venerdì 21 luglio 2023
Marina e Giuseppe Formica, sposatidal 1997, dopo un percorso di conversione, hanno deciso di ristrutturare un antico casale sulle colline toscane per trasformarlo in centro di spiritualità familiare
Marina e Giuseppe con i figli

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Chi non ha mai sognato di costruire una casa sulla roccia? Indistruttibile nel tempo, segnale silenzioso ma eloquente di una presenza che non passa, di una fatica destinata a dare frutto, grande non solo per le dimensioni ma soprattutto per il significato, per quello che rappresenta, per i ricordi che custodisce, per il futuro che promette. La casa sulla roccia che hanno costruito Marina e Giuseppe Formica è anche un percorso di vita a due, prima tormentato e difficile come tutto ciò che conta davvero e che si conquista a fatica perché contrassegnato da sofferenze profonde, ma poi illuminato da sorprendenti rinascite e da progetti così larghi e importanti da abbracciare il passaggio tra le generazioni. Ma è anche un’abitazione reale, con i muri di pietra, le finestre, le porte di legno massiccio, il giardino intorno, il disegno dolce delle colline. Grande abbastanza, idealmente e non solo, per trasformarla in un progetto di accoglienza destinato ad ospitare altre coppie in ricerca. Perché, quando riesci davvero a costruire una casa sulla roccia, nel cuore e nella realtà, ti accorgi subito che è troppo importante perché altri insieme a te, insieme a noi, non ne condividano gli spazi e non ne apprezzino l’atmosfera, l’aria satura di bellezza e di verità.

La casa sulla roccia sorge a Capolona, dodici chilometri da Arezzo e non esisterebbe, almeno come centro di accoglienza e di condivisione familiare, se la storia d’amore di Marina e di Giuseppe non le avesse regalato una nuova pagina di vita e quindi un nuovo futuro. Anche pietre levigate dal trascorrere dei secoli possono trarre benefici dal contagio dell’amore per sempre. Ma arrivare a quell’antico casale nel cuore della Toscana e a tutto quello che rappresenta, anche in termini di storia nuziale e familiare, si è rivelato un’impresa aggrovigliata e con tanti momenti drammatici.

La casa sulla roccia

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Marina e Giuseppe, milanese doc lei, di origini siciliane lui, si conoscono all’inizio degli anni Novanta. Sono giovani, brillanti professionisti che lavorano insieme in una grande impresa di comunicazione, la più innovativa e la più rampante in quella Milano da bere dove sembra che gli unici traguardi siano la carriera, il guadagno, il divertimento. Loro condividono l’ufficio e, ben presto, anche il sogno di un amore insieme. Ma la vita è più complessa degli slogan di felicità che loro promuovono. Marina è già sposata, anche se la sua relazione è in crisi profonda. L’entrata “a gamba tesa” di Giuseppe le assegna il colpo di grazia. Ma l’entusiasmo per la nuova storia appare destinato a spegnersi subito per un nuovo “inciampo”. E non si tratta di un particolare trascurabile. Marina rimane incinta e i due ragazzi sono chiamati a decidere se continuare a “stare bene insieme” in modo spensierato, liberandosi di quel “problema” o imboccare una nuova strada di consapevolezza e di maturità alla quale però non sono ancora preparati perché distante anni luce dall’efficientismo consumista in cui sono immersi e in cui le questioni etiche non hanno diritto di cittadinanza. La coscienza è confusa, i valori rovesciati. «Il fatto semplicemente di non vedere quanto si stava compiendo ci metteva al sicuro: non si trattava di un essere umano, ma di un problema», scrivono in un libro fresco di stampa intitolato proprio La casa sulla roccia. Storia della nostra conversione (Edizioni Ares, pagg. 136, euro 15).

Quella tragedia, di cui negli anni avvertono via via tutta la gravità, si imprime così profondamente nel loro cuore da sollecitare una dura, quasi spietata revisione di vita. Dapprima si apre tra loro un baratro di incomprensione che finisce per allontanarli, anche se non spegne il desiderio di ripartire in modo diverso, più sereno, più limpido. Non senza fatica, anche grazie all’incontro provvidenziale con un padre spirituale che sa rimettere al posto giusto i cocci spezzati, accettano un percorso impegnativo per comprendere fino in fondo gli errori commessi e mettere in luce con chiarezza quello a cui aspirano. Assisi, l’eremo di San Masseo, quello di Caresto, sono tra le tappe della lenta rinascita interiore, mentre va avanti la causa per la verifica della nullità matrimoniale che Marina ha voluto con forza per non lasciare alcun residuo di un passato ingombrante. Anche in questo caso, ad accompagnare la causa che, come si sa, non è mai solo una questione giuridica, un’altra presenza decisiva, quella dell’avvocato Francesco Migliori, tra i padri del Progetto Gemma per sostenere le mamme che hanno rifiutato l’aborto. E pensare che i due l’avevano scelto a caso tra l’elenco degli avvocati rotali consegnato loro dalla Curia di Milano.

Finalmente, sistemate le cose dal punto di vista del diritto canonico e, soprattutto, da quello della serenità spirituale, il 21 giugno 1997 Marina e Giuseppe si sposano nel santuario della Verna. Comincia una nuova avventura. Accanto al desiderio di crescere insieme nella vita di fede che trova nell’appartenenza all’Opus Dei un cammino di santità «che ci è apparso da subito ritagliato per noi laici», accanto ai figli che arrivano uno dopo l’altro – oggi Teresa Maria ha 25 anni, Francesco Nicola 22 anni, Annachiara Benedetta 20 – accanto agli impegni di lavoro, spunta anche il desiderio di mettere in piedi una realtà dove le famiglie si possano incontrare per momenti di formazione spirituale in modo “leggero”. Rinasce così, dopo molti anni di faticose ristrutturazioni, la casa sulla roccia tra le colline aretine. «Non abbiamo voluto creare un centro formativo in senso classico – spiegano Marina e Giuseppe – ma un luogo per incontri familiari in cui, partendo dall’arte, dalla letteratura, dal cinema, grazie agli spunti offerti da specialisti qualificati nelle dinamiche relazionali e familiari, facciamo risuonare in noi la bellezza della vita di coppia». La volontà è stata quella di creare un ambiente dove le persone, anche quelle più “lontane” e meno abituate a vedere il matrimonio in una luce di fede, possano sentire attrazione per la proposta coniugale cristiana. «Lo potremmo definire – concludono – un apostolato di coppia del divertimento. Si sciolgono gli animi per far passare la bellezza della vita insieme».

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