Liturgia delle Ore - Letture
Domenica della 1° settimana del tempo ordinario (Battesimo del Signore)
Vangelo secondo Marco 6
1Partito quindi di là, andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono.2Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: "Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani?3Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?". E si scandalizzavano di lui.4Ma Gesù disse loro: "Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua".5E non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì.6E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù andava attorno per i villaggi, insegnando.
7Allora chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi.8E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa;9ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche.10E diceva loro: "Entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da quel luogo.11Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro".12E partiti, predicavano che la gente si convertisse,13scacciavano molti demòni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano.
14Il re Erode sentì parlare di Gesù, poiché intanto il suo nome era diventato famoso. Si diceva: "Giovanni il Battista è risuscitato dai morti e per questo il potere dei miracoli opera in lui".15Altri invece dicevano: "È Elia"; altri dicevano ancora: "È un profeta, come uno dei profeti".16Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: "Quel Giovanni che io ho fatto decapitare è risuscitato!".
17Erode infatti aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, che egli aveva sposata.18Giovanni diceva a Erode: "Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello".19Per questo Erodìade gli portava rancore e avrebbe voluto farlo uccidere, ma non poteva,20perché Erode temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e vigilava su di lui; e anche se nell'ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
21Venne però il giorno propizio, quando Erode per il suo compleanno fece un banchetto per i grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea.22Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla ragazza: "Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò".23E le fece questo giuramento: "Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno".24La ragazza uscì e disse alla madre: "Che cosa devo chiedere?". Quella rispose: "La testa di Giovanni il Battista".25Ed entrata di corsa dal re fece la richiesta dicendo: "Voglio che tu mi dia subito su un vassoio la testa di Giovanni il Battista".26Il re divenne triste; tuttavia, a motivo del giuramento e dei commensali, non volle opporle un rifiuto.27Subito il re mandò una guardia con l'ordine che gli fosse portata la testa.28La guardia andò, lo decapitò in prigione e portò la testa su un vassoio, la diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua madre.29I discepoli di Giovanni, saputa la cosa, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.
30Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato.31Ed egli disse loro: "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'". Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare.32Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte.
33Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero.34Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.35Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i discepoli dicendo: "Questo luogo è solitario ed è ormai tardi;36congedali perciò, in modo che, andando per le campagne e i villaggi vicini, possano comprarsi da mangiare".37Ma egli rispose: "Voi stessi date loro da mangiare". Gli dissero: "Dobbiamo andar noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?".38Ma egli replicò loro: "Quanti pani avete? Andate a vedere". E accertatisi, riferirono: "Cinque pani e due pesci".39Allora ordinò loro di farli mettere tutti a sedere, a gruppi, sull'erba verde.40E sedettero tutti a gruppi e gruppetti di cento e di cinquanta.41Presi i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai discepoli perché li distribuissero; e divise i due pesci fra tutti.42Tutti mangiarono e si sfamarono,43e portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane e anche dei pesci.44Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.
45Ordinò poi ai discepoli di salire sulla barca e precederlo sull'altra riva, verso Betsàida, mentre egli avrebbe licenziato la folla.46Appena li ebbe congedati, salì sul monte a pregare.47Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli solo a terra.48Vedendoli però tutti affaticati nel remare, poiché avevano il vento contrario, già verso l'ultima parte della notte andò verso di loro camminando sul mare, e voleva oltrepassarli.49Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: "È un fantasma", e cominciarono a gridare,50perché tutti lo avevano visto ed erano rimasti turbati. Ma egli subito rivolse loro la parola e disse: "Coraggio, sono io, non temete!".51Quindi salì con loro sulla barca e il vento cessò. Ed erano enormemente stupiti in se stessi,52perché non avevano capito il fatto dei pani, essendo il loro cuore indurito.
53Compiuta la traversata, approdarono e presero terra a Genèsaret.54Appena scesi dalla barca, la gente lo riconobbe,55e accorrendo da tutta quella regione cominciarono a portargli sui lettucci quelli che stavano male, dovunque udivano che si trovasse.56E dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano i malati nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo toccavano guarivano.
Primo libro dei Maccabei 5
1I popoli vicini, quando sentirono che era stato ricostruito l'altare e rinnovato il santuario come prima, fremettero di rabbia2e decisero di eliminare quelli della stirpe di Giacobbe che si trovavano in mezzo a loro e cominciarono a uccidere e sopprimere gente in mezzo al popolo.3Allora Giuda mosse guerra ai figli di Esaù nell'Idumea e nella Acrabattene, perché assediavano Israele; inflisse loro un grave colpo e li umiliò e si impadronì delle loro spoglie.4Si ricordò poi della perfidia dei figli di Bean, che erano stati di laccio e inciampo per il popolo tendendo insidie nelle vie.5Pressati da lui si rinchiusero nelle torri ed egli si accampò contro di loro, li votò allo sterminio e diede fuoco alle torri di quella città con quanti vi stavano.6Poi passò contro gli Ammoniti e vi trovò un forte contingente e un popolo numeroso al comando di Timòteo.7Organizzò contro di loro molte azioni di guerra e furono sconfitti e annientati.8Conquistò anche Iazer e i suoi sobborghi e ritornò in Giudea.
9Si allearono allora i pagani di Gàlaad contro gli Israeliti che erano nel loro territorio per eliminarli, ma questi fuggirono a Dàtema, nella fortezza,10e scrissero questa lettera a Giuda e ai suoi fratelli: "Sono riuniti contro di noi i popoli vicini per eliminarci11e si preparano a venire a espugnare la fortezza ove siamo rifugiati; Timòteo è a capo del loro esercito.12Su, vieni a liberarci dalle mani di costoro, perché si è precipitata su di noi una moltitudine:13tutti i nostri fratelli che erano nel territorio di Tobia sono stati messi a morte, sono state condotte in schiavitù le loro mogli con i figli e gli averi e sono periti circa un migliaio di uomini".
14Stavano ancora leggendo la lettera ed ecco presentarsi altri messaggeri dalla Galilea con le vesti stracciate portando notizie simili.15Dicevano che si erano uniti contro di loro gli abitanti di Tolemàide, Tiro e Sidòne e tutta la parte pagana della Galilea per distruggerli.16Quando Giuda e il popolo ebbero udito queste cose, si raccolse una grande assemblea per decidere che cosa fare per i loro fratelli posti nella tribolazione e attaccati dai pagani.17Giuda disse a Simone suo fratello: "Scegliti degli uomini e corri a liberare i tuoi fratelli della Galilea; io e mio fratello Giònata andremo nella regione di Gàlaad".18Lasciò Giuseppe figlio di Zaccaria e Azaria capo del popolo, con il resto delle forze a presidiare la Giudea,19dando loro questa consegna: "Governate questo popolo, ma non attaccate battaglia contro i pagani fino al nostro ritorno".20Furono assegnati a Simone tremila uomini per la spedizione in Galilea, a Giuda ottomila uomini per la regione di Gàlaad.
21Simone si recò in Galilea e sferrò molti attacchi contro i pagani e questi rimasero sconfitti davanti a lui;22egli li inseguì fino alle porte di Tolemàide. Caddero dei pagani circa tremila uomini e Simone portò via le loro spoglie.23Prese poi gli Israeliti che erano in Galilea e in Arbatta con le donne e i figli e tutti i loro averi e li condusse in Giudea con grande gioia.24Da parte loro Giuda Maccabeo e il fratello Giònata passarono il Giordano e camminarono per tre giorni nel deserto.25S'imbatterono nei Nabatei, che vennero loro incontro pacificamente e narrarono tutte le vicende dei loro fratelli nella regione di Gàlaad,26e che molti di loro erano assediati in Bozra e Bozor, in Àlema, in Casfo, in Maked e Karn...in; e che tutte queste città erano fortificate e grandi.27Ve n'erano pure rinchiusi nelle altre città di Gàlaad e - dicevano - per il giorno dopo era stabilito di dar l'assalto alle fortezze, espugnarle e di eliminare tutti costoro in un sol giorno.28Allora Giuda con il suo esercito tornò indietro subito per la via del deserto verso Bozra; prese la città e passò ogni maschio a fil di spada, s'impadronì di tutte le loro spoglie e incendiò la città.29Nella notte partì di là e marciarono fino alla fortezza.30Verso il mattino alzarono gli occhi ed ecco gran folla che non si poteva contare issava scale e macchine per espugnare la fortezza e già attaccava gli assediati.31Giuda, vedendo che la battaglia era già incominciata e che le grida della città arrivavano al cielo per il suono delle trombe e le urla altissime,32disse ai suoi soldati: "Combattete oggi per i vostri fratelli".33Irruppero in tre schiere alle loro spalle, diedero fiato alle trombe e innalzarono grida e invocazioni.34Nell'esercito di Timòteo si sparse la notizia che c'era il Maccabeo e fuggirono davanti a lui; egli inflisse loro una grave sconfitta e ne rimasero uccisi in quel giorno circa ottomila.35Poi piegò su Alim, l'assalì e la prese; ne uccise tutti i maschi, la saccheggiò e le appiccò il fuoco.36Tolse il campo di là e conquistò Casfo, Maked e Bozor e le altre città di Gàlaad.37Dopo questi fatti Timòteo raccolse un altro esercito e si accampò di fronte a Rafon al di là del torrente.38Giuda mandò a esplorare il campo e gli riferirono: "Sono radunati con lui tutti gli stranieri che ci circondano: sono un esercito imponente.39Anche gli Arabi sono assoldati come suoi ausiliari; sono accampati al di là del torrente e sono pronti a venire a battaglia con te". Giuda andò incontro a loro.40Timòteo disse ai comandanti del suo esercito, mentre Giuda e il suo esercito si avvicinavano al torrente: "Se passerà per primo contro di noi, non potremo resistergli, perché sarà molto potente contro di noi.41Se invece si mostrerà titubante e porrà il campo al di là del fiume, andremo noi contro di lui e avremo la meglio".42Quando Giuda si avvicinò al corso d'acqua, dispose gli scribi del popolo lungo il torrente con questi ordini: "Non permettete che alcuno si fermi, ma vengano tutti a combattere".43Passò per primo contro i nemici e tutto il popolo dietro di lui. I pagani furono travolti davanti a lui, gettarono le armi e fuggirono nel tempio di Karnàin.44Conquistarono la città e appiccarono il fuoco al tempio con quanti c'erano dentro. Così Karnàin fu vinta e non poté resistere oltre di fronte a Giuda.45Giuda radunò tutti gli Israeliti che erano nella regione di Gàlaad dal più piccolo al più grande con le donne e i figli e gli averi, carovana sterminata, per andare nella Giudea.46Arrivarono a Efron, città posta sul percorso, grande e particolarmente forte, che non era possibile evitare da nessuna parte e bisognava passarvi in mezzo.47Gli abitanti della città avevano chiuso loro il passaggio barricando le porte con pietre.48Giuda mandò a far loro proposte pacifiche dicendo: "Attraverseremo il tuo paese solo per tornare al nostro, nessuno vi farà alcun male, solo passeremo a piedi". Ma non vollero aprirgli.49Giuda fece annunciare a tutta la truppa che ciascuno si accampasse dov'era.50I militari si fermarono e diedero l'assalto alla città tutto quel giorno e tutta la notte e la città dovette arrendersi.51Giuda passò tutti i maschi a fil di spada, la distrusse totalmente, ne prese le spoglie e attraversò la città sopra i cadaveri.52Poi attraversò il Giordano verso la grande pianura di fronte a Beisan.53Giuda sollecitava quelli che rimanevano indietro e confortava il popolo durante tutto il viaggio, finché giunsero nella Giudea.54Salirono il monte Sion in letizia e gioia e offrirono olocausti, perché senza aver perduto neppure uno di loro erano tornati felicemente.
55Nel tempo in cui Giuda e Giònata erano rimasti in Gàlaad e Simone loro fratello in Galilea di fronte a Tolemàide,56Giuseppe figlio di Zaccaria e Azaria, comandanti dell'esercito, vennero a sapere delle imprese gloriose e delle battaglie che avevano compiute57e dissero: "Facciamoci onore anche noi e usciamo a combattere contro i pagani che ci circondano".58Diedero ordine ai soldati che erano con loro e si diressero a Iamnia.59Ma Gorgia uscì dalla città con i suoi uomini incontro a loro per attaccarli.60Giuseppe e Azaria furono vinti e inseguiti fin nel territorio della Giudea e in quel giorno caddero circa duemila uomini del popolo di Israele.61Toccò questa grave sconfitta al popolo, perché non avevano ascoltato Giuda e i suoi fratelli, pensando di compiere gesta eroiche:62ma essi non erano della stirpe di quei valorosi, per le cui mani era stata compiuta la salvezza in Israele.
63Il prode Giuda e i suoi fratelli crebbero in grande fama presso tutto Israele e presso tutti i popoli ai quali giungeva notizia del loro nome;64si adunavano attorno a loro acclamandoli.
65Giuda con i suoi fratelli uscì ancora per combattere contro i figli di Esaù nella regione meridionale e colpì Ebron e le sue dipendenze, distrusse le sue fortezze e diede fuoco tutt'intorno alle sue torri.66Poi levò il campo per andare nel paese dei Filistei e attraversò Maresa.67In quel giorno caddero in battaglia sacerdoti, i quali, smaniosi di eroismi, erano usciti a combattere inconsideratamente.68Giuda piegò su Asdod, terra dei Filistei: distrusse i loro altari, bruciò le statue dei loro dèi, mise a sacco la loro città e fece ritorno in Giudea.
Salmi 71
1In te mi rifugio, Signore,
ch'io non resti confuso in eterno.
2Liberami, difendimi per la tua giustizia,
porgimi ascolto e salvami.
3Sii per me rupe di difesa,
baluardo inaccessibile,
poiché tu sei mio rifugio e mia fortezza.
4Mio Dio, salvami dalle mani dell'empio,
dalle mani dell'iniquo e dell'oppressore.
5Sei tu, Signore, la mia speranza,
la mia fiducia fin dalla mia giovinezza.
6Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno,
dal seno di mia madre tu sei il mio sostegno;
a te la mia lode senza fine.
7Sono parso a molti quasi un prodigio:
eri tu il mio rifugio sicuro.
8Della tua lode è piena la mia bocca,
della tua gloria, tutto il giorno.
9Non mi respingere nel tempo della vecchiaia,
non abbandonarmi quando declinano le mie forze.
10Contro di me parlano i miei nemici,
coloro che mi spiano congiurano insieme:
11"Dio lo ha abbandonato,
inseguitelo, prendetelo,
perché non ha chi lo liberi".
12O Dio, non stare lontano:
Dio mio, vieni presto ad aiutarmi.
13Siano confusi e annientati quanti mi accusano,
siano coperti d'infamia e di vergogna
quanti cercano la mia sventura.
14Io, invece, non cesso di sperare,
moltiplicherò le tue lodi.
15La mia bocca annunzierà la tua giustizia,
proclamerà sempre la tua salvezza,
che non so misurare.
16Dirò le meraviglie del Signore,
ricorderò che tu solo sei giusto.
17Tu mi hai istruito, o Dio, fin dalla giovinezza
e ancora oggi proclamo i tuoi prodigi.
18E ora, nella vecchiaia e nella canizie,
Dio, non abbandonarmi,
finché io annunzi la tua potenza,
a tutte le generazioni le tue meraviglie.
19La tua giustizia, Dio, è alta come il cielo,
tu hai fatto cose grandi:
chi è come te, o Dio?
20Mi hai fatto provare molte angosce e sventure:
mi darai ancora vita,
mi farai risalire dagli abissi della terra,
21accrescerai la mia grandezza
e tornerai a consolarmi.
22Allora ti renderò grazie sull'arpa,
per la tua fedeltà, o mio Dio;
ti canterò sulla cetra, o santo d'Israele.
23Cantando le tue lodi, esulteranno le mie labbra
e la mia vita, che tu hai riscattato.
24Anche la mia lingua tutto il giorno
proclamerà la tua giustizia,
quando saranno confusi e umiliati
quelli che cercano la mia rovina.
Salmi 64
1'Salmo. Di Davide. Al maestro del coro.'
2Ascolta, Dio, la voce, del mio lamento,
dal terrore del nemico preserva la mia vita.
3Proteggimi dalla congiura degli empi
dal tumulto dei malvagi.
4Affilano la loro lingua come spada,
scagliano come frecce parole amare
5per colpire di nascosto l'innocente;
lo colpiscono di sorpresa e non hanno timore.
6Si ostinano nel fare il male,
si accordano per nascondere tranelli;
dicono: "Chi li potrà vedere?".
7Meditano iniquità, attuano le loro trame:
un baratro è l'uomo e il suo cuore un abisso.
8Ma Dio li colpisce con le sue frecce:
all'improvviso essi sono feriti,
9la loro stessa lingua li farà cadere;
chiunque, al vederli, scuoterà il capo.
10Allora tutti saranno presi da timore,
annunzieranno le opere di Dio
e capiranno ciò che egli ha fatto.
11Il giusto gioirà nel Signore
e riporrà in lui la sua speranza,
i retti di cuore ne trarranno gloria.
Daniele 14
1Il re Astiage si riunì ai suoi padri e gli succedette nel regno Ciro il Persiano.2Ora Daniele viveva accanto al re, ed era il più onorato di tutti gli amici del re.3I Babilonesi avevano un idolo chiamato Bel, al quale offrivano ogni giorno dodici sacchi di fior di farina, quaranta pecore e sei barili di vino.4Anche il re venerava questo idolo e andava ogni giorno ad adorarlo. Daniele però adorava il suo Dio e perciò il re gli disse: "Perché non adori Bel?".5Daniele rispose: "Io non adoro idoli fatti da mani d'uomo, ma soltanto il Dio vivo che ha fatto il cielo e la terra e che è signore di ogni essere vivente".6"Non credi tu - aggiunse il re - che Bel sia un dio vivo? Non vedi quanto beve e mangia ogni giorno?".7Rispose Daniele ridendo: "Non t'ingannare, o re: quell'idolo di dentro è d'argilla e di fuori è di bronzo e non ha mai mangiato né bevuto".8Il re s'indignò e convocati i sacerdoti di Bel, disse loro: "Se voi non mi dite chi è che mangia tutto questo cibo, morirete; se invece mi proverete che è Bel che lo mangia, morirà Daniele, perché ha insultato Bel".9Daniele disse al re: "Sia fatto come tu hai detto". I sacerdoti di Bel erano settanta, senza contare le mogli e i figli.10Il re si recò insieme con Daniele al tempio di Bel11e i sacerdoti di Bel gli dissero: "Ecco, noi usciamo di qui e tu, re, disponi le vivande e mesci il vino temperato; poi chiudi la porta e sigillala con il tuo anello. Se domani mattina, venendo, tu riscontrerai che tutto non è stato mangiato da Bel, moriremo noi, altrimenti morirà Daniele che ci ha calunniati".12Essi però non se ne preoccuparono perché avevano praticato un passaggio segreto sotto la tavola per il quale passavano abitualmente e consumavano tutto.
13Dopo che essi se ne furono andati, il re fece porre i cibi davanti a Bel:14Daniele ordinò ai servi del re di portare un po' di cenere e la sparsero su tutto il pavimento del tempio alla presenza soltanto del re; poi uscirono, chiusero la porta, la sigillarono con l'anello del re e se ne andarono.15I sacerdoti vennero di notte, secondo il loro consueto, con le mogli, i figli, e mangiarono e bevvero tutto.16Di buon mattino il re si alzò, come anche Daniele.17Il re domandò: "Sono intatti i sigilli, Daniele?". "Intatti, re" rispose.18Aperta la porta, il re guardò la tavola ed esclamò: "Tu sei grande, Bel, e nessun inganno è in te!".19Daniele sorrise e, trattenendo il re perché non entrasse, disse: "Guarda il pavimento ed esamina di chi sono quelle orme".20Il re disse: "Vedo orme d'uomini, di donne e di ragazzi!".21Acceso d'ira, fece arrestare i sacerdoti con le mogli e i figli; gli furono mostrate le porte segrete per le quali entravano a consumare quanto si trovava sulla tavola.22Quindi il re li fece mettere a morte, consegnò Bel in potere di Daniele che lo distrusse insieme con il tempio.
23Vi era un gran drago e i Babilonesi lo veneravano.24Il re disse a Daniele: "Non potrai dire che questo non è un dio vivente; adoralo, dunque".25Daniele rispose: "Io adoro il Signore mio Dio, perché egli è il Dio vivente; se tu me lo permetti, o re, io, senza spada e senza bastone, ucciderò il drago".26Soggiunse il re: "Te lo permetto".27Daniele prese allora pece, grasso e peli e li fece cuocere insieme, poi ne preparò focacce e le gettò in bocca al drago che le inghiottì e scoppiò; quindi soggiunse: "Ecco che cosa adoravate!".
28Quando i Babilonesi lo seppero, ne furono molto indignati e insorsero contro il re, dicendo: "Il re è diventato Giudeo: ha distrutto Bel, ha ucciso il drago, ha messo a morte i sacerdoti".29Andarono da lui dicendo: "Consegnaci Daniele, altrimenti uccidiamo te e la tua famiglia!".30Quando il re vide che lo assalivano con violenza, costretto dalla necessità consegnò loro Daniele.
31Ed essi lo gettarono nella fossa dei leoni, dove rimase sei giorni.32Nella fossa vi erano sette leoni, ai quali venivano dati ogni giorno due cadaveri e due pecore: ma quella volta non fu dato loro niente perché divorassero Daniele.
33Si trovava allora in Giudea il profeta Àbacuc il quale aveva fatto una minestra e spezzettato il pane in un recipiente e andava a portarlo nel campo ai mietitori.34L'angelo del Signore gli disse: "Porta questo cibo a Daniele in Babilonia nella fossa dei leoni".35Ma Àbacuc rispose: "Signore, Babilonia non l'ho mai vista e la fossa non la conosco".36Allora l'angelo del Signore lo prese per i capelli e con la velocità del vento lo trasportò in Babilonia e lo posò sull'orlo della fossa dei leoni.37Gridò Àbacuc: "Daniele, Daniele, prendi il cibo che Dio ti ha mandato".38Daniele esclamò: "Dio, ti sei ricordato di me e non hai abbandonato coloro che ti amano".39Alzatosi, Daniele si mise a mangiare, mentre l'angelo di Dio riportava subito Àbacuc nel luogo di prima.
40Il settimo giorno il re andò per piangere Daniele e giunto alla fossa guardò e vide Daniele seduto.41Allora esclamò ad alta voce: "Grande tu sei, Signore Dio di Daniele, e non c'è altro dio all'infuori di te!".42Poi fece uscire Daniele dalla fossa e vi fece gettare coloro che volevano la sua rovina ed essi furono subito divorati sotto i suoi occhi.
Lettera agli Ebrei 8
1Il punto capitale delle cose che stiamo dicendo è questo: noi abbiamo un sommo sacerdote così grande che si 'è assiso alla destra' del trono della maestà nei cieli,2ministro del santuario e della vera tenda che il Signore, e non un uomo, ha costruito.
3Ogni sommo sacerdote infatti viene costituito per offrire doni e sacrifici: di qui la necessità che anch'egli abbia qualcosa da offrire.4Se Gesù fosse sulla terra, egli non sarebbe neppure sacerdote, poiché vi sono quelli che offrono i doni secondo la legge.5Questi però attendono a un servizio che è una copia e un'ombra delle realtà celesti, secondo quanto fu detto da Dio a Mosè, quando stava per costruire la Tenda: 'Guarda', disse, 'di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte'.
6Ora invece egli ha ottenuto un ministero tanto più eccellente quanto migliore è l'alleanza di cui è mediatore, essendo questa fondata su migliori promesse.7Se la prima infatti fosse stata perfetta, non sarebbe stato il caso di stabilirne un'altra.8Dio infatti, biasimando il suo popolo, dice:
'Ecco vengono giorni, dice il Signore,
quando io stipulerò con la casa d'Israele
e con la casa di Giuda
un'alleanza nuova;'
9'non come l'alleanza che feci con i loro padri,
nel giorno in cui li presi per mano
per farli uscire dalla terra d'Egitto;
poiché essi non son rimasti fedeli alla mia alleanza,
anch'io non ebbi più cura di loro, dice il Signore'.
10'E questa è l'alleanza che io stipulerò con la casa
d'Israele
dopo quei giorni, dice il Signore:
porrò le mie leggi nella loro mente
e le imprimerò nei loro cuori;
sarò il loro Dio
ed essi saranno il mio popolo'.
11'Né alcuno avrà più da istruire il suo concittadino,
né alcuno il proprio fratello, dicendo:
Conosci il Signore!
Tutti infatti mi conosceranno,
dal più piccolo al più grande di loro'.
12'Perché io perdonerò le loro iniquità
e non mi ricorderò più dei loro peccati'.
13Dicendo però 'alleanza nuova', Dio ha dichiarato antiquata la prima; ora, ciò che diventa antico e invecchia, è prossimo a sparire.
Capitolo XII: I vantaggi delle avversità
Leggilo nella Biblioteca1. E' bene per noi che incontriamo talvolta difficoltà e contrarietà; queste, infatti, richiamano l'uomo a se stesso, nel profondo, fino a che comprenda che quaggiù egli è in esilio e che la sua speranza non va riposta in alcuna cosa di questo mondo. E' bene che talvolta soffriamo contraddizione e che la gente ci giudichi male e ingiustamente, anche se le nostre azioni e le nostre intenzioni sono buone. Tutto ciò suol favorire l'umiltà, e ci preserva dalla vanagloria. Invero, proprio quando la gente attorno a noi ci offende e ci scredita, noi aneliamo con maggior forza al testimone interiore, Iddio.
2. Dovremmo piantare noi stessi così saldamente in Dio, da non avere necessità alcuna di andar cercando tanti conforti umani. Quando un uomo di buona volontà soffre tribolazioni e tentazioni, o è afflitto da pensieri malvagi, allora egli sente di aver maggior bisogno di Dio, e di non poter fare nulla di bene senza di lui. E si rattrista e piange e prega, per il male che soffre; gli viene a noia che la vita continui; e spera che sopraggiunga la morte (2 Cor 1,8), così da poter scomparire e dimorare in Cristo (Fil 1,23). Allora egli capisce che nel mondo non può esserci completa serenità e piena pace.
Omelia II sul Genesi
Origene - Origene
Leggilo nella BibliotecaL'arca di Noè
1. Incominciando a trattare dell'arca, che fu costruita da Noè secondo l'ordine di Dio, per prima cosa vediamo quanto si dice di essa secondo la lettera, e, nel presentare i problemi che molti sono soliti proporre, ricerchiamone anche le soluzioni da quello che ci hanno tramandato gli antichi, di modo che, gettate tali fondamenta, possiamo risalire dal racconto storico al senso mistico e allegorico dell'intelligenza spirituale, e, se in queste cose è racchiuso un mistero, scoprirlo, rivelandoci il Signore la scienza della sua parola.In primo luogo, dunque, esponiamo quanto è stato scritto: E il Signore disse a Noè: Il tempo di ogni uomo è venuto davanti a me, poiché la terra è stata riempita di iniquità da parte loro; ed ecco, io distruggerò loro e la terra. Fatti dunque un'arca di legni quadrati, nell'arca farai dei nidi, e la spalmerai di bitume di dentro e di fuori. E farai l'arca cosi: combinando la sua lunghezza di trecento cubiti con la sua larghezza di cinquanta cubiti e la sua altezza di trenta cubiti, farai l'arca, e in alto la completerai per un cubito. Farai poi all'arca una porta laterale; la parte inferiore [la farai] a due scompartimenti, la parte superiore a tre (Gen 6, 13-16).
E poco dopo dice: E Noè fece tutte le cose che gli aveva comandato il Signore Dio, cosi fece (Gen 6, 22).
Indaghiamo dunque in primo luogo come si debba intendere l'aspetto stesso e la forma dell'arca.
Per quel che appare da questa descrizione, penso che si elevasse dal basso dai quattro angoli, e contraendosi e restringendosi poco per volta verso la sommità, fosse compaginata fino allo spazio dì un cubito. Infatti è detto così, che era alla base di trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza, costruita per trenta cubiti di altezza, ma culminante in un vertice ristretto, largo e lungo un cubito.
All'interno poi, la parte inferiore è costruita a due scompartimenti, cioè contiene due stanze, mentre la parte superiore è a tre scompartimenti, cioè a dire costruita a tre stanze. Ma queste abitazioni distinte sembrano fatte per poter dividere più facilmente in singoli abitacoli i diversi generi di animali e di belve, e per separare dalle bestie feroci quelle mansuete e senza forza.
Dunque, queste abitazioni distinte si chiamano nidi. Si dice che le tavole di legno erano quadrate, in modo da poter essere adattate più facilmente le une alle altre, e, con la inondazione del diluvio, si frenasse tutto l'impeto delle acque, essendo protette le giunture dal bitume spalmato di dentro e di fuori.
Ci è stato tramandato, e non senza verosimiglianza, che la parte inferiore, che sopra abbiamo detto costruita doppia, e che anche separatamente è stata chiamata a due scompartimenti, ad eccezione della parte superiore, detta a tre scompartimenti, fosse doppia per questo motivo: per il fatto che tutti gli animali trascorsero un intero anno nell'arca, e quindi era necessario provvedere per tutto l'anno il nutrimento, e non solo il nutrimento, ma anche disporre luoghi per gli escrementi, in modo che né gli animali stessi, né soprattutto gli uomini, fossero infastiditi dal puzzo del letame.
Dunque si tramanda che lo spazio inferiore, nel fondo, fosse destinato e adibito per necessità di tal genere, mentre la parte superiore, e ad essa contigua, serviva per conservare gli alimenti. Giacché sembrava necessario introdurre dal di fuori animali per le bestie alle quali la natura ha dato di pascersi di carni, così che, cibandosi delle loro carni, potessero conservare la vita, per assicurare la prole; mentre per altre si conservassero altri alimenti, richiesti dall'uso naturale.
Dunque si tramanda che le parti inferiori, dette a due scompartimenti, fossero state distinte per questi usi; mentre le parti superiori erano destinate ad abitacolo delle fiere e degli animali: il piano più basso serviva da covile alle bestie feroci e selvagge, e ai serpenti, mentre le stanze superiori contigue servivano da stalla agli animali più miti; sopra tutti, poi, era collocata in alto l'abitazione per gli uomini, poiché essi, per l'onore e la ragione, sono al di sopra di tutte le cose, di modo che, come si dice che l'uomo, per la ragione e la sapienza, ha il dominio su tutte le cose che sono sulla terra, così anche fu collocato in luogo più elevato e al di sopra di tutti gli esseri animati, che erano nell'arca.
Riportano ancora che la porta, come si è detto fatta di lato, fosse in quel punto per avere sotto di sé le parti inferiori, dette a due scompartimenti, e quelle dette parti superiori a tre scompartimenti, fossero chiamate così rispetto alla posizione della porta: entrando da li, tutti gli animali si spartivano con le divisioni convenienti, ciascuno al proprio posto, secondo quanto abbiamo detto sopra.
Ma la protezione della porta stessa non si serve più di mezzi umani. Infatti, in che modo, dopo che la porta fu chiusa, e fuori dell'arca non c'era alcun uomo, la porta poté essere cosparsa di bitume dal di fuori, se non certamente per opera della potenza divina, affinché le acque non entrassero per l'ingresso, non protetto da mano d'uomo?
Per questo, dunque, la Scrittura, dopo aver detto riguardo a tutte le altre cose che Noè fece l'arca, e introdusse gli animali, e i figli, e le loro mogli, riguardo alla porta non dice che Noè chiuse la porta dell'arca; ma che: Il Signore Iddio chiuse dal di fuori la porta dell'arca, e cosi fu il diluvio (Gen 7, 16-17).
Notiamo tuttavia che, dopo il diluvio, non si dice che Noè apri la porta, ma la finestra, quando mandò fuori il corvo, per vedere se era cessata l'acqua sopra la terra (Gen 8, 6-8).
Riguardo poi al cibo che Noè introdusse nell'arca per tutti gli animali e le bestie, che erano entrati con lui, senti quel che dice il Signore a Noè: Prendi per te da tutti i cibi commestibili, radunali presso di te, e serviranno per te e per loro da mangiare (Gen 6,21).
E che Noè abbia eseguito il comando del Signore, ascoltalo dalla Scrittura: E Noè fece tutte le cose che gli aveva comandato il Signore Dio, cosi fece (Gen 6,22). Quanto al fatto che la Scrittura non riferisca nulla riguardo ai luoghi che abbiamo detto distinti per gli escrementi degli animali, ma lo dice la tradizione, appare opportuno che ci sia stato il silenzio su questo, perché la ragione ne mostrava sufficientemente le conseguenze; e poiché meno convenientemente poteva adattarsi alla intelligenza spirituale, giustamente la Scrittura ne tacque, essa che applica piuttosto le sue narrazioni alle interpretazioni allegoriche.
Tuttavia, per quel che riguarda la necessità delle acque e del diluvio, nessun'altra forma avrebbe potuto essere data all'arca più conveniente e più adatta, in modo che dalla sommità, come da un tetto culminante in una cima ristretta, diffondesse i rovesci delle piogge, e, con le basi nelle acque, ferma nella sua stabilità quadrata, non potesse piegarsi né essere sommersa, né per la spinta dei venti, né per l'impeto dei flutti, né per l'agitarsi degli animali che erano dentro.
La scienza geometrica
2. Ma a tutte queste cose, messe insieme con tanta sapienza, c'è chi muove obiezioni, e soprattutto Apelle, che fu discepolo di Marcione, ma inventore a sua volta di una eresia maggiore di quella ricevuta dal maestro. Poiché egli vuole mostrare a tutti i costi che gli scritti di Mosè non contengono in sé alcuna sapienza divina, né alcuna operazione di Spirito Santo, esaspera questo tipo di discorso e dice che in alcun modo avrebbe potuto accadere che così poco spazio potesse accogliere tanti generi di animali e il loro nutrimento, tale da bastare per un anno intero.Si dice che nell'arca sono introdotti due a due dagli animali immondi, cioè due maschi e due femmine - questo significa la ripetizione -, e sette a sette da quelli mondi (Gen 6, 19; 7, 2), cioè sette paia: come poté accadere ciò con un tale spazio, del quale è scritto che poteva appena accogliere quattro elefanti soltanto?
Dopo aver formulato questo rifiuto per ciascun aspetto, aggiunge come conclusione queste parole: dunque è sicuro che è una favola inventata, e, se è così, certo questa Scrittura non è da Dio. Ma, di fronte a queste cose, offriamo alla conoscenza degli uditori quanto abbiamo imparato da uomini sapienti, esperti delle tradizioni ebraiche, e dagli antichi maestri.
Dicevano dunque gli antichi che Mosè, il quale, secondo la testimonianza della Scrittura, era stato allevato in tutta la sapienza egiziana (At 7,22), mise a questo punto il numero dei cubiti secondo la scienza geometrica, nella quale gli egiziani sono particolarmente abili. Per i geometri, infatti, secondo il valore che nel loro linguaggio si chiama potenza, da un solido e quadrato l'uno corrisponde a sei cubiti, se è considerato in modo generale, e a trecento, se inteso minutamente. E, se si tiene conto di tale valore, nella misura di quest'arca si troveranno spazi così grandi in lunghezza e larghezza, da poter contenere veramente i germi di rigenerazione di tutto il mondo, e le semenze di risurrezione di tutti gli esseri animati.
Siano dette queste cose, riguardo al senso del fatto storico, contro coloro che si sforzano di impugnare le Scritture dell'Antico Testamento, come se contenessero cose impossibili e irrazionali.
L'edificazione spirituale
3. E ora, supplicando in primo luogo colui che, solo, può togliere il velo dalla lettura dell'Antico Testamento (cfr 2 Cor 3, 12-16), proviamo a indagare che cosa contenga anche di edificazione spirituale questa magnifica costruzione dell'arca.Io penso dunque, per quel che la piccolezza del mio intendimento può afferrarne, che quel diluvio, per mezzo del quale allora fu quasi posta fine al mondo, sia figura di quella fine del mondo che veramente ci sarà. L'ha dichiarato anche il Signore stesso, dicendo: Come infatti nei giorni di Noè compravano, vendevano, costruivano, prendevano marito e moglie, e venne il diluvio, e mandò tutti in perdizione; così sarà anche la venuta del figlio dell'uomo (cfr Lc 17, 26-27): con il che, evidentemente, indica nell'identica figura del diluvio, che ha preceduto, anche la fine del mondo, che dice che avverrà.
Come dunque allora fu detto a quel Noè di costruire l'arca e di introdurvi con sé non solo i figli e i parenti, ma anche gli animali di vario genere, così anche al nostro Noè, il quale veramente è il solo giusto e il solo perfetto, il Signore Gesù Cristo, è stato detto dal Padre, alla fine dei tempi, di costruirsi un arca di tavole quadrate, e di darle le misure perfette per i sacramenti celesti. Lo indica il salmo, quando dice: Chiedimi, e ti darò le genti come tua eredità, e in tuo possesso i confini della terra (Sal 2, 8).
Costruisce dunque l'arca, e in essa fa dei nidi, cioè come delle stanze, in cui accogliere gli animali di vario genere; riguardo a queste anche il profeta dice: Va', popolo mio, entra nelle tue stanze, nasconditi per un poco, fino a che passi il furore della mia ira (Is 26, 20).
Dunque si paragona questo popolo, che è salvato nella Chiesa, a tutti quelli, uomini e animali, che furono salvati nell'arca; ma poiché non è di tutti unico il merito e unico il progresso nella fede, per questo anche quell'arca non offre a tutti un unica dimora, ma vi sono scompartimenti doppi al di sotto, e scompartimenti a tre stanze al di sopra, e in essa si distinguono dei nidi, per mostrare che anche nella Chiesa, benché tutti siano racchiusi in un'unica fede, e lavati in un unico battesimo, tuttavia il progresso non è il solo e il medesimo per tutti, ma ciascuno nel suo ordine (1 Cor 15,23).
Quelli che vivono immersi nella scienza spirituale, e sono idonei non solo a governare sé stessi, ma anche ad ammaestrare gli altri, e se ne trovano proprio pochi, sono figura di quei pochi che si salvano con Noè stesso, e sono suoi parenti stretti, allo stesso modo che il nostro Signore, il vero Noè, il Cristo Gesù, ha pochi parenti, pochi figli e congiunti, partecipi della sua parola e capaci di sapienza. Questi sono coloro che sono posti nel piano più alto, e collocati in cima all'arca.
La moltitudine degli altri animali irragionevoli, e anche delle belve, sta nei piani inferiori, soprattutto quelli la cui feroce crudeltà non è stata placata dalla dolcezza della fede; un po' al di sopra di questi stanno coloro che, sia pure di minore spiritualità, tuttavia hanno grandissima semplicità e innocenza.
Così, quelli che salgono i singoli gradini delle dimore, giungono fino a Noè, che significa riposo, o giusto, che è il Cristo Gesù.
Infatti non conviene a quel Noè ciò che dice il padre suo Lamec: Costui ci darà riposo dalle opere e dalle afflizioni delle nostre mani, e dalla terra, che il Signore Iddio ha maledetto (Gen 5, 29). Giacché, in che modo sarebbe vero che Noè avrebbe dato riposo a Lamec e alla gente che c'era allora sulla terra, o in che modo hanno avuto fine pene e affanno ai tempi di Noè, o come è stata tolta alla terra la maledizione che il Signore aveva dato, quando piuttosto si manifesta più grande anche l'ira divina, e si riporta che Dio dice: Mi pento di aver fatto l'uomo sopra la terra, e dice ancora: Distruggerò ogni carne che è sopra la terra (cfr Gen 6, 6-7), e, come segno massimo del culmine del peccato è data la perdizione dei viventi?
Ma se guardi al nostro Signore Gesù Cristo, del quale è detto: Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo (Gv 1, 29), e ancora: Fatto per noi maledizione, per redimerci dalla maledizione della legge (cfr Gal 3, 13), e che dice egli stesso: Venite a me, voi che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò, e troverete riposo per le vostre anime (cfr Mt 11, 28-29), troverai che è lui che veramente ha dato riposo agli uomini, e ha liberato la terra dalla maledizione con cui la maledì il Signore Iddio. Dunque, al Noè spirituale, che ha dato riposo agli uomini e ha tolto il peccato del mondo, viene detto: Ti farai un'arca di legni quadrati (Gen 6, 14).
I legni quadrati
4. Consideriamo dunque che cosa siano i legni quadrati. Quadrato è quel che non vacilla da nessuna parte, ma, ovunque lo rivolti, sta saldo di una stabilità sicura e forte: sono questi i legni che sopportano tutto il peso degli animali, al di dentro, e dei flutti, al di fuori. E io ritengo che, nella Chiesa, essi siano i dottori, i maestri, i custodi zelanti della fede, i quali, all'interno, confortano il popolo con la parola dell'ammonimento e la grazia della dottrina, e insieme, con la potenza della parola e la sapienza dello spirito, resistono a quanti attaccano dal di fuori, pagani ed eretici, che sollevano i flutti dei problemi e le tempeste delle dispute.Vuoi poi vedere che la divina Scrittura conosce legni spirituali? Ricordiamo quel che è scritto nel profeta Ezechiele: E avvenne, nell'undicesimo anno, nel terzo mese, nel primo giorno del mese, la parola del Signore mi fu rivolta dicendo: Figlio dell'uomo, dì al Faraone, re di Egitto, e alla sua gente: A chi ti paragoni nel tuo orgoglio? Ecco Assur, cipresso del Libano, magnifico di rami, fitto per l'ombra, sublime in altezza; la sua cima fu in mezzo alle nubi, l'acqua lo nutri, l'abisso lo esaltò, e portò a lui tutti i suoi fiumi, ed estese le sue correnti a tutti gli alberi della campagna. Per questo la sua altezza si elevò al di sopra di ogni albero della campagna (Ez 31, 1-5). E poco dopo dice: Molti cipressi e pini, nel paradiso di Dio, non sono simili ai suoi rami, né vi assomigliarono gli abeti; nessun albero divenne come lui nel paradiso di Dio, e ne furono gelosi tutti gli alberi del paradiso di delizie di Dio (cfr Ez 31, 8-9).
Comprendi di qual tipo di alberi parla il profeta, e di qual genere? Come potrebbe descrivere un cipresso del Libano, cui non potrebbero essere paragonati tutti gli alberi che sono nel paradiso di Dio? E alla fine aggiunge anche questo, che tutti gli alberi, che sono nel paradiso di Dio, sono stati presi da gelosia per esso, mostrando evidentemente che, secondo l'intelligenza spirituale, si parla in senso mistico di quei legni che sono nel paradiso di Dio, dal momento che mostra esserci in loro una certa gelosia verso gli alberi che sono nel Libano.
Ragion per cui, per fare anche questa digressione, considera se per caso anche quella parola per cui sta scritto: Maledetto da Dio ognuno che pende dal legno (Dt 21, 23), non debba intendersi nello stesso senso dell'altra, detta altrove: Maledetto l'uomo, che ripone la sua speranza nell'uomo (Ger 17, 5).
Giacché noi dobbiamo pendere solo da Dio, e da nessun altro, anche se si parli di qualcuno che proviene dal paradiso di Dio, come dice anche Paolo: Anche se noi, o un angelo del cielo, vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema (Gal 1, 8).
Ma di questo altrove.
Intanto hai visto quali siano i legni quadrati, che sono posti dal Noè spirituale come muro e presidio, per quelli che sono al di dentro, dai flutti che sopravvengono dal di fuori; e questi legni sono spalmati di bitume di dentro e di fuori (Gen 6, 14).
Infatti l'architetto della Chiesa, il Cristo, non vuole che tu sia come quelli che al di fuori appaiono giusti agli uomini, ma al di dentro sono sepolcri di morti (cfr Mt 23, 27), ma vuole che tu sia al di fuori santo nel corpo, e al di dentro puro nel cuore, da ogni parte prudente, e protetto dalla virtù della castità e dell'innocenza: questo è essere spalmato di bitume di dentro e di fuori.
Lunghezza, larghezza e profondità
5. Dopo di che si richiama la lunghezza, la larghezza e l'altezza dell'arca, e si danno qui dei numeri consacrati a grandi misteri; ma, prima di trattare dei numeri, vediamo che cosa significhino lunghezza, larghezza, altezza. In un passo l'Apostolo, parlando più misticamente del mistero della croce, dice cosi: Affinché sappiate quale sia la lunghezza, la larghezza e la profondità (cfr Ef 3, 18). La profondità e l'altezza indicano la stessa cosa, soltanto che l'altezza sembra misurare lo spazio dal basso all'alto, mentre la profondità comincia dall'alto e scende fino al basso.Ne viene di conseguenza che lo Spirito di Dio, sia attraverso Mosè che attraverso Paolo, annuncia le figure di grandi misteri: infatti Paolo, dal momento che predicava il mistero della discesa di Cristo, ha nominato la profondità quasi a indicare colui che scende dall'alto al basso; Mosè invece, poiché indica la reintegrazione di coloro che, mediante il Cristo, sono richiamati dalla morte e dalla perdizione del mondo, come dalla strage del diluvio, dalle cose inferiori a quelle eccelse e celesti, trattando della misura dell'arca non menziona la profondità, ma l'altezza, come per l'ascendere da cose terrene e umili a cose celesti ed eccelse.
Si stabiliscono anche i numeri: trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza, trenta di altezza: trecento è tre volte il numero di cento, e il numero di cento appare sotto ogni riguardo pieno e perfetto, e avente in sé il mistero di una creatura tutta spirituale, come leggiamo negli Evangeli, quando è detto: Uno aveva cento pecore, e una di queste si perse, e, lasciate le novantanove sui monti, discese a cercare quella che si era perduta, e, trovatala, la riportò sulle sue spalle, e la mise insieme con le altre novantanove, che non si erano perdute (cfr Lc 15, 4-5 e Mt 18, 12-13).
Dunque questo cento, numero di una creatura tutta spirituale, poiché non sussiste da se stesso, ma procede dalla Trinità, e ha ricevuto la lunghezza della vita, cioè la grazia della immortalità, dal Padre, per il Figlio e lo Spirito Santo, per questo viene stabilito triplicato, in quanto cresce fino alla perfezione per la grazia della Trinità, e ristabilisce in trecento, mediante la conoscenza della Trinità, colui che per ignoranza era caduto dai cento.
La larghezza ha in sé il numero cinquanta, sacro alla remissione e al perdono; infatti, secondo la legge, al cinquantesimo anno avveniva la remissione, cioè, se uno aveva venduto un possesso, lo ricuperava; se, da libero, era stato ridotto in schiavitù, ricuperava la libertà; il debitore riceveva il condono, l'esule ritornava alla patria (cfr Lv 25). Dunque, il Noè spirituale, il Cristo, ha collocato il numero cinquanta della remissione nella larghezza della sua arca, cioè nella sua Chiesa, nella quale libera dalla perdizione il genere umano. Infatti, se non avesse elargito ai credenti la remissione dei peccati, non si sarebbe diffusa per tutto il mondo la larghezza della Chiesa.
Il numero dell'altezza, poi, trenta, racchiude un mistero simile al trecento; quest'ultimo viene dal moltiplicare tre volte cento, trenta da tre volte dieci; la somma poi di tutta la costruzione si riporta all'uno, poiché uno [è] Dio padre, dal quale tutte le cose, e uno il Signore (cfr 1 Cor 8, 6), e una è la fede della Chiesa, uno il battesimo, uno il corpo e uno lo spirito (cfr Ef 4, 6.5.4), e tutte le cose concorrono al fine unico della perfezione di Dio.
Ma anche tu, che ascolti queste cose, se ti applichi con libertà di spirito alle Sacre Scritture, troverai che sotto i numeri trenta e cinquanta si celano molti grandi accadimenti.
A trent'anni Giuseppe è tratto fuori dal carcere, e riceve il potere su tutto l'Egitto, per stornare, con divina preveggenza, il flagello della imminente carestia (cfr Gen 41, 46); si riferisce che a trent'anni Gesù, venuto al battesimo, vide i cieli aperti, e lo Spirito di Dio venire su di lui in forma di colomba (cfr Lc 3, 21-23; Mc 1, 10); così anche si incominciò a manifestare per la prima volta il mistero della Trinità; troverai molte altre cose simili a queste.
Troverai anche che il cinquantesimo giorno era la festa per la consacrazione delle nuove messi (cfr Dt 16, 9 ss.), e che dalle spoglie dei Madianiti si preleva per il Signore la cinquantesima parte (cfr Num 31, 30.37).
Troverai ancora che Abrahamo vince la gente di Sodoma con trecento uomini (cfr Gen 14, 14), e Gedeone riporta vittoria con i trecento che lambiscono l'acqua con la lingua (cfr Gdc 7, 6-8).
Quanto poi alla porta, essa non è collocata né frontalmente, né di sopra, ma lateralmente e trasversalmente, poiché è il tempo dell'ira divina: infatti il giorno del Signore è giorno d'ira e di furore (cfr Gl 2, 2.11; Ml 3, 2.23; Na 1, 6; Ap 6, 17), come sta scritto; e anche se si trova che alcuni si salvano, tuttavia molti, riprovati per quel che si meritano, sono distrutti e periscono; così la porta è posta di traverso, per mostrare quel che è detto dal Profeta: Se camminerete con me di traverso, anch'io camminerò con voi con ira di traverso (cfr Lv 26, 27-28).
Dopo di che vediamo anche se quella designazione distinta di parti inferiori a due scompartimenti e di parti superiori a tre scompartimenti (Gen 6, 16), non sia per caso quel che dice l'Apostolo: Nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio, delle cose celesti, terrestri e infernali (Fil 2, 10); così nell'arca le parti inferiori sarebbero simbolo di quel che l'Apostolo dice cose infernali, quelle superiori ad esse contigue sarebbero le cose terrestri, e le superiori poi, a tre scompartimenti, tutte insieme le cose celesti, ma distinguendo in esse i meriti di coloro che, secondo l'apostolo Paolo, possono salire fino al terzo cielo (cfr 2 Cor 12, 2).
E i tanti nidi, perché molti ce ne sono nell'arca, indicano che presso il Padre ci sono molte dimore (cfr Gv 14, 2).
Quanto agli animali, alle bestie feroci e domestiche, e agli altri diversi esseri animati, quale altra figura dobbiamo ritenerne se non quella che mostra Isaia, quando dice che, nel regno di Cristo, il lupo va al pascolo insieme con l'agnello, la pantera con il capretto, il leone con il bue, e che i loro piccoli mangiano insieme la paglia, e che, ancor più, un bimbo piccolo - tale senza dubbio come diceva il Salvatore: Se non vi convertirete e non diventerete come questo fanciullo, non entrerete nel regno di Dio (cfr Mt 18, 3) - stenderà la mano nella caverna dei serpenti e non ne avrà alcun male? (cfr Is 11, 6-8).
O anche la figura, che Pietro ci insegna ormai esistente nella Chiesa, quando riferisce di aver veduto una visione, nella quale tutti i quadrupedi e le bestie della terra e i volatili del cielo erano contenuti nell'unico lenzuolo della fede, attaccato agli angoli dei quattro Evangeli (cfr At 10, 11-12).
Gli scompartimenti
6. Invero, poiché l'arca, che ci sforziamo di descrivere, è costruita, per comando di Dio, non solo a due scompartimenti, ma anche a tre, sforziamoci anche noi di aggiungere alla duplice spiegazione precedente anche una terza, secondo l'ordine di Dio.La prima interpretazione, precedente, quella storica, è come il fondamento posto alla base; la seconda, quella mistica, è superiore e più elevata; se possiamo, tentiamo di aggiungervene una terza, quella morale. Il fatto stesso che non abbia detto soltanto a due scompartimenti, e poi abbia taciuto, né soltanto a tre scompartimenti, e poi abbia smesso, ma abbia detto a due scompartimenti, e poi abbia aggiunto a tre scompartimenti, sembra non essere privo di mistero per l'esposizione stessa, cui attendiamo. Infatti i tre scompartimenti indicano questa triplice interpretazione; ma poiché non sempre nelle Scritture divine può sussistere la logica storica, ma a volte viene meno, come, per esempio, quando si dice: Nascono spine in mano all'ubriaco (Pr 26, 9) e si dice del tempio costruito da Salomone: Non si è udita nel tempio di Dio la voce del martello e della scure (1 Re 6, 7), e ancora nel Levitico, quando si comanda che i sacerdoti esaminino e purifichino la lebbra dei muri, delle pelli, delle tessiture (cfr Lv 14, 34; 13, 48): per questi, e altri esempi simili a questi, l'arca è composta non solo a tre scompartimenti, ma anche a due scompartimenti, affinché sappiamo che, nelle divine Scritture, non sempre è inserito un triplice significato esegetico, poiché non sempre ci accompagna la storia, ma a volte troviamo soltanto un senso duplice.
Sforziamoci dunque di trattare anche della terza possibilità interpretativa, secondo il genere morale.
Se c'è qualcuno che, fra il crescere del male e l'inondare dei vizi, può convertirsi dalle cose passeggere, periture e caduche, all'ascolto della parola di Dio e dei comandamenti celesti, costui edifica nel suo cuore l'arca della salvezza, e consacra in sé, per cosi dire, la biblioteca della parola divina, collocandovi come lunghezza, larghezza e altezza: la fede, la carità, la speranza. Estende la fede nella Trinità alla lunghezza e immortalità della vita, fonda la larghezza della carità nei sentimento del perdono e della benevolenza, innalza l'altezza della speranza alle cose celesti ed eccelse; infatti, camminando sulla terra, ha la sua vita nei cieli (cfr Fil 3, 20); riferisce all'uno la somma delle sue azioni. Infatti sa che tutti corrono, ma uno solo riceve la palma (1 Cor 9, 24), cioè chi non è stato molteplice per la mutevolezza dei pensieri e l'instabilità dell'animo. Però costruisce questa biblioteca non con legni rozzi e grossolani, ma con legni quadrati e diritti secondo la linea della giustizia, cioè non con gli autori del mondo, ma con i libri dei profeti e degli apostoli.
Giacché sono essi che, sgrossati da diverse prove, tagliati via e recisi tutti i vizi, portano in sé la vita quadrata e bilanciata da ogni parte.
Infatti gli autori dei libri del mondo possono esser detti alberi eccelsi e alberi ombrosi - infatti Israele è accusato di aver fornicato sotto ogni albero alto e frondoso (cfr 2 Re , 17, 7 ss) -, poiché essi parlano certo con una eloquenza elevata e ornata, ma tuttavia non si sono comportati in conformità alle loro parole; per questo non possono essere chiamati legni quadrati (cfr Gen 6, 14), poiché in loro non quadrano vita e parola.
Tu, dunque, se fai un'arca, se metti insieme una biblioteca, falla con gli scritti dei profeti e degli apostoli, e di quelli che li hanno seguiti con fede rettilinea; cioè falla a due scompartimenti e a tre scompartimenti.
Apprendi da essa le narrazioni storiche, da essa riconosci il mistero grande, che si adempie nel Cristo e nella Chiesa (cfr Ef 5, 32); da essa intendi anche come emendare i costumi, tagliare via i vizi, purificare l'anima, e spogliarla da ogni vincolo di prigionia, riponendo in essa nidi e nidi di diverse virtù e progressi.
Certo la spalmerai di bitume di dentro e di fuori (Gen 6, 14), avendo la fede nel cuore, esprimendola con la confessione della bocca (cfr Rm 10, 9), avendo al di dentro la scienza, al di fuori le opere, al di dentro il cuore puro, al di fuori vivendo con corpo casto.
Dunque in quest'arca, sia che la intendiamo come biblioteca dei libri divini, sia come l'anima fedele, provvisoriamente secondo il genere morale, devi introdurre pure animali di ogni genere, non solo mondi ma anche immondi.
Possiamo dire facilmente che per animali mondi si possono intendere la memoria, l'erudizione, l'intelligenza, la ricerca e il discernimento delle cose che leggiamo, e altre cose simili a queste; è difficile invece pronunziarsi sugli animali immondi, nominati a due a due (Gen 6, 19).
Per quanto possiamo osare riguardo a punti così difficili, ritengo che necessariamente si dicano immonde la concupiscenza e l'ira, che si trovano in ogni anima, in quanto servono all'uomo per peccare; ma per il fatto che né senza la concupiscenza si rinnova la successione della posterità, né senza ira può sussistere correzione e disciplina alcuna, esse sono dette necessarie e da conservarsi. E, benché appaia che abbiamo discusso queste cose non con la ragione morale ma naturale, tuttavia per quel che poteva soddisfare al presente, ne abbiamo trattato per edificazione. Certo, se qualcuno potrà con libertà di spirito riscontrarsi e confrontarsi con la Scrittura divina, e applicare cose spirituali a cose spirituali (cfr 1 Cor 2, 13), non ci nascondiamo che troverà in questo passo molti segreti di un mistero profondo e arcano, che ora non possiamo far emergere in piena luce sia per la brevità del tempo che per non stancare chi ascolta.
Tuttavia scongiuriamo la misericordia di Dio onnipotente, di farci non solo ascoltatori della sua parola, ma anche operatori (Gc 1, 22), e di far ricadere anche sopra le nostre anime il diluvio della sua acqua, e di cancellare in noi quel che egli sa che deve essere cancellato, e di vivificare quel che ritiene debba essere vivificato, per Cristo nostro Signore e per il suo Spirito Santo.
A lui gloria per gli eterni secoli dei secoli. Amen.
1 - Maria santissima parte con Giovanni per Efeso e lì viene visitata da Giacomo.
La mistica Città di Dio - Libro ottavo - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca365. Appena la Signora , di nuovo nel suo oratorio, fu scesa dalla nube sulla quale era stata trasportata ed ebbe toccato il suolo, si prostrò ad abbracciare la polvere allo scopo di magnificare l'Onnipotente per quanto la sua destra aveva prodigiosamente operato in quella circostanza a vantaggio di lei stessa, di Giacomo e del regno in cui si era recata. Considerando con la sua ineffabile semplicità che, mentre ancora ella viveva nella carne mortale, si stava costruendo un tempio a lei intitolato perché vi fosse invocata, si annientò a tal punto nella stima di sé al suo cospetto che pareva si fosse completamente dimenticata di essere sua vera madre, creatura impeccabile e infinitamente superiore in santità a tutti i supremi serafini. Si abbassò e apprezzò questi benefici come se fosse stata un vermiciattolo e l'essere più insignificante e peccatore, giudicando che, con un simile debito, doveva sollevarsi al di sopra di se stessa a gradi di perfezione più eminente. Tanto decise e tanto fece, giungendo con la sua sapienza e modestia fin dove la nostra capacità non può innalzarsi.
366. Per quattro giorni ella spese la maggior parte del tempo in questo, come anche nel pregare con fervore per la difesa e la crescita della Chiesa, mentre Giovanni preparava quanto era necessario al percorso e all'imbarco per Efeso. Quindi, il cinque gennaio dell'anno quarantesimo dall'incarnazione, egli la avvisò che era ormai il momento di andare perché tutto era stato disposto. La Maestra dell'obbedienza si inginocchiò senza replica né indugio, chiese al Signore licenza di uscire dalla città e subito si congedò dal padrone della casa e dagli altri che vi dimoravano. Si può facilmente immaginare il dolore che essi dovettero provare, dato che, legati a lei e costretti ad esserle affezionati con ossequio per la sua dolcissima conversazione e per i favori della sua generosità, in un istante restavano senza consolazione e senza il ricchissimo tesoro del cielo nel quale trovavano tanti beni. Si offrirono di seguirla e, poiché non era conveniente, la supplicarono tra le lacrime di affrettare il rientro e di non separarsi definitivamente da quella abitazione, della quale già da molto era in possesso. Ella gradì queste pie e caritatevoli profferte, lo esternò con umili e riconoscenti dimostrazioni e, dando speranza del suo ritorno, mitigò la loro sofferenza.
367. Domandò, poi, all'Apostolo il permesso di visitare i luoghi santi, adorando colui che li aveva consacrati con la sua presenza e con il suo prezioso sangue; lo fece con straordinaria devozione e nel pianto, insieme a lui, che con il sommo conforto che ricevette standole accanto esercitò eroici atti di virtù. La beatissima Vergine vide presso ciascuno di essi l'angelo che lo difendeva e raccomandò ancora a tutti di resistere a Lucifero ed ai suoi, affinché non li distruggessero o profanassero, come desideravano e avrebbero tentato di fare per mezzo dei giudei. Per questo li avvertì di sventare con le loro ispirazioni i pensieri malvagi e le suggestioni diaboliche con cui il drago procura di indurre gli uomini a cancellare la memoria di Cristo, e li incaricò di ciò per tutti i secoli, perché tale rabbia sarebbe durata per sempre. Essi eseguirono tutto quello che ordinò loro.
368. Quindi ella, genuflessa, si fece benedire per dare inizio al viaggio, come soleva fare con suo Figlio, perché nei confronti del discepolo amato, da lui lasciatole in sua vece, fu sempre docile e sottomessa. Molti credenti di Gerusalemme le presentarono denaro, doni e cocchi per il tragitto da lì alla costa, come anche tutto l'occorrente fino all'arrivo. La prudente Regina della povertà, però, manifestando dimessamente gratitudine, soddisfece tutti senza prendere nulla e si diresse al porto su un asinello. Il ricordo degli spostamenti fatti in passato con Gesù e Giuseppe e l'ardore per l'Altissimo, che la obbligava come allora a peregrinare, risvegliavano nel suo cuore teneri e riverenti sentimenti. Per essere ineccepibile in tutto, si rimise un'altra volta alla volontà di Dio, accettando, per la sua gloria e per l'esaltazione del suo nome, la pena di essere priva della vicinanza del suo Unigenito e del suo sposo, mentre in molte occasioni ne aveva goduto con abbondante sollievo, nonché di perdere la quiete del cenacolo, posti così venerabili e la compagnia di tanti bravi fedeli; poi, lo lodò per aver messo al suo fianco l'Evangelista per assisterla nonostante tali assenze.
369. Per darle più sostegno e alleviamento, alla partenza le si resero visibili tutti i suoi custodi, che la circondarono. Con questa scorta e quella terrena del solo Giovanni camminò fino alla nave in procinto di salpare, intrattenendosi in continui e soavi colloqui e cantici con gli spiriti sovrani, e talora con il fortunato Apostolo, il quale, premuroso e sollecito, si prodigava per lei con mirabile riguardo in tutto quello che sapeva opportuno. Per tale atteggiamento, aveva verso di lui riconoscenza con inespri-
mibile umiltà, perché queste due qualità le facevano apparire i suoi servizi immensi e gratuiti, benché essi le fossero dovuti per tante cause.
370. Quando furono sulla riva, salirono a bordo con altri passeggeri. La Signora , che non era mai stata prima in mare in questo modo, penetrò con assoluta chiarezza il vastissimo Mediterraneo e la sua comunicazione con l'oceano: ne scrutò la profondità, l'estensione e la larghezza, le caverne nascoste e l'occulta disposizione, le sabbie e le miniere, i flussi e i riflussi, gli animali, le balene, le varietà di pesci piccoli e grossi e ciò che vi era racchiuso. Ebbe, poi, nozione di quante persone vi erano annegate ed erano perite solcandolo; si rammentò, dunque, della verità contenuta nel Siracide, cioè che i naviganti parlano dei suoi pericoli, e del passo del salmo in cui si afferma che sono mirabili l'elevarsi e la superbia delle sue tumide onde. Intese tutto questo, oltre che per concessione speciale del Salvatore, anche perché partecipava in grado sublime dei privilegi della natura angelica, come pure degli attributi divini, a imitazione e somiglianza dell'umanità santissima di lui. Con queste prerogative, non solo ella comprendeva ogni cosa quale è in se stessa e senza inganni, ma la sfera delle sue cognizioni sorpassava quella degli esseri celesti.
371. Quando dinanzi alle sue facoltà e alla sua sapienza si aprì quell'ampia prospettiva, in cui riverberava come in uno specchio nitidissimo la grandezza di Dio, sollevò il suo spirito con ardentissimo volo fino a lui, che tanto risplende nelle sue meravigliose opere, magnificandolo in tutte e per tutte. Provando compassione come madre pietosa per coloro che si abbandonano all'indomita forza dei flutti per attraversarli con enorme rischio, pregò ferventemente per loro sua Maestà di proteggerli se l'avessero supplicata chiedendo con devozione la sua intercessione e il suo patrocinio. Egli le accordò subito quello che domandava e si impegnò a favorire chi avesse avuto con sé qualche immagine di lei e nelle burrasche l'avesse invocata con affetto come stella del mare. Questa promessa permette di capire che, se i cattolici vanno incontro a incidenti e affogano, ciò accade perché essi ignorano tale soccorso o perché, per i propri peccati, meritano di non ricordarsene nelle tempeste e non la implorano con vera fede; infatti, la parola dell'Altissimo non può venire meno, né la Regina negherebbe il suo aiuto ai bisognosi e agli afflitti in grave difficoltà.
372. In questa circostanza avvenne ancora un fatto eccezionale. Quando Maria scorse i diversi animali acquatici, li benedisse e comandò loro di confessare e celebrare il proprio Creatore nella forma ad essi conveniente. Allora questi, docili, con incredibile velocità accorsero in una moltitudine innumerevole intorno all'imbarcazione, senza che ne mancasse alcuna specie; mostrarono le teste in superficie e, muovendosi e agitandosi in modo singolare e piacevole, si trattennero a lungo, per riconoscerla come signora, prestarle obbedienza, festeggiarla e in qualche maniera ringraziarla di essersi degnata di entrare nell'elemento in cui vivevano. Tutti coloro che erano lì si stupirono per questo prodigio mai visto, che dette motivo di riflessione e discussione perché tale quantità di pesci di disparate dimensioni, così stretti e accalcati, impediva di procedere; però, non ne colsero la ragione, tranne Giovanni, che per un bel po' non riuscì a frenare le lacrime per la gioia e poi invitò la dolce Vergine a dare loro licenza di andarsene, dato che l'avevano ascoltata tanto prontamente allorché li aveva esortati alla lode. Lo fece e immediatamente quella massa disparve, lasciando il mare calmo, sereno e assai limpido, per cui proseguirono il viaggio e in poche giornate giunsero alla meta.
373. Scesero a terra e anche qui ella compì delle azioni straordinarie, curando infermi e indemoniati, che in sua presenza restavano liberi all'istante. Non mi attardo ad esporle, perché occorrerebbero parecchi libri e più tempo se dovessi riportare tutto quanto faceva e i benefici del cielo che spargeva ovunque, come strumento e dispensatrice dell'onnipotenza divina. Riferisco solo quelle che sono necessarie per la Storia e che bastano per manifestare qualcosa di ciò che non si sa ancora dei suoi miracoli. Risiedevano ad Efeso dei credenti provenienti dalla Palestina, sebbene non molti, e avuta notizia dell'arrivo della Madre di Gesù si recarono a visitarla e ad offrirle le proprie case e sostanze. Ella, che non cercava né ostentazione né comodità mondane, scelse come alloggio l'abitazione di alcune donne ritirate e non ricche, che stavano sole, senza compagnia di uomini. Queste, per beneplacito del Signore, la misero a sua disposizione con carità e benevolenza e, dopo avere esaminato la costruzione con l'intervento degli angeli, assegnarono una camera notevolmente appartata a lei e un'altra all'Evangelista; essi vi rimasero finché stettero in tale città.
374. Maria beatissima espresse la sua gratitudine e subito andò nella sua stanza, dove, prostrata come al solito, adorò l'essere immutabile di Dio. Consegnandosi in sacrificio per servirlo in quel posto, disse: «Altissimo, con la vostra immensità riempite l'universo. Io, umile ancella, desidero eseguire perfettamente la vostra volontà in ogni occasione, luogo e momento in cui la vostra provvidenza mi porrà, perché siete tutto il mio bene e tutta la mia vita. Solo a voi si indirizzano i miei aneliti e sentimenti. Orientate i miei pensieri, le mie parole e le mie opere affinché vi compiacciano». La prudentissima Regina comprese che egli accoglieva questa preghiera e rispondeva con la sua virtù promettendole di assisterla e governarla sempre.
375. Continuò l'orazione intercedendo per la Chiesa e ordinando ciò che era sua intenzione fare per aiutare da lì i suoi membri. Chiamò i custodi e ne inviò alcuni a soccorrere i Dodici e i discepoli, che sapeva più provati dalle persecuzioni suscitate dai diavoli per mezzo degli infedeli. Ne mandò diversi anche a difendere Paolo dai pericoli che incombevano su di lui in Damasco, da dove in quei giorni egli fuggì perché i giudei gli davano la caccia come afferma nella seconda lettera ai corinzi raccontando che fu calato per il muro, e da quelli che Lucifero gli preparava sulla strada per Gerusalemme, che stava per percorrere; contro di lui, infatti, lo sdegno dell'inferno era più furente che contro gli altri apostoli. Di tale spostamento egli scrive ai galati, precisando che lo fece dopo tre anni, che non si devono calcolare dalla sua conversione, ma dal suo ritorno dall'Arabia. Lo si deduce anche dal testo, in cui, terminando di parlare di quest'ultimo, soggiunge subito che andò da Cefa; esso, altrimenti, resterebbe molto confuso.
376. Con più chiarezza lo si verifica in base al computo che si è fatto dalla lapidazione di Stefano e del trasferimento della Vergine. Il protomartire fu ucciso dopo il compimento del trentaquattresimo anno dalla nascita del Salvatore, contando dal Natale; se lo si fa dalla circoncisione, come si usa oggi, morì a sette giorni dalla fine di quell'anno, poiché tanti ne mancavano al primo gennaio. Paolo divenne cristiano il venticinque gennaio del trentasei e, se fosse giunto nella città santa dopo tre anni, vi avrebbe trovato Maria e Giovanni, ma egli stesso attesta che dei Dodici non vide nessun altro se non Giacomo di Alfeo, il Minore; certo, se essi fossero stati presenti, non avrebbe omesso di incontrarli, e così avrebbe nominato anche l'Evangelista. Ciò avvenne nel quaranta, dopo che erano già trascorsi completamente quattro anni da allora e poco più di un mese dalla partenza della Signora, mentre gli apostoli, eccetto i due che conobbe, erano già ciascuno nella propria provincia.
377. Secondo questo calcolo, egli spese il primo anno, o la maggior parte di esso, dirigendosi in Arabia e portandovi l'annuncio, e i tre successivi in Damasco. Perciò Luca, benché non narri quel primo viaggio, nel capitolo nono degli Atti comunica che, parecchi giorni dopo che aveva abbracciato la fede, gli abitanti di tale località fecero un complotto per ammazzarlo, intendendo con tale indicazione temporale i quattro anni che erano passati. Aggiunge immediatamente che, scoperte tali trame, i discepoli lo fecero discendere di notte dalle mura, e così egli arrivò a Gerusalemme. Sebbene qui fosse risaputa la trasformazione che si era realizzata in lui, c'era sempre timore riguardo alla sua perseveranza, essendo stato in precedenza un nemico tanto dichiarato del Redentore, e dunque la comunità ecclesiale al principio si guardava da lui. Allora Bàrnaba lo prese con sé e lo condusse presso Pietro, Giacomo e gli altri. Paolo, ai piedi del vicario di Cristo, glieli baciò domandandogli con fiumi di lacrime che lo perdonasse, poiché si era pentito dei suoi errori e peccati, e lo accettasse tra i suoi sudditi e tra i seguaci del suo Maestro, il cui nome desiderava diffondere fino a versare il proprio sangue.
378. Anche da questo sospetto si desume che la Regi na non fosse più lì, perché in caso contrario egli le si sarebbe presentato prima che ad alcun altro e sarebbe venuta meno ogni paura; inoltre, sarebbero state chieste informazioni direttamente a lei, che anzi nella sua prudenza avrebbe prevenuto ciò, premurosa ed attenta come era a dare consolazione. Dato che ella era in Efeso, non c'era chi potesse assicurare della sua costanza e della sua grazia, finché Pietro non le sperimentò vedendolo prostrato davanti a sé. A quel punto lo accolse con profondo gaudio suo e degli altri, che benedissero tutti con umiltà e fervore il Signore e disposero che egli uscisse fuori a proclamare il lieto messaggio, come in effetti fece con meraviglia di chi lo conosceva. Le sue parole erano dardi infuocati che penetravano i cuori di coloro che le udivano, lasciandoli attoniti; per questo, in due giorni l'intera città entrò in agitazione allo spargersi della notizia della conversione, che già si andava apprendendo per esperienza.
379. Satana e i suoi non dormivano in questa circostanza, nella quale, per loro più grande tormento, li risvegliò maggiormente il flagello dell'Onnipotente; all'ingresso dell'Apostolo in Gerusalemme, infatti, percepirono che la virtù divina operante in lui li opprimeva e rovinava. Essi, però, dal momento che la loro superbia e malizia non si estinguerà mai per l'eternità, appena sentirono contro di sé una forza tanto violenta, si irritarono ancor più nei suoi confronti. Il drago convocò con incredibile rabbia molte legioni dei suoi demoni, che esortò un'altra volta a farsi animo e a misurare in quell'impresa il vigore della loro malvagità per annientare Paolo, senza che restasse in tutto il mondo una sola pietra che non fosse smossa a tal fine. Quelli eseguirono senza indugio il piano concertato e inasprirono Erode e i giudei nei suoi confronti, approfittando del singolare zelo con cui egli cominciò a predicare.
380. La Madre era al corrente di tutto, non solo per la sua mirabile scienza, ma anche perché i custodi che aveva mandato a proteggerlo la avvisavano di quello che succedeva. Ella aveva previsto da un lato il sollevamento che costoro avrebbero provocato contro di lui e dall'altro l'importanza di conservarlo in vita per l'esaltazione dell'Altissimo e la propagazione della buona novella, ed inoltre sapeva che cosa lo minacciasse in tale frangente; quindi, ne ricevette nuova sollecitudine, che era ulteriormente accresciuta dalla distanza dalla Palestina, dove avrebbe potuto dare sostegno ai suoi più da vicino. Comunque, non trascurò di farlo anche da lì con l'efficacia delle incessanti suppliche che tra i gemiti moltiplicava senza sosta, e contemporaneamente prendendosi cura di essi in altri modi tramite il servizio degli angeli. Dio, per sollevarla, in seguito ad una di tali invocazioni le disse che l'avrebbe esaudita e avrebbe liberato il giovane dalle macchinazioni diaboliche. E così fu; questi, infatti, mentre stava pregando nel tempio, ebbe un'estasi straordinaria con sublimi illuminazioni e rivelazioni che lo resero giubilante, e gli fu comandato di allontanarsi prontamente per trovare riparo da quanti lo odiavano e non avrebbero tollerato la sua testimonianza.
381. Per questo motivo egli in quella occasione non si trattenne più di quindici giorni, come scrive ai galati; negli Atti si legge poi che dopo alcuni anni, ritornato da Mileto e da Efeso nella città santa, dove fu catturato, comunicò tale rapimento e l'ordine che gli era stato impartito. Riferì tutto al capo degli apostoli e, in considerazione del pericolo che correva, fu accompagnato in segreto a Cesarèa e quindi a Tarso, affinché evangelizzasse i gentili senza differenze. Di tutti questi eccelsi benefici Maria era lo strumento e la mediatrice, per intercessione della quale venivano elargiti dal suo Unigenito, e di ogni cosa aveva immediatamente cognizione, dando grazie da parte sua e della Chiesa.
382. Posto al sicuro Paolo, ella aveva fiducia che la Provvidenza avrebbe soccorso suo cugino Giacomo, per il quale aveva particolare preoccupazione e che era ancora a Saragozza, assistito dai cento spiriti celesti che a Granada gli aveva messo accanto perché lo difendessero; questi andavano e venivano dal suo cospetto con le domande del futuro martire e gli avvertimenti che gli dava, e in tale maniera egli fu informato del trasferimento di lei. Quando, poi, la cappella del Pilar fu sistemata convenientemente, la affidò al vescovo e ai discepoli che rimanevano in quella località, come anche in altre della Spagna. Fatto ciò, alcuni mesi dopo l'apparizione, partì da lì continuando a trasmettere il lieto annuncio. Giunto sulla costa della Catalogna, si imbarcò per l'Italia, dove presto proseguì il viaggio finché non salpò per l'Asia, ansioso di incontrare la Vergi ne, sua sovrana e suo rifugio.
383. Egli ottenne facilmente quello che bramava e poté prostrarsi ai piedi di colei che aveva partorito il suo Creatore, versando copiose lacrime di gioia e di venerazione. Con questi accesi sentimenti le espresse umilmente riconoscenza per gli incomparabili aiuti che per mezzo di lei gli erano stati concessi dalla divina destra nel corso della sua missione, nonché per le visite che ella gli aveva fatto e per quanto in esse gli aveva donato. La Maestra della modestia lo fece subito rialzare dichiarando: «Ricordate che voi siete unto del Signore, suo Cristo e suo ministro, e io un vile vermiciattolo»; proferendo ciò, si inginocchiò e gli chiese di benedirla come sacerdote. L'Apostolo si fermò per alcuni giorni, così che dette ragguaglio al fratello di quello che gli era accaduto ed ebbe con lei arcani colloqui, dei quali basta riportare i seguenti.
384. La prudentissima Regina per congedarlo gli disse: «Carissimo, vi resta ormai poco tempo. Siete consapevole di quanto profondamente vi ami nel mio Gesù e aspiri ad introdurvi nell'intimo della sua amicizia senza fine, per la quale egli vi ha plasmato, redento e chiamato; voglio manifestarvi adesso questo affetto e vi offro tutto quello che con l'ausilio del cielo potrò fare per voi come vera madre». A tanto ineffabile generosità Giacomo rispose con eccezionale riverenza: «Signora mia, che avete generato il mio Salvatore, vi ringrazio con tutta l'anima per questo nuovo favore, confacente alla vostra smisurata carità, ed imploro la vostra benedizione per andare al supplizio per lui. Se sarà suo beneplacito e a suo onore, vi scongiuro di non lasciarmi solo nel mio sacrificio e di mostrarvi ai miei occhi nel transito, in modo tale che mi possiate presentare a sua Maestà come ostia gradita».
385. Ella assicurò che si sarebbe rivolta all'Onnipotente e non avrebbe mancato di adempiere ciò se questi avesse disposto così a sua gloria. Con tale speranza e con altre parole di vita eterna lo confortò e lo incoraggiò alla sofferenza che lo sovrastava; fra l'altro affermò: «Quali tormenti e quali pene potranno mai parere gravi per entrare nel gaudio intramontabile? Tutto quello che è violento diviene soave, e quanto c'è di più terribile risulta amabile e appetibile per chi ha inteso che bene infinito avrà in cambio di una momentanea tribolazione. Mi congratulo con voi perché è prossimo il vostro affrancamento dalle passioni della carne, per esultare in Dio come comprensore e vedere l'allegrezza del suo volto. A causa di tale sorte meravigliosa vi traete dietro il mio cuore, dato che conseguirete tanto imminentemente quello cui anelo e abbandonerete il mondo per il possesso indefettibile del riposo senza termine. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, affinché tutte le tre Persone nell'unità di una essenza vi sostengano nel dolore e vi dirigano nei vostri desideri; e il mio vi accompagnerà nel vostro luminoso olocausto».
386. Oltre a questo per accomiatarsi aggiunse altre cose, con mirabile sapienza e somma capacità di consolazione, e gli impose che, arrivato alla visione beatifica, esaltasse la Trinità da parte di lei e di tutti e pregasse per la Chie sa. Egli lo promise, supplicandola ancora di custodirlo e proteggerlo nell'ora suprema, ed ella confermò il proprio impegno. Infine, il discepolo parlò così: «Benedetta fra le donne, il vostro esempio e la vostra intercessione sono l'appoggio sul quale la comunità ecclesiale, adesso e per tutti i secoli, deve posare sicura tra le persecuzioni e le tentazioni dei nemici del Signore; e la vostra carità sarà lo strumento del vostro legittimo martirio. Non dimenticatevi mai del regno di Spagna, dove è stato portato il Vangelo: tenetelo sotto il vostro speciale patrocinio e conservate in esso il vostro sacro tempio e la fede che io, indegno, vi ho annunciato. Datemi la vostra benedizione». Maria gli garantì che lo avrebbe esaudito e, benedicendolo, lo licenziò.
387. Giacomo salutò anche Giovanni, con abbondante pianto di entrambi, non tanto per la tristezza quanto piuttosto per il giubilo dovuto alla fortuna del fratello più grande, che sarebbe stato il primo nella felicità perenne e nella palma della vittoria. Quindi, si incamminò subito verso la città santa, dove poté predicare per qualche giorno. L'eccelsa sovrana dell'universo rimase lì, attenta a ciò che succedeva a lui e agli altri apostoli, senza perderli dalla sua vista interiore e senza interrompere le sue orazioni per loro e per tutti i credenti. L'ormai vicina uccisione del testimone di Cristo fu occasione perché nell'ardente Madre si suscitassero tanti incendi d'amore e struggimenti di morire per il suo Unigenito che ella conquistò assai più corone di lui e di tutti assieme; infatti, con ciascuno si caricò di molti patimenti, più duri per il suo castissimo e ferventissimo cuore di quelli provocati dai coltelli e dal fuoco per i loro corpi.
Insegnamento della Regina del cielo
388. Figlia mia, negli ammonimenti di questo capitolo ti sono date numerose regole per agire irreprensibilmente. Considera che, come l'Altissimo è principio e origine delle creature e delle loro facoltà, così ne è logicamente il fine: se esse ricevono tutto immeritatamente, devono tutto a chi lo concesse loro per grazia; e se è accordato loro per operare, devono tutte le opere a lui, e non a se stesse né ad alcun altro. Questa verità, che io comprendevo chiaramente e ponderavo in me, mi spingeva all'esercizio che parecchie volte hai recepito e scritto con stupore, cioè a prostrarmi al suolo e ad adorare l'essere immutabile di Dio con profonda venerazione. Meditavo su come egli mi avesse fatto dal nulla e modellato dalla terra, e mi umiliavo al suo cospetto, confessando che mi dava vita, movimento ed esistenza, che senza di lui non sarei stata niente e che a lui dovevo ogni cosa. Con tali riflessioni tutto quello che facevo e sopportavo mi sembrava poco, pur non cessando di compiere il bene agognavo continuamente ad affaticarmi e a penare, e non mi saziavo mai trovandomi obbligata e indigente. Questa scienza è conforme alla razionalità e ancor più alla luce della rivelazione, e potrebbe essere acquistata, dato che il debito è comune e manifesto. Intanto, tra la smemorataggine generale, ti chiedo di essere intenta ad imitarmi negli atti che ti ho reso noti, e ti esorto soprattutto ad abbracciare la polvere e a piegarti maggiormente quando sarai sollevata ai favori dei più intimi amplessi. Osserva in che modo mi comportavo se ottenevo qualche beneficio singolare, come allorché l'Onnipotente ordinò che, prima del mio trapasso, mi venisse dedicato un santuario dove fossi invocata e celebrata. Questo ed altri doni mi fecero abbassare al di là di qualsiasi immaginazione, ed io ero traboccante di azioni ammirevoli; valuta, allora, quello che tocca a te, così scarsamente riconoscente di fronte alla sua liberalità.
389. Bramo anche, carissima, che ricalchi le mie orme nell'essere alquanto circospetta e povera nel soddisfare le tue necessità senza molte comodità, benché ti siano profferte dalle tue monache e da coloro che ti vogliono bene. Al riguardo, scegli sempre o accetta ciò che è più misero, modesto, rigettato e vile, poiché non puoi seguire diversamente me, che rinunciai senza rumore e di buon garbo all'ostentazione, agli averi e a tutti gli agi che mi furono messi a disposizione a Gerusalemme e ad Efeso per il viaggio e per l'abitazione, prendendo il minimo indispensabile. In questa virtù ne sono racchiuse molte che fanno lieti, mentre il mondo cieco e abbindolato si appaga e si precipita dietro a tutto quello che è opposto ad essa.
390. Stai in guardia con sollecitudine anche da un altro diffuso errore: gli uomini, sebbene sappiano che tutte le ricchezze del corpo e dell'anima appartengono al Signore, abitualmente se ne appropriano e le tengono così strette che non solo non gliele porgono spontaneamente, ma, se egli talora le toglie loro, se ne affliggono e lamentano come se fossero stati ingiuriati e avesse fatto loro qualche aggravio. Tanto disordinatamente i genitori sono soliti amare i figli e i figli i genitori; i mariti le mogli e le mogli i mariti; tutti, poi, la roba, l'onore, la salute e gli altri beni temporali, e taluni anche quelli spirituali. Se questi vengono loro a mancare, non hanno misura nel dolore e, pur non potendo recuperare ciò a cui aspirano, sono inquieti e inconfortabili e passano dai sentimenti alla ragione e all'ingiustizia. Con un simile vizio non soltanto condannano i decreti della provvidenza divina e si lasciano sfuggire i meriti che acquisirebbero consegnando a sua Maestà quello che hanno perso e sacrificandogli quello che è suo, ma fanno capire che avrebbero reputato felicità ultima il godere di tali realtà caduche e transitorie, e con esse sarebbero stati contenti per molti secoli.
391. Nessuno dei discendenti di Adamo poté mai avere per nulla di quaggiù più o altrettanto affetto di quanto ne ebbi io per mio Figlio e per Giuseppe; però, poiché esso era ordinato in modo assolutamente corretto mentre ero in loro compagnia, offrii di tutto cuore al Padre il rimanere priva della loro presenza familiare per tutti gli anni che vissi senza di essi. Sii rassegnata ed abbandonata nella stessa maniera quando avrai bisogno di qualche cosa di quelle che devi amare in Dio, giacché fuori di lui non hai licenza di amarne alcuna. Non sia perpetua in te che l'ansia di posare il tuo sguardo sul sommo Bene e di possederlo completamente e in eterno nella patria; anela a questo con lacrime, e a tale scopo sostieni con allegrezza tutte le amarezze e gli affanni. D'ora innanzi abbi il vivo desiderio di patire come hanno fatto i santi, per renderti degna di lui, e fai attenzione che esso sia tale che la volontà di soffrire compensi le tribolazioni che non consegui, rattristandoti di non essere all'altezza di quanto vagheggi tanto intensamente. Nei voli interiori delle persone assetate della visione beatitifica non si deve mescolare l'intento di sgravarsi con essa dei travagli della vita, il quale indica che non si è attaccati al Creatore, ma a se stessi e ai propri comodi; e questo non vale alcun premio ai suoi occhi, che penetrano e soppesano tutto. Se, però, come fedele serva e sposa di Gesù, opererai ciò senza inganno e con pienezza di perfezione, ambendo la sua contemplazione per stringerti a lui, lodarlo e non offenderlo mai più, e ricercherai tutte le pene solo a tal fine, stai certa che ci vincolerai molto a te e giungerai a quello stato di amore che sospiri, dato che è appunto per questo che siamo così generosi con te.
14-75 Novembre 20, 1922 Correnti d’amore tra Dio e l’uomo.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Stavo pensando come il mio dolce Gesù stando nell’orto soffrì tante pene, ma non da parte delle creature, perché Lui era solo, anzi abbandonato da tutti, ma da parte del suo Eterno Padre. Erano correnti d’amore tra Lui ed il Celeste Padre, ed in queste correnti venivano messe tutte le creature, in cui ci stava tutto l’amore d’un Dio per ciascuna di loro, e tutto l’amore che ciascuna doveva a Dio, e mancando questo veniva a soffrire pene da superare tutte le altre pene, tanto che sudò vivo sangue. Ed il mio dolce Gesù, stringendomi al suo cuore per essere sollevato mi ha detto:
(2) “Figlia mia, le pene dell’amore sono le più strazianti. Vedi, in queste correnti d’amore tra Me e il Padre mio c’è tutto l’amore che mi dovevano tutte le creature, quindi c’è l’amore tradito, l’amore negato, l’amore respinto, l’amore sconosciuto, l’amore calpestato, ecc. Oh! come mi giunge trafiggente al mio cuore, da sentirmi morire; tu devi sapere che nel creare l’uomo fissai tante correnti d’amore tra Me e lui; non mi bastava d’averlo creato, no, dovevo mettere tante correnti d’amore tra Me e lui, che non ci doveva essere parte di esso in cui non scorressero queste correnti, sicché nell’intelligenza dell’uomo correva la corrente d’amore della mia sapienza, nell’occhio correva la corrente del amore della mia luce, nella bocca la corrente d’amore della mia parola, nelle mani la corrente d’amore della santità delle mie opere, nella volontà la corrente d’amore della mia, e così di tutto il resto. L’uomo era stato fatto per stare in continue comunicazioni col suo Creatore, e come poteva stare in comunicazione con Me se le mie correnti non correvano nelle sue? Col peccato spezzò tutte queste correnti e restò diviso da Me; sai tu come successe? Guarda il sole, tutta la sua luce batte sulla superficie della terra e la investe tanto da far sentire il suo calore, tanto al vivo e reale che porta la fecondità, la vita a tutto ciò che la terra produce, sicché il sole e la terra, si può dire, stanno in comunicazione fra loro. Oh! come sono più strette le mie comunicazioni tra l’uomo ed Io, vero sole eterno. Ora, se una creatura potesse aver potere di spezzare tra la terra e il sole la corrente della luce che batte sulla superficie, qual male non farebbe mai? Il sole ritirerebbe a sé tutta la corrente della luce, la terra resterebbe all’oscuro, senza fecondità e senza vita. Qual pena meriterebbe egli mai? Tutto ciò fece l’uomo nella Creazione, ed Io scesi dal Cielo in terra per riunire di nuovo tutte queste correnti d’amore, ma, oh! quanto mi costò, e l’uomo continua la sua ingratitudine e ritorna a spezzarmi le correnti da Me aggiustate!”