Sotto il Tuo Manto

Martedi, 9 settembre 2025 - San Pietro Claver Sacerdote (Letture di oggi)

«Figlia mia, ti condurrò in questo ritiro come ad un banchetto. Accanto al mio cuore misericordioso, mediterai le grazie che ti ho fatto e avrai a compagna una profonda pace. Desidero che il tuo sguardo fissi di continuo la mia volontà  e, ciò facendo, mi darai la gioia più grande. Non intraprenderai alcuna riforma di te stessa, perché già  hai messo a mia disposizione la tua vita. Nessun sacrificio vale quanto questo». (Santa Faustina Kowalska)

Liturgia delle Ore - Letture

Venerdi della 5° settimana del tempo di Avvento e Natale (Santissimo Nome di Gesù)

Per questa Liturgia delle Ore è disponibile sia la versione del tempo corrente che quella dedicata alla memoria di un Santo. Per cambiare versione, clicca su questo collegamento.
Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Matteo 17

1Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte.2E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce.3Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.4Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: "Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia".5Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo".6All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore.7Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: "Alzatevi e non temete".8Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo.

9E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: "Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti".
10Allora i discepoli gli domandarono: "Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?".11Ed egli rispose: "Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa.12Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, l'hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro".13Allora i discepoli compresero che egli parlava di Giovanni il Battista.

14Appena ritornati presso la folla, si avvicinò a Gesù un uomo15che, gettatosi in ginocchio, gli disse: "Signore, abbi pietà di mio figlio. Egli è epilettico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e spesso anche nell'acqua;16l'ho già portato dai tuoi discepoli, ma non hanno potuto guarirlo".17E Gesù rispose: "O generazione incredula e perversa! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatemelo qui".18E Gesù gli parlò minacciosamente, e il demonio uscì da lui e da quel momento il ragazzo fu guarito.
19Allora i discepoli, accostatisi a Gesù in disparte, gli chiesero: "Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?".20Ed egli rispose: "Per la vostra poca fede. In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile.21Questa razza di demòni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno".

22Mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse loro: "Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini23e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà". Ed essi furono molto rattristati.

24Venuti a Cafàrnao, si avvicinarono a Pietro gli esattori della tassa per il tempio e gli dissero: "Il vostro maestro non paga la tassa per il tempio?".25Rispose: "Sì". Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: "Che cosa ti pare, Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri?".26Rispose: "Dagli estranei". E Gesù: "Quindi i figli sono esenti.27Ma perché non si scandalizzino, va' al mare, getta l'amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d'argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te".


Genesi 19

1I due angeli arrivarono a Sòdoma sul far della sera, mentre Lot stava seduto alla porta di Sòdoma. Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra.2E disse: "Miei signori, venite in casa del vostro servo: vi passerete la notte, vi laverete i piedi e poi, domattina, per tempo, ve ne andrete per la vostra strada". Quelli risposero: "No, passeremo la notte sulla piazza".3Ma egli insistette tanto che vennero da lui ed entrarono nella sua casa. Egli preparò per loro un banchetto, fece cuocere gli azzimi e così mangiarono.4Non si erano ancora coricati, quand'ecco gli uomini della città, cioè gli abitanti di Sòdoma, si affollarono intorno alla casa, giovani e vecchi, tutto il popolo al completo.5Chiamarono Lot e gli dissero: "Dove sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Falli uscire da noi, perché possiamo abusarne!".6Lot uscì verso di loro sulla porta e, dopo aver chiuso il battente dietro di sé,7disse: "No, fratelli miei, non fate del male!8Sentite, io ho due figlie che non hanno ancora conosciuto uomo; lasciate che ve le porti fuori e fate loro quel che vi piace, purché non facciate nulla a questi uomini, perché sono entrati all'ombra del mio tetto".9Ma quelli risposero: "Tirati via! Quest'individuo è venuto qui come straniero e vuol fare il giudice! Ora faremo a te peggio che a loro!". E spingendosi violentemente contro quell'uomo, cioè contro Lot, si avvicinarono per sfondare la porta.10Allora dall'interno quegli uomini sporsero le mani, si trassero in casa Lot e chiusero il battente;11quanto agli uomini che erano alla porta della casa, essi li colpirono con un abbaglio accecante dal più piccolo al più grande, così che non riuscirono a trovare la porta.
12Quegli uomini dissero allora a Lot: "Chi hai ancora qui? Il genero, i tuoi figli, le tue figlie e quanti hai in città, falli uscire da questo luogo.13Perché noi stiamo per distruggere questo luogo: il grido innalzato contro di loro davanti al Signore è grande e il Signore ci ha mandati a distruggerli".14Lot uscì a parlare ai suoi generi, che dovevano sposare le sue figlie, e disse: "Alzatevi, uscite da questo luogo, perché il Signore sta per distruggere la città!". Ma parve ai suoi generi che egli volesse scherzare.15Quando apparve l'alba, gli angeli fecero premura a Lot, dicendo: "Su, prendi tua moglie e le tue figlie che hai qui ed esci per non essere travolto nel castigo della città".16Lot indugiava, ma quegli uomini presero per mano lui, sua moglie e le sue due figlie, per un grande atto di misericordia del Signore verso di lui; lo fecero uscire e lo condussero fuori della città.17Dopo averli condotti fuori, uno di loro disse: "Fuggi, per la tua vita. Non guardare indietro e non fermarti dentro la valle: fuggi sulle montagne, per non essere travolto!".18Ma Lot gli disse: "No, mio Signore!19Vedi, il tuo servo ha trovato grazia ai tuoi occhi e tu hai usato una grande misericordia verso di me salvandomi la vita, ma io non riuscirò a fuggire sul monte, senza che la sciagura mi raggiunga e io muoia.20Vedi questa città: è abbastanza vicina perché mi possa rifugiare là ed è piccola cosa! Lascia che io fugga lassù - non è una piccola cosa? - e così la mia vita sarà salva".21Gli rispose: "Ecco, ti ho favorito anche in questo, di non distruggere la città di cui hai parlato.22Presto, fuggi là perché io non posso far nulla, finché tu non vi sia arrivato". Perciò quella città si chiamò Zoar.
23Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Zoar,24quand'ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore.25Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo.26Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale.
27Abramo andò di buon mattino al luogo dove si era fermato davanti al Signore;28contemplò dall'alto Sòdoma e Gomorra e tutta la distesa della valle e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace.
29Così, quando Dio distrusse le città della valle, Dio si ricordò di Abramo e fece sfuggire Lot alla catastrofe, mentre distruggeva le città nelle quali Lot aveva abitato.
30Poi Lot partì da Zoar e andò ad abitare sulla montagna, insieme con le due figlie, perché temeva di restare in Zoar, e si stabilì in una caverna con le sue due figlie.31Ora la maggiore disse alla più piccola: "Il nostro padre è vecchio e non c'è nessuno in questo territorio per unirsi a noi, secondo l'uso di tutta la terra.32Vieni, facciamo bere del vino a nostro padre e poi corichiamoci con lui, così faremo sussistere una discendenza da nostro padre".33Quella notte fecero bere del vino al loro padre e la maggiore andò a coricarsi con il padre; ma egli non se ne accorse, né quando essa si coricò, né quando essa si alzò.34All'indomani la maggiore disse alla più piccola: "Ecco, ieri io mi sono coricata con nostro padre: facciamogli bere del vino anche questa notte e va' tu a coricarti con lui; così faremo sussistere una discendenza da nostro padre".35Anche quella notte fecero bere del vino al loro padre e la più piccola andò a coricarsi con lui; ma egli non se ne accorse, né quando essa si coricò, né quando essa si alzò.36Così le due figlie di Lot concepirono dal loro padre.37La maggiore partorì un figlio e lo chiamò Moab. Costui è il padre dei Moabiti che esistono fino ad oggi.38Anche la più piccola partorì un figlio e lo chiamò "Figlio del mio popolo". Costui è il padre degli Ammoniti che esistono fino ad oggi.


Salmi 38

1'Salmo. Di Davide. In memoria.'

2Signore, non castigarmi nel tuo sdegno,
non punirmi nella tua ira.
3Le tue frecce mi hanno trafitto,
su di me è scesa la tua mano.

4Per il tuo sdegno non c'è in me nulla di sano,
nulla è intatto nelle mie ossa per i miei peccati.
5Le mie iniquità hanno superato il mio capo,
come carico pesante mi hanno oppresso.

6Putride e fetide sono le mie piaghe
a causa della mia stoltezza.
7Sono curvo e accasciato,
triste mi aggiro tutto il giorno.

8Sono torturati i miei fianchi,
in me non c'è nulla di sano.
9Afflitto e sfinito all'estremo,
ruggisco per il fremito del mio cuore.
10Signore, davanti a te ogni mio desiderio
e il mio gemito a te non è nascosto.
11Palpita il mio cuore,
la forza mi abbandona,
si spegne la luce dei miei occhi.

12Amici e compagni si scostano dalle mie piaghe,
i miei vicini stanno a distanza.
13Tende lacci chi attenta alla mia vita,
trama insidie chi cerca la mia rovina.
e tutto il giorno medita inganni.

14Io, come un sordo, non ascolto
e come un muto non apro la bocca;
15sono come un uomo che non sente e non risponde.

16In te spero, Signore;
tu mi risponderai, Signore Dio mio.
17Ho detto: "Di me non godano,
contro di me non si vantino
quando il mio piede vacilla".

18Poiché io sto per cadere
e ho sempre dinanzi la mia pena.
19Ecco, confesso la mia colpa,
sono in ansia per il mio peccato.
20I miei nemici sono vivi e forti,
troppi mi odiano senza motivo,
21mi pagano il bene col male,
mi accusano perché cerco il bene.

22Non abbandonarmi, Signore,
Dio mio, da me non stare lontano;
23accorri in mio aiuto,
Signore, mia salvezza.


Salmi 57

1'Al maestro del coro. Su "Non distruggere". Di Davide.'
'Miktam. Quando fuggì da Saul nella caverna.'

2Pietà di me, pietà di me, o Dio,
in te mi rifugio;
mi rifugio all'ombra delle tue ali
finché sia passato il pericolo.
3Invocherò Dio, l'Altissimo,
Dio che mi fa il bene.

4Mandi dal cielo a salvarmi
dalla mano dei miei persecutori,
Dio mandi la sua fedeltà e la sua grazia.
5Io sono come in mezzo a leoni,
che divorano gli uomini;
i loro denti sono lance e frecce,
la loro lingua spada affilata.

6Innàlzati sopra il cielo, o Dio,
su tutta la terra la tua gloria.
7Hanno teso una rete ai miei piedi,
mi hanno piegato,
hanno scavato davanti a me una fossa
e vi sono caduti.

8Saldo è il mio cuore, o Dio,
saldo è il mio cuore.
9Voglio cantare, a te voglio inneggiare:
svègliati, mio cuore,
svègliati arpa, cetra,
voglio svegliare l'aurora.
10Ti loderò tra i popoli, Signore,
a te canterò inni tra le genti.
11perché la tua bontà è grande fino ai cieli,
e la tua fedeltà fino alle nubi.

12Innàlzati sopra il cielo, o Dio,
su tutta la terra la tua gloria.


Naum 3

1Guai alla città sanguinaria,
piena di menzogne,
colma di rapine,
che non cessa di depredare!
2Sibilo di frusta, fracasso di ruote,
scalpitio di cavalli, cigolio di carri,
3cavalieri incalzanti, lampeggiare di spade,
scintillare di lance, feriti in quantità,
cumuli di morti, cadaveri senza fine,
s'inciampa nei cadaveri.
4Per le tante seduzioni della prostituta,
della bella maliarda, della maestra d'incanti,
che faceva mercato dei popoli con le sue tresche
e delle nazioni con le sue malìe.
5Eccomi a te, oracolo del Signore degli eserciti.
Alzerò le tue vesti fin sulla faccia
e mostrerò alle genti la tua nudità,
ai regni le tue vergogne.
6Ti getterò addosso immondezze,
ti svergognerò, ti esporrò al ludibrio.
7Allora chiunque ti vedrà, fuggirà da te
e dirà: "Ninive è distrutta!". Chi la compiangerà?
Dove cercherò chi la consoli?

8Sei forse più forte di Tebe,
seduta fra i canali del Nilo,
circondata dalle acque?
Per baluardo aveva il mare
e per bastione le acque.
9L'Etiopia e l'Egitto erano la sua forza
che non aveva limiti.
Put e i Libi erano i suoi alleati.
10Eppure anch'essa fu deportata,
andò schiava in esilio.
Anche i suoi bambini furono sfracellati
ai crocicchi di tutte le strade.
Sopra i suoi nobili si gettarono le sorti
e tutti i suoi grandi furon messi in catene.
11Anche tu berrai fino alla feccia e verrai meno,
anche tu cercherai scampo dal nemico.

12Tutte le tue fortezze sono come fichi
carichi di frutti primaticci:
appena scossi, cadono i fichi
in bocca a chi li vuol mangiare.
13Ecco il tuo popolo: in te vi sono solo donne,
spalancano la porta della tua terra ai nemici,
il fuoco divora le tue sbarre.
14Attingi acqua per l'assedio, rinforza le tue difese,
pesta l'argilla, impasta mattoni, prendi la forma.
15Eppure il fuoco ti divorerà,
ti sterminerà la spada,

anche se ti moltiplicassi come le cavallette,
se diventassi numerosa come i bruchi,
16e moltiplicassi i tuoi mercenari
più che le stelle del cielo.
La locusta mette le ali e vola via!
17I tuoi prìncipi sono come le locuste,
i tuoi capi come sciami di cavallette,
che si annidano fra le siepi quand'è freddo,
ma quando spunta il sole si dileguano
e non si sa dove siano andate.

18Re d'Assur, i tuoi pastori dormono,
si riposano i tuoi eroi!
Il tuo popolo vaga sbandato per i monti
e nessuno lo raduna.
19Non c'è rimedio per la tua ferita,
incurabile è la tua piaga.
Chiunque sentirà tue notizie batterà le mani.
Perché su chi non si è riversata
senza tregua la tua crudeltà?


Apocalisse 21

1Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più.2Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.3Udii allora una voce potente che usciva dal trono:

"'Ecco la dimora' di Dio con gli uomini!
'Egli dimorerà tra di loro
ed essi saranno suo popolo
ed egli sarà il "Dio-con-loro"'.
4'E tergerà ogni lacrima dai loro occhi';
non ci sarà più la morte,
né lutto, né lamento, né affanno,
perché le cose di prima sono passate".

5E Colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose"; e soggiunse: "Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci.

6Ecco sono compiute!
Io sono l'Alfa e l'Omega,
il Principio e la Fine.
'A colui che ha sete' darò 'gratuitamente'
acqua della fonte 'della vita'.
7Chi sarà vittorioso erediterà questi beni;
'io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio'.

8Ma per i vili e gl'increduli, gli abietti e gli omicidi, gl'immorali, i fattucchieri, gli idolàtri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. È questa la seconda morte".

9Poi venne uno dei sette angeli che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli e mi parlò: "Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell'Agnello".10L'angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio.11Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino.12La città è cinta da un grande e alto muro con dodici 'porte': sopra queste porte stanno dodici angeli e 'nomi' scritti, i nomi delle dodici 'tribù dei figli d'Israele'.13'A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre porte'.14Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello.
15Colui che mi parlava aveva come misura una canna d'oro, per misurare la città, le sue porte e le sue mura.16La città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L'angelo misurò la città con la canna: misura dodici mila stadi; la lunghezza, la larghezza e l'altezza sono eguali.17Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall'angelo.18Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo.19Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo,20il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l'ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l'undecimo di giacinto, il dodicesimo di ametista.21E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta è formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente.
22Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio.23La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello.

24'Le nazioni cammineranno alla sua luce
e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza'.
25'Le' sue 'porte non si chiuderanno mai durante il giorno',
poiché non vi sarà più notte.
26'E porteranno a lei la gloria' e l'onore 'delle nazioni'.
27'Non entrerà in essa nulla d'impuro',
né chi commette abominio o falsità,
ma solo quelli che sono scritti
nel libro della vita dell'Agnello.


Capitolo XLVIII: La vita eterna e le angustie della vita presente

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1. O beata dimora della città suprema, o giorno spendente dell'eternità, che la notte non offusca; giorno perennemente irradiato dalla somma verità; giorno sempre gioioso e sereno; giorno, per sua essenza, immutabile! Volesse il cielo che tutte queste cose temporali finissero e che sopra di noi brillasse quel giorno; il quale già illumina per sempre, di splendida luce, i santi, mentre, per coloro che sono pellegrini su questa terra, esso splende soltanto da lontano e di riflesso! Ben sanno i cittadini del cielo quanto sia piena di gioia quell'età; lamentano gli esuli figli di Eva quanto, invece, sia grave e pesante l'età presente. Invero, brevi e duri, pieni di dolori e di angustie, sono i giorni di questo nostro tempo, durante i quali l'uomo è insozzato da molti peccati e irretito da molte passioni, oppresso da molte paure, schiacciato da molti affanni, distratto da molte curiosità, impicciato in molte cose vane, circondato da molti errori, atterrito da molte fatiche, appesantito dalle tentazioni, snervato dai piaceri, afflitto dal bisogno. Oh!, quando finiranno questi mali; quando mi libererò dalla miserevole schiavitù dei vizi; quando, nella mia mente avrò soltanto te, o Signore, e in te troverò tutta la mia gioia; quando godrò di libertà vera, senza alcun legame, senza alcun gravame della mente e del corpo; quando avrò pace stabile e sicura, da nulla turbata, pace interiore ed esteriore, pace non minacciata da alcuna parte? O buon Gesù, quando ti vedrò faccia a faccia; quando contemplerò la gloria del tuo regno; quando sarai il tutto per me (1Cor 15,28); quando sarò con te nel tuo regno, da te preparato dall'eternità per i tuoi diletti? Sono qui abbandonato, povero ed esule in terra nemica, ove ci sono continue lotte e immani disgrazie. Consola tu il mio esilio, lenisci il mio dolore, perché ogni mio desiderio si volge a te con sospiri. Infatti qualunque cosa il mondo mi offra come sollievo, essa mi è invece di peso. Desidero l'intimo godimento di te, ma non mi è dato di raggiungerlo; desidero star saldo alle cose celesti, ma le cose temporali e le passioni non mortificate mi tirano in basso; nello spirito, voglio pormi al di sopra di tutte le cose, ma, nella carne, sono costretto a subirle, contro mia voglia. E così, uomo infelice, combatto con me stesso e divento un peso per me stesso (Gb 7,20), ché lo spirito tende all'alto e la carne al basso.

2. Oh!, quale è l'intima mia sofferenza, quando, dentro di me, sto pensando alle cose del cielo e, mentre prego, di colpo, mi balza davanti la turba delle cose carnali. Dio mio, "non stare lontano da me" (Sal 70,12) e "non allontanarti in collera dal tuo servo" (Sal 26,9). "Lancia i tuoi fulmini", disperdi questa turba; "lancia le tue saette e saranno sconvolte le macchinazioni del nemico" (Sal 143,6). Fa' che i miei sentimenti siano concentrati in te; fa' che io dimentichi tutto ciò che appartiene al mondo; fa' che io cacci via e disprezzi le ingannevoli immagini con le quali ci appare il vizio. Vieni in mio aiuto, o eterna verità, cosicché nessuna cosa vana abbia potere di smuovermi; vieni, o celeste soavità; cosicché ogni cosa non pura fugga davanti al tuo volto. Ancora, perdonami e assolvimi, nella tua misericordia, ogni volta che, nella preghiera, vado pensando ad altro fuori che a te. In verità, confesso sinceramente di essere solitamente molto distratto; ché, ben spesso, io non sono là dove materialmente sto e seggo, ma sono invece là dove vengo portato dalla mente. Là dove è il mio pensiero, io sono; il mio pensiero solitamente è là dove sta ciò che io amo; è quello che fa piacere alla nostra natura, o ci è caro per abitudine, che mi viene d'un tratto alla mente. Per questo tu, che sei la verità, dicesti chiaramente: "dove è il tuo tesoro là è il tuo cuore" (Mt 6,21). Se amo il cielo, volentieri penso alle cose del cielo; se amo il mondo, mi rallegro delle gioie e mi rattristo delle avversità del mondo; se amo le cose carnali, di esse sovente vado. Fantasticando; se amo ciò che è spirito, trovo diletto nel pensare alle cose dello spirito. Qualunque siano le cose che io amo, di queste parlo e sento parlare volentieri; di queste riporto a casa il ricordo. Beato invece colui che, per te, o Signore, lascia andare tutto ciò che è creato, e che, facendo violenza alla natura, crocifigge i desideri della carne col fervore dello Spirito: così da poterti offrire, a coscienza tranquilla, una orazione pura; così da essere degno di prendere parte ai cori celesti, rifiutando, dentro e fuori di sé, ogni cosa terrena.


DISCORSO 223/A SULL'INIZIO DELLA GENESI, NELLA VEGLIA DI PASQUA

Discorsi - Sant'Agostino

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Per mezzo del Verbo in principio Dio creò il cielo e la terra.

1. Molte letture divine abbiamo ascoltato; non possiamo fare un discorso proporzionato alla loro lunghezza o, se mai lo potessimo, voi non lo potreste ritenere. E allora, per quanto ce lo concederà il Signore, vogliamo parlare alla vostra Carità proprio dell'inizio della Scrittura, là dove abbiamo sentito leggere che in principio Dio creò il cielo e la terra 1. Fate attenzione e pensate chi è colui che ha creato. So bene però che voi non potete comprendere colui che ha creato. Allora pensate a ciò che ha creato e lodate colui che ha creato. In principio Dio creò il cielo e la terra. Ecco, ciò che è stato creato è davanti a noi, si vede, ci piace. L'opera si vede, l'autore non si vede, ed anche il mezzo con cui si vede è visibile, mentre quello con cui si ama è nascosto. Perciò se guardiamo il mondo e amiamo Dio, è certamente migliore quello con cui amiamo che quello con cui vediamo. Vediamo con gli occhi, amiamo con il senso interiore. Per questo consideriamo il senso interiore più importante degli occhi, perché è migliore colui che amiamo da dentro che la sua opera che vediamo da fuori. Vediamo dunque, se vi piace, con quale strumento Dio operò quando creò una mole così grande. Lo strumento con cui operò fu la parola con cui comandò. C'è forse da stupirsi? È l'onnipotente che opera. Quindi se chiedi chi ha creato, è Dio che ha creato; se chiedi che cosa ha creato, ha creato il cielo e la terra se chiedi per mezzo di che cosa ha creato, ha creato per mezzo del Verbo; il Verbo però non l'ha creato. Quel Verbo per mezzo del quale è stato creato il cielo e la terra, quel Verbo non è stato creato. Se fosse stato creato, per mezzo di che cosa lo sarebbe, dato che tutto è stato fatto per mezzo di lui 2? Se tutto ciò che è stato fatto è stato fatto per mezzo del Verbo, senza dubbio non è stato fatto (il Verbo con cui tutto il resto è stato fatto). Ecco perché Mosè, servo di Dio e narratore delle sue opere, dice: In principio Dio creò il cielo e la terra. Creò nel principio il cielo e la terra. Con che cosa li creò? Per mezzo del Verbo. E il Verbo non lo creò? No, perché in principio era il Verbo 3. Quello con cui creò già esisteva, e creò quello che non esisteva. Possiamo intendere, e giustamente intendiamo, che proprio nel Verbo unigenito furono creati il cielo e la terra. Se infatti sono stati creati per mezzo di lui, sono stati creati in lui. Questo dunque può essere e così va inteso quel principio nel quale Dio creò il cielo e la terra. Questo stesso Verbo inoltre è quella sapienza di Dio riguardo alla quale vien detto: Tutto hai fatto nella sapienza 4. Se Dio tutto ha fatto nella sapienza e l'unigenito suo Figlio è indubbiamente sapienza di Dio 5, allora non possiamo dubitare che è stato fatto nel Figlio tutto ciò che sappiamo essere stato fatto per mezzo del Figlio. Per di più il Figlio è certamente principio; quando i Giudei lo interrogarono e gli chiesero: Tu chi sei? egli rispose: Il principio 6. Questo è il senso di: In principio Dio creò il cielo e la terra 7.

Il Verbo che era presso Dio si rese visibile agli uomini tramite la sua carne.

2. In quanto poi a tutte le altre cose, sia nel separarle o ordinarle, sia nell'ornarle e sia anche nel creare quelle che o in cielo o in terra non erano ancora fatte, Dio dice che esse sono. E Dio disse: Sia... e quello fu 8. Così per ciascuna creatura; egli disse e quella fu. Egli disse e furono create 9. In quale lingua disse? Lo disse per farsi sentire da qualcuno? Suvvia non cibiamoci sempre di latte! Innalzate la vostra mente con noi verso un cibo più solido. Dio non va immaginato come un corpo. Dio non va immaginato come un uomo. Dio non va immaginato come un angelo; anche se ai padri si è degnato di manifestarsi così non perché questa fosse la sua natura, ma servendosi di una sua creatura a lui soggetta; in nessun altro modo infatti colui che è l'invisibile si sarebbe potuto manifestare agli sguardi degli uomini. Vediamo qual è in noi la parte migliore e da questa tenteremo di arrivare a colui che è il migliore di ogni cosa. La parte migliore in noi è la mente; colui che è il migliore di ogni cosa è Dio. Ciò che è migliore come puoi concepirlo attraverso una cosa inferiore? In te il corpo è inferiore alla mente; tra gli esseri nulla c'è migliore di Dio. Ora sollevati a ciò che c'è di meglio in te, per arrivare, se puoi, a colui che di tutti è il migliore. Ecco, io sto parlando, e parlo a delle menti; sì, certo, anch'io, visibile nel corpo, guardo delle facce visibili; però attraverso ciò che vedo io parlo a ciò che non vedo. Io dentro di me porto il pensiero concepito nel cuore e quel che ho concepito nel cuore voglio partorirlo nelle tue orecchie; voglio comunicare a te quello che ho dentro, manifestare a te quel che è nascosto e cerco come farlo arrivare sino alla tua mente. Anzitutto mi raccolgo davanti ai tuoi orecchi, come se fossi alla porta della tua mente, e poiché invisibile è il pensiero che ho concepito con la mente e non posso condurlo fino a te, gli metto a disposizione il suono come se fosse un veicolo. Ecco, dunque, il pensiero è invisibile, il suono è percepibile; io pongo ciò che è invisibile sopra ciò che è percepibile e posso arrivare fino a chi ascolta; in questo modo il pensiero è uscito da me, è arrivato a te, ma non si è allontanato da me. Ordunque, se è lecito paragonare le cose piccole alle grandi, le più basse alle più alte, le umane alle divine, Dio ha fatto proprio così. Il Verbo era invisibile presso il Padre; per arrivare fino a noi assunse una specie di veicolo, prese la carne; arrivò fino a noi, ma non si allontanò dal Padre; perciò prima della sua incarnazione, prima dello stesso Adamo, progenitore del genere umano, prima del cielo e della terra e di tutte le cose che sono in essi, in principio era il Verbo 10, e: nel principio Dio creò il cielo e la terra 11.

Per conoscere Dio bisogna trascendere la mutevolezza dell'anima.

3. Riguardo alla terra Dio la creò che non era ancora ornata, con la sua bellezza non ancora messa a nudo. Essa era invisibile e incomposta e le tenebre ricoprivano l'abisso. Tenebre, perché la luce non esisteva; la luce infatti non era ancora stata fatta. E lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque 12, lui pure creatore, non disgiunto dal Padre e dal Verbo unigenito. Qui infatti, se badiamo attentamente, tutta la Trinità viene insinuata. Quando infatti si dice: In principio creò, come soggetto va sottintesa la oujsi;a del Padre e del Figlio. Dio Padre nel Figlio principio. Per aver tutta la Trinità, manca lo Spirito: ecco, lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque. E Dio disse 13. Disse a chi? Prima che fosse fatta la creatura, c'era chi sentisse? C'era, si dirà. Chi, di grazia? C'era il Figlio. E allora Dio disse al Figlio. Con quale verbo avrà parlato al Verbo? Se infatti era già il Figlio (e nessun cristiano ne può dubitare), egli era anche il Verbo. Il Figlio era il Verbo e il Padre diceva al Verbo. E allora tra il Padre e il Verbo intercorrevano parole? Suvvia, fratelli, liberatevi dagli impacci di un pensare carnale; pensate le cose spirituali in una maniera spirituale; non saltino avanti agli occhi della vostra mente somiglianze tratte dai corpi. Innalzati sopra tutto ciò che in te è visibile; anzi trascendi anche ciò che in te è invisibile; il corpo si vede, l'anima non si vede, però è soggetta a mutazione: ora vuole, ora non vuol più; ora sa, ora non sa più; ora si ricorda, ora si dimentica: ora va avanti, ora va indietro. Dio non è così, Dio non è simile a questa natura perché l'anima non è una porzione della sostanza di Dio. Tutto ciò che Dio è, è il bene immutabile, è il bene incorruttibile. Anche se Dio è invisibile e l'anima invisibile, tuttavia l'anima è mutabile, Dio invece immutabile. E allora trascendi non solo quello che in te si vede, ma anche quello che in te muta. Tutto trascendi, trascendi te stesso.

Dio è invisibile, ma come l'anima dell'uomo, si rivela attraverso le sue opere.

4. Un tale, innamorato della bontà invisibile, innamorato della invisibile eternità, esclama tra i sospiri e i gemiti del suo cuore: Le lacrime sono diventate mio pane giorno e notte, mentre continuamente mi chiedono: Dov'è il tuo Dio? 14. E davvero come, per uno che ama, non gli diventeranno pane i gemiti e le lacrime, sì da nutrirsene quasi col sapore di un cibo e da sfogarsi nel pianto, fintantoché non vede quel che ama e intanto continuamente gli chiedono: Dov'è il tuo Dio? Se a un pagano io chiedessi: Dov'è il tuo Dio? egli m'indicherebbe i suoi idoli. Se gli frantumassi l'idolo, mi indicherebbe un monte, m'indicherebbe un albero, m'indicherebbe una modesta pietra di fiume: per lui infatti Dio è la pietra che si è scelta fra tante, che ha messo in un luogo più onorato e davanti a cui si prostra in adorazione. Ecco, dirà indicando col dito, ecco, quello è il mio Dio. E se io mi rido di quella pietra, se la tolgo di lì, se la spezzo, se la scaglio via, se ci sputo sopra, lui drizza il dito verso il sole, verso la luna, verso una qualunque stella; una la chiama Saturno, una Mercurio, una Giove, una Venere. Come meglio crede, dovunque drizzi il dito, mi risponderà sempre: Quello là è il mio Dio. E siccome il sole lo vedo ma non posso infrangerlo, gli astri non posso tirarli giù, non posso sovvertire il cielo, egli crede di averla vinta perché può indicare cose che si vedono, drizzare il dito dove vuole e dire: Ecco, quello è il mio Dio. E si gira verso di me e dice: E il tuo Dio dov'è? Nel sentire: Dov'è il tuo Dio? io non ho qualcosa da far vedere con gli occhi, mi trovo davanti delle menti cieche che mi latrano contro e non ho nulla da mostrare (a quegli occhi che uno ha appunto per vedere). Colui che veramente avrei da mostrare egli non ha occhi per vederlo. Mi viene da piangere, mi viene da nutrirmi di lacrime come di pane. Il Dio mio infatti è invisibile. Colui che sta parlando con me e mi dice: Dov'è il tuo Dio? cerca cose che si possano vedere. Io invece, per arrivare al mio Dio, come dice il medesimo Salmo: Ho meditato su queste cose ed ho spinto al di sopra di me la mia anima 15. Il mio Dio non è al di sotto, ma al di sopra della mia anima. Come potrò arrivare a ciò che è al di sopra della mia anima se non spingo al di sopra di me la mia anima?. E tuttavia a questo presuntuoso che va in cerca di cose invisibili, che mi può indicare cose visibili, che va tronfio di cose visibili, io voglio comunque provarmi, con l'aiuto del mio Dio, di dare una risposta. Tu dunque mi chiedi: Dov'è il tuo Dio? E io ti rispondo: E tu dove sei? Sì, questa è la mia risposta, e non mi pare campata per aria. Tu mi hai chiesto dov'è il mio Dio, e io chiedo dov'è colui che m'interroga. Egli mi dirà: Ecco dove sono, mi vedi, sto parlando con te. Ma io a lui: Io cerco colui che m'interroga; la sua faccia la vedo, il suo corpo lo vedo, sento la sua voce, osservo la sua lingua; ma io cerco quello che mantiene gli occhi fissi su di me, che dà movimento alla lingua, che fa venir fuori la voce, che mi interroga per sapere. Tutto questo di cui sto parlando è l'anima. Quindi ormai non tratto più con te. Tu mi dici: Fammi vedere il tuo Dio. E io ti dico: Fammi vedere la tua anima. Tu allora ti affanni, ti scomponi, ti irrigidisci quando ti dico: Fammi vedere la tua anima. So bene che non puoi. E perché non puoi? Perché la tua anima è invisibile. E tuttavia essa in te vale ben più del tuo corpo. E il mio Dio vale ancora di più della tua anima. Come vuoi dunque che io ti possa far vedere il mio Dio, se tu non mi puoi far vedere la tua anima, di cui ti sto dimostrando che il mio Dio vale di più? Tu mi potrai dire: La mia anima la puoi riconoscere dal mio comportamento. Dal fatto che fisso gli occhi per vedere, tendo gli orecchi per sentire, muovo la lingua per parlare, tiro fuori la voce per farmi sentire, da questo puoi capire e conoscere la mia anima. Vedi dunque che tu non me la puoi far vedere, ma pretendi che io la riconosca dall'operare? E allora anche io dall'operare ti posso mostrare il mio Dio. Non vado oltre; non voglio impegnare la tua mancanza di fede in cose che non puoi capire. Non voglio citarti le opere del mio Dio dicendo: Ha fatto le cose invisibili, ha fatto le cose visibili, ossia il cielo, la terra, il mare e quanto essi contengono 16. Non ti mando di qua o di là, ma ritorno alla tua persona. Tu sei vivo: hai il corpo e hai l'anima; il corpo è visibile, l'anima invisibile; il corpo è l'abitacolo, l'anima l'abitante; il corpo è il veicolo, l'anima colei che usa questo veicolo; il corpo come un veicolo che va guidato, l'anima come l'auriga del tuo corpo. Ecco, i tuoi sensi sono come le parti del tuo corpo, attraverso cui viene annunziato qualcosa all'anima che vi abita dentro: gli occhi, gli orecchi, l'odorato il gusto, il tatto, le membra così disposte. Che dire di quel che è dentro per cui tu pensi, per cui dài vita a tutte queste cose? Ecco, colui che ha fatto tutte queste cose che ammiri dentro di te, questi è il mio Dio.

Esegesi di: Io sono colui che è.

5. Però, fratelli miei, se in qualche modo, con questo dialogo presentato così son riuscito ad arrivare alle vostre menti, al vostro uomo interiore, se così parlando sono arrivato a quelle che vi abitano dentro in vasi di creta 17, cioè alle vostre anime che abitano nei vostri corpi, non andate a figurarvi le cose di Dio sulla misura di quello che conoscete. Dio è al di sopra di tutto, del cielo e della terra. Non vi mettete davanti agli occhi una specie di gran fabbro che compone, dispone, congegna, tornisce, rivolta; o magari anche una specie di gran monarca assiso su un trono regale splendente e ornato che crea a comando. Spezzate gli idoli dentro i vostri cuori. Riflettete su quello che fu detto a Mosè quand'egli chiese il nome di Dio: Io sono colui che è 18. Qualunque cosa è, paragonata a lui, non è. Non può in nessun modo mutare colui che veramente è. Tutto ciò che muta e fluttua e che non mai cessa di cambiare ha il fu e il sarà, ma in esso non concepire l'è. Dio infatti non ha il fu e il sarà. Quello che fu ormai non è più quello che invece sarà non è ancora; e quel che si avvicina solo per passare, si dice che sarà, ma non è. Pensate, se potete: Io sono colui che è. Non tentennate con fantasie, non passate da pensiero a pensiero distraente e temporale. Fissatevi su questo è, state fermi sull'è. Dove andate? State sull'è, affinché anche voi possiate essere. Ma quando potremo noi tener fermo il pensiero che vola per sua natura? Quando potremo fissarlo su qual cosa di stabile? Quando lo potremo? E allora Dio ha avuto compassione. Lui che è, lui che disse: Così dirai ai figli d'Israele: Colui che è mi ha mandato a voi, dopo aver detto il nome della sua essenza, subito aggiunse il nome della sua misericordia. Qual è il nome della sua essenza? Io sono colui che è. Dirai ai figli d'Israele: Colui che è mi ha mandato a voi 19. Però Mosè era anche lui un uomo; si trovava in mezzo a cose che, a confronto con Dio, non sono; era sulla terra, era nella carne; e nella stessa carne era anima, era una natura mutevole, con il fardello della fragilità umana. Anche quello che gli era stato detto: Io sono colui che è, come poteva capirlo? Infatti attraverso cose che poteva vedere con gli occhi gli parlava colui che non poteva esser visto e, di ciò che si vedeva, Dio invisibile se ne serviva come di uno strumento. Perciò non quello che Mosè vedeva questo era tutto Dio; come neanche il suono che esce da me, che sono un uomo, quello è tutta la mia parola. Io ho nel cuore una parola che non ha suono: il suono passa, quella parola rimane. E così avendo Dio parlato all'uomo, essendosi degnato l'invisibile di manifestarsi attraverso sembianze visibili, l'eterno attraverso cose temporali, l'immutabile attraverso cose transitorie, dopo aver detto: Io sono colui che è, e: Dirai ai figli d'Israele: Colui che è mi ha mandato a voi, (siccome Mosè non era in grado di capire il significato di: Io sono colui che è, e di: Colui che è mi ha mandato a voi, o anche, se lo poteva capir lui, non l'avremmo potuto capir noi che pur dobbiamo leggere queste cose), per questa ragione, dopo il nome della sua essenza, subito aggiunse il nome della misericordia. È come se avesse detto a Mosè: Ho detto: Io sono colui che è, ma tu non lo puoi capire, il tuo cuore non è fermo, non sei immutabile come me, la tua mente non è incommutabile. Hai sentito che cosa sono; senti ora una cosa che puoi capire, senti una cosa che puoi sperare. Dio disse di nuovo a Mosè: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe 20. Non puoi capire il nome della mia essenza, capire il nome della mia misericordia. Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. Però quel che io sono è eterno; Abramo, Isacco e Giacobbe anch'essi eterni; o meglio non eterni, ma da lui resi eterni. È proprio con questo argomento che il Signore stesso mise a tacere i Sadducei calunniatori; siccome essi negavano la risurrezione, trasse da questo passo l'argomento della sacra Scrittura: Leggete quel che il Signore disse a Mosè nel roveto: Io sono il Dio di Abramo, il Dio d'Isacco, il Dio di Giacobbe. Non è il Dio dei morti, ma dei vivi, perché tutti costoro sono vivi 21. Per questo motivo quando disse: Io sono colui che è, non aggiunse: Questo è il mio nome in eterno; perché nessuno può dubitare che ciò che è, in tanto è in quanto è eterno. Invece dopo aver detto: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, lì subito aggiunse: Questo è il mio nome in eterno 22; quasi a voler dire: Non aver paura per il fatto che il genere umano è mortale non ti preoccupare che una volta morto, tu non sia più. Questo è il mio nome in eterno. Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe non sarebbe un nome eterno se Abramo, Isacco e Giacobbe non vivessero in eterno.

Rivolti al Signore e Preghiera.

La forza della sua misericordia confermi il nostro cuore nella sua verità, confermi e acqueti le nostre anime; la sua grazia abbondi sopra di noi e di noi abbia pietà, e tolga via gli scandali di mezzo a noi e dalla sua Chiesa e da tutti i nostri carissimi fratelli. E con la sua potenza e l'abbondanza della sua misericordia su di noi ci conceda di piacergli in eterno. Per Gesù Cristo, Figlio suo e Signore nostro, che vive e regna con lui e con lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

 


1 - Gn 1, 1.

2 - Gv 1, 3.

3 - Gv 1, 1.

4 - Sal 103, 24.

5 - Cf. 1 Cor 1, 24.

6 - Gv 8, 25.

7 - Gn 1, 1.

8 - Cf. Gn 1, 1 s.

9 - Sal 32, 9; 148, 5.

10 - Gv 1, 1.

11 - Gn 1, 1.

12 - Gn 1, 2.

13 - Gn 1, 2-3.

14 - Sal 41, 4.

15 - Sal 41, 5.

16 - Sal 145, 6.

17 - Gb 4, 19.

18 - Es 3, 14.

19 - Es 3, 14.

20 - Es 3, 6. 15.

21 - Lc 20, 37-38; Mt 22, 31-32; Mc 12, 26-27.

22 - Es 3, 15.


6. Ricorso al sommo Pontefice Leone XIII (1887)

Storia di un'anima - Santa Teresa di Lisieux

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Assieme al padre e a Celina, in pellegrinaggio a Roma - N. Signora delle Vittorie a Parigi - Attraverso la Svizzera - A Milano, Venezia, Padova e Bologna - Presso la santa Casa di Loreto - Arrivo a Roma e principali visite - Ai piedi del Santo Padre - Amarezza e fiducia - Pompei e Napoli -Sulla via del ritorno Assisi, Firenze, Genova - Lettera al Vescovo diocesano - Tre mesi d'attesa.

156 - Tre giorni dopo il viaggio di Bayeux, dovetti farne uno molto più lungo, quello alla Città Eterna! Ah, che viaggio! Mi ha istruita di più da solo, che non i lunghi anni di studio; mi ha mostrato come sia vano tutto ciò che passa, e come tutto sia afflizione di spirito sotto il sole! Eppure, ho visto delle cose bellissime, ho contemplato le meraviglie dell'arte e della religione, soprattutto ho camminato sulla terra stessa dei santi Apostoli, la terra pervasa dal sangue dei martiri, e l'anima mia si è dilatata a contatto con le cose sacre... Sono felice d'essere stata a Roma, ma capisco le persone di mondo le quali pensarono che Papà mi facesse fare questo grande viaggio per cambiare le mie idee di vita religiosa; c'era, in realtà, di che scuotere una vocazione poco solida. Non avendo mai vissuto in mezzo a gente di gran mondo, Celina ed io ci trovammo in mezzo all'aristocrazia che componeva quasi da sola tutto lo stuolo dei pellegrini. Ben lungi dall'abbagliarci, tutti quei titoli e quei «de» ci parvero fumo e soltanto fumo. Da lontano mi avevano gettato, qualche volta, un po' di polvere negli occhi, ma da vicino vidi che «tutto ciò che brilla non è oro», e ho capito la parola della Imitazione: «Non correte dietro a quell'ombra che si chiama un gran nome, non desiderate legami numerosi, e nemmeno la particolare amicizia di alcuno». Capii che la grandezza vera si trova nell'anima e non nel nome, poiché, come dice Isaia: «il Signore darà un altro nome ai suoi eletti», ed anche san Giovanni dice che «il vincitore riceverà una pietra bianca sulla quale è scritto un nome nuovo che nessuno conosce, se non colui che lo riceve». Li sapremo dunque in Cielo, i nostri titoli di nobiltà. Allora ognuno riceverà la lode che merita, e colui che avrà voluto essere il più povero in terra, il più dimenticato per amor di Gesù, proprio lui sarà il primo, più nobile e più ricco di tutti gli altri.

157 - Un’altra esperienza che feci riguarda i sacerdoti. Non avendo vissuto nella loro intimità, non potevo capire lo scopo principale della riforma del Carmelo. Pregare per i peccatori mi rapiva, ma pregare per le anime dei preti che io credevo pure più del cristallo, mi pareva sorprendente! Ah! ho capito la mia vocazione in Italia e non è stato andar troppo lontano per una conoscenza tanto utile! Per un mese ho vissuto con molti santi sacerdoti e ho visto che, se la loro dignità sublime li innalza al di sopra degli angeli, essi sono tuttavia uomini deboli e fragili Se dei santi preti che Gesù chiama nel Vangelo «il sale della terra» mostrano nella loro condotta che hanno un grande bisogno di preghiere, che dobbiamo dire dei tiepidi? Gesù non ha detto anche: «se il sale diviene scipito, con che cosa lo rafforzeremo?». Oh, Madre! Com'è bella la vocazione che ha per scopo di conservare il sale destinato alle anime! È la vocazione del Carmelo, poiché il fine unico delle nostre preghiere e dei nostri sacrifici è d'essere apostoli degli apostoli, pregando per essi mentre evangelizzano le anime con le parole e soprattutto con gli esempi... Bisogna che mi fermi, se continuassi su questo argomento non finirei più!

158 - Madre mia, le racconterò il mio viaggio con vari particolari: le chiedo scusa se ne dirò troppi, non rifletto prima di scrivere, e lo faccio in tante volte diverse, a causa del mio poco tempo libero, che il mio racconto le parrà forse noioso. Mi consola pensare che in Cielo le riparlerò delle grazie che ho ricevute, e che potrò farlo, allora, in termini gradevoli e attraenti... Più niente interromperà i nostri intimi sfoghi e con uno sguardo solo lei avrà capito tutto. Ahimè! poiché debbo usare ancora il linguaggio della terra triste, cercherò di farlo con la semplicità di una bambina piccola, la quale conosce l'amore della mamma! Sette novembre: i pellegrini partirono da Parigi, ma Papà ci aveva condotte li qualche giorno prima per farci visitare la città. Una mattina alle tre attraversai Lisieux ancora addormentata; molte impressioni mi passarono nell'anima. Andavo verso l'ignoto e grandi cose mi attendevano là... Papà era gaio; quando il treno si mise in moto, egli cantò un vecchio ritornello: «Roule, roule, ma diligence, nous voili sur le grand chemin». Arrivati a Parigi nella mattinata, cominciammo subito a visitarla. Il Babbo nostro caro si stancò per farci piacere, e così in quattro e quattr'otto avemmo visto tutte le meraviglie della capitale. Per me ne trovai una sola che mi rapisse, e fu «Nostra Signora delle Vittorie». Ah, quello che ho provato ai piedi di lei, non lo saprei dire... Le grazie che mi concedette mi commossero tanto profondamente che soltanto le lacrime espressero la mia felicità, come nel giorno della prima Comunione... La Santa Vergine mi fece sentire che era stata proprio lei a sorridermi e guarirmi. Ho capito che vegliava su me, che ero sua figlia, e così potevo chiamarla soltanto «Mamma», perché questo nome mi pareva ancor più tenero che quello di «Madre». Con quanto fervore l'ho pregata di custodirmi sempre e di attuare presto il mio sogno nascondendomi all'ombra del suo manto verginale! Era questo uno dei primi desideri di bambina. Crescendo, avevo capito che nel Carmelo avrei potuto trovare davvero il mantello della Santa Vergine, e verso quella montagna fertile tendevano tutti i miei desideri. Supplicai ancora Nostra Signora delle Vittorie di allontanare da me tutto ciò che avrebbe potuto offuscare la mia purezza; non ignoravo che in un viaggio come quello d'Italia ci sarebbero state molte cose atte a turbarmi; soprattutto perché non conoscevo il male temevo di scoprirlo, non avendo ancora sperimentato che «tutto è puro per i puri», e che l'anima semplice e dritta non vede male in nulla, poiché in realtà il male esiste soltanto nei cuori impuri e non negli oggetti insensibili. Pregai anche san Giuseppe affinché vegliasse su me; fin da quando ero bimba avevo avuto per lui una devozione che si confondeva col mio amore per la Madonna. Ogni giorno dicevo la preghiera: «O san Giuseppe, padre e protettore dei vergini»; così intrapresi senza timore il mio viaggio lontano, ero protetta così bene che mi pareva impossibile aver paura.

159 - Dopo esserci consacrate al Sacro Cuore nella basilica di Montmartre, partimmo da Parigi il lunedì 7 di mattina li, ben presto avevamo fatto conoscenza con le persone del pellegrinaggio. Io così timida che generalmente osavo appena parlare, mi trovai completamente svincolata da quel difetto imbarazzante; con mia grande sorpresa parlavo liberamente con tutte le grandi signore, i sacerdoti e perfino con Monsignor Vescovo di Coutances. Mi pareva di aver vissuto sempre in quell'ambiente. Eravamo, credo, benvolute da tutti, e Papà sembrava orgoglioso delle sue due figlie; ma se lui era fiero di noi, noi lo eravamo egualmente di lui, perché non c'era in tutto il pellegrinaggio un signore più bello né più distinto del mio caro Re; a lui piaceva vedersi vicine Celina e me: spesso quando non eravamo in carrozza, e che io mi allontanavo da lui, mi chiamava perché io gli dessi il braccio come a Lisieux... Mons. Révérony teneva d'occhio accuratamente tutti i nostri atti, vedevo spesso che ci guardava da lontano; a tavola, quando non ero di faccia a lui, trovava modo di chinarsi per vedermi e ascoltare ciò che dicevo. Senza dubbio voleva conoscermi per sapere se veramente ero capace di essere carmelitana: penso che sia rimasto soddisfatto del suo esame, perché alla fine del viaggio parve molto ben disposto verso me, ma a Roma non mi fu affatto favorevole, come dirò fra breve.

160 - Prima di arrivare alla «Città Eterna», meta del nostro pellegrinaggio, ci fu concesso di contemplare grandi meraviglie. Dapprima la Svizzera, con le sue vette che si perdono tra le nubi, con le cascate gentili zampillanti in mille modi diversi, le valli profonde colme di felci giganti e di eriche rosa. Ah, Madre mia cara, queste bellezze della natura profuse così largamente, hanno fatto tanto bene all'anima mia! Come l'hanno innalzata verso Colui che si è compiaciuto di gettare tanti capolavori sopra una terra d'esilio destinata a durare un giorno solo! Non avevo occhi bastanti per guardare. In piedi, allo sportello, rimanevo quasi senza respiro; avrei voluto essere ai due lati del vagone perché, voltandomi, vedevo paesaggi incantevoli e affatto diversi da quelli che si stendevano dinanzi a me. Talvolta ci trovavamo in vetta a una montagna, ai nostri piedi si aprivano precipizi dei quali lo sguardo non toccava il fondo: parevano pronti a inghiottirci; in alto un villaggio incantevole con le sue casupole montanine e il campanile sul quale ondulavano mollemente pochi cirri bianco-lucenti. Lontano, un lago vasto, dorato dagli ultimi raggi; le acque pure e quiete si coloravano di azzurro e dei fuochi del tramonto, e presentavano ai nostri sguardi attoniti lo spettacolo più poetico e più affascinante che si possa vedere. In fondo all'orizzonte vasto si scorgevano le montagne, le cui linee incerte sarebbero sfuggite ai nostri occhi se le cime nevose orlate di luce non avessero aggiunto un fascino di più al bel lago che ci rapiva...

161 - Guardando tutte queste bellezze, mi nascevano nell'anima pensieri profondi. Mi pareva di capire già la grandezza di Dio e le meraviglie del Cielo. La vita religiosa mi appariva tal quale è con i suoi obblighi e i suoi sacrifici minuti consumati nell'ombra. Capivo quanto fosse facile ripiegarsi sopra se stessi, dimenticare il fine sublime della propria vocazione, e mi dicevo: più tardi, nell'ora della prova, quando, prigioniera nel Carmelo, non potrò contemplare altro che un angolo di stelle, ricorderò ciò che vedo oggi: questo pensiero mi darà coraggio, dimenticherò facilmente i poveri miei interessi vedendo la grandezza e la potenza del Dio che intendo amare unicamente. Non avrò la disgrazia di attaccarmi a delle pagliuzze, dopo che «il mio cuore ha presentito ciò che Gesù riserva a coloro che l'amano!».

162 - Dopo avere ammirato la potenza di Dio, potei anche ammirare quella che ha concessa alle creature. La prima città d'Italia che visitammo fu Milano. Visitammo fino nei minimi particolari il Duomo tutto di marmo bianco, col suo popolo di statue quasi innumerevoli. Celina ed io eravamo intrepide, le prime sempre, e immediatamente al seguito di Monsignor Vescovo, per vedere tutto in fatto di reliquie, e udir bene le spiegazioni: così, mentre egli offriva il Santo Sacrificio sulla tomba di san Carlo, noi con Papà eravamo dietro l'altare, appoggiavamo la testa all'urna che racchiude il corpo del Santo rivestito degli abiti pontificali. Così accadeva dappertutto (eccezion fatta, s'intende, per i luoghi ove la dignità del Vescovo non permetteva a lui di arrampicarsi, perché allora sapevamo staccarci subito da «Sa Grandeur»). Lasciando le signore timide a coprirsi volto ed occhi dopo aver scalato le prime torrette campanarie che fanno corona alla cattedrale, seguimmo i pellegrini più arditi ed arrivammo fino alla punta dell'ultimo campanile di marmo, dal quale avemmo il piacere di vedere ai nostri piedi la città di Milano: la gente laggiù somigliava a un minuscolo formicaio. Discese dal nostro piedistallo, cominciammo le passeggiate in carrozza che dovevano durare un mese e saziarmi per sempre del mio desiderio di correre senza fatica!

163 - Il camposanto ci rapì ancor più che la cattedrale, tutte le statue di marmo bianco alle quali un cesello del genio sembra aver dato vita, sono sparse sulla terra ampia dei morti con una certa negligenza, ciò che, secondo me, aumenta il loro fascino. Si è tentati di consolare i personaggi ideali i quali ci stanno intorno. La loro espressione è così vera, il loro dolore così calmo e rassegnato, che non si può fare a meno di riconoscere i pensieri immortali dai quali erano mossi i cuori degli artisti quando eseguirono questi capolavori. Qui una bambina getta fiori sulla tomba dei genitori, par che il marmo abbia perduto qualsiasi peso, e i petali lievi scivolano tra le dita infantili, già il vento li disperde, e muove anche il velo sottile delle vedove, e i nastri che ornano i capelli delle fanciulle. Papà era rapito quanto noi; in Svizzera si era sentito stanco, ma ora, ridivenuto gaio, godeva la visione bella che ci era concesso contemplare; la sua anima di artista si rivelava nelle espressioni di fede e di ammirazione che passavano sul suo bel volto.

164 - Un vecchio signore (francese), il quale senza dubbio non aveva animo altrettanto poetico, ci guardava un po' di sbieco e diceva con un certo cattivo umore, quasi gli dispiacesse di non poter partecipare alla nostra ammirazione: «Ah, come sono entusiasti i francesi!». Credo che quel povero signore avrebbe fatto meglio se fosse rimasto a casa sua, perché non pareva soddisfatto del viaggio, spesso era vicino a noi, e si lamentava, era scontento delle vetture, degli alberghi, delle persone, delle città, insomma, di tutto. Papà con la sua solita grandezza d'animo cercava di consolarlo, gli offriva il suo posto, ecc., lui si trovava bene sempre e dovunque, poiché era di un carattere nettamente opposto a quello del suo scomodo vicino. Ah, quante ne abbiamo viste di genti varie, gli uni diversi dagli altri, e quale campo di studio interessante il mondo, quando si è prossimi a lasciarlo!

165 - A Venezia, completo cambiamento di scena: invece del chiasso delle città grandi, emergono dal silenzio soltanto il grido dei gondolieri e il murmure delle acque agitate dai remi. Venezia ha il suo fascino, ma io la trovo triste. Il palazzo dei dogi è splendido, tuttavia è triste anch'esso, con i suoi appartamenti vasti che sfoggiano oro, legni, marmi tra i più preziosi, e le pitture dei maestri più grandi. Da lungo tempo le sue volte sonore non echeggiano più della voce dei governatori che pronunciava sentenze di vita e di morte nelle sale che abbiamo attraversate. Hanno cessato di soffrire i prigionieri sventurati chiusi dai dogi nelle carceri e nei nascondigli sotterranei. Visitando quelle prigioni paurose, mi credevo ai tempi dei martiri, e avrei voluto poterci rimanere per imitarli! Bisognò invece uscire prontamente, e passare sul «Ponte dei sospiri», chiamato così a causa dei sospiri di sollievo che emettevano i condannati vedendosi liberati dall'orrore dei sotterranei ai quali preferivano la morte...

166 - Dopo Venezia andammo a Padova, venerammo la lingua di sant'Antonio, poi a Bologna, e vedemmo santa Caterina che conserva l'impronta del bacio di Gesù Bambino. Quanti particolari interessanti potrei dare su ciascuna città e riguardo a mille circostanze minute del nostro viaggio! Ma non finirei più, e perciò scriverò soltanto i punti salienti. Con gioia lasciai Bologna, la quale mi era diventata insopportabile a causa degli studenti di cui è piena e che formavano siepe quando avevamo la sventura di uscire a piedi; e a causa soprattutto del piccolo incidente avuto con uno di essi, fui felice di prendere la via di Loreto. Non sono sorpresa che la Vergine Santa abbia scelto quel luogo per trapiantarvi la sua casa benedetta; la pace, la gioia, la povertà vi regnano sovrane; tutto è semplice e primitivo, le donne hanno conservato il loro garbato costume italiano e non hanno, come quelle di altre città, adottato la moda di Parigi; insomma, Loreto mi rapì!

167 - Che dirò della santa Casa? La mia emozione era profonda mentre mi trovavo sotto il tetto medesimo della sacra Famiglia, contemplando i muri sui quali Gesù aveva posati i suoi sguardi divini, mentre camminavo sulla terra che san Giuseppe aveva bagnato col suo sudore, ove Maria aveva portato Gesù tra le braccia dopo averlo portato nel suo seno virginale. Ho visto la cameretta ove l'angelo discese presso la Vergine Santa... Ho deposto il mio rosario nella scodella di Gesù Bambino... Come sono incantevoli questi ricordi! Ma la nostra consolazione più grande fu ricevere Gesù stesso nella sua casa ed essere il tempio vivo di lui nel luogo che egli aveva onorato con la sua presenza. Secondo un'usanza italiana, il ciborio si conserva in ciascuna chiesa sopra un altare solo, e li soltanto si può ricevere la Comunione; quell'altare era nella basilica stessa ove si trova la santa Casa, racchiusa come un diamante prezioso in uno scrigno di marmo bianco. Ciò non bastò per la nostra felicità. Noi volevamo ricevere la Comunione nel diamante stesso e non già nello scrigno.. Papà, con la sua consueta dolcezza fece come gli altri, ma Celina e io andammo a trovare un sacerdote che ci accompagnava dovunque e che proprio allora si preparava a celebrare la Messa nella Santa Casa, per un privilegio speciale. Chiese due piccole ostie che depose sulla patena con la sua grande ostia, e lei capisce, Madre mia cara, quale fu il nostro rapimento di far tutte e due la santa Comunione in quella Casa benedetta! Fu una felicità celestiale che le parole non possono tradurre. Che sarà dunque quando riceveremo la Comunione nella dimora eterna del Re dei Cieli? Allora non vedremo più finire la gioia nostra, non ci sarà più la tristezza della partenza, e per portare via un ricordo non sarà necessario grattare furtivamente i muri santificati dalla presenza divina, poiché la casa sua sarà nostra per l'eternità. Egli non vuole darci la casa terrena, si contenta di mostrarcela per farci amare la povertà e la vita nascosta; quella che ci riserva è il suo Palazzo di gloria ove non lo vedremo più nascosto sotto l'apparenza di un bambino o di una ostia bianca, ma tale quale è, nel suo splendore infinito.

168 - Ora mi resta da parlare di Roma, di Roma meta del nostro viaggio, dove credevo d'incontrare la consolazione, e trovai la croce! Al nostro arrivo era notte, ed eravamo addormentate, ci risvegliò il grido degli addetti alla stazione: «Roma, Roma». Non era un sogno, ero a Roma! Il primo giorno trascorse fuori dalle mura, e forse fu il più delizioso, perché tutti i monumenti hanno conservato la loro impronta antica, mentre nel centro della città ci si potrebbe credere a Parigi vedendo la magnificenza degli alberghi e dei negozi. Quella passeggiata nella campagna romana mi ha lasciato un ricordo carissimo. Non parlerò dei luoghi che abbiamo visitati, esistono abbastanza libri che li descrivono per esteso, ma soltanto delle principali impressioni che provai. Una delle più dolci fu quella che mi fece trasalire alla vista del Colosseo. La vedevo finalmente quell'arena ove tanti martiri avevano dato il sangue per Gesù; e già mi disponevo a baciar la terra che essi avevano consacrata, ma quale delusione! Il centro è soltanto un ammasso di ruderi che i pellegrini possono guardare e basta, perché uno sbarramento impedisce di penetrarvi, del resto nessuno prova la tentazione di entrare in mezzo a quelle rovine. Eravamo dunque venute a Roma per non discendere nel Colosseo? Mi pareva impossibile, non ascoltavo più le spiegazioni della guida, avevo un pensiero solo: calarmi nell'arena... Vedendo un operaio che passava con una scala, fui li li per chiedergliela, fortunatamente non misi in atto la mia idea perché mi avrebbe presa per pazza. E detto nel Vangelo che Maddalena, rimanendo sempre vicina alla tomba, e abbassandosi più volte, finì per vedere due angeli. Come lei, pur avendo riconosciuto l'impossibilità di attuare i miei desideri, continuai ad abbassarmi verso le rovine tra le quali volevo discendere; finalmente, non vidi angeli, ma quello che cercavo, gettai un grido di gioia, e dissi a Celina: «Svelta, andiamo, ce la facciamo a passare!». Subito scavalcammo la staccionata che in quel punto toccava i ruderi, ed eccoci a scalar le rovine che si sgretolavano sotto i nostri passi. Papà ci guardava meravigliato per la nostra audacia, e ci disse di tornare indietro, ma le due fuggitive non udivano più nulla; come i guerrieri sentono crescere il coraggio in mezzo al pericolo, così la nostra gioia ingrandiva in proporzione alla difficoltà per raggiungere l'oggetto dei nostri desideri. Celina, più previdente di me, aveva ascoltato il acerone e ricordandosi che egli aveva segnalato un pezzo di pavimento segnato da una croce come quello su cui combattevano i martiri, si mise a cercarlo; lo trovò ben presto, c'inginocchiammo su quella terra sacra, le nostre anime si fusero in un'unica preghiera. Mi batteva forte il cuore quando avvicinai le labbra alla polvere arrossata dal sangue dei primi cristiani, chiesi la grazia d'essere martire anch'io per Gesù, e sentii in fondo al cuore che la mia preghiera era esaudita. Tutto questo fu compiuto in brevissimo tempo; dopo aver preso qualche pietra, ritornammo verso le mura in rovina per ricominciare la nostra impresa rischiosa. Papà vedendoci così felici non poté rimproverarci, e vidi bene che era orgoglioso del nostro ardimento... Il buon Dio ci protesse visibilmente, perché i pellegrini, essendo un po' distanti, non si accorsero della nostra assenza, occupati com'erano a guardare le arcate magnifiche sulle quali la guida faceva notare «i graziosi cornichons e i cupides posati su di essi»; in tal modo né lui né «messieurs les abbés» conobbero la gioia che ci empiva il cuore.

169 - Anche le catacombe mi hanno lasciato una impressione molto dolce: sono tali quali me le ero figurate leggendone la descrizione nella vita dei martiri. Dopo aver passato là una parte del pomeriggio, mi sembrava di esserci soltanto da qualche attimo, tanto mi appariva profumata l'atmosfera che vi si respira. Bisognava bene portare a casa qualche ricordo delle catacombe, così Celina e Teresa lasciarono che la processione si allontanasse un poco, e poi si calarono insieme fino in fondo all'antica tomba di santa Cecilia, e presero della terra consacrata dalla presenza di lei. Prima del viaggio a Roma, non avevo alcuna devozione particolare per quella Santa, ma, visitando la casa trasformata in chiesa, luogo del suo martirio, e venendo a sapere che ella è stata proclamata regina dell'armonia non già a causa della sua bella voce né del suo ingegno per la musica, bensì in memoria del canto verginale ch'ella fece udire allo Sposo celeste nascosto in fondo al suo cuore, sentii per lei più che una devozione: una vera tenerezza d'amica... Ella divenne la mia Santa prediletta, la mia confidente intima... Tutto in lei mi rapisce, soprattutto il suo abbandono, la sua fiducia illimitata che l'hanno resa atta a verginizzare anime, le quali non avevano mai desiderato altre gioie se non quelle della vita presente. Santa Cecilia è simile alla sposa dei cantici, in lei vedo «un coro in un campo d'eserciti». La sua vita non è stata se non un canto armonioso in mezzo anche alle prove più grandi, e ciò non mi stupisce, perché «Il santo Vangelo riposava sul suo cuore!», e nel suo cuore era lo Sposo delle Vergini.

170 - La visita alla chiesa di Sant'Agnese mi fu di grande dolcezza, era un'amica d'infanzia che andavo a trovare nella sua casa, le parlai lungamente di colei che porta così bene il suo nome, e feci tutti i miei sforzi per ottenere una reliquia di quest'angelica Patrona della mia Madre carissima, avrei voluto portarla a lei, ma non ci fu possibile avere altro che una pietruzza rossa staccatasi da un ricco mosaico la cui origine risale al tempo di sant'Agnese e che lei stessa dovette guardare spesso. Non era incantevole che l'amabile Santa ci desse ella stessa ciò che cercavamo e che ci era proibito di prendere? L'ho considerato sempre come un pensiero delicato e una prova di quell'amore col quale la dolce sant'Agnese considera e protegge la Madre mia carissima!

171 - Trascorremmo sei giorni visitando le principali meraviglie di Roma, e il settimo giorno vidi la più grande: «Leone XIII». Quel giorno lo desideravo e lo temevo, da esso sarebbe dipesa la mia vocazione, perché la risposta che dovevo ricevere da Monsignore non era arrivata, e io avevo saputo da una lettera sua, Madre, che egli non era più molto ben disposto verso di me, così l'unica tavola di salvezza era il permesso del Santo Padre... ma per ottenerlo occorreva chiederlo, bisognava osare di parlare «al Papa» davanti a tutti, questo pensiero mi faceva tremare; quel che ho sofferto prima dell'udienza, lo sa soltanto il buon Dio, con la mia cara Celina. Mai dimenticherò la parte che ella prese a tutte le mie prove, pareva che la vocazione mia fosse sua. (Il nostro affetto reciproco veniva notato dai sacerdoti del pellegrinaggio: una sera eravamo in un gruppo tanto numeroso che le sedie mancavano, allora Celina mi prese sulle ginocchia e ci guardavamo con tanto affetto, che un sacerdote esclamò: «Come si vogliono bene! Ah, queste due sorelle non potranno separarsi mai!». Sì, è vero, ci amavamo, ma il nostro affetto era tanto puro e forte, che il pensiero di separarci non ci turbava affatto, perché sentivamo che niente, nemmeno l'oceano, avrebbe potuto allontanarci l'una dall'altra... Serenamente Celina vedeva la mia navicella che gettava l'ancora sulla riva del Carmelo; lei si rassegnava a restare nel mare burrascoso del mondo per quanto tempo Dio lo volesse, sicura di arrivare anche lei alla sponda ambita...).

172 - Domenica 20 novembre ci vestimmo secondo il cerimoniale del Vaticano (di nero, con un velo di merletto in testa) e decorate da una grande medaglia di Leone XIII attaccata a un nastro azzurro e bianco, facemmo il nostro ingresso in Vaticano, nella cappella del Sommo Pontefice. Alle otto lo vedemmo entrare per celebrare la santa Messa: fu un'emozione profonda. Benedisse i pellegrini numerosi riuniti intorno a lui, salì gli scalini dell'altare, e ci mostrò, con la sua pietà degna del Vicario di Gesù, che era veramente «il Santo Padre». ll cuore mi batteva forte, e pregavo ardentemente mentre Gesù discendeva tra le mani del suo Pontefice; comunque, ero piena di fiducia, il Vangelo di quel giorno portava le parole splendide: «Non temere, piccolo gregge, perché è piaciuto al Padre mio di darti il suo regno». E io non temevo nulla, speravo che il regno del Carmelo mi appartenesse presto, non pensavo allora a quelle altre parole di Gesù: «Vi preparo il mio regno come il Padre mio l'ha preparato a me»; cioè, vi riservo croci e prove, e in tal modo sarete degni di possedere il regno che sospirate; poiché è stato necessario che il Cristo soffrisse, ed entrasse così nella gloria, se desiderate aver posto accanto a lui, bevete il calice che egli stesso ha bevuto! Questo calice mi fu presentato dal Santo Padre, e le lacrime mie si confusero con la bevanda amara che mi veniva offerta.

173 - Dopo la Messa di ringraziamento che fece seguito a quella di Sua Santità, ebbe inizio l'udienza. Leone XIII era assiso sopra una grande poltrona, vestito semplicemente con una tonaca bianca, una mantellina dello stesso colore, e aveva sulla testa uno zucchetto. Intorno a lui stavano i cardinali, gli arcivescovi, i vescovi, ma io non li vidi se non in gruppo, occupata com'ero unicamente del Santo Padre; passammo dinanzi a lui in processione, ciascun pellegrino s'inginocchiava a turno, baciava mano e piede di Leone XIII, riceveva la benedizione, e due guardie nobili gli facevano cenno secondo l'etichetta, per avvertirlo che era tempo di alzarsi (intendo dire che avvertivano il pellegrino, mi spiego così male che si potrebbe pensare che avvertissero il Papa). Prima di penetrare nell'appartamento pontificio ero ben decisa a parlare, ma mi sentii mancare il coraggio quando vidi a destra del Santo Padre «Monsignor Révérony»! Quasi nel medesimo istante ci fu detto da parte sua che era proibito parlare a Leone XIII, l'udienza si sarebbe prolungata troppo. Mi voltai verso Celina cara, per sapere il suo parere: «Parla!», mi disse. Un minuto dopo ero ai piedi del Santo Padre; baciai la pantofola, egli mi porse la mano, ma io, invece di baciarla, giunsi le mani mie e alzai verso lui gli occhi pieni di lacrime: «Santo Padre - dissi -, ho da chiedervi una grazia grande». Allora il Sommo Pontefice abbassò la testa verso me, in modo che il mio volto quasi toccava il suo, e vidi i suoi occhi neri e profondi fissarsi su di me, parve che penetrasse in fondo all'anima. «Santo Padre - dissi - in onore del vostro giubileo, permettetemi di entrare nel Carmelo a quindici anni!...».

174 - L'emozione certo mi fece tremare la voce, cosicché il Santo Padre, volgendosi a Monsignor Révérony, il quale mi guardava meravigliato e scontento, disse: «Non capisco molto bene». Se il buon Dio l'avesse permesso, sarebbe stato facile che Monsignor Révérony mi ottenesse ciò che desideravo, ma invece volle darmi la croce e non già la consolazione. «Beatissimo Padre - rispose il Vicario Generale - è una bambina che desidera entrare nel Carmelo a quindici anni, ma i superiori stanno esaminando la questione». «Ebbene, figlia - rispose il Santo Padre guardandomi con bontà -fate ciò che vi diranno i superiori». Allora, appoggiando le mani sulle sue ginocchia, tentai un ultimo sforzo e dissi con voce supplice: «Oh! beatissimo Padre, se voi diceste «sì, tutti sarebbero d'accordo!...». Mi guardò fissamente, e pronunciò queste parole appoggiando su ciascuna sillaba: «Bene... bene... Entrerete se Dio lo vorrà! . ..» -. (La sua espressione era così penetrante e convinta, che mi pare d'intenderlo ancora). Poiché la bontà del Santo Padre mi dava animo, volli parlare ancora, ma le due guardie nobili mi toccarono gentilmente per farmi alzare; e vedendo che ciò non bastava, mi presero per le braccia, e Monsignor Révérony le aiutò a sollevarmi, perché io restavo ancora con le mani giunte appoggiate alle ginocchia di Leone XIII, e mi strapparono di peso dai suoi piedi... Nel momento in cui mi trasportarono via così, il Santo Padre posò la sua mano sulle mie labbra, poi l'alzò per benedirmi, allora gli occhi mi si empirono di lacrime, e Monsignor Révérony poté contemplare per lo meno altrettanti diamanti quanti ne aveva visti a Bayeux.

175 - Le due guardie nobili mi portarono, per così dire, fino alla porta, e là una terza mi dette una medaglia di Leone XIII. Celina, che mi seguiva, era stata presente alla scena: commossa quasi quanto me, ebbe tuttavia il coraggio di chiedere al Santo Padre una benedizione per il Carmelo. Monsignor Révérony con tono contrariato rispose: «È già benedetto, il Carmelo». Il buon Santo Padre riprese con dolcezza: «Oh sì, è già benedetto!». Prima di noi Papà era venuto ai piedi di Leone XIII (con gli altri signori). Monsignor Révérony era stato molto benevolo verso lui, l'aveva presentato come il padre di due carmelitane. il Sommo Pontefice, in segno di particolare favore, posò la mano sulla testa venerabile del mio caro Re, e parve imprimere in lui così un sigillo misterioso, nel nome di colui che veramente egli rappresenta... Ah! Ora che è in Cielo, questo padre di quattro carmelitane, non è più la mano del Pontefice che riposa sulla sua fronte, profetizzandogli il martirio... E la mano dello Sposo delle Vergini, del Re della gloria che fa risplendere la testa del suo servo fedele, e più che mai quella mano adorata rimarrà sulla fronte che ha glorificata!

176 - Il mio Babbo caro rimase addolorato trovando me tutta in lacrime all'uscita dall'udienza, fece tutto ciò che poté per consolarmi, ma invano... In fondo al cuore sentivo una grande pace, poiché avevo fatto assolutamente tutto il possibile per corrispondere a ciò che Dio mi chiedeva, ma quella pace era nel fondo, e l'amarezza mi colmava l'anima, perché Gesù taceva. Pareva assente, niente rivelava la sua presenza. Anche in quel giorno il sole non osò risplendere, e il cielo bello d'Italia, carico di nuvole cupe, pianse con me tutto il tempo. Ah! era finita, il mio viaggio non aveva più incanto per me, poiché lo scopo era fallito. Eppure, le ultime parole del Santo Padre avrebbero dovuto ben consolarmi: in verità, non erano una genuina profezia? Nonostante tutti gli ostacoli, quello che Dio misericordioso ha voluto si è compiuto. Ha permesso alle creature di fare non ciò che volevano, bensì la volontà sua.

177 - Da qualche tempo mi ero offerta a Gesù Bambino per essere il suo giocattolino, gli avevo detto che usasse me non già come un balocco di quelli pregevoli (i bimbi si contentano di guardarli senza osar di toccarli), bensì come una pallina senz'alcun valore che egli poteva buttar per terra, spingere con i piedi, bucare) lasciare in un cantuccio o stringere al cuore, a piacimento suo; in una parola volevo divertire Gesù Bambino, fargli piacere, volevo abbandonarmi ai suoi capricci infantili... Aveva esaudito la mia preghiera. A Roma Gesù bucò il suo giocattolino, volle vedere cosa c'era dentro, e, dopo averlo visto, contento della sua scoperta, lasciò cadere la pallina e si addormentò... Che cosa fece durante il sonno dolce, e che cosa divenne la pallina abbandonata? Gesù sognò che giocava ancora col suo balocco lasciandolo e prendendolo volta a volta, e, dopo averlo fatto ruzzolare lontano, se lo stringeva al cuore senza permettere più che si allontanasse dalla sua manina...

178 - Lei capisce, Madre mia cara, quanto fosse triste la pallina vedendosi per terra. Tuttavia non rinunciavo a sperare contro tutte le speranze. Qualche giorno dopo l'udienza del Santo Padre, Papà andò a vedere il buon fratel Simeone, e trovò presso lui Monsignor Révérony, il quale fu amabilissimo. Papà gli rimproverò giocosamente di non avermi aiutata nella mia impresa difficile, poi narrò la storia della sua reginetta al fratello Simeone. Il venerando vecchio ascoltò il racconto con interesse vivo, prese perfino degli appunti, e disse, commosso: «Una cosa simile non si vede in Italia!». Credo che il colloquio facesse gran buona impressione a Monsignor Révérony: in seguito mi dimostrò ad ogni istante che finalmente era convinto della mia vocazione.

179 - L’indomani del giorno memorabile, bisognò partire fin dalla mattina alla volta di Napoli e Pompei. In onore nostro il Vesuvio brontolò tutta la giornata, emettendo con le sue cannonate, una colonna densa di fumo. Le tracce che ha lasciato sulle rovine di Pompei sono paurose, mostrano la potenza del Dio «che guarda la terra e la fa tremare, tocca le montagne, e le riduce in fumo». Mi sarebbe piaciuto passeggiare sola in mezzo alle rovine, meditando sulla fragilità delle cose umane, ma la folla dei viaggiatori guastava in gran parte il fascino malinconico della città distrutta. A Napoli fu tutto il contrario, il gran numero delle pariglie rese magnifica la nostra passeggiata al monastero di San Martino situato sopra una collina alta che domina la città intera; purtroppo i cavalli mordevano il freno minuto per minuto, e più d'una volta mi son vista all'ultima ora. Il cocchiere aveva un bel ripetere continuamente la parola magica dei vetturini italiani: «A-ppippo, A-ppippo» (Ah Pippo, ah Pippo…)», i poveri cavalli volevano rovesciar la carrozza, finalmente, grazie alla protezione dei nostri angeli custodi, arrivammo al nostro albergo magnifico. Durante tutto il viaggio abbiamo abitato in alberghi principeschi, mai ero stata circondata da tanto lusso, è proprio il caso di dire che la ricchezza non dà la felicità, perché sarei stata più felice sotto un tetto di paglia con la speranza del Carmelo, che in mezzo a tappezzerie dorate, scaloni bianchi di marmi, tappeti vellutati, con l'amarezza nel cuore. L’ho ben capito, la gioia non la troviamo negli oggetti che ci stanno intorno, bensì nel profondo dell'anima, possiamo averla in una prigione altrettanto bene che in un palazzo, la prova è che io sono più felice nel Carmelo, anche tra prove intime ed esteriori, che nel mondo, circondata dalle comodità della vita, e soprattutto dalle dolcezze del focolare paterno!

180 - Avevo l'anima immersa nella tristezza, tuttavia all'esterno mi mostravo la stessa, perché credevo che la supplica fatta da me al Santo Padre fosse ignota agli altri; ben presto mi persuasi del contrario: ero rimasta sola con Celina nel vagone (gli altri pellegrini erano discesi al buffet durante i pochi minuti di fermata), vidi Monsignor Legoux, vicario generale di Coutances, che aprì lo sportello e mi guardò sorridendo, poi disse: «Ebbene, come va la nostra piccola carmelitana?». Capì allora che tutto il gruppo conosceva il mio segreto; per fortuna nessuno me ne parlò, ma mi resi conto, da come mi guardavano con simpatia, che la mia istanza non aveva fatto brutta impressione, anzi... Nella cittadina di Assisi, ebbi l'occasione di salire nella carrozza di Monsignor Révérony, favore che non fu concesso ad alcuna signora durante l'intero viaggio. Ed ecco in qual modo ottenni questo privilegio.

181 - Dopo aver visitato i luoghi profumati dalle virtù di san Francesco e di santa Chiara, avevamo visto per ultimo il monastero di Sant'Agnese, sorella di santa Chiara; avevo contemplato a mio piacimento la testa della Santa, quando, ritirandomi una delle ultime, mi accorsi che avevo perduto la mia cintura; la cercai in mezzo alla folla, un sacerdote ebbe pietà di me e mi aiutò, ma dopo che me l'ebbe trovata, lo vidi allontanarsi, e rimasi sola a cercare perché, se la cintura c'era, impossibile metterla, mancava la fibbia... Finalmente la vidi brillare in un angolo; afferrarla e aggiustarla al nastro fu tutt'uno, ma la ricerca era stata lunga, perciò rimasi attonita quando mi ritrovai sola dinanzi alla chiesa; tutte le vetture erano sparite, fuorché quella di Monsignor Révérony. Che partito prendere? Dovevo correre dietro le carrozze che non vedevo più, espormi al rischio di perdere il treno e mettere il mio Babbo caro nell'inquietudine, oppure chiedere un posto nel calesse di Monsignor Révérony? Mi decisi per quest'ultima soluzione. Col piglio più garbato e meno impacciato possibile - nonostante il mio estremo impaccio - gli esposi la condizione difficile, e misi anche lui in difficoltà perché la sua vettura era gremita dai signori più autorevoli del pellegrinaggio, non c'era una briciola di posto; ma un signore cortesissimo si affrettò a scendere, mi fece salire al suo posto, e andò egli stesso modestamente accanto al cocchiere. Somigliavo a uno scoiattolo in trappola, ed ero ben lungi dal sentirmi comoda, circondata così da tutti quei grandi personaggi, e soprattutto dal più temibile, in faccia al quale ero situata... E che tuttavia fu gentilissimo con me, e interruppe varie volte la conversazione con quei signori per parlarmi del Carmelo. Prima di arrivare alla stazione tutti i grandi personaggi tirarono fuori i loro grandi portafogli per dare la mancia al cocchiere (già pagato), io feci come loro e presi il mio minimo portamonete, ma Monsignor Révérony non mi permise di estrarne delle monetine, preferì darne lui una grossa per lui e per me.

182 - Un'altra volta mi trovai accanto a lui in omnibus; fu ancor più benevolo, e mi promise che avrebbe fatto tutto il possibile affinché io entrassi nel Carmelo. Pur mettendo un po' di balsamo sulle mie piaghe, quei piccoli incontri non impedirono che il viaggio di ritorno fosse per me ben meno piacevole che quello di andata, perché non avevo più la speranza «del Santo Padre», non trovavo più soccorso alcuno sulla terra che mi pareva un deserto arido, senz’acqua; tutta la speranza mia era nel buon Dio solo... stavo facendo esperienza che è meglio rivolgersi a lui che ai suoi santi...

183 - La tristezza dell'anima mia non m'impedì d'interessarmi vivamente ai luoghi che visitavamo. A Firenze fui felice di contemplare santa Maddalena de' Pazzi in mezzo al coro delle carmelitane le quali ci aprirono la grata maggiore; poiché non sapevamo di poter godere di questo privilegio, e poiché molte persone desideravano far toccare le loro corone alla tomba della Santa, io sola riuscii a passare la mano attraverso la grata che la proteggeva, così tutti mi portarono dei rosari, ed ero ben fiera del mio compito. Bisognava che trovassi sempre il modo per toccar tutto, così nella chiesa di Santa Croce in Gerusalemme (a Roma) potemmo vedere alcuni frammenti della vera Croce, due spine ed un sacro chiodo racchiusi entro un magnifico reliquiario d'oro cesellato, ma senza vetro, perciò io trovai modo, venerando la reliquia preziosa, d'insinuare il mignolo in uno spazio del reliquiario, e potei toccare il chiodo che fu bagnato dal Sangue di Gesù. Fui veramente troppo audace. Ma il Signore vede il fondo dei cuori, sa che l'intenzione mia era pura, è che per niente al mondo avrei voluto fargli dispiacere, agivo con lui da bambina che si crede tutto permesso e considera come propri i tesori del Padre.

184 - Non riesco ancora a capire perché mai le donne siano tanto facilmente scomunicate in Italia, ad ogni piè sospinto ci veniva detto: «Non entrate qua... non entrate là, sareste scomunicate!». Ah povere donne, quanto disprezzo per loro! Eppure, sono ben più numerose degli uomini quelle che amano Dio, e durante la Passione di Nostro Signore le donne ebbero più coraggio degli Apostoli, poiché sfidarono gli insulti dei soldati e osarono asciugare il Volto adorato di Gesù. Certamente per questo egli permette che il disprezzo sia il loro retaggio sulla terra, poiché l'ha scelto per se stesso. In Cielo, saprà ben mostrare che i pensieri suoi non sono quelli degli uomini, poiché allora le ultime saranno le prime... Più d'una volta, durante il viaggio, non ho avuto la pazienza di attendere il Cielo per essere la prima. Un giorno in cui visitavamo un convento di Carmelitani non mi contentai di seguire i pellegrini nelle gallerie esterne, mi spinsi fino nel chiostro interno... a un tratto vidi un buon vecchio carmelitano che da lontano mi faceva segno che mi allontanassi, ma io, invece di andarmene, mi avvicinai a lui, e indicandogli i quadri del chiostro gli feci cenno che erano belli. Capì senza dubbio dai miei capelli sciolti e dall'aria giovane che ero una bambina, mi sorrise con bontà, e si allontanò vedendo che non si trovava davanti a una nemica; se avessi potuto parlargli italiano, gli avrei detto che ero una futura carmelitana, ma a causa di quelli che fecero la torre di Babele, la cosa mi fu impossibile.

185 - Dopo aver visitato anche Pisa e Genova, tornammo in Francia. Durante il percorso, vedute magnifiche: ecco, corriamo lungo il mare, e la ferrovia è tanto vicina che mi pare le onde arrivino fino a noi (questo spettacolo fu causato da una tempesta, ed era sera, cosicché la scena appariva ancor più maestosa), ora ecco delle aperte distese di aranceti dai frutti maturi, di verdi olivi dalla ramaglia lieve, di palme graziose... al cader del giorno vedevamo numerosi piccoli porti di mare che s'illuminavano di mille luci, mentre in cielo scintillavano le prime stelle. Ah, che poesia mi empiva l'anima mentre vedevo tutte quelle cose per la prima e l'ultima volta! Senza rimpianto le vedevo svanire, il cuore mio aspirava a meraviglie diverse, aveva contemplato abbastanza le bellezze della terra, ora desiderava quelle del Cielo, e io, per darle alle anime, volevo diventare prigioniera! Prima di vedere aprirsi dinanzi a me le porte della prigione benedetta, dovevo ancor lottare e soffrire: lo sentivo mentre tornavo in Francia, tuttavia la mia fiducia era tanto grande che speravo ancora nel permesso di entrare il 25 dicembre.

186 - Appena arrivate a Lisieux, la prima visita fu per il Carmelo. Quale incanto fu quel colloquio! Avevamo tante cose da dirci, dopo un mese di separazione, un mese che mi era parso lungo e istruttivo più di parecchi anni messi insieme. Madre mia cara, quanto mi fu dolce rivederla e aprire a lei la piccola anima mia ferita. A lei che mi sapeva capire tanto bene: una parola, uno sguardo le bastavano per indovinare tutto! Mi abbandonai completamente, avevo fatto tutto quello che dipendeva da me, tutto, perfino parlare al Santo Padre, così non sapevo che cosa avrei dovuto fare ancora. Lei mi disse di scrivere a Monsignor Vescovo e ricordargli la sua promessa; lo feci subito come meglio potei, ma in termini che lo zio trovò un po' troppo semplici. Rifece egli stesso la lettera; nel momento in cui stavo per spedirla, ne ricevetti una da lei che mi diceva di non scrivere, di attendere qualche giorno; obbedii subito, perché ero sicura che quello era il mezzo migliore per non ingannarmi. Finalmente, dieci giorni prima di Natale, la mia lettera partì. Ben convinta che la risposta non avrebbe tardato, andavo ogni mattina dopo la Messa alla posta con Papà, credendo trovarci il permesso per volar via, ma ogni mattina mi portava una delusione nuova, che tuttavia non scuoteva la mia fede. Chiedevo a Gesù che spezzasse le mie catene; le spezzò, infatti, ma in un modo affatto diverso da quello che mi aspettavo. La bella festa di Natale arrivò, e Gesù non si destò... lasciò per terra la sua pallina senza gettarle nemmeno uno sguardo.

187 - Avevo il cuore affranto quando andai alla Messa di mezzanotte, avevo pur contato di ascoltarla da dietro le grate del Carmelo! Fu una prova ben grande per la mia fede, ma «il Cuore che veglia durante il sonno» mi fece capire che concede miracoli a coloro la cui fede uguaglia un granello di senape e fa mutar di posto le montagne per rendere salda questa fede così piccola; ma per i suoi intimi, per sua Madre, non fa miracoli prima di avere messo a prova la loro fede. Non lasciò forse morire Lazzaro, nonostante che Marta e Maria gli avessero fatto dire che era malato. Alle nozze di Cana, la Santa Vergine domandò a Gesù di venire in aiuto del padrone di casa, e non le rispose Gesù che l'ora sua non era ancor giunta. Ma dopo la prova, quale ricompensa! L'acqua si cambia in vino... Lazzaro risuscita. Così Gesù agì verso la sua Teresa: dopo averla lungamente provata, colmò tutti i desideri del cuore di lei.

188 - Nel pomeriggio della festa radiosa trascorsa da me tra le lacrime, andai a trovare le carmelitane; fu grande la mia sorpresa quando vidi, nel momento in cui apersero le grate, un incantevole Gesù Bambino che teneva in mano una palla su cui era scritto il nome mio. Le carmelitane, al posto di Gesù troppo piccolo per parlare, mi cantarono un cantico composto dalla mia Madre amata; ciascuna parola diffondeva nell'anima mia una consolazione dolcissima, mai dimenticherò questa delicatezza del cuore materno che mi colmò sempre delle tenerezze più fini... Dopo aver ringraziato con lacrime soavi, raccontai ìa sorpresa che Celina mi aveva fatto al ritorno dalla Messa di mezzanotte. Avevo trovato in camera mia, in mezzo a una vasca graziosa, una navicella che portava Gesù Bambino addormentato, con una pallina accanto a lui; sulla vela bianca Celina aveva scritto: «Io dormo, ma il cuore mio veglia», e sulla nave questa sola parola: «Abbandono!». Ah, se Gesù non parlava alla sua piccola fidanzata, se gli occhi suoi divini restavano sempre chiusi, almeno le si rivelava per mezzo di anime atte a capire le delicatezze e l'amore del suo Cuore.

189 - Il primo giorno dell'anno 1888 Gesù mi fece ancora dono della sua croce, ma questa volta fui sola a portarla, perciò fu tanto più dolorosa quanto incompresa. Una lettera di madre Maria di Gonzaga mi annunciò che la risposta di Monsignor Vescovo era giunta il 28, festa dei santi Innocenti, ma che non me l'aveva resa nota perché aveva deciso che io entrassi soltanto dopo quaresima. Non potei trattenere il pianto pensando a un rinvio così lungo. Quella prova ebbe per me un carattere particolarissimo, vedevo i miei legami spezzati dalla parte del mondo, e questa volta era l'arca santa che rifiutava l'ingresso all'umile colomba. Credo bene che dovetti sembrare irragionevole quando non accolsi gioiosamente i miei tre mesi di esilio, ma credo altresì che, senza saperlo, questa prova fu grande e mi fece crescere molto nell'abbandono e nelle altre virtù.

190 - In quale modo trascorsero quei tre mesi tanto ricchi di grazie per l'anima mia? Anzitutto mi venne in mente di non costringermi ad una vita tanto ben regolata come quella cui ero avvezza, ma ben presto capii il valore del tempo che mi veniva offerto, e risolsi di darmi più che mai a vita seria e mortificata. Quando dico: «mortificata», non è per far credere che io facessi penitenze, ahimè! non ne ho fatte mai, ben lungi dal somigliare alle anime belle che fin dall'infanzia praticavano ogni sorta di mortificazioni, non sentivo per esse alcuna attrattiva. Certamente ciò proveniva dalla mia viltà, perché avrei potuto, come Celina, trovar mille piccole invenzioni per farmi soffrire, invece mi sono sempre lasciata coccolare nell'ovatta, e imbeccare come un uccellino che non abbia bisogno di far penitenza... Le mie mortificazioni consistevano nel rompere la mia volontà, sempre pronta a imporsi, nel trattenere una battuta di risposta, nel rendere servizietti senza farli valere, nel privarmi di appoggiare il dorso quand'ero seduta, ecc. ecc. Fu per mezzo di questi nonnulla che mi preparai a diventare la fidanzata di Gesù, e non posso dire quanti ricordi cari mi abbia lasciato quell'attesa. Tre mesi passano veloci, finalmente arrivò il momento desideratissimo!


22-25 Settembre 8, 1927 Come tutta la Creazione è fissata in Dio ed è relatore dell’Ente Supremo. Dolore sofferto in modo divino in Gesù e in Maria. Significato dei quaranta giorni nel deserto.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Continuo il mio volo nel Supremo Volere, il quale tenendo come nel proprio pugno tutta la Creazione, sono costretta a sorvolare da una cosa creata all’altra, per rintracciare quella gloria che posso dare al mio Creatore per mezzo di esse e per ricambiarlo col mio amore per tutto ciò che ha fatto per amor mio e di tutti. Ora mentre ciò facevo il mio amato Gesù si è mosso nel mio interno e mi ha detto:

(2) “Figlia mia, quando la nostra Divinità creò tutta la creazione, la restò tutta vincolata in Sé. Sicché si può dire che il cielo tiene il suo rapporto con Dio, in Dio è fissato e da dentro Dio spande la sua immensità. Le stelle sono vincolate in Dio e da dentro Dio ornano d’oro la volta del firmamento. In Dio è vincolato il sole e dal seno divino spande la sua luce che investe tutta la terra. Non c’è cosa creata che non tengono i loro vincoli in Dio e mentre escono fuori, da Dio non si partono. Dio è geloso degli atti suoi e li ama tanto che non permette che siano separati da Lui e perciò li tiene tutti fissati in Sé come gloria perenne degli stessi suoi atti, come relatori del suo Essere alle creature, che con voce muta parlano coi fatti chi è Colui che li ha creati, dicono coi fatti che è luce purissima ed interminabile, amore che mai si estingue, occhio che tutto vede e tutto sente e penetra, ciò lo dice il sole. Dicono ancora le cose create: “Guardateci e coi fatti vi diremo”. E perciò non parliamo perché i fatti sono più delle parole e potenza che tutto può, è immensità che tutto involge, è sapienza che tutto ordina, è bellezza che tutto rapisce. La Creazione è la continua narrazione dell’Ente Supremo, da cui riceve vita continua. Onde come tu giri da una cosa creata all’altra resti vincolata per mezzo di esse col tuo Creatore e ricevi i rapporti di luce, di amore, di potenza, eccetera, che ciascuna possiede”.

(3) Ond’io nel sentir ciò ho detto: “Amor mio, le cose create non hanno ragione, come possono darmi i loro rapporti e darti tanta gloria? ” E Gesù ha soggiunto:

(4) “Figlia mia, le cose create stanno in rapporto e vincolate con Me come le membra al capo e agiscono come le membra che hanno vita dal capo. Vedi, tu hai le mani, i piedi, essi non hanno ragione, né parlano, ma perché hanno vita dal capo le mani operano, i piedi camminano, a disposizione di ciò che vuole il capo e formano la sua più grande gloria e allora le mani ed i piedi non avrebbero né opere, né passi quando fossero recisi dal corpo, perché perderebbero la vita che gli comunicava il capo. Così è di tutta la Creazione, sebbene non hanno né ragione, né parola, siccome sono unite con Dio come le membra al capo, essa riceve la vita dal suo Creatore e perciò sono operanti tutte le cose create ed i loro atti sono incessanti e stanno a nostra disposizione, più di quanto tu hai le tue membra a disposizione del tuo capo e come le tue mani hanno virtù di comunicare le tue opere alle altre creature, così le cose create hanno virtù di comunicare il bene che posseggono alle creature e a chi vive nel mio Voler Divino. Essendo con lei una la Volontà che le anima, sentono che appartiene al corpo di tutta la Creazione e perciò le comunicano tutti i loro rapporti che hanno col Capo e con grande amore se la vincolano con esse. Perciò sii costante nel vivere nella mia Divina Volontà se vuoi fare vita comune col tuo Gesù e con la Creazione tutta e darmi tutta la gloria che incessantemente mi danno tutte le opere mie”.

(5) Dopo di ciò stavo seguendo il Santo Volere nell’atto quando il mio dolce Gesù si separò dalla Sovrana Regina per andare nel deserto e mentre compativo l’uno e l’altro pensavo tra me: “Come potette separarsi la mia Sovrana Regina per ben quaranta giorni dal suo caro Figlio? Lei che lo amava tanto, come potette fare a stare senza di Lui? Io che non ho il suo amore, soffro tanto per alcuni giorni che mi priva di Lui, che potette essere della Mamma mia? ” Ora, mentre ciò pensavo il mio adorato Gesù si è mosso nel mio interno e mi ha detto:

(6) “Figlia mia, ambedue soffrimmo nel separarci, ma il nostro dolore fu sofferto in modo divino, non umano e perciò non si disgiunse né dalla felicità, né dalla pace imperturbabile. Felice Io partii al deserto, felice restò l’altezza della mia Mamma Celeste, perché il dolore sofferto nel modo divino, non ha virtù di adombrare menomamente la divina felicità, che contiene mari di gioie e di pace interminabili, sono come le goccioline di acqua nell’immenso mare i dolori sofferti nel modo divino, cui la forza delle onde hanno virtù di cambiarle in felicità. Il dolore sofferto in modo umano ha virtù di spezzare la vera felicità e di turbare la pace, il divino non mai. Molto più che la mia Mamma Regina possedeva il Sole della mia Volontà per grazia ed Io lo possedevo per natura. Sicché il Sole restò in Lei e restò in Me, ma i raggi non si separarono perché la luce è inseparabile, perciò nella stessa luce Lei restò in Me e seguiva gli atti miei ed Io restai in Lei come suo centro di vita. Quindi la separazione mentre vera, ma fu apparente; in sostanza eravamo fusi insieme ed inseparabili, perché la luce della Volontà Divina metteva in comune gli atti nostri come se fossero uno solo. E poi Io andai nel deserto per richiamare quella mia stessa Volontà Divina che per quaranta secoli le creature avevano disertato da mezzo a loro ed Io per quaranta giorni volli starmene solo, per riparare i quaranta secoli di volontà umana in cui la mia non aveva posseduto il suo regno in mezzo alla umana famiglia e con la mia stessa Volontà Divina la volli richiamare di nuovo in mezzo a loro per fare che regnasse. Nel ritornare dal deserto la depositai nella Mamma mia, con tutti quegli atti di Volontà Divina che le creature avevano respinto e tenuto come in deserto, affinché fosse Lei la fedele depositaria, la riparatrice e la impetratrice del regno della mia Volontà. Solo la Sovrana Signora poteva possedere questo deposito sì grande, perché possedeva in Sé la stessa Volontà Divina in cui poteva contenere la stessa Volontà desertata dalle creature. Come potevamo occuparci del nostro dolore di separarci per quaranta giorni, quando si trattava di reintegrare, di richiamare la nostra Divina Volontà a regnare in mezzo alle creature? Nel nostro dolore eravamo più che felici perché volevamo mettere in salvo il regno del Fiat Supremo e la Celeste Regina stava aspettando con ansie il mio ritorno per ricevere il deposito del nuovo sole, per contraccambiare col suo amore tutti i suoi atti, che l’ingratitudine umana aveva respinti. Essa fece da vera Mamma alla mia Divina Volontà, facendo insieme da vera Madre alle creature, impetrando a tutti la vita, la felicità, la gioia di possedere il regno dell’Eterno Fiat.

(7) Figlia mia, il numero di quaranta giorni nella mia vita quaggiù è simbolico e significativo. Quaranta giorni nel nascere volli stare nella grotta di Betlem, simbolo della mia Volontà Divina che mentre stava in mezzo alle creature, stava come nascosta e fuori della città delle loro anime ed Io per riparare i quaranta secoli di volontà umana, volli stare per quaranta giorni fuori della città in una vile capanna a piangere, gemere e pregare, per richiamare la mia Volontà Divina nella città delle anime per darle il suo dominio e dopo quaranta giorni uscii per presentarmi al tempio e rivelarmi al santo vecchio Simeone; era la prima città che chiamavo alla conoscenza del regno mio e fu tanta la sua gioia che chiuse gli occhi alla terra per aprirli all’eternità. Quaranta stetti nel deserto e poi subito feci la mia vita pubblica per dargli i rimedi e i mezzi per giungere al regno del mio Volere. Quaranta giorni volli stare sulla terra dopo la mia Risurrezione per confermare il regno del Fiat Divino ed i suoi quaranta secoli di regno che doveva possedere. Sicché tutto ciò che Io feci quaggiù, il primo atto era il ripristinamento di Esso; tutte le altre cose entravano nell’ordine secondario, ma il primo anello di congiunzione tra Me e le creature era il regno della mia Volontà. Perciò quando si tratta di Essa non risparmio nulla, né luce, né sacrifizi, né manifestazioni, né felicità, sono mari che metto fuori di Me per farla conoscere, regnare e amare”.