(1) Trovandomi nel solito mio stato, l’amabile mio Gesù è venuto in un stato compassionevole. Teneva le mani legate strettamente ed il volto coperto di sputi, e parecchie persone che lo schiaffeggiavano orribilmente, e Lui se ne stava quieto, placido, senza fare un moto o muovere un lamento, neppure un muovere di ciglia, per far vedere che Lui voleva soffrire quegli oltraggi, e questo non solo esternamente, ma anche internamente. Che spettacolo commovente, da far spezzare i cuori più duri! Quante cose diceva quel volto con quegli sputi pendenti, imbrattato di fango! Io mi sentivo inorridire, tremavo, mi vedevo tutta superbia innanzi a Gesù. Mentre stava in questo aspetto, Lui mi ha detto:
(2) “Figlia mia, i soli piccolini si lasciano maneggiare come si vuole, non quelli che sono piccoli di ragione umana, ma quelli che sono piccoli ma ripieni di ragione divina. Solo Io posso dire che sono umile, ché nell’uomo ciò che si dice umiltà, piuttosto si deve dire conoscenza di sé stesso, e chi non conosce sé stesso cammina già nella falsità”.
(3) Per qualche minuti Gesù ha fatto silenzio ed io me ne stavo a contemplarlo. Mentre ciò facevo, ho visto una mano che portava una luce che frugando nel mio interno, nei più intimi nascondigli, voleva vedere se fosse in me la conoscenza di me stessa e l’amore alle umiliazioni, alle confusioni ed agli obbrobri; quella luce trovava un vuoto nel mio interno, ed io pur lo vedevo che doveva essere riempito d’umiliazioni e confusioni ad esempio del benedetto Gesù. Oh! quante cose mi faceva comprendere quella luce e quel volto santo che mi stava dinanzi! Dicevo tra me: “Un Dio, per amor mio umiliato, confuso, ed io, peccatrice, senza di queste divise! Un Dio stabile, fermo nel sopportare tante ingiurie, tanto che non si smuove un tantino per scuotersi da quegli sputi fetenti, – ah! mi si fa manifesto il suo interno innanzi alla Divinità e l’esterno innanzi agli uomini, – e pure, se lo vuole lo può, a liberarsi, perché non sono le catene che lo legano, ma la sua stabile Volontà, che a qualunque costo vuol salvare il genere umano. Ed io? Ed io? Dove sono le mie umiliazioni, dove la fermezza, la costanza nell’operare il bene per amor del mio Gesù, e per amor del mio prossimo? Ahi! che vittime differenti siamo io e Gesù! Ahi! che non ci conformiamo affatto! Mentre il mio piccolo cervello si perdeva in questo, il mio adorabile Gesù mi ha detto:
(4) “Solo la mia Umanità fu ripiena d’obbrobri e di umiliazioni, tanto da traboccarne fuori, ecco perciò che innanzi alle mie virtù trema il Cielo e la terra; e le anime che mi amano si servono della mia Umanità come scala per salire a lambire qualche goccioline delle mie virtù. Dimmi un po’, dinanzi alla mia umiltà, dov’è la tua? Solo Io posso gloriarmi di possedere la vera umiltà, la mia Divinità unita alla mia Umanità, poteva operare prodigi in ogni passo, parole ed opere, ed invece volontariamente mi restringevo nel cerchio della mia Umanità, e mi mostravo il più povero, e giungevo a confondermi con gli stessi peccatori.
(5) L’opera della Redenzione in pochissimo tempo potevo operarla, ed anche per una sola parola, ma volli per il corso di tant’anni, con tanti stenti e patimenti, fare mie le miserie dell’uomo, volli esercitarmi in tante diverse azioni per fare che l’uomo fosse tutto rinnovato, divinizzato, anche nelle minime opere, perché esercitate da Me, che ero Dio ed Uomo, ricevevano nuovo splendore e restavano con l’impronta d’opere divine. La mia Divinità nascosta nella mia Umanità..., scendere a tanta bassezza, soggettarsi al corso delle azioni umane mentre con un solo atto di Volontà avrei potuto creare infiniti mondi..., sentire le miserie, le debolezze altrui, come se fossero sue, vedersi coperta di tutti i peccati degli uomini innanzi alla divina giustizia e che ne doveva pagare il fio col prezzo di pene inaudite e con lo sborso di tutto il suo sangue, esercitava continui atti di profonda ed eroica umiltà.
(6) Eccoti oh figlia, la diversità grandissima della mia umiltà con la umiltà delle creature, che innanzi alla mia, appena è un’ombra; anche quella di tutti i miei santi, perché la creatura è sempre creatura e non conosce quanto pesa la colpa come lo conosco Io, sia pure che anime eroine, al mio esempio si sono offerte a soffrire le pene altrui, ma queste non sono diverse di quelle, dalle altre creature, non sono cose nuove per loro, perché sono formate dalla stessa creta. Poi, il solo pensare che quelle pene sono causa di nuovi acquisti e che glorificano Iddio, è un grande onore per loro. Oltre di ciò, la creatura è ristretta nel cerchio dove Iddio l’ha messo, né può uscire da quei limiti, onde, stata circuita da Dio. Oh! se stesse in loro potere il fare ed il disfare, quant’altre cose farebbero, ognuno giungerebbe alle stelle. Ma la mia Umanità divinizzata non aveva limiti, ma volontariamente si restringeva in sé stessa, e questo era un intrecciare tutte le mie opere d’eroica umiltà. Era stata questa la causa di tutti i mali che inondano la terra, cioè, la mancanza dell’umiltà, ed Io con l’esercizio di questa virtù, dovevo attirare dalla divina giustizia tutti i beni. Ah! si, che non si partono dal mio trono rescritti di grazie, se non che per mezzo dell’umiltà, né nessun biglietto può essere da Me ricevuto, se non contiene la firma dell’umiltà, nessuna preghiera ascoltano le mie orecchie e muove a compassione il mio cuore, se non è profumata dall’olezzo dell’umiltà. Se la creatura non giunge a distruggere quel germe d’onore, di stima, e questo si distrugge col giungere ad amare di essere disprezzata, umiliata, confusa, sentirà un intreccio di spine intorno al suo cuore, avvertirà un vuoto nel suo cuore che le darà sempre fastidio e la renderà molto dissimile dalla mia Santissima Umanità, e se non si giunge ad amare le umiliazioni, al più potrà qualche poco conoscere sé stessa, ma non risplenderà innanzi a Me vestita della bella e simpatica veste dell’umiltà”.
(7) Chi può dire quante cose comprendevo su questa virtù e la differenza tra il conoscere sé stessa e l’umiltà? Mi pareva di toccare con mano la distinzione di queste due virtù, ma non ho parola come spiegarmi. Per dire qualche cosa me n’avvalgo d’una idea, per esempio: Un povero dice che è povero, ed anche a persone che non lo conoscono e che forse possono credere che possiede qualche cosa, manifesta schiettamente la sua povertà, si può dire che conosce sé stesso e dice la verità, e per questo viene più amato, muove gli altri a compassione del suo misero stato e tutti lo aiutano, tale è il conoscere sé stesso. Se poi, quel povero vergognandosi di manifestare la sua povertà, menasse vanto che lui è ricco, mentre tutti sanno che lui non tiene neppure le vesti come coprirsi e si muore della fame, che avviene? Tutti lo disprezzano, nessuno lo aiuta ed addiviene soggetto di burla e di ridicolaggine a chiunque lo conosce, ed il misero, andando di male in peggio, finisce col perire. Tale è la superbia innanzi a Dio ed anche innanzi agli uomini, ed ecco che chi non conosce sé stesso, già esce dalla verità e precipita nella via della falsità”.
(8) Or, la differenza dell’umiltà, sebbene mi pare che siano sorelle nate ad un parto e non può mai essere umile se non conosce sé stesso, per esempio un ricco che spogliandosi, per amore delle umiliazioni, delle sue nobili vesti, si copre di miseri cenci, vive sconosciuto, a nessun manifesta chi egli sia, si confonde coi più poveri, vive coi poveri come se fosse loro pari, fa sue delizie i disprezzi e le confusioni, ed ecco la bella sorella della conoscenza di sé stesso, cioè l’umiltà. Ah! si, l’umiltà chiama la grazia, l’umiltà spezza le catene più forti, qual è il peccato. L’umiltà supera qualunque muro di divisione tra l’anima e Dio, ed a Lui la ritorna. L’umiltà è la piccola pianta, ma sempre verde e fiorita, non soggetta ad essere rosa dai vermi, né i venti, la grandine, il caldo potranno portarle nocumento, né farla menomamente appassire. La umiltà, sebbene è la più piccola pianta, ma manda fuori rami altissimi, che penetrano fin nel cielo e s’intrecciano intorno al cuore di Nostro Signore, e solo i rami che escono da questa piccola pianta hanno libera l’entrata in quel cuore adorabile. L’umiltà è l’ancora della pace nelle tempeste delle onde del mare di questa vita. L’umiltà è sale che condisce tutte le virtù e preserva l’anima dalla corruzione del peccato. L’umiltà è l’erbetta che spunta sulla via battuta dai viandanti, che mentre è calpestata scomparisse, ma subito si vede spuntare di nuovo più bella di prima. L’umiltà è qual innesto gentile, che ingentilisce la pianta selvatica. L’umiltà è il tramonto della colpa. L’umiltà è la neonata della grazia. L’umiltà è qual luna che ci guida nelle tenebre della notte di questa vita. L’umiltà è come quello avaro negoziante che sa ben trafficare le sue ricchezze, non ne fa sciupio neppure di un centesimo della grazia che gli viene data. L’umiltà è la chiave della porta del Cielo, sicché nessuno può entrarvi, se non si tiene ben custodita questa chiave. Finalmente, altrimenti non la finisco più ed andrei troppo per le lunghe, l’umiltà è il sorriso di Dio e di tutto l’Empireo, ed il pianto di tutto l’inferno.