Mio buon padre [Umberto] ... Sono sempre la stessa, la povera Alexandrina.
Deolinda è giunta da poco a casa [da Oporto] e, siccome per andare a
feste nessuno è zoppo, si è già combinato tutto ed è quanto le voglio
esporre. Viaggeranno venerdì notte con il treno per Entroncamento ze,
perché più comodo. Ora le chiedo il favore di comprare sei biglietti
per le quattro "Maddalene", per il padrino, che ne soffrirebbe se non
andasse, e per quella nostra zia di cui le ha parlato Deolinda; la zia,
appena sarà costi, le darà il danaro del suo biglietto; ella può
pagare. Proprio ieri ho ricevuto una lettera della signorina Maria za
nella quale mi spiega tutto e manifesta il desiderio che vadano alla
vigilia. Mi dice di combinare con lei l'orario e di comunicarglielo;
usi questa grande carità di trasmetterglielo e di dirle che va anche
questa mia zia. Mi prega di non portare i viveri, ma non sarà troppo?
Non è abusare della loro bontà, tanto più che gli ospiti sono
aumentati? Faccia il favore di informarla bene di tutto. Non è
necessario che si incomodi per i letti: basta una camera per il
reggimento e un'altra per il comandante.
Se non accade nulla di nuovo, venerdì pomeriggio saranno da lei [ad
Oporto]. Io, poverella, non sono nata per godere queste belle cose, ma
approfitto di queste grazie immeritate come fossero per me. Gioisco nel
vedere i miei contenti e soddisfatti per la bella sorpresa che la
signorina e la sua buona mamma' hanno fatto loro impegnandosi di
portarli con la macchina alla Cova di Iria [Santuario di Fatima]... »
(lettera a d.Umberto, 7-5-1946).
... Gesù ha permesso che i miei potessero andare a Fatima il 13 maggio.
Mi sono fatta forte, mi sono sforzata il più possibile di mostrarmi
contenta perché. stentavano a staccarsi da me. Si avvicinava il giorno
della partenza... Soffrivo immensamente: chiedevo a Gesù che mi desse
forza per nascondere la mia sofferenza e vederli quindi partire
contenti. Gesù mi ha ascoltata... Appena partiti, si impossessò di me
un tormento indicibile...: mi pareva di vederli tornare dalla Cova da
Iria in automobile, tutti gravemente feriti ed inzuppati di sangue;
vedevo che ero io la causa di tanto grande disastro perché io li avevo
spinti ad andare; non fu sofferenza di minuti, ma di ore... Persone che
mi vogliono bene mi hanno portato una radio affinché potessi seguire le
funzioni di Fatima: ero stata io ad esternare questo desiderio. Ne ho
gioito tanto quando l'ho avuta: sembravo una bambina attorniata da bei
giocattoli. Ne ero meravigliata ed ho pensato: nessuna cosa del mondo
mi rallegra; sento gioia soltanto nel dolore e nel fare la volontà di
Dio; perché mai provo questa allegria? Mi hanno spiegato che non c'era
da meravigliarsi, perché la mia gioia era per motivi di cielo e non
della terra.
Di notte, dal giorno 12 al 13, nell'ora in cui si doveva sentire ciò
che avveniva a Fatima, dalla radio siamo riusciti a ricevere solo da
altre nazioni e non dal Portogallo! Sono ritornate le sofferenze... Sia
fatta la volontà del Signore: io non merito nulla.
Improvvisamente la radio ha incominciato a trasmettere da Fatima: ho
potuto pregare a voce alta con quelli che erano vicini a me; uniti ai
pellegrini di Fatima abbiamo fatta l'adorazione. Il giorno 13, di
mattina, non si è riusciti ad udire dalla radio se non qualche nota
dell'organo e nulla più. Che desiderio avevo di udire ciò che avveniva
a Fatima!... Ho finto allegria per nascondere il dispiacere e con una
forza nuova, venuta dall'alto, ho pregato insieme ai presenti e cantato
lodi alla Madonna. Quando tutti si sono ritirati dalla mia camera mi
sono sentita oppressa dal dolore... (diario, 17-5-1946).
Grande l'umiliazione che proviamo perché non ci sentiamo degni di
riceverla qui. Ma che sarebbe di noi se il Signore facesse distinzioni
fra ricchi e poveri? Ci sentiamo più umiliate perché indegne di
accoglierla qui... Sia lodato il Signore per tante sofferenze che
permette ed esige da noi... » (lettera a d. Umberto, 20-5-1946).
« Cara signorina Maria... Sentiamo proprio vergogna: se avessimo saputo
chi è lei, non avremmo osato tanto! Ma l'espressione "oh, se avessi
saputo" arriva sempre tardi... Che lei non si sia sentita umiliata nel
ricevere i miei in casa sua è veramente degno di ammirazione. Gesù le
paghi quanto ha fatto per la mia famiglia. Potrà averne ricompensa solo
dal cielo. Le chiedo perdono per qualsiasi mancanza che possono avere
commesso. Ci conosce tutti, quindi abbia pazienza... » (lettera a
Maria Sommer, maggio 1946).
« Cara signorina Maria... Ho sofferto nel sapere che la mia lettera
l'ha rattristata. Creda che non volevo farle dispiacere. Sono state la
sua bontà e delicatezza e soprattutto la sua grande umiltà a spingermi
a parlare come ho fatto. Continueremo a trattarla come prima.
Per accontentarla, dal momento che ho incominciato male, voglio in
questo fare male fino alla fine. So molto bene che le ricchezze sono un
dono di Dio, ma era mio dovere trattarla per chi è. Però io non sapevo.
Mi perdona? Quando potrà ritornare qui la riceveremo con tanto
piacere, sempre con lo stesso trattamento, con disinvoltura.
Il passaggio dalla Cardiga non ha mortificato i miei, anzi ne sono
ripartiti contenti e ammiratissimi; non soffra per questo... E ora che
dirle? Che non la dimentico mai e, nonostante la mia grande miseria e
indegnità, la tengo in posto molto distinto nel mio cuore perché così,
molto unite, ameremo tanto Gesù e la cara Mammina... » (lettera a Maria
Sommer, 19-6-1946) .