Sotto il Tuo Manto

Sabato, 7 giugno 2025 - Sant' Andronico di Perm (Letture di oggi)

Hai visto un campo di grano in piena maturazione? Potrai osservare che certe spighe sono alte e rigogliose; altre, invece, sono piegate a terra. Prova a prendere le alte, le più vanitose, vedrai che queste sono vuote; se, invece, prendi le più basse, le più umili, queste sono cariche di chicchi. Da ciò potrai dedurre che la vanità  è vuota. (San Pio da Pietrelcina)

CAPO XV. ANNA CATERINA VIENE TRASPORTATA IN UNA NUOVA ABITAZIONE ASSUME SULLE SUE SPALLE LO STATO CORPORALE E SPIRITUALE DI PERSONE GRAVEMENTE TENTATE E MORIBONDE.



1. Ai 15 febbraio 1821, sulla notizia della morte del Lambert, venne dal consigliere camerale Diepenbrock, padre del cardinale Melchiorre Diepenbrock, residente in Bocholt, fatto per lettera all'inferma l'amorevole invito di venire a terminare la sua vita nel grembo della sua famiglia; e nello stesso tempo venne offerta anche al padre Limberg l'impiego di cappellano domestico in Bocholt, onde Anna Caterina non dovesse restare priva del suo aiuto sacerdotale. Cotesta prova di benevolo interesse, al seguito dei dolorosi casi recentemente avvenuti, riuscitanto per Anna Caterina come pel P. Limberg, cosa che li riempi della più lieta commozione e cordiale riconoscenza. La prima dichiarò nel leggere cotesta lettera: « Già varii anni or sono, che una volta trovandomi in estrema miseria dissi al Signore che in mezzo a si continue afflizioni e guai io non poteva riuscire a mantenere puro il tesoro dell'anima mia. Ed ei mi disse di dover perseverare fino al fine. Quando venissi abbandonata o dispregiata anche dai miei migliori amici, allora mi aiuterebbe egli stesso e vivrei tranquilla per un certo breve tempo. Ho sempre sperato in cotesto aiuto! »

Queste parole erano la prima espressione della sua profonda riconoscenza, e contenevano l'involontaria confessione che in quanto dipendeva dalla di lei personale inclinazione, era pronta a seguire l'invito. Essa guardo il confessore e disse: « Vogliamo pregare per vedere se tale sia la volontà di Dio? - Alcune settimane dopo il Diepenbrock rinnorò le sue offerte per mezzo di sua figlia Apollonia, venuta in Dülmen a visitare la inferma, il che non poteva che contribuire ad aumentare il grande affetto che Anna Caterina sin che visse nutrì sempre nel suo cuore per cotesta famiglia. Apollonia era accompagnata dalla Luisa Hensel, che già negli anni precedenti aveva spesso passato lungo tempo con Anna Caterina. Ambedue appartenevano a quelle poche persone, colle quali era entrata pià specialmente in familiari ed amichevoli rapporti, e cui costantemente per effetto di personale amore accordava il più vivo spirituale interessamento, per le di cui interne ed esterne circostanze si dava cura con tutta la dolcezza di una madre, e che sempre accompagnava colle sue preci in tutte le vie della vita. Che Anna Caterina mostrasse tutto il commovimento di una riconoscente amicizia per si generosa offerta, e che spesso si vivacemente esprimesse quanto sentivasi grata per cid, e come fosse convinta del ricevimento oltremodo affettuoso che ella troverebbe in quella famiglia, era cosa ben naturale e nulla affatto in contraddizione colla intima certezza che secondo i disegni di Dio non lascierebbe mai Dülmen, e che in mezzo a circostanze più sopportabili e tranquille vi chiuderebbe i suoi giorni. Essa riusci ad insinuare l'istessa convinzione anche nel suo veramente paterno protettore; ma il Pellegrino e suo fratello non si poterono mai separare dal pensiero che col trasferirsi a Bocholt ne risulterebbe per la inferma il maggior beneficio possibile su questa terra, e per le loro proprie cure ed intenzioni la sì sospirata libertà da ogni  disturbo ed interruzione. Essi aspettavano soltanto il momento adatto a compire il disegno. L'insuperabile persuasione di far tutto pel meglio dell'inferma, fece dimenticare ad ambedue questi uomini sì indipendenti, si ricchi di talento di spirito, e che sino allora aveano piuttosto seguito l'impulso di un genio poetico e scientifico, che un genere e direzione di vita più stabile e di più alte tendenze, che per Anna Caterina il recarsi a vivere a Bocholt potevano certo aver molto maggiore significazione ed importanza, di quel che non soglia averlo per un viaggiatore il cambiare d'albergo sul venir della notte. Quindi deriva che il Pellegrino inanifesta il suo modo di vedere circa cotesto affare con queste piuttosto secche e dure parole: « Nelle si confuse circostanze (1), ed inenarrabili ed infinite manifestazioni che in lei appariscono, e che esigerebbero non solo il maggior segreto, ma anche la più gelosa custodia per parte delle persone le più ragionevoli, l'inferma eccita e nutrisce in ogni sorta di gente buona, ma senza alcuna intelligenza (2), il sentimento ed il desiderio di familiare relazione e commercio con lei, e ciò in forza della sua smodata ed invincibile condiscendenza. Cotesta gente si scandalizza e s'impermalisce perchè altri (cioè il Pellegrino e suo fratello ) si occupano di lei in modo diverso, e quindi suscita odio e ciarle, ed ella mette tutti i dispiaceri che nascono, sul conto di coloro che l'aiutano senza disturbarla (!!!). Finché non viva affatto isolata, talmentechè il discorrere, l'agire ed il consigliare in cose mondane le venga effatto impedito: fino a tanto che non sia morta affatto al mondo esterno, e finchè parli solo e per si lungo tempo con tante e si varie persone, tutte coteste confusioni non verranno mai a cessare. Il Pellegrino le disse ultimamente che ella spesso parlava in modo confuso. Essa si prese cotesto avvertimento molto a cuore e proruppe in pianto, che poi fini con abbondante vomito di sangue. »

Con simile modo di concepire la situazione e e le circostanze della inferma, doveva certo aggirarsi vertiginosamente nel capo del Pellegrino quel suo disegno di tagliarla fuori interamente ed una volta per tutte da ogni contatto col mondo.

(1) Cioè a dire, come al Pellegrino appariva l'esterna situazione dell'inferma.

(2) Così il Pellegrino qualificava coloro che non dividevano il suo modo di vedere.

2. Nel mese di giugno l'Overberg era venuto in Dulmen. Anna Caterina gli aveva descritto l'intera sua situazione, gli avea reso conto dello stato della sua coscienza, e ne avea ricevuto consiglio e conforto. « Egli ha (disse ella)preso sopra di sè tutti i miei scrupoli (l'avea fatto tranquillandola ed assicurandola non aver essa alcuna colpa in quei dissa pori ed amarezze cagionate dal cambiamento di abitazione avvenuto nel febbraio passato). Non ha nemmeno in questa circostanza detto una parola indicantc volontà che io introduca alcun cambiamento nella inia posizione. » Nei giorni susseguenti ripetè più volte: «Il demonio pretende con violenza disturbare e distruggere ciò che Iddio vuole da me. Veggo una gran croce che cresce e cresce sempre in faccia mia e per me... Mi veggo moribonda e portata in carrozza per sopra un prato. A Bocholt ci andrò soltanto collo spirito... Mi vogliono sorprendere di nuovo e portar via... » Ej al 1 d'agosto disse: « Mi sento si inquieta come se mi minacciassero gravi guai... » Il Pellegrino per altro nel notare coteste espressioni dice: « Queste sono idee miste d'angoscia e di pena,e senza alcun fondamento. » Ovvero: « Ha passato la giornata malamente e col delirio della febbre. »

Già ai 6 d'agosto divenne manifesto come ella giustamente avesse preveduto e quanto fosse fondato quel suo presentimento d'inquietudine; giacchè in quel giorno una carrozza ordinata dal Pellegrino e da suo fratello si fermò dinanzi all'abitazione dell'inferma, ed in quella pretendevasi senza alcun ritardo collocarla e metterla in viaggio per Bucholt. Il Pellegrino stesso racconta cotesto caso colle seguenti parole: « Sul mezzogiorno vennero la signora Hiern ed il signor di Druffel (1).

(1) A ciò incitati dal fratello del Pellegrino.

Si parlò molto di tutti i passi fatti presso il principe vescovo in Münster e presso il signor Decano, e come ora si potesse partire senza alcun impedimento. Si discusse con molto eccitamento, e mollo fu detto pro e contro. Mio fratello si animò sempre più nella sua opinione, parlando a fondo dello stato miserabile di spirito in cui trovavasi la inferma. Essa sentivasi più aggravata. Il confessore si rifiutò contro ogni espettazione a lasciarla trasportare nella carrozza, e colla maggiore inquietudine mise innanzi i più singolari pretesti. Il signore di Druffel e la signora Hiern offrirono la loro prova testimoniale che il vescovo era di ciò inteso. Il confessore la volle avere, e quando gli fu data perseverò nel rifiutare il suo consenso. Il Druffel se ne andò nauseato. La Hiern ebbe la sconsigliatezza di dire al fratello sempliciotto della inferma che essa dovea esser portata via. Costui naturalmente non ne volle udir parlare e lo disse all'altra perversa sorella, e ne risultò una gazzarra ed un fuoco generale, e la partenza divenne impossibile!. »

Anna Caterina vide col maggior turbamento quale amarezza s'impadronisse di nuovo degli spiriti, e per impedire ulteriori discordie e dissapori era disposta nella sua gran bontà a cedere alle pretese dei due fratelli per quanto Iddio glielo avrebbe concesso. A questo fine si consigliò col suo confessore, agli occhi del quale la circostanza che il nuovo principe -vescovo di Münster era in cognizione del progettato cambiamento di domicilio come di un fatto ormai compiuto, era di tal peso che dichiarò che Anna Caterina poteva in nome di Dio lasciar la sua casa attuale, recarsi nella nuova abitazione, e anche congedar la sorella. Essa si assoggettò a cotesta sentenza coine ad un comando, e siccome la sua antica superiora Hackebram non era presente, pregò la sua antica maestra di noyiziato la sorella Neuhaus a venire, onde in presenza sua e del confessore dichiarare al Pellegrino ed a suo fratello essere pronta a far ciò che il suo fratello avea deciso. Il Pellegrino riferisce ancora con animo molto eccitato intorno a cotesto caso quanto segue: « La debole e e vecchia sorella Neubaus andò in furia contro il fratello del Pellegrino, nè voleva assolutamente consegnargli l'inferma. Ei la rimise alla ragione, L'inferma tacque e la piantò nell' imbroglio, e non palesò già esser sua propria volontà di venir trasportata altrove. Cotesto colpevole negativo silenzio lo inaspri e lo raffermo nella sua cattiva opinione verso di lei. Anche la padrona di casa s' infuriò contro il fratello del Pellegrino. Essa come pure la Neuhaus accusarono il Pellegrino di star sempre presso l'ammalata e di esserle di peso. L'inferma non pronunziò nemmeno una parola in contrario. Cotesto secondo rinnegamento lo inasprl ancora di più. Dovè per di più combattere contra la sorella e la bambina. La signora Hiern (1) dichiarò che non partirebbe finchè l'inferma non venisse portata via di casa. Al fine, nella notte del 7, venne trasportata fuori di cotesto albergo di confusione (2) e collocata in altra casa. Quantunque svenuta e priva di cognizione, venendo portata davanti alla chiesa s'inchinò profondamente dinanzi al Sacramento, e nel giorno seguente credette essere stata trasportata attraverso la chiesa. Questo fatto è veramente commovente e ad un tempo istruttivo per gli increduli e gli uomini di malavoglia.

(1) Che questa buona donna, che non aveva mai avuto intima relazione coll'inferma, tanto andasse oltre e tanto si permettesse, è nuova prova del come ognuno si vedesse chiamato ed autorizzato a mescolarsi e intralciar le vie, per le quali Iddio conduceva quel suo eletto strumento.

(2) In cotesta casa peraltro Anna Caterina era stata trattata con tanto amore e riverenza, che il possessore di quella, Clemente Limberg, conservò le due camerette da Anna Caterina abitate nello stato preciso in cui le lasciò al momento in cui venne trasportata nella nuova abitazione, sino all'anno 1859. E tosto dopo la pubblicazione del primo volume di quest'opera il vecchio Limberg scrisse all'autore un fedele ragguaglio di tutte le impressioni in lui cagionate da Anna Caterina, e con ogni vivacità conservate anche in età tanto avanzata.

3. Commoventi però sono del pari anche le ulteriori confessioni del Pellegrino, che nei seguenti giorni si vide contro voglia forzato a ripetere ben sovente. Appena l'ammalata trovossi in quella nuova oscura abitazione, collocata entro una stanza molto incomoda e situata al pianterreno, che tosto il Pellegrino e suo fratello la ricolmarono di rimproveri perchè, «non avea voluto cedere ai loro sforzi (per trasportarla a Bocholt). Il fratello del Pellegrino le svelò intera mente la sua opinione circa lo stato della di lei anima (1).

Da ciò ne provennero per lei gravi turbamenti e dubbi sopra sè stessa. Aprì circa di ciò l'animo suo al confessore, che ne fu pure spaventosamente turbato. E così si aggravo il suo misero stato e sopravvennero nuovi vomiti sanguigni. Spesso però le appariva in volto l'espressione della più alta pace dell'anima. »

9 agosto. « Essa trovasi nello stato del maggior turbamento circa ciò di cui l'accusa mio fratello.Verosimilmente non ha inteso il senso delle sue accuse. Essa ne appella a Dio ed al suo giudizio. Con tutto ciò in certi momenti si mostra indescrivibilmente tranquilla e come un'immagine della pace. »

10 agosto. « Oggi incominciò di bel nuovo ad essere molto aggravata ed a sudare sovente sangue ed acqua. È inoltre sì debole che non può parlare e nemmeno muoverla mano. Con tutto ciò dimostra sempre l' espressione di una pace indicibile e e della più dolce quiete di coscienza e tranquillità d'anima. Non pud dirsi quanto sia dolce e quanto sia stanca. Disse: Ora sto meglio; quando son molto inferma, sto sempre meglio. Sant Ignazio mi ha comandato di supplicare il Signore per ottener il vero spirito di pace e di conoscimento. Spesso ho ritratto da lui molta consolazione?, ma non si può mai giungere a sapere come si stia con Dio. »

(1) Cotesto giudizio dello stato dell'anima sua per parte di un laico che da ben corto tempo aveva ritrovata la via della vera fede, fu per lei,guidata da un Sacerdote di sì delicata coscienza, e come monaca osservante con sì scrupolosa fedeltà i voti dell'Ordine suo, la più grave e più sentita ingiustizia.

Cotesta profonda fondamentale umiltà con cui Anna Caterina era sempre inclinata a riconoscere per vera ogni qualsiasi anche ingiusta ed appassionata accusa, ed a a riconoscere sè stessa in realtà « per la causa in virtù di cui tutti intorno a lei disputavano e discordavano, » come Cristiano Brentano glielo aveva rimproverato, venne ricompensata da Dio con quella visione consolatoria circa la purità delle sue visioni, già sopra riferita a pag. 255, parte prima di questo volume, e che comincia con le parole: « Quando vidi nascere tanto malumore ecc. » Ella sentissi da cotesta visione cosi fortificata, che il Pellegrino potè riferire: « A sera la trovai in visione. Canto graziosissimi inni alla Madonna e disse nel destarsi dall'estasi:

« Ho seguito una processione..... Il di lei volto aveva l'espressione di una beata e tranquilla serietà. Ciò prova quanto sia male che ella si occupi ancora  cose esterne. ( Vale a dire quanto il Pellegrino ritenga, malgrado tutto, aver ragione nel volerla affatto tagliar fuori dal mondo ). La sorella Gertrude non era stata albergata nella nuova abitazione, e cosi pareva fossero adempiute tutte le pretese del Pellegrino; ma pure agli occhi suoi l' ammalata non era peranco separata abbastanza dal mondo, ed anche la piccola nipote dovea esser rimandata a Flamske. « Il Pellegrino domandò soltanto con ogni semplicità se ella non pensasse a rinviar la bambina a casa. L'inferma si lagno che non si volesse accordarle nemmeno quella bambina, al che non pensa alcuno (!). Il Pellegrino le disse scherzevolmente: Io la conosco sì bene che scommetto che ella sarebbe in grado di riprendere seco di bel nuovo la sorella. Essa pianse. » Sicuramente ei non si era affatto ingannato circa la sua bontà. A dir vero non riprese più seco la sorella, ma rimandò anche la bambina a Flamske, 1e quali grazie ne riscosse mai dal Pellegrino! Nuovi lamenti.

« Il ritorno della bambina presso i suoi genitori le cagiona tanta cura e cordoglio, che tutti i quadri e le visioni sono state poste da parte e sepolte in un pezzo di tela che lavora per preparar berrette.Quindi tanto e tanto va di nuovo perduto! Soprattutto poi da che gode qualche tranquillità, le di lei partecipazioni divengono più deboli e più indolenti, il che è tanto più da maravigliare, che il confessore ora non ha nulla in contrario a coteste partecipazioni, anzi sembra incoraggiarle, Ovvero: « Essa è molto stanca, ma pure piena di dolcezza; narra però alla spezzata (cioè per cagione di gravi sforzi, con interruzione ed in modo frammentario). Cotesto inconveniente si accresce sempre più dacchè gode della tranquillità della nuova abitazione..... Ha veduto bellissimi quadri dei cori degli angeli, ma il racconto ne viene posposto al più insignificante lavoro domestico,  bucato ecc. Ha perduto anche e pegletto le visioni le più importanti per causa di una inutilissima conversazione col cappellano Niesing (che il Pellegrino d'altronde chiama il suo migliore amico). »

Con questi lamenti ei chiude il mese d'agosto, che pure avea arrecato allo scrittore una messe straordinariamente ricca.

4. Forse ad alcuni lettori riuscirà altrettanto inconcepibile la condiscendenza quasi priva di ogni volontà dell'inferma verso le pretese del Pellegrino, quanto lo riusci all'autore di questa vita quando per la prima volta prese cognizione dei casi sopra narrati. Ma dopochè penetrò più addentro e più profondamente nella direzione straordinaria di quest'anima eletta, cotesto suo contegno gli si appresentò con tutt'altra luce. Tutto ciò che ella dovea sopportare per parte del Pellegrino, era dalla provvidenza di Dio coordinato all'intero andamento della sua vita, come lo erano tutti gli altri avvenimenti che finora abbiamo appreso a conoscere. Mai ricevè dalla sua Guida celeste l'ammonimento di allontanar da sè il Pellegrino, o di opporsi senza eccezione ad ogni di lui richiesta. È ben vero che in precedenti visioni veniva sempre preparata a tutto ciò che per parte di lui le sovrastava; ma ciò non avveniva già nello scopo che ella si sottraesse a quelle noie ed a quei pesi, ma bensì che le sormontasse con l'esercizio delle virtù. Una volta narrò: « Ho avuto in visione straordinariamente da fare col Pellegrino. Ei voleva mostrarmi i suoi diarii. Io non poteva comprendere com' ei pretendesse sopra di me tanto diritto ed esercitasse tanta libertà. Mi fu per altro comandato di dirgli tutto. Ciò mi riusciva molto bizzarro, e me ne sono molto meravigliata, perchè il Pellegrino non è sacerdote. »

Era adanque persuasa, anzi convinta che ella ubbidiva soltanto alla volontà di Dio, quando sopportava con dolcezza anche le cose più dure. Se anzi si danno fatti sicuri, nei quali l'occhio si debole dei mortali deve con piena chiarezza convincersi quanto differiscono le vie di Dio da quelle dell'umana prudenza e e del calcolo umano, cotesti fatti sono precisamente quelli che giornalmente si appresentano nella vita di creature straordinariamente ricolme di grazia e perfette. Siamo abituati a giudicare a seconda della grandezza e della meraviglia che destano certi spiriti, i doni di cui sono arricchiti, ed anche le circostanze esterne in cui Iddio gli ha collocati affinchè in quelle precisamente da lui fissate,e non già in quelle da loro stessi trascelte, compiano la loro missione; e quindi nasce in noi il desiderio che coteste circostanze precisamente si conformino alla missione apparente, nel modo in cui meglio sembrerebbe che ciò potesse avvenire secondo la nostra ben corta vista. Questo è per altro un grave errore, ed in esso è incorso anche il Pellegrino, il quale nel farsi accorto della straordinaria ricchezza di grazie accumulata in Anna Caterina, non volle riconoscere che cotesti alti doni non costituivano già lo scopo della sua vita, ma formavano bensì la ricompensa della sua fedeltà nei piccoli esercizi di virtù che compiva ogni giorno, anzi ogni ora, e nella vittoria sopra sè stessa ottenuta in cose che spessissimo si sottraevano agli occhi suoi quantunque acutissimi; vittorie, dalle quali, quantunque nascoste al mondo perchè interne e perfette opere del rinunziamento alla propria volontà, ovvero dell' amore, Iddio vien molto meglio onorato che dai miracoli e segni che i suoi eletti posson forse operare. Ove noi applichiamo questa misura alla condotta morale di Anna Caterina, qnella sua condiscendenza verso le di lui pretese, quella dolcezza, bontà e pazienza con cui sopportava i suoi capricci e le sue pretese ogni di più crescenti, appariranno all'animo nostro siccome una catena delle più elevate virtù e della più alta perseveranza nella sua fedeltà; mentre il Pellegrino medesimo ci comparirà siccome uno strumento umano, il di cui contegno molto perde della sua apparente durezza, tostochè imprendiamo a considerare quali disegni e qual puro zelo ne fossero il fondamento. Allorchè ella ai 14 di febbraio raccontò la visione dei due cori dei santi, uno dei quali pregava per la prolungazione della di lei vita, l'altro poi pel fine della medesima, tacque per umiltà che era stato rimesso in sua libera scelta quale delle due preghiere troverebbe esaudimento: in quel senso in cui si sarebbe inclinata la sua preghiera, in quel senso sarebbe stata ottenuta la grazia. Ella per altro si sentì talmente commossa da un subitaneo sguardo gittato sopra un moribondo che sarebbe andato perduto senza un aiuto straordinario, che implorò, onde ottenere la salvezza di quel pericolante, di potere ancora continuare la sua via di dolori in questa vita, e di poterla percorrere come l'aveva fatto sino allora con altrettanta fedeltà alle disposizioni di Dio. Perciò avvenne che la manifestazione di cotesta prolungazione di vita fu un atto d'ubbidienza verso il rappresentante di Dio, giacchè non volle pregar genuflessa per quel moribondo finchè il confessore non glielo ebbe accordato. E questa in apparenza sì poco significante azione, era in sè stessa ben più che quella stessa visione accordata in ricompensa di tanta fedeltà. Essa vide'nel Pellegrino lo strumento dei disegni di Dio, strumento per mezzo di cui doveva pervenire al mai interrotto esercizio delle virtù più difficili. Non poteva nè voleva da sè allontanarlo, giacchè solo con la sua vicinanza potea giungere a compire in modo si perfetto la di lei missione, come effettivamente è avvenuto. Anche le di lei visioni e la sua direzione interna ci istruiscono del pari che i casi esterni, come bentosto udiremo, che ella coll'ingresso nella sua nuova abitazione era pure entrata in un nuovo periodo della sua vita.

5. Il Pellegrino aveva allora ottenuto ciò che da lungo tempo era stato l'oggetto della sua più ardente brama, ma bentosto si sentì tanto malcontento quanto lo era per lo innanzi. Le antiche lagnanze ricominciarono da capo. Di già, pochi giorni dopo la morte dell'abate Lambert, cominciò a corrucciarsi contro il P. Limberg, perchè le visite delle antiche consorelle e di altre persone che di Anna Caterina prendevansi cura, non venivano allontanate.

«La tranquillità che aspettavasi dopo la morte di un infermo che cagionava tanto disturbo non consiste in altro che in una riunione ed un frastuono di chiacchiere, e della più perversa irrequietezza fra quanti la circondano. Non impiegasi alcun mezzo per procurarle quiete, e nemmeno la sorella vien contenuta e messa in ordine. Ben presto apparirà che non era già il Lambert che impediva l'ordine e la quiete, ma che era soltanto una specie di puntello che sosteneva ancora tutto quel carico di rottami e di fracidume, sotto il quale questo povero scarabeo o verme ammalato aveva la sua abitazione, e che col mancare di questo puntello tutta la massa ricade sopra di lei e la schiaccia. Non havvi alcun ordine, alcun senno, e soltanto la più stupida e stravagante cura in tutto ciò che si fa intorno a lei.....

E la medesima riceve chiunque da cui venga visitata molto amichevolmente e non rimanda alcuno! Eppure desidererebbe che niuno venisse! » Un anno poi dopo la morte del Lambert il Pellegrino confessa così: « Bene spesso ella desidera che il Lambert vivesse ancora; ciò deriva dal che, mentre viveva, potea ricevere più spesso la Comunione, la di cui mancanza le riesce gravosissima.La di lei più vivace amicizia è per i sacerdoti che la possono benedire e darle il cibo spirituale; e colui che ogni giorno le porgesse il SS. Sacramento, diverrebbe non solo il migliore, ma l'unico suo amico. Tutte le altre prove d'affetto sembrano non farle alcuna impressione. Siccome il Pellegrino non è un sacerdote che le possa amministrare il SS. Sacramento, così ella non prende il menomo interesse nè per lui, nè per tutti i suoi sforzi, ed in mezzo al suo languore di fame spirituale potè dirgli senza alcun riguardo le seguenti parole: Non ho niun aiuto, niun conforto;; anche il Pellegrino è stanco di me, lo sento sempre di più! - Chi conosce le circostanze dee dire che essa non provò mai una speciale consolazione, ma piuttosto infinitamente maggiori disturbi. Cotesta sua lagnanza deriva soltanto dalla sua privazione del Sacramento, del quale è affamata. »

Anche il Wesener si era ritirato, ma il Pellegrino osservò: « Il confessore è di ciò molto disturbato. Il Pellegrino trovò l'inferma stanca e molto esausta per cagione delle pene sofferte durante la notte. Disse che si abbandonava totalmente alla volontà di Dio, e che nulla tentar volea per migliorar la sua situazione. Sembra per altro esser in uno stato che inclina alla tentazione d'abitudine, giacchè si lagna col confessore che le visite del medico sieno rimaste interrotte, il che forse Iddio ha permesso pel meglio. »

La continua irritabilità del Pellegrino era per altro la sola ragione per cui il Wesener venisse cosi di rado, onde evitare troppo frequenti scontri con lui presso il letto dell'inferma.

La sorella Gertrude fu finalmente rinviata, ed in suo luogo venne presa una donna straniera per custodire l'inferma; ma cotesta sorella restavasi ancora in Dülmen, e venendo ogni settimana a visitare l'inferma, ne era sempre con bontà ricevuta: anzi questa si lasciò una volta sorprendere dal Pellegrino nella imperdonabile mancanza di parlar a lungo colla Gertrude, e un'altra volta anche di pianger con lei! Oh quanto sconsolato mostrossi il Pellegrino per simili cose! E per di più anche la nuova donna presa in servizio non è precisamente riuscita come un'ombra che sparisce senza far rumore ogni volta che il Pellegrino si accosta! Osa anzi parlar coll'inferma, domandarle consiglio, ed oltre di ciò ha la disgrazia di essere molto mal destra ed inservibile. Ma l'invincibile condiscendenza dell'inferma non solo la sopporta con pazienza, ma anzi lavora e cuce anche per la Kloppe, che non giunge mai a finire un lavoro, ed in grazia di ciò trascura le visioni più importanti. » Ovvero: « L'ammalata è anch'oggi par troppo in istato assai miserabile,e piena di dispiaceri e di cure, e prova tali dolori nelle stimate, che le sue mani ne tremano continuamente. Oltre di ciò si stanca assai pid ciarlando con la Kloppe e cucendo, e quei pochi minuti che accorda al Pellegrino vengono concessi con molta negligenza. Non ha mai piacere nè volontà di raccontare per proprio impulso; si deve sempre implorarlo quasi mendicando, ed il Pellegrino supplica appunto allora, quando ella sarebbe disposta precisamente a parlare di cose che non ne valgon la pena. Ogni giorno arreca irreparabili perdite. Essa poi è veramente un semplice specchio che, quando parla in istato d'estasi, riflette completamente quanto ha veduto. Quando poi racconta in istato di veglia, allora tace spesso anche le cose le più importanti, per la sua naturale ripugnanza a raccontare e per altri mille pregiudizi e scrupoli. Ha sempre in bocca la sua comoda scusa:- Questo già è riportato nella Sacra Scrittura!

E quando il Pellegrino per mille volte le dice no, pure ritorna sempre di bel nuovo sulla medesima scusa. Non sembra fare alcuna attenzione alle cure e alle pene che si dà il Pellegrino. Tutto va come pel passato! Anzi si lamentò dinanzi al cappellano Niesing che il Pellegrino le riusciva difficile a sopportare, mentre costui la risparmia anche troppo! Il Pellegrino trova che cotesti lamenti son pure immaginazioni; ecchè l non deve egli forse turbarsi che tanto vada perduto? Essa sente e conosce ch' ei se ne turba nel profondo del cuore, e dice che ciò raddoppia le difficoltà ed il peso che prova nel raccontare. » Alla fine poi il Pellegrino mostrasi amaro ed irritato contro la povera Kloppe, come lo era per lo innanzi verso la Gertrude: « Qui regna appieno la più disgustosa confusione intorno all' inferma! (Cosi egli esclamava già dopo un anno. ) Nella di lei completa impossibilità d'aiutarsi da sè stessa, negli innumerevoli patimenti interni, e negli esterni maltrattamenti risultanti dalla rozzezza e stupidità della Kloppe, l'ammalata coi suoi dolori agli occhi ed i suoi spaventosi vomiti è una vera immagine di desolazione. Ma quanto più sarebbe possibile l'aiutotanto più incresce e disgusta il vederla così soffrire. Basterebbe rinviare la Kloppe e prendere invece un' umile fantesca più abituata all'ordine, ma il confessore esita sempre a farlo.

6. In quel suo lamento,che Anna Caterina nello stato di visione rassomigliava ad un semplice specchio in cui un quadro veniva a smarrirsi, ma che essa nello stato di veglia molto taceva, il Pellegrino aveva svelato l'intimo motivo dei suoi sforzi onde allontanare dalla di lei prossimità tutto ciò che poteva interrompere le sue visioni. Cotesto zelo gli fece dimenticare che non già le visioni, ma bensì l'esercizio della pietà verso Iddio e verso il prossimo riusciva a di lei salute, e che niun mortale può mai possedere il lume di profezia senza virtù e patimenti straordinarii. Ei non accorgevasi di lottare contro l' ordine stabilito da Dio, e quindi l'inevitabile mala riuscita dei suoi piani rendeva cotest'uomo, sensibile per natura, così irritabile e duro verso tutti coloro che secondo la sua opinione impedivano che le visioni gli venissero raccontate nel punto medesimo in cui si presentavano allo spirito dell'inferma; anzi non  risparmia a lei medesima alcun rimprovero, vedendo come la di lei carità e benevolenza verso di tutti fosse la cagione che le visite non diminuivano mai. Quasi ogni giorno egli era testimonio come dimenticando ogni patimento proprio, ricevesse ogni povero, ogni bisognoso di consolazione e e di aiuto, con tal benevolenza, con compassione sì dolce e sincera, che niuno la lasciava sconsolato. Se ella poi irrompeva anche sovente come spaventata in lievi ed involontari lamenti quando si approssimavano visite mentre era immersa in dolori più specialmente gravi, ciò fa apparire la forza del di lei meraviglioso amor del prossimo,molto più grande di qualsiasi pena a lei imposta. Subitaneamente ella vince la lotta contro la naturale debolezza, e trovasi fortificata per poter servire a a Dio nei suoi prossimi e per adempire in cotesti servigi cose incomparabilmente più grandi di tutti i quadri a lei offerti in visione. Ciò per altro non vuol mai capirlo il Pellegrino, e quindi erompe in lagnanze come la seguente: « Oggi tutto è andato perduto.

L'inferma semi-moribonda è stata assediata da visite. Niuno le ha allontanate o respinte, ed essa medesima le riceve amichevolmente! Quando per altro si presentano alla porta, quasi ne muore di tormento e di malattia. Non è possibile assumere la responsabilità di tali disturbi, giacchè tutta questa gente non ha finalmente nulla da dirle, ma l'inferma si raccoglie e si rianima e e fa in modo che cotesti individui si credono i ben venuti; e quali ne sono le conseguenze? La perdita di tutte le visioni! A sera poi si lamenta di non poter più raccontare. Il Pellegrino non è mai giunto a vedere che essa allontanasse la minima visita onde poter raccontare le sue visioni! » Ovvero: « Essa era malata e piena di guai. Piangeva dicendo che verrebbero visite! Eppure riceve tutti cotesti individui, e ciarla con loro, e per di più li regala! »

Quantunque il fratello ed i più prossimi parenti dell'inferma venissero in Dülmen soltanto rarissimamente nel corso dell'anno, e vi restassero soltanto un paio d'ore con la più completa discrezione, pure il Pellegrino non poteva fare a meno di mostrarsi estremamente agitato e malcontento. L'inferma parlava con loro, permetteva che le raccontassero le loro inquietudini e circostanze domestiche: tutti falli che il Pellegrino considerava come imperdonabili tradimenti commessi verso la vera missione della di lei vita. Il di lei maggior fratello aveva un figlio, bravissimo giovine, che dedicavasi al sacerdozio. Egli ogni anno passava una parte delle sue vacanze presso l'inferma zia, che impiegava con lui le cure di una madre spirituale, onde potesse un giorno diventare un buon sacerdote. Per tutto quel tempo però che quel timido nipote passava in Dülmen, tanto egli quanto l'inferma dovean vivere in continue angustie per tema che il malumore del Pellegrino concepito per quel disturbo ed a stento trattenuto, non venisse a dare in uno scoppio dolorosamente offensivo. « Il di lei nipote ed anche la nipote son qui di bel nuovo (dice egli ). L'inferma è senza alcuna necessità piena di cure per loro, occupata, imbarazzata! Stende il butirro sul pane, taglia loro il prosciutto, verso loro una tazza di caffè. Per causa di simili cose lascia andare tutto il resto! Più ha veduto in visione e tanto meno racconta. Costa al Pellegrino pazienza veramente ferrea il perseverare in mezzo a simile confusione, giacchè qui non regna niuna sorveglianza, niun ordine! » Essa pianse sulla ingiusta collera del Pellegrino e disse: « Ho sempre visioni circa il come io debba in queste circostanze condurmi. Devo ritenere presso di me il nipote onde non cada in peccato, non senta il peso della sua povertà, e non divenga orgoglioso (1).

(1) Su ciò osserva il Pellegrino con molta ingiustizia: « Causa molto confusa e confusamente esposta, conseguenza molto storta. Eppure quanto vera! Mai più facilmente divien l'orgoglio così pericoloso ed ostinato, quanto in un individuo nato in bassa e bisognosa condizione, che ne sopporta il peso con mala voglia e vergogna, e che sa inoltre che cambiando stato può rapidamento saltare per di sopra a quel largo abisso di separazione.


Anche la bambina (cioè la nipote) non devo rimandarla ai contadini, giacchè conosco tutte le sue disposizioni e qualità, e so cosa le avverrebbe se la lasciassi in Flamske. Veggo quadri della sua vita futura, e debbo pregare ed aiutarla onde possa sormontare i pericoli che minacciano l'anima sua. La contessa Galen vorrebbe per bontà prender seco la bambina, ma pure non so se io debba accettare questo beneficio! » Qual fu per altro l'effetto di queste benevole e calmanti parole? U?a nuova ingiustizia, mentre il Pellegrino dichiarò: « Che il nipote non voglia restare presso i suoi genitori e la bambina nemmeno, ciò nasce nel primo dalla più sciocca albagia, nella seconda dalla mala abitudine!

Le esigenze del Pellegrino andarono tuttavia più oltre. Anna Caterina non doveva occuparsi nemmeno una sola volta col pensiero dei suoi nipoti!

8 settembre 1822. « Oggi è il suo giorno di nascita. È impedita e disturbata da quei rozzi contadini di suoi nipoti, dei di cui difetti parla volentieri; ma se il Pellegrino fa menzione dei mezzi di correggerli ella facilmente se ne offende. Disse, » mentre il nipote qua e là passeggiava per la camera, che oggi non poteva raccontare. Ciò fece pena al Pellegrino, e le rammentò la sua promessa di narrargli, e poi se ne andò. Essa ne fu aggravata e vomitò. A sera il Pellegrino per mezzo del confessore indusse il nipote ad intraprendere un piccolo viaggio pedestre. »

9 settembre. « Il nipote è partito. L'inferma per altro è nel suo spirito occupata dei due nipoti, è distratta ed oppressa da cure non necessarie. »

13 ottobre. « Partenza della nipote, Gran disturbo interno. »

14 ottobre. « È alquanto più tranquilla, ma pure internamente ancora occupata della nipote! I tempi posteriori hanno per altro dimostrato chi stesse nella verità ed agisse secondo i disegni di Dio chiaramente palesi; giacchè cotesto nipote, in virtù della benedizione e delle preghiere dell'inferma, divenne un ornamento del clero di Münster, e fu, con dolore di tutti i buoni, da troppo prematura morte rapito a quel clero.

20 ottobre 1822. « Vomiti violenti con tosse conyulsa. Mentre trovavasi in mezzo al suo racconto della vita di Gesù venne il suo fratello sarto, e quantunque la sua visita fosse affatto inutile e noiosa, il Pellegrino dovè tosto ritirarsi, come se fosse venato il Papa. Quando poi sopraggiunge la sorella », abitualmente gli fa cenno di fuggir via. E così la più seria occupazione della vita del Pellegrino deve esser messa da canto e cedere il posto ad ogni serva e ad ogni ciarla, e il Pellegrino ha ormai imparato a non mostrar più affatto nemmeno il minimo turbamento sul volto. A questo fratello si aggiunse anche un contadino e rimase presso l'ipferma sin dopo tavola! Sulla sera venne anche la signora Wesener e così rimase al Pellegrino soltanto un'oretta, onde leggerle a voce bassa quel poco resto salvato dal naufragio delle visioni perdute! E così da molti anni nulla havvi di migliorato nella sua esterna situazione.

Mai, nemmeno per le più importanti e gravi partecipazioni, ha fatto aspettare per un sol momento la visita più insignificante. Per causa di occasioni le meno degne di riguardo, tante serie e magnifiche cose debbono andar perdute! Tutto rimane sospeso, ma intanto la sua veggente vita spirituale prosegue rapida e non interrotta la sua sublime strada!.... »

« Una vecchia zia, donna di buon umore e benevola, la visitò quest'oggi. L'inferma ritenne per gran disgrazia l'assenza della Kloppe, e non le potè dare il caffè. La Kloppe è andata in chiesa; la vecchia zia si rallegra (!) di poter ancora percorrere tutta la Via Crucis. L'inferma poi ciarla per di più con un fanciullo contadino, di lei nipote, e lascia sperdere le visioni! Anzi ciarla allegramente anche con la vecchia! È un miracolo che resti ancora pel Pellegrino quanto segue..... »

«A mala pena il Pellegrino avea con penosa impazienza ascoltato la narrazione della sua malattia e delle sue inquietudini, il che forma un vero laberinto giacchè ella non ne dice mai le intime cagioni, ecco che arrivò il vicario Hilgenberg, col quale ciarlo sino a notte, e tutto andò perduto pel Pellegrino!... »

Quando poi il Pellegrino - conduceva visite all'inferma, ovvero essa ne riceveva tali che anche a a lui riuscissero gradite, allora non si lamentava. Eccone un esempio: «È notabile come essendo quasi incapace di aprir la bocca, allo avvicinarsi di N. N. tutta si rallegrasse, e per un'ora intera con lui potesse parlare. Dopo apparà più morta che viva per pura stanchezza. » Ovvero: « Il fratello del Pellegrino venne, e coi suoi molteplici e notabili racconti arrecò alcun disturbo al corso tranquillo di queste partecipazioni!... Le visioni della notte sono andate perdute per cagione della visita mattutina del fratello del Pellegrino. Gli sforzi fatti per parlargli hanno esausto l'inferma in tal modo, che dopo la di lui partenza dovette vomitare sangue; sia lodato Iddio che la tranquillità della inferma non n'è stata intimamente disturbata, e nemmeno quella del Pellegrino! »

7. Che Anna Caterina in quella visione in cui si vide accordata una prolungazione di vita dovesse pregare per un moribondo il quale senza il di lei soccorso sarebbe andato perduto, indicava che da allora in poi la preparazione alla buona morte di molti gravemente ammalati doveva formare la porzione principale delle opere sue di carità, col prendere sopra di sè il loro stato e le loro pene corporali e spirituali. Quindi non dovea soltanto prender sulle sue spalle le infermità e le doglie dei moribondi, ma altresì le loro spirituali mancanze, le conseguenze di lunghe e diverse passioni, insieme colle tentazioni che vi corrispondono, e lottare contro tutto ciò, e superarle. Per si difficile combattimento le fu promesso l'aiuto dei santi, dei quali possedeva le reliquie nel suo reliquiario o chiesa, come lo chiamava. Ecco come narrò ai 30 d'agosto 1821: « Vidi un quadro meraviglioso di tutte le reliquie che presso di me si trovano. Le vidi tutte secondo la loro forma, il colore del loro involucro, ed il numero dei frammenti. Ed ecco che allora tutti i santi uscirono dalle loro reliquie e secondo il loro ordine mi stettero attorno. Li riconobbi tutti e vidi quadri della loro vita. Frammezzo a me e quei santi stava una gran tavola (1) imbandita di cibi celesti, e tutte le ossa sparirono. Cantai con i santi il Lauda Sion (2), e quel canto era accompagnato da musica celeste, e vidi gli strumenti usati da molti santi.


(1) Cotesta tavola significa gli aiuti ed i conforti che essa riceverà dai Santi.

(2) Il canto del LAUDA Sion sta in rapporto con la missione ricevuta, secondo la quaie Anna Caterina doveva in molti moribondi portaro a compimento quelle parole dell'inno:
Bone Pastor, panis vere,
Jesu nosiri miserere;
Tu nos pasce, nos tuere;
Tu nos bona fac videre
in terra viventium.

Eranvi pure presenti molti beati fanciulli. Provai una grande e dolce tristezza nel vedere cotesto quadro; mi sembrava come se quei santi prendessero da me congedo; si mostravano tanto amorevoli verso di me perché li aveva onorati, e mi parve internamente sentirmi a dire che non avrei avuto più sì di frequente quadri relativi alle reliquie, perchè mi soprastavano altri lavori. In mezzo a quella musica celestiale i santi si ritirarono, e mentre si allontana  vano, pure talvolta verso me rivolgendo la testa mi guardavano. Io corsi dietro a loro e volli un'altra volta contemplare le sembianze dell'ultima di quelle apparizioni, che era santa Rosa », ma non la vidi più. Vennero per altro a me la Madonna, sant'Agostino, e santo Ignazio di Loiola: mi consolarono e mi dierono ammonimenti, che per altro non oso ripetere. »

Cotesti avvisi si riferirono alle nuove opere di patimento, giacchè dopo alcuni giorni il Pellegrino dovè riferire di uno stato novello da lui osservato nella inferma, stato che mai avea veduto verificarsi anteriormente, e che perciò gli riusciva affatto inconcepibile e strano. « A datare dal 29 agosto essa passò da una malattia ad un'altra, e reciprocamente si alternavano le più violenti convulsioni, i sudori, le doglie nelle stimate e e nelle membra. Ben sovente sembrava essere in prossimità della morte. Frammezzo a tutto ciò dovea, stanca ed esausta com'era, lottare contro le più stravaganti tentazioni, le più strane cure circa il nutrimento e cose simili. Ai 2 di settembre nelle ore pomeridiane trovavasi immersa in un formale delirio cagionato da simili assalti. Le sopravvenne un nuovo attacco dei suoi dolori - e patimenti corporei, ed intanto era ad un tempo desta e veggente ed in continui lamenti: non è possibile l'andar più oltre nel patire; non l'ho mai vista immersa in si continue lagnanze - Nou è possibile (diceva essa) peggiorare, non sono mai stata in sì miserabile stato, Non posso pagare i miei debiti. Ho tutto perduto, l'interno e l'esterno; ed altre simili cose vuote d'ogui senso. Con ciò non mostravasi nè contraddicente, nè di malumore, ma piuttosto appariva assai lieta, giacchè scuoteva il capo, desiava liberarsi da quelle sciocche fantasie, e dichiarava quei suoi discorsi per privi d'ogni senso. Ripetè anche dinanzi alla padrona di casa cotesti deliranti discorsi, ma subito dopo li scusò come irragionevoli, ed implord perdono perchè trovavasi immersa in pene e confusioni. Ne sussegui una notte di gravi patimenti. Gli assalti durarono giorno e notte sino al 4 sulla sera. Vi lottò per altro con si gran vigore, che nelle ore pomeridiane non avea più nè forza nè lena. Quei delirii si aggiravano circa il non aver più alcun danaro, il non poter più lottare contro i suoi bisogni e reggere alle spese, ed il non potersi circa di ciò affidare ad alcuno. » Il Pellegrino chiude coteste note colle seguenti parole: « È spaventoso caso il vedere persona si eletta in istato sì miserabile, povero e caduco, tostochè la grazia fa sembiante di allontanarsi da lei. Per simili inezie e sconsideratezze vanno perdute le più importanti visioni. Qual miserabile e povero vaso è mai la creatura umana! Quanta misericordia, quanta pazienza ha Iddio con lei! »

Non erasi per altro, come il Pellegrino falsamente il credeva, la grazia da lei allontanata, nè trovavasi immersa in delirii ed in scempiaggini, ma bensì avea vittoriosamente sostenuto grave e difficil lotta contro le passioni e tentazioni di un moribondo, che senza uno straordinario aiuto espiatorio non avrebbe posseduto più la forza necessaria a liberar l'anima sua dai vincoli di smisurate care ed inclinazioni temporali, vincoli o lacci nei quali erasi trovato preso pel corso intero della sua vita. Anna Caterina avea preso sopra di sè la violenza di coteste passioni, avea con loro lottato, le avea vinte e con ciò liberato le forze dell'anima di quel moribondo che erano prigioni, e le aveva fatte capaci di cooperare alla grazia per di lei mezzo ottenuta, è di occuparsi con buon successo di pensieri di salute eterna.

Il primo annunzio di cotesta terribile missione lo avea Anna Caterina ricevuto in occasione della festa dell'Assunzione di Maria, in una visione di cui narrò quanto segue: « Vidi la festa dell'Assunzione di Maria nella Chiesa celeste. Vidi la Madre di Dio portata in alto da innumerevoli angeli sopra una corona formata come da cinque archi, ed uscendo da una chiesa collocata giù sulla terra, venire a librarsi al disopra dell'altare celeste. La SS. Trinità s'inclinò su dall'alto, e così inclinandosi venne a posare sul capo di Maria una corona. I cori dei santi e degli angeli stavansi dattorno a quell'altare, sul quale gli apostoli celebravano il servizio divino, mentre le cappelle laterali formavano l'insieme di una chiesa. Io ricevei il santissimo Sacramento, e Maria venne verso di me, e così pure fece, uscendo, come sembrava, da una cappella laterale,sant'Ignazio, cui in cotesta settimana io praticava speciale devozione. Mi venne detto che ove il confessore me l'ordinasse in nome di Gesù, mi alzerei e potrei di nuovo camminare, anche quando in quel momento mi trovassi affatto ammalata ed in istato miserabilissimo. Divenni per ciò affatto impaziente e dissi: perchè non adesso? (1) ed una voce sulla mia dritta, che parvemi essere quella del mio Sposo celeste, mi disse: Tu sei mia! che dimande hai tu da fare, quando voglio che sia così e non altrimenti? »

(1) Cotesta impazienza è quella gioiosa aspirazione e bramosia di adempire  missione,che va collegata col poter camminare: quella cioè di poter preparare i peccatori ad una buona morte; opera di carità peraltro, che come tutte le altre opere sue, non può intraprendere che collo vie e coi mezzi della Chiesa, cioè per mezzo dell'obbedienza al suo confessore.

Quando rivelò quella visione al confessore, ei le rispose che le impartirebbe quel comando tostochè avesse ottenuto la certezza essere nei disegni di Dio lo arrischiare cosa si grave.

8. Nel giorno festivo della Natività di Maria venne in adempimento la promessa circa il poter camminare. Anna Caterina così raccontò: « Sulla sera della vigilia della festa mi trovava presa da gravi dolori; aveva violenti convulsioni; pure provava una vera gioia interna; passai pure una notte molto molesta, ma sulle tre del mattino, in quell'ora in cui nacque la SS. Vergine, mi apparve, e disse che dovessi sorgere e che potrei alquanto camminare. Avrei potuto già farlo nel giorno dell'Assunzione o nel giorno di sant'Agostino, ove il mio confessore me lo avesse comandato, ma che ora ciò doveva avvenire per di lei mezzo. Io doveva in questo stato e a di lei onore fare e patire tutto ciò che mi sopravverrebbe; non ritornerei per altro mai più sana, nè potrei mangiare e bere come le altre creature umane, ma dovrei ancora sopportare assai più infermità e dolori. Quelle grazie che nel giorno della di lei nascita vennero impartite agli uomini, lo sono anche adesso; io poi dovea pregare per la conversione dei peccatori; così pure non doveva far tentativo di camminare, prima che il mio confessore fosse presente, ma neppure doveva lasciarmi ritenere da alcun dubbio. Mi sentiva molto lieta e contenta, ma più inferma e e misera di prima, e le mie convulsioni e edolori specialmente nel petto si accrescevano. La SS. Vergine per altro mi disse: Io ti dò forza; e mentre lo disse, coteste parole uscirono essenzialmente dalla di lei bocca colla forma ed il gusto di un dolce boccone, e vennero nelle mie fauci. Ed io tosto incominciai per di lei comando a pregare per la conversione di quei peccatori che mi additd,ed alcuni dei quali vidi propriamente venire dilaniati ed annientati dal pentimento. Dopochè il confessore mi ebbe data sul mattino la Comunione, ebbi un'altra visione. Vidi la SS. Vergine, sant'Anna, S. Gioachino, S. Giuseppe, sant'Agostino e sant'Ignazio. La SS. Vergine mi sollevò e credetti, sostenuta da tutti quei santi, potermi aggirare qua e là nella stanza, e sembravami come se tutto a ciò mi aiutasse, e come se a me dintorno tutto si adattasse ad aiutarmi, il suolo, la tavola, le pareti. Non so peraltro dire se mi sia sollevata o mossa corporalmente, ovvero soltanto in visione. »

Sol mezzogiorno pregò il confessore onde le desse il permesso di alzarsi e di camminare. Egli era ancora dubbioso, e parlò della di lei gran debolezza; essa però ripetè la ricevuta promessa. Allora ei le diede il permesso. Con allegra sollecitudine essa s'inviluppò con un mantello, discese dal letto, traversò vacillando come un bambino la stanza, e quindi si assise sopra una seggiola. Dopo ella mostrossi stanca, ma ebbra di gioia. La luce, cui non era più abituata e che le cadea sul viso, l'abbagliava. Quantanque si sentisse molto scarsa di forze, camminò per altro sostenata un'altra volta, e fece alcuni passi per la camera. Le stimate dei piedi, delle mani e del costato le daolevano molto. S'assise dipoi sul seggiolone d'appoggio molto allegra ed intimamente raccolta, e soltanto a sera se ne tornò con incerto passo a letto.

Prese d'allora in poi ad alzarsi e camminare, il che per le molte rotture del di lei martoriato corpo le cagionava grave noia; lo faceva con gravità, e come obbedendo ad un comando, che secondo le forze tentava di eseguire ogni giorno. Trascinavasi per altro con si grave stento attorno a quella piccola camera, che il Pellegrino per facilitazione e sollievo le procurò un paio di gruccie. Parve per altro bentosto pentirsene, giacchè temeva che da quel camminare ne risultasse nuovo disturbo alla partecipazione delle visioni. Siccome,preso da quel sospetto, ei rimproverò una volta l'ammalata del come ella  una persona arricchita di si grandi grazie, potesse mostrarsi impaziente ed ansiosa di fare pochi passi a stento e con periglio e cosi appoggiata alle gruccie, gli diè per risposta: « Ho udito la più perfetta delle creature, la Ss. Vergine, dimandare nel tempio più volte alla santa profetessa Anna con impazienza: Ah nascerà dunque presto il bambino? Oh se lo potessi almeno vedere! Oh se vivessi almeno assai finchè il bambino nascesse! A tutto ciò la profetessa quasi s'impazientava e diceva: non disturbarmi il mio lavoro! sono già qui da settant'anni e devo aspettare cotesto bambino sino ai cento, e tu sei così giovine e non vuoi aspettare! Allora Maria spesso piangeva mossa dall'ardente sua brama. »

Il Pellegrino non intese il senso profondo di cotesta commovente risposta, quantunque non fosse difficil cosa comprenderlo. Essa voleva effettivamente fargli intendere che non era già impaziente per dover andare colle gruccie, ma impaziente bensi in pro di quelle anime, per le quali le era adesso stato imposto l'andare ed il mangiare. In data del 1 novembre egli così riferisce: «L'alzarsi, il camminare colle gruccie, il sedere sul letto tenendosi dritta della persona, ed il cucire le riesce più facile e meglio da alcune settimane. Si veste anche con le proprie mani, e a poco a poco le è riuscito di farlo per l'intero. Può mangiare alcun poco di zuppa e prendere anche caffè. I vomiti sono divenuti più rari. Negli ultimi giorni d'ottobre ha succhiato pure una carota. »

Mentre pei circostanti coteste esterne apparenze dinotavano un naturale miglioramento corporeo, e consideravano quegli esercizi dell'inferma nel camminare siccome una sua tendenza alla guarigione, ciò tutto era invece secondo le disposizioni di Dio un' opera di espiazione e di grave patimento in pro della salvezza delle anime. Ora non trattasi più di sopportare pene gravissime per implorare ai peccatori impenitenti, ovvero a coloro che con insufficiente o mala disposizione si accostano ai sacramenti, quella grazia che opera e produce una penitente cognizione delle gravi loro colpe, la profondità del dolore, ed una umile e sincera confessione dei falli; ma ciò è piuttosto una sostituzione personale dell'inferma nei patimenti e nei pericoli spirituali di cotesti individui, e quindi nelle tentazioni e nelle più possenti sollecitazioni a certi peccati, che, oltre agli assalti del demonio, Anna Caterina deve interamente e con ogni forza combattere. Con ciò era pur collegato il sovrapporsi che faceva anche di tutte le esterne e vergognose conseguenze di cotesti peccati abituali; conseguenze che con tutto il loro pèso e la loro furia posavansi su quello strumento espiatorio sostituito ai veri colpevoli, e duravano sinchè la battaglia non fosse vittoriosamente finita. Di una grande visione circa coteste sostituzioni ella potè solo raccontare quanto segue: « Ebbi una visione del come io abbia avuto sulle mie spalle tante infermità. Vidi l'apparizione gigantesca di Gesù Cristo starsi sospesa fra il mondo ed il cielo. Egli appariva in quella forma e vestiario con cui fu esposto al pubblico scherno. Avea per altro le mani aperte, e con quelle premeva il mondo. Era la mano di Dio quella che lo premeva, e vidi molti colorati strali di dolore, e di patimento, e di angustie discendere sopra molte creature in ogni sorta di condizione, e vidi che quando la compassione mi muoveva ed io pregava, intere correnti di quelli strali di dolore insieme intrecciati deviavano dalla loro prima direzione, ed in me penetravano con ogni sorta di pena; il più ch'io ne ricevessi fu dalle mie conoscenze. Era Gesù! Ei trovavasi per altro intimamente congiunto coll'apparizione dell'intera Trinità. Non la vidi, ma la sentii nell'intimo animo mio. »

Quanto fosse grande la forza della quale ella era stata. munita per soddisfare alla sua missione, e quanto cotesta forza venisse accresciuta dal di lei coraggioso patire e lottare, chiaramente apparisce dal fatto seguente che racconto nel giorno 18 febbraio 1823: « Parlava col mio confessore e mi trovava nello stato di veglia i il più completo ed il più naturale. Ed ecco che subitaneamente mi sentii venir meno, e mi parve come se dovessi morire. Anche il confessore riconobbe questo stato e disse: Che mai può questo significare? Gli dissi che sentiva come se da me uscisse una forza, e che vedeva cotesta forza lungi da me e nella maggiore distanza diffondersi a torrenti sopra venti persone. Alcune ne vidi in Roma, altre in Germania, altre nel nostro paese. Vidi tutti costoro starsi a foggia di combattenti a fronte di una smisurata potenza, e da cotesti raggi essi vennero animati a combattere. Ciò mi riusciya ben grato. Allora poi vidi la prostituta di Babilonia a me venirne in isvergognata ed impudica forma. Portava in mano il suo variopinto giubbetto ornato di nastri, ed allora tutta la forza che in me per anco trovavasi si rivolse verso di lei. Ciò sul principio mi riusciva di grande ripugnanza, ma quella forza la costrinse a ricoprirsi del suo giubbetto, e con ogni strale della mia forza le rilegai sempre più stretti gli uni dopo gli altri i nastri di quella giubba, talmentechè tutto ciò che in sè portava veniva ad esser compresso ed ella soffocava. Tutti quei suoi feti per altro erano empii progetti e disegni d'ogni sorta contro la Chiesa, feti che ella avea concepito nel di lei commercio cogli spiriti del mondo e dell'epoca. »

In cotesto sovrapporsi e sostituirsi, e nella lotta contro i perigli spirituali dei moribondi, appariva come una doppia creatura; vale a dire, prima mostravasi soggiogata dalla tentazione o dal prepotente incitamento al peccato, e come a stento vi si opponeva lottando; e poi mostravasi come una vera immagine della pace e della tranquillità. Anche nei lineamenti del suo volto, nelle parole e nei ge sti, e nel suono della voce dipingevasi, per così dire, l'estraneo carattere della persona in pro di cui aveva assunto la lotta, sinchè la purità del suo cuore a guisa di un raggio di sole traversava le nubi e manifestava che lo specchio dell'anima sua era rimasto inalterato. Può la mente formarsi un'idea di cotesto duplice stato se venga ad immaginarsi un individuo che digiuna e fa penitenza, il quale, per salvare un ubbriaco da una inevitabile caduta entro un abisso, malgrado ogni nausea ed ogni spaventosa ripugnanza si sostituisca a quel misero, e prenda sopra di sè lo stato di ebbrezza; quantunque ei non perda con ciò la chiara coscienza di sè medesimo, pure vien come rattenuto e legato da quell'estranea potenza, e deve difendersi del pari e con sforzi altrettanto grandi, per non essere trascinato nell'ebbra vertigine, come deve lottare contro ogni involontaria ripugnanza verso quello stato che volontariamente ha assunto sulle sue spalle; e così vengono inevitabilmente a mostrarsi chiari e simultanei i due stati sobrietà ed ebbrezza. Quando Anna Caterina volle una volta rendere conto delle di lei sensazioni in simili patimenti, disse: « Mi sembra allora come se fossi doppia, come se sul mio petto posasse un'immagine in legno di me medesima, e quell'immagine parlasse senza ch ' io lo potessi impedire. (Cioè che per mezzo di quell'immagine quello stato spirituale accettato sulle sue spalle, stato di disperazione, d'impazienza, di gola e cose simili, venisse a manifestarsi ed a parlare). Io rifletteya intorno a ciò se dovessi lasciar la cosa come andava, e pensava che quella pesante immagine meglio di me conosceva i fatti suoi, e doveva rispondere per me. Quando mi trovo in cotesta situazione l'altra mia coscienza ( ossia la vera ) sembra quasi che mi sia respinta e soffocata nella gola. »

« Bene spesso so appena come fare per aiutarmi contro le tante immagini di spavento e di angoscia. E non sono già questi subitanei assalti o pensieri, ma bensì scene intere che veggo ed ascolto, che mi vogliono eccitare, spaventare, inasprire; talmentechè debbo lottare a tutta estremità per non cadere. Mi vengono mostrati quadri di persone e di avvenimenti; debbo vedere i disegni in forza dei quali la tale o tal altra cosa avviene contro di me; sento gli scherni del demonio, e debbo allora con gran difficoltà combattere, per riconoscere in ciò il permesso divino, per non perder coraggio, e respingere il nemico colle sue menzogne. Quando così molti quadri mi eccitano all' impazienza, allora l'approssimarsi di alcuno, una parola di consolazione, la benedizione del confessore mi riescono di momentaneo soccorso. Ma le impazienze di chi mi sta dattorpo (cioè gli eterni lamenti del Pellegrino) mi riescono in quei momenti più pesanti che mai.

«Mi è stato tenuto dinanzi un grande specchio ornato di bella cornice dorata, in cui dovea vedere soltanto cose che mi doveano eccitare a scandalo e doglia. Mi scandalezzai per altro anche all'aspetto della vanità di quello specchio, e nascosi il volto fra i cuscini per non vederlo, ma rimase sempre innanzi al mio sguardo. Finalmente lo afferrai, e lo gittai a terra e dissi:: che ho mai da far io colla vanità di un simil specchio? Ma cadde mollemente e non si ruppe. Si allontano soltanto da me, quando insieme al dispregio della sua pompa, si unì nell'animo mio anche il sentimento della mia bassezza e miseria; ed allora potei andarmene verso Maria nella grotta del presepio.

8. Più difficile e vergognoso le riusciva il prender sopra di sè la smania e e la bramosia di gola dei moribondi, che per tutta la vita eransi abbandonati a disordinate brame per cibi e bevande, e che poi ora in presenza della morte trovavansi oppressi dall' infrenabile prepotenza di cotesta tiranpica passione. In cotesti casi Anna Caterina doveva sopportare a sua gran nausea una smaniosa bramosia di cibi, che suoleva improvvisamente, sopraggiungerle come fame ardente ed irresistibile, talmentechè involontariamente aspirava con ismania a quelle vivande delle quali aveva desio il moribondo. Se coloro che la circondavano venivano a secondare cotesto suo desiderio e procuravanle quelle vivande, allora spesso prorompeva turbata nelle più amare lagrime, giacchè da ciò venivano ad aumentarsi le sue pene, e trovavasi posta nella necessità di gustare degli approntati cibi, il che aveva sempre per conseguenza vomiti e malessere sino ad uno spossamento mortale.In pochi e violenti casi mostravansi coteste ingorde brame cui erasi sottoposta, sotto la forma di un bisogno di cibo, che al certo molto la contrariava, ma che pure aveva apparenza di naturale necessità; appariva per lo più come una sorta di fame reale, che dovea venire appagata onde per debolezza non venisse a cadere in isvenimento. Ella tentava allora di aiutarsi gustando zuppa o legumi, o suggendo frutti e simili cose, ma le conseguenze erano sempre le medesime. Cosi il Pellegrino nel mese di dicembre 1823 riferisce:

« Ella trovasi sempre in continua malattia senza alcuna consolazione, in disperati patimenti, ed in lotta continua contro le tentazioni e gli assalti del nemico. Non si ode parlare che di tosse, di vomiti e di lamenti contro il mangiare, e il non sopportar il cibo preso.Una subitanea fame la opprime sino a farla svenire. Cotesto mangiare e vomitare, cotesto appetito di ogni sorta di grossolane e indigeribili vivande, coteste lagnanze e lagrime quando contro ogni sua volontà sentesi costretta a parlare di mangiare, tutto cid è collegato colla situazione della di lei antica con sorella la monaca M., che trovasi in punto di morte, ed in pro di cui l'inferma trovasi impegnata in lavoro d'orazione ed in sostituzione di patimento, e la di cui principale mancanza fu sempre, e, come dice il Wesener, è anche adesso in quest'ultima sua malattia d'idrope, uno smodato desiderio di soddisfare alla gola.

Insieme all'ingordigia dei cibi le venivano pure addosso le altre malattie dei moribondi, come reumi, idropisie e ogni sorta di febbri, ogni sorta di malattie della milza, dei polmoni, dei reni, e del fegato, e con esse malattie anche i loro sintomi e differenti stadii di patimento. Dei dolori poi della pietra e delle più spaventose convulsioni di vescica spesso ne soffriva sino all'orlo di morte, ed inoltre a ciò sopportava le pene dello stato di sbigottimento, di melanconia, e di sconsolatezza di irritabili, abbandonati e dolenti infermi. Coteste malattie e perigli spirituali presi sulle sue spalle in pro dei moribondi erano sempre collegati con patimenti e lotte in pro della Chiesa, inquantochè le singole persone o individui erano sempre i rappresentanti d'interi stati di ordini; del pari che erano delitti generali e colpe verso il corpo intero della Chiesa, che Anna Caterina doveva prendere sopra di sè e scontare, quantunque apparentemente si riferissero soltanto alla sostituzione da lei assunta in pro dell' uno o dell'altro infermo individuo. Potè bensì il Pellegrino, dalle manifestazioni da lei fatte nell'estasi, riconoscere in modo generale cotesto più alto spirituale carattere degli assunti patimenti; ma ciò non bastò all' impaziente sua smania di sapere, che davasi soltanto per soddisfatta quando gli stava dinanzi agli occhi chiara e completa l'intima relazione e convenienza di ogni singola pena ed infermità colla colpa che veniva espiata, o colla malattia spirituale che veniva guarita. Quindi egli prefiggeva anche alle sue descrizioni di questo genere uno scopo che possibilmente non poteva venir raggiunto, giacchè le doglie e le infermità della paziente,malgrado il loro carattere spirituale, erano così reali, sì naturalmente sensibili e grandi, che piuttosto di occuparsi nel descriverle, prorompeva pid agevolmente in pianti e lagnanze, e querula implorava soccorso. Il Pellegrino per altro somigliava ognor più ad un medico, il quale accorda al sao paziente una compassione proporzionata soltanto alla più o meno precisa descrizione di tutti i sintomi della sua malattia, e così gli diviene possibile di seguire completamente lo sviluppo di un caso di alta importanza, e di accrescere le sue cognizioni e la sua esperienza patologica.

Nel dicembre 1821 ei scrive così: « I tre ultimi giorni furono una catena delle più disperate pene sino ad uno spossamento prossimo alla morte; fra coteste pene poi ebbe costante continuazione di visioni. Talora ella manifesta con tranquillità e sicurezza quanto segue: – Debbo sopportarlo; l' ho preso sopra di me e persevererò nel sopportarlo; talora per altro cade in tentazione d'impazienza che alterna con subitanea dolcezza e quiete. A tutti cotesti patimenti considerati nella loro esterna apparenza uno si abitua fin a un certo grado, e cotesta abitudine può far comparire agli occhi di chiunque vede cotesto spettacolo per la prima volta, un barbaro colui che vi si è abituato, come sul principio barbari comparvero tutti gli altri agli occhi del Pellegrino. Quando poi giungesi a penetrare alcunchè dell'interna significazione di coteste pene, allora appariscono altamente meravigliose, anzi lasciano presentire la soluzione dei maggiori enigmi della vita del Cristianesimo; ma cotesta esperienza viene affatto ingombra e resa impraticabile da una farragine di mille inezie della vita quotidiana... » Qvvero: « Quantunque tutti i di lei patimenti abbiano precisa correlazione con opere spirituali, ed essa pure lo sappia, pure ne parla e li considera superficialmente ed esteriormente come cose naturali, e quindi prende abbaglio e scambia una tranquilla e profonda osservazione per pura mancanza di compassione. »

Gennaio 1822. « Tutte coteste infermità diverrebbero molto istruttive, se le venisse prescritto di raccontarne lo scopo e l'ordine; giacchè sempre lo vede in un quadro antecedente,che riesce tanto più notabile, inquantochè è sempre meravigliosamente allegorico e si rassomiglia ad una parabola profonda. Il più delle volte ella sa precisamente perchè e per chi soffre, ed anche tutto ciò che ha fatto o che devefare lo vede in ogni sorta di quadri e di parabole relative alla coltivazione dei campi e degli orti. Prima di ogni altra cosa vede un quadro sommario dei bisogni,della decadenza di molte chiese, dello stato della cura delle anime in un intiero distretto, e ciò lo vede sotto le immagini di molte greggie di pecorelle e dei loro pastori nelle più profonde parabole, ed in mezzo a quelle ella deve correre, portare, scavare, esortare, e così di seguito. Quindi viaggia colle più grandi difficoltà ed incomodi, ed a gran fatica sospinge ogni sorta di creature umane ai loro doveri ed impedisce il male. A ciò la aiutano i santi di cui in quel giorno ricorre la festa. Disgraziatamente tutto ciò va perduto, e non rimangono che le sue narrative delle tentazioni colle quali il demonio tenta impedire l'opera sua! È pur vero che ella merita compassione nei suoi dolori, ma pure, godendo internamente si vere e feconde grazie,e ricolma di si belle visioni, ella è piuttosto da invidiare che da compatire, e la negligenza nella partecipazione di coteste visioni che a lei sembrano nel suo stato di.veglia e secondo il suo modo di vedere affatto inutili, deve render chiunque compassionevole pei posteri, dai quali probabilmente tante e si grandi cose verranno trascurate, come lo sono ora da lei stessa. Inoltre i continui perigli di morte e le loro circostanze, che per altro non divengono mai serie e fatali, rendono chi ne è spettatore affatto tranquillo in tutte coteste disperate ed inesplicabili malattie; e chiunque si abitua in simili casi ad una sorta di compassione e di pazienza verso di lei, che non serve punto ad elevare e migliorare lo spirito di alcuni, ed in altri lascia un certo sapore di politica, dal quale si cerca di liberarsi pian piano e senza scandalo.»

Apparisce per sè stesso chiaramente quanto dovesse riuscir difficile in simili circostanze alla paziente oltre tutti i patimenti che soffriva, il raccontare al Pellegrino perdi più e giorno per giorno le sue visioni circa la vita di Gesù, e non havvi alcun bisogno di speciali documenti e prove per mettere in evidenza il fatto che a lei sempre meno riusciva il soddisfare alle di lui pretensioni. Ecco come in data del 4 febbraio 1822 riferisce il suo diario: « Quantunque ogni giorno meno ella partecipi le sue visioni, tranne certi poco chiari ragguagli circa le sue infermità e dolori, giacchè tace le intime cagioni dei medesimi, per altro ha detto così:  Ho dal Natale in poi e dal cominciamento di queste pene molto sofferto pel malumore del Pellegrino, derivante dal che non gli racconto assai, e pel dolore che da ciò n'è derivato mi si è quasi spezzato il cuore. Lo avrei fatto sì volentieri, ma nol poteva, e spesso nel momento della venuta del Pellegrino mi sentiva sì abbattuta (1), che non potea nemmeno parlare. Ho praticato una speciale devozione per sapere come doveva fare, ma non ho ottenuto alcuna risposta. Aveva sperato che Iddio mi farebbe morire durante questa malattia, onde non avessi più d'uopo di raccontare. Il Pellegrino vedrà un giorno quanto volentieri io narrassi quando lo poteva. Ciò disse colla migliore intenzione. Tali preghiere per ottenere di non più raccontare, hanno già avuto luogo bene spesso, ma vi è stato risposto col severo comando di tutto partecipare. »

(1) Pel sentimento della di lui irritabilità e malumore.

23 febbraio 1822. « Il Pellegrino l'ha trovata malata a morte. Il copfessore disse che già durante tutto il pomeriggio trovavasi fuori dei sensi pei gravi dolori; si era tatta abbandonata nelle braccia della Madre di Dio ed avea preso sopra sè di soffrire alcunchè di speciale per la conversione d'individui impudichi. Più tardi raccontd da sè stessa di essere anche molto turbata per causa del Pellegrino, che aveva tutto lasciato, e si era stabilito qui in Dülmen per causa ed amor suo, ed ella intanto non poteva giovargli. Egli la consold. Possa ella sempre prender sul serio l'affare dei suoi racconti, e non già trattarlo leggermente o trovarlo grave e noioso! » Cotesta momentanea commozione del Pellegrino rimase senza ulteriori conseguenze, giacchè pochi giorni dopo così riferiva: « Essa accolse il Pellegrino con tutta amabilità, trovavasi nel solito stato di mancanza totale di criterio circa la vera sua situazione, giacchè opinava che durante i tre giorni dell'assenza del Pellegrino erasi alquanto riavuta e tranquillata: come se la presenza del Pellegrino la impedisse dal migliorare e riaversi! Sempre più si conferma che non deve annettersi alcun peso a simili discorsi e che sono da notarsi sotto la rubrica delle idee fisse! »

Dieci mesi per altro prima della sua morte fece dire dal confessore al Pellegrino le seguenti serie parole: « Il Pellegrino capirà un giorno di non poter vantarsi della sua pazienza a paragone della mia. Ho avuto con lui altrettanta pazienza quanta con mia sorella! »

9. Onde non abusare della pazienza del lettore oltre ogni conveniente limite, fra le molte, anzi infinite relazioni di malattie e patimenti, riferiremo soltanto i pochi fatti seguenti, dai quali potrà attingersi una distinta e completa idea del carattere e delle conseguenze di quel sostituirsi e sovrapporsi che faceva Anna Caterina negli altrui patimenti, tentazioni e pericoli.

3 aprile 1823. «Essa trovasi in continua partecipazione della malattia d'idrope di petto, cui ora è soggetta la signora B. R., che ormai trovasi in punto di morte. Questa soffoca ed è in continua agitazione, angoscia e confusione. L'inferma signora per altro guadagna in tranquillità, comincia a pregare ed ottenere più rassegnazione.

5 aprile. « Lamentasi di confusione nei pensieri, prova una certa sensazione o presentimento di non aver ricevuto la Comunione pasquale. L'oppressione del petto diviene sempre maggiore. »

7 aprile. « La di lei continua opera di compassione accrescesi sempre quanto più la moribonda signora si approssima al momento della morte. Porta sopra di sè la piena metà dei patimenti di cotesta signora, e il di lei stato è precisamente simile al suo. Abitualmente costei prova qualche sollievo quando Anna Caterina par che sia giunta in punto di morte. Il Pellegrino osserva giornalmente la verità di tutto ciò presso, ambedue le inferme. Avverasi che quella di lei sensazione ieri provata, di non avere cioè fatto ancora la Comunione pasquale, deriva essa pure dallo stato della signora moribonda,che non ha ancor soddisfatto a quel precetto. Ha eccitato il di lei confessore ad andarvi e rammentare la cosa alla gente che circonda quell'ammalata. »

9 e 10 aprile. « Sul mattino provava ancora tutti i sintomi e patimenti di un moribondo per idrope di petto. Durante la notte intera aveva patito e lottato sino a trovarsi in procinto di morire. Quella signora d'altronde si irrequieta ed angosciata, ottenne a consolazione della famiglia tranquillità e grande rassegnazione e fermezza nella morte. Circa il meriggio il Pellegrino trovò la compaziente Anna Caterina mortalmente debole: poteva appena dare alcun segno di vita. Trovò poi la signora B. R. immersa in placido sonno e di tempo in tempo pronunziando alcune pie giaculatorie, a lei abituali nella sua gioventù.

Circa le ore tre la compaziente Anna Caterina dimostrò all'improvviso una forza straordinaria, si raddrizzò sul letto e ad alta voce recitò le litanie della Passione di Gesù Cristo. In cotesto momento spirò la signora B. R., addormentandosi placidamente come un bambino. Colla sua morte per altro cessò istantaneamente ogni oppressione ed ogni sintomo caratteristico dell'idrope nella compaziente Anna Caterina. Essa respirò liberamente, ma pure la di lei chiaroveggente misericordia non le lasciò alcun poco di tranquillità, ed i di lei patimenti presero all'improvviso il carattere ed assunsero le pulsazioni di una febbre d'infiammazione polmonare, giacchè un'altra, da lei poco conosciuta, ma pur molto ammalata donna, la moglie del citta dino Sch... successe nel luogo della precedente già morta. Anna Caterina soffri per costei molto gravemente, sino al susseguente giorno in cui quell'inferma mori. Ma già aspettava un'altra povera inferma, cioè la moglie del panieraio W..., giunta al più alto stadio dell'etisia, per aver parte alla di lei compassione. Anna Caterina la aiutò a sopportare gli orribili patimenti della consunzione accompagnati da frequenti perigli di morte, e soffri indicibilmente per cotesta persona cui invid ogni sorta di ristoro in cibi e in bevande; talmentechè cotesta povera e semplicissima donna molto maltrattata dal marito e dai parenti, venne liberata dall'amarezza del cuore e dalla disperazione,e piena di amore, di perdono e di riconciliazione, si accostò alla morte. La compaziente Anna Caterina bene spesso deplorava moltissimo che simili individui rimangansi affatto abbandonati spiritualmente. Per la più parte sono affatto ignoranti, e e quindi durante il loro lungo restarsi nel letto del dolore, trovansi affatto sconsolati, mentre nella loro miseria vengono per lo più trascurati, restando senza opportuno aiuto e rare volte visitati da un sacerdote. » Nel giorno 20 il Pellegrino trovò la compaziente molto confusa, tinta di color bruno nel volto, internamente convulsa e piena di soppressa amarezza contro quei sacerdoti che sono avari di consolazione. Anche cotesto stato apparve esser puramente una lotta intrapresa in pro della etica moribonda. Il sacerdote la aveva finalmente dopo lungo tempo visitata, ma non era stato in grado di consolare e e d'indurre a rassegnazione quella povera ammalata alquanto ottusa di mente.Essa sentivasi da lui sempre più conturbata, e venne a cadere in una tal ripugnanza verso quel prete, che non volea lasciarne più venire a sè alcun altro. « Che cappellano! (sclamò essa una volta) non voglio più sentirne parlare! » Tale era la disposizione di una povera moribonda, d'altronde umile e dolce. Anna Caterina per altro preso sopra di sè quella interna lotta, e per tutta la domenica combatte contro la più violenta esacerbazione che in se provava verso il modo d'agire di quel pastore d'anime, scevro e privo d'ogni solerzia e premura. Nella sera del 20 aspettavasi ad ogni momento l'ultimo respiro della moglie del panieraio. La compaziente Anna Caterina supplico Iddio per l'intera notte onde si degoasse conservarla in vita sinchè la pace fosse rientrata nell'anima sua. Ai 21 sul mattino viveva ancora, e mostravasi affatto mansueta, pero donando ad ognuno, e dando la benvenuta alla morte.Verso il meriggio la compaziente parve a tutta estremità. Il Pellegrino recitò con lei più volte le litanie per la etica. Rimase in cotesto stato di lotte alquanto cangianti d' apparenza, sino alle ore sette e mezzo del mattino seguente, momento in cui provò alcun sollievo. L'etica per altro era morta. Passò l'intera giornata in grave spossatezza. Già si approssimava un'altra opera di carità. A sera il Pellegrino la trovò immersa in uno stato molto diverso. Pativa di violenti dolori nelle membra, e di una fredda vacua sensazione nel basso ventre e nella prossimità dello stomaco,ecc. Confessò che in quel momento occupavasi della pia moglie del povero sarto H..., allora inferma. Avea pensato già da qualche tempo in sè stessa così: « Quando avrò finito colla moglie del panieraio, dovrò pregare per questa povera donna. Cotesta buona gente è pia ed umile, e forse l'inferma potrà sormontare la malattia: non ha per altro nè medicine nè buon nutrimento. » Il Pellegrino non conosceva cotesta donna e ne andò in traccia onde portarle elemosine, e trovò che tutti i suoi patimenti erano precisamente come quelli di Anna Caterina che seco pativa. Costei aveva detto: « Già da alcuni giorni cotesta buona donna mi si era presentata dinanzi agli occhi, e io pensava in me stessa che appena la moglie del panieraio sarebbe morta, dovrei pregare per quest'altra. » Quella donna disse al Pellegrino con sua gran sorpresa: «Ab ho sognato alcuni giorni or sono, ch'io mi stava dinanzi alla mia porta e che la monaca Emmerich proveniente dalla porta di Köesfeld mi passava dinanzi e mi porgeva la mano dicendo: eh Gertrudetta, come va? tu devi star meglio! La vidi affatto distintamente. » Il Pellegrino domandò all' Emmerich se si rammentasse di aver percorso cotesta strada in visione; essa rispose: No, non posso dirlo con precisione,ma nelle mie ultime escursioni fui spesso presso di lei e la vidi in tutte le sue azioni. Non mi ricordo più specialmente di certe cose, giacchè vado in troppi luoghi. »

25 aprile. Era in istato di alta miseria e spossamento.

Disse che ormai tutte le notti, dal momento della morte della papieraia, avea dovuto in visione trascinare in pro di costei gravi pesi di grano sopra il carretto. Questa era una delle gravi fatiche cui sempre dovea soggiacere quella povera donna vivendo. Questi suoi lavori di trasporto erano quelli precisamente che cotesta donna od avea fatti di malavoglia ed accesa di collera, od aveva negletti e tralasciati. Essa (Anna Caterina) non potea più a lungo per durare in cotesto lavoro: il Pellegrino doveva invece far celebrare una Messa. Cid ebbe luogo, ed Anna Caterina non ebbe più bisogno di trasportare alcun grano. »

10. Salvamenti da pericoli.

Nell'agosto 1822 il Pellegrino trovò una mattina presso l'inferma il confessore che gli riferì aver essa sofferto sin dalla sera precedente dolori di capo che la spingevano sino al delirio, durante il quale avea più volte asserito che l'aveano ferita nel capo, e ch'ei dovea rimetterglielo insieme. Allorchè l'inferma potè narrare con maggior tranquillità, cotesti delirii si risolvettero nei fatti seguenti::

« Io offriva sulla sera i miei dolori in pro di coloro che trovansi in pericolo, affinchè queste mie doglie ricadessero a loro vantaggio; e quando incominciai il mio abituale viaggio verso la Magion delle nozze, la mia Guida mi condusse sopra un alto monte, ove un buon galantuomo di scienziato con un taccuino in mano arrampicavasi su per gli scogli. Ei cadde e precipitò a testa in giù dall'alto, ma invocò Iddio, ed io venni e lo portai sulle spalle sino ad una carrozza che lo seguiva. Perciò ho tanto sofferto. »

« Quindi ho veduto alcuni, che con bastoni ferrati ed uncini alle scarpe aggiravansi per iscoscese rupi, e tiravan ad un branco d'uccelli. Un di quei colpi avrebbe dovuto ferire nel capo uno di quei cacciatori, ma io mi frapposi e me ne ebbi una intera scarica di grossi veccioni nel capo,e ne provai spaventosi dolori. La mia testa era come spezzata in due, e vidi come seguito e sviluppo del quadro, che quei veccioni erano pure perle ( cioè meriti); ebbi pure in me stessa la riflessione che se i P. R. mi tenessero adesso prigioniera, me li estrarrebbero di dosso: non so per altro dire come venissi in quest'idea. Io gemeva intanto moltissimo e mi lamentava col mio capo spezzato. »

Durante i mesi di novembre e dicembre 1822 si trovò senza alcuna interruzione immersa in gravi patimenti per la Chiesa. « Cotesti dolori (disse ella nel giorno della festa di S. Tommaso di Cantorbery ) mi sono stati imposti nel giorno di santa Caterina in pro della Chiesa e dei vescovi. Ho veduto oggi la vita di cotesta santa martire, e le grandi persecuzioni da lei sofferte; e nel medesimo tempo vidi sempre quadri contemporanei della tiepidezza e debolezza delle anime in questo nostro tempo attuale, e ciò mi lacerava affatto l'anima. »

Il Pellegrino osserva intorno a ciò: « I dolori aumentano, ed inoltre a causa di una tosse insopportabile non può parlare; ha per altro la più grande pazienza. Essa in mezzo a si disperate pene è soprattutto piena di coraggio e d'interna pace. Le stimate del costato e la corona di spine sono quelle che aumentano anche di più i suoi permanenti dolori. Non può appoggiare il capo in verun punto ed in verun modo, giacchè prova sempre la sensazione di una larga corona guarnita di acute spine; pur nondimeno parla talvolta con gran coraggio dei possenti, ma salutari dolori che deve sopportare. »

Col principio dell'anno 1823, in mezzo a continue visioni circa lo stato della Chiesa, cotesti dolori raggiunsero il più alto grado, e nella sera degli 11 gennaio la trovò il Pellegrino con molta tosse e spesso senza respiro. Era in visione ed espresse il desiderio che venisse cotto dell'orzo insieme con dei fichi secchi, e ne venisse fatto un impalpo per applicarlo sul lato destro del suo corpo. Ciò avvenne. Bevve pure del succo di cotesta mistura, ed allorchè si sentà più libera, ritornò in sè e disse: « Ho un'infiammazione in questo lato; il tumore s'è rotto, l'ho sentito rompersi, ed ora internamente sento l'umore trascorrere; posso soltanto uscirne per miracolo. » Il confessore aggiunse: « Essa ha delirato cosi per tutte le ore pomeridiane. » Il Pellegrino per altro « con più esatta ed attenta osservazione la trovò affatto nella pienezza dei suoi sensi, e parlante ed agente con ordine e perfetta correlazione delle sue interne ed esterne circostanze, e chiara nelle idee e tranquilla. » Ordinò con esattezza la preparazione del cataplasma, dimandò a tutti l'aiuto dell'orazione, e nel giorno seguente fu capace di rendere conto così di quel caso: « Dovei rendermi nel luogo ove dimora il Capo dei pastori (Roma); eravi gran pericolo. Volevasi uccidere il primo aiuto di quel Capo, servo fedele che ha i cagnolini (1); allora mi gettai frammezzo, ed il coltello mi penetrò sino al dorso, passando pel lato destro.

(1) Canis et Coluber.

Quel buono e e fedele servo se ne andava alla sua abitazione, e per una certa via, per la quale la fuga sembrava esser sicura, gli si fece incontro un traditore assassino, che avea un pugnale triangolare nascosto sotto il mantello. Si presentò come se volesse abbracciare amichevolmente quel capo di tutti i servi addetti all'ovile; io per altro mi precipitai frammezzo sotto il mantello e ricevei il colpo, che mi penetrò sino alla spina dorsale. Ebbi un senso come se si rompesse: credo che vi si debba esser rotto. Quel servo supremo dell'ovile si difese, ma cadde svenuto; l'assassino fuggi, e dietro di lui corse molta gente. Credo che quell'assassino urtasse col ferro contro alcunché di duro e s'immaginasse che l'aggredito portasse una corazza. Quando ebbi stornato il colpo, ecco che per di più mi assalì il diavolo; era furioso e mi gettò qua e là, gridandomi oltraggiosamente: che hai tu da far qui? devi esser sempre da per tutto? ma alla fin fine ti agguanterò per bene! »

La guarigione progressiva della ferita durò per tutto il mese di gennaio e percorse tutti gli stadii di una febbre infiammatoria, precisamente appunto come avrebbe dovuto seguir nell'ordine abituale di un' ancor possibile guarigione.

17 gennaio. « Soffre ancora disperati dolori nel lato ferito, talmentechè talvolta quasi ne vien meno. Il lato ferito è duramente gonfio; e per di più una forte tosse la tormenta in modo speciale. Essa è per altro molto paziente e nella più serena disposizione di spirito.

18 gennaio. « Le fu dato di vedere a fondo le disposizioni anatomiche della sua ferita, e ne diè una molto particolarizzata descrizione. Soffriva molto. »

22 gennaio. « La malattia sembra diminuire. Per altro parla pur troppo soltanto di cose molto ordinarie, come sarebbe degli affari della sua economia domestica,e dell'infermo bambino di un abitante di questa città. Al Pellegrino riesce incomprensibile come ella possa interessarsi di simili cose! »

27 gennaio. « Sembra che sia incominciato un cambiamento nello stato della sua ferita. Diviene più attiva, acquista alcunché di deciso nel suo modo di essere e nelle espressioni del suo discorso. Disse che avea molto da lottare a cagione di un involontario impulso di collera e di amarezza verso molte persone; prova più specialmente un possente eccitamento a porsi in collera contro quell'uomo di cui ha impedito l'assassinio. I vomiti di sangue e di marciume diventano più intensi, il tumore del lato destro diventa più molle e comincia a vuotarsi per vie interne. Descrive quell'interno tumore siccome un fungo, che alcune volte si vuota, e poi si riempie di bel nuovo, e quindi fra le coste diventa sensibile. Dichiara che quei vomiti non provengono dai polmoni, ma che derivano dalla bocca dello stomaco. »

10 febbraio. « Nella decorsa notte il vomito di materie purulenti e sangue fu talmente copioso, che essa cadde giù come morta. Afferma che quel sacco di suppurazione formato dal tumore si è rotto, e che nel luogo ove esisteva quell'interna enfiagione sente un vuoto e come una ferita non ancora cicatrizzata. »


11. Anna Caterina prende sopra di sè dolori derivanti da ferite.

Nel marzo 1822 l'inferma s'espresse cosi: «Provo acer bissimi dolori nel piede sinistro. Dovetti entrare in uno spedale, ove mi fu posto sulle spalle lo stato d'una donna, che cadendo da una scala si è pericolosamente lesa una coscia. »

Coteste parole dette così apparentemente a caso non destarono alcuna attenzione ulteriore, ma alcune settimane più tardi divenne manifesto che Anna Caterina avea patito i dolori di una prima fasciatura insieme a quella infelice donna caduta, e che posteriormente era divenuta necessaria un'operazione. Quindi è che nell'aprile susseguente interruppe un discorso col confessore pronunziando le seguenti parole: « Mi vien tagliata e ritolta dal piede sinistro una scheggia; » e poi in istato di piena veglia naturale ebbe una visione a gran distanza, e durante questa visione provò la piena sensazione come se venisse apposta una fasciatura al membro cui poco innanzi era stata fatta l'operazione. Disse: « Non posso comprendere in alcun modo come il frammento del mio osso così fino si adatti perfettamente nella coscia di quella forte e grossa donna. Provai davvero un dolore sensibilissimo quando operando giunsero proprio all'osso. Cotesta povera e pia donna cattolica mi è stata mostrata ultimamente: deve giacere lontana di qui, in uno spedale ove giacciono ancora molti altri miseri ammalati. Deve molto sopportare, e provo per lei la maggior compassione. Ho pregato per essa ed implorato di portare sulle mie spalle i suoi dolori. Là dentro vi sono medici e chirurgi luterani, che oggi sul meriggio le hanno ritolto un grosso frammento dell'osso della coscia, ed io ho pur dovuto con lei lasciarmi ritorre lo stesso frammento. Essi dopo hanno collocato in lei quel pezzo d'osso ritolto a me; ma non posso immaginarmi come il mio magro e sottile osso abbia potuto aggiustarvisi. Essa è sì grossa e forte! Ora hanno fasciato tanto me quanto lei, e ciò cagiona potentissimi dolori. » Disse tutto ciò, aggiungendovi la descrizione di molte minute circostanze, mentre talora pareva trovarsi immersa in cotesto affare, talora trattenevasi in familiare discorso con quei che le stavano attorno.

12. Malattie degli occhi.

Il padre di un bambino pericolosamente ammalato di occhi, ebbe ricorso alle di lei preghiere.Tostochè ella ebbe ascoltata la richiesta di costui, fa presa da potentissimi dolori di occhi che durarono per molti giorni, talmentechè un occhio ne apparve quasi infiammato. Era precisamente quel medesimo che già in quel bambino era stato dichiarato come perduto. Anna Caterina provò una tal compassione, che si fece portare quel povero bambino e gli succhiò l'occhio ammalato. Sperava che cotest'occhio non fosse ancora perduto, ed essa medesima pati per un'intera settimana prima che potesse di nuovo usare dell'occhio suo proprio. Durante cotesto tempo ebbe a fare molti lavori in visione nei campi che circondano la Magion delle nozze, dai quali durante i suoi dolori negli occhi dovea strappare e svellere tronchi e radici di alberi. Nel medesimo tempo attorno attorno al campo del suo lavoro vedea molti altri ammalati di occhi,pei quali pativa e pregava. Si rammentava specialmente di un povero sartore, che già avea quasi perduto un occhio. Quando d'altronde pativa in pro d'infermi fanciulli, sentiva vivacemente come se fossero presenti sul suo letto in corpo ed anima, e quindi prendeva nella sua più immediata vicinanza coloro che apparivano presi dai mali più nauseabondi. Li vedeva anche nelle loro diverse abitazioni,ed inviava ad essi quanto più potea cibi e pannilini.

13. Assalti, tentazioni e turbamenti di spirito presi sopra di sè.

Il confessore avea nel giorno del Sabato santo del 1822 raccomandato alle di lei orazioni un contadino che per la perdita di due cavalli erasi dato in preda ad una melanconia confinante colla disperazione. Sul mattino della domenica di Pasqua disse di essere stata violentemente assalita dai quadri più spaventosi ed esserne rimasta quasi appieno confusa; e durante la Messa solenne cotesto stato aumentò talmente, che essa quasi credeva di dover morire divorata da quell'amara inquietudine. Dopo il servizio di vino venne da lei il P. Limberg e raccontò che quel contadino durante la consacrazione avea si fortemente gridato e pianto, che si era dovuto portarlo fuori di chiesa. Essa si spaventò involontariamente durante cotesto racconto per la conferma che ne ottenne dell'interno suo vedere e sentire, e sino al martedì seguente a sera rimase immersa in continua lotta contro l'angoscia, la disperazione, il rancore e la collera, talmentechè dovette lamentarsi delle tristissime feste di Pasqua che dovea passare! Sulla sera del martedì dopo Pasqua la lotta era finalmente compita. Il confessore trovò quel pover' uomo tranquillato ed in migliore disposizione di spirito, ma anche prima ch ' ei potesse annunziarlo ad Anna Caterina, essa disse con espressione di gioiosa riconoscenza: « Ciò l'ha fatto sant'Anna! L'ho invocata durante tutto questo tempo in pro di quel pover uomo. Ha ottenuto la grazia! Essa è la protettrice dei disperati e di coloro che vengono tormentati dal demonio. Ho terribilmente sofferto in questi giorni per quel pover uomo, che mi è stato mostrato da lungo tempo. Non ha religione, e dacchè si è allontanato dall'inviolabilità e sicurezza della fede cristiana, è caduto in balia di una possente maledizione. Per aver cotto con fede e pratiche superstiziose un cuor di cavallo, egli è caduto in idolatrico rapporto col demonio, e la disperazione si è talmente di lui impadronita, ehe nel giorno di Pasqua, coll' odio il più furibondo nel cuore, ha assistito al santo sacrificio del Figlio di Dio che ha dato la sua vita in pro dei suoi nemici. Sant'Anna lo ha salvato. Se per altro egli adesso non si convertirà radicalmente, gli succederà anche peggio. »

Il Wesener, che avea in cura medica quell'uomo, riseppe da lui che per consiglio di alcuni superstiziosi individui, aveva fatto cuocere il cuore di uno dei cavalli a lui morti, in mezzo a scongiuri e imprecazioni contro coloro che, secondo lui, erano stati cagione della perdita di quel cavallo, imprecando che costoro non potessero più trovar quiete alcuna sinchè non gli comparissero dinanzi e confessassero d'essere stati autori di quel male. Il contadino erasi pure deciso a tirare una archibugiata al primo che gli si presenterebbe allo sguardo dopo quell'infernale cottura.

Dopo alcune settimane quell'uomo minacciò di ricadere, giacchè un suo terzo cavallo era in pericolo di morire. Quando Anna Caterina ne ebbe la notizia dal confessore, divenne molto turbata e disse: « Ciò non deve succedere, altrimenti quell'uomo ricadrà di nuovo in disperazione; bisogna pregare che non perisca quel cavallo.

Nei due giorni essa apparve di nuovo molto turbata e cupa, di bruno e tetro colore nel volto, eccitata, con isguardo torbido e spaventato, ed avea appieno la espressione in lei apparsa in quei giorni della Quaresima, che erano stati i più ricchi in assalti e tentazioni. Confessò in seguito quanto avesse pregato per quel pover uomo cosi assalito, e quanto di nuovo avesse dovuto lottare contro il diavolo. Il cavallo guari.

Maggio 1823. « Diè soccorso ad una povera partoriente col mezzo di pannilini ed altri oggetti adatti pei bambini; cotesta povera donna venia molto maltrattata dal duro e grossolano marito. Cotest'uomo già da molti anni non erasi più accostato ai Sacramenti, e vivea in odio ed inimicizia verso di altri. Aveva spesso pregato per la di lui conversione e per ottenere che divenisse inquieto circa il misero stato dell'anima sua. Anche adesso rinnovò le preghiere in favor suo, ma durante cotesto tempo dovè possentemente lottare contro si forti eccitamenti al malvolere ed alla collera, che tutte le di lei sembianze ne apparivano alterate. Quell'uomo per altro confessò alla moglie di non sapere come scampare all'interna sua angoscia ed inquietudine. Anna Caterina non se lo lasciò più sfuggire e lo seguitò sempre coll'orazione, sinchè ei venne in cerca del P. Limberg e mostrò desiderio di confessarsi. I di lei patimenti presero allora un più ampio carattere, talmentechè divenne manifesto come quell'uomo fosse stato per lei occasione di pregare, e supplicare, ed implorare la stessa grazia per innumerevoli altri suoi simili. Nei suoi dolori pareva una donna messa alla tortura, ed in mezzo ai pianti raccontò circa quello che avea sofferto, quanto se gue:- Credea di esser sul punto di morire dal dolore, ma non ottenni alcun soccorso. Offrii i miei patimenti in prodi tutti quei miseri che privi di ogni consolazione ed aiuto vengono meno per fame del SS. Sacramento. Era affatto desta, e ad un tratto vidi intorno a me, da vicino e e da lontano, sulla terra intera innumerevoli e dolorosi quadri di infermi, di erranti, di moribondi, di prigionieri privi affatto dell'aiuto dei sacerdoti e del conforto dei Sacramenti.

Invocai per loro soccorso e supplicai Dio. Mi fu per altro detto: Non otterrai questo per nulla e gratuitamente; ciò deve essere guadagnato a forza di lavori e di fatica. Mi offrii a farlo, e ne venni in orribile stato. Mi furono anno, date funi alle braccia ed alle gambe, che prima ben strette e legate, furono poi tirate in senso contrario con tal violenza, che credei che tutti i nervi ne verrebbero dilaniati; mi venne violentemente contorto il collo; le ossa del petto si sollevarono, e la lingua si ritrasse irrigidita nella gola. Era in punto di morte, ma vidi per mia consolazione che dal mio soffrire molti ottenevano aiuto, » Nella notte susseguente si ripeterono cotesti patimenti, ed essa si vide formalmente crocifiggere. Il Pellegrino le trovò il collo e la lingua tumidi e gonfi. A stento potè cosi raccontare:

« Vidi gravi guai e miserie in seno della Chiesa per causa di continue mancanze, di negligenze e di tradimenti. Per quanto qui fra noi sieno grandi i mali, pure ho veduto. di peggio in altri luoghi. Ho veduto ecclesiastici starsi in cattiva compagnia e per le bettole, mentre individui appartenenti alla loro cura morivano senza Sacramenti. Ho veduto anche di bel nuovo il quadro del come le sette segrete con grande abilità e destrezza da ogni lato distruggano la Chiesa di S. Pietro. Lavoravano con ogni sorta di strumenti, e correvano poi via da tutti i lati, portando seco pietre spezzate e tolte all'edificio. Dovettero per altro lasciare illeso l'altare, giacchè nol poterono portar via. Le vidi profanare un'immagine di Maria e spogliarla e derubarla. Mi lagnai in cospetto del Papa del come ei potesse soffrire che tanti ecclesiastici si trovassero fra quei distruttori. Vidi inoltre perchè la Chiesa fosse fondata in Roma; ciò avvenne perchè Roma era il punto centrale dell'impero del mondo, e tutti i popoli vi avevano relazione e rapporto. Vidi pure che Roma resterà come uno scoglio in mezzo al mare, quando anche tutto le cadrà in rovine dattorno. Vidi come Gesù desse cotesta forza a a S. Pietro, e come in premio della sua fedeltà e sincerità lo ponesse alla testa di tutti gli altri. Quand'ei disse a lui: seguimi, intese con ciò dirgli che anch'egli sarebbe stato crocifisso.

Quando vidi quei distruttori, mi meravigliai molto della loro grand'arte ed abilità. Aveano ogni sorta di macchine, tatto succedeva secondo il concepito disegno, nulla cadeva da per sè stesso, non facevano alcun rumore, guardavano sempre al lavoro, ed impiegavano ogni sorta di vantaggi ed astuzie, e le pietre pareva che spesso sparissero loro fra mano. Alcuni fra loro divertiyansi a rifabbricare; prima infrangevano quanto vi era di santo e di grande, e quindi rifabbricavano il vuoto, il superfluo ed il vano. Rapivano pietre dall'altare e ne facevano gradini all'ingresso. Il confessore sentissi molto commosso alla vista di sì spaventevoli patimenti e si offri a a farli sparire, impiegando il nome di Gesù e gli esorcismi. Egli avea effettivamente letto dell'esorcista Gassner in Baviera ch'ei suoleva trattare molte infermità come provenienti dal demonio, e guarirle con gli esorcismi. Anna Caterina gli rispose: « Gli esorcismi resteranno sopra di me senza effetto, giacchè so che questa mia malattia non proviene dal maligno nemico.

Non posso ricevere aiuto che dalle benedizioni della paziente compassione, e dalla preghiera in pro di ciò per cui soffro. Ho avuto sempre, dacchè ho memoria, una fede incrollabile nel nome di Gesù, ed ho aiutato me stessa ed altri coll'invocare quel SS. Nome; sono per altro sicura che nel medesimo sacro Nome ho preso sopra di me ciò che soffro adesso (perlocchè non è fattibile, voleva essa dire, di ritogliermi nel nome di Gesù questi patimenti). Ho anch'io veduto molte malattie guarite dal P. Gassner, ed esse non mi piacevano punto, giacchè avevano una peccaminosa origine.

Un anno innanzi per altro avea il Pellegrino potuto trascrivere un fatto notabile, indicante quale aiuto a a lei fosse derivato dal nome di Gesù: 20 gennaio: Pregai Iddio con ogni ardore, onde in grazia degli altri miei gravi patimenti si degnasse accordarmi aiuto nel più noioso male che mi tormentava il basso ventre. Il mio Sposo mi rispose con molta serietà: E perchè mi dimandi tu oggi questa grazia? Che forse ciò non sarà lo stesso il farlo domani? Non ti sei tu data interamente a me? Non posso io far teco ciò che mi piace? -- Voglio abbandonarmi interamente a lui! Deve fare sopra di me la sua volontà. Oh qual grazia poter patire! Beato colui che viene deriso e sprezzato. Io ho meritato tutto ciò, e sono stata tenuta anche troppo in onore; ah se potessi venir posta in mezzo ad una strada ed ivi coperta di sputi, ed essere calpestata coi piedi, vorrei baciarli a tutti coloro che mi calpesterebbero! Anche sant'Agnese ha molto patito; ho veduto molti suoi dolori.

Siccome nella sera il dottore Lutterbeck trovavasi in Dülmen, ed il Pellegrino gli dava un'idea dei di lei patimenti, senza che naturalmente essa potesse intenderlo, disse in seguito in istato d'estasi:: «Come osi tu metterti e sederti in mezzo ai miei fiori? Tu mi calpesti così tutti i miei bei fiori! » Essa avea dunque veduto quel palesare i suoi segreti patimenti sotto la forma di fiori che venivano calpestati. Nel giorno seguente divennero i dolori del basso ventre si potenti, che il confessore commosso le diè alcun poco di olio benedetto, ed orando sopra di lei, comandò nel nome di Gesà a quel male di cedere e calmarsi. Ella provò tosto conforto e si rimise affatto. Nel domani, che il suo Sposo celeste le aveva indicato, era dunque venuto e la grazia era ottenuta.

Durante cotesta malattia avea pure così detto una volta: « Il prendere sopra di me patimenti in pro d'individui impazienti è cosa che mi riesce molto più grave, giacchè debbo allora provare insopportabile eccitamento all'impazienza, che deve essere combattuto e vinto. Sono stata sin qui meravigliosamente conservata in questa langa malattia. Per lo più nella notte, ma talvolta ancora durante il giorno, veggo innanzi a me o presso di me librata in aria una tavola bianca come di marmo, e e sopra vi stanno ogni sorta di vasi colmi di succhi e di erbe; e veggo veuire talora uno, talora un altro santo e martire, uomini o donne, e prepararmi medicamenti; talora vengono commisti di più qualità, talora pesati come sopra una bilancia d'oro; per lo più sono succhi di erbe; spesso debbo odorare un cespo di fiori, spesso suggere alcuna sostanza; e coteste medicine talora calmano il dolore, ma più spesso per altro sono mezzi fortificanti, che danno lena a sopportare i più meravigliosi ed intrecciati dolori che susseguono tosto all'uso di quelle medicine. Veggo tutto ciò così distintamente e orainatamente succedere, che sono stata già varie volte inquieta, temendo che il mio confessore che va e viene, non urtasse contro cotesta celeste farmacia. »

Cotesta tavola sparì per altro una volta all'improvviso, allorchè Anna Caterina col mezzo di una irriflessiva narrazione diè causa ad una persona di lodarla. Essa avea esortato cotesta persona, insegnandole come dovessero praticarsi la ritiratezza e la pudicizia, ed avea finito la sua esortazione con queste parole: « Ho praticato cosi sino dalla mia gioventù, e me ne sono trovata bene. »

Per ciò venne lodata, e tosto spari la tavola delle medicine celesti.

14. Patimenti in pro di coloro che si accingono a confessarsi.

Quando veggo individui che si confessano, spesso veggo pure quadri spaventosi, e quindi sento vivacemente quanto sia necessario il pregare per loro. Così veggo alcuni penitenti che durante la confessione sputano serpenti, ma subito dopo li ingollano di nuovo, e spesso anche prima della Comunione. Coloro che occultano peccati in confessione li veggo apparirmi con orribili sembianze, e veggo presso di loro una spaventosa bestia che cogli artigli li afferra pel petto. A coloro che vivono in peccaminoso commercio spesso veggo, mentre si confessano, una figuraccia che loro si accosta e sussurra negli orecchi che non parlino di ciò. Ne vedo altri che mentre si confessano si stringono al seno una figura che ha un corpo di drago. »

« Ho sempre veduto che certi schifosi animali, come i vermi ed alcuni insetti, nascono dai peccati e sono immagine dei peccati. Negli individui che in sè racchiudono peccati segreti, ma che esteriormente si mostrano pii e casti, veggo per tutto annidarsi schifosissime bestie; spesso le veggo presso di loro, ovvero sui loro abbigliamenti, ovvero le veggo ricoperte, accarezzate e nutrite. Ho spesso veduto cotesti animali si distintamente nei varii individui, che ho avuto voglia di ritoglierli da loro, sinchè mi sono accorta che la gente sì meravigliava del mio fare. Il grillo per esempio è un'immagine del peccato; egli è ansioso, gridatore, ayaro, fa gran rumore. Vedo che il grillo mette in moto ogni pelo che ha sopra di sè, si liscia, ed agita le ali quando grida come suol fare. Lo stesso fanno anche quegli individui che nutriscono i loro peccati rappresentati dall'immagine del grillo. »

Un giorno narrò così: « « Pregai pei penitenti di un sacerdote che me ne avea supplicato, e me ne ebbi ben grave lavoro. Vidi sull'acqua due barchette che stavano per sprofondare. L'una era ricolma di uomini, l'altra di donne; queste ultime erano moltissime. Il confessore stava sulla sponda e volea successivamente trarre a riva quelle barche. La barca che era piena di uomini navigava piuttosto bene; ma molte, anzi quasi tutte le donne avevano, contro la volontà del confessore, ed in parte contro sua saputa, dei gatti nascosti sotto i veli ed i pannilini del collo; e cotesti gatti aggravavano talmente il peso della barca che quasi affondava. Quei gatti si attaccavano con forza, non voleano malgrado gli sforzi delle donne separarsi da loro, e graffiavano a dritta e a sinistra. Io mi misi a remigare sopra una tavola. Mi accostai a quella barca ed esortai le donne a mandar via i gatti; ma esse seguivano i miei consigli molto di mala voglia, e meco altercavano. Il confessore tirava con tutte le sue forze, ma non sempre a proposito e con buona direzione, talmentechè gli gridai che doveva tirare in altro modo. »

Bene spesso Anna Caterina collo stomaco affatto vuoto ebbe per un paio di giorni sforzi di vomito continui, senza però poter vomitarc cosa alcuna. A causa di ciò cadeva in svenimenti quasi simili alla morte, e spesso esclamava involontariamente sospirando: « I peccati debbono venire fuori! Debbon essere confessati! » In seguito apparve che essa erasi imposta sulle spalle coteste pene per impedire confessioni sacrileghe. Siccome nutriva per sant'Antonio una speciale venerazione, così durante l'ottava della sua festa ebbe più volte la missione di commuovere col mezzo della preghiera e dei patimenti, coadiuvata dal possente soccorso del santo, certi peccatori a penitente confessione. Quindi durante cotesti giorni stavasi sempre immersa in malattie, che continuamente e rapidamente cambiavano di natura, in convulsioni, in interne angoscie e spirituale abbandono. Una volta narrò così: « Il santo mi ha indicato quelle persone che debbo muovere ad una confessione generale. Esse a poco a poco vengono dall'Overberg e dal mio confessore. Le conosco soltanto in visione, ma non già nella veglia; il processo di cotesti lavori apparisce come se l'ambasciata o il comando del santo giungesse alla mia Guida celeste, che allora mi dice: Preparati! Seguimi, se tu vaoi giovare ed aiutare là e là! Allora intraprendo una strada o un viaggio con gravi stenti e coi più svariati imbarazzi durante la via; imbarazzi e stenti che si riferiscono agli spirituali ostacoli che esistono nello spirito dei penitenti, e sono immagini e simboli delle storture' e perversità morali, delle passioni e delle interne repugnanze che cotesti penitenti hanno da vincere e superare, onde pervenire ad una sincera ed efficace confessione. Veggo alcuni di costoro piccolissimi e lontani, altri vicini; cotesta distanza si riferisce a quel cammino più corto o più lungo che debbono ancora percorrere prima di giungere a compire un'intera confessione. Spesso una persona che nello spazio effettivo e reale mi sta vicina, la veggo apparirmi molto lontana e piccola, ed un'altra che nello spazio reale ed effettivo è situata da me lontana, mi apparisce spiritualmente vicina e grande. Alcune ne veggo a me vicine, ma debbo raggiungerle e passare sopra un monte scosceso, dal quale sempre in giù ricado. Se poi colla grazia di Dio e l'aiuto del santo riesco a superare tali stenti, allora pervengo a raggiungere quegli individui, e trovo il loro spirito affatto cambiato. »

Ai 29 di novembre 1822 furono per una notte depositati nella prigione della città di Dülmen sei pericolosi complici e compagni di furto, avviati verso la fortezza dove doveano esser detenuti. Essa vide in ispirito cotesto avvenimento, pregò per quei miserabili e racconto nel seguente giorno così: « Ho visitato quei prigionieri per la di cui conversione pregava. Quando mi approssimai alla prigione la trovai tutta circondata di spine che vi erano cresciute dattorno. Mi lacerai le mani sino a sanguinarne e mi arrampicai per mezzo di quello spinaio, giacchè cresceva anche per sopra le mura. In cima non vi era alcun tetto, ed io scesi giù, ma non potei in alcun modo pervenire sino ai prigioni; giacevano in fori e buche traverse e scoscese, ed eranvi innumerevoli travi, e stanghe, e sbarre poste e collegate a dritto e a sghembo, innanzi a loro e sopra di loro. Regnava grande oscurità. Tutto era deserto e come petrificato nel silenzio; io lavorai molto, ma non potei pervenire ad alcuno di loro, perchè erano cosi racchiusi, ed oppressi, e rilegati tra quelle sbarre. Allora venne il gendarme N... per visitarli, e io tosto me ne andai; temeva che mi vi trovasse e pensasse che volessi liberare i prigionieri. »

Aprile 1820. « Pativa di una sì grave doglia in tutto il lato sinistro, che parea vicina a morte. Poteva giacere soltanto tenendosi alquanto inclinata sulla dritta; non poteva parlare, e quella doglia le cagionava spessi svenimenti; nondimeno mostravasi serena, e disse: - Questo è un resto della quaresima, durante la quale mi caricai troppo sulle spalle; credeva che appunto ciò mi sarebbe sopravvenuto più tardi. Ho preso questo resto sulle mie spalle in pro di uno straniero che voleva far qui la sua confessione pasquale. Lo vidi in confessionale, ma in ben cattiva situazione; la confessione non voleva venir fuori sincera, ed ei cadde in grave colpa. Allora supplicai il Signore a volermi lasciar patire in vece sua ed in di lui pro soddisfare alla sua giustizia, ed a commuovere il cuore di cotesto individuo; ed ecco che subitaneamente mi è sopraggiunto questo intenso dolore; ma appena posso più oltre sostenerlo. » L'abate Lambert pregò allora presso il suo letto e per lei, e ne ottenne alcuna mitigazione; ma tosto chè si fu allontanato, ritornarono di bel nuovo le pene, e si fecero si intense che ne venne in svenimento, ed un freddo sudore cominciò a scorrerle dalla fronte. Fu chiamato il confessore che la benedisse, e nel nome di Gesù comandò a quel male di cedere. Essa trovossi istantaneamente meglio, e potè riacquistare un po' di quiete.

Tempo pasquale del 1823.

« Ho dovuto trascinare per forza un uomo in chiesa sino al genuflessorio della Comunione. Ei non volea venirvi e quasi mi gettò in terra. Soffrii orribilmente e me ne ebbi colpi si terribili al cuore, che parea mi venisse schiacciato. »

Cotesto lavoro si ripetè ancora più volte e durò sino alla settimana antecedente alla Pentecoste. Quand'ella in quei giorni raccontò al confessore di essersi affaticata sino quasi a morirne in pro di quell'uomo, costui fece pochi minuti dopo pregare il confessore medesimo a voler ascoltare la sua confessione generale. Ei lo ricevè amorevolmente e sulla sua preghiera lo condusse dinanzi alla inferma, da cui, in mezzo a molti pianti, implorò il perdono per averla si spesso calunniata.

15. I giorni del carnevale costituivano sempre per lei ogni anno un tempo di spaventevoli patimenti.

Ella giaceva allora in continue pene a causa dei peccati che in quei giorni consumavansi. « Debbo vedere tutti gli orrori di tanta dissolutezza, e veggo anche i pensieri e l'interna malvagità dei cuori, i lacci tesi dal diavolo, l'abbassarsi, il vacillare, il confondersi delle anime e la loro caduta. Veggo da per tutto mescolato il diavolo e e debbo correre, precipitarmi, patire, ammonire, impetrare da Dio, offrirmi e sostituirmi ai castighi. Frattanto veggo gli oltraggi che cotesti spensierati fanno al Redentore, al mio Salvatore. Lo veggo lacerato e ricoperto di sputi e di sangue. Veggo quei sollazzi e divertimenti in apparenza innocenti, in tutta la loro spaventevole nudità e e nelle loro conseguenze. Mi sento lacerata dallo spavento e dalla desolazione, e passo da un martirio nell'altro per ottenere sospensione di castigo e grazia a questo od a quel peccatore. Tutto ciò lo veggo fra i laici ed anche fra gli ecclesiastici, e quest'ultima circostanza mi tormenta più d'ogni altra. Alla fine mi sentira talmente abbattuta, che non poteva andar più oltre, e supplicai l'angelo mio custode di eccitare gli angeli custodi di molti altri individui che mi destavano ancora molta compassione.- Trovasi in istato si misero che non può muoversi senza grave dolore, anzi non può nemmeno una sol volta liberamente respirare. È per altro piena di pace, di tranquillità, di dolcezza, ed in modo ineffabile paziente! Oltre tutto ciò deve ancora respinger gli attacchi del demonio,che giorno e notte l'assale.»

Marzo 1821. Mercoledì delle ceneri. « Il Pellegrino l'ha trovata questa mattina affatto abbattuta e martoriata. Potea pronunziare soltanto poche parole. Giaceva affatto abbandonata, era spossata e pallida; ma pure aveva sembianze tranquille ed amorevoli, e l'anima sua era piena di pace, e tutto il suo contegno spirava grazia e bontà. Disse: -Nella trascorsa notte ho provato tutti i dolori ed i martirii, che a mia credenza può sopportare un corpo umano. Alla fine mi sopraggiunse anche un disperato dolore nelle orecchie. Mi aiutai con un poco di cotone intinto in olio benedetto.

Ad un tratto esclamò: – Ebbene, ecco un altro ballo!  e si raggomitolò tutta ed incominciò a tremare dolorosamente nei piedi. Dopo mostrossi spaventata e parve difendersi e disse:— Quella gente ha eccitato contro di me un piccolo cane cattivo che sembra affatto arrabbiato.— Più tardi narrò così: -
– Venni mandata di qui in un certo villaggio ove gli abitanti ballano anche oggi. Doveva dire loro alcune cose. Mi pareva che le dicessi soltanto coll'alito e soffiando. Sembrava pure come essi eccitassero contro di me un cagnuolo affatto furioso ed arrabbiato. Sul principio me ne angustiai molto, ma poi mi venne in mente e pensai: tu non sei già qui col tuo corpo, ei non ti può mordere. Allora mi raccolsi tutta in un angolo e vidi che quel cane era il diavolo. Ei mostrava si orribili artigli ed occhi cotanto infuocati! In quel momento un santo dall'alto mi porse un randello di ferro; pareva per altro che dentro fosse vuoto, talmente era leggiero, e mi disse: Con questo randello anch'io ho bene spesso bastonato il demonio. Tenni quel bastone di ferro dinanzi al cane ed ei vi morse dentro digrignando, e finalmente fuggì portandolo via. Potea per altro anch'io soddisfare la mia incombenza, e quel ballo si sciolse. »

Aprile 1822. « Ha l'aria e l'apparenza di grande patimento. Ha bevuto un po' d'olio di santa Valpurga e se ne trova ristorata. I patimenti e i dolori aumentano, ma aumenta altresi la vivacità e la forza dello spirito. È straordinariamente paziente, anzi allegra nei suoi dolori. Oltre la tosse, i vomiti e la ritenzione di orina, è sopraggiunto un dolore ardente nel volto con enfiagione delle labbra, piene di bianche vescichette. Non può nè parlare nè bere. Il medico ha ordinato rimedii esterni, ma non arrecano veruno alleviamento. La di lei Guida celeste le disse di abbandonarsi alla volontà di Dio e e che ella espiava così patendo i i peccati dell'altrui lingua. Cotesta malattia durò per circa sette giorni, e durante la medesima dovette per comando della sua Guida celeste soddisfare, durante una parte della notte, a lunghe orazioni vocali, cento Pater Noster ed Ave Maria, e le Litanie. »