(1) Dopo avere passato giorni amari di privazione, avendo fatto la comunione mi lamentavo con Gesù benedetto dicendogli: “Pare proprio che mi vuoi lasciare del tutto, ma dimmi almeno, vuoi che esca da questo stato? Chi sa che disordine c’è in me che ti sei allontanato, dimmelo, che di cuore ve lo prometto, sarò più buona”.
(2) E Gesù: “Figlia mia, non ti allarmare, quando ti faccio perdere i sensi stattene pacifica, quando no, stattene più pacifica, senza perderci tempo, e come ti succede prendi tutto dalle mani mie; non posso sospendere qualche giorno? In quanto al disordine te l’avrei detto; e sai chi mette il disordine nell’anima? Solo il peccato, anche minimo, oh! come la deforma, la scolorisce, la debilita, ma gli stati di animo, le privazioni, non le recano nessun nocumento. Perciò statti attenta a non offendermi anche minimamente, e non aver timore di disordine nell’anima tua”.
(3) Ed io: “Ma Signore, qualche cosa ci deve essere di male in me; prima non facevi altro che un va e vieni, ed in queste venute, partecipazione di croci, di chiodi, di spine; ma quando la natura si era tanto assuefatta, da renderseli connaturali, tanto che le era più facile il patire che il non patire, vi ritirate; come è possibile che non ci deva essere qualche cosa di grave?” E Gesù benignamente mi ha detto:
(4) “Senti figlia mia, Io dovevo disporre l’anima tua per farti giungere a questo di felicitarti il patire e farvi il mio lavoro, e quindi dovevo provarti, sorprenderti, caricarti di sofferenze, per fare che la tua natura risorgesse a vita novella; onde questo lavoro l’ho fatto, essendo rimasta in te permanente, quando più, quando meno la partecipazione delle mie pene. Ora avendo fatto questo lavoro, me lo sto godendo; non vuoi tu che mi riposi? Senti, non voler tu pensarci, lascia fare a Gesù che ti vuole tanto bene, ed Io so quando è necessario il mio lavorio in te, e quando devo riposarmi dal mio lavoro”.