«In fratel Ettore nulla era folklore. Quanti, vedendolo con la statua della Madonna sempre in braccio avranno storto il naso? O vedendolo conciato peggio dei suoi poveri, tanto era stropicciata la sua veste e scalcagnate le sue scarpe, avranno sospettato qualche finzione. No, lui era esattamente quello che mostrava di essere. Lui era autentico».
A dieci anni dalla morte questo ritratto del camilliano amico dei barboni, che suor Teresa Martino pennella sulle pagine del libro a lui dedicato, acquista verità e freschezza straordinarie. Non solo perché suor Teresa ha preso il posto di fratel Ettore alla testa del suo piccolo impero della carità, ma soprattutto perché la religiosa è la persona che più di tutti è rimasta vicino al camilliano negli ultimi anni di vita. L’ha accompagnato nella profetica missione in America Latina che ha aperto nuovi fronti all’inesausta opera di accoglienza e di aiuto agli ultimi, l’ha assistito nelle esplosive invenzioni umanitarie che caratterizzavano la sua radicalità evangelica, ha conosciuto una ad una le persone che a lui si rivolgevano per consiglio e assistenza.
Nella città siriana da poco liberata dopo l’occupazione degli islamisti, il 15 agosto hanno fatto ritorno un’antica icona mariana e la reliquia della Sacra Cintola della Vergine
A Makhmour (Iraq) con i soldati curdi che raccontano le battaglie con le milizie dello Stato islamico e che spiegano chi sono le vittime dei raid americani
Papa Francesco è rientrato a Roma, dopo la visita di cinque giorni in Corea del Sud. Il suo primo gesto è stato di andare alla basilica romana di Santa Maria maggiore, dove ha lasciato un bouquet di fiori avuto in dono da Mary Sol, una bambina coreana di sei anni, prima della partenza da Seul e ha recitato una preghiera di ringraziamento. Durante il viaggio ritorno Francesco ha incontrato i giornalisti. Gli è stato chiesto cosa pensasse dei bombardamenti americani sulle postazioni dell’Isis, i Jihadisti che stanno devastando l’Iraq e perseguitando cristiani, sciiti, yazidi ed altre minoranze. «In questi casi in cui c’è un’aggressione ingiusta», ha detto, «posso dire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto. Sottolineo il verbo fermare, non dico bombardare o fare la guerra, ma fermare. I mezzi con cui fermare dovranno essere valutati. Qualche volta, infatti, sotto questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto, le potenze si sono impadronire dei popoli e hanno fatto una vera guerra di conquista. Una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore ingiusto. E’ all’Onu che si deve discutere come farlo. Fermare l’aggressore ingiusto è un diritto dell’umanità e anche un diritto dell’aggressore essere fermato, perché non continui a fare del male». Il Papa ha poi denunciato l'efferatezza delle guerre non convenzionali e che sia stato raggiunto «un livello di crudeltà spaventosa» di cui spesso sono vittime civili inermi, donne e bambini. «La tortura è diventata un mezzo quasi ordinario». Questi «sono i frutti della guerra, qui siamo in guerra, è una III guerra mondiale ma a pezzi». Francesco ha poi sottolineato di essere «disponibile ad andare nel Kuridstan iracheno». «Era una delle possibilità prese in considerazione di rientro dalla Corea, ma non era possibile».
Si può dire, scrivere e ridere di tutto e di tutti, cippirimerlare Papi, vescovi e politici e passare per coraggiosi anticonformisti, raccontare barzellette sui genovesi che sono più taccagni degli scozzesi o sui carabinieri che sono più imbecilli dei poliziotti. La satira è uguale per tutti, ma, come i maiali di Orwell, alcuni sono più uguali di altri. Giudici e islamici si sa: sempre meglio tenerli a debita distanza, ma oggi sono i gay a occupare quasi per intero il sacro recinto degli intoccabili, delle generalità protette per legge, anche se, a differenza di panda cinesi e orsi marsicani, questi non sono affatto in via d’estinzione.
Caro direttore, una mia amica mi ha chiesto di preparare la “torta di padre Pio”. In pratica, è una moderna catena di sant'Antonio, solo che invece di passarsi i messaggi, ci si passano gli impasti di farina. Tra l'altro, realizzare questa delizia pasticcera richiede molto impegno, perché bisogna lavorare il composto per ben 10 giorni, alla fine dei quali parte della “pasta madre” va donata a tre persone, che a loro volta prepareranno la torta e consegneranno ad altri tre amici il composto...So che si tratta d una superstizione, però non riesco a spezzare questa catena. Secondo lei, che cosa devo fare?