(1) Trovandomi nel solito mio stato me la sono passata molto agitata, non solo per la quasi totale privazione dell’unico e solo mio bene, ma pure ché trovandomi fuori di me stessa, vedevo che si dovevano uccidere come tanti cani, come se l’Italia sarà compromessa in guerra con altre nazioni; tanti soldati che partivano a turbe a turbe, e che avendo fatto vittime quelli, altri ancora ne chiamavano. Chi può dire come mi sentivo oppressa, molto più che mi sentivo quasi senza sofferenze. Onde mi stavo lamentando, dicendo tra me: “A che pro il vivere, Gesù non viene, il patire mi manca, i miei più cari ed indivisibili compagni, Gesù ed il dolore mi hanno lasciato; eppure io vivo, io credevo che senza dell’uno e dell’altro non avessi potuto vivere, tanto mi erano inseparabili, eppure vivo ancora. Oh! Dio, che mutamento, che punto doloroso, che strazio indicibile, che crudeltà inaudita, se le altre anime le hai lasciate prive di Te, ma non mai senza il dolore, a nessuno hai fatto questo affronto così ignominioso, solo a me, solo per me stava preparato questo smacco così terribile; solo io meritavo questo castigo così insopportabile. Ma giusto castigo dei miei peccati, anzi meritavo peggio”. In questo mentre, come un lampo è venuto dicendomi con imponenza:
(2) “Che hai con questo tuo dire? Ti basta la mia Volontà per tutto; sarebbe castigo se ti mettessi fuori dall’ambiente divino e ti facessi mancare il cibo della mia Volontà, cui voglio che soprattutto facessi conto e stima. E poi è necessario che per qualche tempo ti mancasse il patire per dare un po’ di vuoto alla giustizia, e così poter castigare le gente”.