... - ... Sei violetta nascosta, anche se il tuo nome, la tua vita
percorrono già il mondo. Le vere grandezze, l'opera mia, il mio lavoro
divino in te saranno veduti e compresi soltanto dopo la tua morte, alla
luce della eternità. Quante meraviglie! Questo per la tua
corrispondenza e la tua fedeltà. Il mondo, come ti è debitore!...
Riposati qui e parliamo delle Mie cose, del Mio amore. - Apparve un
altare. La porta del tabernacolo era aperta. Nella pisside c'erano le
Ostie bianche. Gesù si sedette a fianco dell'altare e mi fece sedere
dall'altro lato. Non vidi su che cosa sedevamo. Gesù posò sull'altare
la Sua mano e su di essa il Suo capo santo; la stessa cosa fece fare a
me. La mia mano destra rimase unita alla Sua mano sinistra. Dal
tabernacolo, da quelle Ostie così bianche uscirono raggi più splendenti
del sole e passarono tra noi. Gesù, pieno di dolcezza, mi disse: - Mia
figlia, gioiello eucaristico, lo sono lì nel tabernacolo, in
quell'Ostia pura, in Corpo, Anima e Divinità, come sono qui. Parla al
mondo di questo amore. Di' agli uomini che si avvicinino a Me. Voglio
darmi a loro. Molte volte, tutti i giorni se è possibile. Vengano con
cuore puro, molto puro e assetato. Se verranno al tabernacolo con le
dovute disposizioni e reciteranno il Rosario, o la sua terza parte,
tutti i giorni, non occorrerà altro per allontanare la giustizia di
Dio. Il Rosario, il tabernacolo e le mie vittime, la vittima di questo
calvario, sono sufficienti perché al mondo sia dato il perdono e la
pace. Chi viene al tabernacolo vive puro; chi vive all'ombra della Mia
Madre benedetta, vive della Sua purezza. E così l'umanità vive la vita
nuova, pura e santa da Me raccomandata tante volte da questa cameretta.
- Scomparve questa visione e io rimasi nelle tenebre a ripetere il mio
« credo »... (diario, 10-12-1954).
«Mio buon padre [Pinho], inizio questa lettera e non so quando la
finirò, tanto acuta e prolungata è la crisi che attraverso. È
vergognoso rispondere solo oggi alla lettera ricevuta due mesi fa,
nella quale mi faceva i rallegramenti per quei giorni mai dimenticati:
l'inizio della mia crocifissione e del nostro doloroso calvario. Per
tutto sia benedetto il Signore! Grazie, grazie! La sua lettera mi ha
procurato un conforto che da tempo non sperimentavo più. Il vedere che
il mio padre ha compreso così bene lo stato dell'anima mia
rispondendomi a tutto con tanta chiarezza, mi ha rialzata dalla mia
sfinitezza, mi ha fortificata e rallegrata nel Signore. La crisi che
attraverso è sempre orribile per l'anima mia. Se avessi soltanto quella
del corpo, la sopporterei meglio; ma così mi disanimo, temo e tremo,
sgomentata per la perdita di Gesù e di Mammina, per le tenebre che mi
rubano ogni luce. Dico a Gesù che credo, e penso essere vera la mia
falsità. Gesù mi ordina di ripetere molte volte la parola « credo ». A
me pare di mentirgli, perché non posso credere. Non ebbi mai tentazioni
tanto terribili contro la fede. Non credo in Dio, nella eternità, nel
cielo e nell'inferno. Ecco il pensiero tremendo: muoio, e tutto
finisce. A che mi serve questa vita di sofferenza? Meglio sarebbe
uccidermi o non essere nata. Separarmi da Deolinda e da tanti che mi
sono cari e non vederli più, mio Dio, mio Dio! Però il maggior
tormento è di non vedere Dio nella eternità', di non poterlo amare
perché non esiste. L'eternità che io vivo è morta, è putrefatta. Povera
vita, povera eternità senza Dio! Nuovo martirio nell'anima mia: essa è
come un gambo di lino già sfruttato; a queste fibre insanguinate il
mondo viene a succhiare tutto il mio essere... Non ho più sangue né
vita da dare loro. L'anima si stanca e muore di sgomento. Essa poi ha
una fame infinita che viene ad aumentare il tormento del mio corpo.
Questa fame dell'anima mi causa nostalgia della alimentazione: ho
nostalgia di ogni alimento e, sentendomi sazia, sento un vuoto che
solo il mondo può colmare. Padre mio, non posso né so esprimermi
meglio. Non rimanga triste. Io dico che non ho fede e che non credo,
ma credo in tutto. Sono sentimenti tremendi: Gesù deve avere
compassione di me. Sono come posata sulla punta di una lancia, dicendo
« credo », « non credo »; « vi è Dio » e « non c'è »; « esiste
l'eternità » e « non esiste ». Mi trovo all'estremo limite del più
grande pericolo: perdere Dio o possedere Dio. Cado tutta ferita dalla
lancia, ma cado verso il lato in cui vi è Dio che veglia su di me; cado
dalla parte in cui esiste l'eternità. Penso di non averlo offeso sin
qui con la disperazione. Egli ha vigilato su di me col darmi,
nell'intimo, la pace: ho una pace tanto profonda che non mi pare mia.
Credo però che lo sia. Gesù, in un'estasi, mi ha detto che questo che
sento nell'anima è il mondo, sono le anime, le quali, vedendo già gli
orrori dell'inferno, mi si aggrappano alle fibre dell'anima, mi
succhiano tutta per non perdersi; mi ha detto poi che la fame infinita
è Sua. Però le tenebre sono tanto grandi, il tormento è tanto doloroso
che mi induce a non credere in nulla. « Ma credo, Gesù! Ti giuro che
credo! ».
Immagini che non mi sono confessata dal 10 del mese scorso ed oggi ne
abbiamo 13. Che grande abbandono! Non esservi chi mi dica una parolina!
Non mancano sacerdoti che vengono a visitarmi, ma io non ho il
coraggio, né il temperamento per dir loro ciò che avviene nella mia
anima. Se ci fosse lei, o con la sua presenza, o con lo scritto, non mi
lascerebbe così per tanto tempo. Lei solo mi capisce veramente. Dopo
Gesù, è a lei che devo tutto... » (lettera a p. Pinho, 13-12-1954).