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Messaggio del 29 ottobre 1983:Vi dono il mio cuore: accettatelo! Non voglio procurarvi dispiacere ma, vi dico, non potrò restare sempre con voi. Tuttavia con il cuore sarò sempre con voi. Dovete pregare molto e non pensate che una giornata trascorsa senza la preghiera non sia una cosa grave. Dovete sforzarvi di pregare ogni giorno. La preghiera è l’unica via che porta alla pace. Se pregate e digiunate, tutto ciò che chiedete l’otterrete.

Notizie dai giornali cattolici



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“Guadagnare delle anime a Cristo !”. La liturgia della festa di oggi ci fa rivolgere questa preghiera a Dio perché l’esempio e l’intercessione di San Giovanni Maria Vianney (1786-1859) ci permetta di avere questa nobile ambizione e di realizzarla. “Guadagnare delle anime a Cristo !”. È in sintesi un giudizio d’insieme sulla vita, la santità, le opere del Santo Curato d’Ars, protettore dei parroci. La sua è una delle vite più conosciute.
Si può affermare senza sbagliarsi che il Curato d’Ars fu per tutta la sua vita preoccupato per la salvezza, la sua e quella degli altri. La prima frase che disse giungendo ad Ars al pastorello: “Tu mi hai mostrato la via di Ars, io ti mostrerò la via del Cielo”; ossia, io tuo Curato, farò di te un santo. Ti immergerò nella misericordia di Dio e nella sua santità. Non appena giunto, egli si pose immediatamente come un pastore che conduce quelli che gli sono confidati verso la salvezza. Quando annuncia a sua madre che vuole essere sacerdote, egli le dice che è “per guadagnare delle anime al Buon Dio”. Ecco ciò che rappresenta un sacerdote per quel fanciullo: immergere le anime nella misericordia di Dio per fare in modo che scelgano Dio e vivano di Lui.
Ascoltate il bellissimo commento al Vangelo di domenica prossima da Radio Vaticana. Scaricate il file mp3, il commento è negli ultimi 10 minuti circa.
Ad un mese e mezzo dall’inizio del viaggio apostolico di Benedetto XVI nel Regno Unito, il 16 settembre prossimo, cresce l’aspettativa nella comunità cattolica britannica e non solo. A sottolinearlo è Lord Christopher Patten, incaricato del primo ministro britannico per la visita papale nel Regno Unito.
Sei mesi dopo il terremoto, la Chiesa non dimentica Haiti: è quanto sottolinea la Fondazione "Populorum Progressio", in un comunicato a conclusione della riunione del Consiglio di Amministrazione dell’organismo - istituito da Giovanni Paolo II nel 1992 - svoltasi nei giorni scorsi a Santo Domingo. Durante la riunione, presieduta dal cardinale arcivescovo di Santo Domingo, Nicolás de Jesús López Rodríguez, sono stati approvati 186 nuovi progetti per 20 Paesi, in particolare in favore delle comunità povere dell’America Latina e del Caribe. Momento culminante dell'incontro, la visita ad Haiti dei membri della Fondazione, il 22 luglio scorso.
Si è gridato al miracolo, in cui solo il fratello gemello aveva creduto. Si è gridato al miracolo quando Imma, 10 anni, è uscita viva dalle macerie dopo 15 ore dal crollo della sua casa di Afragola, in provincia di Napoli. La vita ha bisogno di miracoli, siano o no “laici” come qualche cronista ha voluto precisare in questa occasione. E questa dura estate lo dimostra in modo particolare. Un’estate che a volte sembra aridamente desertificata, più che nella natura, nei cuori delle persone. Lì, nel paese degradato vicino a Napoli, sono morte tre persone per un “cedimento strutturale”, bruttissima espressione che non vorremmo sentire più.
Nel nord ovest del Pakistan sono almeno 27mila le persone in attesa dei soccorsi, possibili solo con gli elicotteri a causa del crollo di ponti e strade. Oltre 1,5 milioni gli abitanti a rischio epidemie. La Cei invita tutti a pregare per le vittime e invia un milione di euro di aiuti a sostegno della popolazione.
Prende sempre più le sembianze di una tragedia immane, quella vissuta dal Pakistan, alle prese con le alluvioni più violente della sua storia. Oltre 1.500 i morti fino a questo momento accertati, mentre le Nazioni Unite parlano di circa un milione di persone rimaste senza casa o trasferite altrove. Altissimo il rischio epidemie.
Dirigere una collana che si chiama “I libri della speranza” è un rischio affascinante e tremendo. Non solo perché si eredita un nome che fu tra le mani di uno come Giovanni Testori e porta il marchio di un editore esigente e forte come Rizzoli. Ma anche e soprattutto perché nel contesto culturale attuale tutto sembra andare contro i “libri” e ancor più contro la “speranza”. I primi sono spesso ridotti a puro affare commerciale. O a venerati strumenti di un tempo passato. E si pubblica di tutto in una gara al niente o al vacuo che sta distruggendo il gusto e l’impegno intellettuale. L’altra, la speranza, è vista come una cosa aerea, impalpabile, sentimentale. Come una specie di idiota ottimismo, e non la ragazza splendida che ci fa vivere, non l’energia costruttiva.
Dal primo gennaio 2012 in Catalogna non si potrà più assistere alle corride. Con una storica decisione, il parlamento di quella regione iberica ha cancellato la plurisecolare “fiesta”, tra un mare di infuocate polemiche. Confesso che la questione non mi ha appassionato più di tanto. Non vi è dubbio che si tratti di un espectáculo de sangre, ove la violenza gioca un ruolo determinante, ma è anche vero che esso discende direttamente dalla tauromachia conosciuta già nel II millennio a.C., ed è indissolubilmente legato alla storia, alla tradizione ed alla cultura mediterranea del popolo ispanico. E, forse, è pure vero che è meglio veder morire un toro nell’arena che in un mattatoio. Ciò che più mi ha colpito di questa notizia, in realtà, sono state alcune affermazioni rese nella foga dagli abolizionisti. Soprattutto quelle di autorevoli esponenti politici delle istituzionali catalane. Si è parlato di inaudita barbarie, di incivile brutalità, di disumana efferatezza, di crudeltà sanguinaria. Si è persino arrivati a paragonare - alquanto impropriamente - i poveri tori ai martiri cristiani dati in pasto alle fameliche belve nei circhi romani, durante le persecuzioni.