crebbero le acque, la collina fu inondata, ed essi scomparvero travolti dalle onde.

Io esclamai:
— È proprio vero che chi fa di sua testa, paga di sua borsa.

La zattera intanto, in balia di quel turbine, minacciava di nuovo di andare a fondo. Vidi allora i miei giovani pallidi in volto e tremanti: — Fatevi coraggio — gridai loro —, Maria non ci abbandonerà.

E unamini e di cuore ci mettemmo a pregare in ginocchio, tenendoci per mano gli uni con gli altri. Però ci furono parecchi in sensati che, indifferenti a quel pericolo, alzatisi in piedi, si aggira vano qua e là sghignazzando tra di loro e burlandosi degli atteggiamenti supplichevoli dei loro compagni.

Ed ecco che la nave si arresta all’improvviso, gira con rapidità su sé stessa e un vento furioso sbatte nelle onde quei disgraziati. Erano trenta, ed essendo l’acqua profonda e melmosa, appena vi furono dentro, più nulla si vide di loro. Noi intonammo la Salve Regina e più che mai invocammo di cuore la protezione della Stella del mare. Sopravvenne la calma, ma la nave continuava ad avanzare senza che sapessimo dove ci avrebbe condotti. A bordo intanto ferveva l’opera di salvataggio. Si faceva di tutto per impedire ai giovani di cadere nelle acque e per salvare i caduti.

Poiché vi erano di quelli che sporgendosi incautamente dalle basse sponde della zattera, cadevano nel lago; e ve ne erano anche altri che, sfacciati e crudeli, chiamando qualche compagno vicino alle sponde, con un urtone, lo gettavano giù.

Perciò vari preti preparavano canne robuste, grosse lenze e ami di varie specie. Appena cadeva un giovane, le canne si abbassavano e il naufrago si aggrappava alla lenza, oppure con l’amo resta va uncinato alla cintura o nelle vesti, e così veniva tratto in salvo. Io stavo ai piedi di un alto pennone piantato nel centro, circondato da moltissimi giovani, da preti e da chierici che eseguivano i miei ordini.

Finché i giovani furono docili e obbedienti alle mie parole, tutto andava bene: erano tranquilli, contenti, sicuri. Ma non pochi cominciarono a trovare incomoda quella zattera, a temere il viaggio troppo lungo, a lamentarsi dei pericoli e disagi di quella traversata, a disputare sul luogo ove avremmo approdato, a pensare al modo di trovare altro rifugio, e a rifiutarmi obbedienza. Invano io cercavo di persuaderli con le ragioni.

Ed ecco in vista altre zattere, che sembrava tenessero un corso diverso dal nostro; e quegli imprudenti deliberarono di secondare i loro capricci: gettarono nelle acque alcune tavole che erano nella nostra zattera, vi saltarono sopra e si allontanarono alla volta delle zattere apparse. Fu una scena indescrivibile e dolorosa per me:

vedevo quegli infelici che andavano incontro alla rovina. Soffiava il vento, i flutti erano agitati, e alcuni sprofondarono tra le spire dei vortici, altri riuscirono a salire sulle zattere, che però non tardarono a sommergersi. La notte si era fatta buia: in lontananza si udivano le grida strazianti di coloro che perivano. Naufragarono tutti. Il numero dei miei cari figliuoli era diminuito di molto, ciò nonostante continuando a confidare nella Madonna, dopo una notte tenebrosa, la nave entrò in uno stretto, tra due sponde limacciose, coperte di cespugli, di ciottoli e di rottami. Tutto intorno alla barca si vedevano tarantole, rospi, serpenti, coccodrilli, vipere e mille altri animali schifosi. Sopra salici piangenti, i cui rami pendevano sopra la nostra barca, stavano molti scimmioni che, penzolando dai rami, si sforzavano di toccare e arroncigliare i giovani; ma questi, curvandosi impauriti, schivavano quelle insidie.

Fu colà, su quel greto, che rivedemmo con grande sorpresa e orrore i poveri compagni perduti. Dopo il naufragio erano stati gettati dalle onde su quella spiaggia, contro gli scogli. Altri erano sotterrati nel padule e non se ne vedevano che i capelli e la metà d’un braccio. Qui sporgeva dal fango un dorso, più in là una testa; altrove galleggiava, interamente visibile, qualche cadavere.

Ma ben altro spettacolo si presentava ai nostri occhi. A poca distanza s’innalzava una gigantesca fornace, nella quale divampava un fuoco grande e ardentissimo. Sopra quel fuoco vi era come un gran coperchio, sul quale stavano scritte a grossi caratteri queste parole: “Il sesto e il settimo conducono qui” (cioè: il furto e l’impurità). Là vicino vi era anche una vasta prominenza di terra, ove si moveva un’altra moltitudine di nostri giovani o caduti nelle onde o allontanatisi nel corso del viaggio. Io scesi a terra, non badando al pericolo, mi avvicinai e vidi che avevano gli occhi, le orecchie, i capelli e persino il cuore pieni di insetti e di vermi schifosi, che li rosicchiavano e cagionavano loro grandissimo dolore.

Io additai a tutti una fonte che gettava in gran copia acqua fresca e ferruginosa: chiunque andava a lavarsi in quella, guariva al l’istante e poteva ritornare nella zattera. La maggior parte di quegli infelici aderì al mio invito; ma alcuni si rifiutarono. Allora io, seguìto da quelli che erano risanati, tornai alla zattera, che uscì da quello stretto dalla parte opposta a quella per cui era entrata, e si slanciò di nuovo in un oceano senza confini.

Noi, compiangendo la fine lacrimevole dei nostri compagni abbandonati in quel luogo, ci mettemmo a cantare: “Lodate Maria, o lingue fedeli”, in ringraziamento alla gran Madre celeste per averci fino allora protetti; e sull’istante, quasi al comando di Maria, cessò l’infuriare del vento e la nave prese a scorrere rapida sulle placide onde. Ed ecco comparire in cielo un’iride più meravigliosa di un’aurora boreale, sulla quale, passando, vedemmo scritto a grossi caratteri di luce la parola MEDOUM, senza intenderne il significa to. A me parve che ogni lettera fosse l’iniziale di queste parole: “Mater et Domina omnis universi Maria” (Madre e Signora di tutto l’universo Maria). Dopo un lungo tratto di viaggio, ecco spuntare terra in fondo all’orizzonte. A quella vista provammo una gioia inesprimibile. Quella terra, amenissima per boschetti con ogni specie di alberi, presentava il panorama più incantevole, perché illuminata dal so le nascente, che spandeva una luce ineffabilmente quieta e riposante, simile a quella di una splendida sera d’estate.

Finalmente, urtando contro la sabbia del lido o strisciando su di essa, la zattera si fermò all’asciutto, ai piedi di una bellissima vigna. I giovani mi guardavano come per dirmi: — Discendiamo? Al mio “Sì” fu un grido generale di gioia, e tutti entrarono in quella vigna.

Dalle viti pendevano grappoli d’uva simili a quelli della terra promessa, e sugli alberi c’era ogni sorta di frutta. In mezzo a quella vastissima vigna sorgeva un grande castello attorniato da un delizioso giardino e da forti mura. Ci fu concessa libera entrata. In un’ampia sala, tutta ornata d’oro, stava apparecchiata per noi una gran tavola con ogni sorta di cibi i più squisiti.

Ognuno poté servirsi a piacimento. Mentre finivamo di rifocillarci, entrò nella sala un nobile giovane di una bellezza indescrivibile, il quale con affettuosa e familiare cortesia ci salutò chiamandoci tutti per nome. Vedendoci meravigliati per le cose già viste, ci disse: — Questo è nulla, venite e vedrete.

Noi tutti lo seguimmo; dai parapetti delle logge egli ci fece con templare i giardini, dicendoci che erano a nostra disposizione per la ricreazione. E ci condusse di sala in sala, una più magnifica del l’altra per architettura, colonnati e ornamenti di ogni specie. Ci introdusse quindi in una splendida chiesa. Il pavimento, le mura, le volte erano ricche di marmi, di argento, d’oro e di pietre preziose. — Ma questa bellezza — esclamai — è una bellezza di paradiso. Faccio firma di rimanere qui per sempre!

In mezzo a questo gran tempio s’innalzava, sopra ricca base, una grande, magnifica statua di Maria Ausiliatrice. Attorno ad essa si raccolse la moltitudine dei giovani per ringraziare la Vergine dei tanti favori che ci aveva elargito.

Mentre i giovani stavano ammirandone la bellezza veramente celestiale, a un tratto la statua parve animarsi e sorridere. Tra la folla si levò allora un grido: — La Madonna muove gli occhi!

Maria infatti girava con ineffabile bontà i suoi occhi materni sui giovani che Le stavano intorno. Poco dopo risonò un secondo grido: — La Madonna muove le mani! «Lasciatemi solo; soffro troppo!»

La Vergine, aprendo lentamente le braccia, con le mani solleva va il manto in atto di protezione. — La Madonna muove le labbra! —. Gridarono altri in coro. Seguì un silenzio profondo, mentre gli occhi di tutti erano fissi nel volto di Maria, la quale con voce dolcissima disse: — Se voi sarete per me figliuoli devoti, io sarò per voi Madre amorosa. A queste parole cademmo in ginocchio e intonammo il canto: Lodate Maria, o lingue fedeli.

L’armonia delle voci era così forte, così soave che, sopraffatto da essa, mi svegliai; e così terminò la visione» . Di questo sogno fece qualche commento Don Bosco stesso, e confidò ai singoli che lo richiedevano il posto che occupavano in esso. L ‘immensa pianura è il mondo. L ‘inondazione, i pericoli del mondo. Il mulino rappresenta la Chiesa. Il tronco di albero che fa da ponte, la Croce. La grande zattera, la Casa di Maria, l’Oratorio. I canestri di pane, la SS. Eucaristia. I vortici impetuosi, le tentazioni. La collina che alletta molti, i desideri mondani. I sacerdoti che si prodigano al salvataggio con ami e lenze, la Confessione. Gli animali schifosi e gli scimmioni, gli allettamenti della colpa. La fonte di acqua fresca, ferruginosa, la Confessione e la Comunione. L ‘iride radiosa, Maria. Il castello, la vigna e il convito indicano la Patria. Infine Maria Ausiliatrice stessa corona l’inebriante gioia di tutti con l’assicurazione: « Se voi sarete per me figliuoli devoti, io sarò per voi Madre amorosa».

Oggi il mondo, ossia la mentalità anticristiana, è ancor più dilagante con i suoi vortici sempre più travolgenti, attraverso il progressivo annacquamento delle convinzioni e delle abitudini cristiane. Di qui l’attualità sempre viva di Don Bosco: ora che ha raggiunto la Patria, è più potente e operante di prima nell’opera di salvataggio della gioventù, pupilla dei suoi occhi.


4 novembre 1942

Madre Pierina Micheli

Desidero la sera per stare sola con Gesù, e poi aridità, desolazio­ne, sonno, stanchezza... devo lottare per essere fedele all'orario... che importa... so per fede che Gesù è là, nel Santo Tabernacolo... che io non lo senta, ma che Lui mi senta... che io soffra, ma Gesù goda... che io sia all'oscuro, ma le anime nella luce...

Dimenticai notare quanto mi passò la sera dei 31 ottobre. Il Padre telefonò che sarebbe venuto. Io per non disturbarlo, mi mostrai tran­quilla e le pregai a non venire. Appena terminata la telefonata il ne­mico si avventa e: ci sei ora, mi dice. Ricorsi a S. Silvestro e: io rinunciai al Padre per non strapazzarlo, ora tu pensa a me. Entrai in Cappella ed Egli mi attendeva. Recitò con me Mattutino e Lodi, mentre ci accompagnava un'armonia celeste. Quanta bontà mio Dio!

Io, miserabile peccatrice!... che Ti sia fedele o Gesù, anche nella lotta, nell'angoscia, nella tentazione... sempre...