MaM
Messaggio del 18 marzo 2005:Cari figli, io vengo a voi come Madre che al di sopra di tutto ama i suoi figli. Figli miei, desidero insegnare anche a voi ad amare. Io prego per questo. Prego affinchè riconosciate mio Figlio in ogni vostro prossimo. La via che porta a mio Figlio, che è vera pace e amore, passa attraverso l’amore al prossimo. Figli miei, pregate e digiunate affinchè il vostro cuore sia aperto per questa mia intenzione.

Beata Alexandrina Maria da Costa - Non più trenta ma quaranta giorni

Passavano così, in una lotta continua, i miei giorni, con­traddistinti solo per l'avvicendarsi delle infermiere che si suc­cedevano secondo la volontà del dottor Araújo; per causa di alcune ho sofferto immensamente perché oltrepassavano i limiti dei loro diritti e dei loro doveri. Giunsero i giorni in cui il dottore, convinto ormai della verità, promise maggior distensione, permettendo di lasciarmi per qualche tempo la sorella, presente sempre l'infermiera. Con­cesse anche alle Suore Francescane del « Rifugio » di farmi una brevissima visita. Avevamo già progettato di comunicare a casa la data del nostro ritorno, quando inaspettatamente sorse un contrattempo. Una delle infermiere aveva informato del mio caso il dott. Alvaro. Questi, non conoscendo me né i miei fenomeni, fece nascere dubbi. Incominciò ad affermare che sono cose impossibili, che le assistenti si sono lasciate ingannare e che crederebbe soltanto mandando un'infermiera di sua fiducia. Il dott. Araújo, indi­gnato per la diffidenza circa la sorveglianza fatta da lui, gli impose di mandare egli stesso la persona che giudicasse più idonea: fu scelta una sorella dello stesso dott. Alvaro. Quando noi pensavamo di vederci alleggerite dal nostro dolore, ci è stata chiesta una nuova prova quanto mai triste e dolorosa. Il dott. Araújo venne a convincermi che era con­veniente rimanere ancora dieci giorni. Anche se lui era certo della verità, conveniva convincere l'altro suo collega. Mia so­rella non era d'accordo, ma io risposi: - Chi è stato 30, può stare 40. -

Il dott. Alvaro, veramente, non esigeva 10 giorni. Per con­vincersi gli bastava che io stessi 48 ore senza mangiare né evacuare. Ma fu il dott. Araújo che, delicatamente, per l'onore del suo nome, invitò la signora assistente a rimanere un giorno di più e poi un altro. Questo ultimo periodo fu un nuovo calvario che io offersi a Gesù e a Mammina: dura prova, mio Dio! [In uno di questi giorni] il dott. Araújo, senza spiegazioni, prese la borsa di gomma che avevo sullo stomaco e un fiasco d'acqua che le assistenti conservavano per bagnare il fazzoletto che tenevo sulla fronte e vi infuse in entrambe non so che cosa: se avessi succhiato il fazzoletto o bevuto dalla borsa, come disse poi il dott. Alvaro, avrei avuto dei disturbi che loro, sapevano. Ordinò poi alle assistenti di non cambiarmi il ghiac­cio della borsa anche se lo chiedessi io. Sono stata agli ordini, anche se la signora nuova assistente tentò più volte di cam­biare il ghiaccio. Sono stata io a dirle: - Mi tolga la borsa soltanto per lasciarla rinfrescare un po' e poi me la dia. Biso­gna obbedire agli ordini del medico. - Si ritornò al rigore di prima, anzi più stretto. Si proibì perfino che mi si parlasse di Gesù, pensando forse che in quel modo si potesse strappare ciò che è in noi! Un giorno il dottore mi disse: - Non consento che chiami sua sorella se non una volta per notte. - La signora assistente, parecchie volte, quasi a tentarmi con una attenzione bugiarda (non voglio dire che fosse falsa; era solo l'impressione che mi lasciava), mi diceva: - Povera santa, sempre in quella posizione! Io chiamo sua sorella! - Al che rispondevo: - Molto grata, mia signora, ma non voglio. Sono ordini del medico: mia sorella deve venire una sola volta! - Quando mia sorella bussava per entrare, quell'unica volta concessa dal dottore, per cambiarmi di posizione, la nuova as­sistente accendeva la luce, apriva la porta, si poneva di fianco a mia sorella. Appena questa usciva, fingendo compassione per il freddo che avevo potuto buscarmi, e come per voler acco­modar meglio lenzuola e coperte, mi scopriva completamente per vedere se Deolinda mi avesse lasciato qualcosa nel letto. lo comprendevo benissimo l'intenzione, ma, fingendomi sem­pliciona, alzavo le braccia al di sopra dei cuscini affinché po­tesse ispezionare meglio. - Mio Gesù, tutto e solo per Te! -

Né mancarono le seduzioni per farmi prendere qualcosa delle sue refezioni. Se mi allungava qualche boccone senza par­lare, io le sorridevo. Se l'invito era a parole, le dicevo: - Gra­zie - ma sempre sorridendo, mostrando di non cogliere la sua malizia. Principalmente di notte, quando più sentivo la solitudine, il tempo mi pareva eterno. Sentivo il mio cuore, come fosse un albero dalle folte radici, che avesse le sue vene lungo il pavimento e le pareti e che la furia di una grande tempesta strappava buttandomi a terra...; mi pareva che tutto e tutti mi calpestassero. Dicendo così, sento di non dire nulla in con­fronto di quanto ho sofferto. Ancora oggi rivivo nella mia memoria queste cose e provo un vero tormento. Solo l'amore per Gesù e le anime può far superare queste prove! Sentendo avvicinarsi il dottore, dicevo tra me: - Arriva l'aguzzino a visitare la povera carcerata per amore di Gesù e delle anime. Non ho offeso nessuno se non Te, mio Gesù; ma gli uomini vogliono, senza pensarlo, che in questo modo io paghi le mie ingratitudini. - Vedendo mia sorella spaventata per aver sentito dire che il mio avvelenamento era sicuro perché non evacuavo cercavo di farle coraggio. Poveri uomini! Gesù sa fare le cose molto meglio di loro!