(1) Continuo il mio abbandono nel Voler Divino, con lo strazio quasi continuo della privazione del mio dolce Gesù. Oh! Dio, che pena tremenda, oh! come rimpiango il mio passato, il suo dolce sorriso, i suoi baci affettuosi, la soavità della sua voce, la sua bellezza incantevole e rapitrice, i suoi casti abbracci, i suoi teneri palpiti che con tanto amore faceva palpitare nel mio, che mi divinizzava e trasformava la sua vita in me; ogni atto di Gesù, ogni parola e ogni sguardo, erano tanti paradisi di più che formava nella sua piccola figlia, e ora ricordandoli sono ferite, dardi acuti, frecce infocate d’intenso dolore, di martirio e di morte continua. Ma non sta qui tutto il mio dolore; forse il dolermi sarebbe stato di sollievo, perché il dolore mi avrebbe detto a chiare note che il mio amore verso di Colui che io amavo e che tanto mi aveva amato, formava il mio strazio, ma neppure questo mi viene concesso, perché mentre le ferite stanno per sanguinare, i dardi per scoccare, le frecce per bruciarmi, la luce del santo Voler Divino scorre in esse, ed eclissando tutta la forza del mio duro martirio, fa scorrere la pace, la felicità, la rugiada benefica sulla povera anima mia, sicché non posso avere neppure il bene di dolermi per una perdita sì grande. Oh! se mi potessi dolere come prima, io credo che il mio sommo bene Gesù non la prendeva così a lungo a ritornare, ma non è ciò in mio potere, sono in balia del Fiat Divino che non mi lascia nessun vuoto in me, e vuole padroneggiare anche sul mio dolore della privazione di Gesù. Ora mentre nuotavo nei due mari, dolore d’essere priva di Gesù, e nel mare della luce del Voler Divino, che pareva che uno si fondeva nell’altro, seguivo il mio giro in Esso e mi sono soffermata alla Creazione dell’uomo, ed il mio dolce Gesù, movendosi appena nel mio interno mi ha detto:
(2) “Figlia mia, la nostra Divinità nel creare l’uomo accentrò tutto in lui, come se nulla avessimo fatto in tutto il resto della Creazione mettemmo tutto da parte e ci occupammo solo di lui, il nostro amore giunse all’eccesso, lo guardammo e riguardammo per vedere s’era bello, se traspariva la nostra bellezza in lui, il nostro Essere Divino pioveva come a pioggia dirotta su di lui, e sai che pioveva? Santità, luce, sapienza, grazia, amore, bellezza, fortezza, e mentre ci scaricavamo su di lui, i nostri sguardi erano fissi sopra dell’uomo, per vedere se tutte le nostre qualità erano accentrate in lui, in modo che nulla doveva mancargli per amarlo e per essere riamato, tanto che la sua bellezza ci rapiva, il suo amore ci investiva, tutte le nostre qualità messe in lui facevano eco nel nostro Essere Divino, e ci legavano e ci portavano a lui. Che tempo solenne, che punto indimenticabile, che foga d’amore fu la creazione dell’uomo, tutte le nostre qualità divine strariparono fuori e festeggiarono la sua creazione, e per compimento della nostra festa, gioia e felicità, scossi dal nostro stesso amore, guardammo la macchina di tutto l’universo e gli facemmo dono di tutto, costituendolo re di tutte le cose create, per poter dire a Noi e a lui: “Re dominanti siamo Noi, re e dominante è l’opera delle nostre mani, il caro figlio partorito nello sbocco del nostro amore”. Sarebbe stato disdicevole e non decoroso per Noi, fare del nostro figlio un servo dissimile da Noi nella somiglianza e nel dominio. Non sarebbe forse disdicevole ed indegno per un re fare del suo figlio un vile servo, mettendolo fuori della sua reggia, in un povero tugurio? Questo re meriterebbe il biasimo di tutti e si terrebbe non come padre e re, ma come tiranno. Molto più il nostro parto che usciva dal fondo del nostro amor divino, perciò volevamo il decoro e l’impronta della regalità nell’opera nostra. Ora, questo nostro amore fu spezzato dall’uomo, e col sottrarsi dalla nostra Volontà Divina, lui stesso si tolse l’impronta della regalità e le divise di re, ma da parte nostra nulla si cambiò e persistemmo nella Volontà nostra di fare dell’opera delle nostre mani il figlio re, non servo, e perciò in tutta la storia della Creazione ritorniamo all’assalto e al compimento del nostro Volere, e ne chiamiamo una di questa stirpe e mettendo tutti da parte, come se nessun altro esistesse, rinnoviamo la solennità della creazione del primo uomo. La foga del nostro amore forma onde altissime e ci fa vedere tutto amore, e mettendo costei in queste onde, ad onta che la nostra onniveggenza vede tutto, mettiamo tutto da parte, e con questa rinnoviamo il gran prodigio del primo atto della Creazione. Ciò facemmo con la Sovrana Regina, e non spezzando Lei il nostro amore e conservandosi la vita del nostro Volere, tiene il titolo ed il diritto di Regina. Oh! come il nostro amore gioisce, fa festa nel vedere in Lei la prima Regina delle opere delle nostre mani creatrici, ma il nostro amore non contento d’avere una sola Regina, né fu questa la nostra Volontà nella Creazione, ecco perciò il nostro amore rigurgitando forte, forte, e mettendo fuori le sue onde contenute, chiama Colei e accentra in Essa tutta l’opera della Creazione, piove su di Lei come pioggia dirotta, straripa le sue qualità divine, per avere la seconda figlia Regina, per farle formare le fondamenta del regno della nostra Volontà, e così poter avere il seguito dei nostri figli, tutti re e regine. Ecco perciò sto mettendo tutto da parte per operare in te il primo atto della Creazione, il mio amore mi forma l’incanto, che mentre guardo gli altri mi fa tenere lo sguardo fisso su di te e mi fa piovere tutto ciò che ci vuole per farmi formare il regno della mia Volontà in te. Io faccio come un padre, che avendo collocati altri figli e dovendo collocare un’altro, non pensa né a quelli di prima né a quelli che deve collocare dopo, ma mettendo tutti gli altri da parte pensa solo a colui che sta per collocare, e se il figlio è buono e colei che ha scelto è degna di lui, il padre non bada a spese, lo dota di maggiori ricchezze, le prepara un’abitazione sontuosa, insomma mette fuori tutto il suo amore paterno. Così faccio Io quando si tratta di realizzare lo scopo della Creazione, qual’è il regno della mia Volontà in mezzo alle creature, a colei che chiamo per prima non risparmio nulla, tutto accentro in lei, sapendo che il tutto sarà ereditato da coloro che la seguiranno”.