Un invito forte a tornare a guardare, senza paura, il Bambino Gesù raffigurato nel presepe e che è il segno “vivo” della misericordia di Dio: lo esplicita il Patriarca Francesco Moraglia nelmessaggio per il Natale 2015 che ha affidato alle pagine del settimanale diocesano Gente Veneta oggi in uscita.
“Proprio il Bambino che giace, povero e accogliente, nel presepe - afferma mons. Moraglia - sta all’inizio di una storia che in questi 2000 anni ha generato i valori dell’accoglienza, dell’attenzione ai deboli, del perdono e della riconciliazione. Così anche chi non è credente o non è cristiano è portato a riconoscere che la cultura dell’accoglienza, della prossimità e della riconciliazione ha nel Bambino del presepe la sua radice più importante. Viene da chiedersi: perché chi è beneficiario o portatore di tale cultura dovrebbe temere il presepe?”.
Il cristianesimo costa troppo e nessuno lo vuole più comprare, è troppo faticoso vivere da cattolici e nessuno vuole più esserlo. Le esigenze della Chiesa impongono l’arresto della continua emorragia di fedeli che pare irreversibile. Come insegnano le regole del mercato s’impone l’aggiornamento di un prodotto diventato obsoleto: essere cattolici oggi è come pretendere di essere alla moda girando per strada con parrucconi settecenteschi.
Nasce così una strategia di marketing all’insegna dell’innovazione: semplificare, aggiornare, bonificare la fede significa facilitarne l’ingresso nel circuito commerciale e renderla più invitante per i fedeli. Tuttavia per rilanciare la fede occorre prima svalutarla. Il cristianesimo costa troppo, è necessario diventi più economico, quindi occorre privarlo della sua aura sacra, renderlo non più faticosa conquista, ma preteso diritto di tutti e trasformarlo in un prodotto di facile accesso come si farebbe con qualsiasi altro prodotto di largo consumo.
E’ doloroso ammetterlo, ma sull’Italia spadroneggiano proprio tutti. Grazie alla sottomissione, più o meno zelante, delle nostre “classi dirigenti” (si fa per dire).
Un paio di esempi. Obama mette nel mirino Putin (mentre non batte ciglio per mesi davanti ai massacri dell’Isis) ed ecco che noi veniamo costretti a porre alla Russia sanzioni economiche che ci costano un occhio della testa (in tempi di crisi).
Sarkozy ha brutti sondaggi alla vigilia delle presidenziali, dunque s’inventa una sciagurata guerra alla Libia per abbattere Gheddafi (e risalire nei sondaggi) ed ecco che noi siamo arruolati, obtorto collo, in quell’impresa demenziale che destabilizza un Paese alle porte di casa e mette a rischio i nostri contratti petroliferi (che guarda caso fanno gola proprio alla Francia).
Il danno e la beffa. Ma è soprattutto la Germania a farla da padrona. Direttamente o tramite quella succursale del governo tedesco che chiamano ipocritamente “Unione europea”.
C’è allerta massima in Indonesia per possibili attentati da parte di terroristi islamici il giorno di Natale. Le minacce di attacchi «imminenti» sarebbero «concrete». Per questo durante una riunione dei responsabili del paese, a cui ha partecipato anche il presidente Joko Widodo, è stato deciso di proteggere le chiese e i cristiani con misure eccezionali.
«Questo Natale sarà uguale ma finalmente diverso». Dopo tre anni di guerra civile tra cristiani e ribelli musulmani per la prima volta «la popolazione del Centrafrica intravede una via d’uscita reale». A raccontare a tempi.it l’Avvento vissuto da una popolazione martoriata è un giovane sacerdote: don Tanguy Herman Pounekrozou.
Da quattro anni a questa parte, ogni giorno che Dio manda in terra la Siria patisce decine di lutti per i combattimenti che attraversano il paese da una parte all’altra, in particolare per i bombardamenti sia dei governativi e dei loro alleati sia dei ribelli. Non ha fatto eccezione l’inizio della settimana di Natale: fra lunedì e martedì i governativi hanno causato una vittima e feriti a Barzeh, quartiere ribelle di Damasco nord; lo Stato islamico ha causato la morte di nove studentesse e il ferimento di altre venti bombardando una scuola di un quartiere di Der Ezzor nell’est del paese; aerei russi hanno bombardato nelle province di Idlib e di Homs causando vittime fra i combattenti e fra i civili e nella Ghouta orientale (est di Damasco); i governativi hanno continuato ad attaccare Palmyra per riprenderla dalle mani dell’Isis, Madamiyeh, sobborgo di Damasco e al-Madiq nella provincia di Latakia; nella provincia di Hasakeh un ragazzo e morto e molti altri sono rimasti feriti per l’esplosione di una mina dell’Isis.
Dopo Kunduz tocca a Helmand. Mentre Stati Uniti ed Europa discutono su come rallentare il ritiro degli ultimi 12 mila militari alleati presenti in Afghanistan i talebani allargano l’offensiva militare invernale al sud e dopo aver conquistato una trentina di distretti in tutto il Paese puntano a prendere il possesso della loro tradizionali roccaforti a Helmand. Oltre 100 soldati e poliziotti afghani sono morti negli ultimi giorni nei combattimenti con i talebani a Sangin e l’intera provincia è sul punto di cadere nelle mani degli insorti. Lo ha annunciato il vicegovernatore Mohammad Jan Rasoolyar in un appello rivolto al presidente Ashraf Ghani su Facebook. Un appello lanciato tramite il popolare social media poiché, ha precisato Rasoolyar, «non avevo altro modo di entrare in contatto con il presidente».
Sarà l’età, sarà la stanchezza per la lunga lotta, ma la tentazione dell’eremitaggio, confesso, ormai mi coglie sempre più spesso. Faccio una gran fatica, ogni giorno, ad aprire i giornali e le agenzie che mi arrivano, perché va sempre peggio, le brutte notizie mi soffocano e vorrei, come lo struzzo, nascondere la testa in un buco. Io stesso, per mestiere, devo farmi ripetitore di nefandezze, o scovare quelle sono sfuggite ai colleghi. Vorrei, insomma, andare in vacanza da me stesso. Ma non si può, Deus non vult. Perciò, permettetemi una volta tanto di comunicarvi una boccata d’ossigeno, come fa il sub che passa il boccaglio a chi non ha le bombole. Un paio di buone notizie, giusto per riprendere fiato prima di reimmergerci nei miasmi del «territorio del diavolo» (citazione da Flannery O’Connor, per i colti).
Servizio Pubblico, noto programma di Santoro, l’aveva intervistata una manciata di giorni fa. Si chiamava Dominique Velati, malata di tumore, con un’aspettativa tra uno e tre anni di vita. La 59enne di Borgomanero (No), da trent’anni nelle fila del Partito radicale, ha deciso con l’aiuto dell’Associazione Luca Coscioni di andare in Svizzera per farsi uccidere con l’eutanasia, sborsando tra l’altro anche la bella cifra di 12.700 euro. La vita non ha prezzo, così pare anche la morte.