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Messaggio del 25 luglio 2017:Cari figli! Siate preghiera e riflesso dell'amore di Dio per tutti coloro che sono lontani da Dio e dai comandamenti di Dio. Figlioli, siate fedeli e decisi nella conversione e lavorate su voi stessi affinché la santità della vita sia per voi veritiera. Esortatevi al bene attraverso la preghiera affinché la vostra vita sulla terra sia più piacevole. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.

Notizie dai giornali cattolici



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Un santo (riconosciuto dalla Chiesa come tale) in famiglia è già un segno straordinario, ma quando un santo è figlio di genitori santi, l'accadimento ha i connotati del prodigio. E' il caso del papà e della mamma di Santa Teresa del Bambino Gesù – i coniugi Louis Martin e Zélie Guérin – che saranno presto canonizzati. Nel marzo scorso, la Congregazione delle Cause dei Santi ha promulgato il relativo decreto, su autorizzazione di papa Francesco, dopo il riconoscimento come autentico di un miracolo attribuito all'intercessione dei Beati coniugi. Non meraviglia che con il primo miracolo (necessario alla beatificazione) i due santi sposi, genitori di nove figli di cui quattro deceduti in tenera età, siano “intervenuti” impetrando la guarigione di un neonato, come racconta il delicato libro “Diario di un prodigio. La guarigione del piccolo Pietro, il miracolo di Luigi e Zelia Martin” (Edizioni Punto Famiglia, 2015) di Mariarosaria Petti. Il volume, di cui proponiamo un estratto, ricostruisce il periodo che dalla nascita dell’ultimo figlio di Adele e Valter Schilirò ha portato alla sua guarigione.
Gesù ha fatto tutto attraverso la Madonna. È venuto al mondo attraverso di lei; ella gli ha dato la natura umana che ha fatto del Verbo incarnato il sommo Sacerdote. Ella è stata il paradiso del nuovo Adamo, come ha detto San Luigi di Montfort; lo ha cullato tra le sue braccia; gli ha insegnato a camminare, a parlare, a pregare, e lo ha preparato per la grande missione di Salvatore dell'umanità.
Nell’agosto del 1993 un incidente stradale le ha segnato «corpo, cuore e anima». Le sfigurò il primo, ruppe il secondo, ma salvò la terza. 22 anni dopo Paola Turci racconta quell'esperienza nel libro «Mi amerò lo stesso» (Mondadori).
Domenico Savio nacque a Castelnuovo d'Asti il 2 aprile 1842, e secondo il suo direttore spirituale, che non era altri che San Giovanni Bosco, aveva “un'indole buona, un cuore propriamente nato per la pietà. Apprese con maravigliosa facilità le preghiere del mattino e della sera ed all' età di soli quattro anni già recitavate da sé”. A cinque anni colpiva tutti per la devozione durante la Messa, nella quale già aiutava come accolito, anche se non gli era facile tenere tra le mani il grande messale. Il programma di vita di Domenico Savio era molto chiaro: “La morte ma non peccati”
Replica della catechesi di don Fabio Rosini, trasmessa ieri sera su Tv2000.
Fu verso la fine del primo decennio di vita romana che a Filippo cominciò a farsi chiara la sua vocazione: e lo fu per un evento straordinario, di cui egli stesso lasciò irrefragabile memoria. Lo narrò un testimone di certa attendibilità: il cardinale Federico Borromeo, la cui deposizione in proposito dirada un po’ il buio di quegli anni con rapidi cenni di sicure notizie. «Nel principio della sua conversione — gli aveva riferito Filippo “con grande umiltà” — pregò lo Spirito Santo che “gli desse spirito”». L’episodio a cui preludono queste parole si colloca nel 1544, all’incirca sul trentesimo della sua vita. È allora «al principio della sua conversione»; a questo accenna pure padre Francesco «Essendosi convertito a Dio, piangeva molto peccati». Non si tratta sicuramente d’un passaggio da vita peccaminosa a pratica della virtù, si allude piuttosto alla “conversio morum” della benedettina Regula monacorum: una decisa scelta del servizio di Dio, in attesa di più preciso indirizzo. Non era infatti «anco in tutto sicuro della vita che dovea tenere». La risposta gli venne immediatamente, lucida e perfino violenta. Secondo la narrazione del Borromeo, dopo un’apparizione di san Giovan Battista, lo colpì un empito di ardore, una irruzione di Spirito Santo, da farlo gettare a terra e da segnarlo nel fisico. Fu quella la sua transverberazione, una specie di stigmatizzazione che quasi a sua insapute lo introdusse in una sfera di esperienza mistica.
Gestire una grave emergenza umanitaria piantando nel frattempo semi per un futuro di pace. È quel che i missionari del Pime (Pontificio istituto missioni estere), insieme alla Caritas locale, tentano di fare nel nord del Camerun da quando lo scorso anno il paese è stato coinvolto nel jihad, la guerra santa islamica scatenata dai terroristi Boko Haram nella vicina Nigeria. A loro si devono una serie di progetti assistenziali destinati agli sfollati camerunesi: quelli messi in fuga dai Boko Haram che sconfinano in Camerun e quelli deportati dal governo che, per meglio combattere i jihadisti, ha svuotato di abitanti una fascia di territorio larga 20 chilometri lungo la frontiera con la Nigeria.
«Avevamo una casa dove ci trovavamo a giocare, e qui non c’è. Ma grazie a Dio, Dio si preoccupa di noi». Miryam, una ragazzina di 10 anni originaria di Qaraqoush, villaggio nel nord dell'Iraq da cui sono fuggiti decine di migliaia di cristiani iracheni, ora vive in un campo profughi dopo che la sua terra è stata assalita e devastata dai jihadisti del Califfato. In un video viene intervistata da un giornalista della Tv satellitare cristiana Sat7 che opera in Medio Oriente. Racconta della mamma, dell’amica e parla dell’amore di Dio: «Sono molto triste perché ci hanno costretto a lasciare la nostra casa. Ma Dio ci ama e non ha permesso che l'Isis ci uccidesse». La sua testimonianza, di una bellezza immensa, avvolge il cuore. Alla fine il giornalista la invita a fare un canto. Myriam canta: «Che gioia il giorno in cui ho creduto in Cristo. La mia gioia era completa all’alba e la mia voce cantava di gratitudine; il mio amore per il mio Creatore crescerà di giorno in giorno…».
Si è tenuto ieri, come anticipato dal vaticanista del Figaro, Jean-Marie Guenois, la riunione per pochi intimi (una cinquantina di invitati) all’Università Gregoriana di Roma. Tre sono le Conferenze episcopali interessate, che hanno spedito nell’Urbe propri rappresentanti di peso: Germania, Svizzera e Francia. I temi del dibattito sono quelli che più al Sinodo straordinario dello scorso ottobre hanno fatto discutere, dal riaccostamento alla comunione dei divorziati risposati alla possibilità di aprire le porte alle convivenze tra persone dello stesso sesso.