(1) Avendo fatto la comunione, il mio adorabile Gesù mi ha trasportato fuori di me stessa, facendosi vedere sommamente afflitto ed amareggiato. Onde l’ho pregato che versasse in me le sue amarezze, ma Gesù non mi dava retta, ma insistendo io, dopo tanto tempo si è compiaciuto di versare. Quindi, dopo aver versato un poco d’amarezza, ho domandato: “Signore, non vi sentite meglio adesso?”
(2) E Lui: “Si, ma non era quello che versai, che mi dava tanta pena, ma un cibo stomachevole ed insipido, che non mi lascia riposare”.
(3) Ed io: “Versate un poco a me, così vi sollevate un poco”.
(4) E Lui: “Se non posso digerirlo e sopportarlo Io, come lo potresti tu?”
(5) Ed io: “Conosco che la mia debolezza è grande, ma Voi mi darete grazia e forza, e così potrò riuscire a contenerlo in me”. Comprendevo però che il cibo stomachevole erano le impurità, l’insipido le opere buone malamente fatte, tutte strapazzate, che a Nostro Signore gli sono piuttosto di fastidio, di peso e quasi sdegna di riceverle, ché non potendo sopportarle, le vuole rovesciare dalla sua bocca. Chi sa quante delle mie ci sono insieme! Onde, come costretto da me ha versato anche un poco di quel cibo. Come aveva ragione Gesù, che era più tollerabile l’amaro che quel cibo stomachevole ed insipido! Se non fosse per suo amore, a qualunque costo non lo avrei accettato.
(6) Dopo ciò, il benedetto Gesù mi ha messo il braccio dietro il collo, e poggiando la testa sulla mia spalla, si è messo in atto di voler prendere riposo. Mentre riposava, mi sono trovata in un luogo dove stavano tante tavole movibile e sotto l’abisso. Io, temendo di precipitare, l’ho risvegliato, invocando il suo aiuto, e Lui mi ha detto:
(7) “Non temere, è la via che tutti battono. Non ci vuole altro che tutta l’attenzione, e siccome la maggior parte camminano sbadati, ecco la causa perché molti precipitano dentro all’abisso, e pochi sono quelli che giungono al porto della salvezza”.
(8) Dopo ciò, è scomparso ed io mi sono trovata in me stessa.