Sotto il Tuo Manto

Martedi, 9 settembre 2025 - San Pietro Claver Sacerdote (Letture di oggi)

Tutto ciò che di grande ci fa vedere il mondo, non è altro che illusione fantasma e bugia. (San Francesco di Sales)

Liturgia delle Ore - Letture

Martedi della 6° settimana del tempo di Avvento e Natale

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Marco 6

1Partito quindi di là, andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono.2Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: "Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani?3Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?". E si scandalizzavano di lui.4Ma Gesù disse loro: "Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua".5E non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì.6E si meravigliava della loro incredulità.

Gesù andava attorno per i villaggi, insegnando.
7Allora chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi.8E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa;9ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche.10E diceva loro: "Entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da quel luogo.11Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro".12E partiti, predicavano che la gente si convertisse,13scacciavano molti demòni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano.

14Il re Erode sentì parlare di Gesù, poiché intanto il suo nome era diventato famoso. Si diceva: "Giovanni il Battista è risuscitato dai morti e per questo il potere dei miracoli opera in lui".15Altri invece dicevano: "È Elia"; altri dicevano ancora: "È un profeta, come uno dei profeti".16Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: "Quel Giovanni che io ho fatto decapitare è risuscitato!".

17Erode infatti aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, che egli aveva sposata.18Giovanni diceva a Erode: "Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello".19Per questo Erodìade gli portava rancore e avrebbe voluto farlo uccidere, ma non poteva,20perché Erode temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e vigilava su di lui; e anche se nell'ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
21Venne però il giorno propizio, quando Erode per il suo compleanno fece un banchetto per i grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea.22Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla ragazza: "Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò".23E le fece questo giuramento: "Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno".24La ragazza uscì e disse alla madre: "Che cosa devo chiedere?". Quella rispose: "La testa di Giovanni il Battista".25Ed entrata di corsa dal re fece la richiesta dicendo: "Voglio che tu mi dia subito su un vassoio la testa di Giovanni il Battista".26Il re divenne triste; tuttavia, a motivo del giuramento e dei commensali, non volle opporle un rifiuto.27Subito il re mandò una guardia con l'ordine che gli fosse portata la testa.28La guardia andò, lo decapitò in prigione e portò la testa su un vassoio, la diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua madre.29I discepoli di Giovanni, saputa la cosa, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

30Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato.31Ed egli disse loro: "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'". Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare.32Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte.
33Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero.34Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.35Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i discepoli dicendo: "Questo luogo è solitario ed è ormai tardi;36congedali perciò, in modo che, andando per le campagne e i villaggi vicini, possano comprarsi da mangiare".37Ma egli rispose: "Voi stessi date loro da mangiare". Gli dissero: "Dobbiamo andar noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?".38Ma egli replicò loro: "Quanti pani avete? Andate a vedere". E accertatisi, riferirono: "Cinque pani e due pesci".39Allora ordinò loro di farli mettere tutti a sedere, a gruppi, sull'erba verde.40E sedettero tutti a gruppi e gruppetti di cento e di cinquanta.41Presi i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai discepoli perché li distribuissero; e divise i due pesci fra tutti.42Tutti mangiarono e si sfamarono,43e portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane e anche dei pesci.44Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.

45Ordinò poi ai discepoli di salire sulla barca e precederlo sull'altra riva, verso Betsàida, mentre egli avrebbe licenziato la folla.46Appena li ebbe congedati, salì sul monte a pregare.47Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli solo a terra.48Vedendoli però tutti affaticati nel remare, poiché avevano il vento contrario, già verso l'ultima parte della notte andò verso di loro camminando sul mare, e voleva oltrepassarli.49Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: "È un fantasma", e cominciarono a gridare,50perché tutti lo avevano visto ed erano rimasti turbati. Ma egli subito rivolse loro la parola e disse: "Coraggio, sono io, non temete!".51Quindi salì con loro sulla barca e il vento cessò. Ed erano enormemente stupiti in se stessi,52perché non avevano capito il fatto dei pani, essendo il loro cuore indurito.

53Compiuta la traversata, approdarono e presero terra a Genèsaret.54Appena scesi dalla barca, la gente lo riconobbe,55e accorrendo da tutta quella regione cominciarono a portargli sui lettucci quelli che stavano male, dovunque udivano che si trovasse.56E dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano i malati nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo toccavano guarivano.


Secondo libro di Samuele 12

1Il Signore mandò il profeta Natan a Davide e Natan andò da lui e gli disse: "Vi erano due uomini nella stessa città, uno ricco e l'altro povero.2Il ricco aveva bestiame minuto e grosso in gran numero;3ma il povero non aveva nulla, se non una sola pecorella piccina che egli aveva comprata e allevata; essa gli era cresciuta in casa insieme con i figli, mangiando il pane di lui, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno; era per lui come una figlia.4Un ospite di passaggio arrivò dall'uomo ricco e questi, risparmiando di prendere dal suo bestiame minuto e grosso, per preparare una vivanda al viaggiatore che era capitato da lui portò via la pecora di quell'uomo povero e ne preparò una vivanda per l'ospite venuto da lui".5Allora l'ira di Davide si scatenò contro quell'uomo e disse a Natan: "Per la vita del Signore, chi ha fatto questo merita la morte.6Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non aver avuto pietà".7Allora Natan disse a Davide: "Tu sei quell'uomo! Così dice il Signore, Dio d'Israele: Io ti ho unto re d'Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul,8ti ho dato la casa del tuo padrone e ho messo nelle tue braccia le donne del tuo padrone, ti ho dato la casa di Israele e di Giuda e, se questo fosse troppo poco, io vi avrei aggiunto anche altro.9Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore, facendo ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai colpito di spada Uria l'Hittita, hai preso in moglie la moglie sua e lo hai ucciso con la spada degli Ammoniti.10Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché tu mi hai disprezzato e hai preso in moglie la moglie di Uria l'Hittita.11Così dice il Signore: Ecco io sto per suscitare contro di te la sventura dalla tua stessa casa; prenderò le tue mogli sotto i tuoi occhi per darle a un tuo parente stretto, che si unirà a loro alla luce di questo sole;12poiché tu l'hai fatto in segreto, ma io farò questo davanti a tutto Israele e alla luce del sole".
13Allora Davide disse a Natan: "Ho peccato contro il Signore!". Natan rispose a Davide: "Il Signore ha perdonato il tuo peccato; tu non morirai.14Tuttavia, poiché in questa cosa tu hai insultato il Signore (l'insulto sia sui nemici suoi), il figlio che ti è nato dovrà morire". Natan tornò a casa.
15Il Signore dunque colpì il bambino che la moglie di Uria aveva partorito a Davide ed esso si ammalò gravemente.16Davide allora fece suppliche a Dio per il bambino e digiunò e rientrando passava la notte coricato per terra.17Gli anziani della sua casa insistevano presso di lui perché si alzasse da terra; ma egli non volle e rifiutò di prendere cibo con loro.18Ora, il settimo giorno il bambino morì e i ministri di Davide temevano di fargli sapere che il bambino era morto, perché dicevano: "Ecco, quando il bambino era ancora vivo, noi gli abbiamo parlato e non ha ascoltato le nostre parole; come faremo ora a dirgli che il bambino è morto? Farà qualche atto insano!".19Ma Davide si accorse che i suoi ministri bisbigliavano fra di loro, comprese che il bambino era morto e disse ai suoi ministri: "È morto il bambino?". Quelli risposero: "È morto".20Allora Davide si alzò da terra, si lavò, si unse e cambiò le vesti; poi andò nella casa del Signore e vi si prostrò. Rientrato in casa, chiese che gli portassero il cibo e mangiò.21I suoi ministri gli dissero: "Che fai? Per il bambino ancora vivo hai digiunato e pianto e, ora che è morto, ti alzi e mangi!".22Egli rispose: "Quando il bambino era ancora vivo, digiunavo e piangevo, perché dicevo: Chi sa? Il Signore avrà forse pietà di me e il bambino resterà vivo.23Ma ora che egli è morto, perché digiunare? Posso io farlo ritornare? Io andrò da lui, ma lui non ritornerà da me!".
24Poi Davide consolò Betsabea sua moglie, entrò da lei e le si unì: essa partorì un figlio, che egli chiamò Salomone.25Il Signore amò Salomone e mandò il profeta Natan, che lo chiamò Iedidià per ordine del Signore.
26Intanto Ioab assalì Rabbà degli Ammoniti, si impadronì della città delle acque27e inviò messaggeri a Davide per dirgli: "Ho assalito Rabbà e mi sono già impadronito della città delle acque.28Ora raduna il resto del popolo, accàmpati contro la città e prendila, altrimenti se la prendo io, porterebbe il mio nome".29Davide radunò tutto il popolo, si mosse verso Rabbà, l'assalì e la prese.30Tolse dalla testa di Milcom la corona, che pesava un talento d'oro e conteneva una pietra preziosa; essa fu posta sulla testa di Davide. Asportò dalla città un bottino molto grande.31Fece uscire gli abitanti che erano nella città e li impiegò nei lavori delle seghe, dei picconi di ferro e delle scuri di ferro e li fece lavorare alle fornaci da mattoni; così fece a tutte le città degli Ammoniti. Poi Davide tornò a Gerusalemme con tutta la sua truppa.


Proverbi 11

1La bilancia falsa è in abominio al Signore,
ma del peso esatto egli si compiace.
2Viene la superbia, verrà anche l'obbrobrio,
mentre la saggezza è presso gli umili.
3L'integrità degli uomini retti li guida,
la perversità dei perfidi li rovina.
4Non serve la ricchezza nel giorno della collera,
ma la giustizia libera dalla morte.
5La giustizia dell'uomo onesto gli spiana la via;
per la sua empietà cade l'empio.
6La giustizia degli uomini retti li salva,
nella cupidigia restano presi i perfidi.
7Con la morte dell'empio svanisce ogni sua speranza,
la fiducia dei malvagi scompare.
8Il giusto sfugge all'angoscia,
al suo posto subentra l'empio.
9Con la bocca l'empio rovina il suo prossimo,
ma i giusti si salvano con la scienza.
10Della prosperità dei giusti la città si rallegra,
per la scomparsa degli empi si fa festa.
11Con la benedizione degli uomini retti si innalza una città,
la bocca degli empi la demolisce.
12Chi disprezza il suo prossimo è privo di senno,
l'uomo prudente invece tace.
13Chi va in giro sparlando svela il segreto,
lo spirito fidato nasconde ogni cosa.
14Senza una direzione un popolo decade,
il successo sta nel buon numero di consiglieri.
15Chi garantisce per un estraneo si troverà male,
chi avversa le strette di mano a garanzia, vive tranquillo.
16Una donna graziosa ottiene gloria,
ma gli uomini laboriosi acquistano ricchezza.
17Benefica se stesso l'uomo misericordioso,
il crudele invece tormenta la sua stessa carne.
18L'empio realizza profitti fallaci,
ma per chi semina la giustizia il salario è sicuro.
19Chi pratica la giustizia si procura la vita,
chi segue il male va verso la morte.
20I cuori depravati sono in abominio al Signore
che si compiace di chi ha una condotta integra.
21Certo non resterà impunito il malvagio,
ma la discendenza dei giusti si salverà.
22Un anello d'oro al naso d'un porco,
tale è la donna bella ma priva di senno.
23La brama dei giusti è solo il bene,
la speranza degli empi svanisce.
24C'è chi largheggia e la sua ricchezza aumenta,
c'è chi risparmia oltre misura e finisce nella miseria.
25La persona benefica avrà successo
e chi disseta sarà dissetato.
26Chi accaparra il grano è maledetto dal popolo,
la benedizione è invocata sul capo di chi lo vende.
27Chi è sollecito del bene trova il favore,
chi ricerca il male, male avrà.
28Chi confida nella propria ricchezza cadrà;
i giusti invece verdeggeranno come foglie.
29Chi crea disordine in casa erediterà vento
e lo stolto sarà schiavo dell'uomo saggio.
30Il frutto del giusto è un albero di vita,
il saggio conquista gli animi.
31Ecco, il giusto è ripagato sulla terra,
tanto più lo saranno l'empio e il peccatore.


Salmi 44

1'Al maestro del coro. Dei figli di Core. Maskil.'

2Dio, con i nostri orecchi abbiamo udito,
i nostri padri ci hanno raccontato
l'opera che hai compiuto ai loro giorni,
nei tempi antichi.
3Tu per piantarli, con la tua mano hai sradicato le genti,
per far loro posto, hai distrutto i popoli.
4Poiché non con la spada conquistarono la terra,
né fu il loro braccio a salvarli;
ma il tuo braccio e la tua destra
e la luce del tuo volto,
perché tu li amavi.

5Sei tu il mio re, Dio mio,
che decidi vittorie per Giacobbe.
6Per te abbiamo respinto i nostri avversari
nel tuo nome abbiamo annientato i nostri aggressori.

7Infatti nel mio arco non ho confidato
e non la mia spada mi ha salvato,
8ma tu ci hai salvati dai nostri avversari,
hai confuso i nostri nemici.
9In Dio ci gloriamo ogni giorno,
celebrando senza fine il tuo nome.

10Ma ora ci hai respinti e coperti di vergogna,
e più non esci con le nostre schiere.
11Ci hai fatti fuggire di fronte agli avversari
e i nostri nemici ci hanno spogliati.
12Ci hai consegnati come pecore da macello,
ci hai dispersi in mezzo alle nazioni.
13Hai venduto il tuo popolo per niente,
sul loro prezzo non hai guadagnato.
14Ci hai resi ludibrio dei nostri vicini,
scherno e obbrobrio a chi ci sta intorno.
15Ci hai resi la favola dei popoli,
su di noi le nazioni scuotono il capo.
16L'infamia mi sta sempre davanti
e la vergogna copre il mio volto
17per la voce di chi insulta e bestemmia,
davanti al nemico che brama vendetta.

18Tutto questo ci è accaduto
e non ti avevamo dimenticato,
non avevamo tradito la tua alleanza.
19Non si era volto indietro il nostro cuore,
i nostri passi non avevano lasciato il tuo sentiero;
20ma tu ci hai abbattuti in un luogo di sciacalli
e ci hai avvolti di ombre tenebrose.
21Se avessimo dimenticato il nome del nostro Dio
e teso le mani verso un dio straniero,
22forse che Dio non lo avrebbe scoperto,
lui che conosce i segreti del cuore?
23Per te ogni giorno siamo messi a morte,
stimati come pecore da macello.

24Svègliati, perché dormi, Signore?
Dèstati, non ci respingere per sempre.
25Perché nascondi il tuo volto,
dimentichi la nostra miseria e oppressione?

26Poiché siamo prostrati nella polvere,
il nostro corpo è steso a terra.
Sorgi, vieni in nostro aiuto;
27salvaci per la tua misericordia.


Ezechiele 10

1Io guardavo ed ecco sul firmamento che stava sopra il capo dei cherubini vidi come una pietra di zaffìro e al di sopra appariva qualcosa che aveva la forma di un trono.2Disse all'uomo vestito di lino: "Va' fra le ruote che sono sotto il cherubino e riempi il cavo delle mani dei carboni accesi che sono fra i cherubini e spargili sulla città". Egli vi andò mentre io lo seguivo con lo sguardo.
3Ora i cherubini erano fermi a destra del tempio, quando l'uomo vi andò, e una nube riempiva il cortile interno.4La gloria del Signore si alzò sopra il cherubino verso la soglia del tempio e il tempio fu riempito dalla nube e il cortile fu pieno dello splendore della gloria del Signore.5Il fragore delle ali dei cherubini giungeva fino al cortile esterno, come la voce di Dio onnipotente quando parla.
6Appena ebbe dato all'uomo vestito di lino l'ordine di prendere il fuoco fra le ruote in mezzo ai cherubini, egli avanzò e si fermò vicino alla ruota.7Il cherubino tese la mano per prendere il fuoco che era fra i cherubini; ne prese e lo mise nel cavo delle mani dell'uomo vestito di lino, il quale lo prese e uscì.8Io stavo guardando: i cherubini avevano sotto le ali la forma di una mano d'uomo.9Guardai ancora ed ecco che al fianco dei cherubini vi erano quattro ruote, una ruota al fianco di ciascun cherubino. Quelle ruote avevano l'aspetto del topazio.10Sembrava che tutte e quattro fossero di una medesima forma, come se una ruota fosse in mezzo all'altra.11Muovendosi, potevano andare nelle quattro direzioni senza voltarsi, perché si muovevano verso il lato dove era rivolta la testa, senza voltarsi durante il movimento.
12Tutto il loro corpo, il dorso, le mani, le ali e le ruote erano pieni di occhi tutt'intorno; ognuno dei quattro aveva la propria ruota.13Io sentii che le ruote venivano chiamate "Turbine".14Ogni cherubino aveva quattro sembianze: la prima quella di cherubino, la seconda quella di uomo, la terza quella di leone e la quarta quella di aquila.15I cherubini si alzarono in alto: essi erano quegli esseri viventi che avevo visti al canale Chebàr.16Quando i cherubini si muovevano, anche le ruote avanzavano al loro fianco: quando i cherubini spiegavano le ali per sollevarsi da terra, le ruote non si allontanavano dal loro fianco;17quando si fermavano, anche le ruote si fermavano; quando si alzavano, anche le ruote si alzavano con loro perché lo spirito di quegli esseri era in loro.

18La gloria del Signore uscì dalla soglia del tempio e si fermò sui cherubini.19I cherubini spiegarono le ali e si sollevarono da terra sotto i miei occhi; anche le ruote si alzarono con loro e si fermarono all'ingresso della porta orientale del tempio, mentre la gloria del Dio d'Israele era in alto su di loro.20Erano i medesimi esseri che io avevo visti sotto il Dio d'Israele lungo il canale Chebàr e riconobbi che erano cherubini.21Ciascuno aveva quattro aspetti e ciascuno quattro ali e qualcosa simile a mani d'uomo sotto le ali.22Il loro sembiante era il medesimo che avevo visto lungo il canale Chebàr. Ciascuno di loro procedeva di fronte a sé.


Lettera ai Romani 16

1Vi raccomando Febe, nostra sorella, diaconessa della Chiesa di Cencre:2ricevetela nel Signore, come si conviene ai credenti, e assistetela in qualunque cosa abbia bisogno; anch'essa infatti ha protetto molti, e anche me stesso.
3Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù; per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa,4e ad essi non io soltanto sono grato, ma tutte le Chiese dei Gentili;5salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa.
Salutate il mio caro Epèneto, primizia dell'Asia per Cristo.6Salutate Maria, che ha faticato molto per voi.7Salutate Andronìco e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia; sono degli apostoli insigni che erano in Cristo già prima di me.8Salutate Ampliato, mio diletto nel Signore.9Salutate Urbano, nostro collaboratore in Cristo, e il mio caro Stachi.10Salutate Apelle che ha dato buona prova in Cristo. Salutate i familiari di Aristòbulo.11Salutate Erodione, mio parente. Salutate quelli della casa di Narcìso che sono nel Signore.12Salutate Trifèna e Trifòsa che hanno lavorato per il Signore. Salutate la carissima Pèrside che ha lavorato per il Signore.13Salutate Rufo, questo eletto nel Signore, e la madre sua che è anche mia.14Salutate Asìncrito, Flegónte, Erme, Pàtroba, Erma e i fratelli che sono con loro.15Salutate Filòlogo e Giulia, Nèreo e sua sorella e Olimpas e tutti i credenti che sono con loro.16Salutatevi gli uni gli altri con il bacio santo. Vi salutano tutte le chiese di Cristo.

17Mi raccomando poi, fratelli, di ben guardarvi da coloro che provocano divisioni e ostacoli contro la dottrina che avete appreso: tenetevi lontani da loro.18Costoro, infatti, non servono Cristo nostro Signore, ma il proprio ventre e con un parlare solenne e lusinghiero ingannano il cuore dei semplici.
19La fama della vostra obbedienza è giunta dovunque; mentre quindi mi rallegro di voi, voglio che siate saggi nel bene e immuni dal male.20Il Dio della pace stritolerà ben presto satana sotto i vostri piedi. La grazia del Signor nostro Gesù Cristo sia con voi.

21Vi saluta Timòteo mio collaboratore, e con lui Lucio, Giàsone, Sosìpatro, miei parenti.22Vi saluto nel Signore anch'io, Terzo, che ho scritto la lettera.23Vi saluta Gaio, che ospita me e tutta la comunità. Vi salutano Erasto, tesoriere della città, e il fratello Quarto.

24.25A colui che ha il potere di confermarvi
secondo il vangelo che io annunzio
e il messaggio di Gesù Cristo,
secondo la rivelazione del mistero
taciuto per secoli eterni,
26ma rivelato ora
e annunziato mediante le scritture profetiche,
per ordine dell'eterno Dio, a tutte le genti
perché obbediscano alla fede,
27a Dio che solo è sapiente,
per mezzo di Gesù Cristo,
la gloria nei secoli dei secoli. Amen.


Capitolo XLI: Il disprezzo di ogni onore di questo mondo

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Figlio, non crucciarti se vedi che altri sono onorati ed innalzati, mentre tu sei disprezzato ed umiliato. Drizza il tuo animo a me, nel cielo; così non ti rattristerà il disprezzo degli uomini, su questa terra. O Signore, noi siamo come ciechi e facilmente ci lasciamo sedurre dall'apparenza. Ma se esamino seriamente me stesso, non c'è cosa che possa essermi fatta da alcuna creatura che sia un torto nei miei confronti: dunque non avrei motivo di lamentarmi con te. E', appunto, perché spesso e gravemente ho peccato al tuo cospetto, che qualsiasi creatura si può muovere a ragione contro di me. A me, dunque, è giusto che si dia vergogna e disprezzo; a te invece, lode, onore e gloria. E se non mi sarò ben predisposto a desiderare di essere disprezzato da ogni creatura, ad essere buttato in un canto e ad essere considerato proprio un nulla, non potrò trovare pace e serenità interiore; non potrò essere spiritualmente illuminato e pienamente a te unito.


La Genesi alla lettera: Libro undicesimo

La Genesi alla lettera - Sant'Agostino

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La tentazione e la caduta dell'uomo in Gen 2, 25 - 3, 24.

1. 1. Ora Adamo ed [Eva] sua moglie erano tutti e due nudi, ma non provavano vergogna. Il serpente però era il più astuto di tutti gli animali della terra fatti dal Signore. Il serpente disse alla donna: È forse vero che Dio vi ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del paradiso? La donna rispose al serpente: Del frutto degli alberi che sono nel paradiso noi possiamo mangiare, ma riguardo al frutto dell'albero sito nel mezzo del paradiso Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, per evitare di morire. Ma il serpente rispose alla donna: Voi non morrete affatto. Poiché Dio sapeva che il giorno in cui ne mangerete, si apriranno i vostri occhi e sarete come dèi, conoscitori del bene e del male. La donna allora osservò l'albero ch'era buono da mangiare, era delizia per gli occhi e bello da contemplare, e prendendo del suo frutto ne mangiò e poi ne diede anche al marito, ch'era con lei, e ne mangiarono. Si aprirono allora gli occhi di ambedue e s'accorsero d'essere nudi; intrecciarono perciò foglie di fico e se ne fecero cinture intorno ai fianchi. Udirono poi la voce del Signore Dio che passeggiava nel paradiso verso sera. Allora Adamo e sua moglie si nascosero dalla presenza del Signore Iddio in mezzo agli alberi del paradiso. Ma il Signore Dio chiamò Adamo e gli disse: Dove sei? Rispose: Ho udito la tua voce mentre passeggiavi nel paradiso e ho avuto paura, poiché sono nudo, e mi sono nascosto. Ma Dio gli rispose: Chi ti ha fatto sapere che sei nudo se non il fatto che hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo comandato di non mangiare? Rispose Adamo: La donna, che mi hai dato per compagna, è stata lei a darmi dell'albero e io ne ho mangiato. Il Signore Iddio allora disse alla donna: Perché hai fatto ciò? Rispose la donna: Il serpente mi ha ingannata, e io ho mangiato. Allora il Signore Iddio disse al serpente: Poiché hai fatto ciò, sarai maledetto fra tutti gli animali e tutte le bestie selvatiche che sono sulla terra. Sul tuo petto e sul tuo ventre dovrai strisciare e polvere dovrai mangiare tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua e la sua discendenza. Essa insidierà la tua testa e tu insidierai il suo tallone. Alla donna invece disse: Renderò assai numerose le tue sofferenze e le tue doglie; con dolore dovrai partorire figli; il tuo istinto ti spingerà verso tuo marito, ma egli ti dominerà. Ad Adamo poi disse: Poiché hai dato ascolto alle parole di tua moglie e hai mangiato dell'albero di cui solo ti avevo proibito di mangiare, maledetta sarà la terra nei tuoi lavori; con dolore ne ricaverai il tuo cibo tutti i giorni della tua vita; essa produrrà per te spini e rovi e mangerai l'erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il tuo pane finché non tornerai alla terra da cui sei stato tratto, poiché tu sei terra e alla terra tornerai. Adamo poi chiamò "Vita" sua moglie poiché essa è la madre di tutti i viventi. Il Signore Iddio fece per Adamo e per la moglie tuniche di pelle e li vestì. Dio allora disse: Ecco, Adamo è divenuto come uno di noi avendo la conoscenza del bene e del male. Ora bisogna proibirgli che stenda la sua mano e prenda dall'albero della vita e ne mangi e [così] viva per sempre. Il Signore Iddio allora lo scacciò dal paradiso di delizie e lo pose nella parte opposta al paradiso di delizie e stabilì dei cherubini e la spada di fiamma roteante per custodire l'accesso all'albero della vita 1.

Senso letterale e senso allegorico nella sacra Scrittura.

1. 2. Prima di spiegare frase per frase il succitato testo della Scrittura, credo opportuno ripetere qui l'avvertimento che credo di avere già fatto anche in un altro passo della presente opera, che cioè da noi deve esigersi di difendere il senso letterale dei fatti narrati dall'autore sacro. Se però tra le espressioni preferite da Dio e da qualsivoglia persona chiamata da Dio al ministero di profeta, se ne trova qualcuna che non può esser presa alla lettera senza che risulti assurda, non c'è dubbio che deve essere intesa in senso figurato, indicante qualcos'altro di natura simbolica; non è lecito tuttavia dubitare che [quell'espressione] sia parola di Dio. Ciò lo esige l'attendibilità del narratore e la promessa del commentatore.

Perché i progenitori non si vergognavano della loro nudità.

1. 3. Tutti e due erano nudi 2. È vero: i corpi dei due [primi] esseri umani, che vivevano nel paradiso, erano completamente nudi. Ma non provavano vergogna 3. Perché si sarebbero dovuti vergognare, dal momento che non sperimentavano nelle loro membra alcuna legge in guerra con la legge del loro spirito 4? Quella legge fu inflitta loro come pena del peccato dopo che fu commessa la trasgressione, quando la disubbidienza si appropriò di ciò ch'era stato proibito e la giustizia punì il peccato commesso. Prima che ciò avvenisse, essi erano nudi - come dice la Scrittura - e non sentivano vergogna; nel loro corpo non c'era alcun moto di cui dovessero vergognarsi; pensavano di non aver nulla da velare poiché non avevano provato alcun moto da frenare. In qual modo avrebbero procreato figli è già stato discusso in precedenza, poiché prima che morissero, la morte già era germinata nel corpo di quelle persone disubbidienti, fomentando la ribellione delle loro membra disubbidienti con un giustissimo contrappasso. Questa non era ancora la condizione d'Adamo e di Eva quando erano entrambi nudi ma senza provarne vergogna.

Di che specie era e donde proveniva l'astuzia del serpente.

2. 4. C'era però il serpente, il più astuto, è vero, ma solo fra tutti gli animali fatti dal Signore Iddio 5. Ora, è in senso traslato che il serpente è chiamato il più accorto o, secondo parecchi manoscritti latini, il più saggio, non già in senso proprio, come s'intende di solito la parola "sapienza" quando è riferita a Dio, a un angelo o a un'anima razionale, ma nel senso in cui potrebbero chiamarsi "sapienti" anche le api e le formiche, poiché le loro opere manifestano una sorta di sapienza. Questo serpente per altro potrebbe dirsi "il più sapiente" degli animali non a motivo della sua anima irrazionale, ma dello spirito d'un altro essere, ossia dello spirito diabolico. Poiché per quanto in basso siano stati precipitati gli angeli ribelli dalla loro dimora celeste a causa della loro perversità e della loro superbia, tuttavia per la loro natura sono superiori a tutte le bestie a causa dell'eccellenza della loro ragione. Che c'è dunque di strano se il diavolo, entrando nel serpente e sottomettendolo alla sua suggestione, comunicandogli il proprio spirito alla maniera in cui sogliono essere invasati i profeti dei demoni, l'aveva reso "il più sapiente" di tutte le bestie che vivono in virtù di un'anima viva ma irrazionale. Ma è in senso improprio che si parla di "sapienza" a proposito di un malvagio, come si parla di "astuzia" a proposito d'una persona buona. Poiché in senso proprio e secondo l'uso più corrente, almeno nella lingua latina, si chiamano "sapienti" le persone lodevoli, mentre per "astuti" s'intendono coloro che usano il loro senno per il male. Ecco perché alcuni, come si può vedere su molti manoscritti, hanno tradotto secondo l'esigenza della lingua latina non la parola ma piuttosto l'idea, e così hanno preferito chiamare il serpente "il più astuto", anziché "il più sapiente" di tutti gli animali. Quale sia il senso proprio di questo termine nell'ebraico, se cioè in quella lingua alcuni si possono chiamare e intendere "sapienti" in rapporto al male non in senso improprio ma in senso proprio, se la vedano gli specialisti in quella lingua. Noi tuttavia leggiamo chiaramente in un altro passo delle Sacre Scritture di alcuni chiamati "sapienti" in rapporto al male e non al bene 6; e il Signore afferma che i figli di questo mondo sono più sapienti dei figli della luce per provvedere alla loro vita futura sebbene in modo fraudolento e non secondo giustizia 7.

Il diavolo poteva sedurre solo per mezzo del serpente.

3. 5. Noi però non dobbiamo immaginare affatto che il diavolo si scegliesse di proprio arbitrio e potere il serpente per tentare l'uomo e persuaderlo a commettere il peccato ma, essendo insito in lui il desiderio d'ingannare a causa della sua perversa e invidiosa volontà, non poté soddisfarlo se non mediante l'animale con cui gli fu permesso di appagarlo. In ciascuno infatti la perversa volontà di recar danno può derivare anche dalla propria anima, ma il poterlo compiere non deriva se non da Dio e ciò a motivo d'una giustizia occulta e profonda, poiché in Dio non c'è ingiustizia 8.

Perché fu permessa la tentazione.

4. 6. Se dunque si chiede perché Dio permise che fosse tentato l'uomo ch'egli prevedeva avrebbe dato il consenso al tentatore, io non posso scandagliare la profondità dei disegni divini e confesso che [la soluzione] del problema sorpassa di molto le mie forze. Può esserci dunque forse una causa occulta, la cui conoscenza è riservata - non per i loro meriti ma piuttosto per una grazia di Dio - a persone più valenti e più sante di me; ma tuttavia, nei limiti della facoltà che Dio mi concede di capire o mi permette di dire, non mi pare che l'uomo sarebbe stato degno di gran lode, se fosse stato in grado di vivere rettamente per la semplice ragione che nessuno lo avrebbe persuaso a vivere male, dal momento che nella sua natura aveva il potere e, nel suo potere, la capacità di volere per non acconsentire ai consigli del tentatore, sempre però con l'aiuto di Colui che resiste ai superbi, ma concede la sua grazia agli umili 9. Perché dunque Dio non avrebbe dovuto permettere che l'uomo fosse tentato, sebbene prevedesse che avrebbe acconsentito [alla tentazione]? L'uomo infatti, in quell'occasione, avrebbe agito di propria volontà e avrebbe, così, commesso la colpa e avrebbe dovuto subire il castigo per essere restituito nell'ordine della giustizia di Dio? In tal modo Dio avrebbe mostrato all'anima, per istruzione dei suoi servi futuri, quanto rettamente egli si serve delle volontà anche perverse delle anime quando queste si servono delle loro nature buone per fare il male.

L'uomo soggiacque alla tentazione per la superbia.

5. 7. Non si deve però immaginare nemmeno che il tentatore avrebbe potuto far cadere l'uomo, se prima non fosse sorto nell'animo dell'uomo un sentimento di superbia ch'egli avrebbe dovuto reprimere; mediante l'umiliazione causata dal peccato avrebbe così imparato quanto falsamente presumesse di se stesso. È assolutamente vero ciò che dice la sacra Scrittura: Prima della rovina lo spirito s'insuperbisce e prima della gloria si umilia 10. Questa è forse la voce dell'uomo che risuona nel Salmo: Nella mia abbondanza io dissi: Non sarò scosso in eterno 11. In seguito, dopo aver imparato per esperienza qual male ha in sé la superba presunzione del proprio potere e qual bene ha in sé l'aiuto della grazia, dice: Signore, per la tua volontà avevi dato valore alla mia dignità; ma poi hai distolto la tua faccia da me e io ne sono rimasto sconvolto 12. Ma sia che questa espressione si riferisca al primo uomo, sia che si riferisca a un altro, tuttavia si doveva dare una lezione all'anima che si esalta e presume troppo di quella che crede una forza propria - anche facendole sperimentare il castigo - per mostrarle in qual misero stato viene a trovarsi una creatura quando si allontana dal proprio Creatore. Con ciò viene messo fortemente in rilievo qual bene è Dio, dal momento che non si sente felice nessuno che si allontana da lui; infatti da una parte coloro, che ripongono il loro godimento nei piaceri mortiferi, non possono sentirsi esenti dalla paura di soffrire; da un'altra parte coloro i quali, come drogati e resi insensibili dall'eccessiva loro superbia, non si accorgono affatto della sventura della loro apostasia, appaiono molto più infelici di coloro che sanno riconoscere la loro diserzione da Dio; in tal modo, se rifiutano di prendere il rimedio per evitare siffatte sventure, serviranno d'esempio per farle evitare ad altri. Ecco perché l'apostolo Giacomo dice: Ciascuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce: la concupiscenza poi concepisce e genera il peccato, e il peccato, una volta commesso, genera la morte 13. Ne segue che, quando è guarita l'enfiagione della superbia, l'uomo si rialza se la volontà di rimanere fedele a Dio, che gli era mancata prima della prova, la possiede dopo la prova per tornare a Dio.

Utilità della tentazione.

6. 8. Ora, alcuni rimangono imbarazzati al pensiero che Dio abbia permesso questa tentazione del primo uomo, come se non vedessero che adesso tutto il genere umano viene continuamente tentato dalle insidie del demonio. Perché Dio permette anche ciò? Forse perché in questo modo viene messo alla prova e si fa esercitare la virtù, e la palma della vittoria di non consentire alla tentazione è più gloriosa di quella di non aver potuto essere tentati. Poiché anche quegli stessi, che hanno abbandonato il Creatore, seguono il loro tentatore e tentano sempre più coloro che restano fedeli alla parola di Dio e offrono ai loro tentatori - per farli resistere alla passione - l'esempio di come evitare la tentazione e infondono in loro un santo timore per combattere la superbia. Ecco il motivo per cui l'Apostolo dice: Vigilando su te stesso per non cadere anche tu nella tentazione 14. È sorprendente come tutte le Sacre Scritture si premurano di raccomandarci continuamente l'umiltà, con cui ci sottomettiamo al Creatore ed evitiamo di credere che non abbiamo bisogno del suo aiuto presumendo delle nostre forze. Poiché dunque anche i peccatori contribuiscono al progresso dei virtuosi e gli empi al progresso dei timorati di Dio, non ha senso dire: "Dio non avrebbe dovuto creare coloro che prevedeva sarebbero stati cattivi". Perché mai, infatti, non avrebbe dovuto creare coloro che egli prevedeva sarebbero di giovamento ai buoni affinché da una parte nascessero per essere utili ad esercitare e ammaestrare la volontà dei buoni e, d'altra parte, ricevessero anch'essi un giusto castigo per la cattiva loro volontà?

Perché l'uomo non fu creato impeccabile.

7. 9. "Dio - dicono alcuni - avrebbe dovuto creare l'uomo di tal natura che gli fosse assolutamente estranea la volontà di peccare". Ora, io ammetto che è migliore la natura a cui è assolutamente estranea la volontà di peccare; ma ammettano anch'essi a loro volta che, se da un lato non è cattiva una natura fatta in modo che poteva non peccare qualora non lo avesse voluto, dall'altro lato è giusto il verdetto con cui essa fu punita, dal momento che aveva peccato con il suo libero arbitrio senz'esservi costretta. Allo stesso modo quindi che la retta ragione c'insegna che è migliore la natura, alla quale non piace assolutamente nulla d'illecito, così la retta ragione c'insegna nondimeno che è buona anche la natura che ha in suo potere di reprimere il piacere illecito qualora esso sorga [nell'animo] in modo da rallegrarsi non solo delle altre sue azioni lecite e buone ma anche della repressione dello stesso piacere cattivo. Poiché quindi questa natura è buona ma l'altra è migliore, perché mai Dio avrebbe dovuto creare quella sola e non piuttosto l'una e l'altra? Per conseguenza coloro, che erano pronti a lodar Dio d'aver creato solo la prima [specie di creature], dovrebbero lodarlo ancora di più per aver creato l'una e l'altra; l'una infatti si trova nei santi angeli, l'altra negli uomini santi. Coloro invece che hanno scelto per sé di mettersi dalla parte del male, hanno corrotto la loro natura degna di lode; il fatto poi che Dio prevedeva la loro condotta non è certo una ragione che non avrebbero dovuto esser creati. Anch'essi infatti hanno [tra gli esseri] il loro posto che devono occupare per l'utilità dei fedeli servi di Dio. Poiché Dio non ha bisogno della bontà d'alcun uomo retto, tanto meno dell'iniquità di un malvagio.

Perché Dio crea individui che prevede di condannare.

8. 10. Chi, dopo seria riflessione potrebbe dire: "Dio avrebbe fatto meglio a non creare uno che egli prevedeva sarebbe potuto esser corretto per mezzo del peccato d'un altro anziché creare anche uno che prevedeva sarebbe dovuto essere condannato per il suo peccato"? Ciò infatti equivale a dire: "Sarebbe meglio che non ci fosse alcuno che per la misericordia di Dio venisse premiato per aver fatto buon uso del peccato di un altro, anziché esistesse un malvagio che fosse castigato giustamente per il proprio peccato". Quando la ragione ci mostra senz'ombra di dubbio due beni non ugualmente buoni, ma uno migliore dell'altro, i tardi di mente non comprendono che, quando dicono: "Questi due beni dovrebbero essere uguali", non dicono altro che: "Dovrebbe esistere solo il bene migliore". In tal modo, desiderando stabilire l'uguaglianza tra le diverse specie di buoni, ne diminuiscono il numero e, aumentandone a dismisura quello d'una sola specie, sopprimono l'altra specie. Chi mai però darebbe ascolto a costoro, se dicessero: "Siccome il senso della vista è più eccellente dell'udito, ci dovrebbero essere quattro occhi ma non dovrebbero esserci le orecchie"? Così pure, se è più eccellente la creatura razionale che senza alcuna paura del castigo e senz'alcuna superbia si sottomette a Dio, e se al contrario tra gli uomini è stato creato un altro fatto in modo che possa riconoscere i benefici di Dio soltanto vedendo il castigo d'un altro - e perciò non monti in superbia ma abbia timore 15, ossia non presuma di sé ma riponga la sua fiducia in Dio - chi, se fosse sano di mente, potrebbe dire: "Questa creatura dovrebbe essere uguale a quell'altra", senza capire che non direbbe nient'altro che: "Non dovrebbe esistere questa creatura ma solo quell'altra"? Siffatte affermazioni sono espressioni d'individui ignoranti e sciocchi. Perché mai Dio non avrebbe dovuto creare anche coloro che prevedeva sarebbero stati malvagi, volendo manifestare la sua collera e far crescere la sua potenza, sopportando perciò con grande pazienza vasi di collera già pronti per la perdizione, al fine di far conoscere la ricchezza della sua gloria verso vasi di misericordia predisposti da lui per la gloria 16? Così però chi si vanta non deve vantarsi se non nel Signore 17, sapendo che non da lui ma da Dio dipende la propria esistenza ma che anche la propria felicità dipende solo da Colui dal quale ha il proprio essere.

Lo stesso argomento.

8. 11. È perciò molto irragionevole dire: "Non dovrebbero esistere individui ai quali Dio concederebbe il gran beneficio della sua misericordia, se non potessero esistere senza ch'esistessero anche quelli per mezzo dei quali egli potesse manifestare la giustizia del suo castigo".

9. 11. Perché mai, infatti, non dovrebbero esistere piuttosto ambedue queste specie di persone, dal momento che per mezzo dell'una e dell'altra vien fatta conoscere - com'è doveroso - la bontà e l'equità di Dio?

Prescienza di Dio e libertà dell'uomo.

9. 12. Ma qualcuno potrebbe obiettare: "Se Dio avesse voluto, sarebbero stati buoni anche i cattivi". Quanto è meglio, invece, che Dio abbia voluto così: che cioè gli uomini fossero come vogliono essere, ma che i buoni non restassero senza il premio né i malvagi senza il castigo, e con ciò stesso fossero utili agli altri! "Ma Dio - replicheranno - prevedeva che la volontà di siffatti individui sarebbe stata cattiva". Sì, la prevedeva di certo e, poiché la sua prescienza non può sbagliare, cattiva era la volontà di essi, non quella di Dio. "Perché allora creò individui che prevedeva sarebbero stati malvagi?". Perché, allo stesso modo che prevedeva il male che avrebbero commesso, così prevedeva anche qual bene avrebbe ricavato dalle loro cattive azioni. Egli infatti li creò formandoli sì da lasciar loro la facoltà di compiere anch'essi qualcosa per cui, qualunque cosa avessero scelto anche in modo colpevole, avrebbero potuto costatare che l'azione di Dio nei loro riguardi era degna di lode. Proprio da loro infatti deriva la loro cattiva volontà, da lui invece la natura buona e il giusto castigo che rappresenta la funzione meritata da essi, e cioè: per gli altri un mezzo perché siano messi alla prova e un esempio per incutere timore.

Perché Dio non converte i malvagi.

10. 13. "Ma Dio - si replica - dal momento che è onnipotente, avrebbe potuto volgere al bene anche le volontà dei malvagi". Lo avrebbe potuto certamente. "E perché allora non lo fece?". Perché non lo volle. "E perché non lo volle?". Il motivo per cui non lo volle è un segreto che sa lui solo. Non dobbiamo infatti sapere più di quanto dobbiamo sapere 18. Credo tuttavia d'aver dimostrato assai chiaramente poco più sopra che non è un bene di poco pregio una creatura razionale, anche quella che evita il male riflettendo sulla sorte dei malvagi. Ora questa specie di creature non esisterebbe di certo, se Dio avesse convertito tutte le volontà malvage verso il bene e non avesse inflitto il meritato castigo ad alcuna violazione della legge di Dio; in tal modo non ci sarebbe che la sola specie delle persone che progrediscono nella virtù senza bisogno di considerare i peccati o il castigo dei malvagi. Così, col pretesto d'ingrandire il numero delle persone più perfette, verrebbe diminuito il numero delle diverse specie dei buoni.

Il castigo dei malvagi serve alla correzione degli altri.

11. 14. "Tra le opere di Dio - obiettano ancora - ce n'è dunque qualcuna che ha bisogno del male di un'altra creatura perché quell'altra progredisca nel bene?". Certi individui, a causa di una non so quale passione per la controversia, son divenuti pertanto talmente sordi e ciechi da non udire o vedere qual gran numero di persone si correggono quando alcuni sono stati puniti? Qual pagano, qual Giudeo, qual eretico non lo sperimenta ogni giorno nella propria famiglia? Ma quando si viene a discutere e indagare la verità, questi individui si rifiutano di riflettere e comprendere da quale opera della divina Provvidenza viene l'impulso d'infliggere loro il castigo in modo che, anche se coloro che vengono puniti non si correggono, nondimeno temeranno il loro esempio tutti gli altri, e il giusto castigo dei malvagi servirà alla salute dei buoni. È forse Dio la causa della malizia e della malvagità di coloro mediante il cui giusto castigo viene in aiuto a coloro che ha stabilito di soccorrere con questo mezzo? No davvero! Iddio tuttavia, pur prevedendo che quegli individui sarebbero stati cattivi a causa dei loro vizi personali, non si astenne dal crearli destinandoli all'utilità di quest'altre persone da lui create in modo che non potrebbero progredire nel bene senza riflettere sulla sorte dei malvagi. Se infatti questi non esistessero, non gioverebbero a nulla. È forse un piccolo bene che esistano questi individui che per lo meno sono utili all'altra categoria di persone? Chi desidera che non esistano siffatti individui, non cerca altro che di non essere lui stesso nel numero dei medesimi.

Prescienza e provvidenza di Dio.

11. 15. Grandi sono le opere del Signore, da ricercare in tutte le sue volontà! 19 Egli prevede coloro che saranno buoni e li crea; prevede coloro che saranno cattivi e li crea, dando se stesso ai buoni affinché possano trovare la loro gioia in lui; ma anche ai cattivi egli concede generosamente molti dei suoi doni, perdonandoli con misericordia, castigandoli con giustizia, e in modo analogo castigandoli con misericordia e perdonandoli con giustizia, senza temer nulla dalla malizia di nessuno né aver bisogno della giustizia di nessuno; senza cercare per se stesso alcun vantaggio neppure dalle azioni dei buoni, ma avendo di mira il vantaggio dei buoni procurato anche con il castigo dei cattivi, Perché dunque non avrebbe dovuto permettere che l'uomo fosse tentato perché con quella tentazione si rivelasse, fosse convinto di peccato e punito quando il superbo desiderio d'essere padrone di se stesso avesse partorito ciò ch'esso aveva concepito 20 e sarebbe rimasto pieno di vergogna a causa del peccato commesso e con il suo giusto castigo avrebbe distolto dal peccato di superbia e disubbidienza gli uomini avvenire per i quali era stato stabilito che quei fatti dovevano essere messi in iscritto e fatti conoscere.

Perché il demonio tentò per mezzo del serpente.

12. 16. Se poi si chiede perché Dio permise al diavolo di tentare [l'uomo] mediante il serpente a preferenza [di altri animali], chi non vede che quel fatto avvenne precisamente per indicare qualcosa d'importante, come ricorda la Scrittura, la quale ha un'autorità così grande che, nel suo parlare ispirato da Dio, si basa su tanti argomenti divini quante sono le profezie adempiute e di cui il mondo è ormai ripieno? Non che il diavolo volesse simbolizzare qualcosa per la nostra intenzione, ma siccome non avrebbe potuto avvicinarsi all'uomo per tentarlo se non ne avesse avuto il permesso, avrebbe forse potuto farlo con un mezzo diverso da quello con cui gli era permesso di accostarglisi? Per conseguenza qualunque cosa, di cui era simbolo il serpente, dev'essere attribuita alla divina Provvidenza, in dipendenza della quale anche il diavolo ha sì il perverso desiderio di nuocere ma, quanto al potere di effettuarlo, ha solo quello concessogli [da Dio] per far cadere o mandare in rovina i vasi di collera o per umiliare o anche mettere alla prova i vasi di misericordia. Noi sappiamo donde deriva la natura del serpente: la terra, alla parola del Signore, produsse tutti gli animali e le bestie e i serpenti. Tutte queste creature, dotate di un'anima vivente ma irrazionale, per una legge di gerarchia voluta da Dio, sono sottomesse a tutte le creature razionali, buona o cattiva che sia la loro volontà 21. Che c'è dunque di strano se Dio permise al demonio di compiere un'zione per mezzo del serpente, dal momento che Cristo stesso permise ai demoni d'entrare nei porci 22?

La natura del demonio è buona perché creata da Dio.

13. 17. D'ordinario si discute piuttosto con maggior sottigliezza della natura del demonio. Alcuni eretici infatti, urtati dal fatto che la sua volontà è malvagia, si sforzano di presentarlo assolutamente estraneo alla creazione del sommo e vero Dio e attribuirgli un altro principio che, secondo essi, sarebbe contrario a Dio. Essi non riescono a capire che tutto ciò che esiste, in quanto è una sostanza, non solo è un bene ma non potrebbe avere l'esistenza se non dal vero Dio da cui deriva ogni bene; che al contrario, quando si preferiscono i beni inferiori a quelli superiori, ciò avviene per un impulso disordinato della cattiva volontà; così avvenne che lo spirito della creatura razionale, compiacendosi del proprio potere, a causa della sua eccellenza si gonfiò di superbia e perciò cadde dalla felicità del paradiso spirituale struggendosi di gelosia. Tuttavia nel caso di questo spirito è un bene il fatto stesso di vivere e vivificare un corpo, si tratti d'un corpo materiato d'aria, come quello che vivifica lo spirito dello stesso diavolo o dei demoni, sia che si tratti d'un corpo terrestre come quello vivificato dall'anima di qualunque uomo anche se malvagio e perverso. Per conseguenza costoro, negando che un essere fatto da Dio pecchi di propria volontà, affermano che la sostanza di Dio stesso è stata corrotta e pervertita dapprima per necessità e in seguito irreparabilmente di propria volontà. Ma di questo dissennatissimo errore abbiamo già parlato a lungo in altre occasioni.

La superbia, causa della caduta degli angeli.

14. 18. Nella presente opera, al contrario, noi dobbiamo indagare che cosa bisogna dire a proposito del diavolo attenendoci alla sacra Scrittura. In primo luogo dobbiamo indagare se proprio all'origine del mondo il diavolo, poiché s'era compiaciuto del proprio potere, si separò da quella comunità e carità in virtù della quale sono beati gli angeli che godono di Dio, o se rimase per qualche tempo nella santa comunità degli angeli anche lui ugualmente giusto ed ugualmente beato. Alcuni infatti affermano ch'egli fu precipitato dalla dimore celeste perché aveva avuto invidia dell'uomo fatto ad immagine di Dio. L'invidia infatti è una conseguenza della superbia, non la precede, perché causa della superbia non è l'invidia, ma causa dell'invidia è la superbia. Poiché dunque la superbia è l'amore della propria eccellenza, l'invidia invece è l'odio della felicità altrui, è evidente quale dei due vizi ha origine dall'altro. Chiunque infatti ama la propria eccellenza invidia i propri pari perché sono uguali a lui e invidia quelli che gli sono inferiori perché non arrivino allo stesso livello o quelli che gli sono superiori per il fatto di non essere uguale a loro. È quindi a causa della superbia che si è invidiosi, non a causa dell'invidia che si è superbi.

La superbia e l'amor proprio fonti d'ogni male.

15. 19. A ragione la Scrittura definisce la superbia principio del peccato, dicendo: Principio di ogni peccato è la superbia 23. Con questo testo concorda pienamente anche ciò che dice l'Apostolo: L'avarizia ò la radice di tutti i mali 24, se per "avarizia" intendiamo in senso generico la "brama" di chi desidera qualcosa che oltrepassa ciò che è necessario a motivo della propria eccellenza e di un certo amore per il proprio interesse personale, amore al quale la lingua latina ha dato saggiamente la qualifica di privatus, cioè di "amore egoistico", aggettivo usato evidentemente per indicare più una perdita anziché un guadagno; ogni privazione infatti comporta una perdita. Per questo fatto dunque la superba brama di elevarsi viene precipitata nel bisogno e nella miseria poiché, a causa del funesto amore di sé, dalla ricerca del bene comune si restringe al proprio bene individuale. L'avarizia però, nel senso specifico del termine, è il vizio che più comunemente si chiama "brama del denaro". Ma l'Apostolo, indicando con il termine specifico il senso generico, con la frase: L'avarizia è la radice di tutti i mali voleva far intendere ogni specie di avidità. Fu infatti a causa di questo vizio che cadde il demonio il quale non aveva certamente la brama del denaro, ma quella del proprio potere. È per questo che l'amore perverso di se stessi priva della comunione degli angeli santi lo spirito gonfio di superbia e questo rimane oppresso dal suo misero stato mentre desidera appagare le sue brame compiendo l'iniquità. Ecco perché, dopo aver detto in un altro passo: Ci saranno uomini amanti di se stessi, l'Apostolo soggiunge immediatamente: amanti del denaro 25, scendendo dal concetto generico di avidità, la cui sorgente è la superbia, a questo senso specifico che si riferisce propriamente agli uomini. Anche gli uomini, infatti, non sarebbero avidi di denaro, se non si reputassero tanto superiori quanto più sono ricchi. A questo perverso amore si oppone la carità che non cerca il proprio interesse 26, cioè non si compiace della propria eccellenza; a ragione perciò non si gonfia d'orgoglio 27.

I due amori e le due città.

15. 20. Di questi due amori l'uno è puro, l'altro impuro; l'uno sociale, l'altro privato; l'uno sollecito nel servire al bene comune in vista della città celeste, l'altro pronto a subordinare anche il bene comune al proprio potere in vista di una dominazione arrogante; l'uno è sottomesso a Dio, l'altro è nemico di Dio; tranquillo l'uno, turbolento l'altro; pacifico l'uno, l'altro litigioso; amichevole l'uno, l'altro invidioso; l'uno che vuole per il prossimo ciò che vuole per sé, l'altro che vuole sottomettere il prossimo a se stesso; l'uno che governa il prossimo per l'utilità del prossimo, l'altro per il proprio interesse. Questi due amori si manifestarono dapprima tra gli angeli: l'uno nei buoni, l'altro nei cattivi, e segnarono la distinzione tra le due città fondate nel genere umano sotto l'ammirabile ed ineffabile provvidenza di Dio, che governa ed ordina tutto ciò che è creato da lui: e cioè la città dei giusti l'una, la città dei cattivi l'altra. Inoltre, mentre queste due città sono mescolate in un certo senso nel tempo, si svolge la vita presente finché non saranno separate nell'ultimo giudizio: l'una per raggiungere la vita eterna in compagnia con gli angeli buoni sotto il proprio re, l'altra per essere mandata nel fuoco eterno con il suo re in compagnia degli angeli cattivi. Di queste due città parleremo più a lungo forse in un'altra opera, se il Signore vorrà.

Quando avvenne la caduta del demonio.

16. 21. Quando fu dunque che la superbia fece cadere il diavolo pervertendo la sua natura buona a causa della sua volontà cattiva? La Scrittura non lo dice, tuttavia la ragione dimostra chiaramente che la sua caduta avvenne prima della creazione dell'uomo e che la sua superbia fece nascere in lui l'invidia verso l'uomo. Per chiunque rifletta su questo argomento è infatti evidente che la superbia non nasce dall'invidia ma è piuttosto l'invidia che nasce dalla superbia. Si può anche supporre non senza fondamento che il diavolo cadde a causa della superbia all'origine del tempo e che prima non ci fu alcun tempo in cui visse tranquillo e felice con gli angeli santi ma che si allontanò dal suo Creatore fin dall'inizio della sua creazione. Lo dice il Signore: Egli era omicida fin dal principio e non è stato mai aderente alla verità 28; le due affermazioni di questa frase dobbiamo intenderle nel senso che non solo il demonio era omicida fin dal principio ma anche che non perseverò nella verità fin dal principio. Egli infatti fu omicida fin dall'inizio in cui l'uomo poté essere ucciso; ma l'uomo non poteva essere ucciso prima ch'esistesse chi potesse essere ucciso. Il diavolo fu dunque omicida fin dal principio poiché uccise il primo uomo, prima del quale non esisteva alcun altro uomo. Egli inoltre non perseverò nella verità e, anche in questo caso, dal primo istante della sua creazione, mentre avrebbe potuto perseverarvi, se l'avesse voluto.

Era felice il demonio prima di peccare?

17. 22. Come si può pensare, infatti, che il demonio abbia vissuto una vita felice tra gli angeli beati? Poiché, se non aveva la prescienza del peccato che avrebbe commesso e del conseguente castigo, cioè della sua apostasia da Dio e del fuoco eterno, è giusto chiedersi perché non avesse quella prescienza. Gli angeli santi infatti non sono incerti della loro vita e felicità eterna. Poiché come potrebbero essere felici, se fossero incerti? Diremo forse che Dio non volle rivelare al diavolo, quand'era ancora un angelo buono, che cosa avrebbe fatto o che cosa avrebbe sofferto, mentre agli altri angeli avrebbe rivelato che sarebbero rimasti nella verità? Se la cosa sta così, il diavolo già [prima del peccato] non era in ugual misura felice, anzi non era nemmeno completamente felice, dal momento che coloro, i quali sono appieno felici, sono sicuri della loro felicità senza che la turbi alcun timore. Ma che male aveva fatto il diavolo per meritare d'esser discriminato tra tutti gli altri angeli sicché Dio non gli rivelasse nemmeno la condizione che gli sarebbe toccata? Forse che Dio castigò il diavolo prima che peccasse? È inammissibile! Dio infatti non condanna gl'innocenti. Oppure il demonio apparteneva forse a un'altra specie di angeli, ai quali Dio non concesse la prescienza del futuro, neppure di quello che riguardava loro stessi? Io però non vedo come potrebbero esser felici gli spiriti che non hanno la sicurezza della loro stessa felicità. Poiché alcuni hanno anche pensato che il diavolo non appartenesse alla specie degli angeli che per la loro sublime natura sono al di sopra dei cieli, ma a quella degli altri angeli che furono creati nel mondo un po' inferiori ai primi e destinati a funzioni particolari. Gli angeli di questa specie avrebbero forse potuto provare attrazione per un piacere illecito, ma se non avessero voluto peccare, avrebbero potuto raffrenare quel piacere con il libero arbitrio come l'uomo, specialmente il primo uomo, che ancora non portava nelle membra il castigo del peccato, dal momento che la loro stessa attrattiva viene vinta con il timor di Dio dai santi uomini ubbidienti a Dio ed aiutati dalla sua grazia.

La felicità dell'uomo nel paradiso.

18. 23. Inoltre il presente quesito sulla felicità, se ciò si deve dire che uno già la possiede pur essendo incerto se essa perdurerà con lui o se un giorno finirà in uno stato di miseria, lo si può sollevare anche a proposito del primo uomo. Poiché, se prevedeva il peccato che avrebbe commesso e il castigo di Dio, come poteva esser felice? Egli perciò [in questa ipotesi] nel paradiso non era felice. Ma è pur vero ch'egli non aveva la prescienza del peccato che avrebbe commesso. Data dunque siffatta ignoranza, due sono i casi: o era incerto della sua felicità - e allora come poteva esser veramente felice? - o la sua certezza si fondava su di una falsa speranza, ed allora come non sarebbe stato stolto?

Quale felicità poteva godere l'uomo nel paradiso.

18. 24. Ciononostante il primo uomo aveva ancora un corpo naturale ma, se fosse vissuto nell'ubbidienza, avrebbe dovuto per giunta far parte della società degli angeli e il suo corpo esser cambiato da naturale in spirituale, possiamo farci un'idea di come la sua vita fosse felice in una certa misura, anche se non prevedeva il peccato che avrebbe commesso. Non avevano la prescienza del futuro nemmeno quelle persone a cui l'Apostolo diceva: Voi che siete spirituali, correggete quel tale con spirito di dolcezza; ma tu bada a te stesso, per non cadere anche tu in tentazione 29. Non è tuttavia né illogico né erroneo dire che quelle persone erano già felici per il fatto stesso ch'erano spirituali non quanto al corpo ma quanto alla giustizia della loro fede, allegre nella speranza, forti nella tribolazione 30. Con quanta maggior ragione e in quanta più ampia misura era perciò felice l'uomo nel paradiso prima del peccato, quantunque incerto della sua futura caduta, in quanto per la speranza della ricompensa che avrebbe avuto, cioè la trasformazione del proprio corpo, era pieno di tanta gioia che non c'era alcuna sofferenza a sopportare la quale dovesse esercitarsi la pazienza. Sebbene egli non fosse sicuro, in base a una vana presunzione, d'una realtà incerta come uno stolto, ma restando fedele in virtù della speranza, prima di ottenere la vita in cui sarebbe stato del tutto sicuro della sua stessa vita eterna, avrebbe potuto rallegrarsi, come dice la Scrittura, con tremore 31, e con questa gioia godere nel paradiso di una felicità molto maggiore di quella che hanno i fedeli servi di Dio quaggiù sulla terra, anche se, in qualche misura, minore di quella degli angeli santi che vivono al di sopra dei cieli nella vita eterna, ma nondimeno reale.

Condizione degli angeli prima di peccare.

19. 25. D'altra parte dire che alcuni angeli potrebbero esser felici a modo loro pur essendo incerti del loro peccato e castigo futuro o almeno della loro eterna salvezza senza esser sorretti neppure dalla speranza che anch'essi, con una trasformazione in meglio, giungerebbero alla certezza della loro sorte futura, è una pretesa difficilmente tollerabile, salvo che si dica per caso anche che questi angeli, assegnati a compiere certe funzioni in questo mondo agli ordini degli altri angeli più eminenti e più felici, sono stati creati in modo da ricevere, in cambio della fedele esecuzione dei loro compiti, la felicità più alta di cui potrebbero avere assoluta certezza e così, godendo per tale speranza, non sarebbe illogico dire che essi sono già felici fin d'ora. Se apparteneva a siffatta categoria di angeli il diavolo e cadde in peccato con i suoi compagni, la sua sorte è simile a quella degli uomini che si allontanano dalla giustizia della fede, peccando anch'essi a causa d'una simile superbia o ingannando se stessi o acconsentendo agli inganni del diavolo.

Si può pensare che l'angelo cadde all'inizio della creazione.

19. 26. Coloro che ne son capaci sostengano pure, dunque, questa teoria di due categorie d'angeli buoni: l'una degli angeli viventi al di sopra dei cieli, dei quali non fece mai parte l'angelo che cadde e divenne il diavolo, l'altra degli angeli che vivono in questo nostro mondo, al numero dei quali apparteneva il diavolo. Quanto a me, confesso di non trovare, per il momento, come intendere questa distinzione [in due categorie] sulla base delle Scritture. Trovandomi tuttavia incalzato dal quesito se il demonio prevedesse la propria caduta prima che questa avvenisse, per paura di affermare che gli angeli sono o furono un tempo incerti della loro felicità, ho detto che non senza ragione si può pensare che il diavolo cadde all'inizio della creazione, cioè all'inizio del tempo o della propria creazione e che non è mai rimasto nella verità 32.

Fu forse il diavolo creato cattivo fin dall'origine?

20. 27. Per questo motivo alcuni scrittori pensano che il diavolo non si volse verso il male con il libero arbitrio della sua volontà ma fu creato addirittura nel male, sebbene fosse stato creato dal Signore, sommo e vero Dio, creatore di tutti gli esseri. Per la loro opinione adducono come prova un passo del libro di Giobbe ove, parlando del demonio, sta scritto: Questa è la prima delle opere formate dal Signore, che egli fece perché fosse beffato dagli angeli 33; con questa frase concorda il seguente versetto del Salmo: Questo è il dragone che tu hai fatto per farti beffe di lui 34, eccetto che qui il testo dice: che tu hai fatto, diversamente dall'altro testo che dice: la prima delle opere formate dal Signore, come se Dio fin dall'inizio l'avesse fatto così, cioè malvagio, invidioso, seduttore, completamente diavolo, non depravato dalla sua volontà ma creato così.

Si confuta la precedente ipotesi.

21. 28. Certi scrittori si sforzano di dimostrare che questa opinione - secondo la quale il diavolo non si corruppe a causa della propria volontà ma fu creato assai cattivo dallo stesso Signore Iddio - non è contraria all'affermazione della Scrittura che dice: Dio creò tutte le cose ed ecco, esse erano assai buone 35. Essi affermano anche - e non si tratta di persone prive di spirito o ignoranti - che non solo all'inizio della creazione, ma ancora adesso, benché tante volontà siano corrotte, nondimeno l'insieme di tutti gli esseri creati, cioè tutta la creazione nel suo insieme, è molto buona. Essi però non dicono che nella creazione i malvagi siano buoni ma che con la loro malizia non riescono a deturpare e turbare in alcuna parte la bellezza e l'ordine dell'universo sottomesso al dominio, al potere e alla sapienza di Dio che lo governa; e ciò avviene poiché alla volontà di siffatti individui anche malvagi sono segnati limiti determinati e adeguati ai loro poteri, e c'è una bilancia dei meriti e dei demeriti; in tal modo, anche con essi inseriti nell'ordine e nel posto loro appropriato e giusto, risulta bello l'universo. È tuttavia una verità assai chiara, come possono vedere tutti, quanto è contrario alla giustizia che Dio, senza alcuna colpa precedente, condanni in una creatura ciò che in essa fu creato da lui stesso. È infatti anche certo ed evidente che il demonio e i suoi angeli sono stati condannati, come risulta dal Vangelo in cui il Signore predisse che a coloro, i quali si trovano alla sinistra, avrebbe detto: Andate nel fuoco eterno preparato per il diavolo e i suoi angeli 36. Non si deve perciò credere affatto, a proposito del diavolo, che sia la natura creata da Dio a dover essere punita col fuoco eterno ma la sua cattiva volontà personale.

Perché Dio creò il demonio e crea i malvagi.

22. 29. Non dobbiamo nemmeno pensare ch'è la natura del demonio a essere denotata nella frase: Questa è la prima opera formata dal Signore, che egli fece perché fosse schernita dai suoi angeli 37, essa invece denota il corpo formato d'aria che Dio adattò convenientemente alla volontà malvagia di quello spirito, oppure la giusta disposizione per cui Dio fece sì che il diavolo fosse utile ai buoni anche contro la sua volontà, oppure il fatto che Dio, pur prevedendo che quello spirito sarebbe divenuto cattivo per un atto della propria volontà, nondimeno lo creò senza impedire alla sua bontà di dar la vita e la natura anche ad una volontà che sarebbe divenuta colpevole, prevedendo nello stesso tempo quanto grandi beni avrebbe ricavato dal demonio mediante la sua mirabile bontà e potenza. Il demonio inoltre la Scrittura lo chiama la prima opera formata dal Signore, che egli fece perché fosse schernita dai suoi angeli, non perché lo abbia creato per primo o lo abbia creato malvagio fin dall'origine ma perché, sapendo che il demonio sarebbe diventato malvagio di propria volontà per far del male ai buoni, lo creò proprio per servirsi di lui a vantaggio dei buoni. Questo è il significato delle parole: perché fosse schernito dai suoi angeli, poiché il diavolo viene beffeggiato quando le sue tentazioni, con cui si sforza di corrompere i fedeli servi di Dio, tornano a vantaggio di questi e così la malizia, in cui cadde per sua volontà, diventa utile suo malgrado ai servi di Dio, il quale previde ciò quando lo creò. Ecco perché il diavolo è la prima opera [di Dio] che dev'essere schernita, poiché anche i malvagi sono strumenti dello stesso diavolo e formano [con lui] una specie di corpo, di cui è capo il diavolo. Iddio però, sebbene prevedesse che sarebbero divenuti malvagi, tuttavia li creò per il bene dei suoi servi fedeli; essi vengono beffeggiati come il diavolo quando, nonostante la loro volontà di recar danno, mediante il confronto con loro si offre ai servi di Dio [motivo di] cautela e religiosa umiltà nella sottomissione a Dio, l'intelligenza della grazia, l'occasione di esercitarsi a sopportare i malvagi e mette alla prova l'amore per i nemici. Il diavolo dunque è la prima creatura che viene schernita in questo modo perché precede questi altri malvagi non solo per l'anteriorità nel tempo, ma anche per la superiorità nella malizia. Lo scherno del demonio poi Dio lo effettua mediante gli angeli santi grazie all'azione della provvidenza, con cui governa le creature create, sottomettendo gli angeli cattivi agli angeli buoni, affinché la malizia dei cattivi eserciti il suo potere non nella misura dei suoi sforzi ma nella misura loro permessa. Quanto è detto dell'iniquità degli angeli cattivi vale anche per quella degli uomini malvagi fino a quando anche la nostra giustizia, con cui si vive mediante la fede 38 - la fede esercitata ora tra gli uomini con la pazienza - sarà cambiata in giudizio, affinché anche gli uomini possano giudicare non solo le dodici tribù d'Israele, ma anche gli angeli.

Per la superbia il diavolo decadde dalla felicità che avrebbe goduta.

23. 30. Se dunque si ammette che il diavolo non è mai restato nella verità 39, che non condusse mai una vita felice con gli angeli [santi], che cadde fin dal primo istante della propria creazione, ciò non deve intendersi nel senso che si possa pensare che egli non diventò perverso a causa della propria volontà ma che fosse creato malvagio da Dio che è buono. Nel caso contrario non si potrebbe dire che cadde fin dalla sua origine; egli infatti non poteva "cadere" se fosse stato creato cattivo; egli invece si allontanò dalla luce della verità subito dopo essere stato creato, poiché era gonfio di superbia e corrotto, avendo provato compiacimento del proprio potere. Ecco perché non poté godere la dolcezza della vita beata e angelica, non perché non l'avesse ricevuta e poi l'avesse disdegnata, ma perché se ne allontanò e la perse rifiutando di riceverla. Per questo motivo non poté avere nemmeno la previsione della propria caduta, poiché la sapienza è frutto del timore di Dio. Il diavolo invece, essendo empio fin dall'origine e per conseguenza accecato nello spirito, cadde non dalla condizione ricevuta, ma da quella che avrebbe ricevuta; non poté comunque sfuggire neppure al potere di Colui al quale non volle assoggettarsi e così il peso del suo peccato ha avuto nei suoi riguardi l'effetto di non poter né godere la luce della giustizia, né salvarsi dal giudizio di Dio.

Gli empi, gli apostati di Cristo e della Chiesa sono "corpo" del diavolo.

24. 31. La Scrittura dunque, per mezzo del profeta Isaia dice: Come mai è caduto dal cielo Lucifero, che sorge al mattino? È stato abbattuto a terra colui che mandava ambasciate a tutte le nazioni. Eppure tu dicevi in cuor tuo: "Salirò in cielo, porrò il mio trono sopra le stelle del cielo, sederò su di un monte eccelso, al di sopra dei monti più alti del nord, salirò sulle nubi, sarò simile all'Altissimo!". Ora invece scenderai agli inferi 40, ecc. Queste parole vengono interpretate come riferite al diavolo simboleggiato nel re di Babilonia. La maggior parte delle cose suddette si riferiscono però al "corpo" del diavolo, a coloro cioè che egli recluta anche dal genere umano, e specialmente a coloro che a lui si uniscono mediante la superbia, ripudiando i comandamenti di Dio. Infatti come nel Vangelo è chiamato "uomo" colui che era il diavolo: Un uomo nemico ha fatto ciò 41, così uno che era uomo è chiamato "diavolo" in quest'altro passo del Vangelo: Non sono stato forse io ad eleggere voi, i dodici? Eppure uno di voi è un diavolo 42. Inoltre il corpo di Cristo, che è la Chiesa, è chiamato Cristo - come quando S. Paolo dice: Voi siete discendenti di Abramo 43, mentre poco prima aveva detto: Le promesse furono fatte ad Abramo e al suo discendente. [La Scrittura] non dice: e ai discendenti, come se si trattasse di molti, ma: al tuo discendente, come a uno solo, cioè Cristo 44; e ancora: Come il corpo è uno solo, eppure ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo 45. Allo stesso modo anche il corpo del diavolo è chiamato "il diavolo", poiché il diavolo è il capo di esso, cioè della moltitudine degli empi, soprattutto di coloro che - per così dire - cadono dal cielo separandosi da Cristo e dalla Chiesa. A proposito di questo corpo vengono affermate, sotto forma di simbolo, molte cose che convengono non tanto al capo quanto al corpo e alle sue membra. Lucifero, che spuntava al mattino e cadde, può quindi indicare la genìa degli apostati separati da Cristo o dalla Chiesa; codesti individui si cambiano in tenebre avendo perduta la luce che portavano in loro, allo stesso modo che coloro, i quali si convertono a Dio, passano dalle tenebre alla luce; in altre parole, coloro che erano tenebre, diventano luce.

Sono corpo del diavolo anche gli eretici.

25. 32. S'intendono riferite parimenti al diavolo, simboleggiato nel principe di Tiro, le seguenti parole del profeta Ezechiele: Tu sei sigillo di somiglianza e corona di gloria; tu vivevi nelle delizie del paradiso di Dio. Tu eri ornato d'ogni specie di pietre preziose 46, ecc.; queste espressioni, come le altre che seguono, si riferiscono non tanto allo spirito che è il principe del male, quanto al suo corpo. Ora, la Chiesa è chiamata "Paradiso", come si legge nel Cantico dei cantici: Giardino chiuso, fonte sigillata, pozzo d'acque vive, paradiso pieno di alberi fruttiferi 47. Da questo paradiso si sono staccati tutti gli eretici separandosene o in modo visibile e materiale o con una separazione occulta e spirituale, benché sembri che rimangano uniti con il corpo della Chiesa; tutti coloro che [si sono separati] sono tornati al loro vomito, sebbene dopo che erano stati rimessi loro tutti i peccati, avessero camminato per un po' di tempo sulla via della giustizia. La loro condizione finale è divenuta peggiore della prima, e sarebbe stato meglio per loro non conoscere la via della giustizia piuttosto che, una volta conosciutala, voltar le spalle al santo comandamento ch'era stato loro consegnato 48. Questa genìa perversa è denotata dal Signore allorché dice che lo spirito maligno, dopo essere uscito da un uomo, torna con altri sette spiriti e s'installa in quella casa, ch'egli ha trovato già spazzata, e così la condizione finale di quell'uomo è peggiore della prima 49. A questa genìa d'individui, divenuti ormai corpo del diavolo, possono applicarsi le parole: Dal giorno che tu sei stato creato con i Cherubini - cioè con il trono di Dio, che tradotto significa: "pienezza di scienza" - e: Egli ti pose sul monte santo di Dio 50 - cioè nella Chiesa, e quindi nei Salmi si dice: Egli mi ascoltò dal suo monte santo, tu eri in mezzo a pietre scintillanti 51 - cioè tra i santi dallo spirito fervente, pietre viventi, ti sei comportato senza commettere peccati nei tuoi giorni dal dì che fosti creato, finché in te non furono trovati i tuoi peccati 52. Queste parole potrebbero essere esaminate più accuratamente e così potrebbe forse mostrarsi che non solo possono avere questo senso ma che non possono averne assolutamente alcun altro.

Conclusione: quattro ipotesi sulla caduta degli angeli.

26. 33. Ma la discussione sarebbe troppo lunga e la questione esigerebbe un altro trattato riservato a questo argomento; per adesso quindi ci basti questo compendio della seguente [quadruplice] alternativa: 1) o il diavolo, fin dal primo istante della sua creazione, per la sua empia superbia, cadde dalla felicità che avrebbe avuta, se lo avesse voluto; 2) o ci sono altri angeli, destinati a funzioni più umili in questo mondo, con i quali era vissuto godendo una certa loro felicità senza avere la prescienza del futuro e dalla compagnia dei quali, per la sua empia superbia, cadde come una specie di arcangelo con gli angeli sottomessi al suo comando - quand'anche fosse in qualche modo possibile addurre quest'ipotesi, ma sarebbe strano che fosse possibile --; 3) o almeno bisognerebbe cercare una ragione che spiegasse come tutti gli angeli santi, nell'ipotesi che il diavolo con i suoi angeli fosse vissuto con loro ugualmente felice per un certo tempo, non avevano ancora nemmeno essi una prescienza sicura della propria felicità perpetua ma la ricevettero solo dopo la caduta del diavolo; 4) o bisognerebbe [infine] cercare per qual demerito il diavolo insieme con i suoi compagni fu separato dagli altri angeli prima del suo peccato, sicché fosse ignaro della sua futura caduta, mentre gli altri angeli erano sicuri della loro perseveranza. Noi tuttavia non dovremmo avere il minimo dubbio non solo che gli angeli peccatori sono stati precipitati in una specie di prigione nell'atmosfera caliginosa che avvolge la terra e vi son detenuti per esser puniti nel giudizio [finale], come assicura l'apostolo [Pietro] 53, ma dobbiamo credere pure che nella beatitudine celeste degli angeli santi non è incerta la loro vita eterna, e questa non sarà incerta neppure per noi, conforme alla misericordia, alla grazia e alla promessa assolutamente fedele di Dio, quando saremo uniti a loro dopo la risurrezione e la trasformazione del nostro corpo terreno. Noi viviamo in virtù di questa speranza e ci sentiamo confortati dalla grazia della sua promessa. Ci sono poi altri quesiti riguardanti il diavolo e cioè: perché Dio lo ha creato pur prevedendo che si sarebbe pervertito; perché Dio, pur essendo onnipotente, non volge la sua volontà verso il bene. Per questi quesiti sarà bene attenersi a quanto abbiamo detto allorché abbiamo trattato gli stessi problemi a proposito degli uomini peccatori per vedere che cosa può essere inteso o creduto, oppure se si trova - se è possibile - una soluzione migliore.

Come il diavolo tentò l'uomo con il serpente e con la donna.

27. 34. Dio, dunque, il cui sovrano potere trascende tutto ciò ch'egli ha creato e che si serve degli angeli santi per far sì che il diavolo rimanga scornato - poiché dalla sua malizia trae vantaggio la Chiesa di Dio - non permise al diavolo di tentare la donna se non per mezzo del serpente, e l'uomo se non mediante la donna. Ma nel caso del serpente fu il demonio a parlare servendosi di quello come di uno strumento eccitando la sua natura come egli poteva eccitarla e come quella poteva essere eccitata per produrre i suoni delle parole e i segni sensibili attraverso i quali la donna comprendesse la volontà del tentatore. Al contrario nel caso della donna, che era una creatura razionale capace di articolare parole per un suo impulso personale, non fu il diavolo a parlare ma fu la donna che pronunciò le parole con cui persuase [l'uomo] sebbene fosse il diavolo a incoraggiarla interiormente con la sua istigazione occulta, come aveva agito esteriormente per mezzo del serpente. Per la verità, se il diavolo avesse agito solo con l'istigazione occulta, come spinse Giuda a consegnare Cristo 54, la sua azione avrebbe potuto ottenere il suo effetto in un'anima spinta [in tentazione] dalla passione dell'orgoglio per il proprio potere. Il diavolo però - come ho già detto - ha la volontà di tentare [l'uomo] ma non è in suo potere né il fare né il modo di fare ciò. Egli dunque tentò perché gli era stato permesso ed effettuò la tentazione nel modo che gli era stato permesso; non sapeva però che la sua azione sarebbe stata utile a una categoria di persone né voleva questo risultato e per ciò stesso veniva schernito dagli angeli.

Come il serpente poté conversare con la donna.

28. 35. Il serpente perciò non capiva le parole rivolte alla donna che erano proferite per suo mezzo, perché non si deve credere che l'anima del serpente fosse trasformata in una natura razionale, dal momento che neppure gli esseri umani, la cui natura è razionale, sanno ciò che dicono quando il demonio parla in loro nello stato d'ossessione che richiede l'intervento dell'esorcista. Tanto meno si può credere che il serpente avrebbe potuto capire le parole che il diavolo pronunciava per mezzo di esso e dalla sua bocca, dato che non avrebbe compreso le parole che avesse udito pronunciare da un essere umano non invasato dall'ossessione diabolica. Si crede anche che i serpenti odano e comprendano le parole dei Marsi e che sotto l'effetto dei loro incantesimi siano soliti balzar fuori dai loro nascondigli. Anche in questo caso però agisce un potere diabolico per farci conoscere quali esseri la Provvidenza sottomette in ogni luogo ad altri esseri secondo un ordine naturale, e che cosa, con il suo potere sapientissimo, permette perfino a volontà cattive; così avviene che i serpenti siano abituati a essere stimolati dagli incantesimi degli uomini più di alcun altra specie di animali. Anche questa è una prova non piccola che la natura umana fu sedotta alla sua origine dal colloquio del serpente con la donna. I demoni infatti si compiacciono del potere ad essi dato di stimolare i serpenti mediante incantesimi umani per ingannare comunque quanti possono. Questo potere è stato dato loro per mostrare una certa affinità che essi hanno con questa specie di animali e richiamare così alla mente ciò che avvenne all'origine [del genere umano]; questo fatto fu permesso affinché i caratteri tipici di ogni tentazione diabolica, simboleggiata nella natura del serpente, fossero fatti conoscere al genere umano, per istruire il quale essi dovevano essere scritti. Ciò apparirà chiaro quando Dio pronuncerà la sua sentenza contro il serpente.

In che senso il diavolo è chiamato "il più prudente", cioè "astuto".

29. 36. La Scrittura perciò chiama il serpente il più avveduto, cioè il più astuto di tutti gli animali 55, a motivo dell'astuzia del diavolo che in esso e per mezzo di esso compiva l'inganno; così diciamo anche noi che una lingua è accorta o astuta quando è mossa da un individuo per convincere un altro in modo accorto ed astuto a far qualcosa. In realtà questo potere o facoltà non appartiene al membro corporeo chiamato lingua ma di certo allo spirito che se ne serve. Allo stesso modo chiamiamo bugiarda la penna di certi scrittori mentre la facoltà di mentire è propria solo d'un essere vivente e pensante. La penna infatti vien chiamata bugiarda per il fatto che l'adopera un bugiardo per dire bugie, come se chiamassimo bugiardo il serpente poiché il diavolo se ne servì come uno scrittore si serve della sua penna per ingannare.

Il serpente poté parlare alla donna per un prodigio del demonio.

29. 37. Ho creduto bene di sottolineare questo particolare, perché nessuno immagini che gli animali privi di ragione abbiano un'intelligenza umana o che tutto a un tratto siano trasformati in animali dotati di ragione. Non vorrei che alcuno cadesse nella ridicola e funesta opinione della trasmigrazione delle anime dagli uomini nelle bestie o di quelle delle bestie negli uomini. Il serpente parlò dunque alla donna come l'asina, su cui cavalcava Balaam, parlò a un uomo 56, con la sola differenza che nel primo caso era opera del diavolo mentre nel secondo era opera di un angelo. Gli angeli buoni e quelli cattivi compiono alle volte azioni simili, come le compirono Mosè e i maghi del Faraone 57. Tuttavia anche nel compiere questi prodigi gli angeli buoni sono più potenti mentre gli angeli cattivi non possono compierne alcuno se non è loro permesso da Dio per tramite degli angeli buoni, affinché ciascuno venga ripagato conforme alle disposizioni del proprio cuore o conforme alla grazia concessa da Dio; in ambedue i casi egli agisce con giustizia e bontà secondo la profondità che è nella ricchezza della sapienza e scienza di Dio 58.

Il dialogo tra il serpente e la donna.

30. 38. Il serpente dunque disse alla donna: "È vero che Dio ha detto: "Non dovete mangiare d'alcun albero del paradiso""? La donna rispose al serpente: "Del frutto degli alberi che sono nel paradiso noi possiamo mangiare, ma quanto al frutto dell'albero che sta al centro del paradiso Dio ha detto: "Non dovete mangiare e non dovete toccarlo, per evitare di morire"" 59. Il primo a rivolgere la domanda fu quindi il serpente e poi la donna rispose in quel modo; sicché la sua trasgressione sarebbe stata inescusabile e in alcun modo si sarebbe potuto affermare che la donna si fosse dimenticata del precetto di Dio, quantunque anche la sola dimenticanza del precetto, specialmente di quell'unico precetto tanto importante, sarebbe stata una negligenza assai colpevole, meritevole di essere punita. Tuttavia la trasgressione del precetto è più evidente quando esso è ritenuto nella memoria e, disprezzando il precetto, vien disprezzato Dio che in certo senso risiede ed è presente in esso. Ecco perché, dopo aver detto: Per coloro che si ricordano dei suoi comandamenti, il Salmista crede necessario aggiungere: affinché li adempiano 60. Poiché molti li ritengono nella memoria ma per disprezzarli e così il loro peccato di trasgressione è tanto più grave in quanto non c'è alcuna scusa della loro dimenticanza.

Il serpente persuade con la menzogna le persone bramose del proprio potere.

30. 39. Rispose, quindi, il serpente alla donna: "Voi non morrete affatto. Dio anzi sapeva che il giorno in cui ne mangerete si apriranno i vostri occhi e sarete simili a dèi, conoscitori del bene e del male" 61. In qual modo queste parole avrebbero potuto persuadere la donna che l'azione proibita da Dio era buona e utile, se già nel suo spirito non ci fosse stato l'amore della propria autonomia e una specie di superba presunzione di se stessa che sarebbe stata messa a nudo ed umiliata mediante la tentazione? Finalmente essa, non soddisfatta delle parole del serpente, si mise ad osservare l'albero e vide che l'albero era buono da mangiare e gradevole agli occhi 62; e poiché non credeva che mangiandone potesse morire, avrà pensato - a mio avviso - che Dio, dicendo: Se ne mangerete, morrete di certo 63, avesse parlato [solo] in senso figurato. Prese quindi un frutto dell'albero, ne mangiò e ne diede anche a suo marito che era con lei, offrendoglielo forse anche con alcune parole persuasive, che la Scrittura lascia a noi di capire pur senza riferirle. O forse non c'era più bisogno di persuadere suo marito, dal momento che egli vide che lei non era morta per aver mangiato il frutto?

In che senso si aprirono gli occhi dei progenitori.

31. 40. Essi, dunque, ne mangiarono. E si aprirono gli occhi ad entrambi 64. Si aprirono, per veder cosa, se non se stessi con reciproca concupiscenza in castigo del peccato nato dalla morte della carne? Per conseguenza il loro non era più un corpo soltanto naturale, capace di venir trasformato in uno stato più perfetto e spirituale senza dover morire, [come sarebbe avvenuto] qualora si fossero mantenuti obbedienti, ma era ormai un corpo destinato alla morte, in cui la legge delle membra era in contrasto con quella dello spirito 65. In realtà non erano stati creati con gli occhi chiusi né andavano girando nel paradiso di delizie come ciechi e a tentoni col pericolo di toccare l'albero vietato anche senza saperlo e coglierne i frutti proibiti senza saperlo. In qual modo, allora, furono condotti ad Adamo gli animali e gli uccelli per vedere come li avrebbe chiamati, se non li vedeva? E in qual modo la donna, quando fu fatta, venne condotta davanti al marito e questi disse: Ora essa è osso tratto dalle mie ossa e carne tratta dalla mia carne 66 ecc., se non la vedeva? In qual modo, infine, la donna vide che l'albero era buono da mangiare, piacevole a vedersi e affascinante a conoscersi, se i loro occhi erano chiusi?

"Aprire gli occhi" qui e nell'episodio di Emmaus significa "conoscere".

31. 41. Non dobbiamo, tuttavia, intendere in senso figurato un intero passo sulla base d'una sola frase metaforica. Altri vedrà in qual senso il serpente disse: Si apriranno i vostri occhi. Lo scrittore sacro racconta che il serpente disse così, ma lascia al lettore considerare in qual senso, proprio o simbolico, lo disse. Quanto invece alla frase riferita dalla Scrittura: E si aprirono i loro occhi e si accorsero d'esser nudi 67, è stata scritta come sono narrati tutti gli altri fatti realmente avvenuti e perciò non ci devono indurre a considerarli come un racconto allegorico. Poiché neppure l'Evangelista introduceva [nel suo racconto] parole dette da un'altra persona in senso figurato e nemmeno narrava, secondo il proprio arbitrio, fatti realmente accaduti quando, a proposito dei due discepoli [di Emmaus], di cui uno era Cleofa, dice che, dopo che il Signore ebbe spezzato il pane, si aprirono i loro occhi e lo riconobbero, mentre non lo avevano riconosciuto durante la via 68. Naturalmente l'Evangelista non vuol dire che camminavano ad occhi chiusi, ma solo che non avevano potuto riconoscerlo. Come dunque in quel passo del Vangelo, così neppure in questo passo [della Genesi] si tratta di un racconto in senso figurato, sebbene la Scrittura usi una frase metaforica parlando di "occhi aperti" - che erano aperti anche prima - per indicare che si aprirono allora nel senso che videro e compresero ciò a cui prima non avevano fatto attenzione. Quando infatti [i nostri progenitori] furono spinti da una temeraria curiosità a trasgredire il precetto, bramosi di sperimentare cose a loro nascoste e sapere qual conseguenza sarebbe derivata dal toccare il frutto proibito e provar piacere a infrangere i vincoli della proibizione con l'usare una funesta libertà credendo probabilmente che non ne sarebbe seguita la morte ch'essi avevano temuta. Dobbiamo infatti pensare che il frutto di quell'albero fosse d'una specie simile a quella dei frutti degli altri alberi ch'essi avevano sperimentato essere innocui. Essi perciò credettero piuttosto che Dio avrebbe potuto perdonare facilmente il loro peccato anziché sopportare con pazienza di non conoscere di che specie fosse il frutto o perché Dio avesse proibito di mangiarne. Appena dunque trasgredirono il precetto, si trovarono completamente nudi interiormente, abbandonati dalla grazia che avevano offeso con una sfrontata arroganza e con orgoglioso amore per la propria indipendenza. Gettando allora uno sguardo sulle proprie membra essi provarono un movimento di concupiscenza ch'era loro ignoto.

La morte e la concupiscenza sopraggiunte dopo la trasgressione del precetto divino.

32. 42. Ai progenitori sopraggiunse la mortalità lo stesso giorno in cui compirono l'azione che Dio aveva proibita. Poiché essi persero la loro condizione privilegiata conservata anche grazie al nutrimento dell'albero della vita, che avrebbe potuto preservarli dalle malattie e dal processo d'invecchiamento. Nel loro corpo infatti - sebbene fosse ancora un corpo naturale ma destinato a trasformarsi in seguito in uno stato più perfetto - tuttavia nell'alimento dell'albero della vita veniva già simboleggiato il mistero che si attua negli angeli grazie al nutrimento spirituale fornito dalla Sapienza. L'albero della vita era infatti il simbolo di quel nutrimento che nutre gli angeli e mediante la loro partecipazione all'eternità li preserva dalla corruzione. Una volta dunque che [i nostri progenitori] ebbero perduta questa condizione, il loro corpo assunse la proprietà d'essere esposto alle malattie e destinato alla morte, che è insita anche nel corpo degli animali e per questo furono soggetti allo stesso movimento a causa del quale c'è negli animali il desiderio d'accoppiarsi in modo che a coloro che muoiono succedano altri che nascono. Eppure anche nello stesso castigo l'anima razionale rivelò l'innata sua nobiltà quando si vergognò dell'impulso animale che provava nelle membra del suo corpo, e infuse in quell'impulso un senso di pudore, non solo perché in esso provava qualcosa [d'indecente] che non aveva provato mai prima d'allora, ma anche perché quell'impulso vergognoso proveniva dalla trasgressione del precetto. Fu allora che l'uomo capì di qual grazia era rivestito prima, quando, pur essendo nudo, non provava alcun movimento indecente. Fu allora che si avverò [la parola del Salmista]: Nella tua bontà, Signore, avevi dato stabilità alla mia gloria; ma tu hai voltato da me il tuo volto e io sono rimasto turbato 69. Così, dunque, a causa di quel turbamento i nostri progenitori s'affrettarono a procurarsi foglie di fico che intrecciarono per farsene cinture e, poiché avevano lasciato [volontariamente] ciò che doveva costituire la loro gloria, coprirono ciò che doveva costituire la loro vergogna. Io non credo che, ricorrendo a quelle foglie, pensassero che fosse conveniente coprire con esse le loro membra che sentivano già il prurito della concupiscenza, ma nel loro stato di turbamento furono spinti a quell'atto da un impulso occulto, di modo che anche a loro insaputa esso fu un segno del loro castigo che, dopo essere stato provato, doveva convincerli del loro peccato, e, venendo narrato dalla Scrittura, avrebbe dato un insegnamento al lettore.

In che modo Dio parlava ai progenitori.

33. 43. E udirono la voce di Dio, il Signore, che passeggiava nel paradiso verso sera 70. Proprio a quell'ora infatti era opportuno che [ i nostri progenitori], i quali si erano allontanati dalla luce della verità, fossero visitati [da Dio]. Iddio era forse solito in precedenza conversare con loro interiormente in modi esprimibili o piuttosto inesprimibili [con parole umane], come parla anche agli angeli illuminando le loro menti con la sua verità immutabile, in cui la loro intelligenza conosce simultaneamente tutto ciò che avviene non simultaneamente nel corso del tempo. Forse, dico, Dio parlava con loro allo stesso modo, sebbene non partecipassero della Sapienza divina nella stessa misura che la partecipano gli angeli, ma tuttavia nella misura consentita all'uomo e in proporzione, quanto si voglia minore ma sempre nella stessa maniera, Dio li visitava e conversava con loro. Forse Dio parlava con loro in un altro modo, come quello in cui Dio si serve delle creature o nell'estasi dello spirito con immagini corporali, o nei sensi corporei con qualche oggetto fatto presente per essere visto o far sentire la sua voce nella nube mediante i suoi angeli. Allora però, quando [i nostri progenitori] udirono la voce di Dio che passeggiava nel paradiso all'imbrunire, si trattò di un'apparizione visibile effettuata mediante una creatura, poiché non dobbiamo credere che la sostanza invisibile e presente dappertutto nella sua totalità, qual è quella del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, apparisse ai loro sensi corporei movendosi nello spazio e nel tempo.

La vergogna dei progenitori.

33. 44. Adamo e sua moglie si nascosero allora dalla faccia di Dio, il Signore, in mezzo agli alberi del paradiso 71. Allorché Dio volge via il suo volto dall'intimo dell'uomo e questi rimane turbato, non dobbiamo stupirci che l'uomo compia delle azioni simili a quelle d'un pazzo a causa di una grande vergogna e paura. Adamo ed Eva, spinti anche da un occulto istinto, che non li lasciava in pace, compirono delle azioni di cui non comprendevano il significato ma che sarebbero state comprese dai loro discendenti per i quali sono stati narrati dalla Scrittura.

Dio interroga, cioè rimprovera Adamo.

34. 45. Dio, il Signore, chiamò poi Adamo e gli chiese: "Dove sei?" 72. Questa domanda è formulata da Colui che rimprovera, non da uno che ignora. Naturalmente riveste anche un significato particolare il fatto che, allo stesso modo che il precetto fu dato all'uomo perché per suo mezzo arrivasse alla donna, così l'uomo fu il primo ad essere interrogato; poiché il precetto emanato dal Signore arrivò alla donna per mezzo dell'uomo, il peccato al contrario derivò dal demonio e per mezzo della donna arrivò all'uomo. Questi fatti sono pieni di significati simbolici intesi non dalle persone in cui si compirono i fatti ma dall'onnipotente Sapienza di Dio che agiva per mezzo di esse. Ora però non si tratta di svelare quei significati ma di affermare la realtà dei fatti.

Si esamina la risposta di Adamo.

34. 46. Adamo allora rispose: Ho udito la tua voce nel paradiso e ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto 73. È assai probabile che Dio fosse solito apparire ai primi due esseri umani sotto forma umana mediante una creatura adatta a tale effetto. Egli tuttavia, elevando la loro attenzione alle cose celesti, non permise mai ad essi di accorgersi della loro nudità se non dopo che, in seguito al peccato, provarono nelle loro membra l'impulso di cui ebbero vergogna conforme alla legge delle membra che è castigo del peccato. Essi dunque, provarono il turbamento che di solito provano gli uomini sotto lo sguardo degli altri; la passione che li turbava, come castigo del peccato, li spingeva a desiderare di sfuggire allo sguardo di Colui al quale non può sfuggire nulla e di nascondere il loro corpo a Colui che scruta i cuori. Ma che c'è di strano se coloro i quali, per la loro superbia, desiderano essere come dèi, vaneggiarono nei loro ragionamenti e il loro cuore stolto si ottenebrò? Nella loro prosperità affermarono d'essere sapienti, ma quando Dio volse via da loro la sua faccia, essi diventarono stolti 74. Poiché, se avevano già vergogna di se stessi alla presenza l'uno dell'altro - e per questo s'erano procurati delle cinture - molto maggior paura sentivano, anche se coperti da esse, d'esser visti da Colui che, mosso da una specie di condiscendenza familiare, prendeva, al fine di vederli, l'aspetto d'una creatura visibile con occhi simili a quelli umani. Se infatti Dio appariva in quel modo affinché essi conversassero - per così dire - con lui come con un altro uomo, come fece Abramo presso la quercia di Mambre 75, dopo il peccato si sentivano oppressi di vergogna proprio a causa di quella specie d'amicizia, che dava loro confidenza prima del peccato. Essi inoltre non osavano più mostrare a quegli occhi la nudità che offendeva anche i loro stessi occhi.

La scusa di Adamo piena di superbia.

35. 47. Il Signore, dunque, volendo poi interrogare i colpevoli, come si usa nei tribunali, prima d'irrogare loro un castigo più grave di quello per cui erano già costretti a vergognarsi, chiese: Chi t'ha fatto conoscere ch'eri nudo, se non il fatto d'aver mangiato dell'unico albero di cui ti avevo ordinato di non mangiare? 76 Ecco il peccato per cui la morte, concepita conforme alla sentenza di Dio che l'aveva comminata con questo castigo, indusse i progenitori a guardar le membra con la concupiscenza appena che - come dice la Scrittura - s'aprirono i loro occhi e ne seguì un sentimento di vergogna. E Adamo rispose: La donna che mi hai dato per compagna, mi ha dato un frutto dell'albero e io ne ho mangiato 77. Quale superbia! Disse forse: "Ho peccato"? Adamo ha la deformità della confusione, ma gli manca l'umiltà della confessione. Questi particolari sono riferiti dalla Scrittura perché le stesse interrogazioni furono fatte appunto per essere tramandate per iscritto fedelmente a nostro insegnamento, poiché se fossero state tramandate in modo menzognero, non ci sarebbero state d'insegnamento. Esse mirano a farci riflettere su quale [grave] malattia sia la superbia di cui sono malati oggi gli uomini che si sforzano di attribuire al Creatore qualsiasi male che hanno potuto fare. La donna - rispose - che hai data con me, cioè che mi hai data perché mi fosse compagna, è stata essa a darmi un frutto dell'albero e io ne ho mangiato, come se la donna gli fosse stata data per questo e non piuttosto perché ubbidisse a suo marito e ambedue ubbidissero a Dio!

Nemmeno Eva, rimproverata da Dio, confessa il peccato.

35. 48. Allora Dio, il Signore, disse alla donna: "Perché hai fatto ciò?". La donna rispose: "Il serpente mi ha sedotta e io ho mangiato" 78. Neppure lei confessa il peccato ma lo fa ricadere su l'altro al quale, sebbene il senso di lei sia differente da quello di Adamo, è uguale nella superbia. Da essi tuttavia nacque - ma non l'imitò - uno che, pur essendo stato provato da innumerevoli sventure, disse e dirà sino alla fine del mondo: Ho detto: "Abbi pietà di me, Signore; guarisci l'anima mia, poiché ho peccato contro di te" 79. Sarebbe stato preferibile che essi fossero così! Ma il Signore non aveva ancora schiacciato la testa dei peccatori 80. Sarebbero dovuti sopravvenire ancora affanni, dolori, morte e ogni specie di tribolazioni di questo mondo e la grazia di Dio con cui, al momento opportuno, egli viene in aiuto agli uomini ai quali mostra con l'afflizione che non devono presumere di se stessi. Il serpente - disse la donna - mi ha sedotta e io ho mangiato, come se l'istigazione di qualcuno dovesse esser preferita al precetto di Dio!

Il serpente non viene né interrogato né rimproverato ma è maledetto.

36. 49. E Dio, il Signore, disse al serpente: "Poiché hai fatto ciò, sarai maledetto più di tutti gli animali e di tutte le bestie selvatiche esistenti sulla terra. Dovrai procedere sul tuo petto e con il tuo ventre e dovrai mangiare terra per tutti i giorni della tua vita. Io porrò ostilità tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua. Essa cercherà di colpire la tua testa e tu cercherai di colpire il suo calcagno" 81. Tutta questa sentenza ha un suo senso figurato, e l'attendibilità dell'agiografo e la veridicità del racconto esigono da noi di non dubitare che sia stata [realmente] pronunciata. Dio, il Signore, disse al serpente sono le sole parole dell'agiografo e devono essere intese in senso proprio. È quindi vero che così fu detto al serpente. Le altre parole sono di Dio; è lasciata al lettore la libertà di [interpretarle e] vedere se devono essere intese in senso proprio o in senso figurato, come abbiamo detto al principio di questo libro. Se pertanto non fu chiesto al serpente perché aveva compiuto quell'azione, è evidente che il serpente non aveva agito per un impulso della propria natura e volontà ma ad agire - servendosi di lui e per mezzo di lui e in lui - era stato il diavolo, già destinato al fuoco eterno a causa del suo peccato d'empietà e di superbia. Orbene, le parole rivolte al serpente e allo stesso tempo a colui che aveva agito per mezzo del serpente, hanno senza dubbio un senso figurato. In esse infatti viene descritto il tentatore quale sarebbe stato per il genere umano, poiché il genere umano cominciò a propagarsi quando fu pronunciata questa sentenza apparentemente contro il serpente ma di fatto contro il diavolo. In qual modo quindi si debbano intendere queste parole, pronunciate in senso figurato, lo abbiamo spiegato - nella misura in cui siamo stati capaci - nei due libri su La Genesi difesa contro i Manichei, già pubblicata 82; se poi potremo dare in qualche altra opera spiegazioni più precise ed appropriate lo faremo con l'aiuto di Dio. Per adesso tuttavia la nostra attenzione non dev'essere distolta senza necessità verso un lavoro differente da quello che abbiamo intrapreso.

Il castigo della donna: esser soggetta al marito.

37. 50. Alla donna poi disse: "Renderò assai numerose le tue sofferenze e le tue doglie; con dolore partorirai i figli e la tua passione ti spingerà verso tuo marito, ma egli avrà il dominio su di te" 83. Anche queste parole rivolte da Dio alla donna è molto più appropriato intenderle in un senso figurato e profetico. La donna tuttavia non aveva ancora partorito e inoltre le doglie e i travagli del parto derivano unicamente da questo corpo destinato alla morte - che fu concepita a causa della trasgressione del precetto - e le sue membra erano senza dubbio ancora quelle di un corpo naturale ma che, se l'uomo non avesse peccato, era destinato a non morire e a vivere in un altro stato più felice, finché dopo una vita intemerata avrebbe meritato d'essere trasformato in un corpo più perfetto, come abbiamo già fatto vedere più sopra in parecchi passi. Questo castigo può quindi essere inteso in senso letterale, anche se rimane da vedere come possa essere intesa in senso proprio la frase: La tua passione ti volgerà verso tuo marito ma egli avrà il dominio su di te. Poiché non dobbiamo credere che [la donna] anche prima del peccato fosse stata creata in modo da non essere sottomessa a suo marito e da non volgersi verso di lui nel servirlo. Tuttavia possiamo pensare con ragione che una tale soggezione, di cui qui si parla, sia una condizione simile alla schiavitù, anziché un legame di dilezione, e così anch'essa - per cui gli uomini divennero in seguito schiavi di altri uomini - si dimostra derivante dal castigo del peccato. L'Apostolo infatti dice: Siate a servizio gli uni degli altri 84, ma non avrebbe detto affatto: "Dominate gli uni su gli altri". Gli sposi possono rendersi reciproci servizi mossi dalla carità, ma l'Apostolo non permette alla donna di avere il dominio sull'uomo 85. La sentenza pronunciata da Dio conferì questo potere piuttosto all'uomo, ma a far sì che la donna meritasse d'aver come capo e signore il proprio marito non fu la sua natura ma il suo peccato; se però quest'ordine non fosse mantenuto, la natura si corromperebbe di più e aumenterebbe il peccato.

Quale fu il castigo di Adamo e perché questi chiamò "vita" la moglie.

38. 51. Al marito della donna allora Dio disse: Poiché hai dato ascolto alle parole di tua moglie e hai mangiato dell'unico albero che ti avevo proibito di mangiare, maledetta sarà la terra nei tuoi lavori; con dolore ne trarrai nutrimento tutti i giorni della tua vita; spine e rovi produrrà per te e mangerai l'erba dei campi. Con il sudore del tuo volto dovrai mangiare il tuo pane finché non tornerai alla terra da cui sei stato tratto, poiché tu sei terra e alla terra ritornerai 86. Chi non sa che queste sono le fatiche del genere umano sulla terra? È inoltre certo che non sarebbe stato così, qualora l'uomo avesse conservato la felicità che godeva nel paradiso; non dobbiamo quindi esitare a intendere queste parole anzitutto in senso proprio. Dobbiamo tuttavia salvaguardare e considerare attentamente il senso profetico che ha di mira, soprattutto in questo passo, la parola di Dio. Poiché non è senza motivo che lo stesso Adamo, in virtù di una mirabile ispirazione, chiamò allora sua moglie con il nome di "Vita", soggiungendo anche: poiché essa è la madre di tutti i viventi 87. Queste parole infatti non sono dell'agiografo che narra o afferma, ma sono da intendere quali parole dello stesso uomo. Dicendo: poiché è la madre di tutti i viventi indicò in un certo modo il motivo per cui aveva imposto quel nome, perché cioè l'aveva chiamata "Vita".

Significato simbolico delle tuniche di pelle.

39. 52. Dio, il Signore, fece poi per Adamo e sua moglie tuniche di pelle e li rivestì 88. Anche questa azione fu compiuta perché avesse un significato simbolico, ma nondimeno fu un fatto reale, allo stesso modo che le parole furono pronunciate perché avessero un significato simbolico ma tuttavia furono pronunciate realmente. Come ho già detto altre volte, e non mi stanco di ripetere, al narratore di eventi effettivamente accaduti si richiede che narri i fatti realmente accaduti e le parole realmente pronunciate. Ora, allo stesso modo che nel considerare i fatti s'indaga che cosa accadde e qual è il suo significato, così anche nel considerare che cosa fu detto e qual è il suo senso. Sia che un'espressione riferita dallo storico sia stata detta in un senso figurato o in senso proprio, tuttavia il fatto che è stata detta non dev'essere considerato come un'espressione figurata.

Le parole di Gen 3, 22 sono la condanna dell'orgoglio.

39. 53. E Dio disse: "Ecco che Adamo è divenuto come uno di noi; poiché conosce il bene e il male 89. Ora, poiché queste parole, quale che ne sia il significato e il modo in cui furono dette, fu Dio che le disse, non può intendersi diversamente se nell'espressione: Uno di noi il plurale non lo si prende in rapporto alla Trinità, nel medesimo senso in cui era stato detto: Facciamo l'uomo 90 e anche come il Signore si riferisse a se stesso e al Padre nell'espressione Verremo e prenderemo dimora in lui 91. Dio replicò dunque alla superba ambizione di Adamo mostrandogli il risultato di quanto aveva bramato per suggestione del serpente che aveva detto: Voi sarete come dèi 92. Ecco - disse Dio - che Adamo è diventato come uno di noi. Queste sono le parole che disse Dio, non tanto per farsi beffe di Adamo, quanto per distogliere dalla superbia gli altri esseri umani per i quali sono state tramandate dalla Scrittura. Adamo - disse Dio - è diventato come uno di noi, poiché conosce il bene e il male. Che cos'altro dobbiamo vedere in questa frase se non un esempio che ci è stato proposto per inculcarci timore, in quanto Adamo non solo non divenne come voleva divenire ma non seppe mantenersi neppure nello stato in cui era stato creato?

Adamo espulso dal paradiso.

40. 54. E ora - disse Dio - bisogna impedirgli di stendere la mano e prendere dall'albero della vita, di mangiarne e così vivere per sempre. Dio, il Signore, lo scacciò dal paradiso di delizie perché lavorasse la terra da cui era stato tratto 93. Le parole della prima frase furono dette da Dio ma poi vien raccontato il fatto che fu la conseguenza di ciò che era stato detto. L'uomo rimase privo non solo della vita che avrebbe ricevuto con gli angeli, se avesse osservato il precetto, ma anche della vita che menava nel paradiso ove il suo corpo godeva d'una condizione privilegiata di felicità e perciò dovette essere allontanato in ogni modo dall'albero della vita, e questo non solo perché quell'albero manteneva il suo corpo in quello stato di felicità grazie alla virtù invisibile di una realtà visibile, ma anche perché esso era anche un sacramento dell'invisibile sapienza. L'uomo dunque doveva essere allontanato da quell'albero sia perché ormai egli era destinato alla morte, sia anche perché era - diciamo così - scomunicato [dal paradiso] allo stesso modo che anche nel paradiso di quaggiù, che è la Chiesa, talvolta alcuni fedeli vengono allontanati dai sacramenti visibili dell'altare a norma della disciplina ecclesiastica.

Il paradiso terrestre e quello spirituale.

40. 55. [Dio] scacciò Adamo e lo collocò nella parte opposta al paradiso di delizie 94. Anche quest'azione fu compiuta realmente, ma aveva anche lo scopo di simboleggiare un'altra realtà giacché prefigurava l'uomo peccatore vivente nello stato di miseria opposto al paradiso, che rappresentava anche la felicità nel senso spirituale. [Dio inoltre] collocò i cherubini e la spada di fiamma e roteante per custodire la via all'albero della vita 95. Anche ciò dobbiamo credere che accadde nel paradiso visibile con l'intervento delle potenze celesti sicché mediante il ministero degli angeli vi fu posto una specie di bastione di fuoco. Non dobbiamo però dubitare che ciò fu fatto non senza un motivo, dal momento che aveva un significato simbolico anche riguardo al paradiso spirituale.

Opinioni sulla natura del primo peccato: a) brama intempestiva della conoscenza.

41. 56. Non ignoro poi che certi esegeti pensano che i nostri progenitori avrebbero avuto fretta di soddisfare il loro desiderio di conoscere il bene e il male e avrebbero desiderato d'avere prima del tempo conveniente ciò che era loro serbato più tardi per un'occasione più opportuna; quegli esegeti pensano inoltre che il tentatore l'indusse ad offendere Dio appropriandosi, prima del tempo, d'un bene non ancora destinato a loro. Così i progenitori, dopo essere stati espulsi dal paradiso e condannati, furono privati dei vantaggi d'un bene, di cui avrebbero potuto godere, se si fossero avvicinati a tempo debito, come voleva Dio. Se questi esegeti preferissero intendere quell'albero non in senso proprio, cioè nel senso d'un vero albero con veri frutti, ma in senso figurato, dovrebbero offrire una soluzione conforme alla retta fede e alla ragione.

b) ridicolo far consistere il primo peccato nella prematura unione maritale.

41. 57. Alcuni esegeti hanno anche pensato che la prima coppia umana anticipò, con una specie di furto, le nozze e si unì nell'amplesso coniugale prima di essere stata unita in matrimonio dal suo Creatore, amplesso di cui sarebbe stato simbolo il nome di "albero" che era stato loro vietato di toccare fino al tempo opportuno per accoppiarsi. Come se dovessimo credere che, se fossero stati creati in un'età per cui dovessero aspettare il completo sviluppo della pubertà, o come se la loro unione non fosse permessa appena possibile mentre, se non fosse stata possibile, non sarebbe certamente dovuta avvenire. O forse la sposa doveva essere consegnata dal padre e bisognava aspettare la solennità delle promesse pronunciate dagli sposi, il banchetto con una folla d'invitati, la stima della dote e la stesura del contratto matrimoniale? Tutto ciò è ridicolo e prescinde anche dal senso letterale dei fatti narrati, che abbiamo intrapreso a difendere e che abbiamo difeso nella misura che Dio ha voluto concederci.

Eva intermediaria del peccato di Adamo.

42. 58. Ma c'è un problema più difficile. Se Adamo era già spirituale quanto all'anima intellettiva, seppure non ancora quanto al corpo, in che modo avrebbe potuto prestar fede alle parole del serpente, che cioè Dio aveva proibito di mangiare del frutto dell'albero perché egli sapeva che, se lo avessero fatto, sarebbero divenuti come dèi mediante la conoscenza del bene e del male? Come se il Creatore avesse voluto rifiutare per gelosia un sì gran bene alla sua creatura! Sarebbe strano se un uomo, dotato d'intelligenza spirituale, avesse potuto prestar fede a una siffatta insinuazione! O bisognerebbe forse dire che precisamente Adamo non avrebbe prestato fede [al serpente] e perciò gli fu avvicinata [dal serpente] la donna ch'era meno intelligente e forse viveva ancora secondo il senso della carne e non secondo l'inclinazione dello spirito, e questo sarebbe il motivo per cui l'Apostolo non le attribuisce d'essere immagine di Dio? Dice infatti: L'uomo non ha bisogno di coprirsi il capo, perché è immagine e gloria di Dio; la donna invece è [solo] gloria dell'uomo 96, non nel senso che lo spirito della donna non possa ricevere la stessa immagine, poiché l'Apostolo, riguardo a questa grazia, dice che noi non siamo né maschi né femmine 97, ma forse nel senso che la donna non aveva ricevuto ancora questa prerogativa che si ottiene con la conoscenza di Dio e che avrebbe ricevuta un po' alla volta sotto la guida e l'insegnamento dell'uomo. Non senza ragione infatti l'Apostolo dice: Poiché prima è stato creato Adamo e poi Eva; inoltre non fu Adamo a lasciarsi ingannare, ma fu la donna che si lasciò ingannare e disubbidì all'ordine di Dio 98; in altre parole fu per mezzo della donna che si rese trasgressore [del precetto divino] anche l'uomo. D'altra parte l'Apostolo chiama trasgressore anche l'uomo, quando dice: Con una trasgressione simile a quella di Adamo, il quale è figura di Colui che doveva venire 99, tuttavia non dice che fu ingannato. Infatti, interrogato da Dio, Adamo non rispose: "La donna che mi hai dato per compagna mi ha ingannato ed io ho mangiato", ma: Essa mi ha dato del frutto dell'albero e io ho mangiato; la donna al contrario dice: Il serpente mi ha ingannata 100.

Anche Salomone pervertito dall'amore delle sue donne.

42. 59. Allo stesso modo si può forse pensare che Salomone, un personaggio di sì straordinaria sapienza, credesse che ci fosse un qualche vantaggio nell'adorare gli idoli? Ma egli non ebbe la forza di resistere all'amore delle donne che lo trascinavano a questa empietà e fece quel che sapeva non doversi fare per non contristare quelle ch'erano l'oggetto del suo amore mortifero, per le quali si struggeva e si pervertiva 101. Così pure fu il caso di Adamo. Dopo che sua moglie, essendo stata ingannata, ebbe mangiato del frutto e ne ebbe dato a lui perché ne mangiassero insieme, egli non volle contristarla, poiché pensava che senza il suo conforto ella potesse struggersi di dolore se si fosse sentita estraniata dal suo cuore e finisse per morire a causa di quella discordanza. Per la verità egli non fu sopraffatto dalla concupiscenza carnale che non aveva ancora provata, dato che la legge delle membra non si opponeva alla legge dello spirito, ma fu vittima d'una specie di benevolenza che è propria dell'amicizia, a causa della quale molto spesso accade che si offende Dio per evitare di rendersi nemico un amico. Che non avrebbe dovuto agire in quel modo lo dimostra il risultato che fu la giusta sentenza pronunciata da Dio [contro di lui].

Adamo fu ingannato come Eva ma in modo diverso.

42. 60. Anch'egli dunque fu ingannato sebbene in un altro modo. Ma io penso che non potesse affatto essere ingannato con l'astuzia del serpente con cui fu ingannata la donna. L'Apostolo chiama in senso proprio "inganno" quello per cui fu creduto vero, pur essendo falso, ciò che veniva consigliato, come [l'insinuazione] che Dio avrebbe proibito di toccare quell'albero perché sapeva che, se lo avessero toccato, sarebbero divenuti simili a dèi, come se rifiutasse per gelosia la divinità a coloro ch'egli aveva creati come uomini. Ma, anche se per orgoglio dello spirito - che non sarebbe potuto sfuggire a Dio che scruta i cuori - l'uomo, vedendo che la donna non era morta per aver mangiato il frutto, si lasciò indurre da un desiderio disordinato a farne l'esperienza, come abbiamo spiegato più sopra. Io tuttavia penso che Adamo, se già era dotato d'intelligenza spirituale, non poteva credere affatto che Dio avesse proibito loro per gelosia di mangiare il frutto di quell'albero. Ma perché dilungarci su questo argomento? I nostri progenitori furono indotti a commettere quel peccato nel modo che potevano commetterlo persone dotate delle caratteristiche loro proprie. Il fatto ci è stato tramandato dalla Scrittura come era opportuno che fosse letto da tutti, sebbene fosse inteso solo da pochi nel senso che sarebbe necessario.

 


1 - Gn 2, 25-2, 24.

2 - Gn 2, 25.

3 - Gn 2, 25.

4 - Cf. Rm 7, 23.

5 - Gn 3, 1.

6 - Cf. Ger 4, 22.

7 - Cf. Lc 16, 8.

8 - Cf. Rm 13, 1.

9 - Gc 4, 6.

10 - Prv. 16, 18.

11 - Sal 29, 7.

12 - Sal 29, 8-9.

13 - Gc 1, 14-15.

14 - Gal 6, 1.

15 - Cf. Rm 11, 20.

16 - Rm 9, 22-23.

17 - 2 Cor 10, 17.

18 - Cf. Rm 12, 3.

19 - Sal 110, 2.

20 - Cf. Gc 1, 15.

21 - Cf. Gn 1, 20-26.

22 - Cf. Mt 8, 32.

23 - Sir 10, 15.

24 - 1 Tm 6, 10.

25 - 2 Tm 3, 2.

26 - 1 Cor 13, 5.

27 - 1 Cor 13, 4.

28 - Gv 8, 44.

29 - Gal 6, 1.

30 - Rm 12, 12.

31 - Sal 2, 11.

32 - Cf. Gv 8, 44.

33 - Gb 40, 14 (sec. LXX).

34 - Sal 103, 26.

35 - Gn 1, 31.

36 - Mt 25, 41.

37 - Gb 40, 19 (sec. LXX).

38 - Cf. Rm 1, 17; Mt 19, 28; Lc 22, 30; 1 Cor 6, 3.

39 - Cf. Gv 8, 44.

40 - Is 14, 12-15.

41 - Mt 13, 28.

42 - Gv 6, 71.

43 - Gal 3, 29.

44 - Gal 3, 16.

45 - 1 Cor 12, 12.

46 - Ez 28, 12-13.

47 - Ct 4, 12-13.

48 - Prv 26, 11; 2 Pt 2, 21-22.

49 - Cf. Mt 12, 43-45.

50 - Sal 3, 5.

51 - Ez 28, 14.

52 - Ez 28, 15.

53 - Cf. 2 Pt 2, 4.

54 - Cf. Gv 13, 2.

55 - Gn 3, 1.

56 - Cf. Nm 22, 28.

57 - Cf. Es 7, 10-11.

58 - Cf. Rm 11, 33.

59 - Gn 3, 1-3.

60 - Sal 102, 18.

61 - Gn 3, 4-5.

62 - Gn 3, 6.

63 - Gn 3, 3.

64 - Gn 3, 7.

65 - Cf. Rm 7, 23.

66 - Gn 2, 23.

67 - Gn 3, 7.

68 - Cf. Lc 24, 13-31.

69 - Sal 29, 8.

70 - Gn 3, 8.

71 - Gn 3, 8.

72 - Gn 3, 9.

73 - Gn 3, 10.

74 - Cf. Rm 1, 21-22.

75 - Cf. Gn 18, 1.

76 - Gn 3, 11.

77 - Gn 3, 12.

78 - Gn 3, 13.

79 - Sal 40, 5.

80 - Cf. Sal 128, 4.

81 - Gn 3, 14-15.

82 - Cf. De Gn c. Man. 2, 17, 26-18, 28.

83 - Gn 3, 16.

84 - Gal 5, 13.

85 - Cf. 1 Tm 2, 12.

86 - Gn 3, 17-19.

87 - Gn 3, 20.

88 - Gn 3, 21.

89 - Gn 3, 22.

90 - Gn 1, 26.

91 - Gv 14, 23.

92 - Gn 3, 24.

93 - Gn 3, 22-23.

94 - Gn 3, 24.

95 - Gn 3, 24.

96 - 1 Cor 11, 7.

97 - Cf. Gal 3, 27-28.

98 - 1 Tm 2, 13-14.

99 - Rm 5, 14.

100 - Gn 3, 12-13.

101 - Cf. 1 Re 11, 4.


19 - l'ultima parte del capitolo ventunesimo dell'Apocalisse.

La mistica Città di Dio - Libro primo - Suor Maria d'Agreda

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282. Il testo della terza ed ultima parte del capitolo ventunesimo dell'Apocalisse, che sto spiegando, è come segue:

Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffiro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo, il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l'ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l'undecimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta è formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente. Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello. Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza. Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, poiché non vi sarà più notte. E porteranno a lei la gloria e l'onore delle nazioni. Non entrerà in essa nulla d'impuro, né chi commette abominio o falsità, ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell'Agnello. Sin qui il testo letterale del capitolo ventunesimo.

283. Avendo l'altissimo Dio eletto questa città santa di Maria come sua abitazione, la più proporzionata e gradita che fuori di se stesso potesse avere in una semplice creatura, non era grande cosa che dei tesori della sua divinità e dei meriti del suo Figlio santissimo fabbricasse le fondamenta delle mura della città adorne di ogni specie di pietre preziose, affinché con uguale corrispondenza la fortezza e sicurezza, che sono le mura, la bellezza ed eminenza di santità e di doni, che sono le pietre preziose, e la concezione, che è il fondamento del muro, fossero proporzionate in se stesse e con il fine altissimo per cui le fondava, che era vivere in lei per amore e per l'umanità che doveva ricevere nel suo ventre verginale. L'Evangelista dice di avere visto tutto questo in Maria santissima, perché alla sua dignità e santità, come anche alla sicurezza richiesta dal fatto che Dio doveva vivere in lei come in fortezza inespugnabile, conveniva che le fondamenta delle sue mura, ossia i primi principi della sua concezione immacolata, fossero fabbricati con ogni genere di virtù in grado eminentissimo e talmente prezioso che non si potessero trovare altre pietre più ricche come fondamento di questo muro.

284. Dice che il primo fondamento o pietra era di diaspro. La varietà e la durezza di questa pietra significano la costanza e la fortezza che furono infuse a questa grande Signora al momento della sua concezione santissima, perché con esse rimanesse disposta nel corso della sua vita a praticare tutte le virtù con invincibile magnificenza e perseveranza. E siccome queste virtù concesse a Maria santissima ed infuse in lei nella sua concezione, significate da queste pietre preziose, ebbero uniti singolari privilegi donati dall'Altissimo e simboleggiati in ciascuna di queste dodici pietre, io li spiegherò come mi sarà possibile, affinché si intenda il mistero che racchiudono i dodici fondamenti della città di Dio. Con la virtù della fortezza, fu a lei concessa una speciale superiorità ed il potere sopra l'antico serpente, perché lo potesse abbattere, vincere e sottomettere; le fu dato anche di incutere un certo terrore ai demoni, affinché fuggissero da lei e da molto lontano la temessero, come tremando di avvicinarsi alla sua presenza. Perciò, essi non si avvicinavano mai a Maria santissima senza restare afflitti da grande pena. La divina Provvidenza con lei fu così liberale che non solo la escluse dalla legge comune ai figli del primo padre sottraendola alla colpa originale ed a quella soggezione al demonio che contraggono tutti coloro che in essa sono compresi, ma, scevra da tutti questi danni, le concesse anche quel potere contro i demoni che tutti gli uomini persero per non essersi conservati nello stato di innocenza. Inoltre, essendo Madre del Figlio dell'Eterno, sceso nelle sue viscere per distruggere l'impeto malvagio di questi nemici, le fu concessa potestà regale partecipata dall'essere di Dio, mediante la quale soggiogava i demoni e li ricacciava più volte nelle caverne infernali, come poi dirò.

285. Il secondo fondamento era di zaffiro. Questa pietra imita il colore del cielo sereno e chiaro e mostra certi piccoli punti o particelle d'oro risplendente; significa la serenità e tranquillità che l'Altissimo accordò ai doni ed alle grazie di Maria santissima, affinché sempre godesse, come un cielo immutabile, di una pace serena senza nubi di turbamento. In tale serenità tralucevano certi aspetti di divinità fin dalla sua concezione, sia per la partecipazione e la somiglianza delle sue virtù agli attributi divini, specialmente quello dell'immutabilità, sia perché molte volte, mentre era ancora viatrice, le fu aperto il velo e vide chiaramente Dio, come dirò in seguito. In questo dono sua divina Maestà le accordò ancora la singolare virtù ed il privilegio di comunicare quiete e serenità di mente a chi la chiedesse per sua intercessione. La domandassero tutti i cattolici angustiati e turbati dalle inquiete tempeste dei vizi, che così la otterrebbero!

286. Il terzo fondamento era di calcedònio. Questa pietra prende il nome dalla provincia dove si trova, che è la Calcedonia. Ha il colore del carbonchio e di notte il suo splendore imita quello di una lanterna. Il mistero di questa pietra sta nel significare il nome di Maria santissima e la virtù del medesimo. Ella lo prese da questa provincia del mondo dove si trovò, chiamandosi figlia di Adamo come gli altri e Maria, che in latino, mutato l'accento, significa i mari, perché fu l'oceano delle grazie e dei doni di Dio. Per inondare e sommergere il mondo con essi, entrò in questo mediante la sua concezione purissima, eliminando in tal modo la malizia del peccato ed i suoi effetti e scacciando le tenebre dell'abisso con la luce del suo spirito illuminato dalla sapienza divina. Corrispondente a questo fondamento, le fu concessa dall'Altissimo la speciale virtù di dissipare, mediante il suo nome di Maria, le spesse nubi dell'infedeltà, di distruggere gli errori delle eresie, del paganesimo, dell'idolatria e tutti i dubbi contro la fede cattolica. Se gli infedeli si rivolgessero a questa luce invocandola, certamente dileguerebbero assai presto dalle loro menti le tenebre dell'errore, che si estinguerebbero tutte in questo mare per la virtù celeste che a tal fine le fu concessa.

287. Il quarto fondamento era di smeraldo, il cui colore verde ed allegro ricrea la vista senza stancarla. Simboleggia misticamente la grazia ricevuta da Maria santissima nella sua concezione, perché, essendo piena di amabilità e di grazia agli occhi di Dio ed a quelli delle creature, senza offendere mai il suo dolcissimo nome né la sua reputazione, mantenesse in se stessa il verde e la forza della santità, delle virtù e dei doni che aveva e che avrebbe ricevuto. Corrispondentemente a tale dono, l'Altissimo le diede anche facoltà di distribuire questo beneficio, comunicandolo ai fedeli devoti che l'avrebbero invocata per ottenere la perseveranza e la fermezza nell'amicizia di Dio e nelle virtù.

288. Il quinto fondamento era di sardònice. Questa pietra è trasparente ed il suo colore imita soprattutto l'incarnato chiaro, sebbene partecipi di tre colori: in basso del nero, in mezzo del bianco ed in alto del rosso chiaro; tutto ciò rende una varietà graziosa. Misticamente questa pietra con i suoi colori rappresenta contemporaneamente la Madre ed il Figlio che doveva generare. Il nero contrassegna in Maria la parte inferiore e terrena, cioè il corpo annerito dalla mortificazione e dalle tribolazioni che patì, nonché il corpo del suo santissimo Figlio deformato per le nostre colpe. Il bianco significa la purezza dell'anima della vergine Madre e quella di Cristo nostro bene. L'incarnato indica nell'umanità la divinità unita ipostaticamente e nella Madre manifesta l'amore partecipatole dal suo Figlio divino e tutti gli splendori della divinità che le furono comunicati. Per questo fondamento le fu inoltre concesso che il valore dell'incarnazione e della redenzione, già sufficiente per tutti, divenisse per i suoi devoti efficace mediante la sua intercessione e le sue preghiere e che, perché conseguissero questo beneficio, impetrasse loro una devozione particolare ai misteri ed alla vita di Cristo Signore nostro.

289. Il sesto fondamento era di cornalina. Anche questa pietra è trasparente. Poiché imita la fiamma chiara del fuoco, è simbolo del dono concesso alla Regina del cielo di ardere incessantemente nel suo cuore del divino amore, come la fiamma del fuoco. Mai tale fiamma si estinse o diminuì nel suo petto. Anzi, accesa dall'istante medesimo della sua concezione, andò poi sempre crescendo; ora arde in lei nel più alto grado di cui può essere capace una semplice creatura ed arderà così per tutta l'eternità. Corrispondentemente a tale dono, le fu concesso il privilegio speciale di dispensare l'influsso dello Spirito Santo, il suo amore ed i suoi doni a chi li avrebbe domandati per mezzo di lei.

290. Il settimo fondamento era di crisòlito. Questa pietra imita nel suo colore l'oro rifulgente con qualche somiglianza di lume o di fuoco; ciò si scopre più di notte che di giorno. Rappresenta, perciò, l'amore ardente che Maria santissima portò alla Chiesa militante, ai suoi misteri, alla legge di grazia. Tale amore spiccò tanto più nella notte da cui essa fu coperta per la morte di suo Figlio, nella quale fu maestra degli Apostoli nella comprensione della legge santa del Vangelo ed implorò incessantemente con l'ardore più profondo lo stabilirsi della Chiesà e la salvezza dell'umanità intera. Ella sola seppe e poté stimare degnamente la legge santissima di suo Figlio. Di questo amore fu preventivamente dotata fin dalla sua immacolata concezione, per divenire coadiutrice di Cristo nostro Signore. Così, le fu concesso il particolare privilegio di ottenere a chi l'avrebbe invocata la grazia di disporsi a ricevere i sacramenti della santa Chiesa con frutto spirituale e di non mettere ostacolo ai loro effetti.

291. L'ottavo fondamento era di berillo. Questo è di colore verde e giallo; ha però più del verde, per cui imita molto l'oliva e riluce brillantemente. Rappresenta le singolari virtù della fede e della speranza che furono date a Maria santissima nella sua concezione con speciale splendore, affinché intraprendesse ed operasse cose ardue ed alte, come difatti operò per la gloria del suo Creatore. Insieme a questo dono, le fu concesso di poter dare ai suoi devoti coraggio, forza e pazienza nelle tribolazioni e nelle difficoltà, dispensando queste virtù e questi doni in forza della fedeltà divina e dell'assistenza del Signore.

292. Il nono fondamento era di topazio. Questa pietra è trasparente, di colore viola scuro; è stimata di grande valore. Fu simbolo dell'onestissima verginità di Maria signora nostra ed allo stesso tempo della sua divina maternità, cose che ella stimò grandemente, con umile gratitudine che le durò tutta la vita. Nella sua concezione domandò all'Altissimo la virtù della castità e subito il Signore gliela offrì per tutto il tempo in cui sarebbe stata viatrice. Ella conobbe fin da allora che le veniva accordata in misura superiore ai suoi desideri, e non solo per sé; il Signore, infatti, le concesse anche di essere maestra e guida delle vergini e delle anime caste e di ottenere con la sua intercessione ai suoi devoti questa virtù e la perseveranza in essa.

293. Il decimo fondamento era di crisopazio, il cui colore è verde e mostra un po' di oro. È' figura della fermissima speranza concessa a Maria santissima nella sua concezione, ritoccata con l'amore divino che la faceva risaltare. Tale virtù fu salda nella nostra Regina, come era conveniente perché comunicasse questa medesima qualità alle altre virtù; la sua stabilità si fondava sulla fermezza immutabile del suo animo generoso e forte in tutte le tribolazioni e le prove della sua vita santissima, specialmente durante la passione e morte del suo Figlio benedettissimo. Allo stesso tempo le venne concessa la grazia singolare di essere efficace mediatrice presso l'Altissimo per ottenere ai suoi devoti questa virtù della fermezza nella speranza.

294. L'undicesimo fondamento era di giacinto, che presenta il colore viola perfetto. Questo fondamento significa l'amore per la redenzione del genere umano, infuso in Maria santissima nella sua concezione, partecipato anticipatamente da quello che il suo Figlio e nostro redentore avrebbe avuto per morire per gli uomini. Come da questo si sarebbe originato tutto il rimedio della colpa e la giustificazione delle anime, così con tale amore, che da quell'istante sarebbe durato sempre in seguito, fu concesso alla nostra Regina il privilegio speciale che per sua intercessione i peccatori di ogni genere, per quanto grandi ed abominevoli, se l'avessero invocata di cuore, non sarebbero stati esclusi dal frutto della redenzione e dalla giustificazione e per mezzo di questa potente avvocata avrebbero potuto conseguire la vita eterna.

295. Il dodicesimo fondamento era di ametista, di colore rifulgente cangiante in violetto. Il mistero di questa pietra o fondamento corrisponde in parte al primo, perché significa una specie di virtù che fu data nella sua concezione a Maria santissima contro le potestà dell'inferno, affinché i demoni, anche quando non comandava loro né operava cosa alcuna contro di loro, sentissero uscire da lei una forza che li affliggesse e tormentasse quando volessero avvicinarsi alla sua persona. Questo privilegio le fu dato per l'incomparabile zelo che ella aveva di esaltare e difendere la gloria di Dio ed il suo onore. In virtù di questo singolare beneficio, Maria santissima ha un particolare potere per scacciare i demoni dai corpi umani con l'invocazione del suo dolcissimo nome, così potente contro questi spiriti maligni che al sentirlo le loro forze restano abbattute ed infrante. Questi sono in sostanza i misteriosi significati dei dodici fondamenti sui quali Dio edificò la sua città santa, Maria. È' vero che essi contengono molti altri segreti relativi ai favori da lei ricevuti che non posso ora spiegare, ma nel corso di questa Storia li andrò manifestando, come il Signore mi darà luce e forza per farlo.

296. L'Evangelista prosegue dicendo: E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta è formata da una sola perla. Il numero di tante porte di questa città fa conoscere che, per mezzo di Maria santissima, della sua dignità ineffabile e dei suoi meriti, l'accesso alla vita eterna si rese agevole e libero. Era come cosa dovuta e corrispondente all'eccellenza di questa eminente Regina che in lei e per lei si magnificasse l'infinita misericordia dell'Altissimo per l'apertura di tante vie attraverso le quali Dio si potesse comunicare ai mortali e questi potessero entrare a parteciparne per mezzo di Maria purissima avvalendosi dell'aiuto dei suoi meriti e della sua potente intercessione. Il pregio, la grandiosità e l'attraente bellezza di queste dodici porte, che erano altrettante perle, dimostrano la dignità ed il valore di questa imperatrice delle altezze, come anche la soavità del suo nome dolcissimo per attirare a Dio i mortali. Maria santissima conobbe bene questo beneficio del Signore per il quale era fatta singolare mediatrice del genere umano e dispensatrice dei tesori della Divinità per mezzo del suo Figlio unigenito. Compresa da tale conoscenza, la prudente e amorevole Signora seppe rendere i meriti delle sue opere e della sua dignità tanto preziosi e belli che formano l'ammirazione dei beati del cielo. Per questo le porte di questa città furono perle preziose per il Signore e per gli uomini.

297. Corrispondentemente a ciò, l'Evangelista dice: E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente. La piazza di questa città di Dio, Maria santissima, è il suo intimo, dove, come in piazza e centro comune, concorrono tutte le facoltà e tutto ciò che entra per mezzo dei sensi e per altre vie e dove ha luogo il commercio e si trattano gli affari della repubblica dell'anima. In Maria santissima questa piazza fu oro molto lucente e puro, perché era come formata di sapienza e di amore divino. Mai si trovò qui tiepidezza, ignoranza o inavvertenza; tutti i suoi pensieri furono elevati ed i suoi sentimenti infiammati d'immensa carità. In questa piazza furono trattati i misteri altissimi della Divinità; qui fu pronunciato quel «fiat mihi» che diede inizio alla più grande opera che Dio abbia fatto o farà mai; qui furono formulate e discusse innumerevoli petizioni da presentare al tribunale di Dio per il genere umano; qui sono anche depositate ricchezze tali che basterebbero per sollevare dalla povertà tutto il mondo, se tutti partecipassero al commercio di questa piazza. È' anche piazza d'armi contro il demonio e contro ogni genere di vizi, poiché nell'intimo di Maria purissima si trovano tali grazie e virtù che, mentre la rendono terribile contro l'inferno, danno anche a noi forza e coraggio per vincerlo.

298. Dice di più: Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio. Il tempio nelle città serve per la preghiera e per il culto che rendiamo a Dio e sarebbe una grande mancanza se nella città di Dio non ce ne fosse uno quale conviene alla sua grandezza ed eccellenza. In questa città, che è Maria santissima, ci fu un tempio così sacro che il medesimo Dio onnipotente e l'Agnello, cioè la divinità e l'umanità del suo Unigenito, furono il suo tempio, poiché in Maria abitarono come nel loro luogo legittimo, e tempio in cui vennero adorati ed onorati in spirito e verità più degnamente che in tutti i templi del mondo. Essi a loro volta furono tempio di Maria purissima, perché ella stette compresa, circondata e come racchiusa nella divinità e nell'umanità, che le servivano come abitazione e dimora. Mai cessò, stando in essa, di adorare, venerare e pregare il medesimo Dio ed il Verbo incarnato nel suo grembo, per cui stava in Dio e nell'Agnello come in un tempio, poiché ad esso conviene la santità continua in tutti i tempi. Anzi, per considerare degnamente questa divina Signora, sempre dobbiamo immaginarcela chiusa come in un tempio in Dio e nel suo Figlio santissimo. Qui intenderemo quali atti di amore, adorazione e venerazione doveva compiere, quali delizie doveva sentire con il Signore e quali suppliche in quel tempio doveva porgergli a beneficio del genere umano, poiché, vedendone in Dio la grande necessità di riscatto, accesa di carità, gridava e supplicava dall'intimo del cuore per la salvezza dei mortali.

299. Dice poi l'Evangelista: La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello. Dov'è uno splendore sommamente maggiore e più vivo di quello del sole e della luna, certo questi astri non sono necessari. Così anche nel cielo empireo, dov'è splendore di infiniti soli, non c'è bisogno di questo che illumina noi, sebbene sia così lucente e bello. In Maria santissima, nostra regina, non fu necessario che si trovassero altro sole o altra luna di creature che la istruissero o illuminassero, poiché da sola e senza bisogno di esempio seppe rendersi gradita a Dio; nemmeno la sua sapienza, santità e perfezione nell'operare poterono avere altro maestro ed arbitro che il medesimo sole di giustizia, il suo Figlio santissimo. Tutte le altre creature furono ignoranti per insegnarle come meritare di essere Madre degna del suo Creatore. A questa medesima scuola ella apprese ad essere umilissima ed ubbidientissima tra le umili e le ubbidienti. Per questo, sebbene venisse istruita da Dio stesso, non tralasciò di interrogare anche i più piccoli e di ubbidire loro in ciò in cui conveniva; anzi, come singolare discepola di colui che corregge i sapienti, imparò questa divina filosofia da tale maestro. Ne uscì così sapiente che l'Evangelista poté aggiungere:

300. Le nazioni cammineranno alla sua luce. Di fatto, se Cristo Signore nostro chiamò i Dottori ed i Santi con il nome di lucerne accese e poste sul candelabro della Chiesa per illuminarla e se i Patriarchi, i Profeti, gli Apostoli, i Martiri ed i Dottori, con la luce che hanno diffuso, hanno riempito la Chiesa cattolica di tanto chiarore che sembra divenuta un cielo con molti soli e molte lune, che cosa si doveva dire di Maria santissima, il cui splendore eccede incomparabilmente quello di tutti i maestri della Chiesa, anzi dei medesimi angeli del cielo? Se i mortali avessero gli occhi aperti per vedere questi raggi di Maria santissima, ella sola basterebbe senza dubbio per illuminare ogni uomo che viene al mondo e per avviarlo sui retti sentieri dell'eternità. Alla luce di questa santa città hanno camminato quelli che sono giunti alla conoscenza di Dio ed è per questo che san Giovanni dice che le nazioni cammineranno alla sua luce. Aggiunge poi:

301. I re della terra a lei porteranno la loro magnificenza. Grandemente felici saranno i re ed i principi che nelle loro persone e monarchie lavoreranno con sollecitudine per adempiere questa profezia. Tutti lo dovrebbero fare, perché saranno beati coloro che eseguiranno ciò rivolgendosi con affetto intimo del cuore a Maria santissima ed impiegando la vita, l'onore, le ricchezze e la grandezza delle loro forze e dei loro stati nella difesa di questa città di Dio, nel diffondere la sua gloria per il mondo e nel renderne il nome sempre più grande nella Chiesa e contro la folle audacia degli infedeli ed eretici. Con profondo dolore mi stupisco dei principi cattolici, che non si curano di guadagnarsi il favore di questa Signora e di invocarla, perché sia per loro rifugio e protezione, ausiliatrice ed avvocata nei pericoli, che per loro sono maggiori. Se per i re ed i potenti i pericoli sono grandi, ricordino che non è minore il loro dovere di mostrarsi grati a questa divina Regina e signora, poiché ella dice di se stessa che per lei regnano i re, i principi comandano ed i potenti amministrano la giustizia, che ama quelli che la amano e che quelli che renderanno illustre il suo nome conseguiranno la vita eterna, perché sperando in lei non peccheranno.

302. Non voglio nascondere la luce che più volte mi fu data, e specialmente in questo luogo, perché la manifesti. Nel Signore mi fu mostrato che a tutte le afflizioni della Chiesa cattolica ed a tutte le tribolazioni che il popolo cristiano soffre fu sempre posto rimedio per l'intercessione di Maria santissima e che nell'afflitto secolo presente, in cui la superbia degli eretici tanto si innalza contro Dio e la sua Chiesa affranta e piangente, esiste un solo rimedio per tali deplorabili miserie. Questo è che i monarchi ed i regni cattolici si rivolgano alla madre della grazia e misericordia, Maria santissima, guadagnandosi il suo favore con qualche singolare servizio atto ad accrescere e dilatare la sua devozione e la sua gloria per tutta la terra, affinché, volgendosi verso di noi, ci guardi con misericordia, ottenga grazia dal suo Figlio santissimo per la riforma dei vizi oltremodo sfrenati che il nemico comune ha seminato nel popolo cristiano e con la sua intercessione plachi l'ira del Signore che così giustamente ci castiga, minacciandoci flagelli e disgrazie ancora più gravi. Da questa riforma e dalla conversione dai nostri peccati seguiranno anche la vittoria contro gli infedeli e l'estirpazione delle false sette che opprimono la santa Chiesa, poiché Maria santissima è la spada che le deve estinguere e recidere in ogni luogo.

303. Oggi il mondo sperimenta il danno di questa dimenticanza. Se i principi cattolici non perseguono prosperi successi nel governo e nel mantenimento dei loro regni, nell'aumento della fede cattolica, nella lotta con i loro nemici, nelle guerre o vittorie contro gli infedeli, tutto ciò avviene perché non dirigono il proprio cammino tenendo Maria come punto di orientamento e non l'hanno posta come principio e fine immediato delle loro azioni e dei loro pensieri, dimenticando che questa regina passeggia per i sentieri della giustizia per insegnarla agli altri, portarli ad essa ed arricchire coloro che la amano.

304. Oh, principe e capo della santa Chiesa cattolica! Oh, prelati, che vi chiamate anche suoi principi! Oh, principe cattolico e monarca di Spagna, a cui, per legame naturale, per singolare affetto e per ordine dell'Altissimo indirizzo questa umile ma vera esortazione! Gettate la vostra corona ed il vostro regno ai piedi di questa Regina e signora del cielo e della terra, cercate la riparatrice di tutto il genere umano, ricorrete a colei che con potere divino è al di sopra di ogni potenza umana ed infernale, rivolgete il vostro affetto a colei che tiene nelle sue mani le chiavi della volontà e dei tesori dell'Altissimo, pòrtate il vostro onore e la vostra gloria a questa città santa di Dio, che non li chiede perché ne ha bisogno per accrescere i suoi, ma piuttosto per migliorare e dilatare i vostri. Offritele con la vostra pietà cattolica, e di tutto cuore, qualche omaggio grande e gradito, in ricompensa del quale sono pronti per voi infiniti beni, la conversione dei gentili, la vittoria contro gli eretici ed i pagani, la pace e la tranquillità della Chiesa, nuova luce e nuovi aiuti per migliorare i costumi e per rendere voi stesso un re grande e glorioso in questa vita e nell'altra.

305. Oh, regno e monarchia della Spagna cattolica, e come tale fortunatissima! Oh, se alla fermezza ed allo zelo della tua fede, che hai ricevuto oltre i tuoi meriti dalla destra onnipotente, tu aggiungessi il santo timore di Dio corrispondente alla professione di questa tua fede, che ti rende singolare fra le nazioni di tutta la terra! Oh, se per conseguire questo fine e questa corona delle tue felicità tutti i tuoi abitanti si innalzassero con ardente fervore alla devozione di Maria santissima! Come risplenderebbe allora la tua gloria! Come saresti illuminata! Come saresti protetta e difesa da questa Regina e come sarebbero arricchiti di tesori celesti i tuoi re cattolici! Come verrebbe propagata per loro mano in tutte le nazioni la soave legge evangelica! Considera attentamente che questa grande principessa onora coloro che la onorano, arricchisce coloro che la cercano, glorifica quelli che celebrano il suo nome e difende quelli che sperano in lei. Per esercitare con te questi uffici di madre singolare ed usare nuove misericordie, ti assicuro che aspetta e desidera che tu cerchi la sua benevolenza e ne solleciti il materno amore. Allo stesso tempo, però, considera che Dio non ha bisogno di nessuno e può cambiare le pietre in altrettanti figli di Abramo, cosicché, se ti rendi indegna di un bene tanto grande, egli può riservare questa gloria per chi lo servirà e se ne renderà meno immeritevole.

306. Ora, perché non ignori il servizio con cui potrai oggi guadagnarti il favore di questa Regina e signora di tutti, tra i molti che ti insegnerà la tua devozione e pietà, considera lo stato in cui si trova in tutta la Chiesa il mistero della sua immacolata concezione e ciò che ancora manca per stabilire con fermezza le fondamenta di questa città di Dio. Nessuno giudichi questo suggerimento come proprio di donna debole ed ignorante o effetto di una devozione particolare e dell'amore al mio Istituto ed alla mia professione, che va sotto il titolo religioso di Maria immacolata, poiché a me bastano la fede e la luce che ho ricevuto in questa Storia. No, non è per me questa esortazione, né mi permetterei di farla semplicemente basandomi sul mio giudizio ed opinione; ma in ciò ubbidisco al Signore che apre la bocca dei muti e scioglie la lingua degli infanti. Chi ancora si stupisse di questa tanto liberale misericordia, faccia attenzione a ciò che di questa Signora aggiunge l'Evangelista, dicendo:

307. Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, poiché non vi sarà più notte. Le porte della misericordia di Maria santissima non sono mai state né stanno mai chiuse, né vi fu in lei notte di colpa che, dal primo istante della sua vita e concezione, chiudesse le porte di questa città di Dio, come negli altri santi. Come in un luogo dove le porte stanno sempre aperte entrano ed escono tutti quelli che lo vogliono, in ogni tempo ed ora, così a nessuno dei mortali è interdetto l'entrare liberamente in relazione con Dio attraverso le porte della misericordia di Maria purissima, dove è aperto il banco del tesoro del cielo, senza limitazione di tempo, luogo, età o sesso. Tutti sono potuti entrare fin dalla sua fondazione, perché per questo l'Altissimo la edificò con tante porte, e non chiuse, ma aperte, con libero accesso ed in piena luce. Fin dalla sua concezione purissima, infatti, cominciarono ad uscire da queste porte misericordie e favori per tutto il genere umano. Avere tante porte, attraverso le quali escano le ricchezze di Dio, non la rende però meno sicura dai nemici. Per questo il testo aggiunge:

308. Non entrerà in essa nulla d'impuro, né chi commette abominio o falsità, ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell'Agnello. L'Evangelista conclude questo capitolo ritornando sul privilegio delle immunità di questa città di Dio, Maria, cioè assicurandoci che in lei non entrò nulla d'impuro, perché le furono dati immacolati l'anima ed il corpo. Non si sarebbe potuto dire che non sarebbe entrato in lei nulla d'impuro quando avesse avuto la colpa originale, sebbene non i peccati attuali. Tutto ciò che entrò in questa città santa fu quello che era scritto nel libro della vita dell'Agnello; Dio, infatti, prese l'esempio e l'originale per formarla dal suo Figlio santissimo e da nessun altro poté copiare virtù alcuna di Maria santissima, per quanto piccola, se in lei potevano esservene di piccole. E se a questa porta di Maria corrisponde l'essere città di rifugio per i mortali, ciò è sotto la condizione che in lei non possa aver parte né ingresso chiunque commette abominio o falsità. Non devono, però, gli impuri e peccatori figli di Adamo disperare di avvicinarsi alle porte di questa città santa di Dio, poiché, se si recano a cercare la purezza della grazia umiliati e compunti, la troveranno in queste porte della grande Regina, non in altre. È limpida, è pura, è sovrabbondante di grazie; soprattutto, è madre della misericordia, dolce, amorevole e potente per arricchire la nostra povertà e togliere le macchie di tutte le nostre colpe.

 

Insegnamento che mi diede la Regina del cielo in questi capitoli

 

309. Figlia mia, i misteri di questi capitoli racchiudono grande dottrina e luce, benché in essi tu abbia tralasciato di dire molte cose. Approfitta di quanto hai inteso e scritto, per non ricevere invano la luce della grazia. Quello, poi, di cui ti voglio brevemente avvertire è che non devi perderti d'animo nel combattere le passioni per essere stata concepita nel peccato, discendente dalla terra e con inclinazioni terrene, finché tu le abbia vinte ed abbia vinto in esse i tuoi nemici. Con le forze della grazia di Dio altissimo, che ti aiuterà, puoi innalzarti sopra te stessa e farti discendente del cielo, da dove viene la grazia. Per conseguire questo, tu devi tenere la tua continua abitazione nelle altezze, stando fissa con la mente nella conoscenza dell'essere immutabile e delle perfezioni di Dio, senza permettere che di lì ti strappino i pensieri di alcun'altra cosa, benché necessaria. Con questa incessante memoria e visione interiore della grandezza di Dio, starai disposta in tutto il resto per operare quello che è più perfetto nelle virtù e ti renderai idonea a ricevere l'influsso ed i doni dello Spirito Santo, giungendo così allo stretto vincolo dell'amicizia e della comunicazione con il Signore. Per non impedire in questo la sua santa volontà, che molte volte ti è stata indicata e manifestata, sforzati di mortificare la parte inferiore della creatura, dove vivono le inclinazioni e le passioni negative. Muori a tutto ciò che è terreno, sacrifica in presenza dell'Altissimo tutti i tuoi appetiti sensitivi, senza soddisfarne neppure uno, non fare la tua volontà senza obbedienza e non uscire dal segreto del tuo intimo, dove ti illuminerà la luce dell'Agnello. Adornati per entrare nel talamo del tuo sposo e lasciati abbellire, come farà la destra dell'Onnipotente, se tu collaborerai e non gli porrai ostacolo. Purifica la tua anima con molti atti di dolore per averlo offeso e con ardentissimo amore lodalo e magnificalo. Cercalo, non ti riposare finché trovi colui che l'anima tua desidera e non lo lasciare. Voglio che tu viva in questo pellegrinaggio come quelli che già lo hanno terminato, contemplando senza interruzione l'Oggetto che li rende gloriosi. Questa deve essere la norma della tua vita, perché con la luce della fede e lo splendore di Dio onnipotente, che ti illuminerà e riempirà il tuo spirito, lo ami, lo adori e lo veneri senza interruzione. Questa è la volontà dell'Altissimo a tuo riguardo. Bada bene a ciò che puoi guadagnare ed a ciò che puoi perdere. Non volere da te stessa metterlo a rischio, ma assoggetta la tua volontà rimettendoti totalmente alla direzione del tuo sposo, alla mia ed a quella dell'ubbidienza, con la quale ti devi misurare in tutto. Questo fu l'insegnamento che mi diede la Madre del Signore, alla quale io, piena di confusione, risposi dicendo:

310. Regina e signora di tutto il creato, io che sono vostra e bramo esserlo per tutta l'eternità, lodo l'onnipotenza dell'Altissimo, che tanto si compiacque di farvi grande. Poiché siete così felice e potente presso di lui, vi supplico, Signora mia, di guardare con occhi di misericordia questa vostra serva povera e misera. Con i doni che il Signore ha posto nelle vostre mani per distribuirli ai bisognosi, ponete riparo alla mia piccolezza, arricchite la mia estrema povertà e costringetemi come Signora a volere ed operare efficacemente ciò che è più perfetto, cosicché trovi grazia agli occhi del vostro Figlio santissimo e mio Signore. Guadagnatevi questo onore, sollevando dalla polvere la più inutile creatura. Nelle vostre mani io pongo la mia riuscita. Vogliatela con efficacia, o Signora e regina mia, poiché il vostro volere è santo e potente per i meriti del vostro Figlio santissimo e per la parola della beatissima Trinità impegnata con voi ad accettare ogni vostra volontà e domanda, senza respingerne alcuna. Non posso vincolarvi a questo in alcun modo, poiché sono indegna; ma in cambio vi presento, o Signora mia, la vostra medesima santità e clemenza.


3-23 Gennaio 1, 1900 Effetto della conoscenza di sé stesso.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Trovandomi molto afflitta per la privazione del mio sommo ed unico Bene, dopo molto aspettare e riaspettare, finalmente l’ho visto uscire da dentro il mio cuore, che piangeva, facendomi cenno con gli occhi che gli doleva la ferita fatta nella circoncisione, perciò piangeva, e che aspettava da me che l’avessi asciugato il sangue che scorreva dalla ferita, e raddolcissi il dolore del taglio. Tutta compassione e confusione insieme, tanto che non ardivo di ciò fare, ma tirata dall’amore, non so come mi sono trovato un pannolino in mano ed ho cercato per quanto ho potuto, d’asciugare il sangue al bambino Gesù. Mentre ciò facevo, mi sentivo tutta piena di peccato e pensavo che io ne ero la causa di quel dolore di Gesù. Oh! quanto mi faceva pena, mi sentivo assorbita in quell’amarezza e il benedetto bambinello, compatendo il mio miserabile stato, mi ha detto:

(2) “Quanto più l’anima si umilia e conosce sé stessa, tanto più si accosta alla verità, e trovandosi nella verità, cerca di spingersi nella via delle virtù, da cui si vede molto lontana; e se si vede che si trova nella via delle virtù, scorge subito il molto che le resta da fare, perché le virtù non hanno termino, sono infinite come sono Io. Onde, l’anima trovandosi nella verità, cerca sempre di perfezionarsi, ma mai giungerà a vedersi perfetta, e questo le serve e farà che l’anima stia continuamente lavorando, sforzandosi per maggiormente perfezionarsi, senza perdere il tempo in oziosità; ed Io, compiacendomi di questo lavoro, man mano la vado ritoccando per dipingere in lei la mia rassomiglianza. Ecco perciò volli essere circonciso, per dare un esempio di grandissima umiltà, che fece stordire gli stessi angeli del Cielo”.