Martedì pomeriggio. Equipe degli operatori terminata con il solito malessere accumulato per le varie dinamiche di gruppo, sempre così difficili da gestire. Mi hanno avvisato dalla segreteria che mi è stato fissato un appuntamento. Si rivelerà uno dei più complessi della storia. Operatori di un’altra associazione ci presentano Giulia, una donna di trentotto anni. È incinta ma la particolarità sta nel fatto che vive in strada. Strada nel vero senso della parola. Sono tre o quattro le persone che fanno gruppo con lei e… il suo cane da cui non vuole separarsi. È disponibile a portare avanti la gravidanza ma, in strada ...
Don Georges Jahola canta un Padre Nostro in aramaico, a Milano, al museo del Duomo. «Potrebbe essere una delle ultime volte che sentite questa lingua, prima che si estingua», avverte il pubblico. Georges Jahola, in Italia per completare gli studi del dottorato in Scienze Bibliche presso la Pontificia Università Lateranense, è un cristiano iracheno, probabilmente uno degli ultimi, nato e vissuto nella città di Qaraqosh. Caduta alla fine del mese scorso, questa città aveva dato ospitalità a tanti cristiani fuggiti da Mosul ed era considerata uno degli “ultimi rifugi sicuri”. Finché non sono entrate le milizie jihadiste dell’Isis. Abbiamo incontrato don Georges a Milano, in Piazza Duomo. In occasione della giornata di preghiera per i cristiani perseguitati in Iraq, infatti, la Scuola della Cattedrale di Milano, la Veneranda Fabbrica del Duomo, e il Tribunale Rabbinico del Centro Nord Italia, hanno organizzato un evento multi-confessionale. Hanno parlato ebrei, cristiani e musulmani, ciascuno con le proprie storie di persecuzioni passate e presenti, con il proprio messaggio di condanna contro la violenza commessa “nel nome di Dio”.
Il 15 agosto 2014 Papa Francesco ha continuato la sua visita in Corea del Sud, affrontando i problemi di una società opulenta ma disperata, da anni studiata dai sociologi per il suo tasso di suicidi che è di gran lunga il più elevato del mondo: 31,7 suicidi ogni centomila abitanti, oltre sei volte di più dell'Italia, dove il tasso è 6,3. La Corea del Sud conferma che non ci si suicida per povertà - i Paesi più poveri hanno di solito un tasso di suicidi molto basso - ma per disperazione. Quello della disperazione e del suicidio è un tema tabù, o riservato agli addetti ai lavori. Non se ne parla volentieri, perché si dovrebbe ammettere che una società ricca e secolarizzata è una società senza speranza. Papa Francesco ne ha parlato apertamente, collegando la disperazione a una «cultura della morte» che, in vari modi, oggi attacca la vita.
Nel santuario di Solmoe, luogo di nascita del primo sacerdote coreano, Francesco incontra per la prima volta i ragazzi giunti da tutto il continente per la Giornata asiatica della Gioventù. Una lunga riflessione a braccio (anche in inglese) sulla vocazione dei giovani, sulla riunificazione della Corea, sulla confusione e sullo sfruttamento. Ai giovani il Papa offre tre "regole di vita" per essere autentici testimoni del Vangelo: "Fate affidamento sulla forza che Cristo vi dona, pregate ogni giorno e fatevi guidare dalla verità". Il calore dei giovani asiatici "ci fa percepire la gloria di Gesù e la potenza dello Spirito Santo". Un ragazzo di Hong Kong: "Cosa possiamo fare per mostrare anche alla Cina l'amore di Cristo?".
Oltre 1 milione di persone affolla la piazza Gwanghwamun, "cuore" di Seoul, per partecipare alla beatificazione di Paolo Yun Ji-chung e i suoi 123 compagni. Nel tragitto verso l'altare, Francesco si ferma al picchetto dei familiari delle vittime del Sewol e parla con uno dei sopravvissuti. Durante l'omelia sottolinea l'importanza di ascoltare ancora oggi questi grandi testimoni: "Viviamo fra grandi ricchezze e abbiette poverta'". Alla preghiera dei fedeli, un sacerdote cinese chiede a Dio "liberta'" per la Chiesa del suo Paese.
«La convinzione della necessità di diventare cattolici è cresciuta lentamente, la decisione di compiere questo passo è arrivata piuttosto alla fine». A parlare è Ulf Ekman, il pastore pentecostale svedese che lo scorso marzo ha annunciato la sua conversione al cattolicesimo insieme alla moglie Brigitte. Una notizia dirompente perché Ekman, 64 anni, è stato – come ha detto di lui Stefan Gustavsson, segretario generale dell'Alleanza evangelica svedese – «il leader cristiano più dinamico e influente che abbiamo avuto in Svezia durante l'ultimo mezzo secolo». E una figura di grande prestigio in tutto il mondo pentecostale. La comunità che ha fondato, Livets Ord, o Word of Life in inglese, Parola di Vita, conta una scuola frequentata da un migliaio di alunni, diversi missionari attivi specialmente in Russia, Kazakistan e altre regioni ex sovietiche, nonché una Ong caritativa attiva in India. Ha dato vita alla più grande scuola di studi biblici dell’intera Penisola scandinava, i suoi libri sono tradotti in 60 lingue e i suoi sermoni televisivi hanno varcato i confini europei.