(1) Stavo accompagnando il mio penante Gesù nelle ore della sua amarissima Passione, specie quando Gesù fu presentato dai giudei a Pilato ed accusato, e Pilato, non contento delle semplici accuse che gli facevano, ritornava alle interrogazioni per trovare, o causa sufficiente per condannarlo o per liberarlo. E Gesù, prendendo il suo dire nel mio interno mi ha detto:
(2) “Figlia mia, tutto è mistero profondo nella mia Vita ed insegnamenti sublimi, in cui l’uomo deve specchiarsi per imitarmi. Tu devi sapere che era tanta la superbia dei giudei, specie per la finta santità che professavano, per cui erano tenuti per uomini retti e coscienziosi, che credevano che solo col presentarmi loro e dire che mi avevano trovato colpevole e reo di morte, Pilato doveva crederli, e senza farli subire nessuno interrogatorio doveva condannarmi, molto più che dovevano fare con un giudice gentile che non aveva né conoscenza di Dio né coscienza. Ma Iddio dispose diversamente per confonderli e per insegnare ai superiori che per quanto buoni e santi compariscano le persone che accusano un povero reo, non credergli facilmente, ma quasi impacciarle con tante interrogazioni per vedere se c’è la verità, oppure sotto quell’abito di bontà c’è qualche gelosia, rancore, o per strappare dai superiori, facendosi strada nei loro cuori, qualche posto o dignità ambita; lo scrutinio fa conoscere le persone, le confonde e si mostra che non si ha fiducia di loro, e non vedendosi apprezzati si tolgono il pensiero di ambire posti o di accusare altri. Quanto male fanno quei superiori quando ad occhi chiusi, fidandosi d’una finta bontà, non di una virtù provata, li mettono in posto o danno ascolto a chi accusa di qualche reità. Quanto non restarono umiliati i giudei nel non essere creduti facilmente da Pilato nel subire tante interrogazioni, e se cedette a condannarmi, non fu perché li credete, ma forzato e per non perdere il posto, questo li confuse, in modo che restò come marchio sulla loro fronte una estrema confusione ed una umiliazione profonda; molto più, che scorgevano in un giudice gentile più rettitudine e più coscienza che in loro; quanto è necessario e giusto lo scrutinio, getta luce, calma nei veri buoni e confusione nei cattivi. E quando volendo scrutinare anche Me, mi domandò Pilato: “Re sei Tu? E dov’è il tuo regno?” Io volli dare un’altra sublime lezione col dire: “Re Io sono”. E volevo dire: “Ma sai tu qual’è il mio regno? Il mio regno sono i mie dolori, il mio sangue, le mie virtù; questo è il vero regno, che non fuori di Me, ma dentro di Me posseggo, ciò che si possiede di fuori non è vero regno né sicuro dominio, perché ciò che non sta dentro dell’uomo, può essere tolto, usurpato, e sarà costretto a lasciarlo; invece ciò che c’è dentro, nessuno potrà toglierlo, il dominio sarà eterno dentro di lui. Le caratteristiche del mio regno sono le mie piaghe, le spine, la croce, dove non faccio come gli altri re, che fanno vivere i popoli fuori di loro, mal sicuri, se occorre digiuni; Io no, chiamo i miei popoli ad abitare nelle stanze delle mie piaghe, fortificati e difesi dai miei dolori, dissetati dal mio sangue, sfamati dalle mie carni, e solo questo è il vero regnare, tutti gli altri regni sono regni di schiavitù, di pericoli e di morte, nel mio regno c’è la vera vita. Quanti insegnamenti sublimi, quanti misteri profondi nelle mie parole, ogni anima dovrebbe dire a sé stessa nelle pene e dolori, nelle umiliazioni ed abbandoni da tutti, nel praticare le vere virtù: questo è il mio regno, non soggetto a perire, nessuno me lo può togliere né toccare, anzi il mio regno è eterno e divino, simile a quello del mio dolce Gesù, i miei dolori e pene me lo certificano e rendono il regno più fortificato ed agguerrito, che nessuno potrà muovermi battaglia in vista della mia grande fortezza. Questo è regno di pace, che dovrebbero ambire tutti i figli miei”.