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Messaggio del 2 marzo 2006:Dio è amore! Dio è amore! Dio è amore!

Notizie dai giornali cattolici



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Vangelo Mt 22,34-40: Amerai il Signore tuo Dio, e il tuo prossimo come te stesso.
In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
Oggi inizia la Novena a Tutti i Santi.
Vogliamo continuare ad amare. Magari imparassimo ad amare con più maturità. Senza voler trattenere. Senza fermarci alle aspettative che non si realizzano. L'amore di Maria ci trasforma. Ella restituisce l'equilibrio che spesso perdiamo nel cammino convulso della vita. Ci regala quella pace perduta. Ci equilibra nel nostro disordine. Così ha fatto con l'anima di padre Josef Kentenich. È questo il ruolo che Maria ha giocato nella sua vita fin dall'inizio: “L'anima si è mantenuta in equilibrio grazie a un amore per Maria personale e profondo. Maria è il punto di intersezione tra l'aldilà e l'aldiqua, tra il naturale e il soprannaturale, è la bilancia del mondo. Mediante il suo essere e la sua missione mantiene il mondo in equilibrio”. Maria mantiene l'equilibrio in un mondo squilibrato. Un mondo spezzato, disunito, diviso.
Ora che il Sinodo straordinario sulla famiglia è terminato, non vi ritrovate a dire “Vorrei aver potuto dire questo ai Padri sinodali...”? E con il Sinodo ordinario sulla famiglia previsto per il prossimo anno, non vi ritrovate a dire “Spero di poter dire questo al prossimo Sinodo...”? Ecco su cosa vorrei dire di riflettere ai Padri sinodali, quelli di quest'anno e quelli dell'anno prossimo. Mi piacerebbe parlare loro del mio amico Pete (ho il permesso di raccontare questa storia). Pete è un vecchio amico, attivo nella sua parrocchia, un uomo generoso che tutti sperano di incontrare. Circa quattro anni fa, dopo 30 anni di matrimonio, la moglie lo ha lasciato. Era devastato. “Padre, non augurerei questo dolore al mio peggior nemico”, mi ha detto. Dopo il divorzio civile, amici e parenti, molti dei quali si dicono cattolici, hanno detto a Pete di togliersi la fede e di “andare avanti”. I loro commenti, in varie forme, erano questi: “Non tornerà mai. Il tuo matrimonio è finito. Ci sono altri pesci nel mare. Dio vuole che tu sia felice. La tua sofferenza non è utile”. Pete non li ha ascoltati. Ha indicato la sua fede e ha detto a tutti loro: “Sono un uomo sposato. Sapevamo cosa stavamo facendo il giorno del nostro matrimonio. Sapevamo cosa stavamo promettendo l'uno all'altro e a Dio; sapevamo cosa Dio ci aveva promesso”. Pete si è buttato nei sacramenti. Non può vivere senza adorazione eucaristica, rosario e divina misericordia. “Non smetterò di pregare per la ricostruzione della mia famiglia fino al giorno della mia morte”. Conoscendolo bene, ci credo.
È istruttiva per noi la riflessione sulla leggenda della mitologia che ci racconta del prode Teseo, un giovane eroe dell'Attica, il quale voleva affrontare ed eliminare un terribile mostro, il Minotauro, che aveva il corpo umano con la testa del toro, e che viveva in un mitico Labirinto, dove riceveva periodicamente il tributo espiatorio di sette fanciulli e di sette fanciulle ateniesi da lui sbranati e divorati. Entrare nel Labirinto, però, significava non uscirne più per l'intreccio delle stradine interne che si incrociavano senza alcun ordine o possibilità di orientamento. C'era infatti da scoraggiarsi da parte di tutti coloro che pur volevano eliminare quel terribile mostro per non dover più pagare l'orrendo sacrificio delle quattordici vite umane di fanciulli e fanciulle. Il prode Teseo, tuttavia, con coraggio e determinazione volle cimentarsi nell'impresa di eliminare il Minotauro, e si fece chiudere nel Labirinto; ma portò con sé un filo che Arianna, la figlia del re Minosse, gli preparò e gli diede. Entrato nel Labirinto, Teseo legò il capo del filo all'ingresso e lo distese via via avanzando per le vie intricate del Labirinto: l'espediente del filo, tanto semplice quanto utile, gli consentì di ritrovare la via dell'uscita dal labirinto, dopo avere affrontato e ucciso l'orribile mostro. Non è difficile vedere in quel filo di Arianna, così prezioso e salutare, un simbolo del Rosario di Maria. Se è vero, infatti, che, secondo la mitologia, interamente falsa e inconsistente, il filo di Arianna accompagnò Teseo nell'impresa vittoriosa contro il Minotauro e gli fu prezioso per non perdersi tra le mille vie del Labirinto, ritrovando la giusta via dell'uscita dal Labirinto, tanto più bisogna dire che, nella storia della salvezza, che è la nostra storia concreta, il Rosario di Maria aiuta realmente il cristiano a vincere ogni battaglia, senza perdersi nel selvaggio Labirinto del mondo, purché si segua la via della salvezza insegnata dalla santa corona. C'è forse un uomo sulla terra, infatti, che non abbia da combattere contro i numerosi «mostri» presenti sulle strade del mondo, presenti nell'uomo stesso? Non siamo forse noi circondati da nemici interni ed esterni? Non parla forse esplicitamente san Paolo dei nostri «vizi e concupiscenze» da crocifiggere (Gal 5,24) e della legge del peccato che è nelle «nostre membra» (Rm 7,23), in questo «corpo di morte» (Rm 7,24)?
Convegno sull’ultimo libro del prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Ma gli interventi hanno voluto anche sgombrare il campo dalle incomprensioni che hanno circondato i lavori del Sinodo.
«A 87 anni esco dal mio silenzio per difendere Jerome Lejeune, mio marito, morto 20 anni fa». Comincia così la lettera che Birthe Lejeune (qui intervistata da tempi.it), moglie del genetista che ha scoperto la sindrome di Down, ha deciso di scrivere al giornale francese La Croix per difendere il marito, di cui è in corso la causa di beatificazione, accusato in Francia di aver avuto un ruolo minore nella scoperta e di aver usurpato il lavoro di altri due ricercatori.
La lettera di un partecipante all’ultimo raduno dei veilleurs italiani. «Io che per anni non ho saputo dove stare, oggi sono qui, fermo, in mezzo a una piazza, che lotto con la sola forza della mia presenza»
«Mi chiamo Luca, sono sposato con Chiara da 15 anni, abbiamo nove figli ed abitiamo a Mestre. In questo momento mi sento un po’ spremuto: mi danno 200 euro e se ne riprendono 300».
L’illustrissimo dottor Giuseppe Tesauro e gli esimi togati della sua Corte Costituzionale dovrebbero adesso dire qualcosa, non certo fare autocritica, ma almeno abbassare un po’ le ali della loro onnipotenza e decidersi a dialogare con la realtà. Quella che continua a procedere in direzione ostinata e contraria alle presunzioni dell’ideologia e se ne impippa bellamente anche di codici e pandette. Ricordate? Gli ermellini dell’Alta Corte, solo qualche mese fa, hanno sentenziato che produrre figli attraverso la fecondazione eterologa è un diritto delle donne e che ogni divieto in tal senso è illegittimo e contrario alla civiltà. Ipse dixit Tesauro, tra gli applausi della stampa amica e le fanfare dei governatori della neo sinistra gender. Primo tra tutti il toscano Enrico Rossi, il più svelto a salire sul carro dei nuovi diritti promettendo eterologa gratis e illimitata. L’unica Regione ad apporsi, fu la Lombardia: senza una legge nazionale, non ne avrebbe mai preso in carico i costi, sottraendo risorse a ben più urgenti emergenze. Come quella dell’assistenza agli anziani o ai giovani disoccupati. Per questo il governatore Roberto Maroni venne subissato di fischi e insulti ( “bigotto” e “oscurantista” i più gentili) da parte dei colleghi del Pd.
Nella vulgata mediatica Ignazio Marino è il paladino dei diritti, il ministro Alfano e il prefetto di Roma incarnano invece la burocrazia più ottusa, cieca di fronte alle forme contemporanee di manifestazione dell’amore, così ripiegata su sé stessa da compiere l’atto di prevaricazione di cancellare le trascrizioni nei registri dello stato civile della Capitale. Esponenti di associazioni Lgbt impartiscono in queste ore sofisticate lezioni di diritto civile e di diritto amministrativo, e spiegano che solo il giudice potrebbe – se ne ravvisasse le condizione – disporre la cancellazione, non certo una autorità amministrativa, sì che il combinato della circolare del ministro e della iniziativa del prefetto non avrebbero altro significato che quello di un “marketing politico”. A differenza del suo collega di Bologna, Marino non attribuisce all’iniziativa un valore meramente simbolico, ma annuncia di andare oltre; per esempio, vuol riconoscere i congedi parentali ai componenti di una coppia da considerare “sposata” a seguito della trascrizione (immagino solo per i dipendenti del Comune di Roma che fruiscano del nuovo servizio: per gli altri, in virtù di quale competenza?).
Non dite che non ve l’avevamo detto. Su questo giornale spieghiamo da tempo che dove passano le leggi sull’omofobia, dove si riconoscono le unioni civili e i «matrimoni» omosessuali, dove si sostiene che i diritti degli omosessuali a non essere discriminati prevalgono su ogni altro diritto, è solo questione di qualche anno e poi si andranno a prendere e portare in prigione anche i preti e i pastori che si rifiutano di «sposare» persone dello stesso sesso. Oggi dobbiamo confessare ai lettori che ci eravamo sbagliati. Pensavamo fosse questione di qualche anno: ma si trattava di qualche mese. Negli Stati Uniti, che pure sono un Paese con una grande tradizione di rispetto per la libertà religiosa, ci siamo già arrivati.