Gli interventi di Muhammad Al-Sammak (Libano) e dell’Ayatollah Ahmadabadi centrati sul ruolo dei cristiani nella regione, e sull’importanza della loro presenza.
La via per riemergere dalla crisi economica e culturale che sta investendo l'Italia si trova nel sostegno alla famiglia e nell'impegno per il bene comune al di là degli interessi di parte. E' quanto si legge nel messaggio scritto da Benedetto XVI in occasione la 46ma Settimana sociale dei cattolici italiani, in programma a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre sul tema “Cattolici nell’Italia di oggi. Un’agenda di speranza per il futuro del Paese”.
“E' già nella celebrazione della Eucarestia che si serve e si comincia a realizzare il bene comune vero e pieno dell’intera umanità”, ha sottolineato monsignor Arrigo Miglio, Vescovo di Ivrea e Presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani.
Il presule ha introdotto questo giovedì la 46ma Settimana Sociale, in svolgimento a Reggio Calabria fino al 17 ottobre sul tema “Cattolici nell’Italia di oggi. Un’ Agenda di speranza per il futuro del Paese”.
Monsignor Miglio ha innanzitutto ricordato gli obiettivi delle Settimane Sociali espressi dalla Nota CEI del 1988, ovvero “essere una iniziativa culturale ed ecclesiale di alto profilo, capace di affrontare e se possibile anticipare gli interrogativi e le sfide, talvolta radicali, posti dall’attuale evoluzione della società” e di “essere strumento di ascolto e di ricerca, offrire occasioni di confronto e di approfondimento su quel che sta avvenendo e su quel che si deve fare per la crescita globale della società”.
“Malgrado le continue emigrazioni e il numero ristretto di cattolici, vediamo che le vocazioni aumentano e che la Chiesa, in Iran, come un albero ha adesso nuove foglie e porta frutti”. E' quanto ha detto questo giovedì, prendendo la parola nell'Aula sinodale, mons. Thomas Meram, Arcivescovo di Urmia dei Caldei.
“La Chiesa caldea – ha ricordato all'inizio – è stata particolarmente perseguitata ed ha sacrificato migliaia e migliaia dei suoi figli sull’altare della fedeltà e dell’amore per Cristo: per questo fu chiamata la Chiesa dei Martiri e ha continuato a emigrare di città in città, di paese in paese, fino ad oggi, senza mai abbandonare nulla della propria fede, irrigata del sangue di questi martiri e santi da cui essa è custodita, rafforzata e confermata”.
Rilevo una tendenza contrastante della nostra società post-moderna. Più aumentano le tensioni soggettivistiche volte a dar rilievo giuridico alle istanze più personali e particolari delle persone e più aumenta la rilevanza che l’autorità dà alla coscienza di ogni singolo uomo, ed al suo libero sviluppo, quale principale criterio di riferimento per l’individuazione di nuove pretese tutelate; più, dall’altra parte, si riscontra la tendenza ad una limitazione della medesima coscienza nel suo rapporto con l’autorità, ad una compressione del diritto di ciascuno di obiettare alla legge scritta.
In sostanza, ad un maggior grado di tutela dell’autodeterminazione corrisponde una minore libertà di esercizio dell’obiezione di coscienza. Si prendano alcuni recenti casi. Nell’ambito internazionale dei diritti umani si tende a proclamare in tutte le versioni e le colorazioni possibili la più ampia tutela ed il più ampio esercizio della libertà (compresa quella - questa volta la novità viene dall’Australia - di pubblicizzare l’eutanasia mediante apposito spot televisivo, da parte di una multinazionale il cui nome è significativamente Exit International).
Contemporaneamente si pone in discussione alla seduta plenaria del Parlamento Europeo di pochi giorni fa (8 ottobre) la risoluzione Women’s access to lawful medical care: the problem of unregulated use of conscientious objection (“Accesso delle donne a cure mediche legali: il problema di un uso non regolamentato dell’obiezione di coscienza”). Per inciso, l’eufemismo medical care sta in realtà per aborto. Si pensi a quale grado di stravolgimento può giungere il significato assegnato a parole e frasi.