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Messaggio del 2 gennaio 2020:Cari figli,so di essere presente nelle vostre vite e nei vostri cuori. Sento il vostro amore, odo le vostre preghiere e le rivolgo a mio Figlio. Però, figli miei, io voglio essere, mediante un amore materno, nella vita di tutti i miei figli. Voglio radunare attorno a me tutti i miei figli, sotto il mio manto materno. Perciò invito voi e vi chiamo apostoli del mio amore, perché mi aiutiate. Figli miei, mio Figlio ha pronunciato le parole: “Padre nostro”, Padre nostro che sei ovunque e nei nostri cuori, perché vuole insegnarvi a pregare con le parole e i sentimenti. Vuole che siate sempre migliori, che viviate l’amore misericordioso che è preghiera e sacrificio illimitato per gli altri. Figli miei, date a mio Figlio l’amore per il prossimo; date al vostro prossimo parole di consolazione, di compassione e atti di giustizia. Tutto ciò che donate agli altri, apostoli del mio amore, mio Figlio lo accoglie come un dono. E io sono con voi perché mio Figlio vuole che il mio amore, come un raggio di luce, rianimi le vostre anime, che vi aiuti nella ricerca della pace e della felicità eterna. Perciò, figli miei, amatevi gli uni gli altri, siate uniti mediante mio Figlio, siate figli di Dio che tutti insieme con cuore colmo, aperto e puro, dicono il Padre nostro e non abbiate paura! Vi ringrazio

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Per quale coraggiosa azione, quale gesto esemplare, discorso epocale o frase magistrale sarà ricordato il presidente degli Stati Uniti Barack Obama? Per un qualcosa simile a quel Ich bin ein Berliner gridato nel 1963 a Rudolph Wilde Platz da J. F. Kennedy? Oppure per una definizione che ricordi quella impareggiabile di “Impero del Male”, appioppata all’Urss di Andropov dal cow boy Ronald Reagan? Oppure, quella familiare e molto wasp del giovane George W. Bush che al Congresso, dichiarò senza tentennamenti: «Non mi ritirerò dall'Iraq neanche se restassero ad appoggiarmi solo mia moglie Laura e il mio cane Barney».
Intere famiglie ridotte in schiavitù per generazioni. Costrette a lavorare quattordici ore al giorno, sei giorni a settimana per l’equivalente di qualche decina di euro al mese. È la drammatica condizione dei tanti lavoratori cristiani nelle fornaci di mattoni in Pakistan. Il 4 novembre scorso i coniugi Shama e Shahzad Masih, assieme al figlio che lei portava in grembo, sono stati gettati vivi in una fornace perché accusati di blasfemia. La vicenda, che rappresenta l’ennesimo caso di omicidio extragiudiziale legato alla “legge nera”, ha acceso i riflettori su questa forma di schiavitù contemporanea.