Passai la notte triste, ma in unione con Gesù... Uscii dalla
prigione... Sentivo in me Gesù che, pazzo di amore, camminava tra una
moltitudine, preoccupato soltanto di dare a tutti il cielo: solo
l'amore di un Dio poteva affrontare così grande martirio... Lo vidi
cadere; vidi il Suo santissimo Volto contuso, ferito, con sguardo di
compassione e profonda tristezza. Quali sguardi dolci che invitano e
attirano le anime! Io non potevo resistere a quell'invito di Gesù; non
sopportavo quel dolore, stavo per svenire. Lo vidi molto chiaramente:
croce sulle spalle, un ginocchio a terra e l'altro alzato mentre faceva
un grande sforzo per rialzarsi. Dietro di Lui camminava una donna; non
ne ho veduto il volto, ma solo la folta capigliatura sciolta... Quando,
giunta al Calvario, mi tolsero le vesti, brandelli di carne vi rimasero
incollate. I dolori dei nervi, o non so di che, furono tali che si
ripercossero nel cuore a tal punto che mi lasciarono senza respiro e
quasi senza vita. La mia lingua ferita era tanto gonfia che mi pareva
non poterla contenere nella bocca. Il mio volto non era volto: sentivo
che non aveva forma umana... (diario, 21-9-1945).
Tornai a ricevere Gesù Eucaristico. Dove scese mai! Nella cecità del
mio spirito, nelle tenebre orribili, nel mare immenso e spaventoso di
corruzione... Questo mare, lo sento in me e, allo stesso tempo,
separato da me: mi causa orrore e non mi appartiene. Non posso
permettere che Gesù vi scenda e non so come fare. Egli si lascia
trasportare e va a ferirsi in questo fango tanto avvelenato: è
immondizia che ha spine le quali feriscono e lo fanno sanguinare.
Vorrei impedire che Gesù si posi in esse e non riesco. Sono pazza di
vergogna e pazza di amore: di vergogna nel sentirmi in quello stato, di
amore che va in cerca di tutti i mezzi possibili per impedire che Gesù
si posi su ciò che tanto Lo ferisce.
Ma questa mia pazzia di amore si avvolge nella notte tenebrosa del mio spirito...
Il mio povero spirito, rifiutato dal cielo e dalla terra, vaga in una
regione che non vide mai luce. Va come l'uccello che, senza tregua,
batte le ali, giorno e notte, e non riesce a riposare: se sale, non
trova via d'uscita; se scende e si immerge, non la trova ugualmente;
non c'è cammino per cui io possa uscire dalle tenebre. Il cuore e
l'anima tremano e piangono sgomenti. Che orrore, mio Dio, che
disperazione in me! Ma sono disperazioni che mi permettono di restare
calma e serena. È la Tua volontà divina, o Gesù, e io l'accetto.
Quante volte sento bere avidamente nel mio cuore fino alla stanchezza!
Chi beve lo fa con molta dolcezza, lo fa con tanto gusto ma non è mai
sazio. Io pure non mi sazio; non vi è nulla che mi soddisfi e consoli.
Per quanto soffra, nulla soffro e nulla ho da offrire per consolare
Gesù. E le mie anime muoiono di fame; voglio salvarle; non posso
vederle morire... (diario, 24-9-1945).