Sotto il Tuo Manto

Sabato, 7 giugno 2025 - Sant' Andronico di Perm (Letture di oggi)

Non siate talmente dediti all'attività  di Marta da dimenticare il silenzio o l'abbandono di Maria. La Vergine, che sì bene concilia l'uno e l'altro ufficio, vi sia di dolce modello e d'ispirazione. (San Pio da Pietrelcina)

CAPO VIII. OPERE DI ORAZIONE E PATIMENTI IN PRO DELLA CHIESA. LA MAGIONE NUZIALE. L'AGIRE IN VISIONE. CARATTERE E CONSEGUENZE DI COTESTA FACOLTÀ.


1. Nel novembre 1820 Anna Caterina disse così: « Son oramai vent'anni dacchè il mio Sposo mi addusse nella casa nuziale e mi distese su questo duro talamo delle nozze, sul quale io giaccio ancora. » Essa intendeva con ciò parlare delle opere sue d'orazioni e di patimenti in pro della intera Chiesa, opere cui era stata chiamata da Dio sin dal primo suo ingresso nel monastero di Agnetenberg. Durante tutto cotesto lungo intervallo di venti anni, niuno le aveva mai dimandato conto di quel suo misterioso operare; niuno erasi nemmeno prestato a udirne parlare da lei, talmentechè ora soltanto, omai vicina al termine della sua vita, potea dar conto e testimonianza delle vie, per le quali era stata da Dio guidata a benefizio della Chiesa. Ora soltanto per la prima volta sollevasi dinanzi al nostro sguardo quel velo, che nascondeva i misteri di un'azione continua, che sebbene compiuta in istato di visione, avea le sue radici, il suo merito, il suo significato, e la sua conseguenza soltanto nella divina virtù della fede. Fintantochè Anna Caterina dovè prepararsi allo stato monastico, e nel modo il più penoso aprirsi la via e l'accesso ad una comunità claustrale, i patimenti espiatorii in pro della vocazione e dei voti monastici avevan costituito la più distinta parte della di lei missione; ma dacchè divenne ella medesima una persona claustrale, Iddio estese la di lei operosità sopra la intera Chiesa ed in pro degli attuali bisogni e necessità della medesima. Non poteasi rappresentare in più perfetta e sorprendente maniera cotesta sì vasta missione, che con quelle parole: « Il mio divino Sposo mi ha trasportata nella magion delle nozze.

Giacchè tale è ap punto la relazione della Chiesa, siccome sposa di Gesù Cristo, col suo Sposo e supremo Signore; relazione che le viene rappresentata da un dominio di smisurata grandezza e rieco di correlazioni le più meravigliosamente molteplici, onde essa in quel dominio signoreggiando e rappresentando la sposa, coll'opera ed il merito dei suoi patimenti compensi e soddisfaccia a tutto ciò che i differenti stati ed ordini di persone hanno di debito dinanzi allo Sposo celeste. Cotesto Sposo poi festeggia le sue nozze, cioè il suo indissolubile vincolo colla Chiesa, siccome un fatto che continuamente si rinnova; e onde presentarla pura ed immacolata in tutti i di lei membri a Dio Padre, versa e dirige nel di lei grembo incessantemente i torrenti della sua grazia. Di ogni dono per altro devesi render conto, e solo pochi di coloro che ricevono, potrebbero sopportare con vantaggio un conto simile, ove lo Sposo della Chiesa non preparasse in tutti i tempi certi suoi buoni operai che raccolgono con cura ciò che gli altri disperdono, che fanno l'usura e guadagnano con quei talenti che altri mal cauti sotterrano, che pagano accuratamente ciò di che altri si indebitano. Ancor priachè nella pienezza dei tempi fosse comparso nella carne, onde compire nel suo sangue le nozze novelle, Egli avea col mistero dell'immacolata Concezione preparato Maria siccome tipo eternamente scevro di macchie ed imagine della Chiesa, ed aveva in lei infuso tal pienezza di grazie, che le di lei suppliche ferventi ebbero forza d'accelerare la sua venuta in terra, che la di lei purezza e fedeltà lo trattennero, Lui santissimo, in mezzo agli uomini che non lo ricevevano, e che gli resiste vano e lo perseguitavano fino a morte. E Maria si f? quella che sin dal primo momento in cui Egli, siccome buon pastore, cominciò a raccorre insieme il suo gregge, prese a sè come in cura speciale i più bisognosi, e ebbe che fare coi più poveri e più abbandonati, per guadagnarli alla salute; che rimase e persistette fedele, e divenne la forza ed il conforto degli altri tutti, allorchè Pietro rinnegò il suo Signore, e l'inferno sembrava sul punto di trionfare. Per ciò appunto, anche dopo l'ascensione del di lei divin Figlio, rimase ancora tanti anni qui in terra, finchè col di lei appoggio e sotto il di lei patrocinio la Chiesa divenisse assai forte per suggellare col sangue dei martiri il trionfo della Croce. E finchè giunga il tempo della seconda venuta del suo divin Figlio sulla terra, essa non lascia mai in alcun tempo mancare la Chiesa di membri tali, che camminando sulle orme da lei lasciate, divengano fonti di benedizione per l'intera comunione dei fedeli. È adunque cotesta Madre di misericordia colei che, secondo le condizioni ed i bisogni della Sposa, indica e commette agli individui all'uopo eletti e destinati, quelle missioni che debbono compirsi nel corso dell'anno ecclesiastico; ed è così che anche Anna Caterina col principiare di ogni anno riceveva nella così detta Magion delle nozze il còmpito a lei destinato nelle opere di patimenti in pro della Chiesa. Tutto ciò a cui dovea prestarsi le veniva sin nella minima circostanza anteriormente designato e mostrato; niuna cosa dovea restare incompleta; per niuna opera dovea oltrepassarsi lo spazio del tempo a quella accuratamente prescritto e misurato; nè la scelta, nè la durata dipendevano per nulla dalla propria elezione. Cotest'ordine fermamente prescritto e stabilito era già in vigore in tutta la distribuzione ed in tutte le località della Magion delle nozze; Magione che non aveva già soltanto un senso tipico ed allegorico, ma che aveva pure uno storico significato.

Cotesta Magione era difatto la casa di Iesse situata presso Betlemme; quindi la casa nativa di Davidde in cui egli, diretto da celeste guida, venne preparato alla sua vita profetica; e da cui anche lo Sposo divino era provenuto secondo la sua santissima Umanità; era la regia casa della stirpe della Immacolata Vergine e Madre della Chiesa, e ad un tempo la casa avita del santo Giuseppe; e quindi non eravene in terra altra più adatta a che Anna Caterina costá dentro vedesse per immagini lo stato della Chiesa nella sua epoca, e ricevesse missioni e compiti in prodi lei, precisamente come gli antichi e santi abitatori di quella Magione avevano ivi scorto in visione la futura Redenzione, la remota sua storia, ed ivi avevano ricevuto da Dio le loro diverse missioni onde accelerarne e addurne l'avvenimento.

Cotesta casa colle sue molteplici località e camere, il suo esteso contorno di giardini, campi e pascoli, costituiva in generale il quadro simbolico di una economia spirituale, ovvero della economia e del reggimento della Chiesa; e quindi poteva così, nel continuo cambiamento dello stato delle tanto diverse sue parti, nella varietà delle persone che vi appartenevano ed ivi governavano, ovvero nel sopraggiungere di estranei che intrusi vi penetravano disturbando e distruggendo, presentare agli occhi della Veggente un quadro corrispondente nel modo il più perfetto allo stato reale delle cose e circostanze ecclesiastiche di quel suo tempo, sia in generale, sia nei diversi paesi e nelle varie diocesi, in certi stati, ordini e persone, e principalmente in tutti quei casi ecclesiastici che da Dio venivano sottoposti alla sfera della di lei azione espiatrice. Tutto ciò che per tardanza, noncuranza, debolezza e tradimento di alcuni membri veniva arrecato di danno alla Chiesa, al di lei governo, ai di lei dritti e possessi, alla purità della fede, della disciplina e morale cristiana; tutto ciò che da intrusi malamente insinuantisi, cioè da falsa scienza, da perversi lumi, da miscredente educazione, da lasciva compiacenza cogli errori del tempo e colle massime e i disegni delle potestà secolari e cose simili, veniva danneggiato o minacciato di distruzione nell'ordine di Dio stabilito su questa terra, venivale mostrato entro le località di quella Magione con quadri meravigliosamente semplici e profondi; ed ivi era quotidianamente dal di lei angelo trasportata onde aver cognizione di ciò che dovesse colla propria opera fare in pro della Sposa, cioè della Chiesa, allontanando pericoli, aiutando, avvisando, risanando ed espiando. Nel più remoto circondario della Magion delle nozze e della regione dei suoi possessi, vedevansi qua e là da ogni lato infruttuosi terreni, luoghi incolti e deserti, campi mal guardati e mal disposti, ?ui quali sorgevano le case di assemblea dei separati dalla Chiesa; ovvero scorgevansi edifizi di riunione che avevano forme e mostra vansi in situazione tale, da corrispondere fedelmente alle positive e reali circostanze delle congreghe separate e scismatiche e delle sètte. Anche sopra di queste estendevasi la sfera d'azione dell'ancella fedele dello Sposo celeste, il quale riconduceva col di lei mezzo al suo vero gregge quelle anime, che udivano bensì la sua chiamata, ma che senza aiuto straordinario non avrebbero potuto seguirla.

2. Prima che noi consideriamo nelle singole sue parti cotesto molteplice e svariato modo di azione, è pure necessario di rendere chiara alla nostra intelligenza l'intima sua natura e significazione. È stato già anticipatamente osservato che tutto ciò che Anna Caterina pativa o faceva nello stato di visione e nelle forme e quadri corrispondenti a cotesto stato, era del pari un operare effettivo, essenziale, meritorio, e accompagnato da reali conseguenze, come tutto ciò che ella compiva nell'ordine abituale e nelle condizioni delle opere meritorie comuni a tutti gli altri uomini. Rimane per altro da porre in chiaro ed in evidenza la interna concatenazione, ossia la unica comune radice di queste due maniere di vivere e di agire, in apparenza tanto distanti l'una dall'altra. Ciò per altro può riuscire soltanto possibile coll'occuparci ed esaminare più da vicino il di lei dono di visione. Le sue proprie partecipazioni possono a ciò fornirci una chiave tanto migliore, in quantochè sono assai numerose ed estese da poterle esaminare ed apprezzare tanto a seconda delle manifestazioni ed esperienze di altre anime ugualmente elette ed arricchite di grazie, quanto a seconda delle sentenze dei santi Dottori e delle massime fondamentali dei procedimenti ecclesiastici usuali nel giudizio di simili fenomeni. Secondo la di lei affermazione, aveva Anna Caterina ricevuto il lume della visione nel Battesimo, siccome un dono dello Spirito Santo, ed era stata preparata e disposta da Dio nel corpo e nell'anima, e ciò sin dal grembo materno, all'uso di quel dono, ossia all'agire nella visione. Essa chiamò una volta cotesta preparazione « un mistero di natura difficilmente comprensibile per l'uomo caduto; mistero coll'opera del quale vengono indotti in intima incomprensibile relazione gli uni cogli altri, tutti coloro che conservano inalterata la purità del corpo e dell'anima. »

In cotesta perfetta inalterabilità, ossia nella conservazione non mai turbata dello splendore della grazia battesimale e dei di lei effetti, essa scorgeva la prima e principale condizione a ricevere il lume di profezia, e la liberazione e lo sviluppo che ne derivano, di una dote o proprietà dello spirito, vincolata ed oppressa nell'uomo sin dal momento del primo peccato; cioè la capacità di venire, senza disturbo e sospensione delle naturali relazioni fra il corpo e l'anima, in contatto e commercio col mondo puramente spirituale posto al disopra dei sensi; ed in un certo qual modo di venire elevata alla potenza di conoscere ed operare degli spiriti incorporei cioè degli angeli. Ogni creatura umana possiede bensì per natura la capacità di ricevere dagli angeli impressioni, rappresentanze, immagini, e di venire da loro commossa ( 1) e illuminata, ma non può per altro da per sè sola oltrepassare i limiti della corporeità, limiti che la separano dalle regioni poste al disopra dei sensi.

(1 ). Secundum quod intellectus humanus ex illuminatione intellectuum separatorum, utpote inferior, natus est instrui et ad alia cognoscenda elevari; et haec prophetia modo praedicto potest dici naturalis. ( S. Thomas, in quaest. disp. qu. xII De Veritate cap. 1 ).

Iddio soltanto può, mediante l'infusione di una luce ben più alta di quella che all'umano spirito perviene per natura, rimuovere dai suoi eletti cotesti limiti senza disturbo dell'ordine da lui stesso prefisso ed esistente fra l'anima ed il corpo, siccome parti essenziali dell'umana natura; ma il dono di cotesto lume ha luogo ben di rado, giacchè pochissimi soltanto corrispondono alle severe esigenze che Iddio inesorabilmente pretende dagli uomini, come condizione necessaria al ricevimento della sua luce di profezia.

E qui sia innanzi a tutto notato che secondo l'insegnamento dei grandi teologi, e secondo le massime fondamentali e l'intero modo di vedere che serve di base alla pratica ecclesiastica esposta da Papa Benedetto XIV, non esiste sorta alcuna di visione naturale. Anzi il Pontefice Benedetto non esige nemmeno alcuna disposizione naturale come presupposto necessario o preliminare di una transitoria infusione del lume di profezia (1).

(1 ) Egli si attiene rigorosamente alla dottrina di san Tommaso: S. Thomas docet, quod, sicuti prophetia est ex inspiratione divina, et Deus, qui est causa universalis in agendo, nou praexigit materiam, nec aliquam materiae dispositionem, sed potest simul et materiam, et dispositionem, et formam inducere, ita potest simul animam creare et in ipsa creatione disponere ad prophetiam, et dare ei gratiam prophetandi. ( De Serv. Dei Beat. 1. III, c. 14).

Non esiste quindi assolutamente alcuna specie di così detta chiaroveggenza, che nasca dallo sviluppo di una disposizione naturale; giacchè ogni manifezione di cotesto genere senza alcuna eccezione, ovvero è soltanto la conseguenza di disturbi morbosi, come nel sonnambulismo animale, e quindi cosa in sè stessa altamente imperfetta, anzi anormale; ovvero non è altro che l'esaltazione del senso interno artificialmente prodotta per mezzo di influsso magnetico, quindi un artificiale aumento delle percezioni e comprensioni sensuali, ottenuto a costo ed a danno delle più alte forze dell'anima; ovvero finalmente è chiaroveggenza diabolica, in cui va necessariamente ed inevitabilmente a cadere ogni chiaroveggenza magnetica, giacchè quel periglio cui in modo sì colpevole si espone, e quella degradazione cui l'anima umana vien data in preda dall'azione magnetica, non può avere altra conseguenza. Il solo abbandono della verità, cioè l'abbandono delle dottrine intorno all'anima umana a noi trasmesse dai grandi dottori e finora dalla Chiesa riconosciute e praticate nei suoi processi di canonizzazione; questo solo abbandono, diciamo, poteva indurre nell'erronea e pericolosa ipotesi di una chiaroveggenza naturale, e da poco sicuri e meno credibili fatti dedurre false teorie.

3. Poichè noi prima di tutto prendiamo a considerare la disposizione preparatoria all' agire in visione in Anna Caterina, vogliamo qui riferire la testimonianza di santa Ildegarda, la più grande maestra in questa materia; giacchè la perfetta concordanza che scorgesi nelle più importanti e decisive diramazioni della spirituale direzione di coteste due anime elette, ci servirà a procacciarci sempre maggiore sicurezza. Allorchè Ildegarda dovette imprendere a scrivere le sue visioni secondo il comando di Dio, udissi dire nel suo interno queste parole (1):

«Io, luce vivente che rischiara ogni oscurità, io ti ho secondo la mia volontà chiamata, e secondo il mio piacere eletta a cose mirabili; e ciò in ben più alto grado che molti degli antichi tempi, che per mezzo mio e per opera mia hanno veduto in visione misteri; ma ti ho curvata sin nella polvere, affinchè tu non potessi innalzare il tuo spirito nell'orgoglio. Ed anche il mondo non deve in te trovar gioia nè godimento, nè tu devi impacciarti delle cose sue; e perciò ho tenuto da te lontana la cieca temerità; ti ho riempito di timore e sopraccaricata di travagli. Tu porti nel midollo e nelle vene della tua carne dolore. L'anima tua e i tuoi sensi sono costretti in vincoli, e devi sopportare tante pene corporee, che niuna falsa sicurezza può in te annidarsi, ma piuttosto sei costretta a sentirti in tutte le tue cure debitrice e colpevole. Ho circondato il tuo cuore con una siepe a difenderlo da ogni traviamento, onde il tuo spirito non s'innalzi in orgoglio ed in vanagloria, ma piuttosto provi in tutto più tema e maggior pena, che gioia e venerazione. Scrivi adunque ciò che tu vedi ed intendi, tu o creatura, giacchè non già nell'irrequietezza della illusione, ma bensì nella purezza della semplicità tu ricevi ciò che è destinato a manifestare le cose nascoste. »

(1 ) Scivias, 1. 1, Praefatio, Edit. Migne.

Anche l'abate Teodorico di lei contemporaneo e biografo così ne fa testimonianza (1): « Sin dalla primissima età era la di lei purezza talmente perfetta, che essa sembrava non aver parte alcuna alla natura della carne. Dopodichè col mezzo dei voti monastici e della consecrazione del santo velo si fu maritata con Cristo, ella progredì di virtù in virtù. Nel di lei petto ardeva sì benevola carità che niuno mai dal suo larghissimo amplesso escludeva. La muraglia dell'umiltà sua difendeva la torre della sua verginità; e quindi astinenza nel cibo e nella bevanda, e povere vestimenta... Come la fornace prova le opere del vasaio, e la forza si rafferma e si conserva nella debolezza, così a lei non mancarono mai sin dalla prima infanzia frequenti, anzi incessanti dolori, talmentechè di rado potea camminare; e come il di lei corpo sembrava costantemente vicino alla sua dissoluzione, così la di lei vita offrì il quadro e l'immagine di una morte preziosa. Per altro, quanto più in lei sperdevansi e s'indebolivano le forze dell'esterna natura umana, tanto più fioriva e prosperava la interna per lo spirito di scienza e di fortezza, e mentre consumavasi il corpo, ardeva in meraviglioso grado la potente fiamma del di lei spirito. »

La stessa Ildegarda dichiara esser divina disposizione che senza continui e straordinari patimenti non possa riceversi il lume di profezia (2):

« L'anima per natura tende prepotentemente verso la vita eterna, ma il corpo invece abbraccia la vita transitoria, e quindi ambidue non sono dell'istesso sentimento; giacchè, quantunque essi insieme del pari formino l'uomo, pure sono distinti e separati in due. Quindi avviene che Iddio visita con frequenti pene e dolori il corpo di quella ? creatura umana, nella quale versa il suo spirito col mezzo della luce di profezia e di sapienza o col dono dei miracoli; e ciò fa affinchè il santo spirito possa in quella creatura abitare.

(1) Vitae S. Hild. 1. 1, c. 1, n. 2, 3.
(2) Loc. cit. 1. n, c. 3, n. 31. Schmöger - Vila Vol. II.

Ove la carne non sia vincolata dai patimenti, tosto essa prende parte ai mondani costumi, come avvenne in Sansone ed in Salomone, i quali inclinati ai diletti della carne, trascurarono i sospiri dello spirito; giacchè la profezia, la sapienza, e il dono dei miracoli dilettano sino alla gioia. Io amai le povere creature, e chiamai a me di preferenza coloro che crocifiggono la loro carne nello spirito; non mi lasciai mai andare in braccio alla quiete, ma son piuttosto tormentata ed oppressa da innumerevoli pene, e lo sarò finchè Iddio lascierà sopra di me piovere la rugiada della grazia. Il mio corpo è così impastato di dolori e di patimenti, appunto come la terra argillosa quando vien bagnata s'impasta coll'acqua. »

E poi: « Non già da per me stessa parlo io le seguenti parole, ma è bensì la vera sapienza quella che parla per bocca mia, giacchè essa mi dice: comprendi, o creatura, le mie parole e ridille, non già come se da te venissero, ma come provenienti da me; e da me istruita pronunzia da te stessa quanto segue: -Nella mia prima formazione, allorchè Iddio (1) mi risvegliò nel seno materno col soffio della vita, egli impresse nell'anima mia questa potenza di visione. Sin dal mio nascere fui dai genitori offerta al Signore. Nell'anno terzo del viver mio mi feci accorta di cotesta luce in me esistente, dimodochè l'anima mia ne fu presa da tremito; ma non poteva nella mia tenera età raccontare le visioni. Nel mio ottavo anno fui offerta a Dio nella vita spirituale, e vidi sino al quindicesimo molti misteri, dei quali alcuni raccontai con semplicità, talmentechè coloro che mi udivano si meravigliavano del come e donde ciò provenisse.

(1 ) Anche nella sua incomparabilmente bella e profonda lettera al Capitolo di Magonza dichiara così: Nella luce di visione che da Dio creatore fu versata nell'anima mia prima ancora che io nascessi, sono costretta a scrivervi. ›

In quell'epoca doveva meravigliarmi di me medesima, giacchè mentre internamente mi trovava coll'anima in istato di visione, pure ad un tempo poteva ricevere impressioni dall'esterno senso della vista; e siccome non aveva inteso mai dire cosa simile di altri individui, cesì incominciai a tacere e non parlare delle mie visioni, per quanto meglio io poteva. In forza del mio continuo stato d'infermità che ho dovuto sopportare dal seno materno sinora, e pel quale il mio corpo ne vien consumato le mie forze spariscono, non potei imparare a conoscere cose esterne in gran numero. Ogni qual volta io veniva compenetrata affatto dal lume di visione, diceva molte cose che per gli ascoltanti riuscivano appieno estrance; ma quando s'indeboliva e quietavasi la prepotente forza di visione (nel qual caso ho piuttosto il modo di essere di una bambina di quello che sarebbe proprio della mia età matura) mi sentiva molto vergognosa e molto piangeva, ed avrei il più spesso volentieri taciuto, seppure osato l'avessi. A causa poi della grande timidezza ch'io provava dinanzi agli uomini, non osava raccontare ad alcuno il come io vedessi (1).
 
 (1) Acta S. Hild. ed. Migne, p. 13-14.
 
 4. Come queste parole si adattino anche all'intera vita corporea di Anna Caterina, non vi ha certo d'uopo di farlo osservare, dopo ciò che finora abbiamo di lei conosciuto e narrato. Il di lei corpo divenne sin dalla nascita un vaso di dolori; ed anch'essa ebbe, al pari di Ildegarda, dal suo Sposo celeste la spiegazione ammonitoria del perchè soffrisse. Il tuo corpo (aveva egli detto) è vincolato ed oppresso dal dolore e dall'infermità siccome da un peso, affinchè l'anima tua possa appunto perciò attivamente operare. Un sano deve con sè portare il suo corpo siccome una pesante soma.

E allorchè in occasione dell'esame inquisitorio ecclesiastico, il Vicario Generale manifestò la sua maraviglia del come ella non si fosse accorta di aver ricevuta una ferita sul petto, rispose semplicemente:
« Provai bensì un certo ardore sul mio petto, ma non vi guardai per vedere che fosse. Perciò osare io son troppo timida. Sin da bambina son troppo timida per guardarmi; non ho mai guardato il mio corpo; mai ho al mio corpo pensato, e nulla ne ho mai saputo. » E sì, in verità, Anna Caterina non avea sin dai primi anni della sua vita mai pensato al suo corpo, se non che per rifiutargli ogni piace volezza, caricarlo incessantemente di patimenti e dolori di estranei che invocava sulle proprie spalle, anzi per abbreviargli e restringergli anche i necessarii bisogni del sonno e del nutrimento. È invero difficile il rappresentarsi la grandezza di tante mortificazioni che imponevasi ed esercitava una debole e tenera bambina ! Non già un vecchio poco bisognoso di nutrimento e di sonno nella tranquilla contemplazione di una cella claustrale, o nella solitudine del deserto; ma una bambina che quando praticava simili opere dovea nasconderle a quanti la circondavano, o almeno imprenderle in guisa che non ne venisse osservato il minimo segno; una bambina cui mancava ogni simbolo esteriore ed ogni modello di simil genere; una bambina piena di vivace e focoso spirito; e che, appena fu in grado di muoversi e di agire, venne per quanto dura il giorno, impiegata in opere rozze e faticose ! Oh qual fortezza deve il Santo Spirito aver infusa in quel cuore per renderlo capace a compire opere che siamo abituati soltanto ad ammirare nei penitenti del deserto ! Siamo accostumati e di buon grado ci rappresentiamo i santi ad una distanza non approssimabile; li consideriamo come se avessero sempre camminato nelle nuvole, e non già in mezzo alla fragilità, alla debolezza, ed a tutte le pene e bisogni di questa valle di guai; ci creiamo soltanto un quadro della santità ormai compiuta e perfetta, e non pensiamo con quale ineffabile stento abbia dovuto combattersi per guadagnare ogni grado; e come cotesti valorosi lottatori rivestissero una natura pari alla nostra, e soltanto col combattere valorosamente all'alta meta sien pervenuti. Quindi è che tutti cotesti eroici esercizii riuscirono per Anna Caterina altrettanto gravosi quanto forse lo riuscirono alla beata Chiara Gambacorta da Pisa (1362-1419), la quale confessò che mentre era bambina le era riuscito sì grave il digiunare, che una volta urtò a bella posta collo stomaco contro l'angolo di uno sgabello, col solo scopo di calmare col dolore da quell'urto nascente l'irrequietezza della fame; ed anche con grave stento e fatica riusciva a Chiara l'astenersi dal godimento dei frutti che amava al pari di tutti i fanciulli dell'età sua. E che mai deve aver costato ad Anna Caterina l'impedire ed il chiudere al suo corpo, così per tempo, tutte quelle vie naturali per cui dovevano giungergli tutte le soddisfazioni necessarie al suo ben'essere e sviluppo, mentre cotesto suo corpo volea radicarsi e svilupparsi colla tenacità ostinata di una pianta, che vuole sospingere e dilatare le sue radici in quel suolo, che dall'ordine di natura gli è destinato a vivere e vegetare ! Ciò nondimeno ella persistette ed alla fine riuscì a dominare talmente la natura del corpo suo, che le pene della penitenza e dell'astinenza le si convertirono quasi in nutrimento, e lo stesso dono della inviolabile purità le divenne merito personale. Per mezzo del dolore e dei patimenti la squisita finezza e spiritualità di cotesto suo corpo aumentarono talmente, che esso potè attingere dalla piena vitalità dell'anima non solo la forza di esistere, ma anche l'attitudine a divenire strumento di tutto il di lei operare in visione.

5. Non si può mai bastantemente insistere ed attenersi alla verità, che nelle regioni poste al disopra dei sensi, regioni che vengono dischiuse ed illuminate dalla luce della visione; non è l'anima sola che agisce, come se fosse effettivamente fuori del corpo ovvero senza di lui, ma che piuttosto anche qui si mantiene senza alcuna alterazione quella disposizione da Dio fissata, per cui l'organizzamento corporale deve servire di strumento all'attività dello spirito. Cotesta verità è una esigenza della fede, secondo la quale l'uomo può agire meritoriamente, per espiazione e per sostituzione, soltanto per quel tempo che egli è viatore, cioè a dire che agisce col corpo e nel corpo. Ciò apparisce luminosamente ed in modo speciale dai fatti che vengono riportati dai biografi della beata Liduina ( 1).

(1) Acta SS. die 14 aprilis, Vita prior c. 5, Vita posterior c. 3.

« Quando Liduina (così racconta un testimone oculare) ritornò dalla visita dei luoghi santi, come il Getsemani ed il Monte Calvario, le di lei labbra eran coperte di vescichette, le braccia e le gambe di lacerazioni, le ginocchia di punture, e sul di lei corpo non apparivano soltanto le offese cagionate dagli spinai e dai roveti, ma trovavansi pure i frantumi delle acute punte delle spine. Essa venne una volta avvertita dall'angelo suo custode del perchè portasse in coteste spine le visibili tangibili prove del suo viaggio, e ciò era affinchè non credesse essere stata ai Luoghi santi soltanto in sogno o colla immaginazione, ma bensì veracemente e ritenendo tutta la potenza di ricevere corporee impressioni. Allorchè una volta dovè percorrere in visione strade per le quali, a causa della molta lubricità, appena poteasi camminare, cadde sul suolo slogandosi la destra gamba; e dopo la visione rientrata nei suoi sensi, si ritrovò un occhio gonfio e ricoperto da una lividura azzurrigna: ed il dolore nella coscia visibilmente slogata e negli altri membri durò con grave intensità per molti giorni. Negli altri suoi lontani viaggi talora trovavasi lesa nelle mani, talora ferita nei piedi; ed il meraviglioso soave olezzo che da lei scaturiva, manifestava chiaramente dove l'angelo suo l'avesse guidata. Così adunque avvenne per disposizione divina, che la di lei anima, la quale penetrando oltrepassava il corpo, non solo concedeva al medesimo, nella pienezza dei suoi doni spirituali, i resti delle consolazioni e conforti da lei provati, ma che poteva inoltre concedergli di prender parte ai patimenti dei suoi viaggi siccome a strumento a lei proprio, o a somiero a lei addetto. Giacchè l'anima di questa santa vergine combattè nel di lei corpo, ed il di lei corpo del pari combattè d'accordo coll'anima sino all'ultima lotta mortale; ambedue gareggiavano nell'agone; si animavano l'un l'altro come compagni di un'istessa tenda. Non è quindi meraviglia che insieme intraprendessero i loro viaggi, che uniti godessero delle consolazioni, si rallegrassero uel Signore, e che insieme gustassero i preludii della futura grandezza, le primizie dello spirito, e partecipassero alle delizie della tavola dei figli di Dio in quella rugiada che cade dal cielo, essi che congiuntamente camminavano nel pellegrinaggio della vita terrena.

« In tutti cotesti viaggi l'angelo suo era il di lei compagno, e con esso conversava come l'amico coll'amico. Ei le appariva sempre in sì alto splendore, che talvolta sorpassava la luce di mille soli. Sulla di lui fronte folgorava il segno della croce, onde la vergine non venisse ingannata dal maligno nemico, che sì volentieri tenta rivestire le forme di un angelo di luce. Nei primi tempi, sul principio del rapimento in estasi, suoleva provare nel petto una tale oppressione, che ne riusciva incapace a respirare e credevasi dover morire; ma più tardi, quando si fu abituata a quei ratti, non provò più simili impressioni. Quando adunque veniva rapita in spirito, il di lei corpo rimanevasi come morto ed inanimato nel luogo ove giaceva, in modo tale che non avrebbe sentito alcun contatto. Dapprima veniva dall'angelo trasportata nella chiesa di Schiedam dinanzi all'altare della Madre di Dio, e di là, dopo corta orazione, incominciava il lontano viaggio. Ma pure quella vergine che per la debolezza del corpo suo non poteva andare nè lasciare il letto, ottenne però bene spesso ed in molte guise la certezza di essere stata rapita non soltanto in spirito, ma anche corporalmente. Così narrò che alcune volte per la prepotenza del ratto spirituale, sentissi trasportare tal quale giacevasi in letto e col corpo e colletto medesimo, sino al soffitto della sua stanza. Ed a causa delle innumerevoli lesioni corporee che seco riportava da quei viaggi, suoleva dire, secondo le parole dell'angelo suo, che credeva essere stata rapita anche corporalmente. Come poi ciò succedesse, lo sa soltanto quell'angelo che faceva testimonianza ciò succederle anche corporalmente, e che dava in prova di quel ratto corporeo le visibili lesioni dei membri di quella vergine. »

In ciò per altro non deve punto intendersi che si trattasse della intera stoffa e materia del corpo, e come se quella vergine fosse stata rapita precisamente così come viveva ed era incorporata; l'angelo voleva dire soltanto che l'anima nella di lei uscita, o come si esprimeva santa Ildegarda, nel suo dilatarsi negli spazi più lontani a guisa dei raggi della luce, non abbandonava nè proscioglievasi dal contatto del corpo, e quindi non rimaneva sciolta dall'unione con quel sottilissimo fluido, il così chiamato spirito vitale, che appartiene bensì al corpo, ma tanto si avvicina alla spirituale natura, sino a divenire il primo e più distinto strumento alla di lei vitale attività. Anzi, quanto più sottile e spiritualizzato è divenuto l'intero organismo corporeo di una creatura eletta, per mezzo di ogni specie di mortificazioni, tanto più penetranti, eterei, ardenti come il fuoco, e quindi più consimili alla natura dell'anima, di vengono anche quegli spiriti vitali; in modo tale che le anime rapite in attiva visione quasi come fuori del corpo o prive di quello, acquistano la possibilità senza effettiva separazione dal corpo e senza rilassamento propriamente detto del vincolo che necessariamente a quello le rilega, e quindi in modo corporeo, di oltrepassare e procedere in relazioni e circostanze poste al disopra dei sensi; e non trattenute dai limiti dello spazio, nè dalla densità del mondo corporeo e materiale, di agire per altro nel corpo e col corpo, vale a dire, compire opere per mezzo dei sensi, e per mezzo dei sensi ricevere impressioni. I sensi interni così altamente spiritualizzati non oppongono più resistenza alcuna alla tanto cresciuta forza dell'anima, ma piuttosto la seguono laddove il di lei spiro li guida, in modo tale che l'individuo intero in corpo ed in anima diviene attivo in visione, ed opera soffrendo e ricevendo impressioni, anche quando gli esterni strumenti dei sensi rimangono chiusi ed inattivi, ed il più denso peso del corpo non può più seguire la luminosa dilatazione dell'ardente natura dell'anima in sì remote lontananze. È rovesciar veramente le relazioni naturali fra il corpo e l'anima, il credere che l'anima potrebbe, senza il mezzo dei sensi, ricevere impressioni da oggetti o circostanze corporee; e per di più, impressioni di tale potenza che queste dovessero prima ricercare e trovare la strada per uscire da lei e penetrare sino al corpo onde produrre in esso una nuova impressione !

6. Se noi ora ci rivolgiamo a considerare la prepara zione spirituale e soprannaturale al ricevimento del lume di profezia, riscontriamo che essa consisteva nell'infusione per mezzo della grazia santificante della virtù della Fede divina, dalla quale Anna Caterina fu resa capace a ricevere ed a far uso di cotesto lume. Per altro cotesta Fede infusa non era già una semplice condizione ma ben piuttosto la propria cagione e lo scopo, pel quale ella era stata investita da Dio del dono di visione. Il lume della fede è per gli uomini il primo e più necessario dono di Dio per salvarsi; e quindi tutti gli altri doni straordinari della grazia si coordinano rapporto alla fede, siccome l'inferiore al più alto, siscome il mezzo allo scopo, quando anche talora gli effetti esterni di alcuni di cotesti doni vogliano comparirci più straordinarii e meravigliosi di quel che nol sieno in apparenza gli invisibili, ma pure incomparabilmente più alti effetti del lume della fede. La fede, e non già la visione, è il principio e la radice della giustificazione. Senza fede niuno può approssimarsi a Dio e piacergli; giacchè per mezzo della fede Cristo abita nei cuori, e la fede, non già la visione, abbraccia e possiede tutti quei beni della salvezza che da lui ci è venuta ed in lui possediamo. Quindi è che anche S. Paolo nell'Epistola agli Ebrei chiama la fede la sostanza, cioè il possesso effettivo ed essenziale delle cose da sperarsi, e la prova dei beni invisibili. Quand'anche nell'infuso lume della fede divina noi non ottenessimo niuna visione chiara e distinta in  ogni sua parte dei misteri e dei fatti della nostra salute, pur nondimeno l'azione di cotesto lume è sì grande, che esclude ogni errore ed ogni dubbio, e rende il credente capace di prendere possesso di tutto l'immensurabile contenuto delle rivelazioni promesse di Dio a noi annunziate dalla Chiesa infallibile. Il credente è, come tale, in effettivo possesso di tutti i beni della salute eterna per quanto molteplici e meravigliosi essi siano, ma restano però a causa della natural debolezza dell'umana comprensione, nascosti all'occhio e velati, siccome resta velata nel germe la natura e la disposizione dell'albero futuro. Quindi se egli deve pervenire ad una chiara comprensione e visione di tutte le parti del suo smisurato tesoro, per così apprendere ad onorarle ed ammirarle tutte per quanto lo merita l'infinito valore delle medesime, egli a ciò abbi sogna di una luce che innalzi la sua potenza spirituale al disopra dei limiti naturali (1 ), onde possa col mezzo di cotesta luce penetrare nelle cose nascoste, e col suo sguardo raggiungere tutto ciò che come storia rimane in un remoto passato, o che, come promessa, giace in seno del futuro. Cotesta luce viene da Dio accordata colla mediazione del santo Angelo custode, il quale, col mezzo della sua direzione e del mai interrotto suo aiuto, sorregge la debolezza dello spirito umano, e lo rende capace di sopportare la penetrante chiarezza di quella luce e gli effetti suoi (2).

(1) Cum prophetia pertineat ad cognitionem, quae supra natura lem rationem existit, consequens est, ut ad prophetiam requiratur quoddam lumen intellectuale excedens lumen naturale rationis. S. Thomas, 2, 2; qu. 171, a. 2.

(2) Ipsum propheticum lumen, quo mens prophetae illustratur a Deo originaliter procedit; sed tam ad ejus congruam susceptionem mens humana angelico lumine confortatur, et quodammodo prae paratur. Cum enim lumen divinum sit simplicissimum et universalissimum in virtute, non est proportionatum ad hoc, quod ab anima humana in statu viae percipiatur, nisi quodammodo contrahatur et specificetur per conjunctionem ad lumen angelicum, quod est magis contractum et humanae menti magis proportionatum. S. Thomas, quaest. 12, De Veritate, art. 8.

L'angelo ha officio di mitigare lo splendore di quella luce e di abituare l'anima all'uso suo, giacchè senza cotesto aiuto e direzione si troverebbe come smarrita, nè saprebbe dirigere i suoi passi in quelle regioni infinitamente vaste e meravigliose, che le vengono dischiuse nella visione. Il primo atto poi dell'angelico ammaestramento consiste nel risvegliare e nell'esercitare l'anima veggente nell'uso delle divine virtù; giacchè quell'anima non ha già ricevuto la luce per sua propria fruizione, ma piuttosto per l'accrescimento e più grande splendore della fede. E quindi anche in Anna Caterina la fede infusa non fu mai una dote e disposizione che stesse soltanto immobile ed in riposo, aspettando il naturale sviluppo dello spirito, ma piuttosto, grazie all'azione dell'angelo, divenne dal momento del battesimo in poi una non interrotta catena di atti di fede e di amore tanto più perfetti, inquantochè quell'anima meravigliosamente dotata non fu mai più distolta da Dio da verun transitorio bene dei sensi. La fede è pure, secondo le parole del dottore Angelico, il primo dono nella vita spirituale, perchè per mezzo della fede soltanto, l'anima vien collegata a Dio come principio e sorgente primaria della sua vita. Ed in vero, come il corpo vive per mezzo dell'anima, così l'anima vive per mezzo di Dio, e la vita all'anima vien data da ciò che la rilega con Dio, cioè dalla fede. Colla mediazione dell'angelo adunque si dischiuse per Anna Caterina il primo lume di profezia nella comprensione dei dodici articoli del Simbolo apostolico che in sè racchiudono i supremi principii di una scienza, il cui intero contenuto è la somma di tutti i misteri e dei fatti dell'ordine della redenzione in Dio nascosti sin dalla eternità; poi, in tempi preordinati, rivelati al mondo come promesse e preparazioni, e finalmente in Gesù Cristo compiuti. La intera storia della salute eterna le veniva rappresentata dinanzi all'anima con tutte le circostanze di tempo, di luogo, di persone agenti, con altrettanta fedeltà e perfezione quanto quella con cui era in realtà avvenuta. Quindi ella diveniva con ciò siccome persona convivente e contemporanea, quantunque anche migliaia di anni la separassero da quegli avvenimenti. Il di lei sguardo però penetrava anche più a fondo di quel che non l'avesse fatto un semplice testimonio oculare, giacchè ella era veggente nella fede, e quindi nella piena intelligenza dell'intero ordine interno e delle scambievoli relazioni, nelle quali gli anteriori ed i posteriori fatti della storia della salute del genere umano stanno fra loro come tipi ed immagini, come promessa e come compimento. E così come ella scorgeva la intima concatenazione di quei fatti e la loro disposizione negli eterni disegni di Dio per l'umana salute, penetrò pure il di lei sguardo anche nelle verità maestre della salute medesima, mentre ad un'tempo scorgeva nei principii l'intero seguito delle conseguenze, e nell'ultimo anello di cotesta catena ne vedeva il principio ed il mezzo. Siccome la luce non veniva mai a mancarle, così ogni esterno eccitamento poteva in lei rinnovare gli effetti derivanti dalla medesima. Allorchè vedeva amministrare un sacramento, tosto le si manifestavano in luminosi effluvii i suoi effetti di grazia, ed anzi, secondo l'affluire o l'allontanarsi di quegli effetti luminosi da colui che riceveva quel sacramento, essa riconosceva le disposizioni dell'animo suo. Se a caso il di lei occhio scontrava la rappresentanza di un santo entro una immagine, ovvero quella di un mistero, o di un sacro avvenimento, o cose simili, tosto le si imprimeva nel senso interno una immagine infinitamente più vera di quella che vedeva dinanzi a sè corporalmente; giacchè quella copia corrispondente all'originale che le si affacciava agli occhi dell'anima, proveniva dalla memoria e dalle ricordanze della fede, precisamente come la vista di un ritratto, di un quadro storico, o di un paesaggio risveglia nella memoria dello spettatore la ben più fedele immagine di una persona, o di un luogo per l'innanzi conosciuto, od anche di un avvenimento che ha visto compirsi in passato. I discorsi spirituali, le letture, la recita del Breviario, il canto dei salmi, e soprattutto ogni sorta di ecclesiastica divozione suolevano con siffatta potenza e vivacità risvegliare nell'animo suo le corrispondenti immagini, che solo a grandissimo stento e fatica poteva sottrarsi al cadere immersa in profonda visione.

7. Del modo poi e del come ella vedesse, tentò Anna Caterina più volte di render conto al Pellegrino; ma non le riusciva possibile il descrivere secondo l'intero suo corso e tutte le sue diverse manifestazioni il procedimento di quella spirituale attività, che si svolgeva sotto l'influsso ed irradiazione di una luce soprannaturale. Quanto il Pellegrino ha potuto raccogliere delle manifestazioni da lei fatte in diverse occasioni, consiste in quanto segue:

« Ho veduto infinite cose che non si possono esprimere affatto con parole. E chi può mai dir colla lingua ciò che vede altrimenti che cogli occhi ?...

« Io non vedo ciò cogli occhi, ma piuttosto mi sembra come lo vedessi col cuore, così qui in mezzo al petto. Ciò mi cagiona anche in questo punto una effusione di sudore. Vedo nello stesso tempo cogli occhi gli oggetti e le persone che mi stanno d'attorno, ma non me ne curo punto; non so nè chi, nè che sieno; anche in questo momento, mentre parlo, sono veggente.....

« Da alcuni giorni in poi mi sto continuamente in mezzo fra una visione sensibile e soprasensibile. Debbo farmi molta violenza, poichè in mezzo al conversare con altri, vedo ad un tempo dinanzi a me tutt'altre cose e tutt'altre immagini, e sento la mia propria parola e quella degli altri come se provenisse rozza e rauca attraverso un vuoto recipiente. Mi sembra inoltre di essere come inebbriata ed al punto di cadere. La mia parola di risposta a coloro che parlano esce tranquilla dalle mie labbra e spesso ben più vivace del solito, senza per altro ch'io mi sappia dopo quel che ho detto prima; e ciò hondimeno parlo ordinatamente e con pieno senso. Ho gran pena a mantenermi in questo doppio stato. Cogli occhi vedo quanto ho d'intorno incerto e velato, siccome vede alcuno che sta per addormentarsi, cui già principia a sorgere un sogno. La seconda facoltà di visione mi vuole con prepotenza rapire ed è molto più luminosa e chiara della naturale, ma non opera già per mezzo degli occhi... »

Dopo che ebbe raccontato una visione, mise da banda il suo lavoro e disse: « Mi sto per l'intero giorno così tra il volar via ed il vedere, in modo tale che continuamente vedo talora il Pellegrino, talora nol vedo. Non sente egli adunque cantare ? Mi sembra come se mi trovassi sopra un bel prato ( 1 ) e come se al disopra di me degli alberi si intrecciassero e formassero arco.

(1) Il prato è l'immagine simbolica di una solennità.

Sento cantare con sì meravigliosa dolcezza come se ciò fosse per opera di soavi voci di bambini. Mi sembra come il prossimo e reale contorno presso di me fosse un sogno; in cotesto contorno tutto apparisce si torbido, impenetrabile e sconnesso che somiglia a un brutto sogno, attraverso il quale io veggo un mondo luminoso, successivamente comprensibile, e sino nella più intima origine e concatenazione di tutte le sue manifestazione intelligibile, nel di cui seno quanto havvi di buono e di santo più profondamente diletta, perchè si riconosce la sua derivazione da Dio ed il suo ritorno a Dio; mentre invece quanto havvi di cattivo e di empio più profondamente turba, perchè se ne riconosce la strada derivante dal diavolo ed al diavolo riadducente, e diretta contro Iddio e contro la creatura. La vita in cotesto mondo, ove non esiste alcun impedimento, alcun tempo, alcuno spazio, niun corpo, niun segreto, ove tutto parla e tutto risplende, riesce sì perfetta e libera, che la cieca, storpia, balbuziente vita reale ed attuale sembra in confronto un vuoto sogno. Durante coteste veglie veggo sempre risplendere le reliquie che trovansi presso di me, e talvolta veggo siccome squadre di piccole e lontane figure umane starsi nel seno di nuvolette verso di me rivolte e al disopra delle reliquie, ed allorchè mi raccolgo in me stessa quelle immagini si approssimano di bel nuovo a quelle piccole arche ed altri reliquiarii, ove riposano quelle ossa luminose. »

Quando una volta il Pellegrino le porse un piccolo pacchetto, in cui senza alcuna di lei saputa posava avvolta una reliquia, essa lo prese in mano sorridendo e come ad indicare ch'ei non poteva ingannarla, e lo posò sul cuore con queste parole: Ho tosto osservato e sentito ciò che ella mi porgeva. Non posso descrivere cotesta sensazione; non soltando io vedo, ma sento anche una luce somigliante a un fuoco fatuo, talora più pallida; e sembra che questa luce sgorghi dirigendosi verso di me, come una fiamma sgorga e si dirige secondo la corrente dell'aria. Sento per altro esistere anche una concatenazione di cotesto strale di luce con un corpo luminoso, ed il contatto di quel corpo con un luminoso mondo che è nato dalla luce. Chi può ciò esprimere ? Cotesto strale mi rapisce; debbo necessariamente seguirlo col cuore, ed ora sembrami a misura che più addentro penetro e mi abbandono al corrente, come se trasportata da quello strale io penetrassi in quel corpo da cui deriva, e nelle immagini della sua vita, ed in tutte le sue circostanze di lotta, di patimento, o di trionfo. Ed allora passo di visione in visione in cotesta direzione, siccome piace a Dio. Davvero che è meravigliosa e misteriosa la relazione fra il nostro corpo e l'anima nostra. L'anima santifica o profana il corpo, perchè altrimenti niuna espiazione, niuna penitenza potrebbe per mezzo del corpo aver luogo. Siccome i santi viventi agirono coi loro corpi, così anche da quelli separati pure agiscono per loro mezzo sui fedeli credenti; la fede per altro è la condizione necessaria a sentire gli effetti di cotesta santa azione.

Soventi volte in mezzo ai discorsi con altri ed affatto distratta da cose di simil genere, veggo in remota lontananza l'anima di un defunto a me approssimarsi, ed io vengo subitaneamente costretta a pensarvi. Allora divengo silenziosa e seria; ho in questa stessa guisa anche apparizioni di santi......

« Ho avuto una volta una bellissima illustrazione sul che la vista degli occhi non è vera vista, ma che havvi un'altra vista interna. Questa è molto chiara e luminosa; quand'io debbo rimaner priva della Comunione quotidiana, e perciò non posso più pregar con ardore e decado nel raccoglimento della pietà, allora una nuvola spessa si stende sulla mia chiara intima vista. Allora [dimentico cose importanti, e cenni o ammonimenti, e veggo e provo l'oppressione annichilante dell'esterno e falso modo di essere delle cose. Ho una fame del santissimo Sacramento che mi rode e dilania, e spesso, quando guardo verso la chiesa, mi sembra come se il cuore mi volesse partire dal petto e volare al mio Salvatore....

« Quando vidi nascere tanto malumore, perchè, per comando della mia Guida celeste non osai consentire a lasciarmi trasportare in altra abitazione, sclamai a Dio supplicandolo a degnarsi dirigermi. Era nato tanto malumore, e nondimeno io vedeva tanti quadri ed immagini sante, nè poteva d'altronde farvi cosa alcuna. In cotesta orazione mi tranquillai e vidi come un volto che a me si approssimava e penetravami nel petto, come se dentro di me si liquefacesse. E parvemi come se l'anima mia nell'unificarsi con quel volto, in sè stessa si ritraesse e divenisse sempre più piccola, ed il mio corpo mi apparve come un essere grossolano e pesante, grande come una casa. Quel volto (1 ) la cui apparizione in me stessa sembrava triplice, era infinitamente ricco e moltiforme, e nondimeno era sempre unico ed uno. Si dilatava (cioè i suoi raggi, i suoi sguardi si dilatavano) in tutti i cori separati degli angeli e dei santi. Ne ricevei consolazione e gioia e pensai: ecchè potrebbe mai questo provenir dal maligno nemico ? E mentre io ciò pensava, tutte quelle immagini chiare e distinte mi traversavano un'altra volta l'anima, siccome una serie di luminose nuvolette, e sentii che allora si stavano fuori di me, ma al mio lato, in un circolo luminoso. Sentii anche allora di esser di bel nuovo divenuta più grande, e che il mio corpo non mi appariva più sì grossolano e massiccio.

Allora esisteva fuori di me ed intorno a me come un mondo, nel quale io poteva addentro guardare per mezzo di un'apertura luminosa. Ed me a si accostò una vergine che mi spiegò quel mondo di luce e mi disse di guardare talora in un punto, talora in un altro. Essa mi indicò che apparteneva alla vigna di quel santo vescovo, nella quale a quell'epoca io dovea lavorare.

(1 ) Cotesto volto è il dono di visione, il lume di profezia, da Dio derivante, in cui Anna Caterina poteva aver commercio coi Santi e cogli angioli, e ricevere le loro partecipazioni.

« Vidi allora altresì alla mia sinistra un secondo mondo pieno di sconcie e contorte figure, di quadri di perversità, di calunnia, di scherno, e di derisione. Cotesti quadri avanzavansi siccome, uno sciame la di cui punta era verso di me rivolta. Di tutto ciò che da quel circolo verso di me si avanzava non potei cosa alcuna ricevere o riconoscere, giacchè il giusto ed il buono trovavasi in quel puro e luminoso circolo che si librava sulla mia dritta. Fra cotesti due circoli io povera ed abbandonata mi stava sospesa, spenzolando da un braccio siccome fra cielo e terra, e vi stetti a lungo e fra gravi dolori; pur nondimeno non ne divenni impaziente. Alla fin fine, uscendo dal luminoso circolo, si approssimò a me di bel nuovo santa Susanna ( 1) insieme a Liborio, nella cui vigna io doveva lavorare.

(1 ) Anna Caterina ebbe cotesta visione agli 11 di agosto 1821, nel qual giorno corre la ricordanza della santa martire Susanna.

Parve come se mi liberassero, e fui di bel nuovo trasportata nella vigna che si era appieno resa selvaggia e zeppa di superflui e lussuriosi tralci. Dovetti da quelle pergole rimondare i rami selvaggi e troppo lussuriosi in vegetazione, affinchè il sole potesse meglio splendere sulle viti. A gran stento ricomposi e serrai un'apertura nel filare. Gittai le foglie insieme ai grappoli marciti sopra un mucchio; altri ammuffiti dovetti rinettarli con sottil pannolino, e siccome non ne aveva alcuno, così presi il proprio fazzoletto della mia testa. Per tutto ciò divenni talmente stanca, che la mattina mi trovai sul mio letto giacente, piena di doglie, come se fossi stata rotta sopra la ruota; nè più mi sentiva osso sano nel corpo intero. Le braccia mi fanno male anche adesso...

Il modo con cui in visione ricevonsi le partecipazioni degli spiriti beati, è ben difficile ad esprimersi. Tutto quanto vien detto è estremamente breve. Apprendo più in questo caso da una sola parola che comunemente da trenta. Scorgesi l'intendimento di colui che parla, ma non si vede già cogli occhi, e tutto ciò nondimeno è molto più chiaro e distinto di quel che ora diciamo. Ciò ricevesi con un senso di voluttà, qual lo produce nella calda estate un fresco spiro di vento. Non si può interamente esprimere con parole...

Tutto ciò che quella povera anima mi ha detto era pure molto breve, siccome avviene in tutte le partecipazioni di cotesta sorta; pur nondimeno l'intelligenza dei discorsi delle anime del purgatorio riesce di maggior difficoltà; la loro voce ha alcunchè di soffocato e di rauco come se risuonasse passando per un medio disturbante l'armonia dei tuoni, o come allorchè uno parla dal seno di un pozzo o dal fondo di un tino. Del pari il senso delle loro parole è più difficile a comprendersi, ed io debbo porvi un'attenzione ben più precisa, che quando la mia Guida, il Signore, od un santo mi parla; giacchè allora sembra che le parole sgorghino e penetrino nel nostro interno siccome un limpido torrente aereo, e tosto si scorge e si comprende quanto esse dicono. Una sola parola esprime più nell'interno dell'anima nostra di quello che nol faccia un intero comune discorso... »

Discernimento dei pensieri altrui.

Nell'inverno dell'anno 1813 il confessore P. Limberg sopravvenne tardi di sera da Anna Caterina. Avea passato l'intero giorno e con pessimo tempo presso alcuni ammalati, e non aveva per anco recitato il suo uffizio. Si assise nella di lei camera e pensò in sè stesso: « Son cosi stanco e debbo ancora pregare sì a lungo; se potessi convincermi che non vi fosse peccato, lascierei da parte il Breviario. Appena aveva egli, sedendo affatto da lei lontano, così in sè stesso pensato, che ella gli disse: « Ebbene, ma si metta dunque a pregare ! » Ei rispose: « Che intende ella dire? Essa rispose: « Ma intendo la recita del suo Uffizio. - Oh perchè me lo dimanda ella adunque? Ed allora per la prima volta (raccontò il Limberg) mi sentii sorpreso, e provai un non so che di strano trovandomi presso di lei. »

Ai 25 di luglio 1821 Anna Caterina disse al Pellegrino: Il Pellegrino non procede con solennità e gravità, e recita le sue preci con ansietà l'una dopo l'altra e per le corte. Spesso veggo ogni sorta di cattivi pensieri corrergli per la testa; han l'apparenza di bestie affatto bizzarre e brutte ! Egli non vi si appiglia e non li trattiene, ma non li scaccia nemmeno con ogni prestezza; ha l'aria come se vi fosse abituato. Cotesti pensieri scorrono attraverso la di lui mente come per una strada già aperta ed usitata. Il Pellegrino qui aggiunge la nota seguente: Ciò è purtroppo verissimo ! » Io veggo uscir dalla bocca degli oranti una linea di parole che ne scaturisce come uno strale di fuoco, e penetra sino a Dio. Vedo e riconosco in quelle parole la forma dei caratteri con cui sogliono scrivere coloro che pregano, e ne leggo alcuni. Cotesti caratteri di scrittura variano, nei diversi uomini. Nello stesso corrente dell'orazione alcune frasi sono infuocate, altre più pallide, altre scorrono lontane, alcune trasportano e son più brevi. Insomma succede come quando si scrive. »

8. Quando Anna Caterina descriveva il suo vedere in visione « come un vedere che non aveva già cogli occhi, ma piuttosto coll'anima e come in mezzo al cuore, » voleva così accennare non solo al principio ed allo sviluppo di cotesta attività, ma inoltre anche al suo carattere meritorio e soprannaturale. Nel cuore sta riposta la radice ed il principio di ogni opera buona; giacchè il credente nel cuore riceve la chiamata e l'impulso a quelle opere, ed ogni moto necessario ad agire in cose meritorie sia interne, sia esterne. Per mezzo d'impulsi e manifestazioni nel cuore, l'angelo custode ha commercio cogli uomini, e da quell'organo s'innalza l'impressione e l'impulso alla meditazione, alla riflessione, che poi di bel nuovo nel cuore si compiono sotto la forma di risoluzioni e di opere. Nel cuore abita lo Spirito Santo; nel cuore versa i suoi doni, che di là poi si dilatano nell'interno dell'uomo; giacchè anche dal cuore deriva e sviluppasi quel vincolo di amore che per mezzo dello Spirito Santo rilega la comunità dei fedeli col suo Capo invisibile, cioè Gesù Cristo, e li riunisce poi gli uni agli altri siccome i tralci della vite. Nelle disposizioni e condizioni del cuore, cioè nella purità, libertà, fortezza, e nel fuoco dell'amor suo, non già nell'acume della intelligenza o nella moltiplicità del sapere, è riposto e consiste ciò che l'uomo vale, opera e può dinanzi a Dio. E così Anna Caterina riceveva nel cuore tutte le impressioni tanto sensibili quanto soprasensibili che da Dio, dall'angelo, dai santi, come altresì dagli uomini provenivano, sia in prossimità, sia dalla più remota lontananza. Nel cuore ella sentiva, in istato di veglia naturale, la voce del di lei angelo; ma anche il comando del confessore che la richiamava dall'estasi, era da lei ricevuto nel cuore; sia che cotesto comando fosse con parole, ovvero soltanto coll'intenzione, anche dalla più remota distanza pronunziato. In qualsiasi luogo si trovasse il di lei confessore, bastava la sua chiamata internamente pronunziata, per richiamare senza alcuna tardanza Anna Caterina dall'estasi più profonda nella veglia naturale ( 1 ); e per dippiù ella udiva nel cuore ogni grido d'aiuto di coloro che, minacciati da pericolo, doveano secondo i disegni di Dio venire da lei soccorsi, e ciò avveniva anche quando costoro si trovassero da lei separati dai mari e da intere parti della terra.

Nel cuore risentiva l'angoscia dei moribondi, cui l'efficacia benedetta della sua orazione dovea procurare una buona morte. Nel cuor suo si affollavano le preghiere ed i sospiri di tutti coloro, che da vicino o da lontano si raccomandavano alla di lei intercessione, ovvero trovandosi nel bisogno e nell'abbandono, sclamavano a Dio onde loro inviasse alcuno a salvarli. Essa presentiva colle più dolorose profonde impressioni nel cuore il minacciar dei perigli, ovvero l'approssimarsi di mali e di rovine per la Chiesa e per le singole anime, e spesso trovavasi immersa in ineffabile angoscia ed ansietà, anche prima che avesse ricevuto chiara nozione delle cose sopravvenienti.

(1) Ciò avveniva pure continuamente anche alla eletta vergine Maria di Mörl in Caldaro, il di cui confessore, Rev. P. Capistrano, ha ripetutamente assicurato l'autore, che egli, in qualunque luogo si trovasse, ed anche alla maggior distanza immaginabile, poteva sempre col suo comando sacerdotale richiamare la veggente dall'estasi.

Nel cuore risentiva e conosceva i pensieri, i disegni, le disposizioni, e tutto lo stato morale di quegli individui che le venivano vicini, o ai quali era inviata in spirito, per stimolarli al bene o alla conversione; ma ella pure sentiva in quel centro ogni parola di empietà, ogni maledizione, ogni spergiuro, ogni bestemmia e cose simili, per le quali Iddio voleva ricevere soddisfazione dai patimenti del di lei purissimo cuore. Ed in quello anche risentiva ogni chiamata che avesse per conseguenza lo stato di visione, e suoleva ubbidire a coteste chiamate in modo sì rapido e sì perfetto, che sin dal primo e più leggiero impulso raccoglieva in sè stessa tutte le forze dell' anima, onde con pieno e indiviso vigore, colla più alta libertà del volere, e nella più chiara coscienza del suo spirito altamente illuminato, servire a Dio e compire tutto ciò ch'egli pur potesse esigere da lei. Così la sua infinita ricchezza di visione dipartendosi dal cuore, si dilatava per tutti i gradi di quella regione meravigliosa, dal semplice vedere a distanza sino alla più alta visione intellettuale nella luce vivente, ovvero nel personale commercio spirituale collo Sposo celeste.

Cotesta straordinaria mobilità, leggerezza, e prontezza di Anna Caterina a passare subitaneamente e quasi involontariamente in circostanze affatto opposte, ed all'essere come all'improvviso rapita al mondo dei sensi, non era già in essa alcunchè di non libero, ovvero un semplice accidente di situazione, ma era piuttosto il dono e l'azione dello Spirito Santo ed il merito della di lei perfetta ubbidienza e ardente amore di Dio. Era un'anima che mai aveva conosciuto le attrattive della curiosità o dell'affetto a un bene transitorio, che non voleva e non conosceva altro che Dio e le cose divine, che nutrita di celesti visioni non trovava in sè alcuna traccia della brama di dilettarsi e distrarsi colle cose terrene, che distingueva e giudicava nel lume della fede tutte le cose create da Dio e le misurava secondo la misura dei di lui comandamenti; e quindi, come dice santa Ildegarda, era pari ad una piuma che priva di ogni peso sulle ale del vento, cioè sull'alito del Santo Spirito, volava di azione in azione, di merito in merito. Quindi era che tutte le di lei azioni, tutte le manifestazioni del di lei operare soprannaturale e meritorio, sia nella veglia, sia in seno della visione, avevano il lor punto di partenza dall'abitazione dello Spirito Santo nella creatura umana, cioè dal cuore; ed era quel suo cuore l'ara sacra, sulla quale e nell'amore e nei patimenti consumavasi l'offerta dell'intera sua vita.

9. Quale importante posizione occupi il cuore umano anche nell'ordine naturale, ce lo insegna santa Ildegarda (1):

Quando secondo l'ascosa disposizione dell'altissimo Creatore, la forma di un corpo umano viene ad essere animata nel grembo materno, allora l'anima a foggia di un globo di fuoco che non ha in sè alcuno dei contorni o lineamenti del corpo umano, prende possesso del cuore di cotesta fórma, monta su nel cerebro e si diffonde per tutte le membra. Essa prende possesso del cuore, perchè radiando nel fuoco della sua profonda potenza conoscitiva, distingue appieno tutte le diverse cose disposte nell'intorno della di lei abitazione (cioè conosce i varii oggetti sotto posti ai sensi. ) Non ha nemmeno le forme delle membra del corpo, perchè è in sè stessa incorporea e non già transitoria come il corpo. Dà al cuore la sua fortezza che come base e fondamento del corpo governa tutto il medesimo, ed a guisa del firmamento del cielo tiene unito ciò che è sottoposto, e ricopre quanto è al disopra. Monta pure sino al cerebro dell'uomo, perchè nella sua potenza ella comprende non solo ciò che è terreno, ma anche ciò che è celeste, poichè nella sapienza è capace di conoscere Iddio. Si diffonde poi per tutte le membra, perchè partecipa al corpo intero la forza vitale del midollo, delle vene, e di tutti i membri così, come un albero dalla sua radice partecipa succo e verde forza vegetativa a tutti i rami.

(1) Scivias, lib. 1, Visione 4.

4 L'anima abita nella fortezza del cuore siccome nel verone di una casa; e come il padrone di una magione si situa in quel punto della medesima, da cui può sorvegliare la magione intera e governarne tutti gli affari, mentre rivolto verso l'ingresso esercita i suoi diritti avvisando ed indicando tutto ciò che può riuscire ad utile della casa sua: così fa pure l'anima rivolta col guardo verso l'ascenso del sole, e perscrutando tutte le vie (i sensi) del corpo intero.

« L'anima è in sè stessa di focosa natura, e il di lei fuoco penetra il corpo intero in cui abita; le vene col sangue, le ossa col midollo, la carne coi suoi umori, ed è fuoco inestinguibile. Il fuoco dell'anima ha il suo focolare o centro nella sua capacità di ragione o potenza razionale da cui scaturisce il verbo, il suono della parola. Ove l'anima non fosse di natura infuocata, non potrebbe compenetrare col calore quel freddo miscuglio, e col sangue venoso fabbricare il corpo. Ma siccome l'anima, spirante nella potenza razionale, è di fiamma, così partecipa in ugual misura il suo calorico a tutte le parti del corpo, affinchè non venga a consumarle col fuoco ( 1).:

Anche in quanto ai procedimenti della visione li rischiara Ildegarda in modo consimile ad Anna Caterina, talmente che ambedue le partecipazioni l'una coll'altra si completano.

« Il modo e la foggia ( dice santa Ildegarda) del come si vede in visione (2) è difficile a comprendersi per l'uomo vivente nei sensi.

(1) Explanatio Symboli Athanas. pag. 1070 ediz. Migne.
(2) Acta Sanctae Hild. pag. 17-18.

Io non ho già le mie visioni nei sogni o dormendo, non già nel calore della febbre, nè col mezzo dei corporei strumenti dei sensi dell'uomo esteriore, e non già in luoghi appartati; ma per volontà di Dio le ricevo desta, riflettendo colla imperturbata chiarezza dello spirito, e cogli occhi e le orecchie dell'uomo interno e nei pubblici luoghi..... Iddio opera dove vuole a maggior onoranza del nome suo, e non già dell'uomo terreno. Provo sempre ansiosa paura, giacchè in me non riconosco sicurezza della minima capacità o attitudine; ma stendo le mie mani e le elevo verso Dio onde esser da lui trasportata come una piuma, che scevra di ogni peso trasvola per l'aere. E ciò ch'io vedo non lo posso perfettamente comprendere quando me ne occupo corporalmente ed ho l'anima non immersa nella visione, giacchè ambedue queste cose agli uomini appariscono difetti. Sin dalla mia fanciullezza per altro, allorchè le mie ossa, i nervi e le vene erano prive di ogni forza, ho avuto nell'anima mia questo lume di visione, ed ora conto già settanta anni. Nella visione, quando ciò piace a Dio, l'anima mia monta fino all'altezza del firmamento passando per la variazione delle diverse regioni dell'aere, e si dilata sino ai popoli i più svariati, ancorchè siano situati in regioni da me le più remote. E siccome tutte coteste forme le veggo coll'anima, così ho anche la percezione della varietà degli strati delle nuvole e di tutte le altre creature (cioè, siccome questo mio vedere spirituale non è già una vana immaginazione, ma piuttosto un penetrare e un dilatarsi coll'anima sino negli spazi i più remoti, così non mi sfugge nulla di ciò ch'io incontro per quelle vie), ma non veggo già questo coll'esterna potenza visuale, nè lo ascolto colle orecchie, nè lo ritraggo dai pensieri del mio cuore, ovvero da una cooperazione dei cinque sensi, ma lo veggo piuttosto soltanto col mezzo dell'anima, e cogli occhi corporei dischiusi, talmentechè per altro non debbo mai provare per cagione di questi alcun disturbo nell'estasi, giacchè io sono veggente ancorché desta nel giorno, come lo sono nella notte.

« La luce ch'io vedo non è già luce limitata nello spazio e corporea, ma è bensì più luminosa di quella nuvola su cui poggia il sole; ed io non posso misurarne nè la profondità, nè l'altezza, nè la lunghezza, nè la larghezza. Mi vien detto che è l'ombra della luce vivente; e come il sole, la luna e le stelle si riflettono nelle acque, così per me si riflettono in quella luce gli scritti e le parole, le proprietà e le opere degli uomini. Ciò ch'io per altro conosco o imparo in coteste visioni, per lungo tempo lo serbo nella memoria; e vedo, ascolto, e so contemporaneamente, e nel medesimo momento comprendo ciò che devo sapere. Quello per altro che non veggo in visione, ciò non lo comprendo; giacchè son priva di dotta istruzione, nè posso esprimere le parole di ciò ch'io debbo scrivere delle ? mie visioni, in modo diverso da quello in cui le comprendo, e non già in elegante latinità. Io odo quelle parole non già così come escono dalla bocca degli uomini, ma piuttosto si rassomigliano a raggi di luce, ovvero ad una luminosa nuvoletta librata nel puro aere. Sono sì poco in grado di riconoscere le forme di cotesta luce, quanto poco lo sono di fissare il guardo nel disco del sole.

« Oltre di ciò in cotesta luce ne veggo talora un'altra che mi vien detto essere la luce vivente; per altro non veggo cotesta luce sì di frequente, e posso descrivere il suo modo di essere ancor molto meno di quel della prima.

Allorchè per altro io ricevo cotesta vivente luce, tosto ogni tristezza, ogni tormento sparisce dai miei sensi, talmente che io ridivengo come una semplice bambina, e non son più una vecchia donna. La prima di coteste due luci, cioè l'ombra della luce vivente, non vien mai a mancare al l'anima mia, ed io la vedo siccome vedo talora il firma mento senza stelle in una nuvola luminosa, ed in essa io scorgo ciò che ridico dello splendore della luce vivente. »

10. Per quanto potente sia sull'anima l'azione di una luce sì splendida, ciò non ammette per altro nel veggente l'interruzione e la mancanza di esercizio della fede di vina, nè essa cagiona in niun modo un indebolimento o diminuzione di cotesta fede, come se quella luce potesse sostituire alla fede, ovvero da essa sciogliere e separare altre meritorie forme; o più alti gradi della cognizione soprannaturale dei misteri divinamente rivelati. Anzi, per il contrario, il lume di profezia, siccome la scienza infusa, non può avere altra conseguenza fuor quella di produrre un'incrollabile fortezza ed una più alta e gioiosa sicurezza della fede, giacchè cotesta luce procura all'anima eletta una più profonda intelligenza ed una altrimenti inarrivabile conferma della verità, e le dimostra soprattutto come per lo spirito umano non si possano dare atti più elevati e perfetti di quelli risultanti dalle infuse divine virtù, e che Iddio non ha aperto all'uomo mortale altra via alla felicità eterna, fuorchè la via della fede. Quindi anche in questo caso succede, ma solo in grado di maggior perfezione, ciò che sempre avviene nell'animo del semplice credente, il quale, privo del lume di visione, coll'aiuto dell'ammaestramento e della riflessione, coll'orazione e la contemplazione, e colla coscienziosa ubbidienza ai comandi ed alle prescrizioni della Fede, penetra sempre più a fondo nella intelligenza dei suoi misteri, sempre più apprezza l'inestimabile bene della fede medesima, e quindi è pronto a dare per essa tutto ed anche la vita. Quanto meno un simil credente potrebbe cadere nell'anteporre quei mezzi di aiuto, coi quali egli perviene a cotesta stabilità e tranquilla sicurezza nella fede, alla fede medesima, tanto meno può un eletto venire indotto ad anteporre alla fede la sua visione; anzi, quanto più chiare e larghe sono quelle sue visioni, tanto più semplice ed austera è la sua fede; e tanto più diviene sensibile circa qualsiasi cosa che possa appena aver aria di una benchè minima offesa della purità della fede medesima. Una prova di questa verità si è la stessa santa Caterina da Siena, che ne ' suoi dialoghi, dettati in estasi, e quindi in visione, circa le relazioni della fede colla visione asserisce che il dono del lume di profezia può verificarsi schietto e sincero col mezzo soltanto del lume della fede.

« eterna e Trina Unità, abisso di amore, sciogli la nube della mia reità ! Tu sei quel fuoco che fuga ogni freddo e col tuo lume illumini lo spirito, col mezzo del qual lume hai concesso anche a me di conoscere la verità. Tu sei quella luce al disopra di ogni altra luce, che dal tuo proprio lume derivante concedi all'occhio dello spirito, vale a dire la luce soprannaturale; e la concedi in tal pienezza e perfezione che ne diviene sempre più risplendente il lume della fede, di quella fede per mezzo della quale so che l'anima mia vive, e che in quella luce ha ricevuto la tua propria luce; giacchè nel lume della fede io ottengo la sapienza proveniente da quella del Verbo tuo Figlio; nel lume della fede io divengo animosa, ferma e perseverante; nel lume della fede ottengo la fiducia che non permetterai ch'io vada errante dalla vera via; il lume della fede mi addita la strada per cui debbo camminare, e senza il lume della fede errerei nelle tenebre. Perciò ti ho pregato, o eterno Padre, ad illuminarmi colla luce della fede santissima. O santissima e Trina Unità, in cotesto lume (della visione) che tu mi hai concesso, che ho ricevuto, mediante il lume della santa fede, penetro in te intimamente che mi dimostri con tante meravigliose dimostrazioni la via della vera perfezione, onde nella tua luce, e non già nelle tenebre, io prosegua a servirti. E perchè mai non ti veggo per mezzo del lume della santissima, gloriosissima fede ? Perchè la oscurità dell'amor proprio ha oscurato gli occhi dello spirito ! Ma tu, santissima e Trina Unità, hai colla tua luce fugato coteste tenebre ! E come posso io mai ringraziarti per cotesto infinito benefizio e per l'insegnamento della verità che mi hai del pari accordato ? Cotesto insegnamento (cioè quello che per mezzo del lume di profezia ho da te ricevuto) è una grazia speciale (solo a me accordata) all'infuori delle grazie comuni che tu accordi alle altre creature (1). »

(1) Acta Sanctorum, Die 30 aprilis, Vitae p. tit, c. 3.

11. Sin dalla primissima gioventù venne Anna Caterina dall'angelo suo ammaestrata del come dovesse nella luce della visione esercitare la virtù della fede, siccome la prima e la più necessaria nella vita spirituale. Intorno a questa materia essa raccontò così:
« Allorchè dall'anno quinto sino al sesto dell'età mia contemplava il primo articolo del simbolo della fede cattolica: lo credo in Dio Padre, Onnipotente, Creatore del cielo e della terra, mi si appresentava all'anima ogni sorta d'immagini della creazione del cielo e della terra. Vidi la caduta degli angeli, la creazione della terra e del paradiso, Adamo ed Eva, ed il peccato originale. Mi pensava che ognuno il vedesse al pari di me e come tutte le altre cose che quaggiù ne circondano, e quindi narrava tutto ciò ai miei genitori, congiunti e compagni, finchè osservai che si rideva alle mie spalle, e che mi fu domandato s'io possedessi un libro ove stesse riferita tutta cotesta faccenda. Allora incominciai a poco a poco a tacermi circa simili cose, e dentro di me pensai che forse non si conveniva il parlare di tutto ciò, senza però essermene resa conto in modo speciale. Ho avuto coteste visioni tanto in sen della notte quanto anche di pieno giorno nei campi, in casa, camminando, lavorando, ed in mezzo ad ogni genere di occupazioni. Quand'io una volta, a scuola, affatto fanciulle scamente discorreva della Risurrezione in modo diverso da quello con cui viene insegnata, ed invero ne parlava con sicurezza e nella semplice opinione che ognuno dovesse conoscerne le circostanze al pari di me, e non presentendo nè punto nè poco che ciò derivasse da una personale mia proprietà, fui derisa dai bambini, che mostrarono meraviglia, e quindi da loro accusata al maestro, che mi ammoni severamente a non lasciarmi andare colla immaginazione a simili rappresentanze. Continuai, per altro tacendole, insimili visioni, siccome un fanciullo che contempla delle immagini e se le spiega a modo suo, senza troppo domandare che significhi questa o quell'altra cosa. Siccome poi di frequente vedeva le comuni immagini dei santi o stampe raffiguranti i fatti della storia della Bibbia, rappresentare ora in un modo ora nell'altro le medesime circostanze, senza che ciò avesse indotto la minima alterazione nella mia fede, così pensai in me stessa che quelle visioni ch'io avea fossero il mio libro d'immagini e le contemplava in tutta pace, formando sempre nel farlo la buona intenzione: il tutto sia a maggior gloria di Dio ! In quanto alle cose spirituali, non ho mai creduto altro che quello che il Signore Iddio ci ha rivelato e dato a credere per mezzo della santa Chiesa cattolica, sia pur questo espressamente scritto o no; e non ho mai creduto in egual modo e grado ciò che ho veduto in visione. Io ho guardato coteste visioni, come ho qua e là religiosamente contemplato diversi presepii del  Natale, senza esser punto disturbata dal divario che correva tra l'uno e l'altro; in tutti questi adorava lo stesso caro Gesù bambino, e la medesima cosa mi succedeva nel contemplare cotesti quadri della creazione del cielo e della terra, e delle creature umane; e nel contemplarli io pregava il Signore Iddio onnipotente Creatore del cielo e della terra. Non ho mai appreso o ritenuto tenacemente cosa alcuna imparata od estratta fuori dei Vangeli o del vecchio Testamento; giacchè ho veduto in quadri tutto ciò durante l'intera mia vita, ed in vero l'ho veduto ogni anno affatto precisamente e puntualmente nelle istesse circostanze, quando anche talvolta le scene fossero diverse. Talvolta mi son trovata nell'istesso luogo e medesima posizione coi contemporanei circostanti, ed ho assistito a quei fatti cambiando luogo siccome un'attuale partecipante; pur nondimeno non mi sono sempre trovata ogni volta precisamente sullo stesso luogo con loro, giacchè ben più spesso io veniva trasportata e sostenuta al disopra della scena, e guardava in giù sopra gli altri. Alcune cose, e specialmente le più misteriosé, le vedeva internamente per mezzo di un'intima coscienza del fatto; altre particolarità le vedeva in quadri derivanti dalla scena. In tutti i casi poi mi era accordata la penetrazione della vista attraverso di tutto in modo tale, che niun corpo poteva nascondermene un altro, poichè senza di ciò ne sarebbe nata una confusione. Da bambina e prima che entrassi in convento, ebbi principalmente molte visioni del vecchio Testamento; queste in seguito divennero più rare e ne ebbi sempre di più della vita del Signore. Conosco però la vita di Gesù e di Maria anche dalla lor prima gioventù, ed ho spesso contemplato negli anni della sua infanzia la santissima Vergine, e quel che faceva quando trovavasi sola nella sua piccola stanza. Io mi so ancora quali vesti ella avesse. Ho veduto ai tempi di Gesù Cristo gli uomini più caduti e cattivi di adesso; ma ne ho veduti altresì per contrapposto di molto più semplici e pii. In allora eran proprio separati e distinti come le tigri e gli agnelli. Ora regna una generale tiepidezza e quasi asmatica oppressione. In allora ta persecuzione esercitata contro i pii uomini e dabbene consisteva in supplizii e violente lacerazioni; ora è riposta nel disprezzo, nello stringere le spalle, negli insulti, in una lenta seduzione e desiderio di annichilare e distruggere. Ora il martirio consiste in una eterna importunità di noiosi tormenti. »

12. Sin dal primo volume vennero riportati molteplici tratti dello straordinario rigore di coscienza, col quale Anna Caterina tentava difendere la purità della fede; ma il di lei commercio col Pellegrino le forni bene spesso occasione di far fronte con fermezza ed opporsi ad erronee opinioni e pregiudizi di simil natura. Basti il qui riferire per di più i fatti seguenti. Una volta mentre il Pellegrino con qualche apparente speciosa ragione affermò che la istituzione della solennità del Corpus Domini non sarebbe stata necessaria per la Chiesa, giacchè, sia nel Giovedì santo quanto in ogni Messa quotidiana, celebrasi la istituzione. del santissimo Sacramento, Anna Caterina erasi sul bel principio taciuta nell'udire codesta affermazione. Ma subito nel seguente mattino essa ricevè il Pellegrino con queste parole:

« Ho ricevuto dalla mia Guida un severo rimprovero.  Mi ha detto che non avrei dovuto consentire alle parole del Pellegrino; ch'io non debbo consentire in simili discorsi perchè ciò è ereticale. Tutto ciò che avviene per disposizione della Chiesa, anche quando apparentemente e per debolezza umana vi si mescolassero men puri disegni, avviene però sotto la guida dello Spirito Santo, e proviene da Dio e corrisponde ai bisogni del tempo. Così la solennità del Corpus Domini era assolutamente una necessità, perchè in quel tempo l'adorazione del Corpo del Signore era molto scaduta, e la Chiesa doveva col mezzo dell'adorazione pubblica altamente manifestare la sua fede. Niuna festa, niuna onoranza, niun principio, vien mai stabilito dalla Chiesa, che non sia in ogni sua latitudine vero e necessario al mantenimento della vera fede e a seconda dei tempi. Il Signore usa anche della minor purità delle influenze singole e particolari, per servire ai suoi santi di segni, ed in ciò sta appunto lo scoglio su cui è fondata la Chiesa, in questo cioè che niuna debolezza umana può rapirle il tesoro della promessa. Io quindi non debbo mai più consentire in una simile affermazione di non necessità, giacchè cotesti principii sono ereticali. Dopo aver ricevuto cotesto severo ammonimento, ho dovuto sopportare possenti dolori in espiazione della mia arrendevolezza. » Il Pellegrino accompagna la relazione di questo fatto nel suo diario colle seguenti parole: Ciò dev'essere anche per me un avvertimento per ricordarmi che voglia dire il parlare così superficialmente di cose ecclesiastiche. »

Di quella sofisticheria dei pretesi lumi che a piacere e a capriccio rigetta i santi usi e consuetudini della Chiesa, deride i pii esercizii, e tenta di sciogliere la vera pietà e il puro servigio di Dio in vuoti e fatui modi di dire, ed in uno stupido fracasso e pompa di frasi, ella ne trattò con le seguenti parole:

Se la Chiesa è vera, tutto in lei deve esser vero; e chi non vuol credere una cosa, sottrae per propria scelta la propria volontà alla fede delle altre; e chi ritiene molte cose per accidentali, sottrae alla necessità le sue conseguenze, per renderla accidentale. Non havvi cosa alcuna che sia pura cerimonia; tutto è essenza, sostanza, azione per mezzo di segni necessarii. Ho inteso spesso dei dotti ecclesiastici a dire: Non si devé troppo esigere dalla gente che creda tutto ugualmente in una volta; quando gli uomini han preso in mano il primo filo, traggono da per sè stessi a sè l'intero gomitolo. Cotesto è un discorso molto vizioso ed ingiusto. I più s'appigliano a un filo ben sottile e l'avvolgono in gomitolo soltanto finchè quel filo non si rompa, ovvero si disciolga in filamenti quasi impercettibili che volano via. L'intera religione di molti sacerdoti e laici che parlano e discutono in abbondanza, mi si appresenta al guardo siccome un pallone gonfio sino al colmo di cose sante, che essi fanno alzare bensì nell'atmosfera, ma che per altro non perviene sino al cielo. Bene spesso mi sembra veder così la Religione passare in globo aereostatico per sopra a città intere.

«Sono stata sovente ammaestrata circa la santa croce di Köesfeld. Essa è stata da Dio annessa a quel luogo, affinchè ivi si formi un centro di resistenza contro il male, siccome in tutti gli altri luoghi, ove simile cose sante vengono onorate. I miracoli derivano per altro dalla veemenza della fiduciosa orazione. Sovente io veggo la croce venerata ed onorata con sacre processioni, ed in quell'occasione veggo esauditi e liberati dai mali coloro, che per mezzo di quelle implorano con fiducia le grazie; gli altri poi li veggo come avvolti in tenebrosa notte.

« Ho pure una volta ricevuto l'insegnamento che una vivace fiducia concepita nella semplicità del cuore rende tutto essenziale e sostanziale. Coteste due espressioni mi fornirono gran schiarimento circa i miracoli e l'esaudimento dell'orazione. » Essa combattè l'inclinazione del Pellegrino a lodare la pietà dei fratelli Moravi e l'acume pungente col quale suoleva parlare dei difetti della Chiesa, colla seguente risposta: « Io vengo rimproverata severamente dalla mia Guida, quando ascolto simili discorsi tacendo. Mi vien dimostrato quanto sieno temerarii cotesti giudizii e che per mezzo di essi viensi a cadere negli stessi errori dei primi apostati. Tutto ciò che nella Chiesa vien negletto, mi si dice che debbo farlo io, e che altrimenti io diverrei molto più colpevole di coloro, a cui non vien mostrato ciò che a me è dato di vedere. Ho veduto anche il luogo ove abitano i fratelli Moravi. Quella gente è costà sì guardinga ed agisce così pian piano, come alcuno che non vuole destare altrui dal sonno. Tutto vi è sì leggiadro, netto e silenzioso ! La gente ha l'apparenza di esser sì pia; ma pure mi vien mostrata essere internamente più perduta e morta che quei poveri Indiani, pei quali io debbo adesso pregare. Ove non havvi lotta, non havvi neppure alcuna vittoria. Essi (i Moravi) si accomodano tutto facilmente e alla larga, e perciò sono spiritualmente poverissimi, e malgrado tutti i bei modi di dire e tutte lo esterne apparenze, le cose loro sono in pessima situazione.

Ho ciò tutto veduto nella Magion delle nozze. Sotto l'immagine di due ammalati io dovea riconoscere la differenza delle loro anime, cioè del loro interno dinanzi a Dio. Vidi la comunità dei fratelli Moravi siccome un'ammalata che pretende di non esserlo, e tenta di nascondere tutti gli interni suoi guai e vergogne. Appariva molto pia e compia cente, e quanto più poteva teneva nascosti i suoi mancamenti. Ed allora in faccia a lei vidi un'altra inferma, ma come in visione lontana; era coperta di enfiagioni e di tumori, ma questi risplendevano e rassomigliavansi ad una coperta di pure perle. Luminoso era il letto su cui giaceva, ed il suolo e l'intero spazio a lei dattorno splendeva di un candore di neve; mentre poi la inferma morava si accostava a quello spazio, macchiavasi e contaminavasi ogni punto ove metteva il piede; solo non volle mai che alcunchè si penetrasse della di lei immondezza. »

13. Più significante però di coteste manifestazioni, riesce il personale contegno medesimo di Anna Caterina. Ella che venia dal suo celeste Sposo giorno per giorno resa degna della più chiara visione della sua via sulla terra, della vita della sua santissima Madre, degli apostoli e dei santi, ed anzi della corporea partecipazione ai suoi patimenti; provava per altro la maggiore possibile felicità terrena nell'assistere al servizio divino nella chiesa del suo convento, e dopo la soppressione di quello, le premeva ancor molto più l'assistere cogli altri fedeli alla celebra zione dei misteri delle sante solennità, come ad esempio il celebrare nella chiesa parrocchiale di Dülmen la settimana santa ed il tempo pasquale secondo la liturgia ecclesiastica e le sue costumanze, di quello che non le piacesse di prender parte quasi come contemporanea, in visione, a tutte le circostanze di un passato che innanzi ai di lei sguardi si sviluppava siccome presente. Fu quindi quasi inconsolabile quando per corporal debolezza non fu più in grado di visitare una chiesa. Tutto ciò che è in correlazione colla fede e la disciplina ecclesiastica, la minima prescrizione, esercizio e costumanza della Chiesa, era per lei cosa santa che considerava e praticava soltanto collapiù profonda riverenza e la maggior gravità, talmentechè in un senso affatto letterale dee dirsi che essa sembrava possedere quel suo incomparabile lume di visione, soltanto per onorare maggiormente e vie più ravvivare il bene infinitamente prezioso della fede. Quindi venne a ripetersi in lei ciò che era anteriormente avvenuto in Maria Bagnesi ed in Maddalena dei Pazzi, ambedue rese partecipi dell'istesso lume. La prima riteneva la visita della chiesa della SS. Annunziata in Firenze, onde onorarvi la immagine miracolosa che là si venera, per sì gran grazia, che colle più ardenti preghiere implorò da Dio la forza di poter lasciare una sol volta il letto dei suoi dolori e recarsi in quella chiesa. Fu esaudita, e la visita di cotesta e di alcune altre chiese di Firenze, fu per lei il compimento dell'ultimo e più alto desiderio che l'anima sua, distaccata da ogni bene terreno, ancor conoscesse; e per quanto tempo potè a gran stento trascinarsi nella piccola sua stanza, trovò nell'adornare il suo altare domestico onde abbellirlo per la celebrazione della santa Messa, l'unico ristoro a quelle pene incessanti che ella in pro d'altri dovea patire. Maddalena dei Pazzi quantunque degnata del continuo visibile commercio col di lei angelo e dei suoi ammaestramenti, non conobbe sin dalla prima fanciullezza gioia maggiore di quella di udire le conversazioni spirituali della madre e di altre pie signore, che ella spesso imbarazzava colle sue profonde dimande circa i misteri della fede. Nulla sembravale comparabile alla felicità della vera credenza, e quindi, come Anna Caterina, avea commercio con altri fanciulli nel solo disegno di guidarli con infantile semplicità negli esercizii della fede, ed ammaestrarli nelle verità della medesima. Questi ed altri simili tratti della vita delle anime elette appariranno forse ad alcun lettore molto insigni ficanti; ma se per altro consideriamo e pesiamo i doni straordinarii, i patimenti, e l'eroico coraggio di quelle anime, dalle quali Iddio sì severamente ha voluto esigere una somma di fedeltà e di spirito di sacrificio corrispondente alle sue grazie, riconosceremo allora nell'alta loro semplicità di fede l'opera dello Spirito Santo, e quello stesso grado di virtù che si manifestò pur anche nella loro purità ed innocenza. Siccome santa Ildegarda poteva dire: « Io sono nella visione piuttosto simile ad una bambina, che ad una donna della mia età, » così Anna Caterina sentivasi spessissimo nelle visioni simile ad una fanciulletta ( 1 ) di cinque sei anni, e siccome senza avere il minimo presentimento del profondo significato di quel fatto, essa dimandò una volta al suo Angelo come mai avvenisse che in visione essa ridivenisse bambina, se ne ebbe in risposta: « Se tu non fossi in realtà una bambina ciò non potrebbe succedere. »

(1) Un giorno il Pellegrino vide Anna Caterina che immersa nell'orazione estatica sollevò ad un tratto le braccia in alto coi gesti di una bambina ed esclamò supplichevolmente: Buon giorno, mamma mia! E già gran tempo che non sei stata qui col tuo bambinello! Or dammelo qui ! È molto che non l'ho avuto !» Rientrata in sè raccontò allegramente: Ho veduto la Madre di Dio venir verso di me con Gesù bambino e me ne rallegrai tanto. Voleva ritoglierle il bambino ma essa sparì ed io supplichevole voleva richiamarla. ›

Egli intendeva con ciò dire: Se tu non fossi nel corpo e nello spirito sì pura e in contaminata, sì lucida, splendida e chiara siccome un fiore che brilla per la rugiada mattutina, tu non potresti ritornare alla innocente semplicità della incolpevole fanciullezza. Allorchè Maria Bagnesi nel decimottavo anno dell'età sua doveva pronunziare i voti di una sorella terziaria dell'Ordine domenicano, non sapeva che significasse il voto di castità, e quando a di lei preghiera il confessore dichiarò che significava lo stesso che prender Gesù Cristo

«per unico Sposo, rispose sorridendo: Ebbene, ho adempiuto a questo voto da che vivo, giacchè il mio cuore non ha mai conosciuto altro desiderio, fuor quello di amare Gesù. » Anche Maddalena dei Pazzi fu in grado di confessare sul suo letto di morte, di non aver mai per tutta la vita saputo qual fosse l'opposto della purità, o da che mai cotesta virtù potesse venire offesa. Era dunque d'uopo che lo specchio di coteste anime fosse conservato a sì alto grado puro e libero da ogni soffio di un ben passeggiero, onde esse riuscissero capaci di ricevere e possedere la luce di profezia. Da ciò possiamo riconoscere come a buon di ritto e con quanta ragione la Chiesa nel giudicare dei doni straordinari, riconosca soltanto l'infallibile contrassegno della loro sincerità in quelle virtù, alle quali la creatura umana non può pervenire senza straordinarii patimenti e sforzi perseveranti ed altissimi, nel più perfetto distacco da tutte le creature, ed in una umiltà divenuta quasi seconda natura. È impossibile, perchè ciò sarebbe in contraddizione colla santità di Dio, che la luce di visione alberghi in una creatura umana che non fosse morta ad ogni allettamento dei sensi, ad ogni affetto alle creature, ed anche a sè stessa; e quindi avviene che cotesto dono sia tanto raro, poichè solo in pochi mortali riscontrasi una tale purezza ed umiltà, quale per noi risplende in tutti i tratti che ad Anna Caterina si riferiscono.

14. Niuna altra testimonianza prova più luminosamente quella sua umiltà sì appieno noncurante di sè stessa, e la perfetta sua libertà da ogni amor proprio, quanto i frequenti lamenti del Pellegrino, che certe volte sapevano in fino di amarezza, intorno a che essa lasciava tutto andare perduto, non sapeva apprezzare nemmeno le grazie le più grandi, e sul che la di lei trascuranza gli sottraeva le più significanti e luminose spiegazioni sull'interno andamento di una vita sì colma di grazie, » e cose simili. Ei suoleva rompere in simili lamenti, ogni qualvolta facevasi accorto della minima importanza che Anna Caterina annetteva alle proprie, straordinarie, e per lo più subitaneamente mutabili circostanze di patimento; talmentechè, malgrado tutti gli avvertimenti ricevuti in visione, circa il perchè ed il per chi ella soffrisse, ben rare volte era in grado di dichiarare quale intimo rapporto esistesse fra questo o quel patimento e le precise infermità spirituali e debiti di colpa incorsi, che essa era destinata a guarire e ad espiare. La sua attenta osservazione lo aveva indotto nella certezza che tutti i patimenti corporali e tutte le apparenze di malattia estranee alla di lei propria costituzione, avevano per fondamento motivi ed origini spirituali; e quanto più perveniva poco a poco a presentire l'ascosa correlazione dei singoli patimenti con una precisa, missione espiatoria, tanto più grande diveniva la sua meraviglia, quando Anna Caterina non accordava nemmeno la minima attenzione a certi casi agli occhi suoi tanto significanti, che ella per altro riguardava come cose affatto comuni che per sè stesse si fanno capire, nè voleva in alcun modo comprendere la di lui gran meraviglia intorno a ciò. Ella comprendeva i suoi patimenti siccome l'esaudimento del suo costante supplicare pel bene dei prossimi, ma non le venne mai in mente nemmeno il salo pensiero che fossero distinzioni speciali, e neanche cosa di tal particolare importanza da poter meritare la di lei attenzione o quella di altrui. Anzi il Pellegrino bene spesso dovea adattarsi a sopportare con penosa sorpresa diametralmente opposta alla sua ammirazione, come Anna Caterina credesse sì poco a qualche cosa di straordinario o di un carattere speciale nei di lei patimenti, che prendeva dal Wesener, ed anzi desiderava da lui ricevere medicine ed altri farmachi adatti a diminuire quei mali, invece di contare unicamente, come il Pellegrino avrebbe voluto, su mezzi di salute soprannaturali e sopra aiuti straordinarii; e del che nella strabocchevole oppressione dei dolori, spesso si lagnasse, perchè niuno sapeva offrirle mezzo di mitigarli. Di molti fatti di simil genere riferiremo qui soltanto i seguenti: Ai 20 di gennaio 1823 riferisce il Pellegrino: « I di lei dolori aumentarono, mentre alquanto le si infievolì il coraggio. Giacque per la notte intera sulla medesima posizione, e i di lei dolori la fecero gridare e lamentarsi, finchè fosse coll'aiuto altrui collocata in positura diversa. Fu puré tormentata da quadri angosciosi, parendole di essere una bambina perseguitata da belve feroci, che nella sua fuga dovea nuotare o guadare per sucidi stagni, nè poteva chiamare alcuno in soccorso...... Cotesto stato cambiò soltanto coll'entrare della vigilia della Purificazione. Invece dei violenti vomiti sanguigni degli ultimi giorni, le si gonfiò subitaneamente il corpo. Son piena zeppa di pene,disse ella lamentandosi, in tutte le membra, e provo dolori acutissimi anche nei calcagni.

Cotesto subitaneo cangiamento cominciò col suon delle campane che annunziavano la solennità della purificazione di Maria pel susseguente giorno, e durava ancora in tutta la sua pienezza quando venne a cessare quel suono. Ciò nondimeno era in buon umore, nè punto pensava alla correlazione di quei due fatti, nè mai ne parlò come di cosa sorprendente. È abituata a considerare così cotesti diversi suoi stati, nè sembra che si consideri affatto sotto altro punto di vista; e quindi per cose naturali ritenendoli, desidera aiuto, e talora in alcuni momenti di molta oppressione si ha quasi a male di non venir soccorsa con mezzi medicinali ! Esteriormente essa è priva di guida e direzione nella sua misteriosa vita, e da ciò provengono gravi guai, danni e confusioni. »

Apparisce quindi che da quei suoi patimenti sopportati con pazienza, ella avea pienamente ricuperato la fortezza dell'anima sua, in chiara prova che la forza e il coraggio potevano venirle soltanto da Dio, cui la di lei semplicità scevra di ogni pretensione e che nemmeno conosceva sè stessa, piaceva infinitamente più di quello che il Pellegrino sembrasse pur presentire, quantunque fosse stato sovente testimonio di simili avvenimenti. Già tre anni innanzi nel gennaio 1820, profondamente compreso di meraviglia per la pace dell'anima di lei da niuna pena disturbabile, avea notato nel suo Diario:

« È straordinariamente di buon umore e piena di una inusitata allegria infantile. Contuttociò trovasi sempre in istato d'incipiente visione, e vi lotta contro, e rallegrasi molto di vivere e di patire. È impossibile il qui descrivere i di lei discorsi e passaggi dalle attualità esterne nella visione, e la di lei gioia infantile, pazienza, coraggio, abbandono di sè stessa, e tutta l'amabilità e semplicità del suo stato. Chi non la conosce e non l'ha così veduta, non può crederlo, nè può capirlo. In cotesto stato essa è la vera immagine infantile e scevra di ogni preconcetto disegno di un'anima piena di bontà, d'innocenza, di misericordia, di coraggio, di fiducia, e non solo di fede, ma di perfetta certezza; giacchè conosce e ritiene ciò che noi crediamo coll'aiuto della grazia per così vero e reale, come lo sono padre e madre e consanguinei. Essa è in tutto ciò scevra di ogni disegno, scevra di ogni malvolere o collera; non ha alcun nemico; è piena di pace e di amore; è libera di ogni vana imponenza. Quindi ella piacerà al certo molto meno a coloro che esigono in conferma della grazia di Dio accordata ad un individuo, un contegno e serietà ufficiale sulla faccia dell'individuo medesimo, e ciò appunto perchè essi medesimi han molto più di contegno ufficiale di quello che non abbiano veramente parte all'ufficio. Allorchè il Pellegrino la visitò, essa aveva un libro dinanzi a sè, ma propriamente non vi leggeva; voleva soltanto trattenersi da una più profonda immersione nella visione, il che peraltro spesso non le riesce. Bentosto ella divenne lieta e ringraziò Dio del vivere,del patire, e del potere altrui aiutare, giacchè non potrebbe più farlo una volta giunta nella eternità. In quei momenti non conosceva disturbo alcuno.

Le ritornarono in mente ben molte immagini negli ultimi giorni dimenticate. Così in queste ultime fredde nottate avea veduto molte genti qui delle vicinanze che non avevano letto, e la lor grande miseria, e perciò distribuì in elemosina anche letti. Vide pure così senza letto una povera vedova sua parente, e pregò l'angelo suo custode ad invitare l'angelo custode del di lei fratello, che suscitasse nel di lui cuore il pensiero di far dono di un letto a quella vedova. Nel seguente giorno ebbe la consolazione di sapere che suo fratello effettivamente aveva ciò fatto. »

15. Cotesta sorgente soprannaturale di consolazione e di forza che scaturisce da Dio medesimo, resta, come ben si capisce, affatto chiusa per la falsa e simulata santità; giacchè cotesta ha le sue radici nell'orgoglio spirituale, e quindi nel vizio il più pericoloso ed il più odiato da Dio. Da ciò avviene che cotesta falsa santità può soltanto aspirare a quella ricompensa e conforto che può offrire il padre della menzogna, alla soddisfazione della vanità, alla lode ed all'onoranza degli uomini, ed ai sensuali godimenti. Quanto proprio della vera luce di visione è il fondare sempre più l'anima nella ubbidienza e nel dispregio di sè medesima, e di renderle totalmente impossibile la manifestazione degli ascosi favori e grazie di Dio, talmentechè solo l'austero dovere dell'ubbidienza spirituale può aprirle la bocca, così altrettanto sono inseparabili dalle tenebre dell'orgoglio spirituale la vana smania di rinomanza, l'ostentazione audace e lo sfacciato desiderio di esser tenuto ed onorato per un ente straordinario, ed infine lo sconsiderato impiego di ogni mezzo per giungere a quel pessimo scopo. E come necessariamente i frutti del vero dono della grazia consistono nella maggiore chiarezza ed aumento della fede e di tutte le virtù divine e morali, così inevitabilmente gli effetti della falsa luce e dell'orgoglio spirituale sono la menzogna, l'ipocrisia, l'eresia, la superstizione unitamente á tutte le altre profanazioni, nelle quali la debole creatura umana, in cotesto stato di quasi inguaribile acciecamento dello spirito, viene dal principe delletenebre precipitata. Quando una volta Anna Caterina disanimata dalla grandezza dei suoi patimenti, pregò il Signore a ritoglierle le visioni, poichè doveva veder tantecose che pure non comprendeva, se ne ebbe in risposta: Io ti concedo coteste visioni non già per te, ma te le dono perchè tu le faccia da altri comprendere; tu devi parteciparle. Non è ora il tempo di operare esterni miracoli. Do a te queste visioni, ed ho fatto così in ogni epoca, per dimostrare ch'io sto colla mia Chiesa fino alla fine dei giorni. Le visioni però non salvano alcuno; tu devi esercitare la carità, la pazienza, e le altre virtù ! »

« Un'altra volta narrò così: « Ho pregato intensamente il Signore a volermi ritogliere le visioni, onde sottrarmi alla responsabilità del raccontarle. Ma non ottenni alcuno esaudimento, e mi fu detto nel modo abituale dover io raccontare tutto ciò che sono in istato di rammentare, e che quando anche ne venga derisa, io non sono in grado di comprendere l'utilità che ne può derivare. Seppi pure di bel nuovo che niuna altra persona sin qui avea veduto nel modo e nella pienezza in cui io ho veduto il tutto, e che coteste non sono cose mie, ma che appartengono alla Chiesa. Che tanto e tanto vada perduto, ciò è causa di grave responsabilità e di gravi danni; e molte persone che han colpa al che io non mi abbia quiete alcuna, e quel corpo ecclesiastico che non ha in sè individui adatti e di fede sufficiente a ricevere coteste visioni, ne renderanno stretto conto, ecc. Ho veduto anche quanti ostacoli vengano suscitati dal diavolo.


« Mi fu già per l'innanzi, comandato di raccontare il tutto, quando anche dovessi esser ritenuta dal mondo per una pazzarella; ma niuno ha voluto ascoltarlo, e tutte le più sante cose che ho vedute e provate vennero ricevute con tale protervia e dispregio, che io per timore di lederle e profanarle le ho dovute con dolore in me nascondere. Più tardi ho veduto sovente in lontananza la immagine di un uomo straniero che a me veniva e molto presso di me scriveva, e cotest'uomo l'ho ritrovato e riconosciuto nel Pellegrino. Sin da bambina ho avuto l'abitudine di pregare per ogni accidente, caduta, pericolo di annegarsi, incendio e simili; ed in seguito veggo sempre molti quadri di simili accidenti, che con ispeciale buona ventura si sviluppano e finiscono; ma ogniqualvolta ho tralasciato cotesta preghiera, veggo o sento sempre l'avvenimento di qualche grave danno; dal che non solo riconosco la necessità di preghiera speciale, ma anche la utilità che risulta quando partecipo ad altri cotesta mia convinzione ed interno ammonimento, perchè così anche altri possono venir mossi a cotesto ufficio caritatevole della preghiera, quantunque non ne veggano gli effetti come li vedo io. Le molte meravigliose partecipazioni del vecchio e del nuovo Testamento, e gli innumerevoli quadri ed immagini della vita dei santi, e così via discorrendo, mi furono concesse dalla misericordia di Dio non già per mia istruzione soltanto, chè molte di coteste cose non poteva io comprendere, ma bensì per parteciparle ad altri, onde risvegliare la memoria di molte cose nascoste, sperdute ed immerse nell'oblio. Ciò mi è stato sempre e di bel nuovo comandato. L'ho anche raccontato come meglio ho potuto, ma niuno si dava la pena nemmeno di ascoltarlo, e quindi dovea rinchiudere coteste cose in me medesima e molto dimenticare. Ma spero che Iddio me ne renderà di nuovo quanto è necessario. »

16. In qual guisa poi Anna Caterina esercitasse in visione le virtù a lei comandate dallo Sposo celeste, risulta chiaro dalle seguenti partecipazioni. Ogni qualvolta il tentatore le si accostava nelle sue visioni, lottava contro di lui collo scudo della fede.

« Ho sofferto (così narrò) tali dolori nelle ferite, che avrei potuto gridare ad alta voce, giacchè appena potevali sopportare. Il sangue scorreva a ondate verso le stìmate.

Ed ecco che a un tratto Satana sotto la forma di un angelo di luce mi si presenta e dice: Vuoi tu che ti trafori rapidamente le ferite ? Vedrai che con questo domani tutto sarà di nuovo in ordine. Non ti faranno più tanto male e non avrai nemmeno a cagione di ciò tante noie ! Lo riconobbi però subito e dissi: Vanne via ! non voglio nulla da te ! non sei già tu che m'hai fatto queste ferite ! Non voglio nulla da te ! Allora sparve e si raggomitolò come un cane dietro l'armadio. Dopo un certo intervallo ritornò di bel nuovo e disse: Non ti devi mica credere di star tanto in grazia di Gesù, perchè t'immagini di correre e viaggiare qua e là con lui. Tutto ciò proviene da me ! son io che ti presento tutti cotesti quadri; anch'io ho un regno ! -Lo scacciai di bel nuovo colle mie risposte. Era oramai affatto tardi, ed ei tornò un'altra volta e sempre appieno visibile " e disse: A che mai ti tormenti intorno a ciò, e non sai il come, nè il perchè ! Quanto hai e vedi proviene da me. Sei in ben misero stato e la va male per te; già alla fine io ti prendo; che hai bisogno di tormentarti così? Allora gli dissi: Allontanati da me ! Voglio appartenere a Gesù; voglio amarlo e maledirti; voglio patire ed aver dolori come egli vuole ! -

L'angoscia mia però era talmente grande che chiamai il mio confessore; ei mi benedisse e il nemico allora fuggì da me lontano. Questa mattina per altro mentre io recitava il Credo, si presentò di bel nuovo all' improvviso agli occhi miei e disse: A che ti serve cotesta recita del Credo ? non ne intendi nemmeno una sola parola; io però ti voglio tutto spiegare chiaramente; allora tu vedrai e saprai. Io soggiunsi: Non lo voglio sapere, lo voglio credere! Allora citò un passaggio della sacra Scrittura, ma non pronunziava una delle parole, ed io diceva sempre: Pronunzia quella parola, pronunziala intera se tu puoi ! Io provava per altro un tremito in tutte le membra. Alla fine sparì......

« Allorchè veggo la Comunione dei santi in seno della luce, e tutto il loro operare ed amare, attrarre e penetrare l'uno nell'altro, e l'uno per mezzo dell'altro, e come l'uno stia per tutti in tutti, e ciascuno sia in tutti, e non dimeno resti singolo nell'infinito splendore della luce, provo una ineffabile gioia e chiarezza. Veggo allora da vicino e da lontano oscure forme, e queste sono gli uomini; e mi sento da irresistibile amore verso di loro attratta, ad esclamare in loro pro ed a supplicare per loro Dio ed i santi; che sempre sono impegnati in sì dolci ed amorevoli sforzi per aiutare, talmentechè il cuore sembra che in seno mi si spezzi per amore. E quindi sento più vivacemente e veggo più distintamente che il giorno, che tutti noi viviamo nella Comunione dei santi e siamo in continuo rapporto con loro. E perciò mi sento piena di dolore perchè gli uomini sono sì ciechi e sì duri. Io sclamo arditamente al Salvatore: Tu hai onnipotenza, o mio amore ! Tu conosci tutto ! oh non lasciarli perdere ! Ed egli allora mi mostra come si dia la più commovente cura di loro. Guarda soltanto, dice egli, come io mi sia prossimo e pronto ad aiutare e a guarire, e come essi con prepotenza mi respingano ! Ed allora sento la sua giustizia, come ne sento la grazia con egual dolcezza ed amore......

Bene spesso vengo dalla mia Guida trasportata in ispirito a vedere le miserie di tutti gli uomini; talora mi trovo presso i prigioni, talora presso i moribondi, talora presso i malati, presso i poveri, nelle cure della famiglia, fra le dispute e fra i peccati. Veggo ancora cattivi sacerdoti, veggo mal dirette o malmenate preci, veggo il mal uso delle cose sante e dei Sacramenti. Veggo dalle miserabili creature umane disprezzare le grazie, gli aiuti, le consolazioni, l'eterno e dolce ristoro del santissimo Sacramento che il Signore offre loro, e veggo come esse se ne distolgano, e da sè respingano con violenza il Signore ! E veggo tutti i santi in dolce intimo 'moto occupati ad aiutarle, e veggo andare per loro in perdita quell'aiuto che nel momento appunto del bisogno era stato apprestato dal tesoro dei meriti di Gesù. Ciò allora mi commuove straordinariamente e mi raccolgo nel cuore tutte coteste grazie perdute, e ringrazio, e dico a Gesù: Deh abbi misericordia di queste cieche e miserabili tue creature ! Esse non sanno già quel che si fanno ! ah per questa volta non guardare alla loro ingiustizia !

Signore, conserva coteste grazie per quei poveri ciechi ! sollevali un'altra volta dal fango onde possano essere ancora aiutati ! ah non permettere che il tuo prezioso Sangue vada perduto per loro. E spesso allora il Signore esaudisce la mia preghiera, e veggo come egli la riceva un'altra volta in loro pro, e ciò mi riesce di grande consolazione.

Quando io prego in generale pei bisognosi, percorro abitualmente in ispirito la Via Crucis di Köesfeld, e ád ogni stazione prego il Signore per una diversa sorta di bisognosi, ed ho allora ogni sorta di visioni di bisogno e di aiuto qua e là, intorno a me, secondo la situazione locale di quei casi, mentre dai piedi di quella Stazione veggo in lontananza una di quelle scene di miserie a dritta o a sinistra. Così oggi mi sono genuflessa dinanzi alla prima stazione, ed ho pregato per coloro che si preparano alla confessione per la prossima solennità, affinchè Iddio conceda loro la grazia di ben pentirsi dei loro peccati e di non tacerli o dissimularli. Vidi allora in differenti contorni le genti pregare nelle loro case, ovvero andando qua' e là per affari; e le vidi anche immerse in gravi pensieri circa la loro coscienza, e vidi come era il loro cuore, e le stimolai colla mia preghiera, onde più non si addormentassero nel sonno del peccato. Io vedeva quelle genti in quel tempo in cui io là pregava. Poi vidi anche quelle che si proponevano di andare dal mio confessore, e fui ammonita a dirgli come egli dovesse trattare'e dirigere tale e tale persona fra quelle che in generale gli aveva annunziate.

« Nella seconda stazione pregai per coloro che la povertà e la miseria non lasciano dormire, affinchè Iddio desse loro consolazione e speranza. Ed allora vidi per entro ad alcune miserabili capanne, nelle quali alcune persone prese dal pensiero che l'indomani si rialzerebbero di bel nuovo senza possedere nulla, si gittavano sconfortate sulla paglia, e vidi che le mie preghiere facevano sì che si addo?mentassero.

Alla terza stazione pregai contro la discordia e con tro le liti, e vidi in una casa di contadini marito e moglie in amaro contrasto. Pregai per loro e si tranquillarono, e reciprocamente si perdonarono e si porsero la mano.

« Alla quarta stazione pregai pei viaggiatori affinchè in questo sacro tempo mettano da parte i loro pensieri mondani, e viaggino anch'essi coll'anima per recarsi presso il caro Gesù bambino in Betlemme; ed allora ne vidi molti intorno a me camminare in lontananza, in diverse direzioni, con fagotti e valigie sulle spalle. L'uno di essi se ne andava molto alla spensierata. Pregai per lui e vidi come ad un tratto inciampasse, e cadendo sopra una pietra di quella lunga via esclamasse: È il diavolo che ha messo questa pietra sul mio cammino! E nel medesimo momento per altro si rialzò, si levò il cappello, incominciò zitto zitto a pregare ed a pensare a Dio.

« Nella quinta stazione pregai pei carcerati, che nella loro disperazione non pensano a questo sacro tempo e restano privi di cotesto magnifico conforto, ed anche in ciò fui consolata. Il resto mi è uscito di memoria......

« Mentre io pensava come io qui me ne giacessi in tante miserie, dissi a Dio: Che ne è mai di me ? Altri aiutano e lavorano; io però qui mi giaccio come una povera storpia. Pregai Iddio a volermi commettere un'opera che potessi eseguire. Allora vidi ad un tratto un'osteria ove le genti litigavano, e pregai di cuore che si tranquillassero. E vidi allora come venissero a sopportarsi e quietarsi. Poi mi risovvenni dei poveri viandanti privi d'ogni aiuto, e subitaneamente vidi un uomo misero ed afflitto che trascinavasi lungo la via maestra, e che non sapeva con che vivere e dove pernottare. Mi destò molta pietà e pregai per lui; ed ecco tosto accorrere un uomo à cavallo e domandare a quel misero, cavalcandogli allato, di dove fosse e dove andasse. Quell'uomo gli nominò quei luoghi che ho dimenticati, ed allora il cavaliere gli diè danaro e spronò lanciandosi lontano. Quell'uomo rimase meravigliato e guardò il danaro; erano quattro talleri in moneta intera. Non poteva comprendere come avesse ricevuto cotanto dono e disse: Iddio è pur maraviglioso ! se fossi già arrivato nella città non avrei mai più ricevuto cotesto da naro ! Ed allora vidi come in sè ruminasse pensando tutto ciò che farebbe con quei talleri; l'ho ancora dinanzi agli occhi. Dipoi la mia Guida mi trasportò presso circa venti malati, dei quali succhiai i tumori per guarirli. Allorchè la mia Guida mi chiama a simili opere di carità, la seguo ciecamente. Andiamo presso i malati attraverso i muri e le porte; essa mi suggerisce quanto ho da fare. Veggo e penetro tutto come se fosse trasparente e compenetrabile, e quando anche vi siano molte persone intorno al letto dell'ammalato, ciò non impedisce nulla; vi è posto da per tutto; tutto è largo; nulla può ristringere lo spazio. Mentre amministro cotesto aiuto gli infermi sembrano dormienti o svenuti, ma per altro migliorano. Nella trascorsa notte ho adempito cotesto ufficio presso di molti in Köesfeld. Ne conosco alcuni di loro, e fra gli altri un giovinetto di dodici anni; voglio informarmene.

« Cotesto aiuto per parte mia succede soltanto in paesi cristiani; nelle remote contrade pagane mi aggiro come volando per disopra l'oscurità e supplico con maggior commozione onde quei paesi vengano illuminati. Credo che ciascuno il quale di cuore preghi per quei poveri infermi col desiderio di prestar loro uguale aiuto se far lo potesse, realmente presta cotesto aiuto......

 « Debbo anche curare e guarire infermi di spirito; e quindi venni dalla mia Guida trasportata entro uno spedale spirituale pieno zeppo di ammalati di ogni sorta, di ogni età, di ogni sesso e di ogni condizione. Eranvi là innumerevoli persone ch'io conosceva e non conosceva. Non aveva altro aiuto tranne la mia Guida, che mi benediva e consacrava dell'acqua ch'io portava in una piccola urna. Aveva pure meco ossa di santi, ch'io usava per altro in silenzio. Tutti cotesti malati erano infermi nell'anima per causa di peccati e di cattive passioni, e coteste infermità apparivano esteriormente configurate sui loro corpi. Il loro stato era indicato dalla povertà o dalla comodità degli strati su cui giacevano. I poveri giacevano sulla paglia o per terra; altri posavano sopra immondi o puri letti, dal che veniva simboleggiato il migliore o più perverso loro contorno. Alcuni giacevano affatto distesi, altri sedevano quasi alzati e così di seguito. Io non parlava con loro, nè essi con me, ma allorchè li fasciava ovvero suggeva le loro ferite e i tumori, li spruzzava con acqua santa, e nascostamente li toccava con reliquie, mostravansi amichevoli e guariti. Coloro che avevano peccato per pigrizia, avevano mani o piedi malati e paralizzati; coloro che erano stati inclinati pel furto o per altre cattive vie, soffrivano convulsioni o tremiti, o tumori in coteste membra. Segrete malattie annidavansi in ascosi tumori, e conveniva farli maturare e rompere con cataplasmi, o disseccarli con cerotti astringenti.

Vi erano anche infermi di malattie cerebrali, che si erano tormentati a forza di inutili ricerche. Io veggo costoro in modo che mi sembra scorgerli imbrogliati nei loro pensieri, vacillare in sè stessi come inebriati, e subitamente dar del capo contro alcun oggetto e quindi rientrare in ragione. Ebbi da fare con molti di questi nostri e di lontani, ed anche con protestanti; come pure con una fanciulla che pativa di una certa fissazione. Vedevansi in lei delle livide striscie di apparente durezza come vene; pareva che fosse coperta internamente di rosse macchie come risultanti da percosse. La guarii con acqua benedetta. Guarii anche individui apparentemente morti; trovavansi in un terzo luogo e si distinguevano da ciò che se ne giacevano in tutta pazienza, ma anche in piena impotenza dal potersi muovere in qualsiasi guisa, o in qualsiasi modo darsi aiuto. Anche in loro apparve il male da guarirsi sotto la forma di malattia corporea, ed io li fasciai.

« Sul finire della mia opera mi ebbi aiuto da alcune altre vergini. Quindi venni dalla mia Guida qui di nuovo trasportata e fui da capo severamente ammonita perchè mi pensava di non far nulla, mentre tutto ciò aveva fatto, e mi fu detto che Iddio impiega ciascuno in modo di verso......

« Venni di nuovo condotta in grande ospedale di soldati di ogni sorta. Era situato sotto un tetto fatto a scaglie, ma non so dove. Vi eran dei tedeschi e degli stranieri. Sembravano prigioni e vennero trasportati su dei carri.

Molti di coloro che conducevano i carri erano cenciosi e portavano cappotti grigi. Pareva come se alcuni infermi di cotesto ospedale stessero alquanto sollevati per aria, e costoro pativano di malattie dell'anima rappresentate da mali corporei come nel precedente ospedale. Mi aggirai costà all'intorno, ed aiutai, e guarii, e fasciai, e feci fila per le piaghe. Meco andavano alcuni santi, che aiutavano, ed ogni indecente cosa mi nascondevano e come con tenebre coprivano, giacchè molti di cotesti infelici giacevano senza coperta alcuna. Finalmente giunsero anche molti feriti nel corpo; ma costoro non restavano sospesi in aria, anzi giacevano per terra. Le ferite dei malati di malattia morale danno fetore molto più grave e radicano nel profondo del cuore; non sembrano però esteriormente sì brutte, quantunque realmente destino orrore. Le ferite corporee non sono sì profonde, hanno minor fetore, ma per chi non le conosce hanno aspetto più orrendo. Le ferite corporee quando sono sopportate con pazienza, guariscono sovente col merito di cotesta virtù le morali ferite. Io qui diedi via tutto ciò che aveva. Tagliai le mie coperte da letto, donai tutta la mia biancheria ed anche le vesti menta di Lambert. Ma più io divideva e più cresceva il bisogno, e non ne aveva mai abbastanza. Nondimeno altre buone genti mi portarono molte cose. Eravi anche costà una stanza ove giacevano ufficiali, e per costoro era duopo che avessi alcunchè di meglio. Costà giacevano pure alcuni miei nemici, e gioiva in me stessa di poter loro in qualche modo giovare. Ad uno di essi per altro non potea darsi aiuto in verun modo, giacchè voleva un medico a modo suo e tale come non se ne trova. Aveva uno spaventoso aspetto. Dopo ciò ebbi ancora ogni sorta di pazienti da guarire, conoscenze mie, contadini, cittadini, ed ecclesiastici, ed anche N. N. Ho da molto tempo missione di dirgli certe cose; il suo stato diventa sempre peggiore. Ei si affanna e corre dietro ad onori esterni, e per ciò trascura le anime. »

17. Della significazione e delle conseguenze di simili guarigioni ed aiuti in visione, essa diede i seguenti schiarimenti:

« Mi furono mostrate tutte quelle persone che ho risanate suggendo le loro ferite, sia in realtà, sia in ispirito. Ed il mio Sposo mi disse di bel nuovo che tutti cotesti aiuti in ispirito prestati con vivace desiderio di giovare, sono un aiuto reale ed effettivo,e che debbo far ciò in ispirito, perchè nol posso fare ora corporalmente.

«Allorchè da bambina lavorava nei campi, o da monaca nel giardino, mi sentiva interiormente sospinta a pregare Iddio di poter fare agli uomini ciò che io costà poteva far solo alle piante. Ed ho bene spesso ricevuta la chiara spiegazione del come le creature hanno nelle loro relazioni certe somiglianze, dimodochè una cosa può riguardarsi siccome una parabola di altre; e quindi così anche nella orazione e nel commercio con Dio, si può fare con pietà ed amore all'immagine o somiglianza di una cosa, ciò che per l'impedimento di vincoli umani non si può fare in pro di quella cosa o persona medesima. E così, come un'immagine ovvero una somiglianza può illuminarmi, commuovermi, eccitarmi in pro di ciò che significa, posso nella stessa guisa almeno esercitare l'amore, la cura, i servigi, che immediatamente non posso prestare alla cosa medesima, verso la di lei immagine o somiglianza; giacchè quand'io faccio questo bene in Gesù e per suo mezzo, ei stesso coi meriti suoi lo trasferisce in pro delle persone. Quindi è che Iddio misericordioso mi concede in grazia delle mie preghiere e dei ferventi desiderii di aiutare altrui, sì vivaci immagini delle diverse opere, sotto il simbolo delle quali io supplico per salvezza ed aiuto in pro dell'uno e dell'altro......

« Mi è stato pure indicato quale indescrivibile grazia di Dio sia che egli conceda simili immagini e lavori simbolici, e che egli riceva cotesti lavori in immagini o in ispirito per opere compiute ed effettive, e che le ascriva in pro della Chiesa siccome un'opera reale, un aiuto tratto dal tesoro di cooperazione di uno dei suoi membri. Per altro, a far nascere e sviluppare ognuno di cotesti aiuti in seno della Chiesa, debbono coteste opere e cooperazioni essere unite ai meriti di Gesù Cristo, giacchè i bisognosi, gli erranti, come membri del corpo della Chiesa, possono ricevere aiuto soltanto dalla Chiesa medesima; e quindi anche la potenza di guarire che sta risposta nella Chiesa, deve essere eccitata e resa mobile siccome in un corpo, ed in ciò consiste la cooperazione. Ciò è più facile a sentire che ad esprimere.

« Siccome spesso riesce a me medesima meraviglioso il dovere quasi in ogni notte viaggiare sì lontano e compire. tante cose, e che sovente in me penso: Quando mi trovo così in viaggio ed occupata nel dare aiuto, tutto mi riesce sì vero e naturale, e pur nondimeno me ne sto qui a casa inferma e miserabile; ricevo tosto l'avvertimento seguente: Tutto ciò che di tutto cuore si desidera fare e soffrire in unione con Gesù per - la sua Chiesa e pei prossimi, ciò si fa realmente nell'orazione, e tu vedi precisamente quel che tu fai. »

18. Queste ultime partecipazioni contengono la chiave per penetrar nell'intelligenza di tutto cotesto operare in ispirito e quadri simbolici delle visioni. La preghiera è un operare effettivo nell'orare, secondo l'ammonimento ricevuto da Dio, per iscopi precisi e definiti sotto il peso dei più grossi patimenti e sacrifizi, e quindi sempre esaudito ed applicato da Dio per mezzo del supplicante medesimo, fatto strumento delle sue misèricordie, e colle più svariate conseguenze, frutti e meriti, in pro di coloro pei quali ei medesimo ha voluto che fosse pregato da quell'anima eletta. Quindi cotesta orazione vale infinitamente più di una preghiera generale; è un lavoro di spirito, un affaticarsi, lottare, combattere sotto il peso di pene corporali e spirituali che si rinnovano ogni giorno ed ogni ora, per missioni da Dio precisamente indicate; ovvero uno scontare e pagare il prezzo dell'esaudimento e concessione della cosa implorata col mezzo dei più perfetti atti di carità. È quindi un'orazione che si perfeziona e compisce nell'esaudimento, e che ogni volta è collegata con sicure conseguenze e maturi frutti; in una parola, è un'orazione espiatoria, conciliatoria, operante in Gesù Cristo e per di lui mezzo e merito. Anna Caterina somiglia all'albero piantato presso il ruscello, sul quale giorno per giorno maturano nuovi frutti pei bisognosi; è la madre le cui mammelle ogni dì si riempiono col latte dei meriti, e per mezzo delle quali innumerevoli genti ricevono nutrimento spirituale. La medesima ha dato più volte spiegazioni circa ciò che significa cotesta operativa orazione esercitata nel Salvatore e col suo aiuto. Quindi il Diario del Pellegrino riferisce così in data del 7 luglio 1820:

«Essa langue da molti giorni in indescrivibili dolori. Per di più, nella trascorsa notte ha fortemente sanguinato per la ferita del costato, e si è sentita tutta inzuppata da potenti sudori. Quando da sè sola dee cambiarsi la camicia, beve prima un paio di goccie dell'olio di santa Valparga, che le danno la forza di compire cotesto penoso lavoro senza violenta tosse. Oggi somiglia ad una morta, e confessa di aver avuti tali dolori che ha dovuto gridare ad alta voce pregando Iddio a mitigarli, ed ha supplicato di non venire martoriata al di là della possibilità di sopportarli. I dolori, disse ella, riescono per me più difficili a patirsi, quando non posso sopportarli in silenzio e debbo gemere; allora sempre mi immagino che sien privi di amore e di carità e che non possano esser graditi a Dio. Sembravami come sesul mio corpo posasse fuoco, e questo in lingue sottile e fine raggiasse dolore nel mio petto, nelle braccia e nelle mani. Mentre ciò narrava le lagrime le scorrevano dagli occhi, non però a cagione dei proprii dolori, ma piuttosto perchè ella era immersa in continua contemplazione dei dolori del Signore. È, diss'ella, al disopra di ogni umana capacità il comprendere i dolori che Gesù soffri dal suo nascere sino alla sua morte, quando si veggano come io li ho veduti. L'infinito amor suo può sentirsi soltanto e riconoscersi in quel suo patire senza lagnarsi siccome un agnello. Io sono stata concepita in peccato, sono una miserabile peccatrice per me medesima, e ciò nondimeno la vita mi opprime e mi pesa più che mai, ed ogni ingiustizia mi affligge talmente ! Ma quanto deve essere mai stata l'indescrivibile perfezione di Gesù, da tutti offeso, e martoriato, e dispregiato sino alla morte ! Nella trascorsa notte, in mezzo a continui dolori, ho di bel nuovo veduto tutti i suoi patimenti dall'istante del suo concepimento sino alla morte. Ed invero io vidi tutti i suoi dolori proprio intimamente nel suo interno, e ne sentii tutte le modificazioni, siccome nella sua grazia degnò farmelo intendere. Sono talmente debole, che ne racconterò soltanto ciò che mi si presenta alla mente. Vidi sotto il cuor di Maria un'aureola di luce, ed in questa un bambino di fulgore splendente. E mentre ciò vedeva, sembrava come se Maria stesse librata al disopra e all'intorno, e vidi quel Bambino crescere, e vidi in lui compire tutti i martorii della crocifissione. Era una triste e spaventevole vista; io piangeva e singhiozzava altamente. Lo vidi da altre figure percuotere, colpire, flagellare, incoronare, sottoporre alla croce, inchiodare alla croce, trafiggere nel costato; vidi tutta la passione di Cristo su quel Bambino; era vista spaventevole. E quando il Bambino fu pendente in croce mi disse: Ciò tutto ho sofferto già dal concepimento sino al mio trigesimoquarto anno, durante il quale tutto ciò fu esteriormente compito. Il Signore morì nell'età di trentatrè anni e tre mesi. Va ad annunziarlo agli uomini ! Ma come debbo io mai agli uomini annunziarlo ( 1) ?

(1) Il Pellegrino aggiunge a cotesta dimanda le seguenti parole: Essa non si accorge che lo fa precisamente adesso, e nella forma di questa dimanda sta riposto appuntino il modo in cui ella considera cotesti comandi. Spesso le è stato imposto di dire anche ciò che poteva apparire stupido ed inetto. »

« Lo vidi pure come neonato pargoletto, e vidi come molti fanciulli che venivano al presepio maltrattassero Gesù bambino. La Madre di Dio non era presente per proteggerlo. Quei fanciulli venivano con ogni sorta di verghe e di sferze percuotendolo in volto, talmentechè sanguinava ed ei tendeva innanzi amabilmente le manine come difendendosi; ed i più piccoli fra quei fanciulli lo percuotevano maliziosamente. Alcuni raddrizzavano e ritorcevano le verghe e le porgevano ai più grandi; venivano con spine, ortiche, sferze, verguzze di ogni sorta, ed ognuna di quelle cose aveva il suo proprio significato. Uno ne venne con una verga estremamente sottile e quasi come un giunco, e quando con essa volea battere a tutta forza, quel giunco si piegò, gli venne addosso, e fu lui il battuto. Conobbi molti di quei bambini; altri ve ne erano che si pavoneggiavano con vesti superflue; io le ritolsi loro e ne percossi alcuni per bene.

«Dipoi vidi il Signore andare coi suoi discepoli, ed egli in sè stesso pensava ai dolori già sofferti nel sen della Madre, e poi nella sua fanciullezza e durante il suo insegnamento evangelico per colpa della durezza e cecità degli uomini, e principalmente poi per la malizia e per le invidiose insidie dei farisei. Ei parlava dei suoi patimenti coi suoi discepoli, ma essi non l'intendevano. Ed io vidi come interni dolori penetrassero l'animo al Signore; e vidi coteste doglie siccome cupe tinte e tenebrosi colori, che si addensavano sul suo mesto e severo volto, nel suo petto, ed intorno al suo santo cuore, e da ogni lato lo trapassavano. Cotesta visione è indescrivibile; e vidi come egli perciò impallidisse e nel suo interno fosse martoriato, e come cotesti dolori dell'anima sua fossero più densi e profondi di quelli che soffrì dipoi nella sua crocifissione. Ei li sopportava per altro silenziosamente e con infinito amore e pazienza. Lo vidi dipoi nella Cena e vidi i suoi infiniti dolori per la scelleraggine di Giuda. Vidi come egli volentieri avrebbe sofferto ancora maggiori martirii, purchè costui non l'avesse tradito, giacchè anche la sua santa Madre aveva avuto benevolenza per Giuda, e sempre avea molto con lui parlato, e di molto l'avea istruito ed ammonito. Ciò più di tutto dava pena a Gesù; e vidi quand'egli lavò i piedi a Giuda con infinito dolore e infinito amore, e come gli porgesse il boccone e lo guardasse pieno di carità. Avea le lagrime negli occhi e strinse i denti per fremito di dolore. Lo vidi quando Giuda a lui venne, e come ei desse a mangiare la propria carne e il proprio sangue al traditore, e con infinito cordoglio gli dicesse le parole: Quei che vuoi fare fallo presto ! Vidi poi come Giuda allora si ritraesse addietro e poi lasciasse la sala. Durante tutto ciò vidi sempre il Signore penetrato ed avvolto dalle nubi, dai colori, e dai lampi delle interne sue doglie. Lo vidi quindi andare coi discepoli verso il monte Oliveto, e vidi come per via sempre piangesse, talmentechè le lagrime scorrevano come a torrenti; e come Pietro fosse sì audace e fidante in sè stesso, sino a credere che egli solo basterebbe ad abbattere tutti i nemici, e che anche ciò turbava Gesù. Ei sapeva che lo rinnegherebbe. E vidi che egli lasciò i suoi discepoli, meno tre che più degli altri gli eran cari, in un'aperta capanna posta presso il giardino degli olivi. Disse loro che costà dormissero. Lo vidi continuamente piangere; ed allora si addentrò più oltre nel giardino e lasciò addietro gli Apostoli, che si credevano sì forti ed intrepidi. Vidi come bentosto cadessero in braccio al sonno; vidi per altro il Salvatore oppresso dai dolori e quasi esanime sudar sangue, e vidi l'angelo che gli presentava il calice... »

Di sera. Essa trema e freme ancora pei dolori; è per altro estremamente dolce e mansueta per la sua pazienza e carità; anzi apparisce altamente nobilitata da tutte coteste pene.

30 Agosto. « È stata lacerata da ineffabili doglie. Le è stato mostrato come ognuna di esse abbia la sua speciale significazione, secondo la quale una definita parte del suo corpo venga martoriata; come ogni specie di tormento, sian punture, lacerazioni, ardori, abbia il suo speciale significato; e come pure tutte coteste pene sopportate nel nome di Gesù con pazienza ed in unione ai suoi patimenti, divengano una offerta espiatoria per quei peccati e mancamenti pei quali furono imposte; e come con ciò venga riacquistato in pro del corpo della Chiesa tutto quello che la trascuranza e la perversità degli uomini ha lasciato deperire. »