Fu nel settembre 1934 che io mi persuasi pienamente essere stata la Voce del Signore [a pronunciare quelle parole: « soffrire, amare, riparare »] e non un mio slancio spirituale a suggerirmele.
Fu allora che Egli mi chiese, parlando così: - Dammi le tue mani: le voglio crocifiggere; dammi i tuoi piedi: li voglio inchiodare con Me; dammi il tuo capo: lo voglio coronare di spine come fecero a Me; dammi il tuo cuore: lo voglio trapassare con la lancia come trapassarono il mio; consacrami tutto il tuo corpo, offriti tutta a Me. -
Mi chiese questo due volte [il 6 e l'8 settembre]. Non so esprimere il mio tormento, perché non potevo scrivere e non volevo dir nulla a mia sorella, ma non volevo neppure tacere, perché capivo di non fare, tacendo, la volontà di Dio: dovevo dire tutto al direttore spirituale.
Mi decisi a fare il sacrificio e chiesi a Deolinda di scrivere quanto le avrei dettato. Lo abbiamo fatto senza scambiarci uno sguardo. Scritta la lettera, morì tutto in noi e non se ne parlò mai più. Se fino allora ogni lettera del direttore mi aveva portato gioia, da quel momento non provai più consolazione: vivevo nel terrore che mi trattasse male e mi dicesse che quanto avveniva in me era falsità.
Avevo ceduto all'invito del Signore, ma pensavo che i sacrifici che mi avrebbe chiesto sarebbero stati soltanto le sofferenze portate dalla malattia, anche se maggiori; non mi era passato per la mente che mi avrebbe chiesto di soffrire per fenomeni singolari. Il direttore mi obbligò a scrivere tutto e per due anni e mezzo non mi disse mai che erano cose di Dio. Questo suo silenzio mi fece soffrire assai.