Giunse il 10 giugno e tutto era pronto per il viaggio all'ospedale di Foce del Duro. L'amarezza che si impossessò di me era enorme, ma allo stesso tempo mi venne un tale coraggio che potevo nascondere ciò che sentivo nell'anima. Deponevo tutta la mia fiducia in Gesù ed ero tanto convinta del suo divino aiuto da pensare che, se fosse stato necessario, Egli avrebbe mandato i suoi angeli ad aiutarmi nell'esilio in cui mi volevano gli uomini. Quando giunse il medico [Azevedo] per prelevarmi, non ebbe il coraggio di dirmi che bisognava partire; fui io ad intervenire: - Andiamo, signor dottore, chi non parte, non ritorna! - Ci fu il commiato. Soltanto Gesù sa quanto mi costò la separazione dai miei cari che mi abbracciarono e baciarono pieni di dolore. Io guardavo solo il Cuore di Gesù e la cara Mammina per chiedere forza. Scendendo le scale in lettiga dissi a tutti per rianimarli: - Coraggio! Sia tutto per Gesù e per le anime! - Ma non ho potuto dire altro per l'oppressione del cuore e per potere contenere le lacrime. Era quanto volevo per non aumentare il loro dolore. Appena fui sull'autolettiga, attorniata da oltre 100 persone, vidi le lacrime sul volto di quasi tutti e udii i singhiozzi di mia madre e di altri parenti. E indicibile il dolore che provai. Ero ansiosa di partire e partire in fretta. Il mio cuore pulsava con tanta violenza che pareva staccarmi le costole. Dissi allora a Gesù: - Accetta tutte le pulsazioni mie come atti di amore e per la salvezza delle anime. -
Il viaggio fu difficile. Mi sembrava che il cuore non reggesse. Ogni tanto guardavo mia sorella; era tanto desolata! Il medico diceva che non costava viaggiare con ammalati come me perché mi vedeva sempre con il sorriso sulle labbra. Ma Gesù sa l'amarezza del mio cuore e le torture del mio povero corpo. Con le scosse dell'autolettiga mi sentivo depressa, ma ripetevo sovente: - Tutto per Tuo amore, Gesù! E che il buio della mia anima serva a dar luce alle anime! - Presso le ultime case di Balasar il signor Sampaio alzò le tendine dell'autolettiga. Notai che il medico aveva le lacrime agli occhi e disse: - Carini! - Gli domandai che cosa avveniva. Mi spiegò che lungo la strada alcuni fanciulli lanciavano fiori verso di noi. Mi sentii intenerita e a stento trattenni le lacrime che forzavano per uscire. Quando giungemmo a Matozinhos il medico alzò le tendine perché vedessi il mare. Un enorme silenzio mi dominò ed osservando il movimento continuo delle onde sulla spiaggia chiesi a Gesù che anche il mio amore fosse continuo e duraturo. Giunti al « Rifugio » il dott. Gomes de Araújo non consentì che l'autolettiga arrivasse fino alla porta. Incaricò alcuni uomini di prender la mia barella e di portarmi così, dopo avermi coperto il viso perché nessuno mi vedesse. Il mio cuore si rattristò ancor più presentendo cosa sarebbero stati quei lunghi giorni in tale casa. Così coperta mi pareva di esser in una cassa e domandavo a me stessa: - Che delitto ho mai commesso? - La salita delle scale del « Rifugio » mi causò un martirio perché mi portarono con la testa all'ingiù. Mi scoprirono il volto soltanto in camera dove mi vidi attorniata dal dott. Araújo e da alcune signore che sarebbero state le mie assistenti. Mi collocarono poi nel mio letto. A mia sorella avevano destinato un'altra camera, contrariamente a quanto avevo richiesto. Fu uno dei maggiori sacrifici che potevano esigere da noi: come avrei potuto stare senza di lei, che sapeva come muovermi quando era necessario ed aiutarmi con buone parole che mi servivano tanto a sopportare il doloroso calvario? Mi avevano appena adagiata sul letto che Deolinda si presentò sulla porta con la valigia della biancheria. Il dott. Araújo, vedendola, urlò come un forsennato: - Fuori quella valigia! - Fu altra spina fra le tante. Quindi iniziò a dare ordini: - Le assistenti, le assistenti! L'inferma può dir ciò che vuole ma voi non siete autorizzate ad interrogarla. -
Dati questi ordini si ritirò e rimasero il mio medico [Azevedo] e due signore; queste si sarebbero trattenute presso di me permanentemente per vigilare tutti i miei movimenti.
Quando, ormai notte, il dott. Azevedo stava per allontanarsi, non potei più trattenere le lacrime. Egli allora, più che con rispetto, con vera tenerezza per il mio dolore, mi disse: - Si faccia coraggio! Domani ritornerò. - Ho pianto sì, con vero dispiacere, ma ho offerto quelle lacrime tanto amare al mio caro Gesù. Nel vedermi così desolata fu concesso che per quella notte mia sorella rimanesse in camera mia con una delle signore, affinché le insegnasse il modo di voltarmi. Ma si precisò subito: - Solo per questa notte, poi mai più! -