(1) Mi sentivo sommamente afflitta per le solite privazioni del mio amato Gesù, ma per quanto è solita la pena si fa più intensa e si rincrudisce sempre più fino a rendermi impietrita. Ora mentre stavo immersa come nel mare in questo dolore, mi è stato dato un rinfresco ed io guardavo in quell’acqua gelata la Volontà di Colui che mi teneva torturata, ma pur mi amava, che aveva preparato quel rinfresco. E mentre lo appressavo alle mie labbra, Gesù si è mosso nel mio interno in atto di stendere la mano per sostenere il bicchiere per darmi Lui a bere dicendo:
(2) “Servo la mia regina, essa serve Me che sono il Re ed Io servo lei che è mia regina, perché chi fa e vive nella mia Volontà è sempre pronta a fare ciò che Io voglio, quindi serve il suo Re fedelmente ed in modo mirabile e stando la mia Volontà in lei Io servo la mia stessa Volontà che l’ha resa regina”.
(3) Io nel sentire dire ciò, sono scoppiata in pianto di tenerezza indicibile e pensavo tra me: “Regina! regina! E mi lascia così sola e abbandonata fino a farmi giungere agli estremi? E poi se ne viene con un ritrovato per lasciarmi più a lungo. Ah! Gesù! Gesù! Vuoi Tu burlarmi? ” Ma mentre sfogavo il mio dolore si è mosso di nuovo nel mio interno e ha soggiunto:
(4) “Figlia mia, non ti burlo; anzi ti dico che non c’è felicità maggiore quando il re serve la regina e la regina il re. E se la regina fosse inferma, se si vedesse servita dal re, sostenuta nelle sue braccia, imboccata il cibo dalle sue mani, non c’è cosa che il re non le fa e non permette che nessun servo si avvicini a servire la sua regina, la malattia si cambierebbe in felicità per la inferma regina e nel vedersi toccata, servita, sostenuta, vegliata dal re, si sente come se il suo amore le ridonasse la vita. Se ciò succede nell’ordine naturale, che un re è più felice di essere servito dalla regina, un padre da una figlia e la figlia si è servita di suo padre o della sua mamma, perché il re, il padre, la figlia, nella servitù che prestano hanno per primo atto l’amore e vorrebbero dare la vita coi loro servizi. Ecco perciò restano felicitati nelle loro pene, ciò che non sta nei servi e perciò il servizio dei servi è sempre duro. Ora molto più nell’ordine soprannaturale, chi vive nel mio Volere è mia regina ed il suo primo atto è l’amore ed in tutti gli atti che fa mi dà la sua vita ed Io, oh! come mi sento felice negli atti suoi, perché sono gli atti della mia stessa Volontà che mi servono. Ed Io vedendo te inferma per causa mia mi sento felice di servirti nelle stesse cose da me create, volendoti dare in ciascuna di esse la mia stessa vita e nel dartela mi sento raddoppiare la mia felicità, perché servo la mia Vita in colei che possiede la mia Volontà, che me la rese regina. Non così succede quando le mie cose create servono a chi non fa la mia Volontà; queste sono servi perché non possiedono una Volontà regale ed oh! come mi riesce duro servire ai servi. Che un re serve ad una sua regina non sì degrada, anzi acquista gloria ed eroismo, ma essere costretto a servire i servi, qual dolore e umiliazione”.
(5) Dopo di ciò seguivo gli atti nel Voler Divino e pensavo tra me: “Come le privazioni del mio dolce Gesù hanno fatto tale impressione sulla povera anima mia, che non sento più quei fervori così accesi di prima, ma tutto è freddezza. Oh Dio! che coltello a due tagli è la tua privazione. Da una parte taglia, dall’altra uccide e coi suoi tagli toglie e distrugge tutto e lascia tale nudità anche delle cose più sante, che a stento e solo per compiere il Voler Supremo si vive”. Ma mentre ciò pensavo il mio amato Gesù si è mosso nel mio interno dicendomi:
(6) “Figlia mia, eppure tutto ciò che tu sentivi prima nel tuo interno entrava nell’ordine della grazia ordinaria: Fervori, sensibilità, è grazia ordinaria che do a tutti a secondo le loro disposizioni e sono soggetti ad interruzioni, ora a nascere e ora a morire e perciò non costituiscono né vita, né sodezza di santità. Invece nella mia Volontà ti ho investito di grazia straordinaria, che sono fermezza nel bene e atto incessante, virtù proprie Divine, credi tu che sia cosa da nulla oppure ordinaria quel tuo giro continuo nelle opere del tuo Creatore? La fermezza della tua volontà nella mia solo per seguire gli atti del mio Eterno Volere? Innanzi alla mia Volontà i fervori, le sensibilità, non hanno che ci fare, sono come le piccole luci innanzi al gran sole, che non hanno ragione d’esistere e se esistono è per non far nulla. La mia Volontà assorbe tutto e fa diventare l’anima tutta Volontà di Dio, che vuol fare di essa un altro sole. Chi è sole vuole che tutti diventino sole, sarebbe non cosa degna di esso formare piccole luci, uscirebbe dalla sua natura. E tu ti stai a piangere le piccole luci e non pensi che un Sole ti investe dandoti fermezza ed irremovibilità. Molto più che quando regna la mia Volontà nell’anima è come il palpito del cuore, che tiene il primo atto di vita in tutte le membra, è come la vita, il moto, la forza, il calore, tutto viene dal palpito, se cessa il palpito cessa la vita, il moto e tutto.
(7) Ora la mia Volontà, come palpita nell’anima, palpita e dà Vita Divina, palpita e dà il suo moto incessante, la sua forza che non viene mai meno; palpita e dà la sua luce inestinguibile. Com’è bello vedere il continuo palpito della mia Volontà nella creatura, è il più gran miracolo che esiste tra il Cielo e la terra, è l’ordine perfetto tra Creatore e creatura. Ed Io faccio come un Padre con l’anima dove regna il palpito del mio Volere, il quale tiene sempre con sé il suo proprio figlio, gli comunica i suoi modi, gli imbocca le sue parole, vorrebbe palpitare nel figlio per dargli il suo ingegno, la sua vita e quando è sicuro che il figlio è un altro sé stesso e può fare ciò che sa far lui, gli dice: “Figlio mio, esci nel campo della vita e fa ciò che finora ha fatto tuo padre; lavora, disimpegna i nostri affari, prendi tu tutto l’impegno della famiglia, sarai la ripetizione della mia vita ed io mi riposo, ti accompagnerò col mio palpito, affinché senti in te la vita di tuo padre e fedelmente la svolgi, aspettandoti nel mio riposo per godere insieme i frutti delle tue fatiche”. Più che Padre faccio con l’anima dove regna il mio Volere. Anzi il padre non può dare il palpito al figlio ed Io ce lo do, la tengo sempre insieme con Me, le insegno i miei modi Divini, le comunico i miei segreti, la mia forza e quando son sicuro la slancio nel campo della vita della mia Volontà, affinché prende tutto l’impegno dell’umana famiglia e le dico: “Figlia mia, lasciami riposare, affido a te tutto, ma nel mio riposo ti aspetto spesso per godere il frutto del lavoro che fai nel regno della mia Volontà”. Non vuoi tu dunque che il tuo Padre, il tuo Gesù riposi e tu lavori, ma sempre col mio palpito invece mia? ”
(8) Ed io: “Mio Gesù, ma tu quasi che non mi dici più nulla ed io non solo mi sembra che debbo lavorare da sola senza di Te, ma mi manca la tua parola che mi stenda la via che debbo fare nel regno del tuo Volere”. E Gesù ha soggiunto:
(9) “Figlia mia, la mia parola è vita ed Io quando parlo debbo vedere se questa vita può aver vita nelle creature, se questo non c’è non espongo una mia Vita Divina se non c’è chi la riceve e mi basta anche una sola creatura veder disposta per uscire fuori di Me nella mia parola, questa vita Divina. Ecco perciò molte volte non parlo, perché non veggo i disposti per vivere la vita della mia parola. Molto più che con te non ho bisogno di parole per farmi intendere, basta guardarci per capirci, non è vero? Tu intendi me ed Io intendo te”.