Sotto il Tuo Manto

Sabato, 7 giugno 2025 - Sant' Andronico di Perm (Letture di oggi)

La conoscenza di Dio mi rende libera e assolutamente indipendente da ogni cosa. Qualunque avvenimento ormai viene a trovarsi sotto i miei piedi, dal momento che il mio sguardo è fisso in Dio. Quando considero la tua grandezza ed il tuo fascino, Signore, si scatena in me tutta la gioia. La sapienza vera è amare Dio; ogni grandezza e ogni beltà  si trova in lui. Fuori di lui non conosco nulla che possa dirsi grande e bello. O sapienti del mondo, o grandi intelligenze, riconoscete che la vera grandezza è amare Dio. È sorprendente che vi siano uomini, i quali ingannano se stessi dicendo che non esiste eternità ! (Santa Faustina Kowalska)

CAPO XVI. ULTIMI GIORNI DELLA VITA E MORTE DI ANNA CATERINA.


Nel venerdì santo del 1823 Anna Caterina si era espressa cost: « Non vivrò più assai per vedere una seconda Pasqua. Ho fame e sete del SS. Sacramento. Mi è stato sempre detto che ove ciò non venga a cambiare, presto dovrò morire. » E poco innanzi alla solennità del Corpus Domini dello stesso anno il Pellegrino aveva notato così: « I suoi lavori per la Chiesa ono adesso, com'ella dice, accompagnati da si gravi sforzi e tormenti che crede dovervi soccombere. Sentesi continuamente come giunta al fine della sua vita. Se sopravviverà alla festa, allora potrà sperare una qualche prolungazione.. » Nel giorno medesimo di quella solennità ella trovavasi in molto misero stato, pure ebbe una gran visione circa il SS. Sacramento. Siccome a causa dei vomiti temeva di non potersi comunicare, tutta tremante di angoscia prego Iddio di non permettere che le venisse impedita la Comunione. Fu esaudita, e subito le sopravvenne un certo miglioramento, e potè ricevere la SS. Comunione. « Vidi in seguito ( cosi narrò essa) Gesù con santa Valpurga sua bella sposa; vidi per altro me stessa si miserabile come lo è un povero vermicciuolo. Supplicai per potere anch'io divenire sua sposa come Valpurga, e Gesù mi domandò: Che vuoi tu dunque? - Ah concedimi, dissi supplicando, di non peccare! Mi lasciarono senza risposta.

Rimase ancora in vita, ma in tali patimenti che aumentarono di mese in mese, e che vengono descritti dal Pellegrino con queste parole: « È entrata in un periodo di spaventosi martirii in pro della Chiesa. Viene torturata, crocifissa; il collo e e la lingua si gonfiano; giace sempre come oppressa ed annichilita dal dolore. Soffre pure per coloro che non sono ancora disposti a penitenza. Santa Barbara e santa Caterina le spiegano la sua posizione: essa non deve titubare o sbigottirsi; volontariamente ha assunto sulle sue spalle cotesti dolori, li deve sopportare sino al fine..... Prova spaventevoli dolori negli occhi sino a divenirne quasi cieca, in pro di un infermo cardinale.Quasi soccombe, e lamentandosi dice: Mi pare di aver negli occhi dei martelli che battono. Colle sue tante suppliche ottenne qualche mitigazione, ma quei dolori ritornarono ben tosto. È molto ammalata; a quella pena negli occhi aggiungesi il vomito. Soffre sino a quasi perderne i sensi. Non può nè parlare nè vedere. »

Nell'ottava della Concezione di Maria, la superiora delle dame del Sacro Cuore in Amiens, madama G. Duhayet erasi rivolta per lettera all'inferma onde implorare le di lei preghere in pro della sua comunità. Il confessore non voleva più sottoporre ad Anna Caterina quello scritto, assai voluminoso, che si diffondeva circa tutte le circostanze attuali della supplicante; ma poi lo fece, persuaso dal Pellegrino. Appena ella ebbe presa cognizione del contenuto di quella lettera, disse: « Ho veduto questa monachina. Manca di sostegno spirituale, non è ben compresa. Ha però uno spirito forte e virile. L'amo moltissimo e voglio stabilire con essa un'alleanza di preghiere. »

Alcuni giorni più tardi potè a causa dei suoi gravi patimenti raccontare soltanto il seguente frammento del suo simbolico patire in pro di quella monaca: « Mi trovava con quella monachina entro un giardino. Era giardiniera di gran potenza ed abilità in ciò che concerne i semi. Avea un cestino in cui erano molte divisioni, ed in queste molte candidissime borselline, ed in ognuna di queste contenevansi semi di ogni sorta erbe e fiori. Aveva ogni genere di semi, e laddove scopriva una pianticella ne raccoglieva il seme in una nuova borsellina. In alcune di quelle borse eranvi molti, ed in altre pochi granelli di seme; in alcune per altro i differenti granellini erano sossopra e confusi. Non parlai con lei, ma lavorai e piantai con grande fatica e diligenza. Quel giardino era diviso in piccole aiuole, ed ella aveva seminato qua e là, ma la più parte presentavano ancora un nudo e duro terreno. Non aveva alcun aiuto e non sempre sapeva ove trovarlo. »

Questa fa l'ultima di lei rivelazione, giacchè nella notte di Natale il Pellegrino dovè riferire: « Ella che generalmente suol provare qualche sollievo in occasione di questa solennità, trovasi ora continuamente come moribonda per compassione e partecipazione di pene con infermi di reumatismi ed altri morbi. Non può parlare, geme e tosse, ed è indicibilmente spossata. Le venne mostrata una giovane che si era comprata una collana di tutto lusso e vanità. Per salvarla dalla perdizione dell'anima, dovette assumersi altrettanti dolori nel collo e ? sul petto, quanti intagli, prominenze e pante l'orefice avea fatte in cotesta collana. Disse che inoltre doveva pregare anche per coloro che in occasione di questa solennità, per semplice abitudine ed in istato di peccati di vanità, s'accostano ai Sacramenti. »

6 gennaio 1824. « Fa ingresso nel nuovo anno trovandosi in molto misero stato. Giace immersa in febbre, dolori reumatici, convulsioni; però rimane di continuo in attività spirituale in pro della Chiesa e dei moribondi,giacchè una volta ha detto cosi: Il Papa ha sopraccaricato le mie spalle col suo spaventevole peso. Era molto ammalato; soffriva tanto per gli intrighi dei protestanti. L'ho inteso una volta a dire che preferiva piuttosto farsi uccidere dinanzi alle porte di S. Pietro, che sopportare più a lungo coteste intrusioni, intrighi ed assalti; la sede di S. Pietro deve esser libera. »

9 gennaio. « Il confessore crede che presto avrà cessato di vivere, giacchè ba detto in visione colla maggior gravità: — Non posso intraprendere niun nuovo lavoro. Sono giunta all'orlo (della vita ). »

10 gennaio. « Trovasi immersa in tali pene che gemee si lagna, anzi si contorce come un verme, e si querela come se fosse alla tortura. Disse al confessore: Finora ho sofferto in pro degli altri, ora soffro per conto mio. Invoca con moribonda voce soltanto il nome di Gesù. »

11 gennaio. « Oggi disse: Gesù bambino mi ha portato per Natale in dono molti dolori, ed è tornato iernotte presso di me, e me ne ha arrecati molti più assai. »

12 gennaio. « E chi potrebbe descrivere cotesti spaventevoli patimenti? Ne può dar la misura soltanto quel suo continuo gemere e quel sordo querelarsi con Dio, ed il balbuziente ed interrotto supplicare al medesimo, onde ottenere alcun sollievo, e ciò in lei che generalmente può tacere in mezzo ai più gravi dolori! Il medico ha detto che si può aspettare la sua fine ad ogni ora. Ella medesima mostra ripetutamente il desiderio di confessarsi, 9 ed ha già indicato al confessore come egli debba disporre della sua piccola proprietà. Con quel continuo soffrire e vomitare, si è manifestata una infiammazione del basso ventre. Deve starsi seduta giorno e notte, vacillando e gemendo pei dolori. La di lei sembianza esprime la più gran pazienza e dolcezza, con pieno abbandono in quella terribile bramosia di martirio. Spessi svenimenti e sudori mortali si frappongono a questo stato. »

15 gennaio. « Disse con una serietà che facea veramente fremere, e destava il più alto commovimento:  Il bambino Gesù mi ha arrecato gravissimi dolori; ciò è avvenuto dopo la Circoncisione, mentre egli avea la febbre derivante dalla ferita. Mi ha raccontato tutti i patimenti, e la fame, e la sete di lui e della santa sua Madre. Mi ha tutto mostrato, e come possedessero ancora soltanto una crosta di pan secco. Mi disse pure: Tu sei mia! tu sei la mia sposa! Soffri quel che ho sofferto! Non dimandarmi il perchè; si tratta di vita e e di morte!  Nemmeno in questo momento non ne so il motivo; quanto durerà ciò? come durerà? dove soffrirò? Mi son ciecamente abbandonata alla misteriosa volontà di Dio: succeda di me, ciò che ei vuole. Mi avviene in questo come nella orazione: sono pienamente abbandonata alla misteriosa volontà di Dio. Oh che essa si compia sopra di me! Per altro mi sento affatto tranquilla nell'anima e provo pur molto conforto anche in mezzo alle pene. Questa mattina stessa mi sentiva felicissima. » Poi dimandò: « In che tempo siamo? Ah ora avrei finito ben presto di raccontare la vita di Gesù, ed invece mi trovo in sì misero stato. »

16 gennaio. « Il Pellegrino è stato per alcuni minuti vicino al suo letto. Non parla e non ha altro movimento fuorchè un anelito affannoso derivante dalla pena. Le di lei mani hanno un continuo moto convulso. I suoi gemiti e l'affanno pieno di martirii durano giorno e notte. È impossibile trattenersi dal piangere e dal pregare. Teneva gli occhi chiusi. Sul suo volto appariva un misto di dolore e di serietà. Il confessore crede che ella sia già in preda di una fredda cancrena, ed il medico non dà alcuna speranza. Quest'ultimo disse al Pellegrino che secondo le previsioni umane potea morire ad ogni momento. Quando il Pellegrino le domandò se ella non avesse più veruna speranza, crollo seriamente la testa. Il di lei stato produce un'impressione che veramente lacera il cuore. »

18 gennaio. « Sempre nello stesso misero stato. Alla di manda se ella sentirasi paziente, un dolce sorriso di gratitudine verso Iddio interruppe la tremenda gravità dei suoi dolori e svenimenti. Il più spesso sembra essere in istato di visione, o a meglio dire lo è sempre, quantunque non si possa con chiarezza osservare. Sul mattino e mentre non sentivasi alcun suono di campane, disse al Vicario Hilgenberg che pregava presso il suo letto: « Qual dolce suono! Ciò proviene dalla gran solennità d'oggi (il Nome di Gesù ). »

19 gennaio. « Il Pellegrino parlava a qualche distanza dal di lei letto, ed era distanza tale che ella non poteva sentire, col Vicario Hilgenberg, della natura dei di lei patimenti. Essa poco dopo disse con voce soffocata ed interrotta: - Ah non lodatemi, giacchè da ciò ne deriva che i miei dolori si aumentano molto di più (1).

(1) Ai 20 gennaio il P. Limberg scrisse alla Söntgon in questo modo: « Giacchè so qual parte ella prenda allo stato della di lei inferma con sorella Emmerich, così mi prendo la libertà d'annunziarle con queste righe in quale stato trovisi adesso. Ella avrà già inteso a dire che l'inferma soffre da molti mesi di una infiamniazione agli occhi,che si è alquanto mitigata verso il Natale, ma da quel tempo patisce spaventevolmente di una tosse fortissima, la quale l'ha spossata e consunta in un modo, che ora sembra non aver più che la pelle sola e le ossa, e così secondo le umane apparenze non può credersi che possa durare più a lungo, a meno che Iddio non la ristabilisca. Corse ieri l'ottavo giorno dacchè il Dottor Wesener dichiarò che a giudicare, dal polso ogni minuto poteva esser l'ultimo. A causa della violenza della tosse ed in grazia della grande irritabilità dei di lei visceri, si è formata un'infiammazione nel basso ventre: che ne risulterà, niuno può dirlo o saperlo. Pure sien rese grazie all'Altissimo dacchè egli le ha sinora accordato pazienza anche in mezzo ai più gravi patimenti. Preghi per questa sua consorella immersa in sì gravi pene, onde in lei si adempia la volontà di Dio, venga onorato per mezzo dei patimenti di questa sua Serva, e le conceda pazienza sino alla fine..... Abbia la bontà di partecipar lutto ciò anche al di lei cugino Bernardo Emmerich, onde sempre più fervorosamente preghi per l'inferma. »

Il confessore disse che avea ripetuto ieri la stessa cosa. »

21 gennaio. « I suoi patimenti si accrescono, se pure è possibile, in ogni giorno che passa. Geme ed ha il rantolo giorno e notte. Intende con l'orecchio molto difficilmente. Il di lei volto spira una tremenda serietà. Rare volte, ed allora soltanto quando a caso ha estremo bisogno di aiuto, balbuzia alcune poche e quasi inintelligibili parole con voce affatto alterata. Non può cambiar situazione nel letto colle sue proprie forze, e quando vien posta di fianco, minaccia tosto di rimaner soffocata. Il Pellegrino le amministra olio di santa Valpurga la mattina e la sera. Allora a stento balbetta talvolta queste parole: Oh quanto è piacevole. Ma per altro' con voce affatto alterata. Non dorme mai, e sta sempre a mezzo seduta, oppressa dall'affanno e dal rantolo, e cogli occhi chiusi, di giorno e di notte. »

22-26 gennaio. « I di lei patimenti non cambiano punto. Ella medesima è senza la minima speranza. Ha fatto in questi giorni venire dal suo villaggio e gli uni dopo gli altri i suoi fratelli, ed anche lo studente da Münster. Non può dir loro che poche parole, ma vuole per altro che restino vicini al suo letto per un certo tempo. Non ha mai praticato cid in veruna mortal malattia del passato. Quando il secondo figlio di suo fratello, bravo giovine contadino, nella mattina prese da lei congedo, ella, come narrò il confessore, gli disse con voce straordinariamente chiara di mantenersi sano e di aver sempre Iddio dinanzi agli occhi, aggiungendo che ora non v'era più d'uopo che venissero a visitarla. »

27 gennaio. « Il Pellegrino l'ha trovata più morta che viva. Potè appena inghiottire l'olio di santa Valpurga. Le rosse fiamme della febbre le apparivano sulle guancie. Ha le mani sempre bianche, ed i punti dove sono le stimate brillano sulla sua tesa pelle come se fossero argento. »

« Vuol morire da monaca. Nel pomeriggio fece pregare dal confessore la signora Hackebram di venir da lei, affinchè nella sua qualità di superiora e rappresentante l'antica comunità del monistero, si trovasse presente quando riceverebbe l'estrema Unzione. Ricevè quel Sacramento con vigore e piena cognizione, ed inviò in seguito la superiora ed il cappellano Niesing al decano Repsing per pregarlo in di lei nome a perdonarle, quand'essa a sua insaputa e contro ogni sua volontà lo avesse mai offeso. Lo fecero, ma il decano anche adesso si tien lontano dall'inferma.

31 gennaio. «Parla soltanto ancora col confessore e talvolta dice una parola colla nipote. »

1 febbraio. « A sera la visitò il Pellegrino. Respirava molto difficilmente. A un tratto si raccolse intimamente: suonavano le campane della sera per la festa della Purificazione, che cade domani. »

2 febbraio. « Oggi ha sussurrato sommessamente così: Ah non mi è andata mai così bene da molto tempo. La Madonna ha fatto tanto per me! Son malata da ben otto giorni, non è vero? Non so più nulla del mondo. Oh cosa mi ha fatto la Madre di Dio. Mi ha presa seco: io voleva restare con lei. - Allora raccolse le idee e disse elevando un dito:- Zitto! non oserei per nulla al mondo parlare di ciò. Ora ammonisce sempre tutti ad astenersi da lodarla e glorificarla, giacchè ogni volta che ciò avviene, deve soffrire molto più spaventosamente. »

6 febbraio. « Oggi ha ordinato che domani, siccome giorno anniversario della morte dell'abate Lambert, si celebri una Messa a di lui suffragio.

7 febbraio. « Invoca continuamente il Signore in suo soccorso. Parla nei suoi patimenti con voce più chiara e sensibile di quel che non l'abbia fatto fin qui. Dice spesso: - Ah Signore Gesù, ti ringrazio mille volte per tutto il corso della mia vita. Signore, non già come io voglio, no, ma come tu vuoi! Una volta pronunziò queste commoventi parole: – Ah, ecco là quella bella cestina di fiori! conservala! ed anche quel giovine arboscello di alloro conservalo! L'ho per lungo tempo custodito, ma non posso farlo più! Verosimilmente sotto quei simboli aveva inteso parlare della nipote e del nipote secolare. »

Agli 8 a sera il Vicario Hilgenberg pregava presso di lei, Essa volle riconoscente baciargli la mano, ma ei la ritrasse umilmente indietro. Lo pregò di assistere alla sua morte, tacque alcun poco e poi disse: « Gesù mio, io vivo in te, io muoio in te! » Disse pure: « Sia ringraziato Iddio! Non sento più, non veggo più. » Mentre ella appariva affatto fuor dei sensi per le gravi pene, il Pellegrino s'inginocchiò presso il di lei letto ed incominciò ad orare. Quindi le pose in mano un piccolo reliquiario, che una volta ella aveva portato, e che da quattro anni in poi avea donato al medesimo. Ritenne stretta in mano quella capsola per un paio di minuti; il Pellegrino la riprese di nuovo, ma nel seguente giorno ne trovò spezzato il contorno d'argento. Era il giorno della di lei morte.

9 febbraio. Il confessore narrò così: « Oggi prima che spuntasse il giorno le ho amministrato un'altra volta il SS. Sacramento, che ha ricevutocolla sua abituale devozione. Nella precedente notte mi avea già detto di sapere il significato della sua malattia e che me l'avrebbe manifestato se non fosse tanto spossata. Verso le due pomeridiane apparvero i sintomi della morte omai prossima. Siccome gemeva per le doglie cagionatele dalle piaghe del dorso, volevansi disporre altrimenti i cuscini, ma essa lo declinò con queste parole: - Ormai bentosto tutto sarà finito, intanto mi sto distesa sulla croce.-- Ciò mi commosse altamente. Le impartii la generale assoluzione e recitai le preghiere degli agonizzanti. Quando furono finite, essa afferrò la mia mano, la strinse, mi ringraziò e prese commiato. Quando alcun tempo dopo entrò sua sorella ad implorare perdono, l'inferma si rivolse verso di lei, la guardo fissamente e e mi domandò: che dice? –Implora perdono, le risposi; al che ella con molta serietà soggiunse:- Non havvi in terra creatura alcuna cui non abbia perdonato. Bramava ardentemente la morte e spesso sospirava dicendo:, - Vieni adunque, o Signor mio Gesù! - Io la consolava dicendo che doveva starsene tranquilla e patire col suo Salvatore, che sulla croce perdonò anche al ladrone. Allora pronunziò queste memorabili parole: - Si, ma tutti in quell'epoca, ed anche quell'assassino sulla croce, non avean da render conto di tanto quanto l'abbiamo noi, giacchè non avean ricevute tante grazie come le abbiamo ricevute noi. Io sono peggiore assai di quel ladro sulla croce; e più tardi aggiunse: Credo che non posso morire, perchè molte buone persone, per vero errore, pensano bene di me. Dica, la prego, a tutti che sono una miserabile peccatrice. Mentre voleva di nuovo consolarla, mi replicò con forza e come protestando: - Ah potessi almeno esclamare ad alta voce ed in modo che tutti mi sentissero, che non sono altro se non se una miserabile peccatrice molto peggiore dell'assassino sulla croce!

Quindi divenne più tranquilla. Frattanto era sopraggiunto il Vicario Hilgenberg ed anch'egli pregava presso il di lei letto. Quel buon vecchio rimase genuflesso presso il letto per una ora intera. » Il Pellegrino si approssimò verso le cinque e mezzo alla di lei abitazione. Il confessore avea appunto in quel momento accostate le imposte, e disse: « Siamo alla fine. » Il Pellegrino trovò in camera la nipote della moribonda, il Vicario Hilgenberg, la sorella del confessore e la signora moglie di Clemente Limberg, sua precedente padrona di casa. Stavano genuflessi e pregavano. La porta della piccola stanza attigua, ove giaceva l'ammalata, era aperta per agevolarle il modo di respirare. Ardeva la candela dell'agonia. L'inferma giaceva a mezzo seduta nella cesta che le serviva di letto. Aveva breve il respiro. Il di lei volto esprimeva la più alta serietà. Teneva gli occhi in su rivolti verso il crocifisso. Dopo un certo intervallo trasse disotto la coperta la mano dritta e la posò per disopra. Il confessore la consolava e spesso le dava la croce a baciare. Ella umilmente cercava sempre colle labbra i piedi del crocifisso, senza mai toccare il capo o il petto, ed al fine ritenne quei sacri piedi fra le sue labbra. Parve quindi che volesse ancora partecipare alcunché al confessore. Sino al fine gli rispondeva sempre istantaneamente e colla maggior ubbidienza, ogni qualvolta la interrogava. Egli allontanò tutti dalla stanza. Il Pellegrino la vide vivente per l'ultima volta. Quando venne nell'anticamera a raggiungergli altri che sedendo o genuflessi pregavano, scoccavano appunto le otto. Il confessore raccontò che essa avea parlato un'altra volta di un'inezia già detta in confessione, e poscia avea soggiunto: « Ora mi sento si tranquilla ed ho tale fiducia, come se non avessi mai peccato una sol volta. » Baciò un'altra volta la croce. Il confessore recitò le preghiere degli agonizzanti; essa disse più volte sospirando: « Oh Signore, aiutatemi! Aiuto, o Signor mio Gesù! » Il confessore le mise nella mano dritta la candela dell'agonia e suonò con un campanello di Loreto, secondo l'uso praticato nel convento di Agnetenberg in occasion della morte di una monaca, e disse: « Muore. » Erano le otto e mezzo (1).

(1) La di lei morte avvenne nel lunedi precedente la Settuagesima.

Il Pellegrino si approssimo al letto e la vide inclinata senza vita sul lato sinistro, col capo chino sul petto, e la mano dritta posata sopra le coperte, quella meravigliosa mano, cui il Distributore delle grazie celesti avea conferito l'inaudito dono di riconoscere quanto havvi di santo e di consacrato dalla Chiesa per mezzo del semplice contatto, grazia tale che mai forse n'è stata concessa la simile su questa terra! Il Pellegrino prese cotesta mano. Era freddo e non avea più vita cotesto strumento dei sensi ma spiritualizzato, che poteva andare in traccia e e riconoscere in grembo all'intera natura anche un atomo di sostanza consacrata. Era morta quell'umile e benefica mano che avea nutrito tanti affamati e ricoperto tanti ignudi. Era fredda e morta. La grazia era stata ritolta alla terra. Con noi rimane la colpa. Avea detto già alcuni anni innanzi al confessore (1), mentre trovavasi in istato di visione, che dopo la di lei morte ei dovesse reciderle la mano dritta.

(1) V. parte prima del 2 vol., pag. 154.

Il Pellegrino si rammentava che avesse pure affermato che anche dopo morte e cosi separata dal corpo quella mano avrebbe, sul comando di obbedienza spirituale, ricono sciuto le cose sacre. Una volta aveva pure raccontato una visione in cui si vide giacente in un feretro dinanzi alla chiesa e priva delle mani, e vedeva quelle sue mani librate in aria, cercar le cose sacre in ogni angolo della chiesa. Il confessore dichiarò che fino alla fine egli aveva con ansietà pensato a quelle antiche parole, credendo che potesse in quegli estremi momenti ripeterle. “Forse (egli aggiunse) non lo ha fatto perchè vide nell'animo mio la grande angustia ed inquietudine che vi si accoglieva per timore che ella potesse ripetere la stessa ingiunzione, od esprimere lo stesso desiderio. »

Il giorno susseguente il Pellegrino si recò in Haltern ed in Bocholt, di dove ritornò verso la fin del mese in Dülmen.

Il Limberg ed il Wesener adempirono coscienziosamente alle preghiere della moribonda, la quale avea desiderato che il suo corpo dopo la morte venisse sottratto ad ogni visita ed ispezione. Il P. Limberg affidò la cura di preparare il cadavere per la sepoltura alla moglie di suo fratello Clemente, cui il Pellegrino stesso non potè rifiutar la testimonianza « che non avrebbero potuto trovarsi più umili mani a tal uopo, giacchè la medesima considerava simil funzione come cosa gravissima e come una grazia. Cotesta signora riferi in seguito: « Nel dopo pranzo del  mercoledì 11, inviluppai il cadavere in un gran lenzuolo, giacchè tale era stata la di lei volontà, e poi sollevandolo dal letto di morte lo deposi sopra una materassa imbottita di musco. I piedi erano posti in croce l'uno sopra l'altro e fortemente legati. Vidi le stimate delle mani e dei piedi rosse e distinte secondo il consueto. Quando la sollevai, in quel moto ella effuse sangue ed acqua dalla bocca.Tutte le membra erano molli e pieghevoli. Nel giovedì sul meriggio venne la bara. Quando vi fu collocata mostrava un leggiadro aspetto. Essa avrebbe voluto avere un feretro affatto semplice e povero, ma pure ne aveano preparato uno assai ornato. Venerdì alle otto e mezzo venne sepolta. Fuvvi un numeroso accompagnamento e non havvi memoria che se ne sia veduto uno simile per lo innanzi in Dülmen. Tutti gli ecclesiastici, i cittadini, i bambini delle scuole, ed i poveri l'accompagnarono al sepolcro. »

Agli 11 di febbraio il P. Limberg diè un'elemosina ad una povera donna lavorante a giornata, onde coi suoi figliuoli per nove giorni visitasse la Via Crucis a suffragio della defunta. Intorno a ciò riferi al Pellegrino quanto segue: « L'inferma molti giorni prima della sua morte mi avea dato commissione di far sì che per nove giorni consecutivi il Vicario Hilgenberg celebrasse per lei la Messa nella cappella di sant'Anna, e che ivi si accendesse una candela dinanzi all'immagine; così pure quella donna doveva per nove giorni consecutivi coi suoi figliuoletti visitarla Via Crucis. Quest'ultima commissione per altro io avea differito a a darla in causa del cattivo tempo. L'inferma non poteva in alcun modo sospettare questa mia ommissione, ma pure poco prima del suo fine mi disse:

Ella mi ha tolto il vantaggio di una delle due cose da me raccomandate. Non ha dato commissione a quella donna di visitar per me la Via Crucis! » Ora udiamo altresì altri testimoni circa le ultime ore della di lei vita. Le note del Wesener riferiscono cosi: « Per tutto l'inverno ella soffri orribilmente negli occhi. Dopo che io ebbi rimosso l' infiammazione esterna coi mezzi ordinari, il dolore infuriava pur sempre nell'interno della papilla. Ogni mezzo impiegato a combatterlo rimase infruttuoso, e che ciò sarebbe ella lo aveva apertamente dichiarato nell'estasi, giacchè anche cotesti dolori non erano che un'opera spirituale presa sulle sue spalle e che doveva esser compiuta col venir del Natale. Effettivamente nel secondo giorno delle feste natalizie sparì ogni doglia dagli occhi, ma sopravvenne invece una tormentosa tosse convulsa. Previde chiaremente la sua morte più settimane innanzi. Quindi quattordici giorni prima di quel solenne momento, prese il più edificante commiato dai suoi più stretti parenti, che a questo fine avea fátti venire. Li consolò coll'idea di un vicino rivedersi in cielo, e li congedò colla preghiera di non più ritornare a visitarla. Negli ultimi otto giorni non parlò quasi più che col suo confessore; il debole resto della sua vita era consacrato all'orazione interna, ma fino all'ultimo respiro ed in mezzo ai pid gravi dolori conservò la sua ferrea pazienza ed il suo amabile contegno, e quando non pot? più parlare ci strinse amichevolmente la mano.

« Ai 9 di febbraio la trovai nella mia visita del mattino in uno stato ineffabilmente misero. Erasi arrestata la frequente espettorazione, lamentavasi di doglie in uno dei lati, e mi convinsi che nella notte era sopravvenuta una nuova pleuritide. In mezzo a indicibili patimenti durò sino alle quattro pomeridiane, quindi parve che la sua lotta fosse finita e che fosse sopravvenuta la paralisi dei polmoni. Le di lei sembianze si alterarono, i polsi disparvero, e l'estremità divennero fredde come ghiaccio. Allora l'inferma mostrossi di bel nuovo serena e parlò sino ad alcuni minuti innanzi al suo decesso, che segui finalmente in piena conoscenza ed uso della ragione dopo le ore otto della sera. »

Il Vicario Hilgenberg cosi annunziò la morte di Anna Caterina in data del 10 febbraio allaSöntgen: « Ha compiuto il suo corso, ha conservato la fede, ed ora ha ottenuto la corona la nostra ben cara amica! Il di lei fine fu oltre ogni modo edificante come tutta la sua vita. Per tutto l'inverno ha sofferto più del solito, quantunque tutta la sua vita sia stato un continuo patimento. Otto giorni sono mi disse: la prego di esser presso di me quando morrò; e iersera verso le sei mi fece chiamare, ed alle otto e mezzo seguì la dolce sua morte fra i baci molte volte ripetuti al crocifisso. Il di lei confessore Limberg fu sempre presente, così pure il Brentano, la signora moglie di Clemente Limberg, la serva Wissing, Gertrude Emmerich, il di lei fratello e la piccola nipote, restando tutti nell'anticamera ed immersi in silenziosa orazione. Alcuni minuti prima della morte desiderò dir qualche cosa al P. Limberg; dopo che ciò ebbe luogo ei ci chiamò tutti insieme presso il letto di morte e disse: vedete, ora muore. Il di lei transito fu dolce. Sicuramente cotesta perdita è sensibile per tutti. Pure posso assicurare che me ne sono intimamente rallegrato. Essa ha trionfato e vinto il mondo! Anch'ella preghi coi suoi amici di costà per quell'anima benedetta, seppure ne ha bisogno. Spero che preghi per noi. »

Ed ai 16 febbraio le scrisse così: « Debbo rispondere alle di lei linee da me ricevute, che la sepoltura ebbe luogo nel venerdi 13. Non è stata fatta sezione del cadavere, il che sarebbe riuscito troppo sensibile al signor Wesener. Il corpo non è stato tolto dal letto ove giaceva che nel giorno dopo il meriggio. Le di lei guancie conservavano ancora un certo rossore da ambi i lati, ma siccome nelle ultime sue ore aveva bevuto più acqua che all'ordinario, cotesto liquido asciva dalla di lei bocca e dal naso, ed intorno al capo vedevasi pure alcun poco di sangue. Venne subito chiusa entro la bara, perchè moltissimi desideravano vederla dopo morte, e ciò fu concesso soltanto a pochi. Quantunque la defunta avesse ordinato che la sua sepoltura avesse luogo senza alcuna pompa e quindi senza confraternite, senza i bambini delle scuole, senza la Messa cantata, ciò nondimeno il numero di coloro che accompagnavano il feretro era talmente grande, che niuno rammentava averne mai veduto ano cosi considerevole, e la chiesa era altrettanto piena quanto suol esserlo nelle domeniche. Tutti erano intimamente commossi e ne deploravano pur sempre la perdita. Io ho fatto conoscere al P. Limberg, che di tutto cuore lo saluta, i di lei desiderii. Egli assicura di voler venir presto a Münster. Sabato è stato alcuno dal sig. Decano, e gli ha proposto per commissione degli Olandesi di comprar il cadavere della serva di Dio per 4000 fiorini, annunziando pure d'aver ottenuto il consenso dal signor presidente Vincke, come anche dal signor pro-vicario; ma cotesta offerta è stata come di ragione rigettata. Faccia Iddio riposare in pace colei che già durante la vita è stata assai tormentata. »

Circa cotesta proposta compra del cadavere, il Pelle grino ottenne personalmente dal decano Rensing più precisi schiarimenti. Egli riferisce in questa guisa: « Nella domenica 29 febbraio il Pellegrino si recò dal decano Rensing per trattar con lui circa una pietra marmorea sepolcrale da collocarsi sulla tomba della defunta. Lo interrogo pure circa l'offerta compra del cadavere, e intorno a ciò ne ottenne le seguenti notizie: Nella sera successiva al giorno della sepoltura, il mercante H. di Münster fu qui da me, offrendosi per commissione di un olandese di pagare alla famiglia Emmerich orvero alla chiesa parrocchiale di Dülmen 4000 fiorini olandesi in prezzo del cadavere di Anna Caterina. Disse pure che il signor pro-vicario e il presidente Vincke non avevano nulla in contrario, del che per altro dubitai. Sulla mia dimanda però del che volesse fare di quel cadavere che dovea essere già putrefatto, ei rinunziò a quella compra. » Così parlò quel perfetto maestro in dissimulazione; ma il Pellegrino incominciò a ragionare apertamente delle grazie soprannaturali di cui era ricolma la defunta; al che il Rensing soggiunse: « Si! essa è al certo una delle più rimarchevoli persone di questo secolo! » Egli però non ha mai fatto alcun passo verso questa si rimarchevole pecorella affidata alla sua cura e faciente parte del suo gregge. Eppure ella che non l'aveva mai offeso, prima di morire l' aveva fatto pregare di perdono. Egli che collo stringersi nelle spalle e secondare il vento che spirava, cioè le persecuzioni governative, l'avea fatta tanto soffrire; egli che prima aveva scritto in di lei favore, e poi avea posto in circolazione in Münster un manoscritto equivoco sopra di lei, ei non avea nulla da rispondere a cotesta preghiera! Nè si lasciò in niun modo rimuovere dalla stragrande ed astuta riserva che gli era propria! Nel momento in cui Anna Caterina venia sepolta e che tutti erano commossi, dicesi che ciarlasse colla maggior serenità con altri dinanzi alla propria porta. Quel che poi apparve molto degno d'osservazione al Pellegrino si è che il decano, il quale sul principio del discorso dichiarò che senza prima consultare la superiore autorità ecclesiastica non conveniva metter alcuna pietra su quella tomba, nè in veran modo aprire il sepolcro senza previa permissione, pure aggiunse sul fine: Ove poi si debba collocare un marmo su quella tomba, sarebbe bene verificar prima se il cadavere ancora vi si trovi. »

A tenore di quest'ultima manifestazione sembra che anche il Rensing abbia dato fede alla ciarla che il cadavere fosse stato nascostamente sottratto dal suo sepolcro da un olandese; ciarla che si diffase si rapidamente ed eccitò tal disturbo in Dülmen, che l'autorità superiore ne fu mossa a far aprire il sepolcro per convincersi della presenza del cadavere.

Ai 26 di marzo 1824 il Vicario Hilgenberg scrisse intorno a ciò alla Söntgen: « Le annunzio che nella notte dal 21 al 22 di questo mese, il borgomastro Möllmann, in presenza degli ufficiali di polizia e del falegname Witte, fece aprire coll'aiuto dei due inservienti del cimitero la sepoltura della nostra defunta, che già lo avea predetto vivendo, e che il di lei cadavere vi fu ritrovato precisamente come vi era stato deposto. Era stata prima d'interrarla inviluppata talmente in un lenzuolo, che ne rimaneva soltanto il capo scoperto. L'acqua bevuta poco innanzi la sua morte erale uscita di bocca tinta alquanto in rosso, e sulle sue guancie eransi pure mostrate due macchie rossiccie; le di lei sembianze comparvero assai più belle nella bara di quello che nol fossero morendo. Quando quei signori aprirono il feretro dissotterrato, trovarono ancora incorrotto quel cadavere che già contava sei settimane. Per altro le sopra indicate due macchie rossiccie eransi alquanto cambiate in pallore. Si poterono chiaramente ancora riconoscere i segni delle stimate nei piedi. Le mani peraltro che erano insieme col corpo avviluppate nel lenzuolo non hanno potuto essere visitate. È stata osservata una certa umidità rossiccia nella parte superiore del capo, e cosi pure dai due lati del corpo. Cotesti signori temevano di sentire un cattivo odore, quindi aveano acceso le pipe, ed il borgomastro Möllmann teneva il fazzoletto sotto il naso, ma coteste precauzioni son riuscite affatto inutili perchè da quel cadavere non proveniva alcun puzzo. Il signor borgo mastro, che avea commissione dal governo, ha dovuto farne il rapporto e quindi tutte le false ciarle verranno a cessare. La signorina Luisa Hensel ha piantato sulla tomba un cespuglio di rose ed alcuni fiori. Credo che il Signore vorrà ornare la nostra defunta per tutta l'eternità con una corona immortale, ed accogliere la di lei intercessione in pro nostro, »

Già alcuni giorni innanzi a cotesta visita officiale la tomba era stata del pari aperta, ma segretamente, dalla sopra indicata signorina, perchè anch'essa era stata molto angustiata da quelle ciarle, e di più altamente desiderava di vedere ancora una volta le sembianze di una persona estipta, tanto a lei cara e sì altamente onorata. «Eran già cinque settimane ( così scrisse all'autore) dacchè Anna Caterina giaceva sotterra; pur nondimeno non potea sentirsi il minimo fetore cadaverico. Il lenzuolo mortuario era umido come se fosse stato allora lavato, e strettamente si adattava ai di lei membri. Quel fieno e musco su cui giaceva era già pieno di putridome e di muffa. I lineamenti del di lei volto erano affatto placidi e graziosi. Non vedevasi sopra di essi la più piccola alterazione, e tutta la di lei forma involta in quella sindone mi ha lasciato una commovente ed indimenticabile impressione. Sottoposi al di lei capo una lastra di piombo colla iscrizione del suo nome e del giorno della sua morte. »

Una terza apertura di quella tomba ebbe luogo ai 6 di ottobre 1858, circa la quale il decano capitolare di Münster, rev. dott. Krabbe, ha partecipato per lettera all'autore di questa vita ciò che segue: « Ai 6 d'ottobre 1858, in presenza del commissario vescovile e notaro apostolico sig. Bernardo Schweling, del sig, decano Cramer di Dülmen, e di molte altre persone fu aperta la tomba di Anna Caterina Emmerich. La prima cagione di questo fatto fu fornita già sono ora alcuni anni decorsi dal P. Pelliccia dell'Ordine dei Fratelli della Misericordia, mentre venne a visitare in Münster la sua vecchia madre ancora vivente. Egli narrò della gran venerazione che nutrivasi in Roma verso Anna Caterina e si meravigliò di sentirne parlare si poco in Vesfalia. Recossi anche in Dülmen per visitare la tomba della serva di Dio, ma fu molto sorpreso di non trovare su quella tomba nemmeno una croce, e manifesto il suo disegno di porre in moto, al suo ritorno in Roma, una colletta sufficiente per erigere un monumento, presso coloro che nutriscono venerazione per la Emmerich. Cotesta colletta fu intrapresa da persone della più alta nobiltà romana, ed allorchè l'ammontare ne fu qui spedito, il rev. Monsignor Vescovo consenti che sulla tomba venisse elevata una croce gotica in pietra, e che nell'occasione di scavarne il fondamento, quella tomba venisse aperta in presenza dei testimoni. Dischiusa la sepoltura, non si trovò di tutta la bara che un solo chiodo. Quando dopo aver rimossa la terra con grandissima cura, si venne in contatto delle ossa, vennero chiamate dal vicino ospedale due suore di Carità che tolsero una ad una le ossa dalla tomba porgendole ai medici ivi presenti, che erano il dottor Wismano ed il dott. Wesener, il di cui padre avea assistito la Emmerich negli ultimi dieci anni della sua vita.Quelle ossa furono riconosciute come appartenenti a un corpo femminile, e quindi dalle stesse sorelle deposte in nuovo feretro di legno di quercia. Successivamente trovossi tutto lo intero scheletró in posizione naturale, colla eccezione delle piccolissime particelle che si erano disciolte e colla terra commiste. Quel feretro unitamente alle ossa venne trasportato dalle suore di Carità e coll'accompagnamento di tutte le altre persone presenti a quell'esame, entro all'ospedale, e colà fu accuratamente chiuso e quindi sigillato. Dopo poi che la fossa sepolcrale fu murata da tutti i lati con mattoni, il feretro colle ossa vi fu di bel nuovo trasportato dall'ospedale. Il sepolcro venne nuovamente benedetto, e quindi vi fu calato il feretro, e poi per sopra richiusa la fossa con una volta di mattoni. Per sopra vi fu depositata l'antica pietra sepolcrale, e su quella venne collocata semplicemente la croce. »

Alcuni anni dopo tutto l'esterno spazio occupato dalla fossa sepolcrale venne circondato da un bel cancello di ferro, e guarnito di genuflessorii, sui quali bene spesso si veggono pie persone starsi in preghiera.

Quando il Pellegrino nel marzo 1824 lasciò per sempre Dülmen, il dolore per la sofferta perdita aveva scacciato dal suo spirito ogni disposizione di malamore. Il suo commiato dal P. Limberg, dal dottor Wesener, dai vicarii Hilgenberg e Niesing, come pure dalla famiglia del ramaio Mainers fu sì conciliante ed estinse si completamente ogni ricordanza di antecedenti discordie, che tutti gli rimasero affezionati di fedele amore per tutto il resto della di lui vita, e ciò apparisce dalle molte lettere che egli anno per anno solea ricever da Dülmen. Così il Wesener gli scrisse in data del 18 maggio 1825: « Da questi nostri amici ella ha saputo come io sia stato sull'orlo del sepolcro. Di una cosa sola, che per lei e per me è certo la migliore e la più importante, le voglio dar cognizione, cioè della mia più perfetta pace di animo anche in mezzo alle pene più gravi, guadagnata coll' attenermi fermamente a Gesà nostro Signore, e coll'uso dei mezzi della grazia da lui fornitici. Il P. Limberg ed il Vicario Niesing sono stati i miei più fedeli aiuti, ed ambedue mostravansi contenti della mia pazienza, e si rallegravano della potenza delle consolazioni della fede che mi alleviava i più gravi patimenti. La mia guarigione incomincid, dopo che io stesso e gli altri mi tenevano già come perduto, dal momento in cui mia moglie sulle quattro del mattino, ed era in gennaio, corse al cimitero, e nel più grave affanno invocò l'aiuto e l'intercessione della cara Emmerich. Oh cara e buon'anima, durante la mia malattia quanto ho mai pensato ai tuoi ineffabili dolori! »

Al principio dell'anno 1832 il Pellegrino scrisse ad una persona da lui altamente venerata: « Lavoro penosamente intorno al primo quarto di anno del mio soggiorno presso la Emmerich, il che mi riesce molto difficile per causa delle tante cose affatto personali. »

E chiude un'altra lettera alla medesima persona con queste parole: « La supplico colla maggior serietà e e fiducia a pregar per me per queste due cose: 1. Onde Iddio abbia pietà di me e degni concedermi grazia e forza di non offenderlo si spesso e si amaramente colla mia lingua, giacchè pur troppo spesso e facilmente mi sento trascinato, senza alcun bisogno ed utilità, e senza alcuna avvertenza e carità, a parlare di altre persone. Ciò è cosa che mi accade giornalmente, e che quasi quasi potrebbe indurmi a disperare. 2. Che Iddio si degni lasciarmi ancora in vita per un tempo sufficiente a poter finire i miei lavori e e disporre del mio a a benefizio dei poveri. »

Alcuni mesi dopo diede alle stampe la Passione di Nostro Signor Gesù Cristo, unitamente ad un corto compendio della Vita della venerabile Serva di Dio, ciò tutto estratto dai suoi diarii. Non volle per altro decidersi ad ulteriore pubblicazione, malgrado la rapidissima diffusione e i benefici effetti prodotti da quel libro; egli cercava un individuo di forze più giovanili, cui potesse lasciare con ogni fiducia i suoi scritti per pubblicarli. Cosi ei scrisse in quel medesimo anno a G. G.: « Vorrei che non fossimo si lontani l'uno dall'altro, ed allora consegnerei a te ed alla signora V... i miei diarii insieme ad un capitale destinato alle spese della pubblicazione; ma così a distanza ciò non può succedere. Vi sarebbe bisogno di molte comunicazioni orali, del maggior ordine, e di ben consigliata attività, giacchè ciò che havvi di meglio in questi scritti, rassomigliasi in delicatezza al pólline dei fiori ed alle ali delle farfalle.

Seggo solitario, siccome in un deserto pieno di monticelli di sabbia, sopra un tesoro di fuggitivi fogli,e li copro e li difendo curvandomivi sopra, ed intanto muoio di languore in mezzo al turbine del mondo. » I lavori propri della sua speciale vocazione non permisero per altro all'amico di prender sopra di sè le cure di quella pubblicazione. E siccome anche altri tentativi del Pellegrino per trovare un cooperatore, in forza di simili ragioni non raggiunsero lo scopo, così passò di questa vita ai 28 di luglio 1842 nella ferma persuasione che Iddio non lascerebbe andare trascurato e perduto quel tesoro, frutto di tanti patimenti. La sua grand'anima non avrebbe mai potuto decidersi cancellare da quei diarii nemmeno una linea dei suoi si frequenti lamenti ed accuse verso l'inferma e coloro che la circondavano, e ciò perchè il futuro editore di quegli scritti potesse ottenere la pid precisa conoscenza di tutto il successo quasi come un testimonio oculare, e quindi spregiudicatamente giudicasse secondo verità e giustizia. Anche il fratello del Pellegrino, che sopravvissutogli per dieci anni ebbe nelle mani per lungo tempo quei diarii e e li sottopose al più accurato esame, lasciò stare intatto quanto era scritto, onde ciò testimoniasse di tutte le circostanze, situazioni, e relazioni diverse, fra le quali l'anima benedetta di Anna Caterina avea compiuto la missione prefissa alla sua esistenza.

J. M. J.